PAOLO DIVIZIA

Dottorando di ricerca in Diritto Amministrativo presso l’Università Statale di Milano

 

Natura giuridica dei provvedimenti-prezzo e loro posizionamento nella gerarchia delle fonti

 

 

Introduzione

 

I provvedimenti di determinazione di prezzi e tariffe, fra i quali è di interesse, per la seguente succinta analisi, il provvedimento CIP n. 6/1992, vengono generalmente annoverati dalla migliore dottrina fra i c.d. atti amministrativi generali[1].

E’ pacifico che ci si trovi di fronte ad atti che si rivolgono ad una pluralità di destinatari, indeterminati ed indeterminabili, ed è proprio questo l’elemento distintivo rispetto agli  atti plurimi, aventi sì un amplissimo ventaglio di destinatari, ma specificamente individuati a priori.

L’indeterminabilità dei soggetti destinatari accomuna gli atti amministrativi generali  agli atti normativi;  è bene – tuttavia – ricordare che, se per l’adozione di un atto amministrativo generale è sufficiente che l’autorità competente abbia, in materia, potestà amministrativa, per contro per gli atti normativi è necessaria una espressa autorizzazione di legge.

Al di là della enucleazione di questi formalistici criteri distintivi, tracciare con sicurezza una linea di demarcazione fra atti amministrativi generali ed atti normativi non è semplice. 

 

Natura giuridica

 

In origine, l’adozione dei  provvedimenti-prezzo rientrava nella competenza del CIP (Comitato Interministeriale Prezzi), istituito dal D.Lgs.Lgt. 19 ottobre 1944, n. 347, dal D.Lgs.Lgt. 23 aprile 1946, n. 363 e dal successivoD.Lgs. C.P.S. 15 settembre 1947, n.896. E’ poi noto che  il CIP è stato soppresso dalla l. 24 dicembre 1993, n. 537 e che le funzioni originariamente ad esso attribuite sono state devolute dal D.p.r. 20 aprile 1194, n. 373 in parte al CIPE ed in parte al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato (vecchia denominazione).

In linea assolutamente generale, pare prudente qualificare i provvedimenti-prezzo in esame come veri e propri provvedimenti ablatori, che, venendo ad incidere su situazioni giuridico-soggettive di terzi, ne determinano l’affievolimento ad interessi legittimi, con la conseguenza, per gli interessati, di poter ottenere tutela giurisdizionale solo in sede amministrativa.

Su questa linea, pare poi opportuno ricordare che si tratta di atti caratterizzati da un marcato grado discrezionalità, nella misura in cui è interamente rimessa al Comitato Interministeriale la decisione sull’adozione o  meno del provvedimento di determinazione del prezzo, fermo restando – peraltro – che il profilo del quantum è, invece, conformato a precise risultanze statistiche.

 

Posizionamento nella gerarchia delle fonti 

         Il problema del posizionamento dei provvedimenti-prezzo all’interno della gerarchia delle fonti comporta la risoluzione di un secondo problema, preliminare ed imprescindibile, e cioè l’individuazione di un carattere normativo  e non squisitamente provvedimentale in tali atti.

In mancanza di una regola certa e condivisa, pare prudente individuare una serie di criteri-guida.

Un primo criterio utilizzabile, per attribuire ad un atto amministrativo generale carattere “normativo”, è quello di vagliarne la generalità ed astrattezza. Nessuna esitazione pare esservi per il caso di specie: la semplice lettura del provvedimento CIP n. 6 e l’analisi della sua strutturazione per aree tematiche (ad esempio, la distinzione delle tre classi di impianti) porta a sciogliere ogni dubbio sul suo carattere astratto e generale.

Ora, è pur vero che il carattere generale ed astratto costituisce un indizio importante per concludere a favore dell’essenza normativa dell’atto, ma non si tratta di un criterio esclusivo. Più correttamente, tale criterio funziona senza dubbio in negativo, nel senso che la sua assenza è sufficiente per confutare la natura di atto normativo al provvedimento preso in considerazione.

Un secondo criterio, allora, per individuare l’atto normativo, come suggerito da un autore in dottrina[2], è quello della innovatività, e cioè la capacità da parte del provvedimento di innovare stabilmente l’ordinamento giuridico. Il CIP n.6 pare integrare anche questo criterio, dettando infatti una disciplina organica e stabile relativamente ai prezzi ed alle modalità di cessione, vettoriamento e produzione dell’energia elettrica e configurandosi come normativa di riferimento per la disciplina dei rapporti intercorrenti fra i produttori ed Enel.

Vi è poi un terzo argomento che porta a propendere per la qualificazione di questi provvedimenti-prezzo come atti normativi. Come già accennato, per l’adozione di un atto normativo è richiesta un’espressa autorizzazione di legge a favore dell’autorità competente. Nel caso di specie tale autorizzazione è prevista a favore del Comitato dagli artt. 20 e 22 della legge 9 gennaio 1991, nella parte in cui  è attribuito all’organo interministeriale  il compito di disciplinare – come osservato – i rapporti intercorrenti fra produttori ed Enel sotto il profilo dei prezzi e delle modalità di cessione, scambio e vettoriamento dell’energia elettrica nonché di operare una precisa classificazione tripartita in fonti “rinnovabili”, fonti “assimilate” alle rinnovabili e fonti “ convenzionali” di produzione.

Un quarto ed ultimo argomento a sostegno della tesi avanzata può esser, poi, il seguente. L’art. 1 comma 2 del d.m. 4 agosto 1994 (Ministero Industria, Commercio e Artigianato) dispone che le modifiche di cui al successivo art. 2 hanno valore di interpretazione autentica delle disposizioni contenute nel CIP n.6/1992.

E’ opportuno premettere che il d.m. in oggetto è stato emanato in forza dell’avvenuto trasferimento – operato mediante il D.p.r. 20 aprile 1994, n. 373 – in capo al Ministero stesso delle funzioni in precedenza attribuite al CIP, soppresso dalla legge 537/1993.

E’ condiviso in dottrina[3] che si qualifica “autentica”  l’interpretazione di un atto normativo compiuta dall’autore stesso dell’atto interpretato. Interprete autentico della legge può essere, dunque, solo lo stesso legislatore, mediante altra legge successiva.

Nel caso di specie, ci troviamo di fronte ad una situazione analoga, con la sola differenza che è avvenuto un trasferimento di funzioni da un ente ad un altro. Se, quindi, il Ministero ricorre allo strumento dell’interpretazione autentica veicolato con decreto ministeriale, allora, in questo modo riconosce di riflesso il carattere normativo dell’atto che va ad interpretare. L’interpretazione autentica non è applicabile ad atti aventi carattere squisitamente provvedimentale.

A conclusione di questo iter argomentativo, si può procedere al posizionamento del provvedimento-prezzo, quale atto normativo,  all’interno della gerarchia delle fonti.

Ad avviso di chi scrive, pare prudente assimilare questo atto normativo al decreto ministeriale, atto-fonte con il quale, in forza dell’art. 17 secondo comma della legge 400/1988, è possibile adottare regolamenti nelle rispettive materie di competenza, allorché specificamente una legge conferisca tale potere.

Se questa tesi merita di esser condivisa, il provvedimento-prezzo sarà, allora, gerarchicamente subordinato alla Costituzione, alle leggi[4], agli atti aventi forza di legge ed ai regolamenti governativi.  

                                                                           dott. Paolo Divizia

  



[1] Cfr. sul punto, a mero titolo esemplificativo,  GIANNINI, Diritto amministrativo, II, Milano, 1993, pag. 288; ROMANO TASSONE, Diritto Amministrativo,  a cura di AA.VV., Bologna, 2001, pag. 199.

[2] RESCIGNO, L’atto normativo, Bologna, 2000, pag. 22 e ss.

[3] Cfr. ex multis GUASTINI, Le fonti del diritto e l’interpretazione, Milano, 1993, pag. 286 e ss.

[4] E secondo l’autorevole opinione di GUASTINI, op.cit., pag. 201 a tutte le leggi, dunque non solo a quelle conferenti la potestà regolamentare.

 

 

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Aggiornato a giovedì 20 giugno 2002