Mappa sito |    
Ultima modifica: giovedì 24 febbraio 2005 23.25

.:[Cos'è PuntoTrePorte]:.

Puntotreporte è il sito che parla della possibile chiusura degli stabilimenti FIAT di Termini Imerese ed Arese. Il sito dalla parte dei lavoratori. Tutte le notizie che vi trovate sono raccolte in rete o comunicate dagli stessi autori. Per qualunque segnalazione o per inviare un documento, scrivete al webmaster (autorizzando alla pubblicazione e al trattamento dei dati personali forniti) all'indirizzo
puntotreporte@libero.it
utilizzate il FORUM oppure andate sul sito Farotecnologie www.farotecnologie.net
Leggi l'uso del sito se hai dubbi!!!

.:[Credit]:.

Questo sito è mantenuto da Salvatore Vitale cittadino amareggiato e non rassegnato di Termini Imerese. Chiunque volesse aiutare nella redazione scriva a salvatore.vitale@inwind.it

.:[La FIAT]:.

Gli stabilimenti Fiat
Per chiarire FAQ
Fiat Online
Il gruppo Fiat
Min. Attivita' Produttive
Il Governo italiano
La Borsa italiana

.:[PuntoTrePorte]:.

Fai conoscere PuntoTrePorte! Questo è il volantino con cui pubblicizzare l'iniziativa PuntoTrePorte

 Fai clic col tasto destro e scegli Salva oggetto...
PuntoTrePorte.pdf

è in formato pdf scaricalo e stampalo! Mi raccomando, non SPAM ma passaparola!

Download Adobe Acrobat Reader!

 

.:[FORUM]:.

FORUM

Dicci la tua; scrivi nel FORUM quello che pensi di questa vicenda!

Clicca sul pulsante

.:[Sondaggio]:.

Clicca sul pulsante per vedere il quesito.

.:[Scrivi al webmaster]:.

Come ti chiami?

Da dove scrivi?

E-mail address?

Testo del messaggio?


Oppure invia a: puntotreporte@libero.it

Vuoi sapere gli aggiornamenti del sito? Iscriviti alla Newsletter
Inserisci nome ed email
Nome:
Email:

Sottoscrivi
 Cancellati

Segnala questo sito ad un amico!
Scrivi il tuo nome:

Scrivi la tua email:

L'indirizzo del tuo amico:

Un tuo commento:

Vuoi una copia: 

 

.:[Statistiche sito]:.

 

Il sito dell'AVIS  Associazione Volontari Italiani Sangue. Chi dona sangue dona la vita!

.:[Firma il Guest Book!]:.

Scrivi il tuo messaggio nel guest book; la tua solidarietà, o un messaggio da far leggere a chi passa in visita da questo sito! Clicca sul pulsante!

 

.:[Pensiero]:.

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge,
chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

Pablo Neruda
 

.:[Ringraziamenti]:.

Grazie a tutti coloro che si stanno adoperando per arricchire i contenuti di questo sito con notizie, foto e documenti.

 

Articoli
Anatomia di una crisi
Il bilancio degli errori

Tutto si può dire della crisi Fiat, ma non che fosse imprevedibile. Non è una delle ricorrenti crisi dell'auto, magari più violenta delle precedenti, ma un declino avviatosi da tempo, e aggravato dal susseguirsi di scelte gestionali sbagliate. Lo conferma l'andamento del titolo in Borsa: come mostra chiaramente il grafico, a partire dal 1995, inesorabilmente, anno dopo anno, Fiat perde terreno rispetto all'indice del mercato europeo; complessivamente, l'80%.


UNA CRISI ANNUNCIATA - La categoria più beneficiata dalla crisi Fiat è quella dei giornalisti e commentatori economici. Per raccontarla basta recuperare articoli già scritti. Alla fine del '99, ancora in piena euforia, i segni del declino e i possibili rimedi erano evidenti. Col titolo «Fiat? Vale un quinto di Telecom e rende meno di un Bot», scriveva il Corriere (12 dicembre 1999): «Le auto sono un bene maturo; la loro domanda cresce poco. Inoltre più del 50% delle vendite Fiat è concentrato in Italia e Brasile, che non hanno brillanti prospettive economiche...».
«...Il settore è anche molto concorrenziale. E la concorrenza è destinata ad aumentare in Europa: la moneta unica ha eliminato le svalutazioni competitive; verrà abolito il contingentamento delle auto giapponesi; e il sistema dei concessionari esclusivi sarà temperato. Lo scenario non è roseo particolarmente per la Fiat che opera con pochi modelli, prevalentemente di fascia bassa. Con queste prospettive le fusioni diventano inevitabili per tagliare i costi; diversificare geograficamente le aree di vendita; acquisire marchi e nicchie di mercato; e raggiungere rapidamente le dimensioni necessarie per sostenere l'onere elevato dello sviluppo di nuovi prodotti. La famiglia Agnelli controlla la Fiat con circa il 30% del capitale. Presto si troverà a un bivio: immettere nuove risorse nel settore automobilistico, mantenendone il controllo; oppure uscirne, per investire in settori più promettenti. Ma Fiat non è un'azienda come le altre: sarebbe indelicato parlare di "vendita". Prepariamoci, dunque, a una più digeribile "alleanza strategica"». Che, puntualmente, arriva. Anche se di vendita si tratta, come dimostra l'opzione put per la totalità del capitale che la Fiat ottiene da General Motors (Gm). Sempre sul Corriere , il 14 marzo 2000: «Per gli Agnelli, sarebbe stato meglio vendere tutto subito, liberando risorse da investire in altri settori. Così rimarranno vincolati alle fortune dell'auto ancora per diversi anni. L'indecisione può costare cara». Appunto. Il prezzo che Gm ha pagato per il 20% di Fiat Auto corrispondeva a una valutazione di 12 miliardi di euro per l'intera società. Oggi, probabilmente, Fiat sarebbe felice a vendere l'auto al valore simbolico di 1 euro, con qualche miliardo di debiti in dote. Senza contare che l'opzione al 2004 complica la trattativa, ostacolando la ricerca di altri compratori, e concedendo alla società americana tempo prezioso (le difficoltà di Fiat giocano a suo favore). Ma non è questo l'errore più grave.
NON SOLO DEBITI E AUTO - Ancora dal Corriere (9 giugno 2002): «Fiat non è solo debiti e auto: è un vasto conglomerato, privo di stringente logica industriale; con diverse imprese redditizie, ma poco sinergiche, e quasi mai leader nei rispettivi settori. Il risanamento non dovrebbe affrontare solo la crisi di oggi, ma invertire il declino del gruppo. Si dovrebbero vendere le attività meno sinergiche (servizi e finanza), quelle con le peggiori prospettive, e quelle che la Borsa valuta con i multipli più bassi. E puntare alla leadership in pochi settori, ricorrendo a dismissioni e cartolarizzazioni per eliminare il debito. Invece, diversificazione e indebitamento hanno subito un'accelerazione dal 1999 (sotto la nuova presidenza di Paolo Fresco), con l'acquisto di Case, Kobelco e Pico per 7 miliardi. Fiat ha poi speso 1 miliardo per ritirare dal mercato Magneti Marelli, Toro e Comau lanciando altrettante Opa con la Borsa ai massimi; e nel luglio 2001 è entrata nel settore elettrico con la scalata a Edison, pur non avendo le risorse necessarie». Dopo l'11 settembre la crisi diventa evidente. Nel dicembre 2001, Fiat lancia un «piano di ristrutturazione con riorganizzazione del settore auto (e sostituzione del vertice), aumento di capitale da 1 miliardo, e prestito convertibile da 2,5 (ipotecando di fatto il ricavato in azioni della vendita del 20% di Fiat Auto a Gm). Ma sarebbe più saggio accelerare l'uscita dall'auto, invece di bruciare altre risorse, e rischiare di dover vendere domani a condizioni peggiori». Ancora una volta non si ha il coraggio di pronunciare la parola dismissioni; e si continua a dichiarare che Fiat rimarrà un conglomerato, con dentro l'auto.
IL PIANO DI RISANAMENTO - Dopo soli sei mesi, altra crisi e altro piano. L'amministratore delegato Cantarella si dimette (con una liquidazione da 20 milioni). Questa volta le banche che partecipano al risanamento chiedono alla Fiat di vendere circa 3,5 miliardi di attività (ma le danno una mano rilevando il 14% di Italenergia a un prezzo generoso, e contando come dismissione un finanziamento garantito da un put sul rimanente 24,6%); consolidano 3 miliardi di debiti a breve fino al 2005 (dopo che la Fiat avrà potuto esercitare l'opzione di vendere alla Gm), col diritto di convertire il credito in azioni se Fiat non avrà rispettato gli obiettivi del piano; rilevano il 51% della società di credito al consumo Fidis permettendo a Fiat di deconsolidarne il debito. L'intervento è finanziario, mirato a impedire un'immediata crisi di liquidità e a evitare il declassamento di Fiat, dandole il tempo di esercitare la put verso Gm, alla fine del 2004.
Fiat non è sull'orlo del fallimento. Il dissesto riguarda solo l'auto. In Borsa, l'intero capitale vale oggi 4,7 miliardi di euro: un valore che presumibilmente incorpora l'uscita dall'auto entro il 2005. Nella difficile congiuntura del primo semestre di quest'anno, le attività industriali, auto esclusa, (aviazione, macchine agricole e per costruzioni, autocarri, automazione, servizi per le imprese, componentistica) hanno prodotto circa 30 miliardi di ricavi e 600 milioni di risultato operativo (dati annualizzati). Ai parametri europei del settore (25% del fatturato o 11 volte gli utili prima di imposte e oneri finanziari) valgono circa 7 miliardi. Ci sono poi altri 7 miliardi di partecipazioni (valutando Italenergia, Fidis e Ferrari al valore delle transazioni con le banche; Toro a 0,7 il valore di libro, in linea con i parametri di mercato; le società quotate, ai prezzi di Borsa; e le joint venture con Gm, a sconto del 20% sul prezzo di carico); 3,5 miliardi di attività liquide; e 18,7 miliardi di crediti finanziari, ipotizzando che valgano l'80% del loro valore nominale (inclusi i crediti Fidis). Immaginando che l'auto sia ceduta a costo zero, il totale delle attività è 36,2 miliardi di euro. Ma Fiat è pur sempre un marchio forte, con l'8% del mercato automobilistico europeo (e il 25% di quello italiano): anche ai risicati multipli del settore (25% il fatturato) fanno 6 miliardi. Dedotte le potenziali perdite di qui al 2005 (cautelativamente 2,5 miliardi), per il rimanente 80% di Fiat Auto Gm dovrebbe essere disposta ad accollarsi almeno 2 miliardi di debiti; che porterebbero a 31 (incluso Fidis) l'indebitamento totale. Sottraendo i debiti al totale delle attività, il capitale è di 5,2 miliardi: una stima vicina alla valutazione espressa dalla Borsa; e che rappresenta l'attuale aspettativa del valore della società per gli azionisti a risanamento compiuto. Dimostra come una soluzione di mercato (senza intervento dello Stato) non solo sia possibile, ma sia anche ritenuta probabile.
Perché lo scenario configurato dalla Borsa si realizzi, Fiat deve però aderire al piano di rientro dei debiti e tagliare rapidamente i costi (impossibile agire sui ricavi in tempi brevi) per evitare che le perdite dell'auto brucino la cassa, e non si arrivi a fine 2004 (dato che Gm non ha interesse ad anticipare i tempi, visto che la sua posizione negoziale può solo migliorare). Fiat dovrebbe rispettare con facilità il primo vincolo sui debiti: le operazioni già concluse (Italenergia, Fidis, Ferrari, Teksid) e quelle plausibili (Comau) sono sufficienti. Più difficile il taglio dei costi, che passa necessariamente per un forte ridimensionamento della capacità produttiva: non si possono produrre auto che nessuno vuole comprare. Fiat, quindi, ricorre al sistema degli ammortizzatori sociali.
ENTRA IN SCENA IL GOVERNO - Il governo promette di intervenire. Ma teme che la Fiat voglia scaricare i costi del risanamento sullo Stato. Costi aggravati da un sistema di ammortizzatori sociali (cassa integrazione straordinaria e trattamento di mobilità) iniquo, inefficiente e costoso: iniquo perché è accessibile solo alle grandi imprese; inefficiente perché non aiuta il disoccupato a trovare un nuovo lavoro, tenendolo per anni legato al posto precedente, anche se le prospettive di riaverlo sono minime; e costoso perché scarica sulla finanza pubblica anche l'onere degli errori del management. La polemica è fondata, in linea di principio. Ma francamente non è colpa di Fiat se i vari governi, di sinistra e di destra, per non toccare la previdenza - l'unico capitolo di spesa che potrebbe fornire le risorse finanziarie necessarie a farlo - non hanno mai riformato gli ammortizzatori sociali.
Come contropartita a eventuali aiuti, il governo ha ventilato una partecipazione diretta al processo di ristrutturazione, attraverso l'ingresso di una società pubblica nel capitale di Fiat Auto (sulla scorta di quanto stanno facendo Francia e Germania con France Telecom e Mobilcom), possibilmente insieme a Gm e alle banche; e a un impegno diretto degli azionisti. L'idea di un ingresso diretto dello Stato nel capitale della società automobilistica è inopportuna e inutile. Sostiene Fazio che «lo Stato non fa peccato» se interviene in una ristrutturazione. Forse si è dimenticato di aggiungere che l'azienda deve essere fallita: in questo caso, il mercato potrebbe solo proporre la liquidazione. Ma il gruppo Fiat non è fallito, tutt’altro, come dimostrano i numeri e la Borsa. Questa crisi può e deve trovare una soluzione di mercato: banche e azionisti che negoziano liberamente la divisione dell'onere del risanamento, e la spartizione dei benefici in caso di successo, visto che ci sono le risorse per farlo.
Nel piano predisposto dalle banche, queste si accollano una parte notevole del rischio di ristrutturazione: se Fiat, grazie al piano, riuscirà ad arrivare al 2005 senza perdere cassa, potrà disfarsi dell'auto, e gli azionisti si ritroveranno con un'azienda redditizia, sempre controllata dalle holding Ifil e Ifi degli Agnelli, senza aver investito una lira per risanarla (proprio mentre Ifil trova i soldi per lanciare un'Opa su Rinascente); se non ce la farà, il controllo del gruppo passerà dagli azionisti ai creditori, che si troverebbero tra le mani un'azienda in difficoltà, di poco valore, e pagata cara (ai prezzi di oggi, circa 12 euro contro gli 8,8 di Borsa). Una ristrutturazione, dunque, vantaggiosa per gli azionisti. Ma questi sono affari delle banche.
Il piano del governo costringerebbe le banche ad accollarsi ancora più rischio, facendo convertire subito i loro crediti verso il gruppo Fiat (garantiti da un capitale di 4,7 miliardi) in azioni di una società automobilistica che vale poco o nulla (e deve sopportare ancora perdite). Inoltre, lo Stato, con il suo intervento non apporterebbe né competenze specifiche nella valutazione dei rischi, né professionalità manageriali per il rilancio di società.
L'ULTIMO CAPITOLO - In tutto questo dibattito, e nell'urgenza di intervenire sull'auto, ci si è dimenticati che il declino del gruppo ha cause più profonde. Fiat è un conglomerato privo di logica industriale, a bassa redditività; con un'azionista di controllo (le holding Ifil e Ifi) che è a sua volta un conglomerato. Per quello che ci è dato di capire, il gruppo rimarrà tale anche dopo l'uscita dall'auto, indipendentemente dal piano di risanamento che verrà adottato.

di ALESSANDRO PENATI


(21/10/2002)