USCITE SUL TERRITORIO: cave e manufatti pagina iniziale

QUALE PIETRA?

La pietra di Castellavazzo, questo infatti è il suo nome, è di un colore rosato o rossiccio, spesse volte mandorlato.

E’ stata adoperata fin dai tempi remoti per la produzione di vari manufatti: scalini, stipiti, capitelli, davanzali, focolari, mascheroni, abbeveratoi, vasche per fontane…

 

Per la varietà delle tinte, per la pulitura a cui può essere sottoposta e per la lucidatura è considerata vero marmo, ottimo materiale da costruzione e ornamentale, resistente e durevole.

MASCHERONE

PANCHINA

SQUALO FOSSILE

LITOLOGIA: STUDIO DELLE ROCCE

Le rocce sulle quali sorge Castellavazzo si sono formate tra 180 e 50 milioni di anni fa da una infinità di microrganismi, di particelle, di fanghi e di resti di animali che si sono depositati sul fondo di un mare relativamente profondo (1000 m) e successivamente emerso.

In Castellavazzo sono presenti l’Ammonitico Rosso Superiore di colore grigio rosato, spesso circa 15 metri e il Biancone di cui gli ultimi 10 metri, di colore dal nocciola al rosso, vengono coltivati col il nome di Marmo o Pietra di Castellavazzo estratta dalla cava di Marsor, tra Castellavazzo e Olantreghe, l’ultima cava ancora attiva.

CAVA MARSOR

CAVA MARSOR

Noi abbiamo visitato questa cava e abbiamo visto i moderni metodi di estrazione.

Prima si toglie lo strato di terriccio, poi, con una macchina particolare, dotata di una lama diamantata, che scorre su rotaie, si taglia il blocco di pietra per tutta la sua lunghezza. Successivamente si inseriscono nella fessura dei cuscini di ferro (cuscino sbancatore) che, riempiti d’acqua ad altissima pressione, premono sul blocco fino a staccarlo in corrispondenza della venatura di fango sedimentato. In questo modo la cava non viene danneggiata come quando era scossa violentemente dallo scoppio delle mine: la pietra rimane meno sconnessa e meno sporca.

Abbiamo visto anche le vecchie cave abbandonate all’interno dell’abitato di Castellavazzo: le cave dei "GA", della "OLTA" e di "FORAN" dove tuttora si possono osservare i "cors" e il sistema di estrazione praticato in passato.

 

SEMPLICE ANALISI ECONOMICA           pagina iniziale

Se noi osserviamo una recente mappatura delle cave sul  territorio comunale ne  contiamo ben 14, di cui però 13 dismesse e solo una attiva.

Da questo possiamo capire come l’attività estrattiva abbia rappresentato, almeno fino a quando la pietra non è stata soppiantata dal cemento, un importante aspetto economico per queste zone.

Le famiglie infatti incrementavano le entrate sfruttando, all'inizio per
bisogni personali, piccole zone di cava su concessione del proprietario.
D'estate donne e anziani coltivavano i magri campi, accudivano il bestiame e si occupavano della fienagione, gli uomini andavano in cava e da questo duro lavoro si otteneva la pietra dalla quale sarebbero poi nati i manufatti che già conosciamo: "scalin, larin, pile".
Molti di noi possiedono ancora questi oggetti, conservati in ricordo di un nonno o di uno zio cavatore o scalpellino.
Appena il clima non permetteva più di lavorare in cava, gli uomini si trasferivano nel bosco o si occupavano in altre attività. Il tempo che si poteva dedicare alla pietra era poco, per questo alcuni lavoratori rimanevano in cava la sera fin quando c'era un po' di luce e fin quando, d'inverno, non faceva troppo freddo.
Dal senso artistico di qualche artigiano sono nati anche mascheroni, che ancora abbelliscono alcune case di Castellavazzo, capitelli, acquasantiere ed altre opere d'arte, tanto che il giornalista Guernieri scriveva nel 1867 sulla "Voce delle Alpi" chiedendo che a Castellavazzo venisse istituita una scuola d'arte e di disegno per potenziare le capacità dei giovani del luogo (copia del giornale è conservata presso la biblioteca civica di Belluno).



SCALPELLINI IN CAVA

La pietra di Castellavazzo era molto richiesta anche fuori dalla nostra zona; i cavatori aumentarono di numero; verso la metà del 1870 erano circa 120 e percepivano una paga di due o tre lire al giorno, non molto se si pensa che nel 1892 il prezzo di un chilo di sale era di circa 35 centesimi
e un "mastel" da latteria costava 1,50 lire (notizia ricavata da un libretto di resoconto del 1893).
Ai più bravi cavatori e scalpellini venivano commissionati lavori sia da Amministrazioni Comunali sia da Comunità Religiose.
Nascono quindi delle piccole compagnie di lavoratori che cercano di tutelare i propri interessi (da documenti autentici datati 1883 e 1910).
L'abilità di questi artigiani era tale che la loro opera era richiesta anche altrove, a volte anche all'estero: nasce il fenomeno dell'emigrazione anche per questa categoria.

Da Castellavazzo partono sia lastre per pavimentare ed abbellire portici (Belluno), gradinate di chiese (Duomo di Treviso) e abitazioni private, sia bravi artigiani che esportano all’estero, o in altre regioni italiane, la loro capacità e la loro esperienza.

Ad esempio il sig. Sacchet Pietro Soriz di Podenzoi prestò la sua opera a Messina nella ricostruzione della città, dopo il terremoto di inizio secolo.

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                                  CASE DI PIETRA
 

QUANTI "CORS"!                                                             pagina iniziale

I vecchi scalpellini chiamavano i singoli strati di roccia con il termine "cors".

A seconda della "bontà" del "cors", la pietra diventava:

  • scalini, stipiti, balconi e architravi (cors grigio 32 cm)
  • lastroni per pavimentazione (cors quattro laste 45 cm)
  • capitelli (cors delle colonne 30 cm)
  • stipiti, pilastrini, balaustre (cors mezzo piè 18 cm)
  • gronde di tetti, cordonate di aiuole (cors quattro strati 3cm)
  • caminetti, focolari, vasche di fontane (cors bianc e ros 21 cm)

Il "cors" detto "pel mort" era friabile, perciò non utilizzabile.

Il "cors" detto "cinque once",di soli 13 cm, non era divisibile.

                              I CORS

                           "BRENT E LAVATOI"

In Podenzoi, frazione di Castellavazzo, ci sono vari "brent e lavatoi" in pietra.

Fanno capolino tra piante rampicanti, erba e strati di foglie secche, in località diverse: Osche, La Lavara, Le Ole, Le Gonte…

Ai "brent" si abbeverava il bestiame, ai lavatoi si faceva il bucato.

Su uno di essi è scolpito l’anno 1880.

LE OLE             LAVARA
               OSCHE LE GONTE

LA FONTANA DALLE QUATTRO FACCE

Nella piazza di Castellavazzo, fa bella mostra di sé una fontana di pietra. E’ a base ottagonale, ornata da festoni in rilievo su tutti i lati. Una colonna centrale regge una grande coppa chiusa, attorno alla quale sono posizionate quattro teste scolpite, una diversa dall’altra. Dalla bocca di ognuna di esse, una cannella terminante con testa di drago, versa acqua nell’ampia vasca.

                            Su un lato della fontana è scolpita una data: 1820.

Dei festoni traforati, simili ad un ricamo, abbelliscono la parte rialzata tra una testa e l’altra. La parte superiore, sempre in pietra, chiude la coppa e termina con un pinnacolo .

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