ANTONIO DE MENNA |
Abbiamo accettato volentieri di presentare questo testo che parla dei nostri
luoghi e delle nostre tradizioni. Luglio 1983 |
IL SINDACO Ing. Sante Di Giuseppe |
IL PRESIDENTE DELLA PRO LOCO Pasquale Di Giuseppe |
A
mio nonno,
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INTRODUZIONE Avevo cinque anni e mezzo quando mio padre mi portò per la prima
volta sui nostri monti per curare, con l'altitudine, una persistente tosse
convulsa. |
Non avrei mai immaginato che ripercorrendo oggi quei luoghi, dopo circa vent'anni,
avrei trovato il deserto. Neanche una voce o l'abbaiare di un cane, né
il suono dei campanacci del gregge al pascolo, né il trillo dei rondoni
di montagna che nidificavano nelle volte delle grotte. Solo stazzi quasi tutti
diroccati e i resti dei giacigli, testimoni silenziosi di un passato pieno di
disagi e di gioie, di speranze e di attese, di silenzi spezzati solo dalla voce
della poiana volteggiante o dall'aquila reale. Solo il tenue ricordo di quel
lavoro paziente della mungitura e della preparazione del formaggio e della ricotta
che, all'occhio del profano e del bambino, assumeva la forma di un rito antico. |
Ripercorriamo
insieme le orme dei nostri pastori. Perché?
Siamo dentro una realtà socialmente lacerata che uccide i valori e sradica le identità culturali del nostro paese. Questo colpisce soprattutto i giovani che, privati dell'identità culturale e messi nell'impossibilità di ottenere una identità sociale, sono sempre più in balia di qualsiasi processo di disgregazione della società. Ripercorrere questo cammino significa, pertanto e prima di tutto, riappropriarsi della propria radice culturale: e l'identità culturale si ottiene dentro un popolo, un gruppo, dentro una storia, una storia che continua: quella della nostra terra. Una storia che bisogna imparare a leggere, perché nessuno ci ha insegnato a farlo, né la scuola, né l'università, né i giornali che leggiamo. Anche i nostri padri, purtroppo, stanno disimparando a raccontare. Chi pensa di costruire nella dimenticanza di una tradizione e di una identità culturale passata, ma presente dentro ciascuno di noi, costruisce sul vuoto delle ideologie e sarà sbattuto dal vento di ogni dottrina. Recuperiamo, quindi, la nostra tradizione per vivere con più intensità e impegno il presente.
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PASTORIZIA SULLA MAIELLA: BREVI CENI STORICI
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e poi alla creazione
della "Dogana della mena delle pecore in Puglia" che prevedeva tra
l'altro l'assegnazione di aree destinate a pascolo, appositamente espropriate.
Gli ovili e i pascoli venivano assegnati in base al numero dei capi posseduti,
e questo favorì certamente, per tantissimo tempo, i pastori abruzzesi
che, in quel periodo, erano i maggiori allevatori di ovini. "La conta delle pecore", ai fini dell'assegnazione dei pascoli e della riscossione del canone, veniva effettuata da funzionari del re in punti stabiliti lungo i tratturi. I tratturi - dalla formula latina iter tractorium - erano gli itinerari obbligati per raggiungere le Puglie; erano larghe circa centodieci metri con a fianco alcune zone destinate a pascolo ed al riposo del gregge. I tratturi erano salvaguardati da leggi speciali e rimasero in buono stato e attivi sino alla metà dell'ottocento, quando se ne iniziò la graduale sdemanializzazione. Esistevano, e ne restano tutt'oggi alcune tracce, due piccoli tratturi che interessavano il territorio di Palombaro. Uno partiva dalla Piana delle Noci e, scendendo lungo il Colle Morgia e il Colle Forche, giungeva sino alle prime case del paese. Qui, nello spiazzo dove prima esisteva il vecchio campo sportivo (Colle Preite), avvenivano la conta delle pecore e la riscossione della fida da parte dei funzionari governativi. Poi proseguiva lungo "le Fessate", i "gironi" Menna fino a raggiungere la valle dell'Aventino. L'altro partiva dalla Valle, scendeva lungo il fosso del Canale, giungeva allo spiazzo dell'Aracapanna, dove avvenivano la conta e la riscossione della fida, passava vicino alla contrada Vallebona, proseguiva verso la Cerretana e costeggiando il torrente Avello si immetteva nella valle dell'Aventino. Presumibilmente, poi, i due tratturi andavano a ricongiungersi in Molise, con quello principale Castel di Sangro-Lucera, uno dei quattro tratturi più importanti che collegavano le montagne d'Abruzzo con le Puglie. |
Sembra, comunque, che all'inizio del secolo questi due tratturi siano stati
usati per lo più dai pastori pugliesi, i quali usufruivano dei nostri
pascoli montani dalla fine di maggio ad ottobre. I nostri pastori riuscivano
a svernare in loco nelle diverse stalle, "governando" con fieno e
"fronda", dato l'esiguo numero dei capi posseduti pro-capite (100-150). Il fieno veniva raccolto durante l'estate con l'aiuto "a giornate" delle donne del vicinato dietro compenso, quasi sempre, in natura: formaggio, ricotta, lana, ecc. La "fronda", invece, era il derivato della potatura delle piante, per lo più querce e aceri, effettuata all'inizio di ottobre. Raccolta in fascine e messa a seccare al sole, costituiva un ottimo foraggio per i mesi invernali. Il resto è storia dei nostri giorni. |
Contornata
in azzurro la zona di pascolo dei pastori Palombaresi. |