Il Passaggio Dalla Scimmia All'Uomo

- Gli studi sull'evoluzionismo di Friedrich Engels Part. II-

Versione del 2003

Di: Giandomenico ponticelli (gponticelli@katamail.com)

 

 


 

2.0 - Breve premessa

Passeggiare per i vicoli di Napoli qualche volta può portare a qualche gradita sorpresa. Infatti tra le tante stradine che si incrociano senza un ordine preciso, si nascondono delle piccole librerie in cui molto spesso si possono comprare a poco prezzo dei libri molto interessanti e alcuni di questi, con il tempo, sono diventati la base dei miei studi. Questo è il caso di "The Emergence of Man" di John E. Pfeiffer, pubblicato in America nel 1969 e tradotto in italiano nel 1971 con il titolo "La nascita dell’uomo". Dalle pagine ingiallite di questo vecchio libro emerge l’analisi concreta dell’evoluzione dalle scimmie agli uomini.


"Nell'evoluzione la pressione è sempre presente: la vita non si immobilizza mai, ma tende continuamente a mutare, a sviluppare nuove forme adattate a nuove e più varie condizioni" (Pfeiffer, 1971).


2.1 - L'evoluzione delle scimmie


I principali artefici dell'evoluzione sono due: le mutazioni casuali e la selezione naturale. I geni contenuti nei cromosomi sono i responsabili della trasmissione delle caratteristiche particolari di ogni specie dai progenitori ai propri figli. In questo modo si salvaguardano le distinzioni tra le specie.
Questo meccanismo rende la realtà statica, "conservatrice", avversa ad ogni cambiamento. Ma questo meccanismo non è perfetto. Ogni tanto si inceppa. Nella trascrizione delle informazioni genetiche si verifica qualche errore di copiatura, questo può portare a variazioni insignificanti oppure costituire la base per dare inizio ad un'altra varietà della specie.

Questi errori sono chiamati mutazioni e sono assolutamente casuali. Su tutte le specie interviene l'azione della natura che elimina quelle meno adatte all'ambiete costituito. "Le possibilità di sopravvivere dipendono dall’avere i geni giusti al momento giusto" (ibidem). Una combinazione puramente casuale di fattori può determinare la sopravvivenza di un individuo o della sua specie. Per gli uomini, il discorso è diverso, non dipende soltanto dai suoi geni come negli altri animali. Alla trasmissione dei geni, nel tempo si è aggiunta anche la trasmissione della conoscenza accumulata da una generazione all'altra. "L’evoluzione culturale è giunta a predominare sull’evoluzione genetica...la tradizione cominciò a prevalere sulle forze genetiche divenendo la maggior determinante del comportamento umano"
(ibidem).

Questa particolarità prettamente umana ha reso gli uomini maggiormente immuni ai meccanismi di selezione della natura. Ma l'uomo non si è fermato a questo. Con lo sviluppo della tecnologia e del linguaggio è stato possibile modificare la natura stessa, anche se spesso in modo maldestro.
" L'evoluzione è un intricatissimo sistema di adattamenti e riadattamenti"
(ibidem): piuttosto che ridisegnare completamente le strutture che compongono un organismo, come vedremo più avanti, vi è una continua opera di adattamento alle condizioni che vanno determinandosi di volta in volta.

La storia dell'evoluzione dell'uomo così come quella degli altri mammiferi, incomincia con il declino dei grandi rettili che avevano dominato ogni angolo della terra fino a quel momento. L'arma segreta di questi animali si dimostrò essere il sistema circolatorio sanguigno che riusciva a tenere la temperatura del corpo più stabile, in modo da farli sopravvivere e farli muovere liberamente entro una gamma di temperature molto più ampia di quella dei rettili, sia di giorno che di notte.
I cambiamenti climatici, il clima più freddo e arido, si combinarono con l'aumento delle specie vegetali, degli insetti e di funghi patogeni diffusori di malattie. Molto probabilmente queste furono le cause della denatalità nei grandi rettili. Con la scomparsa dei dinosauri, i mammiferi ebbero la possibilità di diffondersi ovunque e soprattutto aumentò la loro varietà. Gli antenati delle proscimmie ebbero come competitori i piccoli roditori. Questi si fecero un'accanita concorrenza sia sugli alberi che sul terreno. Alcune specie di proscimmie si adattarono a vivere al suolo dove in un primo momento proliferarono ma alla fine si estinsero. Quelle che scelsero la vita sugli alberi ebbero maggiore fortuna ma non riuscendo ad eliminare i loro diretti concorrenti, furono costretti a dividerne lo spazio.

Con il diffondersi delle foreste anche le piccole proscimmie si diffusero ovunque. L'uomo è nato nelle foreste e quindi ogni componente del suo organismo si è formato per rispondere alle esigenze della vita in questi luoghi. Più precisamente "... le loro strutture di base, il cervello, gli organi di senso, gli arti e gli organi riproduttivi si svilupparono nelle foreste. Il corso degli eventi successivi rese necessarie in genere modifiche e rielaborazioni di quelle strutture , piuttosto che strutture completamente nuove"
(ibidem).

Rispetto ai volatili, i mammiferi che scelsero la vita tra gli alberi o sulla terra svilupparono corpi più grandi e cervelli più complessi. Questo perché a differenza degli uccelli che insieme ad una corporatura piccola e molto leggera associarono un comportamento routinario, le specie arboricole potevano evolversi con cervelli abbastanza grandi da permettere loro una notevole attività di apprendimento ed inoltre le dimensioni erano tali da contenere i tessuti celebrali in grado di generare uno sviluppato potere visivo e una buona coordinazione sensoriale e muscolare. La vita sugli alberi, con i suoi cambiamenti di condizione, bruschi ed imprevedibili, generò "una nuova e permanente insicurezza o incertezza"
(ibidem). In questo modo si sviluppò una notevole capacità di decisione e di apprendimento. I secondi necessari per intraprendere una scelta, favorirono gli individui in grado di prendere decisioni rapide. La conseguenza era che, quelli che avevano meno incidenti, vivevano più a lungo.

L'azione combinata delle mutazioni casuali e della selezione naturale, determinò un graduale adattamento delle prime proscimmie al loro habitat. Secondo Pfeiffer tale cambiamento fu dovuto ad una serie di "micromutazioni successive", avutesi nel corso di numerose generazioni
(ibidem). Esse svilupparono nelle articolazioni degli arti, un meccanismo prensile in grado di aumentare l'agilità di locomozione tra i rami. Agli artigli si sostituirono le unghie appiattite, le dita si allungarono ed il pollice divenne opponibile per una presa anulare attorno ai rami. Per saltare da un ramo all'atro, era necessario avere una vista migliore: gli occhi diventarono più grandi e si spostarono in avanti, al centro della faccia, conseguentemente anche il muso si accorciò. Con queste modifiche, le proscimmie potevano vedere meglio, anche di notte, e soprattutto, molto più lontano. Anche il cervello subì dei cambiamenti, vi fu una notevole espansione della membrana esterna del cervello, la corteccia celebrale, che aveva cominciato a svilupparsi già con i primi mammiferi. Quest'organo è il responsabile dell'analisi dei messaggi inviati dagli organi dei sensi e invia gli impulsi che regolano il comportamento del sistema muscolare. Le proscimmie avevano un cervello molto piccolo ma la corteccia cerebrale si era espansa su tutta la sua superficie. Due zone in particolare si erano sviluppate: una più antica, situata verso la fronte, che analizzava gli impulsi olfattivi. Un'altra parte del cervello sviluppata più di recente, si trovava sul retro del cervello e coordinava le informazioni visive (ibidem).

Fu così che: "il miglioramento della presa precedette il miglioramento del pensiero"
, prima si svilupparono i muscoli e i sensi, come la vista e l’olfatto, successivamente si sviluppano i nervi al loro servizio (ibidem).
Circa 35 milioni di anni fa' i cercopitechi e le scimmie antropodi riuscirono ad avere il sopravvento sulle proscimmie. In 5 milioni di anni le scimmie si erano gradualmente diffuse in tutte le foreste, sviluppando le basi per una nuova visione del mondo.

"Ogni mutamento rientrava in un complesso di mutamenti correlati, in un modello evolutivo in via di formazione..." (ibidem). Mentre l'olfatto perdette parte della sua importanza si svilupparono gli altri sensi. Anche in questo caso vi furono una serie di cambiamenti importanti: il nervo olfattivo, che porta i messaggi dal naso al cervello, diminuì di diametro; il muso si accorciò ulteriormente e i baffi tattili andarono perduti; nelle mani le cellule e le fibre nervose aumentarono sviluppando il tatto e le dita diventarono più agili in modo da potersi procurare più facilmente il cibo o raccogliere più facilmente gli oggetti. Le scimmie incominciarono ad utilizzare gli oggetti prima degli uomini (ibidem). Questo cambiamento fu possibile soltanto grazie allo sviluppo della visione frontale, indispensabile per avere una percezione tridimensionale della realtà. Diversamente, le specie che hanno gli occhi posizionati ai lati della testa, percepiscono una realtà piatta, bidimensionale. In tale condizione è difficile individuare gli oggetti inerti sullo sfondo o che si muovono frontalmente verso l'osservatore.

Anche la visione a colori venne ereditata dalle scimmie antropoidi e i cercopitechi. I loro organi visivi riuscivano a fornire una percezione della realtà abbastanza completa. Tutte le attività diventavano più semplici: la ricerca del cibo, in primo luogo; la difesa dei predatori; la locomozione tra gli alberi. Uno stimolo forte ebbe anche la memoria, visto che è molto più semplice distinguere gli oggetti in base al colore e non soltanto in base alla forma. Il cervello si sviluppò in seguito a questi cambiamenti: la corteccia subì una forte espansione, acquistando dimensioni doppie o forse triple rispetto a quelle originali. Le nuove aree si sovrapposero ai vecchi centri celebrali dell'olfatto, mentre altre aree subirono delle modifiche. Una sottile striscia della corteccia celebrale, posta sul lato destro, si sviluppò per controllare le dita della mano sinistra ed una striscia identica sul lato sinistro per controllare le dita dell'altra mano (ibidem).

Come negli altri casi "il grado di differenziazione sulla mappa della corteccia dipende dallo stadio evolutivo raggiunto dalla specie"
(ibidem). Mentre le proscimmie muovevano le dita tutte insieme, le scimmie, trenta milioni di anni fà, svilupparono una maggiore articolazione della mano, ed in più, potevano utilizzare il pollice e l'indice come un pinza per raccogliere i piccoli insetti o i semi. La loro mappa corticale venne modificata sviluppando cinque diverse aree per ogni dito. La specializzazione delle aree della corteccia celebrale aumentò fortemente visto che doveva controllare singolarmente il movimento di molte parti del corpo come braccia, polsi, piedi e dita annesse, ecc. Anche la pelle si arricchiva di un numero sempre maggiore di cellule nervose destinate a registrare sempre più sensazioni tattili. Anche il cervelletto, collocato alla base del cervello nella parte posteriore del cranio, subì delle modifiche. Questo organo ormai coordinava l'equilibrio e le tensioni di più di 150 coppie di muscoli antagonisti (ibidem).

Il cervello uscì fortemente specializzato per servire alle esigenze di una nuova specie di animali. Si arricchì di numerose strutture utili per coordinare con estrema rapidità il movimento dei muscoli impegnati in complesse manovre legate alla locomozione sugli alberi. Queste strutture normalmente possono ricevere ordini dalla corteccia celebrale ma possono essere capaci anche di operazioni automatiche. Fu"uno speciale e altamente dinamico adattamento alle foreste"
(ibidem).
Le scimmie antropomorfe svilupparono un adattamento particolare al mondo delle foreste, ed un tipo diverso di organizzazione biologica. La differenza più marcata dalle altre scimmie consiste nell'aver elaborato un modo diverso di usare i rami per procurarsi il cibo, che solitamente, pendono all'estremità dei rami. La struttura degli arti è tale da permettergli di rimanere appesi ai rami, in modo da potere raggiungerne l'estremità per raccogliere il cibo. Distribuendo il suo peso su tre rami, utilizzando due piedi e una mano, riesce ad avere una maggiore stabilità. Il più abile acrobata è il gibbone, che ha ridotto fortemente la sua taglia per aumentare la sua agilità, anche rispetto a molti cercopitechi
(ibidem).

Non tutte le scimmie antropomorfe hanno scelto questa strada. Alcune specie sono arrivate ad un compromesso evolutivo fra il peso del corpo e l'abilità acrobatica Uno dei vantaggi di avere una corporatura più robusta è di scoraggiare gli aggressori: nessun predatore attacca il gorilla. Ma vi è un'altra spiegazione. L'aumento di statura fu un meccanismo di difesa verso le altre specie di primati che si stavano diffondendo più rapidamente. Fu quindi una conseguenza della lotta per l'autodifesa contro gli altri primati. Una prova importante a suffragio di questa tesi è che in Asia dove i cercopitechi sono poco numerosi gli antropodi conservano una corporatura minuta.
I grandi primati godevano di un maggiore grado di libertà, per procurarsi il cibo si muovevano in spazi più vasti e passavano più tempo sul terreno, per procurarsi il sostentamento necessario potevano percorrere anche 40 - 50 kmq
(ibidem).

In conseguenza di questa nuova gamma di esperienze si svilupparono nuove fibre e nuovi gangli nervosi, come espressione celebrale di nuove possibilità. Si svilupparono soprattutto la corteccia cervicale ed il sistema attraverso i quali passano tutti gli impulsi nervosi degli organi di senso verso i muscoli.
Nelle proscimmie la corteccia era formata da uno strato piatto e grigio, steso quasi completamente sulla superficie del cervello. Negli antropodi la corteccia si riempie di solchi. Questo perché la crescente necessità di tessuti celebrali, dovuta ad una maggiore varietà di movimenti e crescente coordinazione fra l'occhio e la mano, entrava in conflitto con la possibilità di aumentare ulteriormente il volume del cranio. Si formarono lunghi solchi che penetrarono nella materia bianca sottostante. Questo processo è presente anche nei cercopitechi, ma con una differenza: mentre per gli antropodi il 25 - 30 % della corteccia si trova nei solchi, nei cercopitechi è soltanto il 7 %. Vi è un ultima osservazione da fare, insieme alle altre capacità si sviluppa una caratteristica molto umana, la capacità di inibizione, ossia di non fare le cose. Caratteristica che è alla base del ragionamento e dell'apprendimento
(ibidem).

 

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Bibliografia

 

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