LE CRESCIOLE

 

"Stasera facciamo le cresciole": solo a

sentirla, questa frase ci riempiva di allegria,

se poi pensavamo alla bontà del dolce, ci

veniva anche l'acquolina in bocca.

Di solito era la nonna a decidere quando 

fare le cresciole,  una sorta di frittelle

tagliate sul bordo di un piatto , cotte 

in strutto bollente ed  abbondantemente

zuccherate, e quasi sempre nel periodo

di carnevale, quando più facilmente si trovava 

lo strutto per la cottura.

Già dal pomeriggio si pensava a quello

che avremmo fatto di  lì a poche ore,

perchè le cresciole erano un rito per tutta 

la famiglia: si iniziava subito dopo cena,

e la prima cosa da fare, che occupava

soprattutto il tempo della nonna o delle

mamme, era la pasta, fatta con farina e 

uova e tirata il più sottile possibile, poi 

si provvedeva ad accendere un gran fuoco

nel camino, utilizzando grossi ciocchi di legna 

in modo che la brace durasse per 

lungo tempo, quindi si passava alla parte

più bella del lavoro, il taglio delle cresciole

fatto con un piatto sul grande cerchio 

della sfoglia.

Era come un grosso puzzle al contrario,

era cioè da disfare e non da fare, e la cosa

più importante era che si doveva  far 

combaciare il più perfettamente possibile 

un taglio all'altro per poter far sì che il

numero di frittelle  fosse maggiore.

Ogni tanto  ci scappava la bisticciata 

tra me e mio cugino per il diritto d'uso 

della rotella con cui tagliare la sfoglia, poi 

dopo aver risolto il divario, grazie anche

all'enorme pazienza  della nonna,

si passava alla cottura.

Lo strutto che nel frattempo si era sciolto 

nella grande padella di ferro col manico,

sfrigolava allegramente sul fuoco, e si  

poteva passare quindi ad immergere una 

alla volta le cresciole in quel liquido; 

era veramente delizioso vedere la pasta 

che a contatto con lo strutto si gonfiava 

di bolle e si allargava considerevolmente, 

fino ad occupare tutto il diametro della 

padella, la nonna si preoccupava di bucare 

le bolle troppo grosse, e schiacciava 

con la forchetta le zone di frittella che 

non erano ancora coperte di strutto, in modo

che la cottura fosse più uniforme; 

poi quando il tutto era diventato dorato, 

sollevava  la frittella per il bordo con una 

forchetta, e scolatala bene ce la consegnava  

per l’inzuccherata.

" State attenti che scotta" era la 

raccomandazione, e continuava

" non mettete troppo zucchero, che poi 

vi fanno male", ma era fuori di dubbio che

la frittella che capitava nelle mie mani 

veniva abbondantemente  spolverata 

di granelli  di zucchero tanto da farla 

diventare quasi bianca: la mia golosità 

era nota fino d'allora.

Una alla volta le cresciole venivano

accatastate una sull'altra fino a costruire

una pila alta quindici o venti centimetri,

poi si passava a farne un'altra , per impedire

che il troppo peso rompesse quelle

che si trovavano sotto al mucchio; 

nella maggior parte dei casi comunque

non avevano il tempo di rompersi, perchè 

in men che non si dica le avevamo 

mangiate tutte.

Casa nostra era proverbialmente aperta 

a tutti, e, non si sa perchè, ogni volta 

che si facevano le cresciole, quella sera

era un gran viavai di gente che , guarda caso,

"capitava" alla veglia; portavano in regalo 

dei bottiglioni di vino, anche per il  fatto

che gli sarebbero state offerte sicuramente 

le cresciole , ma io, che sono sempre

stato astemio, preferivo di gran lunga che 

mi lasciassero le cresciole, al posto di quelle   

bottiglie che mio nonno apprezzava

così di buon grado.

Purtroppo riuscivo raramente , grazie 

alla complicità della nonna, a nascondere 

un piatto di dolce prima che le orde di

cannibali finissero tutto, così per qualche

giorno avevo di che far lavorare la pancia,

e mentre sgranocchiavo quelle croccanti 

e dolcissime leccornie pensavo alla

prossima volta che le avremmo rifatte: 

 "quest'anno il carnevale è molto lungo...che bello!"