LE PATATE MIRACOLOSE  

L’orto della nonna Rosa era sempre stato

una miniera di piccole curiosità, 

lo coccolava, lo zappettava, 

toglieva le erbacce con regolarità 

e soprattutto nelle calde giornate d’estate 

“careggiava” (come diceva  lei) l’acqua 

con due secchi grossi uno a destra e l’altro 

a sinistra percorrendo il piccolo sentiero 

che conduceva al fiume.

L’orto era un piccolo appezzamento di terreno 

lungo una decina di metri e largo poco più 

di sei completamente recintato 

con pezzature di rete varia sostenute da 

paletti di acacia piantati  a distanze irregolari.

La funzione della rete non era quella 

che si potrebbe credere: proteggere le verdure 

dalle galline che razzolavano felici 

nel restante terreno che circondava l’orto,

ma tenere lontani gli animali a “due gambe” 

che avrebbero potuto creare problemi ben più seri.

Una piccola “sportella” o cancello 

per chi non conosce il termine, dava accesso 

al rettangolo regno della Rosa, appena entrati 

c’erano sulla sinistra i cespugli delle 

erbe aromatiche, rosmarino, salvia, “erbetta” 

sedano ecc. ecc., mentre a destra troneggiava 

una pianta di rosa profumatissima e 

di un bel colore violetto che immancabilmente 

tutti gli anni generava lunghi rami che 

sbattevano sulla testa di chi entrava nell’orto.

Si procedeva poi camminando al centro 

del terreno su un percorso largo non più 

di trenta centimetri, per non sottrarre spazio 

alle piante coltivate disposte ordinatamente 

a destra e sinistra fino al limitare della 

rete di recinzione.

Pomodori e fagiolini, piselli e carote, 

cavoli e cipolla, aglio e fagioli borlotti, 

fragole e zucchine, tutto poteva essere sistemato 

con cura dentro l’orto, ma le patate no!

Le patate stavano sempre da un’altra parte, 

e cioè sotto al pergolato ed in mezzo a due 

filari di vite, e questo per il semplice fatto 

che le piante messe a dimora erano talmente tante, 

che se sistemate nell’orto avrebbero occupato 

tutto lo spazio disponibile.

Un anno la nonna decise di fare una super 

coltivazione, aveva trovato delle patate 

speciali, che le aveva consigliato non so chi, 

che avrebbero dato una raccolto super abbondante. 

La cosa non ci dispiaceva, anche perché eravamo 

tutti ghiotti del buon tubero, fritta o lessata, 

in umido o arrosto la patata era la nostra 

verdura preferita.

Ma queste avevano anche un’altra caratteristica, 

le foglie non potevano essere attaccate dalla 

pestifera dorifora, quel malefico insetto 

che sempre si indaffarata per seccare le piante che 

la nonna coltivava con amore.

Non penso che fossero patate OGM, 

i tempi non erano ancora maturi per queste cose, 

fatto sta comunque che noi, convinti dalla 

veemenza con cui la Rosa ci presentò il prodigioso 

vegetale, le credemmo ciecamente ed aspettammo 

con impazienza che il quintale di patate seminate 

desse i suoi frutti.

Naturalmente l’estate quell’anno fu molto asciutta, 

per cui i viaggi avanti ed indietro dal fiume 

con i secchi, aumentarono a dismisura, e noi tre nipoti 

facevamo i turni per mantenere il terreno 

sempre ben bagnato e fresco.

Non so se per una coincidenza o perché doveva 

succedere, ma le dorifore non si presentarono 

così numerose come gli anni precedenti, e la nonna 

tutta inorgoglita alla vista di quel fogliame

rigoglioso, ogni volta che scaricavamo 

un secchio d’acqua ci diceva fino allo stremo-

“Vist burdéi !? Sa v’avév dett ?”

Arrivò finalmente il grande giorno del 

raccolto, e tutti ci apprestammo con zappe 

e vanghe per portare alla luce i tuberi 

e riporli in soffitta per il resto dell’anno.

Cominciò la nonna dalla prima buca 

della fila e dopo una energica zappata, 

cercò in mezzo alle zolle per ripulire 

le patate dalla terra, ma trovò soltanto 

una piccola patatina di tre centimetri nemmeno.

“ Questa en ha fatt gnènt! “

Passammo quindi alle altre, una alla volta, 

e sempre cercavamo con pazienza e speranza, 

ma da ogni buca uscivano solamente una o 

due patate al massimo e tra l’altro molto 

ma molto piccole.

Soltanto una pianta ne produsse quattro, 

e questo riaccese le speranze della nonna, 

che però naufragarono miseramente contro 

l’orribile scoglio della spettro della carestia.

Alla fine della storia si contavano 

soltanto un centinaio scarso di tuberi, 

che riempivano per metà una delle sette balle 

di juta che la nonna aveva intenzione 

di colmare: peso 30 chilogrammi!

A questo punto se tutti fossimo stati zitti, 

la vicenda sarebbe potuto essere stata 

sopportabile da parte dell’orgoglio della 

nonna Rosa, ma lo zio Carlo, se ne uscì 

con una battuta da filosofo decisamente 

fuori luogo, scatenando le ire della madre 

che andò su tutte le furie imprecando e urlando 

tanto da perdere la dentiera.

D'altronde anche lo zio non aveva tutti i torti,

si era limitato infatti a dire alla nonna:

“ O mà, en era mèi che ch’el quintél 

de patét le magnévne?”