IL PRETE NEL LETTO

 

Gli inverni di inizio novecento

rispettavano appieno le caratteristiche

della stagione : le temperature erano

spesso basse ,la gelida aria di

tramontana soffiava con notevole forza

dal mare e molto frequentemente già ai

primi giorni di dicembre la terra si

ricopriva di neve, una spessa coltre

bianca che in certi anni si conservava

per due o tre mesi.

I primi fiocchi cominciavano a posarsi

su una terra brulla e spoglia, dove

l'erba seccata dalle frequenti gelate

aveva assunto un colore marrone, e

lentamente, il cielo ed il mondo intorno

assumevano la stessa tonalità di

colore; la neve  era la gioia dei

bambini, ma anche la disperazione dei

genitori: essa  rappresentava certo

l'inizio di un periodo di riposo dopo

il lungo lavoro dei campi ma era anche

fonte di preoccupazioni in quanto

impediva i movimenti ed addirittura

isolava per parecchi giorni i casolari

sperduti nelle campagne.

Allora le strade non erano asfaltate e

nella peggiore delle ipotesi nemmeno

imbrecciate , alcune avevano l'aspetto

di veri e propri sentieri, pieni di

buche , pozze d'acqua , e il servizio

spartineve municipale era ancora

di là da venire.

Spostarsi da una casa colonica

all'altra costituiva quindi un serio

problema, soprattutto nel periodo di

carnevale, quando si organizzavano le

veglie nelle enormi cucine dei

cascinali; i momenti di incontro e di

allegria  non erano frequenti, quindi

una nevicata inopportuna e soprattutto

abbondante rischiava di rovinare quei

pochi momenti di  spensieratezza che

anche la famiglia Polidori si

concedeva.

Dalle finestre  si seguiva con una

certa apprensione il crescere del manto

nevoso, ogni ora che passava voleva

dire più neve da spalare per poter

uscire di casa e fare la "rotta", il

sentiero cioè che permetteva di andare

da una casa all'altra; in certi inverni

la strada era totalmente  scavata tra

alte muraglie di neve , e, cosa ancor

pi, fastidiosa, era il fatto che ad ogni

nevicata occorreva aprirla di nuovo. 

Durante le bufere più violente non era

possibile scavare  il sentiero, allora

si rimaneva tutti in casa , un poco a

malincuore, e raccolti davanti al

grande camino si discuteva o ci si

impegnava in alcune piccole faccende,

come intrecciare canestri o rammendare

gli abiti.

La sera era dedicata alle favole per i

bambini, e queste  avevano sempre un

lieto fine, quasi a voler riscattare la

povertà che regnava sovrana nelle

campagne del tempo; ecco quindi

comparire per magia davanti alla fiamma

scoppiettante le immagini di Pollicino

che si perdeva nel bosco ma che

ritrovava la strada con delle briciole

di pane, oppure  maghi e fate che

premiavano i bimbi buoni e castigavano

i cattivi per punirli del fatto di aver

disobbedito i genitori.

La cucina era l'unico luogo veramente

caldo della casa, non esistevano

caldaie e termosifoni, e nemmeno

stufette elettriche per riscaldare le

stanze da letto, per questo  fu

escogitato un modo economico e

soprattutto salutare di riscaldare il

letto: "il prete"

Intendiamoci, non era il curato della

parrocchia che si prendeva la briga di

scaldare tutti i letti della zona, ma

un oggetto in legno , a forma di doppio

arco, che serviva a tenere sollevate le

coperte, ed al centro del quale si

metteva "la suora", un recipiente in

terracotta  dentro al quale era

conservata della brace accuratamente

coperta di cenere in modo che non

facesse fumo e non si spegnesse troppo

presto.  

Sono certo che  la scelta dei nomi di quei

due utilissimi oggetti, si stata sicuramente

dettata da un  pizzico di pungente ironia.

In alcune famiglie si usava invece lo

scaldaletto, un altro  recipiente in

lamiera  con un lungo manico  anch'esso

pieno di brace , ma con la sola

differenza che era usato subito prima

di coricarsi; il prete invece rimaneva

a letto per parecchio tempo, e molte

volte i bambini solevano addormentarsi

senza toglierlo, perchè il tepore che

emanava era veramente gradevole.

Chi possedeva un solo prete lo usava a

turno: prima si scaldava il letto dei

più piccoli che per primi andavano a

dormire , poi dei giovani ed infine

quello dei genitori che lasciavano la

cucina dopo che tutti gli altri si

erano coricati.

Tra le altre funzioni di questo strano

oggetto, c'era anche quella di favorire

la lievitazione delle cresce e del

pane, molte volte infatti, soprattutto

in inverno , il freddo non permetteva  

la normale panificazione e

rallentava la crescita dei filoni;

quindi si provvedeva a metterli sotto

le coperte dove il calore accorciava

di alcune ore il processo di

lievitazione.

A volte si commettevano errori

veramente grossolani nel mettere il

prete nel letto, come quello di porre

poca cenere sotto la brace ardente, il

troppo calore infatti poteva incrinare

il vaso oppure in certi casi anche

romperlo, con conseguente rovesciamento

dei tizzoni sulle lenzuola.

Così quando si entrava in camera si

aveva la spiacevole sorpresa di

trovarla invasa dal fumo delle lenzuola

bruciate e dalla puzza della lana

incenerita che riempiva il sottostante

materasso.

L'uso del prete rimase frequente anche

negli anni sessanta: ricordo ancora  la

piacevole sensazione di potersi mettere

a letto tra le coperte caldissime,

quando fuori imperversava il vento o la

pioggia: ciò dava un forte senso di

protezione, anche se la camera era

completamente fredda  ed il respiro

trasformandosi in nuvoletta si ghiacciava sui

vetri della finestra.