" I CHIODI DELL'OLIMPIA "

 

L'ultima domenica di agosto è sempre

stata una giornata particolare per la

famiglia Polidori, un'occasione per

invitare i parenti più prossimi a

festeggiare insieme il patrono della

parrocchia.

I preparativi della festa iniziavano

molti giorni prima, quando le donne,

cui spettava il compito di

riempire la pancia ai commensali,  

iniziavano il rito di preparazione

dei cappelletti da fare appunto

in brodo in queste particolari occasioni.

Si riunivano quindi attorno

 ad un tavolo, e mentre una di

loro preparava le sfoglie circolari,

tirate a mano col matterello,

un'altra si occupava di tagliarle a

quadratini, mentre il resto della

compagnia deponeva il ripieno sui pezzi

di pasta e li arrotolava nella tipica

forma di cappello.

Tra le varie cuoche si stabiliva una

specie di gara su chi riusciva a farne

in maggior numero, oppure chi li

arrotolava meglio e con più grazia. 

Mia nonna era quella che faceva i

"sombreri", dopo aver mangiato tre o

quattro dei suoi cappelletti ci si

sentiva completamente sazi, ma lei si

scusava col fatto della vista: "sapete che

non ci vedo bene", ci diceva.

I cappelletti venivano poi messi ad

asciugare un giorno su tavole di legno,

che quasi sempre erano quelle su cui si

tendeva la sfoglia, coperti da una

tovaglia bianca in modo da proteggerli

dall'assalto di qualche mosca

buongustaia. La mattina della festa poi

si provvedeva a preparare il brodo, a

base di gallina, possibilmente vecchia

e grassa in quanto il sapore sarebbe

stato certamente maggiore.

Mentre sul fuoco bolliva lentamente la

gallina contornata di aromi e verdure,

i parenti arrivavano alla spicciolata

a gruppi di tre o quattro e solo in

certi casi i gruppi familiari si

presentavano assieme, forse per non

spaventare la nonna e le altre, visto

                               l'alto numero di componenti la famiglia                              

d'origine.

Si preparavano sempre grandi tavolate,

a volte anche in due stanze , se gli

invitati erano parecchi,  noi bambini

eravamo sempre messi ad un unico

tavolo, per non infastidire gli adulti

nei loro discorsi tra un cappelletto ed

un bicchiere di vino. Il pranzo era il

culmine della giornata, il momento in

cui si valutava l'ospitalità               

del padrone e della padrona di casa, il

momento insomma che riassumeva gli

sforzi fatti per la preparazione della

festa.

Prima del pranzo però occorreva recarsi

a messa, insieme a tutti gli altri, a

riempirsi lo spirito di buoni propositi

in attesa di riempire il corpo di buone

vivande; ed a messa ci si andava

possibilmente con un vestito nuovo,

oppure con quello delle grandi

occasioni: per noi piccoli era di certo

sempre quello della prima comunione o della

cresima se eravamo un poco più

grandicelli.

Ci si incamminava quindi a piedi

per la strada, dato che il traffico era

allora molto scarso, le poche auto che

passavano infatti suscitavano sempre

ammirazione in chi le guardava ed un

pizzico d'invidia per non poterci

salire sopra; dopo un chilometro si

arrivava alla Celletta, la piccola

chiesa della parrocchia per l'occasione

stracolma di gente festante e

multicolore.

Davanti all'ingresso, in posizione

strategica," il banco dell'Olimpia" una

vecchietta il cui lavoro è sempre stato

quello di vendere piccoli  giocattoli e

soprattutto i famosissimi "chiodi".

Se c'è un dolce che è in grado di

accendere la mia fantasia di bambino,

questo è rappresentato proprio dai chiodi,

quei piccoli coni bianchi, durissimi e dolcissimi 

dal leggero sapore di anice che potevi

mangiare solamente durante le feste

parrocchiali della zona.

L'Olimpia infatti risiedeva nel capoluogo e la sua

vecchia lambretta non le permetteva di

recarsi a vendere il suo prezioso

segreto culinario in paesi troppo

distanti; e proprio per questa ragione

ritengo ancora oggi, con un pizzico di

orgoglio, di essere stato molto

fortunato ad appartenere a quella

schiera di persone che hanno potuto

assaggiare i chiodi dell'Olimpia.

Dopo i saluti ed i convenevoli davanti

alla chiesa, dove era possibile

incontrare persone che normalmente non

si vedevano molto spesso se non in quella

specifica occasione, si entrava ad

assistere alla funzione, cercando di

osservare un religioso silenzio, che il

più delle volte non era religioso per niente:

mescolato al brusio dei bambini

c'era infatti sempre il vociare continuo

degli adulti che non smettevano si salutarsi

ed abbracciarsi neanche per l'elevazione

del Santissimo.