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Le mie mani

Di: Margherita Daraio

Margherita Daraio è venuta alla luce il 26 di febbraio del 1986, ed essendo giovanissima è solita farsi pervadere da quei momenti d’effimera ispirazione, in luoghi verdeggianti, dotati di miriadi di sfaccettature, ma sempre caratterizzati da un minimo comune denominatore efficace: la natura e le sue manifestazioni.    
Attualmente milita nelle file di una quarta del liceo scientifico indirizzo informativo e ha intenzione di intraprendere una carriera giornalistica e letteraria, probabilmente recandosi all'ateneo fiorentino trattante tale materia.
I suoi interessi sono principalmente correlati con l'arte in ogni sua manifestazione, dalla musica (suona in un gruppo, la chitarra elettrica), alla letteratura, alla pittura, principalmente si dedica a riproduzioni impressioniste e carboncini di Caravaggio.
E' fermamente convinta che internet sia fondamentale per attuare un processo di «libera espressione», la quale ancora oggi non riesce a manifestarsi interamente per la presenza d’altri mezzi d’informazione.
E' stata selezionata per commentare liberamente la poesia «Ti do la buonanotte» del defunto artista palermitano Mario Giuseppe Restivo tratta dalla raccolta: «Ho incontrato un amico».
Oggi cercherò di valutare i gradi di evoluzione della lirica «Le mie mani», le mani che dicono tutto: parlano, suonano, mimano mettendo in luce quello che la persona ha schiuso nel cerchio «privato» dell’Io, dove nessuno potrà mai entrare e che le mani lo palesano. Le mani attive, o inattive, sono ancora un linguaggio imperfetto. Ma dicono. L'azione dell'uomo è discorsiva, laboriosa come la sua diligenza. Come l'una non conosce la meravigliosa immediatezza dell'intuizione, così l'altra non procede comunemente nel miracoloso lampo dell'istante: questa è anche una differenza essenziale fra la veglia e il sogno. Inoltre, come l'intelligenza, l'azione ha una storia. L'uomo conserva le tappe in sé come un museo vivente: e secondo l'età, i momenti e le disposizioni del temperamento, la sua azione segue le strade evolute o i sentieri primitivi, variando in qualità e in efficacia.
Il predominio dell'una o dell'altra mano formano un itinerario che dipende strettamente dal comportamento generale e contribuisce a una tipologia dell'azione.
«Le mie mani sono fluide, enigmatiche, gelide…
Le mie mani sono sincere, ma insicure e dinamiche…


Le mie mani sono come rugginose muffe fungine».
La paura è un bell'esempio nello scompiglio di queste aggettivazioni, che si rincorrono come l’acqua di un torrentello sui ciottoli. Si abbattono sopra i versi, penalizzando la lirica, riafferrando a casaccio un capro espiatorio per i suoi terrori, giustificati o immaginari, e ne scarica l’esplosione nei versi. L'emozione inattiva è portata a queste risoluzioni primarie. Parimenti quella attiva, ogni volta che si palesa è frenata dal di fuori, e soprattutto quando la secondarietà non trattiene il suo slancio. Queste manifestazioni delle mani ricordano l'agitazione cui è preso il cuore quando ha fame d’amore, e quando non riesce a risolvere un problema pratico nel quale sono vivamente interessate le sue necessità. Sembra che l'organismo sovraeccitato disperda allora un'orgia di movimenti per giocare su questa prodigalità l'incerta probabilità che qualcuno risponda al loro richiamo.
«Le mie mani non vogliono abbandonarsi a qualcosa di non intenzionale.
Le mie mani si dimenano e guizzano e somministrano iniezioni di follia».
In questo stadio, la reazione è a dominante e quindi totalmente inadatta. In un secondo stadio, lo stadio sensorio-motore, l'impressione tende a ricondurre su se stessa il gesto che provoca, a diversificarlo e a specializzarlo secondo le variazioni e le specializzazioni stesse dell'eccitazione. Questo adattamento implica che sia tenuta in sospeso la scarica dei centri inferiori, la quale non può che creare disordine nella organizzazione nascente. Esso esige l'intervento di funzioni nuove, funzioni di controllo e d'inibizione.
«Le mie mani desiderano essere slegate da ogni vincolo, mostrare ciò che c’è al di là della vacua evidenza, comunicare l’incomunicabile a chi non comunica.

Le mie mani si muovono come acque di una fonte dalle capacità ignote.
Le mie mani si muovono come lacrime di disperazione.
Le mie mani si muovono al ritmo di eventi apocalittici.
Le mie mani si muovono al ritmo di eventi quotidiani». 
Si producono dapprima reazioni isolate: sono i movimenti continui delle mani e la loro rappresentazione dell’io creativo. Sebbene queste non siano mai completamente autonome nei riguardi dei centri superiori di coordinazione, conservano però il carattere di risposte locali e delimitate, distolte dall'insieme dell'attività: ad esempio la ripetizione continua di «le mani si muovono…», fino alla nausea. Ma l'azione propriamente umana porta il loro muoversi della continuità nel tempo e della globalità nello spazio. È una progressiva integrazione a quella totalità dell'azione che determina i gradi superiori della reazione sensoria.
La tappa primaria dell'azione legata è la «reazione circolare» (capacità ignote, lacrime di disperazione, eventi apocallittici, di eventi quotidiani); quindi l'organismo ha avuto buon esito in una reazione precisa del tipo riflesso, tende a ricominciarla indefinitamente, sullo schema di struttura che si è fissato una volta tanto. Questa attività permette di provare una specie di beatitudine organica nel provocare all'infinito gli stessi atti elementari: «
si muovono come acque» «si muovono come lacrime»,«si muovono al ritmo»; come fossero atti complessi come quello di cicalare o d'infilare perline. Se si presenta loro un problema troppo difficile.
«Le mie mani non sono come loro, ma fingono.
Le mie mani s’immergono nell’indistinguibile distesa fluida atmosferica.

…creando con il loro movimento un vortice d’innata ed eterea perfezione.

Le mie mani leniscono le ustioni irreversibili.
Le mie mani conoscono la fine di innumerevoli storie, ma tacciono.
Le mie mani percepiscono che l’erba qui è più verde.
Le mie mani inalano gli effluvi delle coscienze».
Si trovano fatti analoghi di ripetizione anche nella terza parte della lirica, come crampi psichici che simulano la perseveranza. Molte persone deboli hanno questo stesso ritmo. L'adulto scivola sovente in questa attività elementare: pensiamo al piacere d'agitare in cadenza il piede o il corpo, di narrare agli altri o a se un'avventura che ci ha fortemente commossi, di canticchiare una decina di volte un motivo conosciuto, di rievocare continuamente un bel ricordo e taluni si compiacciono a ripetere un gioco di parole, appunto quello che si è divertita a fare Margherita, come se avesse voluto gustare la collezione delle parole che ripetono «le mie mani». Del resto, il gioco appare all'inizio di questa nuova nascita che sono le parole vergate sulla pagina bianca, e somiglia ad un primo balbettio della conoscenza. Questa imitazione di se continua variando le sue forme: negli altri, imitiamo noi stessi in primo luogo, e solo dopo esserci ritrovati in loro diventiamo capaci di gettarci in loro, senza perderci. Freud non ha completamente torto, quando fa della ripetizione una legge fondamentale dell'esistenza, che spesso predomina sulla legge stessa del piacere. Essa non è che un aspetto dell'inerzia universale, la quale tende ad immobilizzare ogni movimento.
Freud nota ancora qualche fatto del medesimo ordine: negli stati di esaltazione creativa, nei sogni, come per l’Ariosto quando scriveva Orlando furioso
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Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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