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Vite sospese

Di: Rosalba Sgroia

Rosalba Sgroia è nata a Frosinone, ma risiede a Roma. Ha conseguito la laurea in Psicologia e insegna nelle scuole elementari. Ha recitato, durante il periodo universitario, in una compagnia teatrale frusinate. Si dedica alla lettura, all’ascolto di musica antica e classica, alla danza e a tutto ciò che le offre la possibilità di esprimersi.

Nel febbraio 2002 ha ricevuto il Premio Speciale dell’Assessorato alla Cultura Città di Eboli per il Concorso Internazionale di Poesia  «Il Saggio».

Alcuni suoi componimenti sono stati inseriti nelle antologie della Carello Edizioni, «Versi Diversi» Edizione il Saggio e «Nuove gemme letterarie» della Carello Edizioni. Ha partecipato a incontri di poesia in alcuni circoli culturali della capitale.

Di quest’autrice cui sembra che la poesia abbia trovato alloggio piacevole, abbiamo parlato non molto tempo fa, illustrando un’altra sua lirica. Ma nel sito ce ne sono abbastanza per far girare la testa al lettore. Questa volta ho chiuso gli occhi, ho contato «angli-glò, tre galline…» e il numero ventuno si è fermato su «Vite sospese» una lirica cui l’autrice afferma di essere stata ispirata dal canto V dell’Inferno dantesco e precisamente alla storia di Paolo e Francesca.

Siamo nel «girone» dei lussuriosi, Virgilio per assecondare il desiderio del discepolo, spiega chi sono quelle anime che si aggirano nel buio, che avvolge di tenebre ogni cosa, travolte dalla bufera.  Dicevo, Virgilio, aderendo al desiderio del discepolo, indica Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paride, Tristano e molte altre anime, tutte colpevoli di lussuria. Udendo quei nomi, Dante, commosso, sta per svenire, ma si rinfranca, manifesta al maestro il desiderio di parlare a due anime, che vanno per la bufera, strette l'una all'altra.

Virgilio lo consiglia a chiamarle in nome di «quell’amor che i mena» e, quando i due dannati sono più vicini a lui, Dante li invita a parlargli. Le due anime, che altro non sono che quelle dei cognati Francesca da Rimini e Paolo Malatesta, accondiscendono all'invito e Francesca, dopo di aver ringraziato il poeta per la pietà dimostrata verso di loro, narra la dolorosa storia del reciproco amore, che li condusse al peccato ed alla morte. Se Paolo amò lei, non fece che obbedire a quella legge, per la quale Amore «al cor gentil ratto s'apprende»; se essa lo ricambiò, fu per un'altra legge, non sempre vera però, per la quale Amore «a nullo amato amor perdona», cioè non ammette che una persona amata, non riami a sua volta; quest’Amore, «condusse ad una morte», cioè ad una fine comune, perché avvenuta nello stesso tempo, luogo e modo; fine miseranda, che non rimarrà però impunita, perché l’ineluttabile legge di Dio colpirà l'uccisore, Gianciotto, condannandolo nel cerchio dei traditori, nella prima zona che ha nome Caina. Il racconto di quelle «anime offense» commuove fortemente Dante, che rimane pensieroso, finché Virgilio lo richiama in sé ed allora egli chiede a Francesca quale fu l'occasione che permise a lei e a Paolo di conoscere il reciproco amore, prima gelosamente celato. Francesca, sebbene il ricordo del tempo felice riacutizzi in lei il dolore, narra che un giorno essa e Paolo leggevano senza alcun’intenzione peccaminosa il romanzo di Lancillotto del Lago. Più volte le avventure amorose di quel cavaliere avevano fatto loro scolorire il viso, ma quando giunsero al punto in cui Lancillotto baciò Ginevra, pure loro si scambiarono un bacio. Così, come in quel romanzo Galeotto aveva favorito gli amori di Ginevra e di Lancillotto, la lettura di quel libro aveva vinto ogni ritenutezza fra i due cognati. A quel punto, cui silenzioso aveva assistito, piangendo, Paolo, Dante, colto dalla commozione, sviene e cade a terra, «come corpo morto cade».

«D’alito avvolto, il gemito

rapì l’incauto gesto

e fummo lì…sognanti».

Ormai sappiamo che per conoscere veramente noi stessi non basta fare un inventario degli elementi che formano il nostro essere cosciente. Occorre anche una lunga opera di esplorazione delle vaste regioni del nostro inconscio. Anzitutto occorre avventurarsi animosamente nei bassi fondi e negli abissi dell 'inconscio inferiore per scoprirvi le forze oscure che c’insidiano e ci minacciano; i fantasmi e le immagini che ci ossessionano e ci dominano subdolamente; le paure che ci paralizzano; i conflitti in cui si logorano le nostre energie.

Quest’indagine può essere attuata in parte anche da se stessi, ma naturalmente riesce più facile con l'aiuto di una guida esperta, cosa che per il Poeta è superflua in quanto la creatività che scaturisce dal suo subconscio, è un fatto ipersensibile suo e solo suo, ma che attraverso la trasfigurazione artistica fa diventare poesia.

L'opera di Freud e dei suoi seguaci si arresta generalmente qui; ma questa è una limitazione non giustificata. Occorre esplorare anche l'inconscio medio e quello superiore, affinché l’artista possa trovare la completezza e costruire l’opera che sia Arte maggiore. Così si scoprono le particolari attitudini non ancora manifestate, le nostre più profonde e più vere vocazioni, le parti superiori di noi che urgono per manifestarsi e che non di rado non accogliamo nella nostra personalità cosciente, respingendole, per preconcetti o per paura.

«Si tradusse il bacio in fremito

e scomparvero sì presto

le cose a noi distanti».

Si scopre così anche l'enorme riserva di energie psichiche non differenziate che sono latenti in ciascuno di noi, l’inconscio plastico a nostra disposizione che ci da un’indefinita capacità di apprendere, di elaborare, di creare; il servitore fedele che può lavorare per noi, che lo fa già senza che lo sappiamo, ma che può farlo molto più e molto meglio se n’apprendiamo e rispettiamo le leggi, i ritmi, i metodi, se cooperiamo armonicamente con lui.

L'accordo teorico sembra tuttavia piuttosto facile: non così può dirsi nell'aspetto pratico e ben pochi giungono a conclusioni chiare, esaurienti, senza dubbi, riserve e sottintesi.

«Si tradusse il bacio in fremito

e scomparvero sì presto

le cose a noi distanti».

Ciò che la Sgroia tratta in «Vite sospese» non è un argomento scabroso e la sua non è scuola che vorrebbe devolverlo interamente; l'influsso di determinati stimoli vivono, con grande lucidità, sebbene si affermi solennemente che deve preparare all’aspettativa del lettore, dimentica del tutto il canto spiegato a piena voce, abbandonandosi più alla concretezza del racconto dantesco, che al vuoto astrattismo, alla cultura sagace dei sentimenti.

«Nelle nostre labbra, ora, il fiato tace…

oltrepassano gli occhi le nostre mete

agli arcani misteri ormai carpite»

Grave errore è credere che l’istinto debba essere asceticamente compresso. A chi spetta rispondere e quando? Qui sta tutto il problema.

L'istinto che permette di «oltrepassare gli occhi oltre le nostre mete, per ritrovare gli arcani misteri carpiti» non ci permette di ignorare, di negare, perché è uno dei più profondi, dei più forti sentimenti che albergano per natura dentro di noi e che sono una legge di vita: vive nel subconscio, dorme nel fondo dei sensi, si manifesta, in forme ancor inconsapevoli, e contribuisce, insieme ad altri, a formare quella carica emotivo-affettiva che muove tutta la vita psichica.

Su questo principio si fondava la psicologia dantesca, sullo stesso principio si fonda la moderna psicanalisi della scrittura.

Ben a ragione il Freud asseriva di aver completato i suoi studi per cooperare agli sforzi d'aiutare l’umanità a liberarsi dai suoi mali fisici, e il Poeta si preoccupa, trasfigurando in arte il proprio sentire per incitare al bene universale, all’amore incondizionato.

Il Poeta (quando dico Poeta intendo parlare di tutti gli artisti creativi) non deve educare l'istinto, ma deve coltivarlo armonizzandolo in un salutare equilibrio di tutti i suoi aspetti biologici, psichici, morali.

Spencer, analizzandolo, vi distingueva, oltre al sentimento individuale, i sentimenti relativi alla creatività in generale, all'attaccamento, al rispetto, al desiderio dell'approvazione, all'amor proprio, al desiderio del possesso del linguaggio, all'amore della libertà d’espressine.

L’istinto creativo, essendo indistruttibile e dovendo pur trovare qualche via di esplicazione, almeno nell'ordine affettivo, importa che in questo senso venga sostenuto, nobilitato, diretto, dal «SE» razionale, influendo sugli elementi sensibili e intellettuali che concorre alla sua manifestazione.

«Né disegno di storia futura

può allontanare la lenta risalita

verso inni di cieli infiniti.

 

L’ illusione debole ma pura

è della breve linea la dolce dipartita

negli orizzonti nostri ormai feriti…»

Non si tratta di chiarire soltanto un processo d'una funzione, d'illustrarne le conseguenze, perché l'oggetto della creatività è l'intero sentimento, è la coscienza in cui questo si plasma, è la personalità che ne deriva.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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