Ritorna alla Home Page di: Poeticamente

"Le recensioni qui presentate sono tratte dalla Mailing List di Poeticamente"

Una stella non mia

Di: Francesco Gheza

 

E' sul greto del fiume che si abbandona, per assistere al fenomeno dell'acqua che scivola nel cuore, come ramo fiorente di mandorlo, pallido e muto in un'estasi infinita, mentre dal cielo le stelle accompagnano «fluenti pensieri fugaci», forse più veloci delle acque che corrono verso la valle e giacere qualche attimo nel riposo che le fa mulinare, accrescendo o facendo apparire milioni di visioni che lo sfiorano in sordina, lasciando in sua compagnia solo le «tristi visioni».

«Mi scivola nel cuore il fruscio del fiume,

l'ascolto nel silenzio della sera già fatta,

m'accompagna fluente nei pensieri fugaci,

mi sfiora in sordina accanto a tristi visioni».

Queste, a mio avviso, sono certamente le più felici fra le immagini uscite dalla fantasia di Francesco Gheza, senza dubbio le più vive, le più complete.

Intanto La Musa del poeta è ancora un'astrazione, perché non ha del tutto piena coscienza, né della complessa varietà di vita, né di un'integra personalità.

«Mi scivola nel petto il fiume in fluida corsa,

si porta nell'alveo tutto quanto è disperso,

ogni sinuosa deviata di sua corsa sfuggente

mi richiama al pensiero di quanto è parvente».

Questo fiume che non si accontenta di scivolare nel cuore, ma attraverso il petto, sembra voglia andare in compagnia delle creature fantastiche di Shakespeare; ma è solo illusione ché le creature di Shakespeare sono figure eteree che al contatto della realtà esteriore e fuori della scena svanirebbero. «Una stella non mia» è un canto d'amore; il fiume che scivola come un fruscio nel cuore e scivola nel petto «in fluida corsa» è il fantasma della donna celebrata, mai menzionata, che sta nello sfondo e non racconta la sua storia, non mostra la propria intera pittura, ma è vista solo attraverso i sentimenti del poeta che canta e s'impadronisce dell'anima nostra e della nostra immaginazione.

Qui, la poesia del Gheza s'illumina e fiorisce d'immagine e di melodie quasi per virtù di un incanto o un miracolo sprizzato dalle mani inconsapevoli del poeta.

«Una piccola diga ha fermato parte del fiume,

un sasso ci butto per vederne bella affiorare

la candida forma del tuo or malinconico viso:

s'allargano i cerchi e vedo spuntare un sorriso»

Ecco che quando egli canta sembra che l'ispiratrice sia in compagnia di una fata, e degli gnomi che cantano con lui, al ritmo dello scorrere del fiume. Il poeta ride perché anche la natura apre finalmente tutti i suoi segreti.

Insieme alla sua creatura e a fate e gnomi che gli danzano intorno, forse per attutire il rumore dell'acqua che scivola nel cuore e che la piccola diga ne ha fermato la corsa. Ora egli può «buttando un sasso» vedere riaffiorare quell'immagine, che fino ad ora ci ha negato e che ci ha fatto immaginare fosse una fata, gode pienamente con la sua creatura perché anch'egli è diventato finalmente un atomo nell'Universo: è riuscito a dimenticare se stesso ed il suo passato.

«Un gabbiano si getta per cancellarne la traccia,

qualcosa raccoglie da quel bel cerchio-visione;

riparte nemico verso più alto orizzonte lontano:

tua lieta figura sottratta al mio sguardo profano».

Si è trasformato in Gabbiano, non gli resta più che "limare" la sua creatura perché continui il canto che gli vibra al più piccolo soffio, pur lasciandosi sdraiato sul greto del fiume per bere tutta quella luce che ora lo illumina; e la sua anima ha una eco:

«qualcosa raccoglie da quel bel cerchio-visione;

riparte nemico verso più alto orizzonte lontano:

tua lieta figura sottratta al mio sguardo profano»

insieme all'inno del sole che riscalda non solo il poeta ma la natura intera.

Ogni parola, ogni suono, ogni movenza ritmica giovano a far risorgere dinanzi agli occhi del lettore ciò che egli vede: la strofa non ha più, come nell'ideale o nell'ultimo sogno, la sua uniforme rotondità eloquente, ma è complicata e continuamente varia: la disposizione delle pause e delle cesure muta a scopo descrittivo e l'intrico finale dell'ultimo verso

« . da dura galassia perviene

tua calda voce implorante: "Non posso essere tua!"»

dove i due ottonari concatenati compensano il discorso precedente e isolato, adatto a quel suo andare successivamente schiudendo nuovi misteri, brilla per ritmo e confluenza di immagini sonore.

È una poesia dunque ancor più intimamente romantica che le altre che conosceremo più avanti.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna alla Home Page di: Poeticamente

Ritorna all'indice di: Poesie & Recensioni

Leggi la Poesia recensita