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Sei la pioggia

Di: Donatella Lavalle

 

Donatella Lavalle è nata a Roma oltre un quarto di secolo fa; è perito elettrotecnico (nella scuola che ha frequentato era la sola donna tra 750 maschi).

Dopo aver soddisfatto la volontà del padre, ha deciso di chetare il grido del suo Ego e si è iscritta ad un corso di Logopedia (scienza che studia la correzione dei difetti del linguaggio) e poi all'università dove vorrebbe laurearsi in Pedagogia con tesi sulla voce emotiva. E’ giunta a questa conclusione frequentando un corso di Psicomotricità (scienza che studia la misurazione dei fenomeni psichici attraverso l’impiego di test mentali – ecco il motivo delle sue ultime poesie provocatorie, quali «Sento la tua voce», «Non avvicinarti o sparo»,  «Non giocare all'eroe»,  «Di nessuno, si» -), che ha notevolmente cambiato il modo di lavorare con i bambini.

Da piccola si trascina un problema di dislessia (un disturbo che non permette di leggere e capire un testo scritto, pur essendo in grado di leggere e capire le singole parole); ciò l’ha portata e la porta ad evitare sempre di scrivere, perciò non ha mai scritto niente.

Da qualche mese, incoraggiata da un Poeta amico, che l’aiuta a credere di poterne uscire, scrive poesie.

Ha fatto tanta analisi su se stessa, junghiana, bioenergetica, teatro bioenergetico, ed ora il suo interesse è la poesia e il cinema. Dopo essere stata sposata per undici anni, da sei mesi vive sola con il suo bambino di otto anni, un cane nero e un gatto bianco.

Nessuna parola in questo luogo e dopo questa biografia può essere pronunciata se non sulla poesia di oggi, oggetto del nostro colloquio: «Se la pioggia».

Quando l’ho letta la prima volta, mi è apparsa dinanzi agli occhi un’isoletta del Mediterraneo, che si trova nell’arcipelago delle Baleari: Palma de Majorca, dove Chopin e George Sand trascorsero gli anni più belli del loro amore. Quest’immagine me l’ha risvegliata nella memoria il tictio della pioggia sul tetto dell’automobile, ed ho sentito, proprio sentito come se la stessero suonando in casa, la suonata in si bemolle minore, che chiamiamo «Tristezza» (chissà perché?), che il musicista gelosissimo, compose un giorno di pioggia: «George era uscita per la solita passeggiata mattutina, ma una  pioggia torrenziale l’aveva costretta a riparare in un abitato; Federico non lo sapeva e roso dalla gelosia, perché la pensava nelle braccia di un altro uomo, per vincere il tremore interno compose la suonata». Bello quest’inizio, come quello della suonata di Chopin:

«Sono sola in macchina e piove...piove!

Sento che ormai la pioggia mi parla.

Gli dico sempre - eccomi - che vuoi ?

E lei continua, imperterrita a parlarmi.

Mi tormenta da sempre col suo chiacchierare triste.

E un continuo lacrimare anche quando è contenta .

Non si capisce mai se è triste o felice.

Ha il viso sempre bagnato quando viene a trovarmi.

E poi se non l'ascolto continua a battere forte

i suoi pugni zuppi d'acqua sul finestrino –

devo fermarmi per forza e sentirla» .

Non sentite anche voi la stessa musica? Non credo che prima dei solenni versi di Donatella, con i quali offre al lettore  la sua gioia di essere poeta, con i quali pone sulle dolci speranze il tempio della sua vittoria e il suo colloquio vivo e palpitante con la pioggia che diventa la sua gloria, abbia scosso i sentimenti così fortemente. Il colloquio sorge come un monumento, ma non in piccolo campo, che raggiungerà la massima estensione dei secoli.

Non dunque un monumento a se stessa, né alla Poesia, ma alla pioggia che per miracolo voluto dal Poeta si è trasfigurata in compagna di  viaggio, in essere umano, specialmente quando batte «i pugni zuppi d'acqua sul finestrino».

In questa dolcezza profonda di sentimenti che si accavallano come il dialogo tra il poeta, la pioggia e i pugni zuppi d’acqua hanno del miracoloso: creano un paesaggio in un podere inesistente ma vivo nella mente dell’autrice, tra la collina e la lunga, interminabile fila di automobili e suono laceranti di clacson che ella non sente perché il colloquio si fa sempre più caloroso, sempre più affettuoso tra lei e la pioggia e battere del cuore preoccupato del figlio che l’attende.

«Mi blocca, non mi fa vedere la strada .

Mi fa scivolare - lo fa apposta .

Ed io respiro quando sento i fulmini,

ho paura, 

a macchina si appanna come gli occhi.

E sembra di stare al centro di una nuvola .

E non vorrei più pulire il vetro.

Vorrei rimanere lì con la pioggia

a chiacchierare ,

come il giorno ch'è nato Tommi» .

Si ha la sensazione di essere seduti in platea ad assistere ad uno spettacolo teatrale, tanto il dialogo diventa serrato, eppure, nello stesso tempo, temperato e modesto che cresce in abitudini di silenzio e meditazione; e dal consenso del quieto paesaggio alla placida vita, dalla monotonia della natura con l'anima, che il motore delle auto in fila lenta portano una tristezza lacerante, che non è più il fondo, su cui ondeggiano le fantasie, sorridenti tra le lacrime, della sua gioventù, il fondo da cui si leva il pensiero malinconico e alto della sua ansia.

E pure quest'anima così violentemente offesa dal dissidio della vita che vorrebbe, e il caotico vivere moderno, si direbbe che assorba la ferita con la freschezza della speranza, anzi della fede, in una felicità promessa al genere umano, in un’età d'oro che essa, quando che sia, pur debba percorrere su questo pianeta.

«Come il giorno che ti ho lasciata.

Come il giorno che comprammo casa .

Come il giorno che sei morta - non pioveva fuori,

ma io ero la pioggia su di te.

E mi arrabbiavo ed ero triste .

E bagnavo tutto anche quando ero felice .

Perché tu sei la pioggia che c'è dentro me .

Sei il temporale di cui ho paura.

Sei  il  mio dolce angelo , la mia malinconia.

La tristezza che mi avvolge, mi copre».

L'espressione è pura e pronta per rendere più congeniale il contenuto ad uno stato d'animo. Già nell'identificazione tra l'anima dell'uomo e la poesia rivelatrice esiste un primo rapporto organico come in Stéphane Mallarmé che continua l'opera di Charles Baudelaire secondo il quale poesia è magia nel senso che essa fa da tramite tra la terra e il cielo, vale a dire tra il caduco e l'immortale. La poesia suggerisce e non dice, per Mallarmé che se ne fa quasi sacerdote, avanzando nuove idee sul piano della punteggiatura e della stessa disposizione delle parole che anticipano non solo l'Ermetismo ma anche il Futurismo. Arthur Rimbaud parla anche di illuminazioni che porta all'estremo limite le analogie di Charles Baudelaire, cercando di fissare le sue vertigini spirituali con una parola poetica che riassuma tutto: «profumo, suoni, colori», ricorrendo ad una magia verbale che si arricchisce continuamente con l'uso del verso libero e col suo ritmo che cambia continuamente. Ecco il motivo perché mi piace questa Poesia dei Donatella Lavalle, perché in lei vive un ingenuo vitalismo e la continua polemica contro i valori dell'estetica, della morale e della ragione.

«La  solitudine mi parla ed entra in me .

E' consistente come un corpo 

ma è trasparente  il suo colore.

Mi attraversa e si ferma in me

quel fantasma, dopo avermi tanto cercata.

E continuo a guidare,

sola - non mi sento più triste

ti ho trovata .

Sei sempre stata vicino a me.

Sei la  pioggia.

Ora ti sento .

Ora ti vedo.

Ora esco e mi bagno.

apro la bocca  e ti bevo:

Sei in me». 

Per questa via, con gradualità e non senza esitazioni si arriva al concetto che la poesia possa giungere alla conoscenza intuitiva della realtà soprasensibile: nasce pure l'immagine di una poesia essenziale, che rinunzia a capire e a spiegare, a commentare o a divulgare, ma che sia soltanto poesia, vibrazione dello spirito dell'uomo, illuminazione improvvisa e folgorante, assolutamente semplice ad enunciarsi, altrettanto difficile ad esprimersi in un mondo caotico, in cui tutti scrivono quello che passa loro per la mente e che si possono accettare solo a patto di rinunciare alla logica. Si capisce che in questo tipo di poesia le parole sono prese per la loro aderenza al mondo delle immagini e a tale ritmo nuovo esse sono chiamate a rispondere. Perciò non c'è più posto per il verso tradizionale, viene bandita la rima, si punta sul verso libero in senso assoluto, si denuncia la sintassi, si creano pause sapienti, con ripetizioni di termini, di versi o di parole, fino a creare un ritmo che giunge all'ossessione attraverso l'accorto ricorrere all'onomatopeia.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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