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Quello che è passato

Di: Fabio Broggini

Fabio Broggini ha ventisei anni, lavora a Milano e vive a Monza con il suo fidato compagno. Un cane stupendo di 23 mesi.

Ha due splendidi genitori e un fratello, Luigi di ventitré anni, bravissimo compositore di canzoni: un vero talento!

Ha studiato Ragioneria in un istituto statale a Sesto San Giovanni, con discreto successo... non gli è stato semplice convivere con alcuni di quei docenti, che pieni di sé insegnano al prossimo cosa è giusto e cosa no....ma come dice Giobbe Covatta: «Basta poco che c'è vò!»

Ha prestato il servizio militare di leva al Quirinale.

Durante il servizio ha ripreso a scrivere; sì perché la passione per la poesia è in lui da quando frequentava le elementari. Allora pubblicarono alcune poesie su un libro, una sorta di raccolta  mi pare si chiamasse «Boccioli di poesie»: fu la prima sua pubblicazione.

La distanza dalle persone dai luoghi e dalle cose care gli aveva procurato una tremenda malinconia e questo dolore riusciva a placarlo solamente scrivendo.

Finito il servizio militare è partita la corsa all'oro, trovare un benedetto lavoro e cominciano i guai. Ha fatto di tutto dal paninaro di una birreria di Milano,ad alcune pubblicità televisive su Mediaset... fino ad arrivare qua di fronte a questo computer.

Il nostro essere. E ciò non per gli abituali passaggi, che chiamerei quasi elogiativi, secondo i quali il creato, con la sua bellezza, semplicità, ecc., conduce al Creatore, ma, anche qui, per ragioni più profonde. Perché noi viviamo in questo mondo, e soltanto questo mondo ci è stato dato per giungere all'altro nel quale crediamo; e quindi esso, col suo significato, ci deve poter condurre al termine al quale tendiamo. Ma ci conduce tendenzialmente con processo all'infinito, non essendo possibile raggiungere con la scienza umana la conoscenza divina. E naturalmente non si esclude così l'esistenza d’altre vie che possano condurre al termine desiderato.

«Mi volto

E vedo il mio passato»

Occorre poi la circostanza, non casuale, che anche fuori del pensiero possa accettarsi la teoria di valore del progresso, che il nostro vede nel suo passato. In tal caso sarà da metter l'accento sullo svolgimento, sul processo continuo di sviluppo, mentre si scolorisce il concetto, piuttosto finalistico, del limite. È la ricerca continua, il continuo svolgersi che acquista significato, a svantaggio del termine, del quale non si vorrebbe ammettere la realtà. Se questa posizione appare più debole, dipende dal fatto che più debole è, secondo le mie convinzioni, la teoria generale che la sorregge; ma è significativo che in tutti i casi una concezione del progresso si presenta convincente, proprio perché si vede il passato, solo voltando il capo.

Se ora dall'aspetto scientifico conoscitivo passiamo a quello tecnico pratico, vediamo subito che il problema si presenta in modo perfettamente correlativo ed ammette lo stesso tipo di soluzione.La realizzazione tecnica è un'operazione di creatività umana, contenuta naturalmente nei limiti che a questa competono. Una singola realizzazione ha certamente un suo significato che non esce da quello di un episodio. Il processo continuo e totale di realizzazione pratica ha invece nel suo insieme un significato ed un valore di possesso, per il quale l'uomo a poco a poco s'impadronisce del mondo della natura. Ed obbedisce così al comandamento divino racchiuso nei versi già ricordati, «Mi volto/ e vedo il mio passato»

A me pare che bastino questi due versi a dar valore alla fatica umana di conoscenza e di dominio del mondo. Il mondo deve diventare nostro perché in tal modo esso costituisce mezzo per l'ascensione verso Dio. Noi viviamo in questo mondo, e di esso ci dobbiamo servire per camminare verso la conoscenza.

«Mi volto

E vedo chi ho lasciato»

L'impossessamento, in questo caso, non sarà mai totale e non avrà mai termine, poiché nel passato c’ quello che ha lasciato, e il suo animo è al limite, ha valore di completamento delle possibilità realizzatrici umane, così come il processo conoscitivo ha il valore di completamento delle possibilità conoscitive umane. Al di là è la Verità e la Realtà, che non sono più umane; ed in tal senso va ulteriormente interpretata l'analogia esposta: il limite corrisponde al completamento delle possibilità umane, al confine quindi con la realtà superumana. Questa rimane ancora al di là, ma, diventa quasi comprensibile e visibile.

Se si accetta il profilo ora esposto come si può ritenere tale processo un'entità quasi an-tiumana, dalla quale bisognerebbe liberarsi per non esserne schiacciati? Il progresso come ora interpretato si colora invece di alto significato umano, acquista il valore in quanto non vede più che cosa ha lasciato, solo in questo caso si avvia verso la via maestra, verso la verità e la realtà supreme.

«Mi volto

E vedo chi ho lasciato»

Ma il sentimento di paura, la solitudine, ha anche un altro e maggiore significato, sul quale vale la pena di fermare un momento l'attenzione. Si ha paura che l’essere abbandonati, quando del progresso si ha paura perché si pensa che esso costituisca qualcosa di più forte, più potente della nostra umanità e ci domini: siamo stati lasciati, siamo soli e allora si vorrebbe costituire una civiltà nuova che non opprima l'uomo e ne comprometta la più profonda natura, la sua spiritualità da ritrovare perché ormai è stato lasciato solo con se stesso.

Non mi sento di affermare che questa preoccupazione sia ingiustificata, ma affermo che dipende soltanto da noi superarla. Il pericolo sussiste soltanto perché noi spesso erigiamo a fine il mezzo, e ciò, a mio parere, per mancanza di sufficiente autonomia spirituale rispetto al mondo esterno.

E qui, come dicevo, è questione di fini e di mezzi. Lo sviluppo della conoscenza umanistica può in effetti concretizzarsi in un apparato civile che tenda a valorizzare la persona umana.

«Mi volto

E vedo chi è rimasto a capire»

In tal caso si inverte il rapporto di valori tra l'uomo e le sue creazioni: il problema che esaminiamo è tutto qui. La meccanizzazione ci opprime perché noi spesso la eleviamo a scopo, da semplice mezzo quale essa è. Se invece essa è mantenuta nel suo giusto valore, come può impadronirsi del nostro spirito? Perché mai dovrebbe farlo, se non lo hanno fatto tutti gli altri analoghi mezzi dei quali si sono serviti i nostri predecessori?

«E vedo chi è rimasto a capire»

Solo, ripeto, se noi cominciamo a conoscere la differenza tra meccanicismo umanità ci accorgeremo che stiamo per compiere il passo giusto verso la pace interiore, perché finalmente qualcuno è rimasto per capire. Solo se noi volgiamo il nostro spirito ad esso, come a qualcosa che abbia una vita autonoma, allora stiamo veramente riconquistando la nostra spiritualità.

«Mi volto

E mi sembra di morire».

A questo punto, si potrebbe pensare di fare un elenco di tutti gli inconvenienti che si attribuiscono al progresso, o meglio alla mentalità scientifico-tecnica che è la sorgente di esso. Ne vengono, di tali inconvenienti, continuamente enunciati; si parla di eccessiva valorizzazione delle cause seconde,di atteggiamento troppo relativistico, di limitazione di orizzonte conoscitivo e così via. Ma l'operazione non sarebbe profìcua, salvo per la speranza di non provare la sensazione di morire.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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