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Ponte ventoso

Di: Giancarlo Castello

 

Buongiorno con tutto l'amore che posso. Avevo giurato a me stesso che non avrei più parlato delle poesie cui non possono essere precedute da un profilo biografico dell'autore, poiché il lavoro, in questo modo, sarebbe facilitato; ma come di fa a rimanere insensibili di fronte a versi impetuosi e virili come questi che ci giungono da un «Ponte ventoso»

«Se la notte è gelata sui ponti ventosi

in questa valle di case deserte

e luci vuote, punti

di fitto pensiero, automobili accese

che salgono al cielo nero

e diventano stelle,

io sento carezze di prati e montagne

ore bambine incendiarsi, bruciare

più forte dell'aria, quest'aria

che soffia alla foce del fiume».

Il tepore delle carezze dei prati e le automobili che, proiettando le luci dei fari, passando attraverso il pensiero dell'autore, diventano stelle, bruciando l'aria che soffia alle foci del fiume; però la carezza dei prati sembra fermare persino il vento e l'anima si quieta, rimanendo in ascolto del «silenzio» lo stesso che Pasternak ha cantato con amore: «silenzio, sei la cosa più bella che abbia mai udito!», lo ricordate?

Poi. Tutto tace! Sull'ardore dei versi, pare giunga un getto d'acqua gelata. Quietato il tumulto dei ricordi e degli affetti, il poeta può disegnare e colorire un quadretto d'esattezza e di evidenza mirabile; può osservare e ritrarre ciò, che all'uomo comune sfugge.

Plinio notò sotto le acque trasparentissime le monete e le pietruzze, Giancarlo Castello gode della carezza dei prati e delle montagne circostanti; non ode il fiume che rumoreggia, quasi da sembrare immobile al fondo, con quelle sue tinte metalliche, fredde; nota l'ampiezza, il volume e quasi la sostanza reale delle carezze. Come Byron ammirò le acque «del più puro cristallo, che fosse mai», e benedisse al genio del luogo, che donava freschezza al cuore e lo detergeva dell'arida polvere della vita, Castello non sente più neanche il fascino dei fìori e delle montagne di zaffiro, che come «ore bambine» si incendiano per bruciare l'aria invasa dai radionuclidi. Castello in piedi come un tronco di Pioppo sulla riva, segue il vento, come Byron la ninfa del fiume, che contemplava e lavava le sue belle membra nelle acque.

Il nostro segue e non trascura di:

« (.) rivivere i giorni

le calde canzoni del tempo

per donarle alla pioggia con gli occhi

senza conoscere ancora

l'aurora... »

che, sopra il dolce declivio del colle, sulla sonda del fiume tiene viva la memoria di Dio.

Ma sono pur sempre tocchi fuggevoli anche se illustri, ci fa sentire, in quel luogo, ciò che lui sente. Io credo che, seguendo i suoi pensieri, ascoltando le sue parole fatte di silenzi lunghi e piacevoli, mentre ascolta la musica del vento che passa sulle acque come l'archetto sulle corde di un violino o un violoncello.

Castello non è come altri poeti del nostro tempo, Remil canta la nostalgia della sua città in debilitazione, con rabbia e determinazione; come oltre settant'anni fa Scipioni ne dipinse la demolizione, per vederla risorgere ardente e giovanile; questo pensiero porta Remil a ricercare nella Poesia le «fobie» dell'infanzia creando la «scuola» di una corrente poetica che non tratta l'idealismo della creatività, ma affronta con schiettezza e sincerità di intendimenti «la psicanalisi»: ardua impresa, ma molto riuscita se si legge con attenzione; Santamaria liricizza la storia con piglio virile; Vincenzo Fidanza, l'armonia che l'umanità va rincorrendo in questo mondo arido (parlo dei Poeti presenti in questo sito e non tocco i cosiddetti poeti laureati perché pubblicano con editori famosi - anche se moltissimi non meriterebbero neanche questo appellativo).

«Il mio cuore è un limpido bosco

d'inverno

con i suoi rami che hanno amato il vento

col suo selciato eterno di foglie

disseccate bruciate

da un calore splendente»;

per Castello la poesia è un vago tessuto d'illusioni, che l'arido vero ha crudelmente strappato. E sul ponte anche se ventoso cerca di ricreare con la fantasia quel mondo a modo suo, e viverci dentro con gli altri uomini, in piena libertà con la natura amica.

Forse per questo cammina con le spalle rivolte al vento, come se dovesse seguire solo i suoi pensieri. Quel vento impetuoso che accende fantastiche immagini per sé e per gli altri, anziché gettare ombre davanti al pensiero; affermerei che gli (e ci) rileva e contorna meglio quello che ciascuno porta dentro di sé. Il motivo del principio, consistente in una specie di lotta istintiva tra la realtà, bella, ridente e seducente del mondo, che lo accompagna per ogni verso dal principio alla fine.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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