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A Gallo Domenico malato di leucemia

Di: Elio Francescone

 

Elio Francescone, è nato a Grottaglie in provincia di Taranto.  E’ docente di Letteratura Italiana e Storia negli Istituti Superiori Statali; collabora con vari giornali locali con articoli di Letteratura, Storia e Tradizioni popolari. E' membro della redazione della rivista trimestrale di Demologia  Storia delle Tradizioni Popolari.

«Troppo belli i tuoi occhi,
bambino mio,
per gli ulivi della tua terra
che alitano speranze di vita e di
morte,
quando un glabro labbro
copre una mascherina bianca
e tu vedi l'orsa maggiore di un cielo
dipinto
ed una donna che fuma
ed il padre di una cicogna impazzita:»

Ho sempre asserito che una liricità essenziale, emergente dalla più immediata adesione alla vita, è Poesia. Solo in questo caso il critico trova che nessuno dei termini usati ha perduto di vista l'altro. Si può, volendo, parlare di documento e perfino di referto, come asseriva Grisi che «un poeta per essere considerato tale è necessario che sia testimone e documento del proprio tempo», se poi aggiungiamo che da queste righe affiorano espressioni di grazia e levità mirabili, si avverte un calore percorrere il corpo caricandolo della vitale immediatezza che n’è conseguita. Affermava Ungaretti che «La morte si sconta vivendo»: Cinque parole; ma quale frondosa apostrofe più potente potrebbe evocare a noi l'angoscia impietrita di un malato terminale, di un essere irrigidito sul baratro nell'attesa mortale? E c'è chi ha mirato a rappresentare in atto la profondità del processo vita-poesia: un travaglio, un’angoscia e uno strazio di tutto il suo spirito insoddisfatto, che nel significato di un solo vocabolo, nel valore di una lieve pausa si addensa e s’ingorga come in un disperato sforzo di liberazione.

«Io non voglio che tu conosca l'autunno
della vita
in un mondo salvato da poeti:
l'ora della stella non è ancora giunta
quando Dio ti risparmia
la fatica di cercarlo».
Ecco che, una parola poetica tanto sostanziata: «quando Dio ti risparmia/la fatica di cercarlo», reale e insieme tanto sottile e alata, può rendere concrete le cose naturali e la vitalità di un'essenza simbolica; così ferrata: «l'ora della stella non è ancora giunta».
Da questo punto il verso si fa libero, abbandona ogni diversivo musicale per seguire le fasi del male che avanza, segnare un tempo che sembra, durante la lettura, scandito da una voce vivente, e la lirica diventa preghiera e può essere anche pura confessione, perché in essa si sente la sillabazione di una preghiera.

Intanto possiamo esplicitamente affermare, ciò che in queste testimonianze e nella loro variante, rimane più o meno sottinteso.

Ad esempio, all’inizio della seconda parte «Io non voglio che tu conosca l'autunno» non si decide all'espressione se non in estrema consapevolezza, anzi si avvia verso quel raffinamento lessicale al quale i più sarebbero contenti di giungere dopo molti sforzi. Questo allora merita particolare attenzione, perché pare che in Francescone si apra la coscienza critica, che gli si è rivelata direttamente, cioè attraverso la qualità stessa dell'opera. Insomma Francescone l’ha sentita innanzi tutto nei risultati; quasi in risposta alla domanda, altrimenti come spiegare il potenziamento di tanta immediatezza lirica? Infatti altri dati stanno soltanto in funzione di riprova. Riprova la rigorosissima idea che ha del lavoro poetico, il dispregio in cui egli conseguentemente tiene riprova della sua tormentata incontentabilità.

«Corte e povere le statue scomparse
per me,
che vorrei tanto darti una poesia
per non farti andare via.
Figlio di un dio di moda,
non deporre il tuo giglio appassito
su un muro di carta:
sulla stessa via delle icone
tu sconfiggerai l'ambiguità di un
Cristo duale»

E qui sul significato dell'approfondito rapporto vita-poesia, quale s'è avuto nella lirica, su quella parola scavata con la più acuta consapevolezza, e la novità del suo timbro. Affermava Ungaretti che: «In momenti estremi il linguaggio è tutto buttato a perdere ogni sostegno descrittivo, e ogni finta; e, simbolo dell'uomo disgustato d'ornamenti, tale linguaggio, irritandosi in infinite sfumature, in infinite titubanze, annientandosi quasi, oggi già s'incide, guanto a efficacia, nella sostanza cruda». Il Francescone forse ha tenuto presenti nella memoria, proprio gli insegnamenti ungarettiani.

Ma torniamo all'essenzialità dì questa lirica, circa la quale il consenso critico diventa via via più stringente.

«Sconfiggerai l'ambiguità di un/Cristo duale»

Non c'è oggetto che non ce lo rifletta; la nostra stessa vita, da capo a fondo, quel… Cristo duale sul quale cade il nostro sguardo. Non è la nostra vita, in realtà, più che aggettiva. Quel concentrarsi nell'attimo d'un oggetto non ha misura, L'eternità si chiude nell'attimo. L'oggetto s'alza alle proporzioni d'una certezza divina. Non conoscerò più tanta soggezione, né quella libertà ferma.

«Sorridimi,
almeno un po',
mentre la tua vena ballerina
brucia
su un orizzonte senza limiti,
e si lega alla plastica ed al genio
come un vecchio cinese
in un festival di giganti»

D'altra parte s'intende: quanto più è dura, tanto più la lirica dà concretezza a qualcosa d'ineffabile, insieme con quelle che danno uno stato di grazia, un incanto al lettore, qualcuno potrebbe affermare che è lirica di prodigio, di magia. E neanche qui si può tralasciare un indiretto documento: «la poesia moderna si propone di mettere in contatto ciò che più è distante. Maggiore è la distanza, superiore è la poesia. Quando tali contatti danno luce, è toccata poesia».

La lirica di Francescone passa da realtà che interessano sensi difficilissimi e riposti ad altre, la cui traduzione verbale, per via del suono e della figura, vada a colpire più accessibili sensi e tuttavia riesca atta a riprodurre le risonanze inferiori che l'impressione iniziale aveva mosse.

«Bambino mio,
dalle ali di rosa,
il vento soffia e spinge lontano
tuo giocattolo rotto:
il lungo sogno della terraferma
ti abituerà a vincere».

E non minore attenzione doveva spettare ai valori di suono, che il poeta ne fa l'elemento precipuo. Ogni parola porta il peso di una storia e come di una sua pena, occulta nell'essenza, sensibilissima in quello che ne è il valore musicale... S'aggiunga a questi valori della parola la conscia magia del ritmo che è fondato soprattutto sul gioco dei silenzi tra cui cadono le singole parole e che genera, intorno ad esse, stupefatti richiami di quelle regioni dove furono rapite. Può sembrare strano, ma, proprio, non si può intendere questa lirica, senza prima riferirsi a un modo di «recitarla».

Insomma Francescone ha inserito nella lirica Un'«ars oratoria», assunta come pura cosa intelleggibile, ma da non tradursi in pratica mai. Come se, ragionando per assurdo una musica non si potesse che capirla solo leggendo, e a realizzarla si sperdesse tutta quanta.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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