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La forza per parlare

Di: Emilia Pacelli

Emilia Pacelli è nata a Napoli, è iscritta alla facoltà di Lettere e Filosofia Federico II e segue l’attività didattica del settore filologico linguistico. E’ avida lettrice di letteratura e di autori contemporanei. Ultimamente è vivacemente attratta dal dibattito sulla scrittura creativa e dal diffondersi delle nuove tecnologie informatiche e degli sviluppi delle scienze della comunicazione, nonché dal riflesso che tutto ciò ha e potrà avere in seguito sulla comunità umana ed è su quest’argomento che vorrebbe indirizzare le ricerche della sua tesi di laurea. Ha sempre fatto della scrittura un punto di riferimento costante per lo sviluppo della sua personalità solo e sempre con intenti artistici. Da qualche anno, inoltre, è appassionata di psicanalisi, seguace delle dottrine di Freud e di Lacan è interessata alle attività della Scuola Europea di Psicoanalisi. Dove indubbiamente più è visibile il nesso che congiunge la sua creatività nell'arte poetica, dove più rivela la forza che spinge la fantasia al più alto volo. L'idea medesima che ispira le allegorie, le personificazioni per viaggiare da un punto all’altro dell’anima per avere le ardite personificazioni rinchiuse e pulsanti di vita nel verso. Allora la poesia s’illustra e si completa nel reale e nel simbolico. L'allegoria è, come per  Dante, un coefficiente poetico validissimo dell'idea, e mai fredda finzione. La fantasia non posa, e crea e plasma instancabile finché il verso non ha un soffio di vita.
«
Non riesco a sognare,

ho tanta voglia di volare,

vorrei viaggiare ma non ho dove andare».
La notte  vanta che il sonno è di sasso, non riesce a sognare, eppure  vorrebbe non essere destata per vincere la paura e riuscire a volare per viaggiare pur non sapendo dove andare.

L'idea prima, amplificata a grado a grado, avvolta nell'onda delle idee successive, si specchia nella personificazione, che cambia ed oscilla di forme come oscilla ed ingigantisce il pensiero, così che, a noi, è dato di afferrarla, solo nella pausa del suo stesso pensiero.

Le immagini plasmate come figure volute dallo scultore o dal pittore, s’innalzano  sui concetti e pullulano ancora nella mente della Pacelli quando scrive «ho tanta voglia di volare,/

vorrei viaggiare ma non ho dove andare» il frammento di un sogno; con audacia incredibile, superiore molto alle proprie forze poetiche, Ella vuole dare corpo e figura particolare ad ogni concetto astratto, ad ogni denominazione persino; non gli basta ritrarre, rammentando qua e là le sensazioni del sogno, la figura del Vero. E si capisce come l'artista poeta, oppresso dai fantasmi evocati dall'accesa fantasia, torturasse il verso per raggiungere la forma poetica desiderata. Immersa com'è nel regno dell'astratto, circondata da ogni lato «dalla disperata voglia di volare» si veda all'improvviso un’immagine densa e compatta di fronte.

«Sto cercando di parlare,

ma mi è difficile comunicare,

sento che ci sono tante cose, qua dentro, da dire,

eppure fanno fatica ad uscire».

II perpetuo avvicendarsi di nuove idee, il vertiginoso volo della fantasia, gli affetti impetuosi che balzano dal cuore, come lava da ardente vulcano, contrastano coi mezzi di cui l'artista, poco esperta nel maneggio del verso, poeta d’istinto e non di scuola, dispone, per riprodurre la visione poetica interiore che la soggioga. Chi può dire quante volte nella cruda lotta ella vedesse reciso il fìlo del pensiero, troncato il volo dell'immagine, tramortita la passione nel cuore, e maledicesse il verso, ch'ella cercava e non trovava, e che adorava pur sempre, come conforto d'ogni sua afflizione, mentr'era il suo carnefice spietato? Chi saprà i concetti sublimi sorti nella mente dell’autrice, le visioni superbe naufragate nel vano tentativo di dar loro un'acconcia espressione viva? L'espressione poetica, indocile al pensiero, ha distrutto l’originalità della poesia, forse ancor più originale ed elevata?  Con la virtuosità poetica e la facilità di vena, con più esperienza nella tecnica del verso, questa donna  innamorata di Freud e di Lacan, ci avrebbe data una lirica fremente, viva com’è  stato il suo sogno di volare via in un secolo, in cui tanto si pregia il suono della parola.

Senza dubbio la maschia energia che rivelano i suoi versi è entrata nell'anima e nel corpo dell’autrice, che (come Ariosto nell’Orlando Furioso manifesta in splendide ottave «che scorrono fluide come un ruscello verso il fiume, un fiume verso il mare (B.Croce)») fa rivivere le immagini del sogno sognato: il sogno dei personaggi creati dalla sua fantasia; anche se, in definitiva «sento che ci sono tante cose, qua dentro, da dire,» e non riesce a dirle perché le immagini della creatività non vogliono abbandonare il suo «Ego», che la madre non vorrebbe mai lasciare che i figli si allontanassero da lei.

«Com’è difficile essere!

Com’è difficile amare!»

La Pacelli fa ogni sforzo per dare grazia, leggiadria, armonia e nitida forma al verso; e, con pazienza infinita, stupefacente davvero in questa donna impazientissima, tenta e ritenta ogni possibile forma che apparisca conveniente al suo pensiero. Da questo tormento eterno esce un verso tormentato, secco, aspro e duro, raramente un verso levigato.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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