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AMO DI TE LA MANO FORTE

Di: Sandra Cervone

 

 

Amo di te la mano forte

che calorosa dispensa convivenze.

 

L'intreccio d'occhi e luci

che dipingi sui vetri delle case,

carezze a mille e spicchi di luna

innaffiati e semplici...

 

Amo di te l'ancora e il poi,

il soffio generoso d'un sussulto,

il vuoi e il noi e l'unica risposta.

 

T'ho seguito all'inferno,

negli specchi, ma nascevano violette

al tuo passaggio!

 

M'hai udita piangere di gioia,

unico gesto di noia la memoria...

 

Ora sul tuo cuscino un fiore

ingigantito. Il bacio è della notte;

il gelido presagio... e sei vicino.

 

Sandra Cervone

RECENSIONE DI RENO BROMURO

Sandra Cervone abita a Gaeta, dove è nata e svolge attività di giornalista e addetta stampa dei concorsi letterari banditi dal Comune e dalla Provincia; scrive poesie a getto continuo, però qualche cosa nasce quando meno te lo aspetti. Lei spazia nella realtà d’ogni giorno e di questa ha fatto il «suo mondo poetico».

Fra le centinaia di liriche di Sandra ho scelto per la sua energia vitale e vigoria di sentimento «Amo di te la mano forte». Per la forza espressiva e per la drammaticità del contenuto: la lirica grida d’amare con tutta la forza dell’anima; urla la disperata incomprensione che spesso prende vita tra chi ama e vorrebbe essere riamato e chi invece vive in disparte, ignorando sia il sentimento offerto, sia il grido di dolore.

«Amo di te la mano forte

che calorosa dispensa convivenze».

Una delle sollecitazioni che l’animo chiede ingenera la convinzione della certezza che sembra essere legata alla necessità d’amore cui ogni essere umano vorrebbe esclusivamente vedere già consolidate di comportamento per assumere forme che siano l'opposto delle precedenti: più vere, sentite e non suscettibili d’ambiguità.

L'anticonformismo non deve diventare un segno in evoluzione, che si presenta come il distintivo di un comportamento umano che rifiuta le sdolcinerie di un sentimento che tutti dovrebbero sentire e vivere in piena libertà e nel modo più radicale.

«L'intreccio d'occhi e luci

che dipingi sui vetri delle case,

carezze a mille e spicchi di luna

innaffiati e semplici...»

Non è il caso di obbiettare e di troncare qui il discorso. Questo cercare «l’intreccio degli occhi e le luci che sono dipinte sui vetri delle case, oppure le mille carezze e altrettanti spicchi di luna innaffiati e semplici» ha una delle sue ragioni nell'esigenza sempre sentita dall'uomo di affermare il suo sentimento nella propria individualità.

«La società opera sempre dei condizionamenti dell'agire che sembrano compromettere le dimensioni autonome della persona; l'insubordinazione a tali condizionamenti sembra il modo per garantire il valore umano nell'indipendenza della persona». In questo caso il canto della Cervone diventerebbe un parto dell'intelletto astratto, un programma che deve essere manifestato e accolto.

Il valore, infatti, si istituisce in due valenze:come struttura costitutiva e significativa del singolo preso in sé, e come capacità irradiante del singolo di assumere il sentimento d’amore, come proprio fine. Se nel primo caso si manifesta come staticità, nel secondo si costituisce dinamicamente come trascendenza, o un arricchirsi con la conquista, sia del sentimento sia dei «mille spicchi di luna».

La riflessione che intendo presentare riguarda il valore assoluto dell’amore, non quello a senso unico. Capita spesso come condizione umana, che l’uomo vive maggiormente il sentimento a senso unico, raramente l’amore è corrisposto pienamente e accompagna «i fortunati» fino alla fine dei giorni.

In questo senso si può riconoscere un progresso del Divino: l'infinità dell'Essere la cui comprensione o essenza è la piena perfezione dell’amore per tutti gli essere umani, pur escludendo ogni mutazione, anzi, si manifesta come parola che dice la totale pienezza dell'Esistenza. Non è necessario avvertire che senza questa manifestazione l’amore non sarebbe, quanto piuttosto che questa manifestazione, mentre istituisce un parametro di valutazione, aggiunge un orizzonte nuovo.

«Amo di te l'ancora e il poi,

il soffio generoso d'un sussulto,

il vuoi e il noi e l'unica risposta».

La verità immobile: «l'ancora e il poi» e l’espressione «il soffio generoso d'un sussulto», è il principio e si manifesta ne «il vuoi e il noi e l'unica risposta».

Il verbo al presente indica l'inesauribile vitalità dell’amore e la sua presenza nell'essere del suo dirsi.  È qui che si apre la considerazione del valore dell’Amore nel suo aspetto reale, pur sapendo che il valore è nel suo sopravvivere al tempo in cui si è compiutamente attuato.

«T'ho seguito all'inferno,

negli specchi, ma nascevano violette

al tuo passaggio!»

La contraddizione è qui: nel vedere l’amore apparire limitato e circoscritto nel mondo e nel tendere a qualcosa che eccede le condizioni naturali. Da un punto di vista puramente razionale, Kant ha espresso questa condizione sottolineando la storia umana come passaggio dall'animalità alla razionalità. «Tutte le disposizioni naturali di una creatura sono destinate a raggiungere un giorno uno sviluppo completo e conforme al loro scopo...»

Il conflitto e turbamento che l’amore a senso unico genera nell'uomo è nell’avvertire la necessità della costrizione e, nello stesso tempo, sentire l'appartenenza ad un ordine razionale libero che, purtroppo, ha perduto la sua libertà. La soluzione di Kant si presenta come conciliazione dei termini: destino e amore sono la stessa cosa, giacché il destino non porta all’amore univoco, ma attua ordinariamente i suoi fini:

«M'hai udita piangere di gioia,

unico gesto di noia la memoria...»

Scopertamente legato ad una linea di religiosità pura: «unico gesto di noia la memoria», si presenta, tuttavia, come spinto ad abbandonare ogni speranza che il sentimento pulsante in Lei sostituisca un criterio razionale e facilmente accettabile.

Che il problema o proposta esiste costituisce, però, una presenza veritativa, anche se non necessitante: la verità si istituisce in ciascuna scelta, poiché è ugualmente amore.

«Ora sul tuo cuscino un fiore

ingigantito. Il bacio è della notte;

il gelido presagio... e sei vicino».

Ora la presenza del «partecipio passato» manifesta e istituisce una situazione conflittuale che è nello stesso tempo nel mondo, ma non è del mondo; ma che, di fatto, e di diritto appartiene all’uomo perché tale.

Questa proiezione, questo moto da vita alla speranza, con un vago e sentimentale aspirare, un fare il nostro futuro, il nostro essere: un inventarci, per usare una felice espressione di Sartre. Un costruirci di cui dobbiamo in ogni momento essere in grado di rendere questa speranza fattiva, da un punto di vista puramente umano,assunzione del nostro sentire che è portato nel futuro pur continuando a vivere nel presente.

Bibliografia

E. kant, Idea per una storia universale, a cura di E. P. Lamanna, Lanciano 1917, p. 41.

Reno Bromuro

 

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