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FRATERNITA'

Di: Rocco De Vitis 

 

Dalla penombra un sibilo,un messaggio,

la tremula fiammella d' un sorriso

che provocar non vuole un grande incendio

ma sol nel nostro cuore una favilla

che di calore sia e di speranza

a tanti piccoli innocenti in preda

all'insania di Marte ed alla fame.

Orsù fratelli,invoca Cristo in Croce,

doniamo amore a le sventure umane!

    

 

Rocco De Vitis

RECENSIONE DI RENO BROMURO

Rosario Rocco De Vitis nasce il 10 aprile 1911 a Supersano (Lecce). Muore dopo un periodo di malattia nella casa in collina il 3 ottobre 1997.

Si laurea presso la facoltà di Medicina e Chirurgia di Bologna il 30 Novembre 1937 con la votazione di 110 su 110.

Medico-chirurgo è sempre stato sensibile al fascino dell’autentica poesia ed umanisticamente

teso a capire e a far capire (molte sono le sue poesie) l'arte poetica maiuscola, in tempi così lontani per tanti versi dalla grande ispirazione e dai valori vitali del passato.

E' ammirevole il suo poderoso impegno nel tradurre un capolavoro così difficile, qual è appunto l'Eneide di Virgilio.

II grado di progresso raggiunto dall'umano ingegno è ancora basso, insufficiente alla soluzione di alcuni dei grandi problemi delle scienze sperimentali, tendenti alla scoperta dell'essenza della materia, dell'energia e della vita. Finora, nessuna disciplina scientifica è riuscita a penetrare nel quid delle cose e dei fenomeni studiati; finora, dello sterminato mistero dell'Universo, gli sforzi umani non sono valsi a svelare che una piccola parte, del tutto insufficiente a dare una non vaga intuizione del tutto; finora le nuove scienze umane non hanno potuto realizzare che talune applicazioni tecniche, a cagione della naturale limitatezza delle umane forze intellettive e del generale pregiudizio di non pochi studiosi che nutrono l'illusoria speranza di pervenire alla soluzione dei suddetti problemi, adottando le norme dello scientifico metodo sperimentale.

Il fallimento dei numerosi tentativi esperimentati a tal fine non è valso che a rinsaldare di più, in ogni scienziato ligio al detto metodo, la fallace credenza in enormi e pressoché insormontabili difficoltà a compiere un’impresa come quella di diradare le tenebre che avvolgono anche i minimi misteri dell'universo e che nessuno è riuscito mai a dissipare del tutto. L'equilibrio naturale non può essere violato senza gravi conseguenze. In Polonia i pescatori ottennero dal governo mezzi per combattere le lontre che infestavano i fiumi ed i laghi. Le lontre, infatti, nutrendosi di pesci rendevano poco pescosi i corsi d'acqua di quel Paese. Le lontre furono annientate dopo un po', ma la pesca fu ancora più povera. Si spiegò anche il perché. Le lontre cibandosi di pesci riuscivano a catturare gli esemplari più deboli e malati per cui venivano a combattere le malattie della fauna ittica. Scomparse le lontre tali malattie si svilupparono in modo impressionante causando una moria di pesci. In Africa sono quasi completamente scomparsi i leopardi. In conseguenza il numero di scimmie e cinghiali, principali vittime dei leopardi, è cresciuto enormemente, causando gravi danni all'agricoltura.

Lo stesso fenomeno si può riscontrare in Italia. Da noi è quasi scomparsa la volpe; per conseguenza sono aumentati quegli animali che costituivano il cibo delle volpi e che danneggiano non poco l'agricoltura. Infatti, si riscontra in questi anni un aumento senza pari di ratti e topi. Sempre in Italia è stata data una caccia indiscriminata agli uccelli rapaci, per cui sono quasi del tutto scomparsi e con la loro scomparsa si è assistito alla moltiplicazione di ratti, topi e serpi. A loro volta le serpi che sono aumentate in modo enorme distruggono rane, rospi e nidi d’uccelli, determinando così una penuria d’animali che si nutrono principalmente d’insetti nocivi per le piante. Nelle nostre campagne d'altra parte si assiste ad un aumentare senza misura delle vipere ed è stato accertato che quest’aumento è dovuto alla scomparsa dei rapaci.

I danni che l'uomo può causare, quando turba l'equilibrio della natura, sono imprevedibili. Un altro esempio ci viene dall'Australia. Era stata importata una pianta ornamentale, l'opuntia, che cominciò ad espandersi in modo impressionante, giacché il suo sviluppo in quelle terre non era contrastato da certi insetti che in altre zone lo limitavano. I danni per l’agricoltura non si contavano perché la pianta occupava territori immensi, sottraendoli alle colture agricole. Si fece ricorso a molti mezzi per sterminarla ma non si riuscì nell'intento. Si dovettero importare alcuni parassiti dall'America che riuscirono a distruggerla, rendendo così possibile la coltivazione d’estese zone di terreno. Che dire poi dei danni che può arrecare l'esercizio della caccia fatto in modo sconsiderato? Gli uccelli si nutrono in genere soprattutto d’insetti, quindi svolgono un'azione disinfestante di cui nessun insetticida può raggiungere l'efficacia, ed in più la loro opera non ha alcun costo, ne può nuocere all'uomo, a differenza dell'impiego dei prodotti chimici. Eppure tanti cacciatori sparano così, quasi per uno stupido gioco, contro qualunque specie d’uccelli capiti loro a tiro. E che dire del comportamento dell’uomo nella società odierna? Abitanti dello stesso stabile, nella medesima scala che ospita tre appartamenti per ogni piano non ci si conosce e non si sa se l’inquilino della porta accanto è morto o è ancora vivo. Se ci s’incontra in ascensore ci si limita al saluto e se uno dei due o tre tenta di intavolare un discorso l’altro risponde a monosillabi, guardando il soffitto dell’ascensore.

Il Dottor De Vitis, abituato a salvare la vita di ogni uomo, buono o cattivo, sfaccendato o delinquente, questo modo di vivere andava molto stretto, perciò si rifugiò in Virgilio almeno ebbe l’illusione di vivere bucolicamente, fianco a fianco col contadino e la natura, pronti a soccorrersi, in caso di bisogno, l’uno con l’altro.

«Dalla penombra un sibilo,un messaggio,

la tremula fiammella d' un sorriso

che provocar non vuole un grande incendio

ma sol nel nostro cuore una favilla

che di calore sia e di speranza

a tanti piccoli innocenti in preda

all'insania di Marte ed alla fame».

Metaforicamente, si riferisce alle guerre che si succedono le une alle altre, provocando la morte, e si sa che la morte non risparmia nessuno. Diceva Totò «è ‘na Livella»; De Vitis però, auspica la pace, non solo quella dei popoli, ma soprattutto quella interiore, perché se l’uomo è in pace con se stesso, è in comunione col mondo.

Vorrebbe che l’incendio si accenda solo nei cuori affinché l’uomo capisca di essere fratello dell’altro uomo perché figlio dello stesso Padre.

La lirica di De Vitis porta un cospicuo «Contributo alla formazione di una salda coscienza mondiale», nella quale fra l'altro si dimostra convinto, della possibilità di fornire una sicura prova di quanto potrebbe accadere se gli uomini camminassero mano nella mano; convinti dell'esistenza di Dio mediante un ragionamento logico-sperimentale che non arrecasse la più lieve menomazione al patrimonio della creatività poetica operata finora dall'ingegno umano per il progresso del sapere e della civiltà dei popoli.

La vita è in tutto ciò che ci circonda, è finanche nella fiammella di un sorriso partorisce non grandi incendi, ma una favilla che sia di speranza.

Qui si palesa la dissacralità dell’artista, che centellina le cose, come il filosofo l’uomo, lo psicologo l’anima, il chimico l’elemento dell’universo. Ogni creatura umana, però, in normali condizioni di mente e di spirito, meditando sull'intero corso della vita, può intuire la sicura esistenza, seguendo il procedimento logico può risalire dagli effetti alla causa, cioè, da tutti le cose dell’Universo, all'unico seme generante, arguendo la provenienza della sua radice. Ogni Uomo è come il seme, un perfetto organismo, vivente e operante, creativo e idoneo a produrre da sé canti fatti di parole rami, foglie, fiori e frutti contenenti, simili a se stesso, semi capaci di creare altrettante piante.

«Orsù fratelli,invoca Cristo in Croce,

doniamo amore a le sventure umane!»

Delle suddette non comuni forze vitali; in particolare, della apparizione collettiva, puntualmente simultanea di tanta speranza: fiori simili di forme, di colore e di profumi; e, soprattutto, dell'arcano potere del grido di Cristo dalla Croce, generano e si riproducono numerosi semi validi, a riprodursi precipuamente per la stessa forza arcana, strapotente, agente in diversi modi e sensi e con molteplici e svariati intenti, della quale ogni bennata umana creatura può sempre intuire con certezza la sussistenza, considerando i visibili e tangibili effetti da essa prodotti; di tali prodigiose creazioni, di tante inspiegabili manifestazioni, delle innumerevoli, splendide, stupefacenti bellezze, nate come dal nulla, ad allietare il genere umano.

Reno Bromuro

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