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«I Poeti che presentiamo in questa rubrica sono stati scelti con la saggezza dell’imparzialità.

Adesso sta a voi dirci, con il vostro voto (da 1 a 10), quanto conta «la nostra saggezza»

e chi merita la «Corona d’Alloro»

con il vostro suffragio dato con la medesima saggezza critica, tenendo presente l’opera, non il Poeta»

«POETA TOP DEL 2005»

Per votare basterà inviare un e-mail, al seguente indirizzo: poeticamente@libero.it, scrivendo nell’oggetto il nome dell' Autore  cui intendete dare il voto

Presenta:

RENATO MILLERI

E 

L'URLO DELL'ES

 

 

Renato Millèri in arte Remil, è nato a Roma il 1° giugno 1947 e vi è morto il 25 febbraio 2004, ha fondato la sua poesia (che si ostina a chiamare «prosa poetica») sulla ricerca analitica del proprio io e le «turbe» che seguono l’uomo dall’infanzia fino alla fine.

La ricerca inizia nell’infanzia, interrotta per ragioni di lavoro, nel periodo in cui è stato impiegato di banca, per riprendere quando è stato messo in quiescenza per ragioni di salute, nel 1981 con il grido disperato che vede la «sua» città stretta nella morsa della violenza, intitolando la raccolta: «La nostra città violenta» una raccolta divisa in cinque parti, quasi a voler fare il viaggio dantesco a ritroso: Dante dal peccato giunge alla redenzione, lui dalla redenzione scende nelle «bolgie infernali», una raccolta che fa affascina, rapisce e indigna il lettore; ma ciò che è importante è che rimane incollato alla lettura fino all’ultima virgola, per sentirsi in «trance» per ore dopo aver finito la lettura che continua imperterrita nel cervello fino a farci sentire placati, perché avvolti dalla sua rabbia e dal profondo amore che lo lega alla città eterna.

Per combattere il «Racket dell’Arte», non volendo sottostare alle imposizioni di certa editoria, e di certe organizzazioni di premi letterari, dai bricconcelli a quelli bricconi, si è creato un sito Internet, in cui pubblica non solo le sue opere ma anche quelle degli amici, che come lui combattono, con l’assenteismo, il «Racket dell’Arte». Inizialmente lo chiama: «L’Angolo di Remil» in seguito, visto il successo (è stato segnalato da Virgilio e da altri), l’ha chiamato «Gutta Cavat» ed è diventato un sito trilingue, Italiano, francese e inglese. Nella «home page» ci s’imbatte subito sulla premessa della nascita di questo sito:

«”GUTTA CAVAT” propone una pagina di cultura e d'arte popolare. Invia una tua poesia, un tuo lavoro grafico e saranno pubblicati. Chiunque lo desideri può osservare i momenti di spontaneità che viviamo».

Poi si trovano citazioni di Freud: «Sigmund Freud afferma che l'ES è la più antica delle aree dell'apparato psichico dove il bisogno della soddisfazione immediata  del piacere genera tensione che viene vissuta come dolore.

Nel 2000, introduce la raccolta di poesie «ISTINTO (l’urlo dell’Es)» dedicato alla moglie Mara, con la presentazione che segue:

«L'ES, non avendo  punti di contatto con la realtà non riesce a scaricare le pulsioni e viene soccorso da altre figure componenti la personalità umana.

Questa raccolta di prose poetiche è un tentativo di dare voce all'ES, inteso come istinto primario, attraverso la manifestazione delle nevrosi.

Si ringrazia idealmente tutte le persone incontrate durante una terapia di sostegno per limitare i fastidi di un'ostinata forma d'agorafobia. Altre informazioni sono state raccolte da testi di psicologia e da biografie. I riferimenti a personaggi esistiti sono anche frutto dell'immaginazione dell'autore. Non si nasconde l'invito di guardare al problema psicologico come si guarda ad ogni altro impedimento che colpisce l'essere umano: un problema psicologico può avere la stessa valenza di quello fisico ed in alcuni casi superarlo in gravità anche se non è visibile. Dietro ad ogni volto c'è un infinito di sentimenti da rispettare».

«A mia moglie

per l'amore e la fiducia

che ha sempre riposto in me».

Ed ecco la poesia che apre la raccolta:

L'OMBRA DELLA NOTTE

 

Marmo di Carrara

freddo come il ghiaccio
sotto i miei piedi di bambino.
Cieli aperti come nubi
squarciate da lampi.
La voce di Dio in un tuono
che ferisce le orecchie.
Il corridoio
immenso, lungo, interminabile.
Il freddo sotto i piedi
mentre la pioggia assordante
vuole sfondare il tetto della casa.
Le piccole mani,
tenere e bianche
come fiocchi di neve,
si stringono attorno
ad una piccola croce sul petto.
In singhiozzi una voce si muove

nel vento dei miei pensieri.
- Mamma -
Silenzio.
Di nuovo la mia voce
ti chiama in disperati tormenti.
Silenzio ancora,
avvolgente come i draghi
delle fiabe che mi racconti
ogni giorno.
La stanza da letto
illuminata da lampi
m'appare più grande.
L'ombra del drago
selvaggiamente
sul corpo di mia madre
in una danza mortale.

Madre mia
chi ferisce e tortura il tuo corpo?
Io
verrò a salvarti.

Chiunque tu sia
drago od ombra della notte,
affonderò le mie unghie
nel tuo cuore
e lo mangerò per pane.

Abbiamo letto versi che travalicano il tempo,per diventare storia e documento del proprio tempo. Immaginate, siamo negli anni Cinquanta dello scorso secolo, il bambino è svegliato dai tuoni che la pioggia torrenziale provoca, scende dal letto e cerca la madre: l’unica persona di cui si fida e che sa consolarlo e calmarlo; imbocca il corridoio per raggiungere la camera dove sa che la mamma dorme e:

Il corridoio

immenso, lungo, interminabile.

Il freddo sotto i piedi

mentre la pioggia assordante

vuole sfondare il tetto della casa.

Apre la porta senza bussare e, alla luce dei lampi che illuminano la stanza, il padre che cavalca la madre, gli sembra un drago e, improvvisamente grida:

Io
verrò a salvarti.

Chiunque tu sia
drago od ombra della notte,
affonderò le mie unghie
nel tuo cuore
e lo mangerò per pane.

Quest’incubo vivrà fino alla fine della sua vita nella mente e nell’animo del Poeta anche se, ora sa, che i genitori facevano l’amore; però non riesce a staccare dalla memoria il drago che stava uccidendo la mamma.

L’opera, lirica per lirica, si snoda narrando, con una musicalità invidiabile, l’evoluzione di quel bambino fino alla maturità, ed è proprio a quest’età che il dramma si acuisce e sfocia in tragedia:

Tornare indietro
o continuare
non ha alcun senso.

Anche perché quello spazio infinito che ha visto da bambino gli scombussola l’esistenza al punto di ammalarsi di «Agorafobia»

AGORA (a me stesso)
 

Splendeva il colonnato del Bernini
con la luce dei tuoi denti
nella bocca di due colonne perfette
come il tuo sorriso.

Guardavo da lontano
la tua figura incerta
e contavo il tempo
attraverso i miei passi
che misuravano la distanza
sotto un cielo blu
che si faceva sempre più ampio.

Il volto teso
gli occhi immobili
concentrati sulla tua figura
mentre il cuore
aumentava il tormento
ad ogni centimetro di spazio
percorso.

Inarrestabile,
il senso del vuoto
sembrava avere i tentacoli
del terrore
come piovra
che t'avvolge la gola
e ti tronca il respiro.

Una mano stanca e nervosa
misurava lo spessore
del sudore sulla fronte
e giungeva alla bocca
fino a sentire il morso
della paura sulla pelle,
la resistenza dell'uomo
sull'ignoto,
sull'inspiegabile,
la vertigine d'una voce
che grida da dentro
e non la puoi formare.

Il minimo errore
può essere fatale:
sono al centro della piazza
dove una fontana
come un miracolo divino
dona supporto
alle mie gambe molli.
Ho un appiglio
un punto d'appoggio
per rubare un secondo
al tempo che manca
per raggiungerti.
Tornare indietro
o continuare
non ha alcun senso.

Un sorriso sulle mie labbra
per fingere lo scherzo della vita,
uno sguardo all'orologio
per fingere un tempo
che non esiste.
Sono a tre quarti del percorso,
l'importante è avere
la tua persona
come unica meta
come oasi
d'un deserto straziante
dove l'acqua
di cui ho bisogno
è solo nel mio orgoglio
e nella mia volontà

Comincio a vederti
agitar la mano
e venirmi incontro
e piano
misteriosamente
il cuore si placa,
le fiamme dell'inferno
si spengono
ed il ricordo
di quel che è stato
sembra così lontano.

Ti apro le braccia

e ti rifugi in me

grondante d'amore

mentre son io

che mi rifugio nel tuo petto

e nelle parole

che tremanti

ti sussurro in un bacio:

- Amami sempre,

non lasciarmi,

non lasciarmi mai. –

Qui è l’intima compenetrazione del linguaggio e l’interpretazione del tempo che si trasfigura per diventare «testimonianza e documento».

Si scompone neanche perché non intende rivaleggiare per l'eleganza dello stile poetico con gli altri che si distinguono nell'arte della parola.

Vorrei soltanto attraverso le sue poesie valermi della mia capacità di interpretare, raccontare la sua arte, che consiste nel mostrare nell'ambito del pensiero ciò che è:
capire ciò che è significa scorgere col pensiero quel che tutti possiamo intendere.
II problema sarà spiegare cosa è il poetare e che cosa l’interpretare, che entrambi si fondono nell'elemento del linguaggio. La differenza fra il poetare e l’interpretare è stata espressa nel modo più efficace da Paul Valéry, il quale afferma che: «la parola del discorso quotidiano, e così pure quella del discorso scientifico e filosofico, indica qualcosa scomparendo come alcunché di transitorio dietro a ciò che mostra. La parola poetica, invece, giunge ad evidenziarsi essa stessa, restando per così dire in primo piano. L'una è come la moneta spicciola, che circola qui e là in cambio di qualcos'altro: l'altra, la parola poetica, è come l'oro autentico».

Gadamer (L’Attualità del bello) afferma: «La riflessione deve muovere dalla consapevolezza che, nonostante l'evidenza di questa constatazione, esiste tuttavia una serie di passaggi che vengono ad interporsi tra la parola poetica e creatrice e la semplice parola significante. Proprio il nostro secolo è divenuto particolarmente familiare con l'intima compenetrazione di questi due modi del parlare».

Gadamer parte dagli estremi: da una parte sta la poesia lirica (cui senza dubbio avrà pensato anche Paul Valéry), dall’altra il linguaggio poetico, che nella nostra epoca è un fenomeno sorprendente perché «la parola della scienza si insinua come elemento scientifico nella poesia».

Asserisce Gadamer (op. cit.) Parlando del linguaggio narrativo del romanzo: «la riflessione, la parola che riflette sulle cose e sugli eventi, ha da sempre diritto di cittadinanza, e non solo come discorso pronunciato dai personaggi, ma come intervento del narratore stesso, chiunque egli sia».

Se la parola, quel linguaggio musicale perché poetico, si riflette sull’operato di Remil, sarà possibile comprendere da cosa questo dipende.

La vita nasce dal mare.

Il mare ha l'azzurro del cielo.

Il cielo si fonde nel mare.

La vita si spiega nel cielo.

Oppure il suo contrario

IL PANNO VERDE

C'è un sentimento

steso
su di un panno verde

spiegato sul tavolo

d'una cucina.

Lui non conosce stagioni

Nel primo caso non c'è nulla da interpretare e su cui non vi è nulla da cavillare, perché nella sua univocità, richiede soltanto obbedienza, oppure l'asserzione dal senso chiaramente stabilito.Richiede di essere interpretato,invece, «Il panno verde» il cui senso non sia stato chiaramente fissato, e quindi rimanendo ambiguo richiede di essere interpretato solo quel che è suscettibile di molteplici interpretazioni, solo ciò che è ambiguo.

Qualcuno si chiederà se sia in genere possibile interpretare quel che è ambiguo, oppure renderlo manifesto nella sua ambiguità. E’ proprio con quest’analisi che ci avviciniamo al Nostro, che è pago della sua ambiguità giacché, tra il rapporto dello interpretare e del creare, trova la particolare connessione tra fotografare e poetare.
(Remil è anche fotografo eccellente)
L'arte necessariamente richiede la interpretazione poiché è caratterizzata da un’ambiguità inesauribile e niente potrà tradurla in conoscenza concettuale. Questo vale soprattutto per l'opera poetica, pur lasciando aperta la discussione di come si presenti all’interno della discussione stessa, di come si presenti la tensione tra immagine e concetto nel rapporto particolare tra poetare ed interpretare.

Gli elementi che dall’arte di Remil si sviluppano e prendono forma nella poesia sono puri segni, che soltanto in virtù del loro significato possono diventare elementi della creazione poetica; e la fotografia non si distacca dalla medesima creazione.

Questo vuol affermare che entrambe hanno il loro autentico modo di essere.

Eterna Giulietta

dammi un secondo di te.

E' così difficile sentirsi amati

nelle luci delle metropoli.

La parola attraverso cui egli si esprime, e secondo cui crea, non si lascia mai svincolare del tutto dal suo significato. Questo non vuol dire che l'opera d'arte linguistica si riduca al semplice intendere, piuttosto ci accorgiamo che implica ogni volta la propria identità tra significato ed essere, così «come il sacramento è insieme essere e significato».

La forma della bellezza

ha colori indefinibili.

Arpeggi dell'anima

che solo tu conosci.

Come si nota ogni discorso significante rinvia le parole a non essere complessi di suoni, ma gesti significativi che vanno al di là dei cenni verso altro e da sé. La forma sonora della poesia acquisisce i suoi contorni soltanto quando se ne sia compreso il significato, per averlo dolorosamente acquisito con tutta la tensione che caratterizza un grande compito, perché la poesia, sempre, è vincolata alla sua lingua e che la sua traduzione rappresenta un’impossibilità insieme formidabile e penosa.
Nella lirica che segue l'unità di suono e significato, che si verifica in ogni parola, trova nel discorso poetico la sua più autentica attuazione.

LA SPINA NEL FIANCO

Mi son punto
prendendo una rosa.
Gocce di sangue
coprivano tasti
d'una vecchia Olivetti
dal cuore spento
non più palpitante
per nulla e nessuno.
Fogli di carta,
hamburgers.
La perfezione della bellezza
nel mio long playing
di sinfonie.
Un lampo di Mozart e un sorriso di Rossini.
Un palpito di Verdi e un impeto di Wagner.
Così
fuso in un mondo morente
ho preso la spina dal dito
e l'ho infilata nel mio fianco
per essere come te
per un solo instante
bella e perfetta rosa
che lungo il tuo stelo
fai conoscere il prezzo
della bellezza.

Per la sua linguisticità, questa poesia è un'opera d'arte poetica che ha in sé, a paragone di tutte le altre forme d'arte, e della fotografia in particolare, una indeterminatezza specifica e palese. L'unità formale cui appartiene, come opera d'arte poetica, è inconfutabilmente presenza percettibile e non un semplice intendere.
Per il discorso fin qui fatto Remil fonda il primato della poesia sulle fotografie e le altre arti, in virtù del quale «è lei che fin dai tempi più remoti fissa il compito proprio della stessa arte figurativa».

La poesia evoca coi suoi mezzi linguistici visione, presenza, esistenza: in ogni singolo che percepisca la parola poetica. In questo modo la poesia richiama l'artista figurativo al suo compito, e prende le veci di tutti poiché è essa invenzione d’immagini, che conseguono validità vincolante.

In questo senso ogni poesia, giacché creatrici d’immagini convalida la sua priorità soltanto nell'esser detta. Per questo è un elemento cui appartiene tanto il poetare quanto l'interpretare; anzi, è un elemento che implica in ogni poetare già sempre un interpretare.

Reno Bromuro

OPERE DI REMIL

POESIA

Il raccoglitore d'orizzonti - Poesie - Remil (1972)

Gli schiavi, il metallo, la cenere - Poesie - Remil (1976)

Still life - Fotopoesie - Remil (1980) Prefazione Reno Bromuro

La nostra città violenta - Poesie - Remil (1986) Prefazione Reno Bromuro

Dedica ad un'amica scomparsa prematuramente - Remil - Poesia tratta da altro lavoro -  (1999)

The isle of the common people - Poesie - Remil (2000) (Cliccare la lingua inglese dalla Homepage)

  Istinto  - Poesie - Remil (2000)

La leggenda della luce perduta Remil  (2000) Collegamento ad url esterno - Poesia tratta da altro lavoro

Ardente passione - Poesie - Remil - (2003)

Gutta Cavat - Fotopoesie - Remil - (2002)

Lamento per Federica  - Remil - (Incompiuta)

 TEATRO

SE IO TI DO UN FIORE - Remil -  (2002)

NARRATIVA:

Giullare in tight - Remil - Racconti (Disponibili:due racconti, sfondo, grafica, file musicale)

 

 

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