E mangiavamo il pane di notte
nei sogni, caldo, croccante,
e lo donavamo ad accattoni
poveri, vedove e bambini.
– Chi mangia di questo pane
sarà sazio – e noi eravamo sazi
e ridevamo per l’abbondanza.

E al mattino la mamma
lo spezzava con cura
in tozzi sempre più piccoli
come cosa la più preziosa
dividendolo anche
con chi bussava alla porta
soldati sbandati, forestieri,
mendicanti.
E quel pane aveva il colore
del grano maturo,
il canto della mietitura
– l’aia quel giorno era una festa –
e il sapore d’un dono.
“Fate questo in memoria di me”
e anch’io piccino imparai presto
a spezzare con gli altri il pane
per la gioia del dono donato
e per cogliere occhi lucidi
in volti scarni – m’hanno sorriso
il partigiano e il tedesco –
e ancor oggi inspiro il profumo
che emana quel pane:
pane fragrante dell’uomo per l’uomo.