E-commerce: chi ben comincia...

di Pino Navato

E’ buona regola basare ogni nuova attività imprenditoriale su un solido business plan e la creazione di un sito per l’e-commerce non fa eccezione.

 

 

Sebbene il settore dell’e-commerce sia ancora molto giovane esistono già alcuni concorrenti molto agguerriti e ben conosciuti dal grande pubblico con i quali il confronto è inevitabile, quanto meno sul piano dell’immagine e dei servizi al cliente se non su uno strettamente commerciale.  Non è tardi per entrare ma è meglio non indugiare, in questo settore più che in altri.  Questo non vuol dire, però, che conviene fare le cose in fretta e furia, mettendo su un sito alla buona solo per prendere il posto e per vedere che succede: una simile strategia potrebbe rivelarsi molto penalizzante per l’immagine dell’azienda e potrebbe far sì che i primi visitatori non tornino più per molto tempo.  Sia che il sito venga creato da un’impresa di nuova formazione, nata a supporto di questo progetto, sia che venga creato da un'impresa già esistente, in cerca di nuovi mercati e con una reputazione da difendere, è opportuno, per non dire necessario, preparare un buon business plan.

Il business plan ha due importanti funzioni: è un indispensabile biglietto da visita per chi cerca finanziamenti esterni, ed è utilissimo anche all’interno, per chiarire a se stessi le proprie intenzioni e le sfide da affrontare.  Il progetto imprenditoriale dovrà dare una risposta esauriente a molte domande riguardo il prodotto, il mercato, la concorrenza, il marketing, i costi e i ricavi previsti, la tecnologia e il personale di cui si ha bisogno; in pratica si tratta delle domande tipiche di qualsiasi business plan ma alcune di queste richiedono delle risposte del tutto diverse dal solito quando si parla di commercio elettronico: questo è particolarmente vero per gli aspetti relativi alla tecnologia, al personale e alle strategie di marketing, aspetti che il management deve conoscere bene per poter pianificare nel migliore dei modi l’attività e i relativi investimenti.

La tecnologia e il personale

Quando si parla di e-commerce si pensa subito alla tecnologia necessaria come al primo problema da risolvere.  In realtà quello della tecnologia non è un gran problema: tutto ciò che occorre è già disponibile e non c’è nulla da inventare, tutt’al più bisogna adattare le soluzioni esistenti alle proprie necessità. Per le piccole e medie imprese la strada migliore, spesso l’unica realmente disponibile, è sicuramente quella dell’outsourcing che ha il vantaggio di ridurre costi e tempi, di renderli meno incerti e di ridurre le competenze tecniche necessarie.  Oggi sul mercato sono presenti numerosi commerce service providers (CSP) che, oltre al classico servizio di hosting, offrono anche tutto ciò che occorre per il commercio elettronico, chiavi in mano e a prezzi competitivi grazie alle economie di scala.  A ben vedere, però, questo mercato ancora giovane assomiglia un po’ al selvaggio west: accanto ad aziende serie, dotate di un solido background tecnico, non è difficile trovare iniziative dilettantesche che possono creare più problemi di quanti ne risolvono.  Alcuni CSP hanno idee piuttosto primitive in fatto di sicurezza: c’è persino chi non usa alcun firewall e si affida alle capacità di filtraggio dei router.  I requisiti minimi sono, invece, firewall e crittografia SSL; inoltre è opportuno che il server sia fisicamente protetto e quindi non dovrebbe essere sistemato in una stanza accessibile a chiunque, come troppo spesso avviene.  Altri fattori che contraddistinguono un buon CSP sono un’adeguata ridondanza dell’ampiezza di banda, backup giornalieri, generatori di corrente autonomi, bilanciamento dinamico del carico tra i server, supporto del sistema di pagamento SET o dell’italiano TelePAY, e-mail virus scanning, supporto tecnico continuo (24x7) e un sistema di tariffazione semplice e chiaro.

Un problema tecnologico che viene spesso sottovalutato, sia in fatto di importanza che in fatto di costi, dalle aziende ansiose di andare on-line è quello dell’integrazione del sito con il back office: dover immettere nuovamente (a mano!) gli ordini provenienti dal sito in un database aziendale preesistente è inaccettabile perché può essere causa di errori e di ritardi enormi e può portare al fallimento dell’intera iniziativa.

Un’alternativa alla creazione di un sito autonomo tramite un CSP è quella dell’adesione a un Internet Mall come l’italiano CyberMercato.  Si tratta di una scelta da ponderare con attenzione perché influisce anche sull’immagine aziendale (e quindi sul marketing) ed è certamente più adatta a un business-to-consumer di piccole dimensioni che a un business-to-business.

Sebbene il commercio elettronico si presti all’automazione di alcune attività, un sito per l’e-commerce non si regge in piedi da solo ed anzi ha bisogno di personale specializzato che si dedichi a tempo pieno alla sua gestione (non si può dare tutto in outsourcing!).  Sono richieste figure professionali nel campo del web design, web marketing, system administration, database management, account management e customer service.  Trovare le persone adatte può essere piuttosto difficile specie se si richiede esperienza specifica nel settore.

Il marketing

Il marketing è l’insieme delle scelte e delle azioni che l’azienda intraprende per raggiungere i propri obiettivi di penetrazione del mercato.  Il web è molto diverso dagli altri canali di vendita e la strategia di marketing non deve prescindere dalle sue peculiarità. Gli aspetti da prendere in considerazione per formulare una strategia vincente sono tre: il prezzo, la promozione e la distribuzione.  Tutti e tre gli elementi risentono delle particolari caratteristiche del web: il prezzo e la distribuzione, in particolare, sono influenzati dalle dimensioni globali del mercato (e quindi della concorrenza), ma sono le possibili tecniche di promozione quelle che maggiormente differenziano il commercio elettronico da quello tradizionale.

Creare un sito non basta: bisogna soprattutto farlo conoscere e questo può comportare investimenti significativi che vanno attentamente pianificati. Innanzitutto bisogna fare l’impossibile per ottenere un buon piazzamento sui motori di ricerca (è tutta pubblicità gratuita) mediante un’attenta scelta del testo contenuto nella home page.  In secondo luogo il piano di marketing deve prevedere una campagna di banner; i banner devono essere di tipo animato perché è dimostrato che hanno un click-through rate dal 15 al 40% maggiore; inoltre è preferibile che siano posizionati in alto nella pagina e che non abbiano la concorrenza di altri banner.  Le concessionarie di pubblicità offrono diverse soluzioni per la loro distribuzione sui siti permettendo di scegliere tra un singolo sito, un gruppo di siti a tema o un gruppo eterogeneo; in alcuni casi si può avere un posizionamento particolarmente mirato: sui motori di ricerca, ad esempio, è possibile richiedere che il banner venga mostrato solo a quegli utenti che fanno una ricerca usando una parola chiave affine, almeno vagamente, al contenuto del sito.  La tariffazione avviene per impression: viene stabilito un costo per ciascuna visualizzazione del banner; il costo dipende dalle modalità di visualizzazione e dalla quantità complessiva acquistata e varia, orientativamente, da 60 a 110 lire per impression.  Il traffico direttamente generato dai banner è modesto: il click-through rate, pur variando in base alle modalità di visualizzazione del banner, raggiunge, nel migliore dei casi, il 2%; tuttavia un buon banner che mette in bella mostra il nome del sito e/o il suo indirizzo ha un’efficacia che va oltre il semplice click-through perché contribuisce ad accrescere la brand awareness, la conoscenza del marchio, in maniera analoga alla pubblicità sui media tradizionali.

Il banner è lo strumento di promozione tipico del web ma è ben lungi dall’essere l’unico.  Un altro ottimo modo per incrementare il traffico verso il proprio sito è quello di fornire contenuti editoriali affini al prodotto venduto.  Ovviamente la creazione di un magazine con aggiornamenti almeno settimanali comporta un discreto impegno ma è un sistema perfetto per fidelizzare il cliente e inoltre può produrre un benefico passaparola tra i frequentatori del web.   In alternativa si può almeno negoziare una sponsorizzazione reciproca con chi già fornisce questi contenuti.  Una variante di questa idea è quella messa in atto da Amazon, la più grande libreria del mondo: un programma di affiliazione che le procura link da oltre centomila siti, tra cui abbondano le home page di gente comune.  Amazon suggerisce agli affiliati di inserire nelle proprie pagine link a libri di argomento affine a quello delle pagine stesse (in questo modo è più facile suscitare l’interesse del visitatore) e ricompensa gli affiliati con una percentuale dal 5 al 15% sulle vendite da essi generate.  Il programma di affiliazione ha due vantaggi per Amazon: le consente di sfruttare il contenuto editoriale prodotto autonomamente dai suoi affiliati e fa apparire il proprio logo un po’ dovunque realizzando, di fatto, una enorme campagna di banner che avrebbe costi altissimi se fosse pagata per impression. Una iniziativa analoga a quella di Amazon è promossa anche da Geocities e Link Exchange che propongono ai loro utenti di creare link ad alcuni siti convenzionati.

Quando si parla di marketing su Internet si parla spesso di marketing one-to-one, un marketing micrometrico dalle potenzialità ancora poco esplorate ed impensabile sui media tradizionali perché solo Internet permette di acquisire informazioni sulle scelte, i gusti e le abitudini di ciascun cliente in modo del tutto trasparente e quindi libero da qualsiasi condizionamento.  In questa direzione si è mossa DoubleClick, forse la più grande concessionaria di pubblicità su Internet, il cui servizio DataBank sfrutta i cookie permanenti per costituire un ricchissimo database di informazioni statistiche sugli utenti del web (preservandone l’anonimato); grazie a queste informazioni è possibile rispondere a domande del tipo: “Su quali siti la mia pubblicità è stata più efficace?”, “Quale banner è stato più efficace?”, “Quante volte l’utente ha visto i miei banner prima di cliccarne uno?”.  Lo stesso database costituisce le fondamenta del servizio Boomerang: questo servizio si basa sul presupposto che sia più facile conservare un cliente che trovarne uno nuovo e quindi si propone di fidelizzare i clienti dell’inserzionista spingendoli a tornare sul suo sito.  Chi sceglie Boomerang può richiedere che un particolare banner venga mostrato a chi ha già visitato il sito dell’inserzionista, a chi ha comprato i suoi prodotti, a chi ha visitato il sito senza fare acquisti oppure a chi compra più spesso, e così via.

Indirizzi utili