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Il Padre ama il Figlio e ha posto tutte le cose in sua mano. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna, ma chi rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita e la collera di Dio resta su di lui. Gv 3 Vs 35/36


Titolo: L’ira di Dio.


Argomenti: L’essere e l’amore del Padre – La generazione del Figlio – La vita è partecipare al Figlio – Il concetto di Vita eterna – L’ascolto della Parola – I desideri del cuore – L’indifferenza di Dio – Amore, odio e indifferenza – Il trono e lo sgabello di Dio – Abbandonati ai propri pensieri – L’ateismo – Strumentalizzare Dio – Essere con Dio – Il rifiuto di ascoltare la Parola di Dio – La guerra e Hitler – Il superamento dell’io – L’unico Maestro – Tradurre la terra in cielo – Spiritualizzare – Lo opere mastodontiche – Toccare con mano l’autonomia da Dio – I peccati – In Dio non c’è passionalità – Abbandonare a Satana – Il “tutto” dei figli di Dio – Il cielo conquista la terra -


29/Maggio/1977


 

Introduzione:

Luigi: … non dipende dalle nostre facoltà, capisci? Il problema non è quindi fare un lavoro in un

modo piuttosto che in un altro, in modo più leggero, più tranquillo o più appassionato. Quanto invece il sapere, l’essere convinti dell’impegno che Dio ci chiede nel cercare Lui, nel conoscere Lui in modo da dire: anche se io faccio tutta la mia giornata in modo tranquillo, molto serena, molto libera, ma non mi sono impegnato di cercare, di conoscere Dio, non mi sono raccolto in Dio; se nella mia giornata non ho aumentato un pochino, non ho fatto qualche passo nella conoscenza, quindi nell’intimità di Dio, in questa unione, la mia giornata è stata vana lo stesso anche se l’ho passata molto serenamente!

Emma: Non lo escludevo quello tu hai detto..

Luigi: Il principio di norma che deve orientare noi nella scelta della giornata, del modo di lavorare, deve essere l’impegno principale di cercare Dio, di conoscere Dio per cui la giornata è valida in quanto uno si impegna lì, non in quanto uno riesce a fare un certo lavoro con un certo distacco, oppure con una certa serenità. Quando ci si appassiona per -, quando ci si appassiona molto per quello, tutto il resto tu lo fai con distacco.

Ma bisogna stare attenti perché il problema non sta nel dire: “Io mi devo proporre di non bere il vino!” o di non fumare, il problema non sta né nel non bere, né nel non fumare.

Io direi che se uno si propone quell’altro (di conoscere Dio), poi anche se continua ad ubriacarsi, arriverà presto o tardi, ma Dio lo libererà.

L’importante è che non si proponga tanto di dire: “Io non devo ubriacarmi”, ma proponiti di cercare Dio, poi vedrai che in un modo o nell’altro Dio ti libererà. Ma se tu ti proponi di non ubriacarti, farai dei salti mortali ma poi all’ultimo fai uno sforzo enorme e alla fine pensi sempre al vino: e lì sei fregato!

Emma: Ma qualunque cosa che uno fa, la dovrebbe fare nel Pensiero di Dio. Per esempio anche se uno non ha voglia di fare una cosa, però ha il dovere di farla, se si chiede a Dio di risolvere il problema, si risolve!

Luigi: Sì, lo so, Dio ci risolve tutto perché è Dio l’Operatore, l’importante è che noi facciamo conto su di Lui. Però, come dico, l’importante non è nemmeno il vedersi risolti certi problemi; l’importante è impegnarci nell’essenziale.

Ora, per che cosa sei stato creato? Per conoscere Dio; cosa faccio io per conoscere Dio?

Se io non bevo vino, conosco Dio? No! Se non bevo il vino non conosco Dio! Non è un atto magico, per cui se io non fumo la sigaretta, automaticamente conosco Dio; se non bevo vino un bicchiere di vino, conosco Dio! No! Non sta lì! La conoscenza di Dio, che cosa mi richiede? Quali impegni mi richiede? E mi impegno in questo? Questa mia giornata mi servita in qualche cosa a conoscere Dio? Oppure ho fatto soltanto dei problemi morali? E quei problemi morali non ti hanno aiutato a conoscere Dio. Hai imparato, magari, a vivere saggiamente nel mondo, ma quello non ti ha aiutato a conoscere Dio. La conoscenza di Dio, è una cosa diversa! Dico: questo è l’essenziale! Bisogna mettere bene a fuoco: sei stato creato per conoscere Dio! Quindi, rispondi, cosa fai tu per conoscere Dio? Oggi, nella tua giornata, cosa hai fatto per conoscere Dio? Posso rispondere qualche cosa, o no? allora la mia giornata è valida, o non è valida.

Emma: Posso rispondere che ho pensato Dio, che penso continuamente…

Luigi: Va bene, ma questa è la risposta che lei personalmente in coscienza si darà, non si darà, ognuno se lo pensa per conto proprio, non è che lo debba dire, capisci?

Quando ci si impegna a conoscere una cosa, quello richiederà tutto un insieme di pensieri, prima di tutto, e di operazioni per potersi impegnare. In un primo tempo dirà: “Ma cosa devo fare?” e già questa problematica ti mette in movimento in modo positivo.

Emma: Ma non è la prima volta che mi pongo queste domande…

Luigi: Ma io sto parlando in termini generali, infatti non è tanto il problema di porsi le domande, ma il sapere come liberarci da tante cose: “Oh, finalmente mi sono liberato del fumare!”, e va bene, può essere una consolazione nostra, ma il problema non è risolto lì perché magari non fumo però mangio le caramelle…

Nino: Quel problema interessa in quanto uno pensa così di avere una maggiore disponibilità..

Luigi: Quel qualcuno però deve avere ben chiaro l’essenziale: “Io mi debbo occupare là, debbo arrivare là e quindi sgombro il terreno da tutto quello che mi impedisce di arrivare là”. Ecco, l’importante è questo perché se io non ho ben chiaro il problema essenziale in cui debbo impegnare la mia vita, tutto il mio pensiero, io mi accorgo di quello che debbo sgombrare nella mia giornata, di quello che devo far fuori, perché mi ingombrano. Cerco di alleggerirmi di tante cose ma il problema non sta lì.

Il problema è proprio quello di impegnarmi a conoscere Dio perché sarà poi quello che mi darà poi la possibilità di vedere poi tutti gli inconvenienti e di eliminarli.

Per cui: cammina come puoi e ad un certo momento vedrai che la carica dello spirito arriverà talmente potente, ti inonderà in modo tale di gioia che quello scomparirà naturalmente, non esiste nemmeno più la nostalgia.

Nino: Da quando credo ai miracoli, ne ho visti tanti…

Luigi: I miracoli ci sono in continuazione; noi siamo talmente grossolani che non li vediamo: è tutto un miracolo!

Angelo B.: Il brutto è che noi pensiamo che siano opera nostra…

Luigi: Sì, ed è un errore sempre più grossolano…. Se invece noi fossimo capaci a contemplare, vedremmo che Dio è un Artista, ci fa assistere a delle cose che sono opera di un Artista. Cito mio cognato che ha detto che con una malattia Dio ha risolto dei problemi che non sarebbe mai riuscito a risolvere.

Lettura del Vangelo di San Giovanni cap. 3

Dall’esposizione di Luigi Bracco:

Siamo arrivati al termine di questo brano, e quindi ci rimane solo più da meditare questi due versetti: “Il Padre ama il Figlio e tutte le cose ha posto in sua mano. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna, ma chi rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita e la collera di Dio resta in lui”.

Qui i temi sono diversi:

·         prima di tutto Padre e Figlio, l’amore che passa tra Padre e Figlio:

·         poi come in questo amore ci sia il trasferimento di tutte le cose dal Padre nella mano del Figlio;

·         poi credere al Figlio,

·         il concetto di vita eterna e … sono parecchi…

·         il concetto della collera di Dio, che resta in colui che rifiuta di credere al Figlio.

Cerchiamo prima di tutto di vedere l’amore e come mai questo amore che c'è tra il Padre e il Figlio faccia passare, faccia mettere tutte le cose nella mano del Figlio e dovremmo chiederci soprattutto qual è il significato perché tutte le cose che sono dette nel Vangelo sono dette per noi, personalmente per noi, quindi quale significato questa informazione, questo annuncio, questa notizia reca nella nostra vita.

Perché se ci è detto che il Padre amando il Figlio, mette tutte le cose nella mano di Costui, del Figlio, evidentemente è una segnalazione per noi in quanto deve proporci, tutte le opere di Dio sono una proposta, una segnalazione alla quale dobbiamo guardare.

Infatti noi siamo chiamati per vocazione a diventare figli di Dio e Cristo è disceso dal cielo, “Il Figlio di Dio è disceso dal cielo; perché nessuno può salire al cielo se non Colui che è disceso dal cielo”. Il Vangelo ci dice che il Verbo, il Figlio di Dio, è disceso dal cielo per dare agli uomini la possibilità di diventare figli di Dio.

Ora, questo pone subito in contrapposizione noi con il Figlio stesso poiché se Dio Padre pone, amando il Figlio, tutte le cose in sua mano, fintanto che noi non siamo figli di Dio, Dio non pone tutte le cose in nostra mano.

Quindi abbiamo un termometro per misurare il cammino; man mano che la nostra vita si spiritualizza, man mano che la nostra vita, superando l’elemento fondamentale, superando il pensiero del nostro io posto al centro, si avventura nel cielo di Dio, nel mondo delle cose trascendenti, quanto più si avvicina a Dio e quindi nasce, raccoglie, vede tutte le cose da Dio, tanto più riceve il regno di Dio.

Gesù dice ai suoi discepoli: “Dio ha dato a voi il regno”. Man mano che la creatura ascolta, crede al Figlio, (il Figlio è la parola di Dio che giunge a noi), man mano che la creatura ascolta la parola di Dio, non soltanto spiritualizza sé, ma riceve nelle sue mani tutto dal Padre, diventa figlio di Dio.

Quindi questa segnalazione che il Padre ama il Figlio e che dà tutto nelle mani del Figlio, è una segnalazione per ognuno di noi, quasi a dire: “Guarda che se tu diventi figlio, Dio Padre tuo, darà tutto nelle tue mani”.

Ora questo non è per un fine egoistico ma per segnalarci che siamo chiamati a formare una cosa sola con lo Spirito di Dio, ad operare come opera Dio, direi addirittura a partecipare a quella sua opera creatrice, alla sua opera salvatrice, ma tutto questo è una conseguenza del diventare figli di Dio.

Ora, questo avviene attraverso il credere al Figlio. Il Figlio è il Verbo di Dio, il Pensiero di Dio, la Parola di Dio che giunge a noi.

Anche questo però ci indica un altro fatto che è questo: pone tutto nelle mani del Figlio. Per cui che se abbiamo bisogno di qualche cosa, dobbiamo sapere che questo qualche cosa arriva a noi attraverso il Figlio.

Il Figlio chi è? E perché non attraverso il Padre? Perché il Figlio è la Parola di Dio che parla a noi del Padre. Allora, nella misura in cui noi ascoltiamo la Parola di Dio, a noi, nel pensiero del nostro io, giunge la parola di Dio quindi nella misura in cui noi ascoltiamo la Parola di Dio, ecco che questa parola ci fa figli e ci rende degni, quindi capaci di ricevere le cose, i doni di Dio che sono poi…

Il Padre che cosa dona? Amando? Non è che ci sia il Padre e un secondo atto, l’atto di amore, quindi che nel Padre ci sia l’Essere del Padre e l’amore del Padre: l’amore del Padre è il Padre stesso.

Nel Pensiero di Dio l’amore non è altro che la generazione stessa del Verbo.

Cioè l’amore di Dio è voler dare l’esistenza a -, il far essere, il vero concetto di amore è volere il bene dell’altro, volere che l’altro sia.

Quindi il Padre, amando il Figlio, fa essere il Figlio, cioè l’amore verso il Figlio è un far essere il Figlio. Ma il far essere il Figlio, non è altro che comunicare Se stesso, Padre che è Dio, al Figlio, è dono di Sé al Figlio.

Quindi il Padre genera il Figlio, in quanto dona Se stesso al Figlio; man mano quindi che noi cresciamo e diventiamo figli di Dio, questo diventare figli di Dio non ci fa altro che degni di accogliere la Presenza di Dio, la conoscenza di Dio, l’Essere stesso di Dio, la partecipazione di Dio.

Quello che Gesù dice: “Affinché siano tutti una cosa sola, come noi Padre, siamo una cosa sola”. E questa comunione si forma attraverso l’ascolto della Parola di Dio, cioè del Figlio di Dio che giunge a noi.

Dio parla a noi, quanto più noi crediamo nel Figlio, noi partecipiamo e questo diventa vita.

Per cui dice: “Chi crede nel Figlio”, chi crede nella Parola che gli parla di Dio, crede nella Parola, questo credere è già vivere: parla di vita eterna.

Abbiamo visto la volta scorsa il concetto di vita eterna, che non è come un concetto di prolungamento o di opposizione alla nostra vita terrena, ma il concetto di vita vera contrapposto a vita non vera, vita assoluta contrapposta a vita relativa.

Ora la nostra vita non vera ci lascia, in quanto non è vera, ci lascia in quanto ci delude, passa, è soggetta alla morte, e quindi ci convince che quella non è vita.

Invece la vita eterna è vita vera e proprio perché è vita vera è immutabile, non muta più, quindi si va di conferma in conferma.

Ora, chi crede alla parola di Dio, siccome la Parola di Dio è verità, va di conferma in conferma, resta sempre più confermato e quindi abbiamo una vita crescente, non passa quindi attraverso delusioni, attraverso smentite, come passa ad esempio colui che si appoggia su delle cose che sono relative, cose del mondo, parole del mondo.

Quindi ascoltando la Parola di Dio si va in un crescendo, un crescendo che si ampia su un infinito che però è sempre più vero; ci si avvicina quindi alla verità, all’infinito, ma sempre più confermata: e questa è vita. Vita eterna, cioè non più soggetta a smentite.

Invece, chi rifiuta di credere al Figlio, non vedrà la vita.

Ed è logico, perché chi non ascolta la parola di Dio, e Dio si fa sentire anche nei nostri sepolcri, anche nel nostro egoismo, nel nostro orgoglio, anche quando siamo chiusi nel pensiero del nostro io (perché l’onnipotenza di Dio arriva dappertutto), chi non ascolterà la parola di Dio non avrà la vita! non vedrà la vita! In un altro posto Gesù precisa: “Il mondo non può ricevere lo spirito di verità”.

I due termini sono questi:

·         chi crede ha la vita,

·         chi non crede al Figlio non vedrà;

quindi non solo non l’avrà, ma non la vedrà nemmeno.

Per cui riterrà, magari, di essere nel giusto, nel vero, di essere nell’assoluto, perché non ha la possibilità: “Il mondo non può ricevere lo spirito di verità”, cioè non può vedere la verità.

Perché il mondo crede in ciò che vede e in ciò che tocca. Ciò che il mondo vede e ciò che il mondo tocca è il mondo sperimentabile, cioè il mondo soggetto al nostro io e quindi, credendo soltanto in questo, noi ci mettiamo nella impossibilità di poter vedere la verità e quindi di poter entrare nella vita.

Quindi abbiamo proprio una opposizione.

Qui abbiamo il concetto di collera; il quale non è il concetto di collera come se Dio si adirasse, no, anzi San Paolo lì è chiarissimo, nella Prima Lettera ai Romani, dove ci spiega che l’ira, la collera di Dio, non sta in altro che nel lasciare, da parte di Dio, che la creatura segua i desideri del suo cuore.

Dio, quelli che ama, sotto un certo aspetto, li perseguita, cioè sta molto dietro a coloro che Egli ama; perché li corregge, li rimprovera, li ammonisce per poterli attirare verso di Sé.

Invece, verso la creatura che è indifferente verso Dio, anche Dio è indifferente verso la creatura; e cosa significa questo?

Significa che Dio l’abbandona a seguire i desideri del suo cuore.

Per cui la creatura, ad un certo momento, si accorge che tutte le cose vanno per suo verso, secondo i suoi interessi, secondo i suoi desideri e forse invece è proprio quando è abbandonata da Dio!

Ed è Dio che l’abbandona affinché tocchi con mano cosa vuol dire non ascoltare la mia Parola.

Per cui seguendo i desideri del proprio cuore, si arriva al punto, come diceva Gesù, di uccidere, credendo con ciò di essere giusti, di essere onesti, di rendere gloria a Dio.

Questo è il concetto di collera, di ira di Dio.

Il vero concetto di odio non è, il vero concetto di mancanza d’amore non è l’odio, quello in contrapposizione all’amore, non è l’odio, ma direi che è l’indifferenza.

Ora, noi corriamo questo rischio: di entrare nell’indifferenza di Dio, se non ascoltiamo Dio perché più noi ascoltiamo Dio e più entriamo nella partecipazione di Dio; quindi Dio sta molto dietro, perché ama il Figlio; ma è necessario che in noi si veda qualche cosa del Figlio: non fosse altro che l’ascolto della Parola di Dio, l’attenzione a Dio, l’interesse per -.

Ecco, allora abbiamo qualche cosa del Figlio, perché il Figlio è quello che guarda al Padre. Se in noi c'è interesse per -, allora ecco che Dio opera; se non c'è questo interesse per -, c'è indifferenza per Dio.

Ora noi, abbiamo già visto molte volte, siamo delle creature che partono con l'io al centro e che poi, a poco per volta, maturano verso la spiritualizzazione del tutto Dio al centro.

Come noi incominciamo ad entrare nel mondo trascendente cioè nel cielo (il cielo è caratterizzato da questo: che tutto è opera di Dio); fintanto che noi siamo in terra (la terra è caratterizzata da questo: tutto dipende dall’uomo, tutto è relativizzato all’uomo, tutto è in funzione del nostro io).

Ora, Dio opera anche sulla nostra terra, perché la terra, dice Gesù, è sgabello ai piedi di Dio, è il trono di Dio nel cielo; per cui se noi vogliamo conoscere Dio, dobbiamo portarci nel cielo.

Per cui il trono cosa rappresenta: è il trono da cui Egli regna.

Ma se noi vogliamo vedere il Regno di Dio, e quindi conoscere questa regalità di Dio che opera anche in terra, dobbiamo portarci nel cielo, quindi superare il pensiero del nostro io, entrare in questo mondo trascendente, è lì, in questo mondo trascendente, al centro di questo mondo troviamo il trono di Dio, cioè il luogo da cui Dio regna.

Conoscendo questo, noi a poco per volta, capiamo anche il disegno di Dio sulla nostra terra, dove Dio opera su questa nostra terra, facendo giungere la sua Parola; se noi non crediamo alla sua Parola, ecco c'è il distacco.

E allora si verifica questa situazione: noi abbandonati soltanto più ai pensieri del mondo, ai pensieri del nostro io, ai nostri interessi, e qui abbiamo l’ira di Dio; nel campo dello spirito la creatura è morta.

Quindi abbiamo la creatura che, destinata a diventare figlia di Dio, destinata alla nascita, a crescere fino a diventare figlia di Dio, che ad un certo momento dà luogo all’aborto, dà luogo alla deformazione, è la creatura che ha fallito nella sua vita.

In questo processo qui di fallimento, noi possiamo avere diversi aspetti; l’ateismo in cui la creatura considera Dio non esistente, oppure è indifferente.

Oppure in un primo tempo abbiamo la creatura che tende a strumentalizzare Dio, e abbiamo già una funzione in cui c'è la creatura che non è più in ascolto di Dio, ma la creatura che tende a strumentalizzare Dio, a servirsi di Dio.

Siamo nel campo dell’educazione ad imparare ad essere con Dio.

Ma qui abbiamo un essere con Dio, in un modo sbagliato, perché noi possiamo essere con Dio:

·         possiamo essere con Dio cercando di strumentalizzare Dio a noi stessi;

·         possiamo essere con Dio vedendo Dio quasi come un nemico

·         e possiamo invece considerare Dio con indifferenza;

siamo nel campo pieno dell’ateismo, Dio è lontano, o è considerato come un essere inesistente.

Sono le forme della creatura che non matura più verso lo spirito, ma che sta deformando o che sta abortendo.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Nino: L’ira di Dio consiste nell’indifferenza da parte di Dio verso coloro che hanno rifiutato Dio.

Luigi: No, che ha rifiutato di ascoltare la Parola di Dio, la Parola di Dio che giunge a noi.

Nino: Ad esempio Hitler, che credeva di essere Dio in terra, che ha rifiutato l’esistenza di Dio, non pensi che Dio abbia voluto, magari alla fine della vita, redimere anche lui?

Luigi: Sì, Dio opera sempre, anche quando ci abbandona ai desideri del nostro cuore, Lui abbandona la creatura perché è un’opera d’arte da parte Sua, per cercare di salvarla. È un abbandono relativo..

Nino: Sembra che a certe persone tutto vada bene e poi ad un certo punto hanno il crollo..

Luigi: Certo, è lì la lezione di Dio. Perché in un primo tempo Dio ci sta dietro con le sue parole, ci manda i suoi annunci, i suoi richiami. Se noi aderiamo, se noi crediamo, e questo è il Figlio che opera, se noi aderiamo, allora incomincia tutto il travaglio della vita spirituale, per spiritualizzare la nostra vita dietro queste parole; perché queste parole diventano un sentiero, una strada, che poco per volta ci porta a convincerci della necessità del superamento del nostro io, ma non solo del nostro io ma di tutto il mondo che dipende dal nostro io.

Perché se il nostro io è al centro del nostro mondo, il superamento del nostro io richiede anche il distacco e quindi il superamento di tutto un mondo che ha per centro il nostro io.

Per incominciare a portarci sui sentieri del trascendente, del cielo.

Ora, sui sentieri del cielo noi abbiamo soltanto più un Maestro unico, che è lo Spirito stesso di Dio, che è il Figlio stesso di Dio che ci porta al Padre, e che è lo Spirito Santo; quindi non abbiamo più altre lezioni.

Quindi abbiamo detto che i motivi che ci guidavano in terra, cadono, non ci sostengono più; anche le stesse parole che sentiamo, mentre prima ci potevano servire come norma, come morale, non ci servono più; perché abbiamo bisogno di tradurre.

Ad esempio il verbo mangiare; fintanto che noi siamo in terra, abbiamo i piedi in terra, il verbo mangiare è facilissimo, si capisce, è un’operazione naturale con la quale noi ci nutriamo, assimiliamo.

Ma come noi entriamo in cielo, e ci occupiamo delle cose di Dio, il valore del mangiare ha bisogno di essere ritradotto, abbiamo bisogno di una terminologia nuova, abbiamo bisogno di capire che cosa vuol dire mangiare secondo lo spirito.

E così tutte le cose, perché tutte le cose vengono spiritualizzate con Dio, nel Pensiero di Dio.

Ora, ascoltando il Pensiero di Dio, noi siamo portati a spiritualizzare tutto il mondo, a ritradurre tutto il mondo ma in termini divini, secondo lo Spirito di Dio.

Perciò cerchiamo le cose secondo Dio, questo raccogliere in Dio; non basta più che le cose si riferiscano al nostro corpo per essere intellette, per cui mangio un pezzo di pane e capisco perfettamente cosa vuol dire mangiare un pezzo di pane, lo riferisco al mio corpo.

Se io invece ascolto il Figlio che mi dice di mangiare un pezzo di pane, questo mi crea un travaglio perché fintanto che non vedo cosa vuol dire, cosa Lui mi vuol dire mangiare un pezzo di pane nello Spirito di Dio, io non so più soddisfatto.

Sono soddisfatto nel senso terreno di mangiare un pezzo di pane, ma non sono soddisfatto a mangiare il pane di Dio.

Ho bisogno di capirlo spiritualmente, intellettualmente, secondo lo Spirito di Dio.

E così per tutte le cose, per tutte le operazioni che avvengono nel mondo!

Devono essere ritradotte dal nostro spirito con lo Spirito di Dio, per essere viste in Dio, nella vita. Il Signore parla addirittura di “consumazione” che avviene nell’uomo, di tutto l’universo; è una consumazione di tutto l’universo nell’unità di Dio; “affinché siano tutti consumati nell’unità”.

Perché più noi consumiamo l’universo in questa unità, e più formiamo una cosa sola con Lui, con Dio. Noi restiamo raccolti, uniti a Dio, nella misura in cui raccogliamo in Dio; più noi raccogliamo in Dio e più siamo raccolti e restiamo raccolti.

Mentre meno noi raccogliamo e più siamo dispersi nelle cose, portati via dalle cose.

Quest’opera di raccoglimento avviene in quanto siamo già penetrati nel cielo di Dio, abbiamo già presente Dio, siamo già con Dio.

Se invece noi non aderiamo alla Parola di Dio, non aderendo alla Parola di Dio, si crea questo distacco.

Con questo non è che noi già siamo nell’inferno, Dio opera ancora! Ma opera lasciandoci seguire quello di cui noi siamo convinti, perché ormai abbiamo trascurato la sua Parola, il suo richiamo, “Allora, tocca con mano! Ho abbandonato l’uomo ai desideri del suo cuore! Faccia pure quello che vuole”.

Allora l’uomo vede che tutte le cose vanno secondo i suoi desideri; crede di avere la benedizione, e pensa: “La mia volontà non conosce ostacoli!”, ecco l’esaltazione.

Ma più l’uomo si esalta e più arriva il momento del crollo!

Perché soltanto toccando la vetta allora l’uomo scopre l’errore, il fallimento che ne consegue.

Questo è l’esempio di Mussolini e Hitler, direi, non tanto per loro, perché non possiamo giudicare; può darsi che siano in cielo e che siano santi! Non possiamo giudicare!

Tu dicevi che loro sono stati molto più peccatori di noi. Io direi che non possiamo dire una cosa così. Anche se è stata coinvolta una massa di gente, tutto è opera di Dio.

Un atto di egoismo verso un mio fratello equivale a ciò che hanno fatto loro.

Questa è un’opera grandiosa, massiccia, perché noi siamo diventati tanto grossolani che abbiamo bisogno di opere mastodontiche per capire qualche cosa, e non siamo più capaci ad intendere la lezione della formichina o la lezione umile della povera creatura o del povero che il Signore ci fa trovare per la strada.

Allora ecco che Dio ci manda queste grandi lezioni, così imponenti, magari un terremoto che ti sconquassa tutto, lezioni shoccanti.

Ecco però in Dio tutte queste cose, anche l’indifferenza di Dio, quella che la Bibbia chiama ira di Dio, collera di Dio, bisogna tradurla in questo senso essendo opera di Dio.

Perché la creatura non avendo più aderito alla Parola di Dio, non riceve più la Parola di Dio, e quindi l’unica lezione che può ricevere, è l’esperienza di quello di cui è convinta.

Tu sei convinto che le bignole siano una grande gioia? Mangia un chilo di bignole, prenderai mal di pancia e toccherai con mano che non era il tuo bene.

Per cui si sente dire: “Se Dio non ci avesse dato i comandamenti, la legge, come saremmo liberi!”, ma provate a fare come se non ci fossero questi comandamenti! Seguite tutti i desideri del vostro cuore! Ad un certo punto il Signore dice: “Cancella i comandamenti, non pensarci, segui tutte le tue voglie, toccherai con mano cosa vuol dire avere per re un uomo anziché avere per re Dio!”.

La cosa non è peccato perché Dio l’ha proibita, è peccato nel senso che ti sta rovinando, ti rovina completamente!

Allora questi peccati sono dei paracarri; “Ah, come sarebbe bello se non ci fossero i paracarri!”, prova a camminare come se non ci fossero i paracarri e vedi dove vai a finire! Noi non ci rendiamo conto! L’ira di Dio è Dio che dice: “Va bene, tu non mi vuoi dare retta? Segui, tocca con mano e così constaterai!”.

Anche questa è opera di misericordia di Dio per salvarci. Sempre in tutto quello che accade!

Nino: Diciamo che è un’indifferenza apparente!

Luigi: Certamente perché in senso assoluto non c'è l’indifferenza! C'è l’indifferenza nel senso che Dio non ti sta più dietro con il suo pungolo, con la sua Parola, che ci dà fastidio!

Potessimo essere liberi!”, “Vuoi essere libero? Sii libero e tocca con mano cosa vuol dire essere libero!”. L’uomo autonomo, l’uomo che non ha più qualcuno che lo ami.

Il fastidio che si prova ad avere una mamma, qualcuno che ti vuole bene, prova ad essere solo! E vedrai cosa vuol dire! Hai toccato con mano! Quando hai toccato con mano dirai: “Ah, se potessi ancora avere qualcuno che pensa a me!”.

Nino: L’uomo che si allontana da Dio sente anche la solitudine nel mondo.

Luigi: Certo, perché anche la possibilità di partecipare tra noi, creature con creature, ci è data in quanto abbiamo Dio, in quanto abbiamo presente Dio. In caso diverso, l’uomo nel suo io, diventa un centro di egoismo, e quindi diventa una fuga. Lui fugge da tutti, ma tutti fuggono da lui! Perché se noi fossimo sinceri e onesti, vivendo nel pensiero del nostro io, noi dovremmo sempre dire al nostro prossimo: “Guarda che io cerco di fregarti, perché io penso soltanto a me stesso!”, però noi ci mettiamo dei paraventi, delle etichette, dei nomi di ideali, ci camuffiamo, ma ad un certo momento il gioco viene fuori.

E come il gioco viene fuori…. È come il tale che ti vuol vendere una cosa fasulla, ti frega una volta ma non più la seconda. Vedi che si crea la fuga?

Quindi più uno cerca di essere, di pretendere, di strumentalizzare gli altri, di essere egoista, più crea una fuga!

Per cui se vuoi che il mondo ti vada dietro, tu non cercare di tenere il mondo, lascia che vada! Vivi per Dio e ti accorgerai che “Chi eleva a sé eleva il mondo” il motto di tutti i santi.

Per cui noi più corriamo dietro il mondo, e più il mondo scappa, perché si accorge che noi cerchiamo di strumentalizzarlo; più invece trascuriamo il mondo per cercare Dio, e più tutto il mondo ci viene dietro!!! La grande lezione dello Spirito sta lì: cerca prima di tutto Dio; non scorrere terre e mari per fare dei proseliti, preoccupati di entrare tu nel Tempio, perché se tu entri nel Tempio, ti accorgerai che tutti incominceranno ad andarti dietro.

Perché ognuno di noi è spettacolo, ma spettacolo di cosa?

Di quello che cerca prima di tutto; ora, se io mi metto a cercare l’altro, l’altro scappa perché pensa: “Questo qui vuole strumentalizzarmi, vuole possedermi”. Se invece io cerco qualcos’altro, il mondo si domanda: “Cosa sta cercando quello lì?”. È l’interesse per -.

È ciò che cerchiamo nella nostra vita, che rende testimonianza, che dà spettacolo al mondo. Quindi, se noi sinceramente cerchiamo Dio, siccome che gli uomini soffrono sostanzialmente perché non trovano Dio, non vedono Dio, vedendo qualcuno che cerca Dio, ecco allora tutto il mondo incomincia ad andargli dietro. “Chi eleva sé, eleva il mondo!”.

Eligio: Dio non può essere soggetto di indifferenza..

Luigi: Si, da parte di Dio è un’opera d’arte. Ho usato il termine “indifferenza” per ovviare al termine “ira” che è una passionalità che non c'è in Dio. Poi San Paolo stesso dice parlando di se stesso (usando un altro termine): “L’ho abbandonato a Satana” parlando di uno che…”affinché toccasse con mano”. e Dio stesso parlando ai Romani dice: “Poiché non hanno dimostrato di apprezzare la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati a seguire i loro desideri”. Ecco la differenza: Dio abbandona, lascia che la creatura segua i desideri del suo cuore. Come il padre che ha un figlio che a tutti i costi vuol toccare la stufa, ad un certo momento gli dice: “Tocca, prova..” non perché sia indifferente ma perché il figlio esperimenti e si renda veramente conto e non abbia più un domani a sbagliare, a bruciarti in modo definitivo.

Eligio: Il Padre ha dato tutto al Figlio, quindi anche a noi vuole darlo. Cosa s’intende per questo “tutto”?

Luigi: È Lui, il Padre, Dio. È Lui! Il Tutto è Lui perché siccome Dio è l’Essere, non c'è qualcun altro, il Tutto è Lui.

Eligio: Più noi diventiamo figli di Dio, più possediamo questo “tutto”.

Luigi: Perché Dio stesso diventa il nostro “tutto”. Quando una persona ama tanto dice: “Tu sei il mio tutto!”. Ad un certo momento Dio diventa veramente il nostro tutto.

Eligio: Perché doveva darlo al Figlio? Il Figlio già lo aveva…

Luigi: Lo dice per due motivi:

·         1° per insegnare a noi che il “tutto” arriva a noi da suo Figlio, parla per accentrare la nostra attenzione; affinché noi sappiamo che il “tutto” lo riceviamo solo dal Figlio: “Nessuno può salire al Padre se non Colui che discende dal Padre”. “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (usa sempre la stessa terminologia).

·         2° per insegnare a noi che soltanto diventando figli riceviamo il “tutto”.

Il “tutto” è Dio che deve diventare nostro “tutto”, come oggetto d’amore.

Allora, diventando Lui il nostro tutto, nel tutto di Dio abbiamo tutto. Per cui più ci eleviamo al cielo e più noi conquistiamo la terra. È assurdo che uno cerchi di conquistare la terra, dandosi tanto da fare. No! la terra si conquista andando in alto. Più tu vai in alto verso il cielo, e più tu possiedi veramente la terra. Più tu ti dai da fare in senso orizzontale e più perdi, perdi te e perdi la terra.

Eligio: Pensavo al “tutto” come quel tanto di conoscenza da comunicare agli uomini che gli uomini possano comprendere. Invece il “tutto” è proprio la Persona di Dio stesso.

Luigi: Il tutto è la Persona di Dio che deve diventare il nostro tutto.

Riepilogo capitolo III

Il Vangelo ci presenta il passaggio dalla cacciata dei mercanti dal Tempio, all’episodio di Nicodemo per farci approfondire l’argomento della rinascita sulla quale Dio costruirà il suo Tempio.

Molti vedendo i miracoli che faceva, credettero nel suo nome, ma Gesù non si affidava ad essi perché li conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli facesse conoscere l’uomo perché Egli stesso sapeva quello che vi è nell’uomo”.

Cioè Gesù non si affida, non si manifesta a coloro che credono perché vedono i suoi miracoli; essi sono nel pensiero del loro io, vengono a Gesù sospinti dallo straordinario e non dalla fame di Dio.

I tema: la notte di Nicodemo v.1-4 Bisogna rinascere per vedere.

Anche Nicodemo appartiene a questa categoria di uomini che credono a causa dei miracoli e non sospinti dalla giustizia essenziale: sono un terreno sabbioso su cui Gesù non può costruire il suo Tempio per farci sperimentare la sua Presenza.

Gesù contraddice Nicodemo e gli propone una rinascita (mettere Dio al centro): condizione essenziale per entrare e per vedere il regno di Dio, condizione per essere terreno solido.

Nicodemo arriva a Gesù attraverso la notte: simbolo del travaglio di tutto l’Antico Testamento che forma in noi la fame per conoscere Dio.

A seconda dell’esito abbiamo tre tipologie di anime:

·         Nicodemo arriva a Gesù dicendo: “Noi sappiamo” e Gesù lo sconfessa facendogli toccare la sua cecità:

·         Abbiamo il giovane ricco che, arrivando dalla sua notte, incontra Gesù dicendo: “Maestro buono!”, ma è rimproverato da Gesù per il suo parlare non è autentico, infatti al momento della scelta rivela che il suo buono è la ricchezza;

·         E poi abbiamo il cieco di Gerico che invoca la luce (poiché è nella notte) ed è confermato da Gesù: “La tua fede ti ha salvato!”; è l’uomo autentico che arriva a Gesù sospinto dalla sua povertà e dalla fame di Dio, dal bisogno di luce.

Nicodemo arriva a Gesù dicendo: “Noi sappiamo”, cioè “Io capisco!” (parallelo con “Maestro buono” del giovane ricco) ma Gesù lo rimprovera e lo ripiomba nella notte: “Chi non nasce dall’altro non può vedere”.

Lo ripiomba in una notte che deve condurlo ad invocare la luce.

Nicodemo dice: “Rabbi, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio come maestro; nessuno infatti può fare i miracoli che fai tu, se Dio non è con lui”.

Apparentemente sembra che Gesù non gli risponda:

Chi non nasce di nuovo non può vedere il regno di Dio”.

Andando a fondo, Gesù gli risponde a tono perché corregge il criterio di giudizio di Nicodemo. (parallelo col giovane ricco: “Perché mi dici buono?”)

Nessuno può vedere se non rinasce da Dio”: ecco la pietra fondamentale su cui costruire l’edificio.

Nel pensiero del nostro io non possiamo vedere la verità.

Gesù invitava Nicodemo a non aver fiducia in quello che sapeva, ma a cercare presso di Lui la vera luce. (che è quella che cercò il cieco di Gerico).

Nicodemo dice: “Noi sappiamo…” ma a confronto con Gesù rivelerà di non sapere niente: “Tu sei maestro in Israele e non conosci queste cose?”.

Gesù incontrando Nicodemo mette a posto le cose perché lo conduce a interrogare, e incomincia a tenere le sue lezioni di rinascita.

Incontrando il Cristo, se non abbiamo ricevuto bene la lezione dell’Antico Testamento, della nostra notte, ma abbiamo creduto di vedere, Cristo ci dà la prima lezione che consiste nel ripiombarci nella notte, quindi di farci sperimentare la nostra cecità: “Io sono venuto affinché quelli che credono di vedere, diventino ciechi”.

L’uomo che crede di avere la luce in sé, incontrando Cristo trova la notte, affinché incominci ad invocare la luce.

Se invece abbiamo ricevuto bene la lezione dell’Antico Testamento, della nostra notte, per cui sospiriamo il giorno, ecco che Gesù: “Lui viene per dare luce a coloro che sono ciechi”: l’uomo cieco, incontrando Cristo, trova la luce.

Nicodemo incontrando Cristo dice: “Nessuno può fare i miracoli che fai tu, se Dio non è con lui”, come anche il giovane ricco dice: “Maestro buono” ma Gesù non accetta esaltazioni non giustificate nella verità.

Ci sono dei demoni che dicono: “Noi sappiamo che tu sei il Figlio di Dio” ma Gesù non vuole che lo dicano, come non vuole essere fatto re dopo la moltiplicazione dei pani ed è proprio lì che si vede il carattere della divinità.

Gesù non si affidava loro” perché non c'era il terreno buono per costruire anche se apparentemente c'è una sottomissione.

La sottomissione che Gesù accetta è quella senza condizioni, autentica, quella del cieco di Gerico che riconosce il proprio niente e invoca: “Signore che io veda!”.

II tema: I due mondi, le due nascite vv. 5-6

“…. Chi non rinascerà dall’acqua e dallo spirito non entrerà nel Regno di Dio.

Ciò che è generato dalla carne è carne, ciò che è generato dallo spirito è spirito”.

Prima Gesù aveva detto: “Se uno non nasce di nuovo non può entrare nel Regno di Dio”; ora precisa: “Chi non rinascerà dall’acqua e dallo spirito non potrà entrare nel Regno di Dio”. (entrare = vedere).

Quando Gesù parla della fatica per entrare nel Regno di Dio, dello sforzo necessario, intende l’arrivare a vedere, perché Dio regna già in tutto, ma noi non lo vediamo.

Ci sono due mondi: uno materiale e uno spirituale.

Da cosa possiamo capire l’esistenza del mondo spirituale se non lo vediamo?

Dal fatto che tutto quello che noi vediamo è relativo (tutto passa)

Dal fatto che il mondo superiore si annuncia nel mondo inferiore, ma non si rivela.

Interferenza dei due mondi:

·         interferenza soggettiva,

·         interferenza oggettiva.

L’interferenza soggettiva: è reversibile, cioè più facciamo crescere lo spirito e meno pesa la materia; più facciamo crescere la materia e meno pesa su di noi lo spirito.

L’interferenza oggettiva (e qui nasce il concetto del tempo), ed è irreversibile, il mondo spirituale tende a spiritualizzare la materia, ad assorbire tutto.

Le due nascite:

·         una imposta, quella naturale;

·         una proposta, quella spirituale che richiede il superamento dell’io.

III Tema: Il vento soffia vv. 7-8

Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere di nuovo. Il vento soffia dove vuole e tu ne senti la voce: ma non sai né di dove viene né dove va. così è di chiunque è nato dallo spirito.

 

Gesù paragona il rapporto tra i due mondi al vento che soffia, che si fa sentire ma non sappiamo né da dove arriva né dove vada.

Il vento è un annuncio, è una proposta. Se aderisco al vento arrivo a capire il significato dei segni.

È necessario il lavoro di raccolta e di assimilazione, di personificazione.

Il vento ci invita a superare il nostro io (brezza, tifone, uragano).

IV tema: “Così è di chiunque è nato dallo spirito” v. 8 (II)

Chi è nato dallo spirito è come il vento: il mondo lo vede operare, ne sente la voce ma non sa, non può capirlo perché chi è nato dallo spirito ha in se stesso la ragione del suo operare.

Gesù dice: “Non ti meravigliare se il mondo superiore si fa sentire nel mondo inferiore senza che questo lo capisca!”.

V Tema: “Come mai può avvenire questo?” vv 9-10-11

É una domanda per provocare una spiegazione da parte di Gesù: “cosa mi dici? Come può un uomo anziano rinascere? Non può cambiare e rinascere!”

quando invece Gesù parla del tema del vento che soffia, Nicodemo coglie che si tratta di un argomento dello spirito ma non ne afferra il contenuto.

Gesù ritorna sul tema della rinascita.

La rinascita è una rinascita continua, non è intesa come andare indietro, ma come andare avanti verso Dio. La reversibilità continua è la prima caratteristica del mondo spirituale.

Nel mondo materiale le cose sono irreversibili: il tempo passa a senso unico.

La seconda caratteristica di questa nuova nascita è: chi nasce dallo spirito ha in se stesso le motivazioni del suo operare.

VI Tema: Cose della terra e cose del cielo v. 12

Se dunque vi parlo di cose della terra non credete, come crederete quando vi parlerò delle cose del cielo?”

Le cose della terra dipendono da noi, si possono sperimentare;

Le cose del cielo non dipendono da noi, si possono solo capire.

La comprensione delle cose del cielo è subordinata alla comprensione del senso delle cose della terra, cioè delle cose che dipendono da noi e che dobbiamo riferire a Dio per intendere il significato.

Gesù parla a noi in parabole: seminatore, vento, nascita…, sono cose che sperimentiamo nel pensiero dell’io, però al termine ci dice: “Viene il giorno in cui non vi parlerò più in parabole ma apertamente vi parlerò del Padre”.

Ci sono due modi di comunicare: il primo ci conduce al secondo.

Se non crediamo alle cose della terra che ci dicono: “Supera te stesso e anche noi, cerca altrove!” e non capiamo le lezioni di queste, non arriviamo a capire il significato delle cose del cielo.

Credere ai segni significa desiderare di conoscere ciò che Dio vuole significare di Sé nei segni, capire la lezione. Dopo si scartano i segni, ma dopo aver capito la lezione.

VII Tema: “Nessuno è salito in cielo se non Colui che è disceso dal cielo” v.13- 14

Nessuno è salito in cielo se non Colui che disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo che è in cielo. E come Mosè innalzò il serpente così deve essere elevato il Figlio dell’uomo affinché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna”.

Il cielo si fa terra perché la terra possa salire al cielo, cioè non bastano i nostri sforzi per arrivare al cielo. Per questo Lui si incarna, assume il nostro linguaggio, non per darci ragione, ma per portarci al cielo.

Non basta che Lui si sia incarnato, bisogna che ciascuno di noi Lo metta in alto (come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così…).

La frase giusta è: “Affinché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna, è necessario che il Figlio dell’uomo sia innalzato”. Cioè non basta credere in Lui per avere la vita eterna; bisogna mettere in alto il Verbo di Dio che parla in noi, solo così Dio ci libera e ci risana dai veleni del mondo.

Poi hai toccato un secondo punto: “Nessuno è salito al cielo, se non Colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo che è in cielo”.

Questo Gesù lo dice per evidenziarci di non attribuire a noi la fede, il desiderio, l'amore, perché è Lui che ci fa capaci di pensarlo, è Lui che ci attira, non siamo noi che dobbiamo salire, ma solo rispondere alle sue sollecitazioni.

In quanto è Lui che si fa pensare, e si annuncia, è il cielo che discende sulla terra, è un segno che ci chiama a salire al cielo, è un segno che vuole donarsi; ma noi possiamo salire in cielo solo con Lui, è Lui solo che può rivelarci il Padre: rivelarci il Padre vuol dire farci salire in cielo.

Quindi bisogna seguire il Cristo, ascoltare le sue parole e comprenderle, permanendo nell’ascolto.

VIII Tema: Il parlare delle cose della terra v.15

Se non capite le cose della terra, come capirete le cose del cielo?”. Le cose della terra sono le cose che si possono sperimentare, quelle del cielo che non si possono sperimentare. La comprensione delle cose del cielo è subordinata alla comprensione del senso delle cose della terra, cioè quelle che dipendono da noi e che dobbiamo riferire a Dio per intenderne il significato.

Gesù ci dice anche: “Se non siete fedeli nelle cose ingiuste, (cioè quelle che non sono nostre, attribuendole a Chi si deve), chi vi affiderà quelle giuste?”, cioè la Verità? Cioè “Se non siete fedeli nel poco, chi vi affiderà il molto?”; la fedeltà nel poco è la condizione per ricevere il molto, cioè la Verità.

La fedeltà nel poco sta in questo: nell’attribuire, nel riferire a Dio, prima di tutto nel ricevere tutto dalle mani di Dio e poi nel riportare a Dio tutte le opere di Dio: è la giustizia essenziale.

Quando che Gesù dice: “Chi non rinasce per acqua e per Spirito non può vedere il Regno di Dio”…per rinascita dall’acqua intende la giustizia essenziale.

Poi c'è un’altra rinascita che è quella dallo Spirito: la conoscenza di Dio che avverrà poi a Pentecoste.

Tutto il parlare di Gesù è un parlare di cose della terra, del vento, del seme, ci parla nel pensiero del nostro io, ci parla di cose che sperimentiamo, di segni, di parabole. Al termine della sua vita dice: “Verrà il giorno in cui non vi parlerò più in parabole, ma apertamente vi parlerò del Padre”.

Cioè ci sono due parlare di Gesù: il primo è per portarci al secondo. Se non crediamo al segno che ci invita al superamento dell’io, se non crediamo alla funzione delle cose della terra, se non comprendiamo questa lezione delle cose della terra, non arriviamo a capire le cose del cielo, cioè il loro significato. Tutte le cose della terra ci dicono: “Supera te stesso e anche noi, cerca altrove”. Questo vuol dire credere ai segni, cioè desiderare di conoscere ciò che Dio ci vuole significare di Sé nei segni, capire la lezione; dopo aver capito la lezione si scartano i segni. A questo livello Dio significa Se stesso, si annuncia e ci invita a trascendere il segno. Si annuncia ma non si rivela, si rivela solo se c'è questo superamento; attraverso le parole si arriva al pensiero, la manifestazione del Verbo. Poi abbiamo parlato anche dell’ambiguità dei segni perché significano qualcosa di noi e qualcosa e di Dio e il rischio è di vedere solamente noi.

Riepilogo

Siamo nella seconda parte dell’incontro con Nicodemo e Gesù gli sta spiegando come avviene la rinascita secondo lo Spirito.

Ricapitoliamo un momento: Gesù aveva proposto la nascita secondo lo Spirito come condizione per poter vedere le cose del Regno di Dio, cioè per poter vedere la Verità; fintanto che questa rinascita qui non avviene per ognuno di noi personalmente, noi non vediamo la Verità, non vediamo che cos’è il Regno di Dio, anche se le cose del Regno di Dio si annunciamo nella nostra vita.

Le cose arrivano a noi come il vento che soffia, noi le avvertiamo però non possiamo comprendere; per comprendere è necessaria questa rinascita.

È in questo secondo tempo dell’incontro con Nicodemo, Gesù ha spiegato, ha fatto capire la necessità che l'uomo ha ad innalzare l'annuncio, il Verbo di Dio che giunge a noi, che parla a noi, affinché attraverso questo…

Perché non basta credere, o per lo meno, se noi intendiamo veramente cosa significa credere, il credere è già un innalzare, ma non basta credere come noi solitamente intendiamo.

È necessario mettere in alto il Pensiero di Dio, la Parola di Dio, farla oggetto di tutto il nostro interesse, di tutta la nostra attenzione, perché soltanto in quanto la mettiamo prima di tutto, questa ci conduce alla vita eterna.

Già nell’Antico Testamento si diceva preannunciando queste cose, già si diceva: “Mi cercherete e mi troverete quando mi cercherete con tutto il vostro cuore”.

C'è ancora un altro passo della Bibbia che dice: “Mi cercarono con i loro bagagli, con i loro pesi, ma non mi poterono trovare”. Questo per dire che può esserci una ricerca di Dio o un interesse per le cose di Dio, ma fintanto che questo interesse lo portiamo avanti tra tanti altri interessi, quindi noi cerchiamo Dio ma portandoci dietro i nostri bagagli, non possiamo arrivare a conoscere Dio.

Allora ci sono tutte queste lezioni della vita che tendono a portarci, a convincerci della necessità di lasciare: “Va, vendi tutto quello che hai”, lascia, lascia per poterti occupare essenzialmente, per poter quindi avere questa disponibilità di animo, questa disponibilità di mente, cioè per poter permanere nell’ascolto fino alla rivelazione della presenza di Dio, del Verbo di Dio, cioè fino al frutto. Perché come abbiamo detto, il difetto nostro, di ogni uomo, è quello di saltare da un argomento all’altro, da un ascolto all’altro, cioè di non permanere in questo ascolto fino ad arrivare alla conclusione, fino ad arrivare al termine, al Verbo di Dio.

Allora è per questo che la sapienza dice: “Mi troverete se mi cercherete, quando mi cercherete con tutto il vostro cuore, con tutta la disponibilità della vostra mente, del vostro cuore all’ascolto”.

Ecco, questa disponibilità vuol dire questa permanenza fino ad arrivare alla conclusione che è rivelazione del pensiero di Dio, del Verbo di Dio, cioè è la vita vera, quindi eterna che non muta più. C'è un’uguaglianza tra vita vera e vita eterna; vita vera = vita eterna per si contrappone alla nostra vita attuale che non è eterna perché non è vera, perché è una vita solo apparente, non è la vera vita.

X Tema: Dio ha tanto amato v. 16

Dopo averci parlato di quello che l'uomo deve fare, cioè innalzare la parola di Dio che giunge a noi, il Verbo di Dio, propone quella che è l'opera di Dio.

Prima ha presentato l'opera dell’uomo, ciò che l'uomo deve fare nei riguardi di ciò che gli arriva, e poi aggiunge: “Poiché Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio Suo Unigenito affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia la vita eterna”.

Anche qui mettiamo subito in evidenza qual è la proposizione principale, qual è l'argomento principale ed è sempre la seconda parte, questa: “Affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia la vita eterna”.

Allora Dio per dare all’uomo, al mondo la possibilità di arrivare alla vita eterna, “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio Unigenito”.

Intanto ci fa capire questo: Dio opera per condurre il mondo alla vita eterna, cioè per condurre il mondo a questa vita vera, noi vedremo poi verso il termine del Vangelo di San Giovanni la precisazione che vita eterna è conoscere Dio come vero Dio.

Quindi Dio opera per condurre la sua creazione, il mondo, alla conoscenza della Verità che la conoscenza di Dio come vero Dio.

E questo lo chiama come amore di, amare vuol dire partecipare se stesso, vuol dire farsi conoscere, vuol dire rendere l'altro partecipe di ciò che uno ha, di ciò che uno è.

Gesù che viene a portare la vita dice: “Il Padre mi ama perché io do la vita”.

Il dare la vita non è il suo sacrificio, il dare la vita è dare alle creature, agli uomini, dare ad altri ciò che uno ha, la vita che Egli ha; la sua vita era il Padre.

Ora il Figlio di Dio viene per dare all’uomo, ad ogni uomo, la possibilità di godere di ciò di cui Egli gode, cioè quella conoscenza, quella intimità con il Padre, quindi quella vita vera, quella vita eterna contrapposta alla nostra vita non vera, di cui Egli gode: è questo il dono.

L'anima di tutto il Cristo è il Pensiero del Padre; l'anima di tutto il Vangelo è il Pensiero del Padre per cui noi intendiamo male il Vangelo quando lo leggiamo soltanto per dedurne delle norme di vita pratica, o delle norme di vita sociale o delle morali.

No, l'anima di tutto il Vangelo e l'anima di tutta la vita di Cristo è il Pensiero del Padre, la conoscenza del Padre.

Per cui noi dobbiamo sempre leggere tutte le lezioni di Cristo e anche tutti gli avvenimenti, tutti i fatti della vita del Cristo, dobbiamo sempre leggerli in questa chiave: “Che cosa mi fa conoscere il Padre?”.

Perché Lui opera per darci la vita, la sua vita, e la sua vita è il Padre.

Per darci il cuore; quando si parla del cuore del Cristo. Il cuore del Cristo è il Padre.

Ora Lui ci comunica questo, e questo è il vero amore: il vero amore è dare all’altro la possibilità di attingere a quella vita che uno ha, quindi di partecipare, di rendere l'altro partecipe. Ma per far questo è necessario, e questa è la vita eterna, da parte nostra, l'esaltazione del Pensiero di Dio, questo mettere Dio al di sopra di tutto.

XI Tema: Il Figlio non è venuto per giudicare ma per salvare v. 17

Versetto 17: “Dio non ha mandato suo Figlio per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui”.

Come ci fermiamo a pensare a Dio, scopriamo la nostra miseria; e questo ci sembra una condanna, e più rimaniamo nel pensiero del nostro io e più ci sentiamo condannati dal Pensiero di Dio.

Invece Dio ci ha dato il suo Pensiero per salvarci, non per giudicarci; dobbiamo vedere l'opera di Dio non come un giudizio, ma come un invito a camminare, sapendo che con Lui tutto è possibile, nonostante il nostro carattere.

Tutto è una proposta di amore, opera del Suo amore, e questo dà fiducia e speranza; tutto la nostra vita è intrisa di questo Verbo di Dio e nulla va visto come giudizio, punizione, ma come lezione di misericordia per invitarci a salire.

Dio ci ha tanto amati da darci il Suo Pensiero, ma non ci ha ancora trasformati in Suo Pensiero, ma ci chiama a diventare Suo Pensiero, cioè figli suoi per adozione, come Gesù.

Perché siamo chiamati a fare una cosa sola con Lui.

Noi corriamo il rischio di disperderci e di perire, anziché diventare pensiero di Dio; la salvezza sta in questo mettere Dio al centro, in questa continua rinascita da Lui.

Dio ci salva convincendoci, non imponendo.

Questo mettere Dio al centro ci porta ad una conversione, ad un accoglimento, che ci porta ad essere tutto pensiero di Dio.

Stando alla sua scuola, Lui ci porta ad essere tutto pensiero di Dio e quindi a vedere il suo Regno, cioè la Verità, ecco la liberazione.

Si diventa cosi pensiero del Padre; tutto il nostro pensare, il nostro parlare, il nostro agire, è opera del Padre, constatando continuamente di essere generati dal Padre.

Concludendo e riassumendo tutto: Dio ci dà il suo Pensiero per darci la possibilità di diventare suo pensiero e lo diventiamo proprio nel Figlio; quindi non ce Lo dà per condannarci ma per salvarci.

Tutto l'argomento di Nicodemo è impostato sulla necessità della rinascita per vedere. Perché Nicodemo era entrato in scena dicendo di vedere e Gesù lo convince di essere cieco e gli dimostra che per vedere è necessario rinascere e rinascere da Dio. Quindi tutto va visto sotto questo argomento: la rinascita da Dio, la vita nuova secondo Dio. Allora anche il deserto deve essere visto in funzione di questa rinascita.

Allora cerchiamo subito di vedere quale sia l'anima del deserto, perché noi possiamo anche essere in un deserto ed avere l'animo pieno di mondo e quindi non è che si è in un deserto.

Allora qual è l'anima del deserto? Il deserto lo definirei in questi termini, pensando anche al deserto in cui Gesù fu sospinto dallo Spirito dopo il battesimo, è il luogo in cui si evidenzia la fame essenziale. Cioè il deserto è distacco da tutto ed è evidenziazione in noi della fame essenziale perché vivendo nel mondo noi magari abbiamo molte fami e non si evidenzia la fame essenziale per cui abbiamo la dispersione di interessi, di forze che è un po’ il dramma della nostra vita in quanto non mettiamo prima di tutto quello che va messo prima di tutto. Ecco allora la necessità del distacco, della solitudine, della prova del deserto.

Quindi il deserto come anima ha questa funzione qui: quella di staccarci dall’interesse di tutte le altre cose, per cui rientriamo in quella beatitudine di cui parla Gesù: “Beati voi quando diranno male di voi, quando vi perseguiteranno, quando sarete gettati nel deserto” perché li si evidenzierà il vero bisogno, il nostro niente, la nostra povertà.

Quindi ecco la funzione di tutto l'Antico Testamento, che è la funzione del deserto e quindi possiamo anche capire perché al centro di tutto l'Antico Testamento abbiamo questo trasferimento del popolo ebraico dall’Egitto per vagare quarant’anni nel deserto.

Che cos’è il deserto? Il deserto è un luogo, oppure una situazione, un avvenimento, che ci porta a staccarci da tutto e ci porta ad evidenziare in noi il nostro bisogno essenziale.

il deserto è questa situazione qui: mettere in evidenza il vero bisogno della nostra vita;

XII Tema: Chi crede non è giudicato v. 18

Cioè è la conferma di quello che già abbiamo detto, che Dio manda a noi il suo Figlio non per giudicarci, quindi non per farci constatare quello che noi siamo, la nostra povertà, la nostra miseria, la nostra schiavitù, ma per salvarci.

Allora è necessario precisare bene in che cosa consiste questo “giudicare” e questo “salvare”. Abbiamo già detto le volte precedenti, che non si parlerebbe di salvezza se non ci fosse una situazione di pericolo, una situazione di rischio.

La domenica del 27 febbraio ci siamo fermati sul versetto 18: “Chi crede in Lui non è giudicato; ma chi non crede è già giudicato perché non ha creduto nel nome del Figlio unico di Dio”. Questa è la conferma del versetto precedente: “Dio non ha mandato nel mondo il suo Figlio per giudicarci ma per salvarci”. Si parla qui di salvezza perché siamo in una situazione di pericolo e di rischio di fallire, di non rinascere, di abortire. Dato che il nostro destino è quello di diventare figli di Dio, cioè tutto pensiero di Dio, la nostra vita principale deve essere il pensiero e l'azione solo un soprappiù, un’espressione di sovrabbondanza. Il nostro lavoro essenziale è quello di diventare tutto pensiero che raccoglie tutto in Dio. Questo è l'essenza della preghiera, è quella la vita essenziale, poiché siamo chiamati a diventare una sola cosa con il Verbo di Dio, a diventare tutto pensiero di Dio. Corriamo però il rischio di disperdere il nostro pensiero dietro alle cose del mondo e questo avviene quando non crediamo in Dio, quando cioè non lo facciamo centro della nostra attenzione, perché abbiamo messo il pensiero del nostro io al centro del nostro vivere. E questo è il vero peccato mortale perché ci conduce alla morte: ecco il rischio in cui ci troviamo. Allora il Figlio di Dio giunge a noi per chiamarci a questa vita essenziale e rendercela possibile “Affinché chiunque crede in Lui non perisca”. Il Figlio di Dio è Colui che ci propone Dio come ricerca prima di tutto; proprio perché è Figlio del Padre, parla a noi del Padre. Se noi crediamo in Dio, aderiamo alla proposta del Figlio e lo seguiamo, se no siamo già giudicati perché rimaniamo schiavi di tutto, dispersi e in balia di tutto. Lui viene appunto per liberarci, per raccoglierci, ma solo se crediamo in Dio, aiutandoci e rendendoci possibile la vita secondo Dio che già desideriamo ma non riusciamo a realizzare. Ci aiuta nella misura in cui restiamo nelle sue parole, cioè le capiamo: “Se resterete nelle mie parole, conoscerete la Verità, e la Verità vi farà liberi”. Ce lo promette, ci convince e ce lo rende possibile; perché Gesù non è solo la Verità, ma è anche la strada, cioè quel tratto che ci congiunge la situazione in cui ci troviamo, qualunque essa sia, con la meta, il Padre.

Congiungerci alla meta, vuol dire renderci possibile arrivare, indicandoci passo per passo che cosa dobbiamo fare; non c'è un tratto di strada interrotto, è questa la salvezza che il Verbo di Dio ci porta, congiungerci alla meta. Se invece non crediamo in Lui, siamo già giudicati perché riconosciamo la situazione di morte in cui ci troviamo già. Credere vuol dire aderire ad una proposta; camminare dietro a chi mi offre la possibilità di uscire dalla situazione in cui mi trovo.

Chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome del Figlio unico di Dio”. Il Figlio unico di Dio è il Pensiero di Dio, e ci propone di pensare a Dio, di occuparci di Dio prima di tutto perché la nostra vita è li. Se noi non crediamo nelle sue parole, significa che già non abbiamo Dio nel nostro cuore, abbiamo altri padri; il peccato nostro è già li perché non abbiamo creduto nel nome del Figlio unico.

Il nome è il centro della sua vita, il suo amore principale, il Padre; cioè non abbiamo fatto in noi la giustizia essenziale, quindi siamo già staccati, già giudicati perché non siamo orientati a Dio, ma disorientati, perché riferiamo le cose a noi e concludiamo nella morte.

Siamo già giudicati perché se noi non accettiamo la parola di Dio, e in ogni cosa, in ogni avvenimento c'è il Verbo di Dio, non è che noi rifiutiamo la Parola di Dio, ma Dio stesso che l'ha mandata; rifiutiamo cioè l'argomento di Dio, poiché ogni parola di Dio che giunge a noi, ci propone Dio, ci sollecita a pensare a Dio prima di tutto, ci impegna nel pensiero. Se accettiamo la parola di Dio che giunge a noi, cioè se siamo disponibili per Dio, diventiamo degni di ricevere ciò che desideriamo. Nei momenti difficili, mai staccarci da Gesù che è la strada; Gesù ha sempre per me una parola che mi unisce alla meta, mi raccoglie, mi dà un appiglio a cui afferrarmi. Si arriva alla meta ascoltando le sue parole, non per sforzo nostro di pensiero o di immaginazione.

La partecipazione che ci è chiesta è l'ascolto, è Lui che ci conduce e può farlo, perché pur scendendo al nostro livello, resta in cielo, non si lascia strumentalizzare da noi, non ci appartiene; resta nel seno del Padre, per portarci in cielo, per liberarci dalle nostre schiavitù, per questo se non crediamo in Lui siamo già giudicati, condannati in questa schiavitù.

Anche se manchiamo, mai dubitare della sua pazienza infinita, Lui essendo strada, ci collega sempre. Tutte le parole di Dio, avvenimenti, ecc., giungono a noi per salvarci, perché Dio vuole salvare tutti, e non giungono mai per giudicarci, punirci.

Se rifiutiamo, siamo già giudicati perché abbiamo preferito l'io a Dio, ci scopriamo nudi, non giustificati, perché la nostra vita non è secondo Dio ma è incentrata sull’io.

Credere nelle parole di Dio vuol dire impegnarci nel suo pensiero, tutto ciò che ci arriva è per aiutarci a mantenere il pensiero rivolto a Lui, “Con la pazienza guadagnerete le anime vostre”.

Tema: Hanno preferito le tenebre alla luce v. 19

E il giudizio è questo, la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie”. È una conseguenza del versetto precedente: “Chi non crede è già giudicato”. Si parla di salvezza in quanto c'è una situazione di rischio: la chiusura nell’io. La Verità per essere conosciuta, richiede il superamento dell’io, per cui tutta l'opera di Dio è per smuoverci dall’io e portarci a conoscere Lui. Dio non opera per farci conoscere noi stessi, gli uomini, ecc., ma per farci conoscere Lui, perché è Lui la vita.

Ecco perché il Signore non vuole che giudichiamo né noi stessi, né gli altri, perché Lui non opera per giudicare, ma per salvare, e ogni avvenimento va inteso in Lui. Chi giudica, si ferma alle creature. Il giudizio è sempre una classificazione, una definizione, un rapporto, una misura relativa ad un termine fisso; Dio non opera per giudicarci, per definirci, ma per salvarci, cioè per cambiarci; così pure dobbiamo operare noi. Infatti Dio non opera per farci capire quello che l'uomo è, ma quello che Dio è. Sbagliamo non soltanto quando riferiamo le cose al nostro io, ma anche quando, pur attribuendole a Dio, giudichiamo gli altri in base ai risultati, considerati come premio o come castigo.

Anche se il giudizio è buono, “Quel tale è buono perché Dio lo ha premiato”, è da evitarsi, perché gli avvenimenti non sono operati da Dio per farci classificare gli uomini, ma per farci conoscere Se stesso. Ogni avvenimento è per salvarci, è un invito di Dio a convertirci, a cambiare, ad avvicinarci a Lui. Ce lo dice Gesù di fronte alla torre di Siloe e alla strage di Pilato, “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”. Se ci rifiutiamo, il giudizio scatta li, perché siamo già in pericolo. E il giudizio sta in questo che “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce”; come mai? Perché scelgono quello che vale di meno, rispetto a ciò che vale di più? Lo dice Gesù: “Perché le loro opere erano malvagie”. Ciò che dipende dall’io, bilancia l'attrazione della luce; rifiutiamo la luce perché la luce tende a trasformare, a farci superare le nostre opere. Chi non le supera e resta nel pensiero dell’io, è già giudicato, perché rifiuta la salvezza che gli è offerta. Il richiamo della luce giunge anche nelle tombe, sconfessando la nostra centralità, e mettendoci in conflitto con le nostre opere. Dobbiamo cercare la ragione degli avvenimenti non nelle creature, ma in Dio perché è Dio il protagonista di tutto e ha in Sé la ragione di tutto. E la ragione è questa: in ogni cosa Dio opera per cambiarci, per farci conoscere la sua presenza in modo che lo possiamo pensare e ci sentiamo pensati da Lui, per portarci alla sua intimità, per farci capaci di conoscere e di amare l'infinito. Questa è la luce, il richiamo della luce; chi la rifiuta è già giudicato, perché preferendo le tenebre, rimane nelle tenebre.

- La domenica seguente, il 13 marzo, ci siamo fermati su due versetti, il 20 e il 21.

Versetto 20: “Chiunque infatti fa il male odia la luce e non si mette in luce perché le sue opere non siano conosciute per quello che valgono”. cioè perché le sue opere non siano rimproverate.

Chiunque infatti fa il male” è tradotto meglio con: chiunque opera malamente.

Perché le sue opere non siano conosciute per quello che valgono” è meglio tradurlo con: perché le sue opere non siano rimproverate.

Concludendo il suo discorso con Nicodemo, Gesù vuole dimostrarci la necessità della rinascita; perché l'uomo che opera malamente, cioè superficialmente, cioè nel pensiero del suo io, si taglia il cammino verso la luce, non può seguire la luce, il cui richiamo giunge ovunque, per cui non può giungere a vedere il Regno di Dio.

Nel versetto precedente aveva già affermato “Nonostante Dio avesse fatto tutte le cose bene, perché l'uomo fosse attratto dalla luce, e potesse accoglierlo, l'uomo ha rifiutato la luce”; come mai? Gesù dice: “Chiunque opera malamente odia la luce”.

Odiare va inteso come amare meno, cioè posponi la luce ad altro.

Operare malamente vuol dire operare superficialmente cioè nel pensiero dell’io, autonomamente, senza riferire a Dio, senza interrogare Dio. E questo ci condiziona perché ogni pensiero, parola, azione che non parta da Dio è una catena che ci imprigiona per cui siamo costretti a rifiutare la luce perché le opere sono malvagie.

Per questo non si mette in luce; chi opera malamente cioè autonomamente, non desidera vedere le cose secondo Dio, perché vuole che le cose siano come le vuole lui e non le vuole modificare. Non cerca la luce perché le sue opere sarebbero rimproverate, non approvate dalla luce.

Per questo Dio ci proibisce di mangiare i frutti dell’albero dell’io, albero della scienza del bene e del male, perché dobbiamo solo nutrirci dell’albero della vita, Dio: rapportando tutto a Dio, interrogando sempre Dio.

Dio ci dice: “Non avrai altro Dio al di fuori che Me”, cioè non avrai nessun altro motivo di vita, non avrai nessun altro movente.

·         versetto 21: “Ma colui che attua la Verità si mette in luce, in modo che le sue opere si rivelino come compiute in Dio”.

Chi attua la Verità”, chi fa la Verità. Naturalmente noi non conosciamo la Verità, quindi non possiamo farla, per farla bisogna vederla. Quindi fare la Verità, vuol dire cercare la Verità, desiderare la luce, quindi riferire a Dio, interrogare Dio.

Chi fa la Verità si mette in luce” perché non vuole agire autonomamente, e allora cerca in tutte le cose il pensiero di Dio, perché non vuole fare qualcosa che non sia secondo Dio, ma vuole che tutte le sue opere siano secondo la luce, non che siano magnificate, ma compiute in Dio. partendo da Dio, nascendo da Dio, vediamo le cose nella Verità, facciamo la Verità, e vediamo la luce, il Regno di Dio. Invece nel pensiero dell’io noi non possiamo vedere la Verità; naturalmente vediamo regnare le creature, non Dio; per cui ci comportiamo superficialmente, secondo ciò che appare ai nostri occhi, sentimenti, intuizioni e questo dà luogo a scelte, desideri, giudizi superficiali.

Se invece non ci permettiamo di agire senza Dio, superiamo le apparenze; è Dio che ci fa profondi.

Questo è il pensiero conclusivo per dimostrare a Nicodemo la necessità di rinascere. Non si può far entrare il nostro mondo nel mondo di Dio, col compromesso, col rattoppo bisogna invece dar luogo ad un uomo nuovo, l'uomo che nasce da Dio.

È necessario rinascere perché l'uomo vecchio è fatto da questo uomo che è superficiale, che opera male, che quindi non può arrivare alla luce, a vedere il Regno di Dio; perché le azioni da lui fatte nel pensiero dell’io, lo imprigionano in un posto di blocco.

La rinascita, la vita nuova secondo Dio, richiede penitenza e distacco: non vogliamo più essere mossi da altro ma solo da Dio. La penitenza è possibile solo nel Pensiero di Dio.

Versetto 22: “Dopo queste cose Gesù con i suoi discepoli andò nel paese della Giudea e vi si tratteneva con essi e battezzava”.

Versetto 23: “Battezzava anche Giovanni Battista perché c'era là molta acqua e la gente vi accorreva e si faceva battezzare”.

Gesù va nel paese della Giudea, cioè nel paese di Giovanni Battista dove c'era molta acqua; l’acqua è il simbolo della sapienza in cui si concludono tutti gli argomenti dell’Antico Testamento, simbolo della Parola di Dio, delle lezioni di Dio.

La gente vi accorreva”. Tutto il mondo va verso Dio; le lezioni della vita sono strade che ci sospingono a Dio verso Colui che Giovanni Battista, che è la sintesi di tutte le lezioni di Dio, ci segnala preparando in noi la fame di verità, di luce.

Si faceva battezzare”. Non si tratta di un semplice rito ma di una conversione, infatti Giovanni Battista gridava: “Fate penitenza”, cioè mettete Dio al centro della vostra vita.

Non si ha vera conversione se non si ha un cambio di interesse: Dio al centro, non abbiate altri idoli, altri interessi; ciò che macchia la nostra anima è l’interesse per altro.

E battezzava”, Gesù battezzava. Bisogna intendere un altro battesimo, il battesimo dello Spirito, battesimo come immersione spirituale in una verità.

Versetto 25: “I discepoli di Giovanni Battista ebbero una contestazione con un giudeo a proposito di tale purificazione”, sorge un conflitto che deriva dal problema della purificazione. Senza accorgercene confondiamo la regola, un modo di essere, la virtù con quello che è la Persona di Cristo.

Abbiamo tre gruppi, tre categorie di discepoli di Giovanni Battista:

·         il primo gruppo ha colto l’anima dell’insegnamento di Giovanni Battista e si staccano quando segnala loro il Cristo.

·         Il secondo gruppo restò legato alla regola di Giovanni Battista, ne fanno la loro vita, cioè fanno consistere la loro vita in questa regola, non compresero che la legge è solo una preparazione, ma che va lasciata dopo aver incontrato il Cristo. Costoro fanno un discorso sulla purificazione: la vita non consiste né in una regola, né in quell’altra, ma nell’incontro con una Persona. L’anima di ogni regola, l’anima della legge è l’introduzione a questo incontro d’amore con una Persona; l’anima di ogni legge è: ama!.

Versetto 27 “Giovanni Battista rispose: l’uomo nulla può prendere se non ciò che gli è stato dato dal cielo”. Giovanni Battista dà questa risposta appunto perché nasce questa contestazione a motivo della purificazione della preparazione al Messia.

Giovanni Battista risponde ai suoi discepoli che hanno avuto questa contestazione cosi: “L’uomo nulla può prendere se non ciò che gli è stato dato dal cielo”. Il primo argomento con cui Giovanni Battista risponde è questo: “Tutto viene da Dio”, quindi dobbiamo cogliere tutto, dobbiamo rispettare tutto; questa è la posizione di fondo che deve sempre orientare la vita in ogni cosa. Gli dicono: “Tutti accorrono a Lui”, Giovanni Battista risponde: “Questo viene da Dio”. Gli altri tendono a suscitare rivolte, invece lui afferma: “Tutto ci viene da Dio”. Questa è la posizione giusta, la condizione per poter iniziare a ragionare sui veri valori. San Paolo ci dice: “Uomo di che ti vanti? Che cos’è che non hai ricevuto?” Tutto ti è stato dato da Dio gratuitamente: volontà, intelligenza, lavoro, anche quello che ci sembra di averci guadagnato da noi stessi, perché poi intanto Dio ci fa toccare con mano che è Lui che fa.

L’uomo nulla può prendere, cioè avere, se non ciò che gli è stato dato dal cielo”, quindi a che gli dice: “Tutti vanno da Lui”, da colui che tu hai segnalato, Giovanni Battista risponde: “Se vanno è perché è Dio che glieli manda”. Giovanni Battista si mette sempre in questa posizione di attenzione e rispetto, l’atteggiamento fondamentale dell’uomo.

La vocazione dell’uomo è essenzialmente vocazione all’attenzione. Dio è Colui che opera, l’uomo colui che ascolta. Come l’uomo si distacca dall’attenzione, ritorna verso il nulla, conflitti, caos, confusione, ecc..

Versetto 28: “Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: io non sono il Cristo, ma sono stato mandato davanti a Lui”. Noi stessi siamo testimoni che tutto dice a noi: noi non siamo Dio, guarda al di sopra di noi. In Giovanni Battista abbiamo la sintesi della voce di tutte le creature di tutto l’Antico Testamento, la creazione, la situazione dell’uomo staccato da Dio nella sua miseria, che dice a noi: “Io non sono il Cristo; io non sono la luce, ma sono venuto per rendere testimonianza alla luce”. Quindi tutto non è luce ma viene ed esiste per rendere testimonianza a noi che la luce esiste, ma che è altrove. Noi stessi per essere sulla linea della verità dobbiamo dire: “Non sono la luce”, nessuno deve farsi luce. Tutte le creature assumono questa voce qui che rivela e testimonia che la luce è altrove. Noi non dovremo aver bisogno di questo se fossimo semplici, ma siccome siamo nella confusione, Dio ci manda Giovanni Battista a ripetercelo, a dircelo chiaramente: nulla è luce, né fatti, né uomo, né creatura, ma noi tendiamo a trasformare le creature in luce, perché subentra l’io che ci fa scambiare i valori.

I legami col versetto precedente sopra è questo: “Colui a cui hai reso testimonianza ecco battezza e tutti vanno a Lui…”, allora dapprima li mette in posizione di giustizia, in tutto ciò che accade c'è la mano di Dio, quindi non parlatemi di conflitti, poi riconoscete che ho detto: “Non sono la luce, ma sono stato mandato innanzi a Lui”; non dice: “Andate dietro a Lui” perché la decisione deve venire dal di dentro, ma educa ai valori, presenta i valori.

Versetto 29: “Chi ha la sposa è lo sposo, ma l’amico dello sposo che gli sta vicino e lo ascolta, prova la gioia più viva per la voce dello sposo. Questa è la mia gioia ed è completa”.

E questa è una parabola per dire che colui che ha la sposa è lo sposo; fa il paragone tra lo sposo e l’amico dello sposo, perché prima i suoi discepoli li avevano portati sul piano della rivalità, come se si trattasse di due sposi. L’amico non deve invidiare quello che non ha, perché quello che uno ha è dono di Dio. Quindi l’amico si rallegra, se invidia non è più amico, ma scende sul piano della rivalità. Sul piano della giustizia invece ci si rallegra perché si ama Dio. Quando c'è l’invidia è perché c'è il problema dell’io; quando invece si è messo Dio al centro, c'è sempre la gioia per tutte le opere di Dio: non si invidia né si soffre perché quel tale è arrivato prima. In cielo non c'è rivalità, perché nessuno pensa a sé. Tutto è dono di Dio e si riceve tutto come dono di Dio e si ammirano le opere di Dio in tutte le creature, se no non si è in cielo ma all’inferno. Chi ama Dio è felice che Dio sia stato cosi generoso nonostante che quel tale abbia sprecato la vita: ormai il pensiero dell’io è superato.

La mia gioia è completa” perché ha visto realizzato un suo sogno; se non lo avesse visto realizzato ci sarebbe stata l’insoddisfazione; cioè ha visto la realizzazione del suo sogno, la glorificazione di Gesù: “Tutti vanno da Lui”.

Giovanni Battista che venne a preparare la via al Messia, vedendo che la gente va, è contento, qui abbiamo la grandezza del Battista, che deve essere quella di ogni uomo, non pensare a sé ma glorificare Dio. Dirà dopo: “È necessario che Lui cresca”.

Chi ha la sposa è lo sposo”; Giovanni Battista tende a spostare l’argomento sul centro della scena, Cristo, per evitare la rivalità tra i due sposi se li si considera entrambi come tali.

Lo sposo ha la sposa; lo sposo è colui che resta con la sposa. La sposa dell’anima è lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio. Giovanni Battista aveva visto nel battesimo di Gesù che lo Spirito di Dio scese e rimase su di Lui. La caratteristica del Figlio di Dio sta nell’avere con sé lo Spirito; nella creatura lo spirito va e viene, invece il Figlio rimane nel Padre, nella conoscenza di Lui. In Cristo abbiamo una permanenza, nelle creature abbiamo l’instabilità, ma siamo chiamati a diventare sposi in, permanenti nella verità di Dio; lo sposo è colui che resta con la sposa. Se non fossimo visitati da Dio, non potremmo neppure sognare la verità, ma pur sognandola siamo instabili, non siamo ancora sposi della verità. Solo colui che rimane nello spirito, il Cristo, può dare lo spirito, cioè rendere stabili; solo chi è nel cielo può portarci nel cielo. Noi un giorno siamo tutti spirituali e un giorno tanto materiali, dobbiamo diventare stabili e ci può aiutare solo chi è stabile.

È sbagliata l’interpretazione di questo versetto, che vede nella sposa tutta la gente che corre al Cristo, la Chiesa, perché prima la gente accorreva a Giovanni Battista; la verità si testimonia da sola, non sul piano sperimentato. Infatti distinguiamo lo sposo non con un criterio statistico: va più gente da Lui quindi è lo sposo; ma “Chi viene dal cielo è al di sopra di tutto”.

Versetto 30: la sposa allora va cercata qui. Chi parla delle cose dello spirito ha lo Spirito in sé, la sposa; Cristo viene a parlarci delle cose del cielo: è questo che caratterizza il Messi dagli uomini, nessuno può parlarci come Lui; Lui solo ci fa conoscere il Padre. “Tu solo hai parole di vita eterna”. Ne abbiamo una conferma, di questa interpretazione, al versetto 34: “Quegli che Dio ha inviato, pronuncia parole di Dio, perché Dio non gli dà lo Spirito con misura”, cioè per un certo tempo. Questo versetto chiarisce meglio che la sposa è lo Spirito. Quindi ciò che caratterizza lo sposo, il Messia, è che ci parla cose di Dio: “Quegli che Dio ha inviato pronunzia parole di Dio” e chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Giovanni Battista che è da Dio si rallegra; l’uomo invece “Chi è dalla terra appartiene alla terra e parla della terra” versetto 31, invidia. Come ad esempio i farisei che invidiano la posizione del Cristo “Essendo uomo ti fai Dio”, l’uomo da solo non può fare nulla. Chi è staccato da Dio dice: “È un uomo che parla” e non sa e non può coglierlo da Dio.

Versetto 31: “Chi è dal cielo è al di sopra di tutti e annuncia ciò che ha visto e udito e nessuno accetta la sua testimonianza. Chi accetta la sua testimonianza con ciò suggella che Dio è verace”. Chi accetta conferma la verità e prova a se stesso che Dio è vero. Questa testimonianza vale anche per gli altri, ma per essere riconosciuta esige sempre una partecipazione personale, cioè che chi la riceve abbia presente il Pensiero di Dio. Abbiamo l’esempio di Cristo, chi più di Lui rese testimonianza a Dio? eppure ci fu chi gli disse “pazzo”, “satana”. Chi ha presente il Pensiero di Dio Lo riconosce; chi non ha presente il Pensiero di Dio vede in Lui solo l’uomo. È sempre l’interno che illumina l’esterno, l’esterno è una breccia che ci porta all’interno, che ci segnala Dio. Suggellare vuol dire mettere il sigillo, confermano, rendono testimonianza. Rendere testimonianza, si suggella, si conferma la verità; si prova a se stesso e agli altri che Dio è verace, ma solo aderendo alla testimonianza di Dio.

Se succede qualcosa che non è gradito, ma riconosco in questo l’opera di Dio, aderendo suggello la verità, rendo testimonianza alla verità di Dio. Il vedere viene dopo, prima devo aderire; la testimonianza a Dio si rende sempre quando lasciamo fare a Dio; quando ci ribelliamo abbiamo la creatura che non rispetta più. Dio prende lo stesso testimonianza dalla sua notte, perché raccoglie testimonianza da tutto. Più la creatura partecipa aderendo, più vive e più aumenta la sua pace, la luce, la stabilità; è una conseguenza del nostro far grandeggiare Dio, ma se non lo facciamo, gli rendiamo gloria lo stesso, ma noi ci carichiamo di angoscia, di confusione, instabilità, ecc..

Tutto fin dal primo giorno della creazione, Dio l’ha fatto per renderci partecipi della sua gloria, ma dipende da noi. Se aderiamo è grazia sua, se rifiutiamo la colpa è nostra.

Nel versetto 32 abbiamo tre concetti: “Chi è della terra appartiene alla terra e parla della terra”; essere, appartenere e parlare.

Possiamo essere nel mondo ma non del mondo: “Sarete odiati perché non siete del mondo”; non si tratta di uscire dal mondo.

Gesù prega il Padre che non li tolga dal mondo ma li difenda dal mondo, ma ciò che conta è non essere del mondo.

Siamo di una cosa quando ne facciamo motivo di vita, allora apparteniamo ad essa; se facciamo la parola che discende dall’alto, nostra vita, diventiamo di quella parola e possiamo trasformare la nostra terra in cielo.

Innanzitutto bisogna evitare di trasformare il cielo in terra, considerando lo spirito come espressione della materia.

In secondo luogo evitare di ritenerci noi assoluti, considerando Dio come creazione mia, pensiero mio, (“Se non tocco non credo”); siamo noi che ci dobbiamo sottomettere a Dio, non viceversa.

Esiste si un mondo che dipende da me di cui però non sono il Creatore, ma esiste anche un mondo non esperimentabile da me, ma che si annuncia e si fa esperimentare da me in quanto mi mette in crisi tutto il resto.

Per cui superando le apparenze e aderendo al mondo che ci supera e ci è annunciato, avviene la trasformazione, la spiritualizzazione della terra in cielo.


Il Padre ama il Figlio e ha posto tutte le cose in sua mano. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna, ma chi rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita e la collera di Dio resta su di lui. Riassunto Gv 3 Vs 30/36


Riassunti Capitolo 3 Vs 30 - 36


Argomenti: L’intimità con Dio – Possesso e conoscenza di Dio – Parola e desiderio – La capacità di portare i doni di Dio – Il peccato sta nel distacco da Dio – Il mondo di Dio e il mondo dell’io – Cristo è il vertice della storia – L’ascolto del Padre e l’incontro col Figlio – Il Cielo e la terra – Il superamento dell’io – Sprecare la vita e il tempo – Penetrare la Verità nell’eternità – Amministratori, non padroni – La parabola dei talenti e dei vignaioli – L’occasione di tradire Dio – L’invidia – L’interesse per Dio ci fa essere dentro – La differenziazione dell’amore – Superare il mondo esterno – La funzione dei segni – La Persona ci salva -


 

12/Giugno/1977


Lettura dei riassunti degli incontri delle ultime cinque domeniche:

Pinuccia: Domenica 1° Maggio, durante la lettura degli appunti, sono state fatte alcune domande.

Primo punto: La vita non sta nei beni che si possiedono, non sta nelle cose che si hanno ma in quelle che non si hanno e quindi nel desiderio, nell’amore, nella ricerca di ciò che ancora non si ha, cioè di Dio. Questo desiderio di Dio matura in conoscenza; ma anche questa conoscenza di Lui va sempre superata perché Lui ci dona eternamente cose nuove e non esaurisce mai il suo parlare con noi. Da parte nostra ci vuole apertura al suo parlare che è continuo. Dio che è fonte di novità, ci supererà sempre…

Luigi: Queste parole ci aiutano ad approfondire meglio il discorso precedente: cioè il dono di Dio è l’intimità con Dio, è Dio che parla a noi. Più noi ascoltiamo Dio parlare e più in noi si forma il desiderio di Dio; il quale desiderio, passione per -, è vita. Per cui la vita non sta nelle cose che si possiedono (ci procurano una gonfiatura: l’uomo staccato da Dio è un pallone gonfiato), quindi più noi abbiamo cose del mondo, e più il nostro io è gonfiato, è fuori dimensione; quindi il nostro io fuori dimensione non è una maggior partecipazione di vita ma è una diminuzione di vita. Quanto più, invece, il nostro io è portato nella povertà, tanto più è portato nella passione per -, nel desiderio di -, e quindi entra in vita.

Se tu sapessi il dono di Dio e chi è colui che… tu (ecco la sete, la fame) stessa gliene chiederesti…”: ecco la vita!

Per cui, ascoltando Dio che parla a noi, le parole di Dio formano in noi la passione per -, quindi ci introducono alla vita, ci fanno tutto desiderio di -.

Più si forma in noi questo desiderio e più si forma in noi la vita, l’attenzione, la fame che ci rende poi capaci di portare; perché più cresce la fame e più cresce in noi la capacità di portare in noi i doni di Dio.

Così se in noi si formasse una capacità infinita, noi diventeremo capaci di portare l’infinito.

Pinuccia: Da parte nostra ci vuole apertura al suo parlare che è continuo: Dio che è fonte di novità ci supererà sempre ed è sorgente di vita in quanto ci invita sempre a questo superamento.

Superare ciò che si conosce non vuol dire rinnegare ciò che si conosce perché Dio opera confermando per cui il dono successivo è un invito a superare i doni precedenti ma è una conferma di essi aggiungendovi un qualcosa di nuovo.

Se noi ci fossilizziamo su ciò che è conosciuto, ci chiudiamo in esso, non ci apriamo più al nuovo; è un rischio che corriamo quello di rifiutarci ad aprirci a Dio che ci parla e ci istruisce in ogni cosa, anche attraverso un delinquente, una notizia, un incontro. Ci vuole questa apertura di amore che cerca il significato di ciò che Dio vuole dirci in ogni fatto, perché essendo Dio il Creatore, ha una lezione personale per ciascuno di noi.

La ricchezza consiste proprio in questa chiusura.

Secondo punto: La via per conoscere la Verità è la sua Parola.

Bisogna afferrarci ad essa quando arriva a noi e non lasciarla passare.

La parola di uno è quella che mi rende presente quell’uno, mi rivela il suo pensiero, il suo spirito, mi parla di lui, è segno di lui.

Se io ho presente il Pensiero di Dio e vedo in tutto la sua opera, allora tutto è per me parola di Dio; allora possiamo stare sempre con Lui.

Ma la condizione per restare sempre con Lui è quella di essere sempre in ascolto della sua parola e solo delle sue parole.

Ma fintanto che tutto non diventa parola sua, abbiamo allora un luogo privilegiato, Dio occupa un punto, un punto solo: “Questo è mio!” ci dice, e tutto l’altro universo ce lo lascia in mano nostra, in mano al nostro io; è un punto che non possiamo più invadere, un punto privilegiato.

Per questo Gesù dice: “Chi viene dietro a me, rinneghi se stesso, lasci tutto!”.

Richiede un isolamento con Lui in cui non possiamo disgiungere l’uomo da Dio ed è lì la salvezza!

Infatti è vero che tutto il mondo è opera di Dio, ma essendo noi schiavi del materiale, si fa necessario questo processo di distacco, questa separazione, questo isolamento con Cristo, questo andare dietro a Lui; per cui in Lui abbiamo questa parola privilegiata, che ha la funzione di portarci ad intendere tutte le altre parole se noi continuiamo con Lui.

È tutto un processo di ricostruzione dell’uomo, com’era all’inizio, attraverso il Cristo, per riportarlo a contatto con Dio che parla ed opera in tutto.

Luigi: Quindi precisiamo…. Il peccato, quindi la non – vita dell’uomo sta nel distacco da Dio; nel distacco del pensiero di sé da Dio, cioè sta nel considerare le cose in modo autonomo.

Perché tutte le cose, essendo segni di Dio, vanno sempre mantenute unite a Dio, riferite a Dio; perché il segno è intelligibile in colui che lo fa.

Ma se noi stacchiamo il segno da colui che lo fa, non è più intelligibile, ma noi rivestiamo il segno del nostro pensiero.

Ecco allora qui abbiamo il capovolgimento completo di tutta l’opera di Dio; perché l’opera di Dio è significata a noi, ma noi staccando il segno dall’Autore del segno stesso, rivestendo del pensiero del nostro io, praticamente trasformiamo tutto il mondo di Dio, in un mondo nel pensiero del nostro io: qui sta il peccato.

Per cui l’atto di giustizia essenziale, a cui si riferisce il Signore quando gli chiedono in che cosa sta la giustizia: “Date a Dio quello che è di Dio!”; “Che l’uomo non disgiunga quello che Dio ha unito!”, in genere viene riferito all’unione tra uomo e donna ma questo è segno di qualcosa di molto più profondo! Perché dicendo: “L’uomo non disgiunga quello che Dio ha unito” mi conferma che tutto è opera di Dio, che l’uomo non deve disgiungere niente da Dio.

Allora, l’uomo, avendo disgiunto tutto da Dio, essendosi creato questa autonomia, ecco che Dio occupa un punto dell’universo e dice: “Questo è mio!” e lo dice in un modo che non possiamo più disgiungerlo.

Ecco, abbiamo un punto privilegiato, l’Incarnazione, perché abbiamo la parola che dice: “Questo è mio!”. Ora, davanti alla Parola che dice: “Questo è mio!”, noi non possiamo più dire…

Allora abbiamo quel punto privilegiato attraverso il quale si può ricostruire tutta l’unione con Dio, recuperare tutto, il tempo, i fatti.

Pinuccia: Una cosa che non ho capito è questa: se noi rivestiamo del nostro io la parola che abbiamo, ci costruiamo un mondo riferito al nostro io, però tutti i segni il Signore li fa nel pensiero del nostro io…

Luigi: No! Il Signore tutti i segni li fa nel Pensiero di Sé per il nostro io, ma sempre nel Pensiero di Sé; prendiamo ad esempio i fatti di natura che avvengono, sono riferiti a noi perché li possiamo esperimentare, però non siamo noi che li abbiamo fatti, non sono opera nostra! Quindi basta un filo d’erba per confonderci perché mi dice: “Non mi hai fatto tu!”; quindi tutte le creature non le abbiamo fatte noi! Quindi portano il sigillo di Dio! Sono unite a Dio!

Possiamo anche affermare: “È vero, certamente l’albero non l’ho fatto io!” però io posso considerare l’albero in funzione del mio interesse; allora incomincio a guardare l’albero per quello che mi può fruttare, come lo posso sfruttare, allora lo stacco da Dio. Però Dio non l’ha creato nel pensiero del mio io; ecco, io qui faccio un’azione di violenza nelle opere di Dio, perché dimentico che l’albero non è mio, che è di Dio, e lo considero soltanto per quello che mi può fruttare di guadagno, di interessi, di altro…

Quindi, invece di cercare di intendere il significato, quello che Dio mi vuole significare nell’albero, io guardo soltanto quello che mi può servire per il mio interesse. E così tutte le cose.

Pinuccia: È il Pensiero di Dio adattato al nostro linguaggio…

Luigi: È il Pensiero di Dio adattato al nostro linguaggio per farci capire quello che dobbiamo mettere al centro della nostra vita; per cui Lui, rivelandosi in tutte le cose, ci fa capire che è Lui il Creatore, allora, se Lui è il Creatore, dobbiamo mettere Lui prima di tutto, perché vale più di tutto. Ci fa capire che l’intelligenza, la Verità di tutte le cose è in Lui, non è in altro; per cui tutte le cose ci ammoniscono: “Non guardate noi ma guardate più in alto di noi!”. Ora, tutto questo è opera di Dio, per sollecitarci a cercare in Lui quella luce, quella Verità, quella conoscenza, quindi quella vita che nessuna altra cosa ci può dare! Però se le opere di Dio le stacchiamo da Dio e le riferiamo quindi al pensiero del nostro io, ecco che noi invertiamo tutto il processo di salvezza del disegno di Dio.

Pinuccia: A questo, cioè a sentire in tutto la parola di Dio, si arriva solo pregando, cioè imparando ad avere il pensiero sempre presso Dio, perché è Dio che fa, che ci fa intendere la sua Presenza, il suo parlare in tutto, altrimenti ce ne dimentichiamo.

Terzo punto: L’isolamento con Gesù è una fase necessaria nella nostra vita ed è possibile a tutti perché Cristo, che è la sintesi e la conclusione di tutta l’opera di Dio è davanti a noi ed è il punto obbligato per il nostro passaggio al cielo: il vertice della piramide della storia.

Domenica 8 maggio, ci siamo fermati sui versetti 32 e 33: “Ma chi viene dal cielo è superiore a tutti e annuncia ciò che ha visto e udito e nessuno accetta la sua testimonianza. Chi accetta la sua testimonianza con ciò suggella che Dio è verace”.

Come si può distinguere chi è della terra e chi viene dal cielo?

Chi è della terra parla delle cose della terra, chi viene dal cielo parla delle cose del cielo: ciascuno parla di ciò che ha veduto. Il Figlio parla di ciò che ha ascoltato dal Padre e dà a noi la possibilità di salire al cielo e ascoltare il Padre.

Luigi: È’ necessaria un’annotazione, o meglio una correzione:

·         il Figlio dà a noi la possibilità di ascoltare il Padre;

·         ascoltiamo il Padre, anche prima di Cristo

·         perché è soltanto ascoltando il Padre prima di Cristo, andiamo al Cristo.

Pinuccia: Il Figlio dà a noi la possibilità di conoscere il Padre.

Luigi: Sì, perché Cristo dice: “Chi ha ascoltato il Padre viene a me non già che qualcuno abbia visto il Padre”. Ecco, fa la distinzione che noi siamo in pace soltanto quando vediamo la cosa, ma per arrivare a vederla dobbiamo seguire il segno, l’ascolto. Quindi noi abbiamo l’orecchio che percepisce l’ascolto ma non ci dà pace però ci sollecita a cercare la fonte del suono che è giunto a noi. Noi saremo in pace soltanto quando vediamo la fonte del segno che è arrivato a noi.

Siccome tutto è opera del Padre, è opera di Dio, il Creatore; il Padre parla in tutto ed è il Verbo di Dio che parla, che giunge a noi, se noi ascoltiamo il Padre, quindi mettiamo Dio al centro dei nostri pensieri, della nostra vita, allora noi andiamo al Cristo: “Chi ha ascoltato il Padre viene a me!”, “Ma nessuno può venire a me se il Padre non lo attrae!”. Ma perché allora si va al Cristo? Si va al Cristo per giungere a vedere Colui che parla, il Cristo ci conduce a vedere, a conoscere il Padre che parla; la conoscenza è vita eterna, è pace.

Pinuccia: Precisiamo il concetto cielo e terra. Chiediamoci cos’è che Dio vuole comunicarci presentandoci un mondo fatto così: con una terra sotto di noi e un cielo sopra di noi.

Il messaggio è questo: ci sono delle cose che dipendono dal nostro io, che sono in relazione con il nostro io, che sono sperimentabili dal nostro io: tutto questo lo chiamiamo terra. Ci sono delle cose che superano l'io e che non sono sperimentabili dall’io, ma si fanno sperimentare, sono il valori trascendenti (Dio, anima) e ci sono annunciati, quindi sono conoscibili: tutto ciò che supera l'io, lo chiamiamo cielo.

Tutto il nostro vivere, generalmente è incentrato sulla conoscenze relative all’io, cioè: “mi piace, mi conviene, ecc.”, ma la conoscenza delle cose dipendenti dall’io non è la conoscenza vera perché sono riferite all’io come centro, ma l'io non è la verità; per cui si esige la ricerca di qualcosa, di una conoscenza che abbia un punto di appoggio assoluto, cioè che non si basi più sull’io, cioè ci vuole l’orientamento alle cose trascendenti che ci sono annunciate. Non c'è frattura tra cielo e terra, perché il cielo interferisce sulla terra, c'è una continuità: il cielo si fa sentire sulla terra, non è sperimentabile, non si assoggetta ma opera sull’io e quindi si annuncia, cioè si offre: ci propone l’orientamento al di sopra della nostra terra. Si tratta solo di trovare la via per arrivarvi. Se Dio ci propone un certo bene, ci dà la possibilità di giungervi; è un errore di logica cercare la verità, la certezza, la sicurezza nelle cose che dipendono dal nostro io, che è un fattore di incertezza. La verità, la sicurezza è al di sopra di noi e quindi richiede il superamento di noi stessi. Questo superamento di noi stessi è un fatto che può avvenire solo personalmente, non in gruppo; neppure Dio ce lo può imporre, perché è Lui che ci dà la coscienza di noi stessi.

Luigi: Preciserei: non per sentito dire, il superamento di noi stessi, cioè non basta sentirselo dire, perché non c'è nessuno che a forza di dirlo ci porti a superare noi stessi. Perché il superamento di noi stessi è proprio un atto personale, fatto nel segreto della propria stanza e soltanto da noi, non c'è nessuno che lo possa fare con noi, nessuno lo può fare per noi e non basta quindi il sentito dire. Noi possiamo sentircelo dire tutti i giorni ma se poi non ci impegniamo a superarci e a riferire le cose a Dio, questo per noi, nella nostra vita non avviene.

Pinuccia: È l’unico atto libero che possiamo fare?

Luigi: Certo!

Pinuccia: Dio non ce lo può imporre perché è Lui che ci dà la coscienza di noi stessi, ci invita a superarla, a toglierla dal centro, dimostrandoci che non siamo noi Dio. Dato che avviene personalmente, questo superamento, passiamo dal campo dell’esteriorità al campo dell’interiorità: quindi il cielo è essenzialmente un valore interiore a noi stessi.

Luigi: Il guaio è lì, perché noi magari passiamo anche tutta la vita soltanto per capire che dobbiamo fare quell’atto lì; ma quell’atto è soltanto l’inizio, l’atto di nascita! Poi c'è tutta la vita da svolgere! Ora, il più delle volte, noi arriviamo al termine di tutta la nostra vita senza aver fatto quell’atto lì! Forse soltanto nell’atto di morte riusciamo a fare quel superamento del pensiero di noi stessi, per riferirci a Dio, per mettere Dio al di sopra di tutto. Ma, come dico, c'è tutta la vita da “fare” dopo quell’atto di nascita! È’ tutto il cammino del cielo; ora i sentieri del cielo sono infiniti nella conoscenza di Dio, fino a raggiungere quella intimità, quella presenza, quell’amore….

Nino: Quello è per l’eternità, perché non finirà mai..

Luigi: Si, però noi sprechiamo tutta la nostra vita soltanto per arrivare a convincerci di fare questo atto di nascita!

Nino: Si, però è anche un elemento consolatore! Perché di fronte all’eternità che cos’è la lunghezza della nostra vita!

Luigi: Hai ragione, hai ragione! Però io penso che ci sia anche tutto il rammarico da parte nostra di aver sprecato tutta la nostra vita. Ora, questo crea un certo peso! Notiamo questo: che la possibilità di penetrare la conoscenza di Dio, è relativa a quanto noi qui in terra abbiamo avuto la possibilità di tradire l’amore, abbiamo avuto la possibilità di calcare la fedeltà; per cui ognuno sarà capace di penetrare nelle profondità divine, nella misura in cui si sarà caricato di amore per Dio. Finché noi abbiamo la possibilità di tradire…

Nino: Mi è difficile capire questo concetto perché avendo davanti l’eternità, posso incominciare il cammino ad ogni punto della vita…

Luigi: Certo, però in questa eternità uno può leggere solo per quel tanto di cui si è caricato prima.

Nino: Allora è finita l’eternità per lui…

Luigi: No, incomincia l’eternità. Tu capisci che Dio è un quadro di novità continue…. Ma in questo quadro di novità continue, perché Lui è il Creatore e per l’eternità sarà il Creatore, noi possiamo soltanto leggere per quel tanto di amore con il quale ci siamo caricati prima.

Nino: Ma ad un certo punto può esplodere l’amore…

Eligio: Il fatto è che a un certo punto si è stabilizzati in quella capacità di amore..

Luigi: Nel campo dell’amore c'è un tempo in cui puoi essere infedele e c'è un tempo in cui non puoi più essere infedele, per diversi motivi; direi che soltanto quando hai la possibilità di tradire l’amore, di essere infedele, hai la possibilità di guadagnarti l’amore, di crescere nell’amore; quando non puoi più tradire l’amore, tu sei bloccato, non puoi più crescere in quell’amore, perché tanto non puoi più fare a meno di quello. Tu hai la possibilità di crescere nell’amore in quanto hai tanto da tradire nell’amore, allora riveli il tuo tanto interesse.

Nino: Non capisco la limitazione del dono di Dio!

Luigi: No, non è Dio che limiti! I limiti ce li mettiamo noi! Perché quando io ho la possibilità di sprecare tanto tempo in altro, e questo tempo anziché sprecarlo lo dedico tutto a Dio, ho una moneta con cui io posso dimostrare quanto Dio mi interessi, perché ho la possibilità di sprecarlo in altro il tempo. Quando non avrò più la possibilità di sprecare il tempo, perché ormai il tempo è diventato di Dio, quindi il tempo non è più in mano mia; ora, attualmente tutte le cose che ho a disposizione, per cui io mi posso occupare di questo e di quello, apparentemente mi posso divertire, tutte queste cose però sono di Dio, date momentaneamente nelle mie mani, Dio poi me le porterà tutte via, perché sono tutte sue e se le riprenderà ed è logico! Infatti lui dice: “Siete amministratori, quindi non comportatevi come proprietari assoluti! Non disponete le cose come se dipendessero da voi! Perché tutte le cose dipendono da Me! Momentaneamente ve le devo levare affinché voi possiate dimostrare quanto amore avete per me! quanto interesse avete per Me!”. È la parabola dei talenti: Lui dà i talenti e poi se ne va; ma i talenti sono suoi, poi quando ritornerà si riprenderà tutto quello che è suo.

Allora, come noi avremo dimostrato l’interesse, l’amore che abbiamo per Lui? In quanto non abbiamo adoperato i talenti per scopi nostri, ma li abbiamo adoperati secondo la sua mente, secondo il suo pensiero, allora abbiamo dimostrato fedeltà. “Chi è stato fedele nel molto, riceverà molto; chi è stato fedele nel poco riceverà poco; chi non è stato fedele perderà anche quel talento che ha avuto, perché quel talento era mio!”.

Attualmente abbiamo del tempo a disposizione; certamente arriverà un momento in cui il tempo non sarà più nostro, se lo prende Dio e si entra nell’eternità e noi non possiamo più disporre di niente: ecco che entriamo nell’eternità. Ma se noi non possiamo più disporre di niente perché tutto ormai è suo, capisci che siamo bloccati?

Perché era prima, quando avevamo il tempo a disposizione che potevamo testimoniare il nostro interesse principale, il nostro amore principale, e lì potevamo guadagnare amore….

Nino: Quello che dici mi sembra un concetto più umano che divino, Gesù ha detto al lavoratore della vigna che l’ha pagato con la stessa moneta, alla fine della giornata, come quello che ha iniziato al mattino a lavorare..

Luigi: Guarda che non è così: apparentemente li ha pagati con la stessa moneta, ed è stato un divario enorme tra gli ultimi e i primi, perché gli ultimi hanno guadagnato, hanno avuto molto di più dei primi che hanno lavorato tutta la giornata, perché i primi sono stati offesi mentre gli altri hanno avuto un guadagno enorme.

Dio essendo infinito, si dà tutto a tutti, è la stessa moneta, è lo stesso talento che dà tutto a tutti ma per gli uni è un motivo di gioia immensa perché hanno lavorato soltanto un’ora, ma c'era l’amore, negli altri c'è il pensiero del proprio interesse, il pensiero di sé, infatti si lamentano, non vedono l’amore infatti invidiano; allora la giornata loro l’hanno fatta nel pensiero di sé e quello che loro ottengono diventa un motivo di offesa, non motivo di amore, sono incapaci di ricevere: perché tutta la giornata, loro, l’hanno passata nel pensiero di se stessi, perché se l’avessero passata nel pensiero di Dio, avrebbero gioito perché avrebbero pensato: “Guarda, abbiamo fatto bene ad amare questo Signore che è così generoso verso tutti” che ama tutti, anche quel tale che ha impiegato tutta la giornata a fare niente però poi è arrivato. “Perché io sono buono e non posso essere generoso?”. Quindi il talento è unico per tutti, ma per gli uni è motivo di immensa gioia e per gli altri è motivo di invidia: ecco la stessa cosa.

Lo stesso tramonto per me può essere motivo di grande tristezza se hai il lutto dentro, invece per l’altro può essere motivo di grande gioia perché ha la gioia dentro: è la stessa cosa. Per cui tutto dipende da questa interiorità che portiamo con noi. E da cosa dipende questa interiorità che portiamo con noi? Da quell’interesse che abbiamo messo al centro. Per cui se io passo la mia vita con il pensiero del mio io al centro, io mi rendo incapace di possedere i doni di Dio. Dio me lo dà il suo dono, perché Dio da parte sua è fedele, solo che il suo dono per me diventa un inferno perché il suo dono per me diventa motivo di offesa, di gelosia, io non lo posso sopportare. Vedo soltanto il dono del mio fratello e invidio perché quell’altro ha fatto meglio di me, apparentemente, perché non capisco l’amore. Nel pensiero del mio io non capisco l’amore, solo nel Pensiero di Dio capisco l’amore; ma questa comprensione deriva dal fatto che uno ha messo il Pensiero di Dio al centro della sua vita, quando poteva sprecavi tante cose

Ora lì il Signore è molto esplicito perché in molte parabole (dei talenti, delle mine, dei vignaioli) ci esprime che tutto dipende da quella quantità che noi poniamo nella fedeltà. Per cui chi non è capace ad essere fedele nel poco, non gli sarà dato il molto, perché chi si fiderà a dargli veramente ciò che è suo quando tu non sei capace ad essere fedele in ciò che non è tuo.

Gesù ci dà tutte queste lezioni per dirci che dobbiamo stare molto attenti quando abbiamo la possibilità di tradire, perché è lì che ci guadagniamo la capacità di portare il suo dono.

Nino: Gli operai della vigna che hanno lavorato dalla prima ora del mattino sono come il figlio maggiore della parabola del “figliol prodigo”…

Luigi: Si, certo. Perché lo si vive nel pensiero del proprio io per cui: “Come, noi abbiamo sopportato la fatica di tutta la giornata e a questi che hanno lavorato un’ora soltanto tu gli hai trattati come noi?” Ecco il pensiero dell’io che salta fuori! Per cui il Signore dice: “Come? Se il mio occhio è buono…. Non posso essere generoso?” .

Quindi se c'è l’amore uno gioisce: “Guarda com’è buono! Per cui anche questo qui…”; se siamo veramente convinti che Dio è un tesoro, che Dio è la vera ricchezza, coloro che non …….. non devono essere un motivo di gelosia: “Quello lì ha passato tutta la vita a far festa e adesso all’ultimo momento entra!” per quello è una pena sprecare tutta la vita in cose che sono niente, non dev’essere motivo di invidia. Se invidio vuol dire che considero quelle cose del mondo e sto alla finestra; sono nel regno di Dio ma sto alla finestra. Quasi, quasi io invidio gli altri perché gli altri possono divertirsi e io devo fare dei sacrifici. Ma se io sono veramente convinto che Dio è il massimo bene, sospiro, desidero anche per tutti gli altri; vedere gli altri è una pena, vedere gli altri che non conoscono questo grande bene, quindi non è un motivo di gelosia. E se all’ultimo vedo che il Signore riesce a trovare la via per donare tutto e dare anche Se stesso a coloro che sono arrivati all’ultimo, ma uno gioisce immensamente, non ha motivo di invidia. L’invidia nasce dal pensiero del nostro io, quindi vuol dire che siamo fuori dall’amore, non siamo dentro,

Quando il Signore libera il suo popolo dall’Egitto, fa mettere fuori il sangue sui portali, l’Angelo passando, vedendo il sangue sui portali capirà che voi siete dentro: è un segno.

Da quale segno vediamo che siamo “dentro” o se siamo “fuori” dal Regno di Dio?

Da questo: se in noi c'è il pensiero del nostro io, se noi pensiamo a noi stessi, vuol dire che siamo fuori dal Regno di Dio. Se invece c'è il Pensiero di Dio al centro, se c'è l’interesse per Dio al centro, vuol dire che siamo dentro. E la misura è questa! Quello che ci fa essere dentro o quello che ci fa essere fuori: l’interesse per Dio. Se abbiamo interesse per Dio al centro della nostra vita noi siamo dentro al Regno di Dio; se invece siamo mossi dal pensiero dell’io siamo fuori anche se siamo virtuosissimi, siamo sempre in chiesa, facciamo tutti i nostri doveri, paghiamo le tasse, ma siamo fuori. Quel “dentro” è dato dal Dio al centro.

Pinuccia: Il dono di Dio è il dono di Sé ed è uguale per tutti; si diversifica nella nostra capacità di riceverlo.

Luigi: Certo! Vivendo si forma una scala. Nasciamo tutti uguali, e man mano che noi viviamo, uno diventa primo ministro e l’altro diventa uno spazzino, c'è una gamma infinita di diversificazioni. Ora, nei riguardi di Dio la differenziazione avviene nell’amore.

Nino: Non sono i nostri meriti che ci diversificano ma i nostri demeriti…

Luigi: Ecco, si capisce.

Pinuccia: Santa Teresina faceva l’esempio del ditale pieno che gode tutto e non invidia il bicchiere pieno.

Luigi: La capacità è diversa ma uno non invidia l’altro, perché si riceve tutto da Dio. Dio ha voluto dare cento a quell’uno e sono felice che abbia dato cento a quell’uno e a me ha voluto dare uno; perché la condizione per entrare nel Regno di Dio è di ricevere tutto da Dio. Quindi se uno gode soltanto di uno, non invidia chi gode mille perché l’invidia nasce dal pensiero dell’io. Invece la condizione per restare in cielo è quella di accogliere tutto da Dio, quindi Dio ha disposto quello, è perfetto, perché si gode di tutto, si gioisce di tutto. La capacità di penetrare è sempre però limitata a quello che abbiamo sprecato quando avevamo la possibilità di sprecare.

Quando avevamo la possibilità di sprecare, perché quando non abbiamo più la possibilità di sprecare non possiamo più crescere nell’amore.

Oggi, attualmente è un tempo molto prezioso, perché fintanto che abbiamo la possibilità di tradire, abbiamo la possibilità di crescere nella fedeltà e nell’amore, nell’interesse per. Quindi dobbiamo caricarci tanto di….

Pinuccia: Dato che il superamento avviene personalmente, passiamo dal campo dell’esteriorità al campo dell’interiorità. Quindi il cielo è essenzialmente un valore interiore a noi stessi perché richiede, per poter essere avvicinato, un superamento che è un atto intimo, personale, fatto nel silenzio di noi stessi, chiusi nella nostra stanza. Ora, soltanto nel segreto del nostro essere, in questo silenzio, noi possiamo fare questo superamento e guardare al Padre, cioè questo avvicinarci al cielo, dobbiamo dire che il cielo non è fuori di noi ma dentro di noi e Dio abita dentro di noi. E noi possiamo trovare Dio soltanto chiudendo gli occhi al mondo esterno. Il mondo esterno non è male per il fatto che ad un certo momento dobbiamo lasciarlo, ma è un bene, un’introduzione, è pedagogia a questo salto, a questo distacco.

Si tratta cioè di imparare a camminare con Dio e in Dio.

Impariamo a camminare con Dio quando aderiamo, ubbidiamo all’annuncio delle cose e non proiettiamo più la nostra vita sulla terra, quando cioè passiamo dalla terra alle cose interiori, attraverso la fatica del distacco per mettere la distanza tra noi e il mondo, per cercarne in Dio il significato.

Impariamo così a camminare in Dio, in questo silenzio, in questa chiusura alle cose esterne per elevare gli occhi al Padre che è dentro di noi, in questo impegno ad occuparci di Dio a tu per tu, in questo impegno di cercarlo, di conoscerlo nel segreto della nostra stanza.

Questo avanzamento nella conoscenza di Dio, ci è dato solo se ascoltiamo la Parola di Dio, il Figlio, che diventa nostra strada, seguendo la quale entriamo nel cielo, cioè nella conoscenza del Padre: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”.

Chi accetta la sua testimonianza con ciò suggella che Dio è verace”: cioè solo credendo si arriva a vedere. Vedendo si suggella, si comprova, si ha in se stessi la prova, la testimonianza della verità, il sigillo. Credendo si cammina con Dio, si aderisce al Figlio, alla Parola che parla a noi del Padre e si arriva alla conoscenza del Padre.

E allora noi stessi abbiamo ascoltato, noi stessi diventiamo prova a noi stessi che Dio è verace.

Se noi rifiutiamo la Parola, la Parola ci giudica; infatti chi ci annuncia le cose del cielo è superiore a tutti. Ciò che appartiene alla terra, è inferiore.

Ora, noi non dobbiamo preferire i valori inferiori a quelli superiori:

·         quelli inferiori dipendono dal nostro io che è insicurezza.

Quindi la funzione del mondo esterno è quella di richiamarci a non vivere più per le cose esteriori, ma ad alzare gli occhi al cielo, superando l'io e il mondo esterno.

Luigi: Quella funzione lì, avviene sempre in quanto noi teniamo presente Dio, perché di per sé non è che le creature ci convoglino a Dio. Ci convogliano a Dio se noi abbiamo presente Dio, ma se noi non abbiamo presente Dio, le creature ci accentrano a sé, ci portano via a Dio. In quanto noi siamo staccati da Dio e pensiamo a noi, allora tutte le creature non fanno altro che distrarci maggiormente da Dio.

Quindi nel pensiero del nostro io, troviamo nelle creature la nostra condanna.

Se invece del nostro io, noi mettiamo il Pensiero di Dio, allora tutte le creature ci aiutano, ci sollecitano a rivolgerci a Dio, a fortificarci in Dio.

Pinuccia: E fintanto che non ci convinciamo che dobbiamo chiuderci nella nostra stanza, chiudere i nostri occhi per prendere contatto con questo Dio che abita dentro di noi, non avremo ancora colto la proposta che Dio ci fa presentandoci nel mondo esterno un cielo e una terra e che ci ripete in ogni cosa: cioè l’invito all’interiorizzazione, cioè al passaggio dalla terra al grande cielo di Dio che è dentro di noi di cui il cielo esterno è solo un segno.

Ma il punto obbligato, la porta stretta per entrare in questo mondo interiore che è immensamente più grande del mondo esterno, è il superamento dell’io e di ciò che dipende dall’io.

Per scoprire questo infinito immenso che è dentro di noi, bisogna dedicarci molto di più a ciò che vale di più e di meno a ciò che vale di meno.

Luigi: In questo cielo, la caratteristica è poi questa: che la conoscenza sta nel possesso.

La differenza invece nel mondo, nella nostra terra, è che c'è sempre un divario tra il conoscere e il possedere. Per cui sulla terra quando conosciamo, poi dobbiamo agire per, in conformità a quello che conosciamo, per poter arrivare ad affermare quello che conosciamo, o possedere quello che abbiamo capito che bisogna cercare. Invece nel cielo di Dio la conoscenza della verità è possesso della verità.

Nino: Sulla terra la conoscenza è una cosa sempre relativa….

Luigi: Perché la relatività ci richiama e ci sospinge verso l’assoluto. Però sulla nostra terra, sul nostro mondo, noi abbiamo sempre un divario tra teoria e pratica, tra la conoscenza e il possesso delle cose. Mentre nel Pensiero di Dio la conoscenza è possesso, conoscere è amare, c'è un’identità in Dio. Conoscere la Verità è possedere la verità. Nelle cose della terra non basta che io conosca una cosa per possederla. Ecco perché nel cielo di Dio bisogna tendere molto, anzi la vita diventa conoscenza, la conoscenza diventa vita eterna…

Eligio: Non ho mai percepito che conoscere, nel campo dello spirito, fosse sinonimo di possesso..

Luigi: Ma tu portalo sul piano della verità: conoscere la verità è possederla, è indiscutibile. Puoi conoscere la verità soltanto possedendola. Dio è verità, quindi guarda nel campo di Dio, in che cosa consiste il dono di Dio, soltanto conoscendolo noi lo possediamo veramente.

Eligio: Direi che è un campo in cui non c'è analogia nei segni..

Nino: Io credo che ci sia analogia…

Luigi: Si, proprio perché non arriviamo realmente a conoscere i segni, non arriviamo a possederli…

Nino: Ogni volta che cerchiamo di prevedere un fatto, regolarmente succede il contrario….

Luigi: E quello ti fa pensare che c'è un’altra causa in mezzo..

Eligio: Comunque in quanto tutto è segno..

Luigi: I segni sono comunque sempre relativi, continuamente ti sospingono, non ti danno…, non sono una copia della verità piena. Ad esempio quello che ti può dire Dio, non c'è nessun segno che te lo possa dire; quindi direttamente da Dio abbiamo qualcosa di essenziale, di nuovo; invece io penso: “Ho capito i segni, ho capito tutto”.

No, il segno ha proprio la funzione di sospingerti verso; quindi vuol dire che quello che mi può dare Dio non me lo può dare un segno, allora diventa una novità in Dio.

In che cosa consiste questa novità? Non c'è un parallelismo puro tra la verità e il segno, perché allora quello che mi dà il segno è la stessa cosa che mi dà Dio.

Eligio: La funzione dei segni è rovesciata…

Luigi: Si, perché la funzione dei segni è quella di sospingerti verso… Dio non ti delude, come mai le creature mi deludono? Perché Dio ha qualche cosa di più.

Quando sei in Dio, il segno ti conferma, tutto ti conferma perché: “Lo Spirito Santo non dirà nulla di per sé ma raccoglierà tutto quello che è stato opera di Dio e ve lo farà comprendere, ve lo giustificherà e ci sarà tanta gioia!” perché lo vedrete in tutto e tutto vi confermerà e allora qui i segni diventeranno motivo di gioia. Ma questo è visto nello spirito di Dio. Allora nello Spirito di Dio si, perché allora uno vedi il quadro nella sua unità, hai capito l’anima delle cose. Prima invece no, prima avevi una visione parziale. Il guaio sta lì, in quanto uno ha una visione parziale e la scambia per quella totale allora noi siamo scombinati e passiamo di delusione in delusione.

Anche la delusione ha la funzione di sospingerti verso….

Nino: Il fatto è che noi diamo credito alle creature e poi esse ci deludono…

Eligio: Ad esempio la montagna, più vai in alto e più hai una visione ampia, più hai un’atmosfera pura. Nel campo della conoscenza non c'è questo parallelismo…

Luigi: Perché in certi segni c'è un parallelismo efficace, ad esempio la montagna rende bene come esempio….

Pinuccia: Il superamento dell’io implica il distacco da tutto; dal mondo esterno perché dipende dall’io e non fa che vantare e gonfiare l'io. Noi non potremmo prendere contatto con Dio se Dio non si annunciasse. Non siamo noi che lo scopriamo, in quanto si annuncia ci offre la possibilità di pensarlo; in quanto si annuncia si offre, si dona. L’importante è accogliere il suo dono il che vuol dire orientarci soprattutto con il nostro pensiero su di Lui in questa intimità, in questo superamento dell’io che è atto di amore.

Se posso pensare a Dio è perché Lui per primo ha pensato a me, altrimenti non potremo nemmeno immaginarcelo.

Poi seguono domande e riflessioni varie…..

Domenica 18 maggio.

Dove due o più sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”, perché dice due o più e non uno solo? Gesù dicendo questo non lo esclude ma lo conferma.

Come intendere certi passi dove sembra che Gesù, il Figlio, sia inferiore al Padre? “Il Padre è più grande di me” e altri ancora? Ciò che Gesù dice non lo dice per sé ma per noi, per rivolgere la nostra attenzione al Padre, perché è lì che troveremo Lui.

Gesù dice che il Padre è superiore perché il Padre è Padre e il Figlio è Figlio: il Padre genera il Figlio. Però dice anche: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. “Chi ha visto me ha visto il Padre”. È un conflitto apparente per sollecitarci ad approfondire perché queste parole ci aiuteranno molto a capire e l’essenza del Padre e la dipendenza del Figlio.

Perché il Figlio è sempre figlio e in quanto tale non fa altro che glorificare il Padre, professandone la superiorità. E proprio professando la superiorità del Padre, forma una cosa sola col Padre, così anche noi mentre diciamo: “Io sono niente, Lui è tutto!” formiamo una cosa sola con Lui.

Uno tanto più partecipa, quanto più glorifica l’Altro perché è l’Altro il Creatore.

Parlando di Dio, si partecipa di Dio; invece parlando di noi, diminuiamo la nostra partecipazione a Lui. Uno, tanto più partecipa, quanto più glorifica l’Altro, perché è l’Altro il Creatore, il Principio, Colui che opera in tutto.

Luigi: Anche lì la legge del contrappasso è chiarissima! Più noi parliamo di noi, o pensiamo a noi per cercare di affermarci, più invece perdiamo. Più ci dimentichiamo per glorificare Dio, e più effettivamente cresciamo. C'è continuamente un rovesciamento.

Ecco perché Gesù nelle Beatitudini abbia rovesciato completamente le posizioni!

Chi vuol salvare la propria vita la perde; chi invece la perde la salva!”.

Noi perché pensiamo molto a noi? È’ perché ci preoccupiamo di non perdere; invece perdiamo veramente! Più invece mi dimentico per fare gli interessi del Signore, per glorificare il Signore, e più realmente uno vive. Perché cresce nella sua vita; è Dio che lo fa crescere. Noi con tutta la nostra volontà, con tutti i nostri sforzi non possiamo cambiare nemmeno il colore di un capello. Quindi non preoccupatevi di niente, chi fa tutto è Dio. Quindi pensate a Dio! Pensa a me che io penso a te!

Pinuccia: Ora, se è Dio che opera tutto, tanto più rendiamo testimonianza che tutto è opera sua, quanto più noi entriamo nel suo cielo. Il Figlio non cerca la sua gloria: “È’ un Altro che mi glorifica” perché se no non sarebbe più figlio. Anche la sua gloria (ciò che Egli è), Lui la fa dipendere dal Padre “Il Padre è più grande!” ci dice perché è il Padre che continuamente lo fa (il Figlio); così noi, non riceviamo solo l’esistenza, ma anche il pensiero, l’azione facendo dipendere, attualmente tutto da Lui.

Il Creatore allora diventa Padre e noi diventiamo figli: è una generazione continua! Ma bisogna superare l'io. Il Figlio è Figlio in quanto si riconosce Figlio in tutto, anche attualmente: “Il Figlio da solo non può fare nulla!”, la grandezza del Figlio sta proprio lì.

Chi viene dal cielo è superiore a tutti ma nessuno accetta la sua testimonianza”.

Perché dice “nessuno”?

Perché tutti siamo peccatori, tutti abbiamo preferito l’inferiore al superiore, la creatura al Creatore.

Ogni creatura, sia angelica che umana, chiamata a conoscere Dio, deve necessariamente avere coscienza di sé e quindi necessariamente deve essere sottoposta alla prova del superamento di sé per aderire a Dio. Prima di questa prova deve avere un mondo attorno a sé, spirituale o fisico, di significazioni relativo all’io, angelico o umano, che egli deve superare.

È’ il mondo delle significazioni che dà all’io la coscienza di esistere, è già mondo di Dio, ma al livello del nostro io.

È parola di Dio relativa a noi stessi. Dio prende su di sé la nostra relatività, la nostra povertà e miseria, cioè si abbassa a livello del nostro io per colloquiare con noi; mentre si adegua al nostro linguaggio, ci trasmette il suo pensiero infinito.

Per cui, in questo mondo che dipende dall’io, abbiamo un messaggio del mondo trascendente, per cui noi percepiamo che esso esiste; la nostra responsabilità scatta lì.

Attraverso il contatto con Dio e la sua creazione, noi arriviamo a percepire l’anima di questa insoddisfazione con i problemi che portiamo dentro di noi per cui comprendiamo la necessità di interessarci direttamente con Dio: cioè di imparare a camminare in Dio.

È’ a questo punto che sorge il problema del superamento per poter penetrare nella conoscenza del regno di Dio. E si penetra in Lui con la sua Parola, perché solo Lui è rivelatore di Se stesso; ed è Lui stesso che ci interroga e ci pone i problemi, con ciò che crea. Noi dobbiamo solo stare in ascolto e fare attenzione agli spettacoli di Dio.

Proporci di “Amare il Signore con tutto il cuore e il prossimo come noi stessi” non basta per salvarci, perché questo, pur facendoci individuare l’essenziale è ancora regola, scala, per giungere al Cristo.

Cerca il Signore Dio tuo” è ancora Antico Testamento e non basta; ecco perché c'è il Cristo, è la Persona che ci salva.

È’ l’esempio del giovane ricco che, dopo aver dato via tutto (fin che si tratta di dar via è ancora facile, è semplice la cosa), il discorso si fa difficile; comincia il contatto personale con Cristo che ad un certo momento diventa una parete difficile: “Volete andarvene anche voi?”.

Gesù inizia a raccontandoci la parabola, ma poi via, via le sue parole diventano sempre più difficili man mano che ci si avvicina alla vetta.

Luigi: Man mano che ci avviciniamo il nostro animo diventa sempre più forte; il cammino diventa difficile, ma la nostra anima diventa più forte appunto perché la nostra anima essendosi staccata dalle cose, diventa capace di sopportare, di portare.

Infatti all’ultimo il Signore dice: “Ho tante cose ancora da dirvi ma per ora non le potete portare”; quindi significa che man mano che Lui parla la mia anima diventa capace di portare il dono crescente fino all’infinito…

Pinuccia: È necessario quindi fermarci molto, anche su una sola parola, fermaci sopra mille volte, ripetere gli argomenti. Infatti si deve far consistere tutta la validità della ricerca di Dio nell’approfondimento, anche e soprattutto intellettuale (con intelletto d’amore) della parola di Cristo. la vita e quindi anche la vita pratica, deve essere un’espressione di quello che portiamo nello spirito e lo spirito è intelletto: “Dio è spirito e verità e vuole adoratori in spirito e verità”. San Paolo dice che lo spirito d’amore, desidera conoscere tutte le cose, anche le profondità di Dio; quando si ama si desidera conoscere tutto di Dio, chi desidera tanto, ama tanto. Amare, sostanzialmente è desiderio di conoscere; la vita eterna è conoscenza di Dio: quindi l’approfondire il vangelo è già vivere. La nostra gioia allo svegliarci, dovrebbe essere quella di avere tutta la giornata per conoscere Dio, pur accogliendo il fratello che Lui ci manda, cioè la gioia di dedicarci a tempo pieno di Dio: questo è l’ideale.

Eligio: Il desiderio di conoscere è l’anticamera della conoscenza….

Luigi: Si, più noi conosciamo Dio, siccome Dio è un infinito, e più cresce in noi il desiderio di conoscerlo (poiché Dio è inesauribile); però noi siamo appesi a questo desiderio di conoscerlo che ci viene da Lui. Il primo dono è Lui, se Lui non amasse noi prima che noi siamo capaci di amarlo, noi non ci crederemmo mai nell’amore: quindi noi amiamo in quanto siamo amati, in quanto riceviamo amore. Noi non siamo gli iniziatori dell’amore, noi siamo risposta d’amore che possono anche difettare. Per cui da parte nostra ci può essere solo il difetto ma non l’iniziativa; l’iniziativa è sempre di Dio perché Dio è il Creatore, noi cerchiamo di diventare figli, (il figlio riceve). Quindi, Dio è il Creatore, è l’Iniziatore dell’amore, noi possiamo rispondere o essere in difetto nella risposta. Rispondendo cosa facciamo? Incominciamo ad amare. E amando cosa facciamo? Amare vuol dire interessarsi di -, perché amore è far vivere l’altro, far esistere l’altro, fare il bene dell’altro, quindi interessarsi dell’altro. Amare è uscire! Ma nessuno di noi può amare se non riceve amore. Per cui non dobbiamo accusare qualcuno se non è capace di amare, ma dobbiamo piuttosto vedere che non è capace di amare perché non ha ricevuto amore; o forse perché noi stessi non abbiamo amato. Per cui quando il Signore dice (e siamo ancora nel campo dei segni), quando i suoi discepoli dicono: “Licenziali perché l’ora è tarda affinché vadano a procurarsi da mangiare”, “Date voi loro da mangiare” quasi a dire: “Voi siete più vicini a Me, quindi avete ricevuto da Me amore, quindi date voi a loro amore”. Ecco non esigete da loro che vadano per il mondo ad elemosinare amore quando siete voi che potete dargliene. Ecco, abbiamo un processo di discesa: tutto parte da Dio, chi più è presso Dio deve donare perché Dio è il Centro dei doni, donando…

Ecco, per cui se c'è della sofferenza nella privazione d’amore, bisogna sempre riferire in alto, perché c'è qualcuno nella scala che difetta nel donare amore.

Ecco per cui non dobbiamo mai giudicare perché San Paolo dice: “Stai attento, perché giudicando l’altro tu condanni te stesso”: perché giudicando il tuo fratello come delinquente, quindi incapace di amare, tu condanni te stesso perché dicendo che l’altro non è capace di amare è perché non ha ricevuto amore.

Allora, Dio donando amore suscita in noi desiderio d’amore, desiderio di conoscere; più conosciamo, più entriamo nell’amore, a poco per volta diventiamo capaci di amare.

Pinuccia: Le nostre difficoltà sono determinate dalla frattura tra lo spirito e la vita pratica, perché c'è ancora il conflitto tra i due mondi. Non lasciamo tutto come San Francesco, perché non siamo ancora convinti che Dio è l’unico tesoro, e finché c'è questo conflitto, abbiamo bisogno di insistere, di ripetere perché tutto ci porta via.

La domenica 22 maggio ci siamo fermati sul versetto 34: “Perché quegli che Dio ha inviato pronunzia parole di Dio, perché Dio non gli dà lo spirito con misura”.