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Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire. Gv 13 Vs 33


Argomenti: Pensiero/mondo esterno/Dio – Il passaggio della morte – Le presenze fisiche – L’iniziativa di Dio – Finito e infinito – La parola ci fa superare l’io – La grazia della Parola – Capire la morte di Cristo -  


 

22/ Agosto /1987


Luigi: “Figliolini miei”: è un’espressione di amore. Infatti l’evangelista dice “…avendo amato i  suoi, li amò fino alla fine”. Gesù li sta lasciando; quando uno muore  ed ama arriva a questa tenerezza. E quanto amore c’è in Cristo per arrivare a queste espressioni di tenerezza! Noi non ci rendiamo conto, ma siamo molto amati da Dio.

“È per poco che Io sono ancora con voi”: questo lo dice sempre a tutti, ad ogni età, perché il tempo è breve (“mille anni sono come il giorno di ieri che passò”): è un invito  ad affrettarci: “Se tu oggi odi la sua Parola, se a te giunge oggi la sua Parola, affrettati ad entrare nella sua Pace, cioè nella Vita Eterna, nella sua conoscenza”, ogni parola di Dio che giunge a noi è uno scalino che ci fa avanzare in questa conoscenza, perché Dio parla ed opera in tutto per portarci a questa conoscenza: affrettatevi!

“Ancora per poco”: quel “poco” indica che lo spazio di tempo è breve, solo per poco la Luce è con noi; al v. 35 del capitolo 12 aveva detto “La Luce è vicina a voi ancora per un po’ di tempo. Camminate mentre avete la Luce, affinché le tenebre non vi sorprendano”. Il rischio è quello di farsi sorprendere dalla marea di tenebre che sta salendo.

Ogni parola inutile che diciamo ci tira giù, perché diventiamo figli delle nostre opere. “Solo per poco la Luce è con voi: camminate fintanto che avete la Luce, fintanto che Io sono ancora con voi, perché correte il rischio di essere sorpresi dalle tenebre o di trovarvi davanti ad una porta chiusa, come le vergini stolte”. Possiamo entrare solo con Lui, in caso contrario invano busseremo alla sua porta, perché quella porta si apre soltanto dal di dentro.

“Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”, cioè senza il Pensiero del Padre, che è il Figlio non si può giungere al Padre. Deve sempre essere il Cristo a portarci al Padre; non illudiamoci di poter andare da soli. È Lui che ci consegna al Padre, se lo seguiamo; non è mai per iniziativa nostra. Perché? Perché “Dove Io sono voi non potete venire”: “mi cercherete quando non ci sarò più, ma non mi troverete”. “Affrettatevi a camminare con Me, ora, in questa poco tempo in cui sono ancora con voi”. I nostri passi devono sempre essere fatti come conseguenza di una sollecitazione del Figlio di Dio, il quale ci guida passo passo, come uno che guida una scalata “metti un passo qui, adesso là…”.

Se noi facciamo i nostri passi senza aver visto i suoi passi non possiamo entrare. Egli ci insegna a camminare verso il Padre: si incarna, si immedesima nella nostra situazione per agganciarci a sé e per insegnarci a uscirne.

La sua parola è la strada su cui io devo camminare, su cui posso camminare se nel Pensiero di Dio la approfondisco. Per questo dobbiamo mangiare, assimilare le sue Parole; esse sono un sentiero per i nostri passi, un sentiero che collega il punto, la situazione nella quale ci troviamo con la meta, il Padre.

Si camminiamo su questo sentiero man mano che assimiliamo le sue parole, una dopo l’altra; così Egli ci conduce al Padre, senza che ce ne accorgiamo. “Chi ha visto Me ha visto il Padre… Tanto tempo sono con voi e non mi conoscete?”, la conoscenza, la comunione e quindi la vita viene dall’assimilazione.

Io vivo la Parola nella misura in cui assimilo la Parola. La vita è comunione e la comunione deriva dall’assimilazione. “Io sono la strada”, dice Gesù, perché le sue parole sono strada per i nostri passi. Senza di Lui non possiamo giungere al Padre. L’iniziatore è Lui che parla, quindi se aderisco è grazia sua, se cammino è per grazia sua e se giungo al Padre è per grazia sua. Però posso non aderire, posso avere orecchi per altro e quindi non assimilare le sue parole. Posso leggerle e non approfondirle, interpretarle in senso orizzontale, nel pensiero dell’io, allora né cammino e né giungo al Padre; ma la colpa è mia.

Oppure, posso essere terreno profondo che accoglie e custodisce e approfondisce col Pensiero di Dio (“che cosa hai voluto dirmi con queste parole, mio Signore?”) ogni parla che mi giunge, fino a portarla a maturazione, al frutto, che è la conoscenza di Dio. Se faccio così con ogni parola di Cristo arrivo alla meta.

Cristo mi parla come nessun uomo mi parla: le sue parole mi sorprendono, perché arrivano nella mia situazione, però non mi confermano, anzi mi dicono cose che sono in contrasto con le esigenze del mio io (cfr.: “Dì a mio fratello che divida con me l’eredità”, Gesù risponde “Guardatevi da ogni avarizia…, la vita non viene dai beni che si posseggono”). Egli parla in modo diverso da come parlano gli uomini, e questo ci costringe a pensare, a superarci, ci mette in crisi: credevo di essere nella giustizia, nella vita, ma Lui mi dice che la vera giustizia è un’altra, che la vita non è lì, ma là, ecc. Egli viene a me, mi raggiunge nella mia situazione, in ogni fatto, in ogni cosa, in ogni segno è il Verbo di Dio che viene a me, per invitarmi a guardare dove Lui è, ma non resta con  me.

In Cristo si illumina il senso di ogni cosa, di ogni fatto, di ogni segno. Cristo viene a me, ma se ne va, ritorna al Padre, non sta con me, e se non mi affretto ad andare con Lui, quando Lui viene a me e poi se ne va, io rimango solo con il ricordo della parola che mi ha detto; e ormai io non posso più andare dove lui è andato (“Dove Io sono, voi da soli non potete venire”), perché la grazia per andarvi, la forza è Lui che parla a me. Ma se io non mi muovo quando Lui è con me, nel momento che è disceso a me, invano cercherò di andarvi, anzi sarò giudicato dalla parola che mi ha detto perché non l’ho ascoltata.

Bisogna seguirlo quando Lui è con noi (“ancora per poco resto con voi”); se lo seguiamo in tutte le sue Parole, allora Lui ci conduce sulla “soglia”, davanti alla quale ci lascia, affidandoci al Padre: lo ritroveremo come Verbo interiore, dopo la conoscenza del Padre.

Già c’è in noi il Verbo interiore, ma non lo conosciamo, anche se è Lui che ci guida. Nel Padre lo conosceremo. Cristo parla in modo da prepararci ad accogliere il Padre dopo che Egli stesso ci avrà lasciato. Parla del Padre in termini tali da preparare la nostra anima al momento in cui Lui dirà: “Ora me ne vado”, e dirà al Padre “Ora, o Padre, custodiscili Tu”.

Quando Gesù dice queste parole gli animi degli apostoli sono preparati a tal punto che Lui può andarsene. E invita il Padre a custodirli affinché essi sappiamo che devono affidarsi al Padre, perché ormai sono affidati da Lui al Padre: “vi ho affidati al Padre, ora Io me ne vado, ma continuate a guardare quello di cui sempre vi ho parlato: il Padre, al quale vi ho affidati”. Se l’anima ha seguito Gesù assimilando tutte le sue parole è in grado di guardare il Padre, è in grado di attendere dal Padre quella rivelazione e quel dono di Sé promesso da Cristo, è in grado di affidarsi unicamente al Padre nel silenzio totale di ogni altra voce in sé e fuori di sé, cioè è in grado di far conto ormai solo sul Padre. Tutte le sue parole ci purificano da ogni altro interesse, ci portano cioè alla convinzione interiore di voler far conto unicamente su Dio, a questa unicità e totalità di desiderio e di amore; ci rendono cioè capaci di affidarsi al Padre.

Bisogna quindi affrettarci a cercare il Signore, a glorificare Dio, a cercare il suo Pensiero in tutto, a vivere secondo il suo Pensiero. Se noi lo glorifichiamo Egli ci glorificherà, si manifesterà a noi. Ma bisogna glorificarlo, cercarlo, quando Cristo è con noi, perché senza di Lui “dove Io sono voi non potete venire; mi cercherete ma non mi troverete”.

Domanda: Ma il vivere secondo il Pensiero di Dio presuppone già la conoscenza di questo Pensiero di Dio?

Luigi: Il Verbo interiore, il Pensiero di Dio è già in noi, ma noi non ne siamo coscienti. È Lui che inizia il dialogo con noi, è Lui che per  primo si dona, se no noi non potremmo desiderarlo. Se hai il desiderio di conoscere Dio è perché Dio per primo si è donato a te. Noi siamo sempre in situazione di risposta a Dio, più o meno difettosa. Più rispondiamo alle iniziative di Dio, alle parole di Dio che giungono a noi, e più cresce in noi la conoscenza, o meglio la capacità di ricevere il grande dono della rivelazione del Padre. Quindi c’è già una conoscenza in noi, perché Dio per primo rivela qualcosa di Sé, se no l’uomo da solo non potrebbe muoversi a cercarLo. Però tra questa conoscenza iniziale e la conoscenza personale di Dio, che è Vita Eterna, c’è una differenza enorme: c’è l’abisso. La conoscenza iniziale è una conoscenza in cui non sappiamo restare, in quanto siamo dominati dagli avvenimenti. La difficoltà nostra è proprio questo restare: “sarete veri miei discepoli se resterete nel mio amore”. Per restare nella conoscenza di Dio bisogna imparare a generare il verbo di Dio. Lo sforzo nostro deve essere quello di assimilare la Parola di Dio tenendo presente Lui, il Pensiero di Dio; assimilarla senza separarci da Lui, perché non basta che udiamo la sua Parola, ci vuole Lui, la sua Presenza, il suo Pensiero. Dobbiamo sforzarci di vivere secondo il Pensiero di Dio, e questo è possibile nella misura in cui ci sforziamo di assimilare con il Pensiero di Dio la parola che giunge a noi. Infatti vivere secondo il Pensiero di Dio vuol dire assimilare nel Pensiero di Dio la parola che giunge a noi. Assimilando si entra in comunione, quindi nella vita. Vivo secondo il Pensiero di Dio nella misura in cui assimilo la Parola che mi fa giungere, cercando di capire ciò che mi dice, il segno che mi manda.

La parola, il segno è ambiguo, perché può avere il volto della creatura e il Volto di Dio. Noi generalmente ci fermiamo all’aspetto che passa, perché lì troviamo il volto nostro, e quindi non cerchiamo l’aspetto eterno, il Pensiero di Dio. Invece in ogni cosa, avvenimento, creatura, ecc., dobbiamo preoccuparci di cercare il volto Eterno, l’aspetto Eterno, superando l’aspetto transitorio dove c’è il nostro io.

Dobbiamo sforzarci di entrare nelle cose eterne, di cogliere l’aspetto eterno di ogni cosa. Così si vive secondo il Pensiero di Dio. Si vive assimilando in Dio.

Non preoccuparti perciò di conoscere le cose che passano, ma preoccupati di conoscere quelle che non passano, cioè l’aspetto eterno di ciò che passa. “Se siete risorti con Cristo non cercate più le cose di quaggiù, ma le cose di lassù, dove Cristo è seduto alla destra del Padre”. Quindi in ogni cosa e avvenimento dobbiamo chiederci: “quale lezione di Vita Eterna mi da Dio? Che cosa mi insegna di Sé?”. In tal modo assimiliamo e più assimiliamo e più entriamo in comunione e quindi nella vita, perché la vita è comunione, partecipazione, perché da sola la creatura non vive. La creatura vive per partecipazione, vive nella misura in cui entra in comunione, nella misura in cui partecipa della vita, del Pensiero dell’Altro, perché da sola muore.

Si vive la Parola nella misura in cui si assimila la Parola; questo è il vero “fare”, la vera “vita”, la volontà di Dio su di noi, perché Dio vuole che noi viviamo.

Si assimila la parola innanzitutto accogliendo la parola, il segno, l’avvenimento. Senza accettazione non si può assimilare il segno e giungere all’aspetto eterno. Nell’accettazione c’è il superamento dell’io, il superamento dell’aspetto transitorio, relativo all’io che il segno porta con sé. È attraverso questo superamento dell’io che siamo condotti dal Pensiero di Dio alla Luce, all’aspetto eterno delle cose. Nel riconoscere che tutto è fatto da Dio sta la grandezza della creatura, ed è la condizione per accogliere tutto e cercare in tutto l’aspetto eterno.

 

È per poco che Io resto ancora con voi”: qui Gesù intensifica il rapporto perché sta partendo. È una sollecitazione a fare in fretta, perché sta partendo “fai in fretta perché solo per poco sono ancora con te”. È una sollecitazione a cercare il Pensiero di Dio presso il Padre nel momento in cui esso si presenta a me ancora come segno. Altrimenti si perde il segno e il Pensiero.

Quando i segni non ci dicono più niente è difetto nostro, perché non abbiamo colto in essi il Pensiero di Dio: ci siamo fermati all’aspetto transitorio, relativo, che ormai non può dirci più nulla. Certo, il segno come segno si esaurisce per tutti, anche per coloro che si sono sforzati di cogliere l’aspetto eterno, ma costoro quando i segni hanno esaurito ciò che dovevano dire, non si trovano davanti al niente, ma davanti al Padre.

Sono due modi diversi di trovarsi davanti ai segni che passano:

·                             possono arrivare e non dirci più niente perché siamo morti: non li abbiamo raccolti in Dio e allora siamo davanti al niente.

·                             possono arrivare e non dirci più niente perché siamo vivi: i segni come segni sono passati, ma ci resta il significato di essi, perché li abbiamo raccolti in Dio; raccogliendoli nel Padre si è carichi di vita, perché si è carichi di significato, dell’essenziale.

 

La tragedia è quando non c’è più l’essenziale, perché non lo si è colto quando il segno era giunto a noi; allora tutto si svuota, i segni, le cose non ci dicono più nulla, si vive solo più di ricordi: è l’angoscia esistenziale.

 

Domanda: Dobbiamo far conto su Dio perché ci sarà più facile affrettarci a raccogliere i segni in Dio?

Luigi: Lo sforzo più difficile da parte nostra, la difficoltà più grossa che abbiamo è proprio questo far conto su Dio solo, perché facciamo sempre conto su di noi e sui nostri sforzi. Lo sforzo più difficile ed essenziale per noi è imparare a far conto solo su Dio, imparare ad affidarci a Dio. Sembra facile, ma non lo è, perché affidarci a Dio vuol dire accogliere quanto Lui ci dice: “Pensa a Me, Io penso a te, a tutto”. Noi ci crediamo? Abbiamo paura, e arriviamo a dire “se non penso a me, chi ci pensa?”.

“Non preoccuparti del mangiare, del vestire, ecc., cerca prima di tutto il Regno di Dio; tutto  il resto ti sarà dato in sovrappiù”: è Parola di Dio! Eppure, quanta difficoltà ad affidarci a questa parola! Ed è basilare, non solo perché ci metterebbe nella condizione di essere disponibili totalmente ad occuparci di Dio, a raccogliere tutto in Dio, ma anche perché non si entra nel Regno di Dio se non si fa conto su Dio in tutto: “Dove Io sono voi non potete venire, da soli”. È una nascita nuova, la quale avviene solo in quanto si arriva a far conto in tutto su Dio. Noi invece nasciamo dalla nostra famiglia, dalle nostre istituzioni, dal posto di lavoro, ecc., perché facciamo conto su queste cose. “Nascere da-”  vuol dire far conto su-. Dio parlando a me, mi invita a far conto solo su Dio. I figli di Dio si caratterizzano in questo: in tutto fanno conto solo su Dio, e questi non muoiono. È lo sforzo più faticoso, è quel “sforzatevi di entrare per la porta stretta”, sforzatevi di far conto su Dio in tutto, perché tutto è opera di Dio. Se non impariamo a far conto su Dio, ci costruiamo catene a non finire.

Quindi: “ancora per poco…”, è un invito ad affrettarci a imparare a far conto su Dio, a nascere da Dio, a essere fatti da Dio, finché Lui è ancora con noi. Solo quando, condotti da Cristo, abbiamo imparato a far conto in tutto su Dio, ci troviamo davanti a quella soglia in attesa di ricevere la rivelazione dal Padre.

 

“Voi mi cercherete ma…”: si riferisce a quando se ne sarà andato. Invano lo cercheremo quando Lui se ne sarà andato via. Invano busseremo alla porta: “Signore, aprici!”. Dobbiamo cercarlo ora, in questo breve tempo che Lui è ancora con noi. Se l’abbiamo cercato ora, allora lo ritroveremo. Ma Egli ci avvisa del rischio di trovarci davanti ad una porta chiusa, se non lo cerchiamo con tutto il nostro essere, quando Lui giunge a noi, quando Lui è con noi.

 

“…ma dove Io vado voi non potete venire”: “come ho detto ai Giudei, così dico anche a voi”, cioè, questo vale per tutti, per ciascuno, giusto o peccatore, Giudeo o discepolo: nessuno, da solo, può entrare nel Regno del Padre. Lo dice anche ai suoi discepoli. Questo lo dice per salvarci, per farci entrare, non per escluderci.

 

“Voi non potete venire”: Gesù non mi dice questo per farmi star fuori, ma per farmi entrare, per sollecitarmi a cercarlo mentre Lui è con me. Infatti dice “È per poco tempo ancora che sto con voi”, quindi affrettatevi. Ce lo dice per affrettarci perché Lui non resta, ed è solo con Lui che si entra. Egli quindi non vuole escluderci, ma vuole mettere bene in evidenza che è solo con Lui che si entra.

Mi insegna la via per andare là dove Lui è; quindi non me lo dice per farmi star fuori, ma per invitarci a stare attenti ad essere sempre in collegamento con Lui, perché  “nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”. È solo camminando con Lui che noi entriamo nel regno di Dio. Egli vuole farci capire che non basta deciderci di cercarlo per trovarlo, “arriverà il giorno in cui mi cercherai, non fosse altro perché sospinto dalle tue amarezze per cercare consolazione”. Solo se si è condotti dal Figlio si entra, con la sua Parola. È solo facendo conto su di Lui che si entra, in quanto non si vuole altro che Lui, si è motivati da Lui solo.

 

“Come ho detto ai Giudei, così ora lo dico a voi”: agli apostoli lo dice solo ora, perché adesso Lui sta per andarsene e non sarà più con loro. Ai Giudei l’ha detto prima perché non erano sempre con Lui. Lo dice a tutti: “mi cercherete, ma non mi troverete”. Lo si può cercare come le vergini stolte che sono rimaste escluse. Lo dice affinché a noi non accada lo stesso. Solo con Lui possiamo entrare dove Lui entra. Non possiamo quindi che far conto su di Lui. Per questo dobbiamo imparare a camminare con Lui.

Noi possiamo glorificare il Padre (e quindi essere glorificati, cioè giungere alla conoscenza del Padre) ad una sola condizione: seguendo il Figlio, “nessuno va al Padre senza di Me”, “Io sono la Vita voi i tralci”. La condizione è chiara: arriviamo nella misura in cui camminiamo con Lui. Perché dove Lui è noi non possiamo andare. Lo dice a tutti perché può accadere che uno lo cerchi stoltamente, ma lo dice perché non accada, affinché io mi convinca che debbo cercarlo quando e come vuole Lui. I tempi sono di Dio, non debbo rimandare. Io non posso dirgli: “aspetta, verrò dopo… quando sarò in pensione”. La condizione essenziale per trovarlo è questa: dobbiamo essere completamente disponibili per il nostro Signore, perché è il Signore, non il servo.

 

Quando Lui sarà morto, ognuno lo ritroverà risorto nella misura in cui avrà creduto in Lui. Infatti Gesù risorto si manifesta con volti e aspetti diversi, e questo ci fa capire che ognuno di noi lo vedrà nella misura e nel modo con cui avrà creduto in Lui; a seconda, quando si è presentato a me, di come sono stato disponibile. Credere in Lui vuol dire essere disponibile per Lui. Ognuno vedrà nella misura in cui si sarà impegnato con la Parola. Ma prima è necessario morire a noi stessi davanti alla morte di Cristo. I discepoli di Emmaus erano delusi, quindi hanno creduto solo fino ad un certo punto, però lo conobbero allo spezzar del pane: ecco il punto in cui lo ritrovano e lo riconoscono. Anche dopo la morte di Cristo i discepoli ragionavano ancora umanamente, perché non erano ancora giunti a Pentecoste. A Pentecoste però trionfano sul mondo e sui ragionamenti umani, perché vivono nel regno di Dio. È necessario prima di tutto un processo di purificazione, perché la morte del Signore è stata la loro morte. La morte del loro Maestro è stata il crogiuolo di purificazione per morire a se stessi. Tommaso, non è morto a se stesso con la morte del Cristo, se no non avrebbe detto quelle parole superbe che ha detto ai discepoli dopo la visita di Gesù risorto; per questo Gesù lo ha fatto aspettare otto giorni. Nell’attesa quelle parole lo hanno tormentato, poiché diventiamo figli delle nostre opere e quindi delle nostre parole: pagheremo tutto, fino all’ultimo spicciolo. In quel silenzio durato otto giorni Tommaso è morto a se stesso e vede anche Lui Cristo risorto.

L’importante è rimanere con Gesù nonostante le nostre colpe e far conto sulla sua misericordia, sul suo amore e non sulle nostre virtù, sui nostri meriti, ecc.; così come ha fatto Pietro, la prostituta, ecc., perché Dio non ha paura delle nostre colpe, del nostro marcio, perché Egli è Medico; quindi se sono malato non debbo aver paura, perché Egli viene per i malati: il medico non si stupisce delle malattie.

Pietro ha avuto fiducia nel perdono del suo Signore, nonostante la sua presunzione, nonostante tutto. La lezione sostanziale di Pietro sta qui: è rimasto col Signore nonostante tutto e il Signore l’ha condotto alla Pentecoste. In sostanza non dobbiamo far conto sulle nostre virtù, sui nostri mezzi, ma sulla misericordia e bontà di Dio. Si entra solo così, perché “dove io sono voi non potete venire”. Solo col Pensiero di Dio, solo con Cristo captiamo il significato di tutto, giungendo al Padre. Tutte le opere di Dio, essendo segni, sono ambigue; Dio invece ha un volto solo e ci illumina il vero volto delle sue opere. Senza di Lui niente ci può illuminare. Guarda quindi sempre a Lui, all’essenziale, perché lì sta tutta la tua vita, la luce, l’amore, ecc. Anche queste parole di Gesù: “Mi cercherete, ma dove Io sono voi non potete venire”, le dice per invitarci a camminare con Lui che è la nostra luce, non per escluderci.

“Dio vuole che tutti si salvino”. Cristo essendo la Volontà di Dio, tutto ciò che dice lo dice secondo questa Volontà di Dio, con questo scopo di salvezza, perché la Volontà di Dio è che tutti si salvino. Dice queste parole per farci entrare, per evitarci di trovarci davanti ad una porta chiusa, per insegnarci a far conto solo su Dio e non più su di noi.    

      

(23.08.1980)

 

   “Figliolini miei, è per poco che io resto ancora con voi. Voi mi cercherete, ma come ho detto ai Giudei, dove io vado, voi non potete venire, lo dico adesso anche a voi”: questo lo disse prima ai Giudei che già erano con Lui; ora lo dice ai discepoli perché fra poco non sarà più con loro (“è per poco che Io resto ancora con voi”). Ma quanto dice vale per tutti, buoni e cattivi, perché tutti devono esperimentare l’impossibilità di arrivare da soli a conoscere Dio, a giungere dove Lui è.

Anche in queste parole Gesù parla per noi. Gesù parola sempre per noi, sia quando ci rivela ciò che Lui è (per rivelarci la meta alla quale siamo chiamati, fino a fare una sola cosa con Lui; “il Figlio dell’uomo è stato glorificato”), sia quando ci mostra ciò che fa e ciò che avviene in Lui (per insegnarci come si arriva a fare una cosa sola con Lui, come si diventa figli, “se Dio è stato glorificato in Lui”), sia nelle tentazioni, nella sofferenza, ecc. .  Egli si incarna, entra nelle nostre situazioni per farci vedere come se ne esce.

 

Domanda: questo risulta facilmente comprensibile nei versetti precedenti, i quali applicati a noi ci rivelano che anche noi siamo chiamati alla glorificazione e ci insegnano quale è la condizione per giungervi. Ma in questo versetto le parole di Gesù si possono riferire solo a Dio (“mi cercherete e non mi troverete”) e non a noi.

Luigi: Gesù sempre parla per noi, perché l’Incarnazione è per noi. Anche queste parole le dice per noi, per insegnarci che da soli non arriviamo a conoscere Dio, così come quando dice: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio… Nessuno ha mai visto Dio…”. Tutti, Giudei e Apostoli, devono esperimentare che non possono giungere da soli dove Lui è: “Dove Io sono voi non potete venire”. Tutti, buoni e cattivi, devono esperimentare questa prova dell’impossibilità di conoscere da soli Dio, per cui, anche coloro che hanno seguito il Cristo per essere condotti da Lui a questa conoscenza del Padre, debbono passare attraverso la prova dell’attesa, del silenzio totale di tutto (cf. i dieci giorni prima della Pentecoste, la mezz’ora di silenzio di tutto l’universo).

È necessaria questa prova per esperimentare che i doni di Dio sono gratuiti. Noi dobbiamo essere disposti ad aspettare, fedeli, per tutto il tempo che Dio vorrà, perché noi non possiamo pretendere niente. I doni sono di Dio e sono gratuiti; non possiamo pretenderli, perché ci sottrarremmo all’amore. Se noi vogliamo restare nell’amore, dobbiamo ricevere il dono dell’altro, quindi dobbiamo avere la pazienza dell’attesa senza pretendere nulla, perché l’Altro non è tenuto a darci i suoi doni e può farci aspettare tutto il tempo che vuole: è Lui che sa il tempo in cui può rivelarsi a noi (non lo possiamo determinare noi).

Il Regno di Dio è un regno d’Amore e quindi è un regno dove si rispetta sempre la libertà dell’altro, è un regno dove non ci possono essere mai pretese. Ogni creatura quindi deve esperimentare innanzitutto che lei, da sola non può far niente, e poi che i doni sono di Dio e sono liberi e gratuiti. Qualunque anima, per quanto sia preparata, deve esperimentare che il dono è gratuito da parte di Dio, deve cioè esperimentare il tempo dell’attesa.

Inoltre la scoperta del Tutto di Dio necessita, da parte della creatura, la verifica del niente suo. All’anima che ha seguito Cristo fino alla fine, Dio fa esperimentare l’attesa, perché quando Egli le si rivelerà, essa possa dire: “È proprio dono tuo, Signore, non sono io che ho scoperto la tua Presenza, ma sei Tu che mi hai fatto il dono della tua Presenza”. Se l’anima non è convinta di questo non può entrare nel regno dell’Amore. Se l’anima crede di poter fare qualche cosa, di avere dei diritti, l’amore sfuma. Quando uno pretende, non può più scoprire i doni dell’amore, perché pretendere ciò che si desidera è escludersi dall’amore. La maturità dell’amore è data dall’essere con: per questo ogni creatura deve sperimentare, nel tempo dell’attesa, che da sola non può fare nulla, e deve essere disposta ad attendere senza pretese dieci giorni, come cinque o anche dieci anni. “Rimanete in Gerusalemme fintanto che non sarete investiti del dono dall’Alto”, si tratta di un dono che si riceve, ed è un dono gratuito, per questo tutti devono sperimentare l’attesa per convincersi.

Gesù dice le cose prima che avvengano, così quando avvengono non disperiamo, perché sappiamo che è Lui. Con queste parole già ci preannuncia la necessità dell’attesa. Se una persona che desidero vedere mi fa sapere prima che non verrà fino al tal giorno della settimana, io rimango tranquillo, perché so che viene, anche se tarda mi ha avvisato. Così Gesù ci avvisa: se crediamo, rimaniamo tranquilli; se non crediamo possiamo disperare. Se uno crede e viene a trovarsi in questa esperienza di impossibilità e di attesa, non teme: le cose erano programmate. Gesù parla prima che avvenga questo momento, perché se crediamo sappiamo che anche il tempo del silenzio di Dio è suo. Infatti noi possiamo stare nel silenzio di Dio con l’angoscia (se non abbiamo creduto) o nella fiducia (se abbiamo creduto).

Gesù dice “Vi dico queste cose prima che avvengano, affinché quando avverranno sappiate che sono Io”. Se credo, quando giunge questo momento, capisco che è opera sua, e allora rimango tranquillo perché fa parte di un suo disegno: è necessario infatti sperimentare il silenzio di tutto. Tutto di noi deve tacere per arrivare su quella soglia in cui si scopre il tutto di Dio. Cioè è necessario constatare il nulla nostro per scoprire il Tutto suo. Fintanto che crediamo di avere diritto a qualcosa, siamo nell’impossibilità di conoscere Dio. Per questo Gesù dice “Chi si innalza sarà abbassato”. Dio ci ha creati per innalzarci, non per abbassarci, però è necessario che Egli ci abbassi quando usciamo dalla nostra dimensione, appunto per poterci innalzare alla sua conoscenza. Quindi è necessario che la creatura sappia ed esperimenti, “dove Io sono voi non potete venire”: questo Gesù lo dice non per escluderci, ma per farci entrare. Ci dice “Non far conto su di te, ma su di Me”, ed è la condizione per arrivare dove vogliamo.

Dicendoci “voi da soli non potete venire dove Io sono; dunque restate con Me se volete giungere dove Io sono, perché sono Io la strada”, è come se dicesse a uno che vuole andare a Cuneo “se prendi la strada di Torino, non arriverai mai a Cuneo”.

Ce lo dice per farci entrare, per dirci qual è la volontà del Padre, e la volontà del Padre è che tutti si salvino. Quindi tutto quello che dice Gesù, lo dice per salvare. Anche se ci dicesse “disgraziato”, ce lo direbbe ancora per salvarci. Se non guardiamo le cose e gli avvenimenti in questa luce capiamo niente di tutto ciò che dice il Cristo. Tutto il parlare di Dio è sempre orientato a salvare la creatura, quindi ogni parola sua va intelletta nella finalità, “Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità". Egli opera personalmente tutto quello che può per salvarci, fino a donare se stesso. Non opera niente per rovinarci. Quindi chi si danna non si danna certamente per volontà di Dio. Con queste parole Gesù ci dice due cose:

1.                                          La condizione per evitare di trovarci davanti ad una porta chiusa è che stiamo con Lui.

2.                                         Dobbiamo passare tutti attraverso la prova del silenzio di Dio, il tempo dell’attesa, perché Dio è libero nei suoi doni e noi dobbiamo convincerci che tutto va attribuito a Lui.

 

Questo silenzio, siccome è programmato da Lui, è ancora essere con Lui. È come se Lui ci dicesse “resta con me in quel silenzio”: è un passaggio necessario, voluto da Lui. In tal modo resto nella sua volontà.


 Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Gv 13 Vs 34


Argomenti: La possibilità di amare – Vedere il come – Amare il prossimo – Conoscere è essere  - L’abbondanza di vita – Rinnegare se stessi – Amare il nemico -


 

29/ Agosto /1987


Domanda: Come possiamo amare veramente e quindi testimoniare, far capire ad una persona lebbrosa l’amore del Padre?

Luigi: È la persona lebbrosa che sollecita in noi l’amore per il Padre. Infatti Dio ce la presenta per aprire il nostro cuore all’amore del Padre. Noi la amiamo proprio ricevendola dal Padre, accogliendola come un invito ad amare Dio. Più tu ami Dio, più accogli le creature, più ami le creature. Infatti l’amore è desiderio di conoscere il Padre in risposta all’amore del Padre per noi, che vuole che lo conosciamo. Quindi agli altri va portato l’amore del Padre per ognuno di noi. “Vi do un comandamento nuovo”, ciò che forma la novità è il “…come Io vi ho amati”. È il “come” che forma la novità, perché l’amore è una regola antica; infatti già nell’Antico testamento abbiamo “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Il primo comandamento è “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze”  e il secondo è simile al primo: “ama il prossimo tuo come te stesso”. Qui invece abbiamo il “…come Io vi ho amati”, non più “come te stesso”.

È questo “come” nuovo che ci impegna a scoprire come Cristo ha amato e ama noi. E non è facile scoprirlo, perché ad es. Cristo ci ha amato anche usando la sferza nel Tempio.

La novità non è una regola, un comando, ma un dono, una grazia: quella di amarci come Lui ha amato noi. Sostanzialmente dice: “vi do un regalo nuovo: quello di amarvi come Io ho amato voi”. È una grazia, un amore che parte dal di dentro, non dal di fuori, da un precetto. È la grazia dell’amore del Padre che sovrabbonda verso la creatura. Non è un amore che scaturisce da un precetto, da un comando, perché il precetto è antico. Si tratta di una novità. È un dono speciale, il dono del “come Lui ha amato noi”. L’amore per il Padre che Lui ha avuto e che l’ha portato ad amare noi, dà a  noi la possibilità di amare la creatura come Lui la ama; perché infatti senza questo Amore noi amiamo le creature nel pensiero dell’io, e qui il nostro è un amore possessivo.

L’amore di Dio vuole il vero bene dell’altro. Le creature gemono perché non toccano niente di Dio. Il vero bene della creatura è Dio: questo è il vero bisogno della creatura. Chi ama veramente scopre il vero bisogno dell’altro; se ha bisogno del pane, non gli dà uno scorpione.

Se alla creatura che ha bisogno di Dio gli si da altro, ciò che le si da aumenta la sua sofferenza. L’umanità è in una sofferenza crescente, perché non si dà agli uomini il vero bene, perché non si cerca, non si ama Dio prima di tutto. Chi ama veramente Dio, ama veramente l’uomo perché scopre qual è il vero bene dell’altro. Agli altri noi siamo chiamati a dare l’amore del Padre e del Figlio per noi.

Le creature soffrono perché non toccano, non vedono l’amore di Dio per gli uomini. Il vedere questo bisogno e dare l’amore del Padre, il vero dono, è tutta grazia di Dio. Per questo Gesù dice: “Vi do…”. La traduzione esatta dovrebbe essere: “Vi do un dono nuovo, la possibilità di darvi il vero bene gli uni gli altri”. Se do anche il mio corpo a bruciare, se do anche tutti i miei beni per il bene delle anime, non risolvo nulla. È la possibilità di dare Dio che risolve i problemi del fratello. Cristo è venuto a dare la vita (non fisicamente, perché con la morte fisica non avrebbe risolto nulla), Cristo è venuto a dare la sua vita: il Padre. La vita di uno è ciò per cui uno vive. La vita del Cristo è il Padre. Quindi Cristo è venuto a darci il Padre che è la sua vita. Venendo a darci la possibilità, che è grazia, di conoscere suo Padre, ci ha dato la vita, il dono nuovo, la possibilità di amare tutti come Lui ci ha amati.

Quindi tutti coloro che sono figli, coloro cioè che conoscono il Padre, hanno la possibilità di dare la vita, il Padre. Per questo la vita viene al mondo attraverso i contemplativi, attraverso i figli di Dio, attraverso coloro che conoscono Dio (come l’acqua della pianura viene dalle vette). La vita della creatura è Dio, e solo chi conosce Dio può dare Dio, ha cioè la possibilità di dare la vita alle creature, la possibilità di far conoscere la Verità del Padre, che è Vita.

 

Luigi: Amare non vuol dire cercare di piacere agli uomini, ma vuol dire dare alle creature il vero bene, anche se la creatura non lo capisce ancora. Il Figlio di Dio non ha cercato di piacere agli uomini e proprio non cercando di piacere agli uomini li ha salvati.

La creatura che conosce Dio, amando, non si comporta accondiscendendo, perché l’amore non sta nell’accondiscendere. Quando quel tale chiese a Gesù di intervenire presso suo fratello per convincerlo a dividere con giustizia l’eredità, Gesù non intervenne, non si diede da fare, non disse nulla al fratello; si sottrasse, non fece ciò che gli chiese. Questo suo comportamento è amore: così facendo Egli ha dato la vita. Gesù ha dato la vita non intervenendo, ma dicendo che la vita non viene da ciò che passa e che quindi non bisogna lottare per le cose che passano. Se fosse andato dal fratello egoista, avrebbe confermato l’altro che la vita sta nel denaro.

Poi abbiamo la lezione del ricco epulone, che sembra aver amore verso i fratelli quando chiede di andarli ad avvisare, invece vero amore è il rifiuto di Abramo. Amare non vuol dire cercare di piacere agli uomini, perché l’amore vuole il vero bene della creatura; chi ama veramente sa il vero bisogno di cui la creatura ha bisogno. La creatura non sa, quindi non può capire l’amore con cui è amata quando si vede negato ciò che per lei è un bene; ma colui che sa qual è il vero bene, si rifiuta di darle ciò che chiede, perché se compiacesse la creatura la confermerebbe nell’errore, quindi la devierebbe, scandalizzandola. Cristo ama anche quando sferza o chiama gli uomini “razza di vipere”, “sepolcri imbiancati”, ecc. 

Cristo può fustigare, comportarsi in un certo modo perché è Dio, quindi la violenza è giustificabile in Lui, ma non in noi, a meno che non abbiamo la Sapienza di Dio o un ordine di Dio (nell’Antico Testamento Dio comanda di uccidere tutti quelli che sono nelle città; ad Abramo comanda di uccidere suo figlio, ecc.: tutti esempi per testimoniare che si deve fare la volontà di Dio prima di tutto).

 

Bisogna approfondire l’amore di Cristo (“amatevi come Io vi ho amati”) per capire che amare non è cercare di piacere agli uomini; anzi, proprio non accondiscendendo Lui li ha amati veramente. Se Gesù avesse sempre cercato di far piacere agli uomini li avrebbe confermati nell’errore: così è per noi. Lontano da Dio si confonde il bene con il male: intellettualmente quindi appetisce il male credendo sia un bene e questo desiderio porta a supplicare quel aiuto per avere ciò che si desidera.

Meno male che Cristo, proprio perché ci ama, si è lasciato uccidere per non convalidare il nostro errore, così facendo ci ha salvato.

La vita di ognuno di noi è Dio, soltanto dando Dio diamo il vero bene all’uomo. È per questo che tu puoi amare veramente solo nella misura in cui ami Dio. Infatti chi cerca Dio (amare vuol dire cercare), dona Dio, quindi ama veramente il prossimo. E non dobbiamo neppure proporci di dare Dio: è Dio che si dona se noi cerchiamo Lui. Ciascuno dona agli altri ciò che cerca.

 

Domanda: Perché Gesù non ha detto chiaramente: “se cerchi Dio, ami”? Queste parole possono essere fraintese, lasciandoci in una dimensione orizzontale.

Luigi: Perché noi possiamo illuderci di cercare Dio, di amare Dio; quindi ci ha messo un banco di prova: se ami veramente Dio ami tutti, anche i tuoi nemici. L’amore al prossimo, l’amore al nemico è il banco di prova per verificare il nostro amore per Dio, è la possibilità per verificare se la nostra vita, se il nostro interesse principale è Dio. Se la nostra vita è Dio siamo portati ad amare tutti, anche chi ci offende, chi ci calpesta. Se invece vi è difficoltà nell’amare i nemici ci si illude di amare Dio.

Lontano da Dio si è degli illusi: possiamo rovinarci credendo di amare Dio, di cercare Dio e poi mancare davanti al fratello. Se non possiamo verificare, possiamo illuderci di amare Dio. Abbiamo l’esempio di Pietro, che, troppo sicuro di sé, si illudeva di amare Cristo fino alla morte, nonostante fosse avvisato da Gesù “tu stanotte mi rinnegherai tre volte!”; e davanti a una servetta ha veramente rinnegato Cristo. Ecco, la servetta era il banco di prova. Eppure Pietro era onesto, credeva di amare Cristo e di essergli fedele! Ma una cosa è quello che crediamo noi e altra cosa è la realtà. Dio allora ci mette davanti a un banco di prova: osserva come ti comporti con i fratelli per correggere il tuo rapporto con Dio.

Non è giusto dire: se amo i fratelli, amo Dio; ma bisogna dire: se amo Dio, amo i fratelli.

Si può ancora fare questo errore: mettersi ad “amare” i fratelli pensando così di amare Dio. No, così non si ama né Dio né i fratelli, ma si recita l’amore ai fratelli e a Dio. Non si ha amore per Dio se diciamo: “amo i fratelli e sono a posto”; no, così si è ipocriti, si recita. E la recitazione ad un certo momento si rivela. Ad esempio: se ci si lamenta che il proprio amore non è riconosciuto, non è ricambiato, è perché c’è l’io al centro. Presto o tardi viene fuori.

Quindi il prossimo è un aiuto per la nostra debolezza, perché con esso possiamo misurare l’autenticità del nostro amore per Dio.

 

Luigi: Questo comandamento nuovo non va inteso come un comandamento, ma come il dono di una possibilità di amare come ha amato Cristo. E questo lo capiamo assimilando tutto il Vangelo. Il Vangelo infatti si commenta col Vangelo. Bisogna raccogliere tutto, e allora si comprende che l’amore al prossimo non è un precetto, non è un proposito: se diciamo infatti “devo amare”, recitiamo. Inoltre, bisogna capire, approfondendo il Vangelo, quale è il vero amore del Cristo, affinché conoscendolo, anche noi impariamo ad amare. L’amore con cui Cristo ha amato si scopre soltanto in profondità. Superficialmente noi possiamo dire: “Cristo è stato l’uomo tutto per gli altri” e sbagliamo. Non è vero che Cristo è l’uomo per gli altri, perché infatti non ha guarito tutti i malati, si è rifiutato tante volte di fare miracoli, tante volte ha trattato duramente.

Va in profondità e osserva il “come” ha amato, cerca di capire qual è stato il vero suo amore.

Gesù ha trattato molto duramente la Cananea, eppure era il vero amore di Dio che lo faceva parlare così, amare così. E i discepoli a dirgli: “sii buono, Maestro dalle ascolto!”; fino a che punto: si arriva a dire al Creatore di essere buono, quando i cattivi siamo noi. La creatura parla così perché non capisce l’amore di Dio. In Cristo c’è sempre lo sguardo al Padre.

Gesù è venuto per darci la Vita Eterna, non è venuto per risolvere i nostri problemi, perché Lui i nostri problemi li potrebbe risolvere senza incarnazione. È Lui che crea i nostri problemi, ma per salvarci. Infatti se ci fa ammalare è perché ci ama: anche la malattia rientra nel disegno di amore per portarci alla conoscenza di Dio, affinché conoscendolo impariamo anche noi ad amare veramente, senza cercare di piacere alle creature.

S. Paolo dice: “Se cerco di piacere alle creature non appartengo a Cristo”. Questa parola di Paolo crea una problematica a chi crede che amare sia far contenti tutti. Questa problematica è un invito ad approfondire, per scoprire come ha amato il Cristo, perché è questo “come” che conta e che forma la novità. Solo chi ha veramente interesse per Dio scopre questo vero amore e impara ad amare veramente. Ma se non abbiamo un vero interesse per Dio, constatiamo che creiamo una rovina; ci illudiamo di fare del bene, perché non abbiamo capito “come”  si amano le creature. Infatti tante volte illusi di amare creiamo dei guai. Come mai? Perché non abbiamo un vero interesse per Dio. Ognuno di noi testimonia, manifesta ciò che cerca prima di tutto. Se io cerco Dio, do Dio.

Ma se ci preoccupiamo di amare per testimoniare, recitiamo. Non si testimonia l’amore che si vuole portare, ma l’amore che si porta; perché dicendo di voler testimoniare l’amore che si vuol portare, sembra che si stabilisca un programma. L’amore non è un programma, non è un proposito.

Infatti Gesù non dà un comando nuovo, una regola nuova, ma una grazia nuova, un dono nuovo. La grazia di amare è sua e Lui ci dà la forza di amare anche i nemici. È Lui che ci fa amare, non siamo noi che dobbiamo amare i nemici. Chi ama non dice: “devo amare”, ma ama. Chi dice “devo amare” è perché non ama. Se amo, amo, ed è Lui che mi dà questo amore.

Se cerco Dio prima di tutto, Dio mi dà la grazia di amare tutti e tutto; ma la possibilità di cercare Dio prima di tutto viene data da Cristo. Se cerco Dio prima di tutto, desidero vedere il Pensiero di Dio in tutto. Ed è Dio che mi fa desiderare di vedere il Pensiero di Dio in tutto. È un dono, una grazia nuova, ma non una regola. La grazia nuova, il dono di Dio nuovo è il desiderio e la possibilità di vedere il Regno di Dio in tutto, l’Amore di Dio in tutto, la volontà di Dio in tutto.

Quindi Gesù sostanzialmente ci dice questo: “Vi do un dono nuovo, una grazia nuova: quella di amarvi come Io vi ho amati”. Dio l’aveva promesso già nell’A.T.: “Vi darò uno Spirito nuovo: porrò il mio Spirito dentro di voi” (Ez). Quindi questo comandamento nuovo è uno Spirito nuovo, un fatto interiore, per cui la creatura che riceve questo Spirito sente un desiderio di amore verso tutti.

L’amore al prossimo non è un’imposizione, per cui Gesù dice “Scoprirete il mio Spirito in voi, perché non siete voi che potete amare così”. È il dono che Gesù ci lascia prima di andarsene, come una madre che sta per morire: è un dono che si riceve e che si porta in sé sempre. Non è un comando, ma una grazia che riceviamo se abbiamo ascoltato Gesù fino alla fine (“da questo riconosceranno che siete miei discepoli”).

Dio non opera imponendosi, ma opera convincendoci. Quindi la parola “comandamento nuovo”, detta da Gesù, va sentita non come un ordine, ma come grazia, dono. Diversamente si ricade nell’A. T., nei comandamenti, nella Legge. E la Legge non può salvare.

L’amore al prossimo come comando, come regola, appartiene all’A.T., invece nel Nuovo Testamento è grazia che Dio ci dà: ci dà il suo Spirito che ama in noi. Fintanto che abbiamo una regola esterna, questa serve per farci toccare con mano la nostra morte e quindi ci prepara all’incontro con la Vita, con Cristo; ed è la funzione dell’A.T.. L’A.T. impone l’amore come regola, lo comanda; ma proprio così ci fa constatare che siamo morti. La Legge è stata data proprio per farci constatare che siamo morti, quindi è un aiuto. Infatti se non conosco la Legge mi credo vivo e sono morto; invece la Legge mi fa toccare con mano la morte che portiamo in noi e ci fa sospirare Cristo, il quale non ci da una regola esteriore, ma uno Spirito nuovo, un dono nuovo: il suo Spirito; perché la vita non ci viene dalle regole esterne. Quindi Gesù ci dice: “vi do una grazia nuova”, e questo è molto diverso da un dovere, da un comando. Ciò che ci autorizza a intenderlo così, a tradurlo così è tutto lo Spirito del Vangelo, del Nuovo Testamento. Se invece lo intendiamo come comando, dimostriamo di non aver ancora colto lo Spirito di tutto il messaggio di Gesù. Certo, anche la Legge, il comando, il Decalogo è un dono, ma quello di Gesù è un dono nuovo. C’è una differenza grande tra l’A.T. e il N.T.: l’A.T. è tutto fondato sui comandamenti, passa tutto attraverso la fase della Legge, ma non ci salva, perché la Legge non ci libera dall’io. E quand’anche riuscissi ad applicarla tutta direi “guarda come sono bravo” e cadrei nel fariseismo. La Legge mi dice “tu devi fare”, se io faccio mi illudo di compiere la Legge, di fare ciò che mi dice e resto nell’io; se invece non riesco a fare tocco con mano la mia morte, ma non ne esco. Il N.T. invece, non è più regola, ma è amore, incontro con una Persona. La novità sta qui, abbiamo la Persona, non il comando. La meraviglia dell’incontro con una Persona è che la Persona mi libera dall’io. “Signore, sono un peccatore, però sono con Te, appartengo a Te”.

ciclo B - incontro n° 227 della Casa di Preghiera (29.8.1987):

Nino: Solo dopo che Gesù è stato scoperto in noi come Pensiero di Dio, noi diventiamo capaci di amare.

Luigi: Più che “comandamento nuovo” direi “vi do una possibilità nuova”, la possibilità di amarci gli uni gli altri come Lui ha amato viene da Lui. Quindi non è un comando o un ordine che arriva dall’esterno. Noi possiamo ricevere un ordine dall’esterno, da un’autorità, ma non aiuta, non ci dà la possibilità. Invece Lui da a noi la possibilità. Il termine giusto nello spirito è “possibilità” nuova, possibilità di amarvi gli uni gli altri. Perché il comandamento c’era già, anche prima, “amate anche i vostri nemici”. In Lui abbiamo la possibilità di amare anche i nostri nemici, di amare “come” Lui ha amato. Abbiamo sempre detto che la nostra impossibilità viene dal non vedere il “come”. È il “come” che ci fa vedere la possibilità. Come ho detto molte volte, se qualcuno mi dice di andare sul monte bianco e io non vedo come fare, io sono impossibilitato. Chi mi da la possibilità è chi mi fa vedere come posso arrivare, dal punto in cui mi trovo, sulla cima del monte bianco. Quindi la possibilità viene dal vedere il “come”. Qui Gesù dice proprio “come”; quindi con Lui noi vediamo il “come”, e vedendo quel “come”, il “come” ci da la possibilità. È una possibilità che arriva a noi.

 

Salvatore: “Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”, come Lui ci ha amati?

Luigi: Gesù ci ha amati donandoci la sua vita. Cosa vuol dire darci la sua vita? La sua vita qual è? È la vita di Figlio! E qual è la vita di Figlio? La vita di Figlio è il Padre. Lui ci ha dato la sua vita, cioè ha dato a noi la possibilità di conoscere il Padre, il vero amore. Noi diamo veramente qualche cosa quando diamo all’altro la nostra vita, cioè ciò che per noi è motivo di vita.

Chi ha trovato la sorgente ha la possibilità di dare all’altro il modo di attingere alla sorgente. Ora, Cristo ha dato a noi la possibilità di conoscere il Padre, Padre suo e Padre nostro in cui è la nostra vita. Quindi Lui ci ha dato la vita perché ha dato a noi quello che per Lui è vita. La vita del Figlio è conoscere il Padre. Lui ha dato a noi la sua vita, cioè ha dato a noi quello che Lui conosce. Lui conosce il Padre. Ha dato a noi la possibilità di conoscere il Padre come Lui conosce. Conoscendo il Padre come Lui conosce, facciamo una cosa sola con Lui, perché è la conoscenza che ci fa fare una cosa sola. Gesù dice a noi “amatevi come io vi ho amati”, quindi dobbiamo condividere la conoscenza, perché dando all’altro la conoscenza di ciò che per noi è motivo di vita, creiamo l’amore l’uno con l’altro. L’amore viene dalla conoscenza.

 

Giusi: Noi possiamo amare gli altri solo quando…

Luigi: Siccome noi siamo creature, possiamo amare solo quando riceviamo amore. Da soli non siamo capaci di amare. Da soli noi siamo soltanto una pretesa d’amore, un’esigenza d’amore, ma non siamo capaci d’amare. Quanto più riceviamo tanto più siamo capaci. È quello che riceviamo che ci fa capaci. Per cui non è mai merito nostro. Se qualcuno non ci ama per primo noi non siamo nella possibilità di amare. Ricevendo amore abbiamo la possibilità di amare. Possibilità, perché pur ricevendo amore possiamo diventare egoisti e tenere tutto l’amore per noi; oppure possiamo invece riversare l’amore. Ora, abbiamo detto che l’amore è fondato sulla conoscenza. Ricevendo conoscenza puoi comunicare conoscenza. Soltanto conoscendo Dio ricevi amore e c’è una carica. Altrimenti sei affamata; e quando uno è affamato non può dare all’altro qualche cosa, anzi è lui stesso che va a cercare il pane. Noi, senza Dio siamo degli affamati; con Dio invece riceviamo pane in sovrabbondanza, perché Lui è venuto a darci la vita e a darcene in sovrabbondanza. Anzi più la diamo e più ne riceviamo, a differenza dei beni della terra che se ne diamo poi non ne abbiamo più. Nel campo dello spirito più diamo e più riceviamo. Anzi all’ultimo avremo solo quello che avremo saputo donare.

 

Maria Pia: Pensavo a questi “gli uni gli altri”, quindi a questa importanza del tutto.

Luigi: Sì, perché formiamo tutti una cosa sola. Formando tutti una cosa sola dobbiamo assorbire tutto in una cosa sola e questo assorbimento in una cosa sola, questa corrente ascensionale, che ti raccoglie tutto nell’unità, è proprio data dal riversare. Ciò che attrae non è il dire “tu devi far questo, tu devi amare”; ciò che attrae è la comprensione. Chi ti comprende ti raccoglie e ti unifica. Ora, l’essere che comprende tutto è Dio; comprendendoci ci attrae. Allora, quanto più noi entriamo nella luce di Dio tanto più siamo fatti capaci di comprendere, e la comprensione comunica vita.

 

Giovanna: Gesù ci insegna come si diventa figli di Dio.

Luigi: Soltanto conoscendo Dio si diventa figli di Dio, perché è la conoscenza che ci fa essere. Quindi la tanta conoscenza di Dio ci fa figli di Dio. “Ho dato a quelli che credono la possibilità di diventare figli di Dio”. Cos’è questa “possibilità”? Dice ancora “tutto quello che Io ho conosciuto del Padre ve l’ho comunicato. Per questo non vi chiamo più servi, ma amici; perché avete ricevuto tutto quello che Io ho ricevuto dal Padre”. Questo ci fa capire che la conoscenza ci trasforma da servi in amici e quindi figli, nella misura in cui riceviamo. È la conoscenza che ci fa essere, è la conoscenza che ci fa fare dei salti di qualità, è la conoscenza che ci trasforma, non è il dovere, non è la regola. Tutti possono urlare “devi fare questo!”, ma non è quello che ti cambia. Ciò che ti cambia è la luce. Soltanto che la luce ha delle regole ben precise: la luce comprende, e fintanto che noi non comprendiamo non possiamo comprendere e non potendo comprendere né cambiamo noi e né cambiamo gli altri.

Giovanna: Lui muore in Croce, quindi ci insegna che per conoscere dobbiamo morire a noi stessi.

Luigi: Quella è la condizione essenziale, perché senza la morte a noi stessi, non possiamo fare nessun passo verso la luce. È il passo fondamentale, perché fintanto che siamo nel pensiero del nostro io non possiamo assolutamente percepire qualche cosa di Dio, qualche cosa della Verità; siamo tagliati fuori, anzi, tutto quello che arriva a noi da Dio lo trasformiamo tutto in “ma io qui, ma io la”, senza concludere niente. Nel pensiero del nostro io siamo fuori, perché nel pensiero dell’io non si può conoscere la Verità. La condizione fondamentale è quella di dimenticare noi stessi e di dedicare la nostra mente, il nostro pensiero a ciò di cui ci parla Lui. Per cui che io sia sano, che sia ammalato, che io pianga, che io rida, che io corra, che io stia fermo, questo non interessa, ciò che interessa è dedicare la mente a quello di cui Lui mi parla. Non mi deve interessare quello che sono o non sono. Conta la misura in cui  attualmente mi  dedico ad ascoltare ciò di cui l’altro mi sta parlando. Certamente se io penso a me stesso non posso pensare a ciò di cui l’altro mi sta parlando, quindi non posso ricevere assolutamente niente. Le tazze piene non ricevono, bisogna svuotarle. Soltanto ascoltando quello di cui mi parla l’altro, io posso essere condotto là dove l’altro mi vuol condurre e vedere quello che l’altro mi vuol far vedere. Altrimenti non posso assolutamente arrivare ad alcuna conoscenza e quindi a nessun cambiamento; per cui nel mio io non posso cambiare.

 

Silvana: Questa capacità della reciprocità nell’amore è data a chi guarda Cristo.

Luigi: Gesù dice ai suoi discepoli “non vi chiamo più servi ma amici, perché avete ricevuto tutto quello di cui io vi ho parlato”, quindi a coloro che ascoltano è data la possibilità. Ci vuole uno che parli, e chi parla è Dio; l’iniziativa è di Dio, ma ci vuole anche l’orecchio che ascolta. Non è detto che ci sia questo orecchio, perché affinché ci sia l’orecchio che ascolta deve esserci il superamento dell’io. Perché quando noi pensiamo a noi stessi non abbiamo l’orecchio attento ad ascoltare e l’orecchio che non ascolta non riceve. In questa condizione Dio bussa alla nostra porta, ci manda gli inviti, ma noi non riceviamo, siamo impegnati in altro. “Non vi chiamo più servi”, non lo dice a tutti, lo dice a coloro che hanno ascoltato e hanno ricevuto ciò di cui Lui ha parlato. Questo ci fa capire che ricevendo e comprendendo ciò di cui Lui parla avviene in noi un salto di qualità e il salto di qualità sta nel passaggio dalla situazione di servo alla situazione di amico fino alla situazione di figlio. Il figlio però nasce dal Padre. Cristo ci conduce a nascere dal Padre come Lui nasce. Questa nascita uguale a quella del figlio, alla quale il figlio solo ci può condurre, produce la fusione in un essere unico, ci fa una cosa sola col figlio. Non è un processo di volontà, non è un processo di virtù, di sacrificio o di rinunce, ma è un processo di conoscenza, di assimilazione, quindi di comprensione di ciò di cui il Figlio di Dio viene a parlarci.

 

(?): Mi sembra di comprendere meglio quel brano in cui il dottore della Legge chiede qual è il comandamento più grande. Gesù è venuto a portare a compimento la Legge, perché la Legge non ci permette di superare il pensiero dell’io.

Luigi: La Legge dice di amare, e noi riconosciamo che è giusto, ma ci troviamo nell’impossibilità, perché ci troviamo immersi in un mondo che è diverso e che noi non possiamo superare. È soltanto la presenza di Cristo, è l’Altro che ci dà la possibilità.

È Lui che parlando con me dà a me la possibilità del superamento dell’io. La Legge non mi da la possibilità di superare il mio io. E fintanto che noi ci limitiamo a dire ad un altro “devi fare questo!” non gli diamo la possibilità di superarsi, non può; può solo dire “sarebbe bello, sarebbe giusto, ma come faccio?”. È come dire a uno sprovveduto “devi arrivare sulla cima del monte bianco!”, lui può solo dire “sarebbe bello, ma come faccio?”. Ora, noi abbiamo bisogno di vedere la strada, il modo, il come arrivare; e la strada, il modo e il come è Cristo.

(?): Quindi finché uno è nell’io non è capace di amare.

Luigi: Fintanto che uno è nell’io non può amare, pur riconoscendo che è giusto. Tutte le mattine possiamo fare il proposito “Signore, oggi voglio amare tutti, anche i miei nemici”, ma il primo nemico che incontriamo lo prendiamo per il collo, nonostante tutti i buoni propositi. Questo accade perché noi non siamo i padroni di noi stessi, l’uomo non è libero. È soltanto con la sovrabbondanza di grazia che ad un certo momento si ha la capacità di amare anche i nemici. È come vincere un miliardo: parti cantando e al primo povero che incontri regali un milione.

Con Dio hai una tale carica di abbondanza di vita che puoi sovrabbondare con tutti.

 

Franca: È molto importante questo “come”, ci prende dove ci troviamo fino a portarci dove Lui è...

Luigi: …se noi lo seguiamo. È lì il difficile, perché “chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso”, e si resta sempre al punto di partenza. Perché molti ritengono di seguire Lui senza morire a se stessi, e questi sono sempre a quel punto. Tutte le altre lezioni di Gesù presuppongono il rinnegare se stessi.

 

Rita: Detto così, “vi do un comandamento nuovo”, sembra un ordine.

Luigi: Quando al mattino ti hanno inondato di gioia, non ti importa più che l’altro sia bianco, sia nero, ma canti e ridi con tutti. Ora, l’importante è ricevere tanto. Dio parlando dà la possibilità, la creatura parlando non dà la possibilità. Il comando è un ordine dato alla volontà. Invece Cristo ti dà la possibilità di volere, questa possibilità di volere viene dalla conoscenza.

 

Pinuccia B.: Queste parole ci fanno capire come l’amore sia unico. Non è che si amino le creature e si ami Dio.

Luigi: È solo Dio che ama, più siamo pieni di Dio e più l’amore di Dio in noi ama tutto e ama tutti. È Dio che ama non siamo noi che amiamo, per cui è la conoscenza, è la presenza di Dio che ci fa amare.

Non hai la presenza di Dio? Non puoi amare! Senza presenza di Dio tu sei soltanto un esigenza, un bisogno, perché da sola non stai su; e allora supplichi, chiedi, elemosini amore da uno e dall’altro. Quindi solo Dio, essendo sorgente d’amore, ti carica d’amore e quindi ti da la possibilità di amare. Ma è sempre Dio che ama in te. Quindi se non c’è presente Dio non sei assolutamente capace di amare.    

ciclo C - cassetta n° 108 della Casa di Preghiera (04.01.1992):

Nino: È un comandamento impossibile se non si è capito come Dio regna e come il Figlio muore per fare la volontà del Padre.

Luigi: Qui dice “comandamento” ma è come se dicesse: “Vi do una possibilità nuova: quella di amarvi”. Noi senza Dio non possiamo amare. È Lui che ci da la possibilità. Noi possiamo amare solo nel momento in cui riceviamo amore, Lui amandoci per primo ci da la possibilità. Ogni capacità ci viene da Dio nella misura in cui lo accogliamo.

 

Franca: Ogni situazione Dio la presenta per me. Ogni parola del Vangelo Dio la dice per me, e io devo chiedermi cosa mi vuol dire?

Luigi: Certo, qui ti sta dicendo che se Lui non ti ama per primo tu non puoi amare. Quindi è perfettamente inutile che tu dica “voglio amare, voglio amare”, se non comprendi l’amore di Dio per te; in questa condizione al primo che ti sfiora tu gli dai un calcio.

 

Amalia: A volte si ha un idea sfasata sull’amore.

Luigi: Se il nostro amore tende a possedere, quello non è amore.

 

Giovanna: Abbiamo questa possibilità solo se Lui se ne va?

Luigi: Una presenza ti carica sempre. Noi patiamo l’assenza. Nell’assenza tu sei a terra. Quando una persona che tu ami è assente ti intristisci, quando è presente tutto si colora. Ricevi una carica. Un altro esempio: è sufficiente camminare per la strada ed essere salutati per provare gioia; se invece l’altro non ti vede o non ti riconosce ti intristisci. Ciò vuol dire che è l’altro che ci carica in quanto ci guarda. “Mira che te mira”, guarda che ti sta guardando. È attraverso questo sguardo che ci fa essere, la meraviglia è questa. Dio ti guarda e ti fa essere, e tu canti di gioia, se non ti guarda ti senti un niente. Ecco la natura della creatura: è nella misura  in cui riceve. Dunque è inutile che ci proponiamo “voglio amare, voglio amare”, anzi, senza Dio, diventiamo un centro di egoismo. Ecco, il comando: nella misura in cui Dio mi inonda d’amore mi dona la possibilità di amare tutti, anche i nemici.

Giovanna: La persona che mi saluta e mi dà vita è segno di Dio?

Luigi: È segno di Dio per farti capire come tu ricevi vita dall’altro, che poi diventa l’Altro maiuscolo. Nella persona che ti saluta è Dio che significa se stesso e ti fa vedere come tu ricevi vita.

 

Bruno: Quando arriveremo, vedremo tutto come misericordia di Dio, per noi e per gli altri.

Luigi: Già prima, già per fede; se tu credi in Dio creatore di tutte le cose, capisci che Dio è Colui che opera in tutto, anche in chi ti pesta un piede. A questo punto tu sei in grado di amare chi ti pesta un piede, perché vedi che Dio attraverso questa persona ti sta palando personalmente, non ti sta ignorando. E quando magari tu ti vedi pestato, anche pestato gioisci.

La nostra grande tristezza è non saperci pensati. Una donna preferisce essere picchiata piuttosto che ignorata. Come diceva s.Agostino “fai di me tutto ciò che vuoi, ma non ignorarmi”. Noi abbiamo bisogno di essere pensati, è quello che ci carica. Quindi se uno ti pesta un piede e tu vedi l’opera di Dio che ti sta pensando, abbracci quel fratello che ti pesta il piede.

 

Silvana: Il fatto che dica questa cosa proprio quando sta per andarsene, che significato ha?

Luigi: Lui se ne va e ti lascia il suo amore, in modo da sostenerti. Ci fa capire che anche nella sua partenza noi siamo pensati. Se infatti uno ti dice: “guarda domani ti troverai in tal posto”,  nel momento in cui ti trovi in quel posto ti senti pensata, e questo ti da una carica.

 

Pinuccia A.: Gesù ci ama parlandoci del Padre, noi per amare come Lui ci ha amato…

Luigi: Soltanto conoscendo come Lui ci ama noi siamo fatti capaci di amare di quell’amore, “come in Cielo, così in terra”, soltanto conoscendo come le cose avvengono nel Cielo tu sei fatta capace di vivere qui in terra, ma si richiede sempre di vivere qui in terra. È la conoscenza di Dio che ci rende capaci di vivere in terra secondo Dio.

Pinuccia A.: Ma questo amore “come Lui ci ha amati”, come si deve intendere?

Luigi: Ha pensato a noi.

Pinuccia A.: Ma per amare come ha amato Lui…

Luigi: Devi pensare a Lui. Tu ami in quanto pensi. È l’amore di Dio che ti fa capace di comprendere e di sopportare.

 

Rita: Nel momento in cui sta dicendo questo, i suoi discepoli non sono ancora in grado di amare in quel modo, perché non hanno ancora conosciuto come Lui li ha amati: Lui sta dicendo una cosa che loro non possono fare.

Luigi: Lui sta dicendo un parola. Quando capiranno costateranno la verità della parola. È la parola che sostiene.

 

Pinuccia B.: Quel “come” è la chiave di volta del versetto, ci fa capire che si tratta di capire. Il vero amore è comprensione, è vedere le creature in Dio e da Dio. Quindi solo vedendo quel “come”  Lui mi da la capacità di vedere tutte le creature fatte da Lui per me. 


Da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli,se avrete amore gli uni per gli altri.Gv 13 Vs 35


Argomenti: La vita è unificare – L’uomo è cosciente solo nella verità – L’amore di Dio e l’amore dell’io – Il concetto di amore – Le verità inconsapevoli – Atei e credenti -


 

5/Settembre /1987


Luigi: Dicendo “da questo”, esclude ogni altro segno (non abito, non categoria, non nazione, non colore della pelle, non regole, ecc.): l’unico segno che caratterizza coloro che sono discepoli di Cristo è l’amore con cui si amano tra loro. E non è un segno che ci si può addossare, perché è dono della Presenza dello Spirito di Cristo. Là dove c’è la Presenza dello Spirito, c’è questo amore.

Non si può recitare l’amore verso tutti e verso tutto, solo la Presenza di Dio può farci amare il prossimo; quindi l’amore verso tutto e tutti è segno della Presenza dello Spirito: dove c’è questa presenza, l’amore scaturisce da sé.

È quindi la presenza dello Spirito di Dio che distingue il discepolo di Cristo.

L’amore che distingue il discepolo di Cristo è un amore caratteristico, non sentimentale. È l’amore del Cristo: “Amatevi come Io vi ho amati”. Non è l’amore sentimentale che accondiscende a tutto e che cerca di piacere agli uomini. Infatti, dice s.Paolo: “Se cercassi di piacere agli uomini, non poteri essere discepolo di Cristo”. L’amore di Cristo è un amore che dà anche delle sferzate (“Guai a voi ipocriti”, ecc.). Quando uno cerca di piacere agli uomini non ha il vero amore, perché ricerca se stesso, l’approvazione, ecc., o conferma gli altri nei loro errori o li strumentalizza. Gli altri devono vedere l’amore di Dio, il vero amore, in cui non c’entra il nostro io, devono vedere un amore che non strumentalizza, che non fa servire l’altro; devono vedere un amore che viene da Dio.

Diversamente c’è il rimprovero di Dio: “Guai a voi che pascolate voi stessi”. Dove c’è amore c’è il desiderio del bene dell’altro, non si pensa a sé. La maggior parte degli uomini hanno un amore nel pensiero dell’io: amore compiacente, strumentalizzante.

La maggior parte dei nostri amori sono determinati dal fatto che servono a noi: diciamo di amare la creatura perché possiamo sfruttarla, perché ci serve. Non è questo l’amore di Dio. L’amore di Dio non fa servire e non si fa servire, ma serve: vuole il bene della creatura. È per questo che a volte Gesù è duro, tratta severamente. Egli non cerca di piacere alla creatura, però il suo è amore anche quando frusta e colpisce, perché è finalizzato al vantaggio spirituale della creatura; cerca il suo vero bene: conoscere Dio, sperimentare Dio.

Chi veramente ama secondo Dio, conoscendo il vero bene per la creatura, tende a darglielo, non tende a distoglierla da Dio per asservirla ad altro (politica, strutture, famiglia, società, gruppo, istituzione, ecc.). Nel mondo si fanno servire gli uomini a certe strutture; per il mondo quello che conta è mantenere sù certe cose, fare sempre certe cose.

Chi ama veramente Dio vuole il vero bene della creatura. L’amore vero per Dio fa servire tutto a favore della creatura, perché Dio ha creato l’universo per l’uomo. S. Agostino dice “Tu hai fatto tutto per noi, affinché noi liberamente cerchiamo Te”. Tutto ci viene dato (mangiare, vestire, casa, ecc.) affinché noi possiamo cercare liberamente il Signore, senza altre preoccupazioni. E chi ama Dio vuole questo per la creatura. In caso contrario la si fa servire alle regole, alla politica, alle istituzioni, ai partiti, alle strutture, ecc., chiamando queste cose “volontà di Dio”. L’amore di Dio si distingue per questo: cerca la conoscenza del Signore e vuole che il fratello conosca Dio (questo è il vero amore per il prossimo).

 

Luigi: “Tutti riconosceranno che siete miei discepoli”: essere discepolo di Gesù vuol dire cercare Dio. Chi cerca Dio appartiene già a Dio, anche se non l’ha ancora trovato (in quanto uno cerca, appartiene a-). Chi è orientato al fine appartiene già al fine, anche se non è ancora arrivato.

Solo se metto Dio al centro della mia vita, solo se cerco Dio come vero mio bene, sono fatto discepolo, perché ognuno è caratterizzato da ciò che cerca. Se in coscienza posso dire che la mia vita sta nella ricerca di Dio, sono discepolo di Cristo.

L’amore per tutti è il banco di prova se siamo o no discepoli di Cristo, se la nostra vita consiste veramente nel cercare Dio o no. Quindi, se è un banco di prova, non devo sforzarmi di farlo, cioè non devo preoccuparmi di amare tutti, perché sarebbe una recita (farei una copia dell’originale, quindi uno sgorbio). Se ancora non riesco ad amare tutti devo preoccuparmi di cercare più Dio. È di cercare Dio che mi devo preoccupare! Se cerco sinceramente Dio, allora amo anche il nemico: è il segno!

Nel pensiero di Dio amo il nemico, mentre nel pensiero dell’io odio chi mi pesta il piede. Noi, nel pensiero dell’io, non siamo liberi verso i nostri pensieri. Solo se abbiamo un pensiero tale che ci dia la possibilità di comprendere anche ciò che non ci conviene, vedendo in esso un aiuto (i nemici, le persone fastidiose, antipatiche, ecc.),  siamo capaci di amare e possiamo amare queste persone; se no, le facciamo fuori. Chi cerca Dio ama il nemico, perché vede nel nemico un aiuto per cercare Dio. Amare vuol dire comprendere.

Fintanto che non abbiamo il Pensiero di Dio, abbiamo pensieri parziali che ci impediscono di amare come ama Dio, ci impediscono l’amore unico per Dio che include anche l’amore al prossimo, al nemico. Quindi se non ami il nemico è segno che i tuoi rapporti con Dio non sono come dovrebbero essere: rivedili. Se non sei capace di comprendere, quindi di amare il nemico, rientra nel segreto della tua stanza e rivedi il tuo rapporto con Dio, mettiti al tuo posto (l’ultimo) e metti Lui al centro, al giusto posto; rivedi se veramente desideri mettere Dio prima di tutto (questo è già appartenere a Dio), se desideri questa giustizia verso Dio.

È Dio che ti sta aiutando quando ti fa trovare la persona antipatica o che ti fa soffrire, di fronte alla quale ti accorgi che il tuo io salta fuori: non puoi comprenderla. Evidenzia che il tuo rapporto con Lui non è come dovrebbe essere. È grazia di Dio, è un invito a interiorizzarci per avere luce da Dio e dare a Dio il giusto posto; nel segreto della tua anima rivedi il rapporto con tuo Padre. E fintanto che in te Dio non è posto al disopra di tutto, Egli ti farà sempre trovare dei richiami fuori di te per invitarti a rivedere il tuo rapporto con Lui. Dio opera l’esterno e l’interno, però l’interno prevale sull’esterno. Dall’esterno, cioè dal rapporto con il prossimo, si vede lo sporco (l’incapacità di amare). È inutile però lavare l’esterno del bicchiere se l’interno è sporco. Dio opera dall’esterno per invitarci a pulire l’interno. Tutto l’esterno è in funzione dell’interno. Dio opera l’esterno avendo presente il rapporto tra la nostra anima e Lui, per mettercelo a fuoco; Dio va messo al suo posto nei nostri pensieri e non attraverso regole, sentimenti, virtù preghiere, istituzioni, ecc.. E fintanto che non entriamo in quel rapporto con Lui, che Lui vuole, Dio ci presenterà sempre queste sfocature, perché opera per mettere a fuoco il posto che noi gli diamo nel nostro pensiero, nel nostro cuore, per farci capire che forse ci avviciniamo a Dio con regole, con automatismi, con esteriorità anziché con rapporto personale. Il rapporto con Dio è essenzialmente un rapporto personale di impegno, e non c’è nessuna ragione al mondo che mi giustifichi dal sottrarmi a questo impegno. Quante volte ci crediamo disimpegnati, giustificati dal disimpegno con Dio con i nostri impegni sociali, di famiglia, di istituzione, ecc. No! Dio ti ha creato per cercarLo, quindi non c’è nessun dovere, né padre, né madre, né impegno sociale che ti giustifichi dall’assenza a questo impegno.

 

Domanda: Dobbiamo imparare quando riceviamo dei dispiaceri dal prossimo, a non farci caso, a non stare a guardare?

Luigi: No, debbo amare: se ho presente lo Spirito di Dio, amo tutti, amici e nemici, perché nello Spirito di Dio c’è comprensione per tutti e tutto. Non è un “non farci caso”, perché è Dio che parla, e parlando in tutto ci dà delle lezioni. Quindi uno può “guardare brutto” e vedere ciò che gli capita come lezione di Dio. Anzi, è proprio il cercare di capire la lezione di Dio che ci fa diventare seri. Non si può recitare la gioia nel dolore. Così nella sofferenza: si soffre e si ama la volontà del Padre, come Gesù nell’agonia.

Quando tu comprendi una cosa, praticamente la ami. Quando non la comprendiamo, quando non la sappiamo amare è un segnale d’allarme, una parola d’amore di Dio per noi, per richiamarci a Sé, per distoglierci dai nostri interessi sbagliati. La maggior parte dei conflitti con i fratelli sono infatti determinati dai nostri interessi (il mio onore, la figura, il giudizio degli altri, il guadagno, la carriera, ecc.). Se io sposto il mio interesse verso Dio, ho un interesse al disopra di tutto, per cui gli altri possono prendermi tutto, ma non importa più. L’interesse per Dio, se è sincero, supera tutto, per cui ogni altro interesse scade, e se scade il mio interesse (per cui potrebbe sorgere la conflittualità) scade anche la conflittualità stessa. L’altro rimane smontato, perché è smontato il mio interesse. Per questo Gesù ci insegna “Se uno ti chiede l’abito, dagli anche il soprabito”. Se invece ho un mio interesse, mi metto a fare la guerra.

Quando l’interesse per Dio è sincero, ti prendano pure tutto! Perché se hai interesse per Dio non c’è più niente che ti possa portare via a Dio, non c’è nessuno che ti possa portare via il tuo vero interesse: Dio; per cui non litighi più con l’altro, perché il tuo bene nessuno te lo può rubare. E non sei più toccato dal resto, perché il resto non ti interessa più. Questo avviene solo se c’è questo interesse principale per Dio, perché è questo che ci fa perdere interesse per ogni altra cosa; per cui le cose non sono più nostre e si rimane in questo atteggiamento libero: “fa tutto ciò che vuoi, perché il mio interesse è altrove”.

Se invece il mio interesse è in altro da Dio, allora scatto e nasce il conflitto. E anche quando ci portano via le cose, senza suscitare conflitto si deve vedere la mano del Signore che vuole liberarci dai falsi idoli (ad es. il denaro). Nel caso del rapimento di un figlio, se i genitori hanno il Pensiero di Dio e dialogano con Dio, possono arrivare a vederne la lezione positiva: “Dio me l’ha mandato a rapire, perché? Qual è il significato? Cosa ha voluto dirmi? Per riscattarlo ci hanno messo completamente a terra: su che cosa adesso faremo conto?”. Ecco, è Dio che opera per metterli di fronte alla prova. E questo lo fa per salvarli, per farli entrare nella Vita Eterna.

Di fronte ad un mondo che aveva fondato tutto il suo interesse sull’industria, sul benessere, ora constatiamo che ci porta all’angoscia. Questo ci fa capire come Dio si interessa per ogni creatura personalmente, tanto di un Mussolini, come di Vigin (un pover uomo di Fossano): ha lo stesso interesse per l’uno e per l’altro, e per ognuno opera in modo diverso per dare le stesse lezioni, per salvare l’anima, per farli entrare nella Vita Eterna, cioè per convincerlil a superare il pensiero dell’io (poiché questo è il problema di tutti, dei più dotati e dei meno dotati) e aprirli al Pensiero di Dio. Quando uno comprende le lezioni di Dio, comprende e ama anche le persone di cui Dio si serve per fare tali dure lezioni.

Si comprende e si ama solo se si ha sempre presente l’essenziale, la meta a cui siamo chiamati: è questo che conta.

È solo lo Spirito che ci dà la possibilità di comprendere il nemico e di amarlo. Solo questo amore è il segno che ci distingue come discepoli, e questo segno è unico: non è un segno esterno (non l’appartenenza a una regola, ad una istituzione, a voti) ma è l’amore di Dio che si porta dentro.

Noi non ce lo possiamo dare questo amore, per quanti sforzi facciamo, perché è solo Dio che ce lo dà: “Vi do…”: è grazia di Dio, è dono di Dio, dono della Presenza di Dio. E “dono” nuovo perché lo Spirito è novità continua, per cui richiede un’attualità continua, richiede da noi un pensiero continuo: infatti noi vogliamo Dio se abbiamo presente il Pensiero di Dio (e quindi amiamo tutto e tutti), ma immediatamente vogliamo altro se non abbiamo presente Dio (allora nascono i conflitti). Il fatto è che la nostra volontà è determinata dal nostro pensiero. Dio è attualità e richiede attualità, richiede un pensiero continuo; non si possono perciò archiviare certe verità, dandole per acquisite, perché si perderebbero subito.

Chi ha presente Dio non può non amare, perché vuole comprendere. Chi comprende ama. Chi ha lo Spirito di Dio ha la possibilità di comprendere, perché lo Spirito di Dio è Spirito di Verità, è Luce. Se si comprende il significato di ciò che Dio opera, e che opera anche servendosi dei fratelli, allora si ama, perché tutto è lezione; la persona che sbaglia è lezione per me; la persona che mi offende è lezione per me, perché la persona è opera di Dio, creatura di Dio. Comprendendo il significato si ama. In Dio intelligenza e amore sono la stessa cosa: infatti lo Spirito di Verità è detto pure Spirito d’Amore, perché la Verità è amore. Noi che siamo lontani da Dio scindiamo le due cose, ma in Dio sono una cosa sola, la stessa cosa.

ciclo B - incontro n° 228 della Casa di Preghiera (29.8.1987):

Nino: È talmente nuovo questo “comando” che determina una distinzione: gli altri vedranno un amore che non è umano...

Luigi: ...che non è possibile all’uomo, perché senza la Presenza di Dio quell’amore non è possibile. Tu vedendo quell’amore impossibile inizi a pensare che c’è qualche cosa di diverso.

Elisa: Tutti siamo chiamati a essere discepoli.

Luigi: Certo, perché Lui è il Maestro di tutti, non è il maestro soltanto di qualcuno. Infatti vuole che tutti si salvino. Noi andiamo in un'altra scuola in quanto eleggiamo un altro maestro.

Se io voglio imparare qualche argomento del mondo, allora vado da quei maestri che mi aiutano a risolvere quel mio interesse. Gesù infatti dice: “Non date a nessuno il nome di maestro, perché uno solo è il vostro maestro”. Questo vuol dire che Lui solo vuole essere il nostro Maestro personale.

Lui è Maestro di tutti, tutti siamo chiamati ad essere alla sua scuola. Nella realtà noi siamo alla sua scuola, l’universo è un aula e noi siamo tutti allievi. Colui che parla è Dio. Dio è l’unico maestro per tutti. Noi siamo tutti discepoli e ogni giorno Egli tiene le sue lezioni. A noi Dio chiede di far silenzio, di ascoltare le sue parole e cercare di capire; ed è quello che si chiede ad un allievo. Taci, ascolta, capisci!

(?): “Da questo sapranno che siete miei discepoli”, è l’unificazione nella dispersione.

Luigi: Noi, nel pensiero del nostro io, ci disperdiamo; Lui ci raccoglie, e nella misura in cui siamo raccolti diventiamo capaci di raccogliere, quindi di unificare tutta la nostra dispersione. Noi ci disperdiamo dietro tante cose; il nostro io è principio di moltiplicazione di interessi, di amori… fino a essere dispersi dietro tutto. Gesù ci raccoglie dietro l’unica cosa necessaria. Quindi la vita viene dal raccogliere nell’unità. Se uno vuole andare a Cuneo, a Torino, a Genova contemporaneamente, non va da nessuna parte. L’importante è un fine solo. In un fine solo tu incominci a vivere, inizi a metterti in movimento. Invece moltiplicando i nostri interessi restiamo fermi.

(?): “Se avrete amore gli uni per gli altri”, è molto difficile convivere con gli altri...

Luigi: Impossibile. Diventa possibile solo se in noi c’è la pienezza dell’amore di Dio. È l’amore di Dio in noi che ama, che fa amare gli uni e gli altri. Ma se non c’è questo amore di Dio in noi, possiamo scrivercelo a caratteri cubitali tutte le mattine, ma poi facciamo esattamente il rovescio. È la pienezza dell’amore in noi che ci da questa possibilità di amare tutto e tutti.

Il prossimo è il banco di prova della presenza dell’amore di Dio in noi o dell’assenza. Se in te non c’è questo amore assolutamente non puoi amare gli altri. Quindi non è una cosa che tu ti devi sforzare di fare. L’iniziativa viene da Dio, quindi lascia soltanto passare l’amore di Dio e siccome Dio ama tutto e tutti l’amore giunge a tutti. E tu non ti accorgi di amare. Se ti accorgi di amare non stai già più amando.

Maria Pia: S. Paolo in questi giorni faceva proprio questa distinzione: agli occhi del mondo si vede se sei di Dio e se non sei di Dio. Quindi l’uomo vivendo rivela quello che ha come scopo.

Piero: Siamo condotti a vedere la Presenza di Dio in tutto.

Luigi: Quindi è Dio che creando e manifestando la sua presenza in tutto mi da la possibilità di amare tutto è tutti; mi da la possibilità perché mi da la sua Presenza. Quindi è sempre lo stesso amore: l’amore di Dio. Tu ami gli altri nella misura in cui tu vedi la presenza del tuo amore. Se il tuo amore è Dio, vedendo la presenza di Dio in tutto e in tutti non puoi non amare. Allora, cos’è che ama in te: non sei tu, ma è l’amore di Dio in te che ama; ecco perché dico che è l’amore di Dio che ama, non siamo noi.

Giovanna: Non devo preoccuparmi di amare gli altri, ma di conoscere Dio.

Luigi: Devi preoccuparti soltanto di riempirti di Dio, poi Dio fa tutto. “Una sola cosa è necessaria”, quella di Maria: fare silenzio su noi stessi, ascoltare e cercare di capire.

 

Silvana: Se così stanno le cose ce ne sono ben pochi di discepoli di Cristo.

Luigi: Noi non siamo qui per giudicare gli altri. Devi misurare te stessa. Dio ci fa prima di tutto vedere la nostra impotenza, ma ci fa vedere anche la sua grazia. Non ci fa vedere la nostra impotenza per condannarci; Egli ci fa vedere la nostra impotenza, il nostro vuoto, il nostro niente e ci fa vedere anche la sua grazia. In quanto Egli ci dice certe cose ci dà la possibilità di realizzarle, e la possibilità viene da Lui. Lui non ci prende in giro, non ci chiede una cosa impossibile. Dio non prende in giro nessuno, quindi dicendo dà la possibilità. E non è un comando; fosse un comando sarebbe una cosa impossibile. Dio non ci comanda cose impossibili. Egli ci dice: “presso di me tutto è possibile”, cioè con Lui. È Lui che mi rende possibile anche l’impossibile; con Lui tutto diventa possibile. Può anche essere difficile, ma la difficoltà è un test.

 

Amalia: L’amore vero tra gli uomini è dono di Dio, ed è ancora finalizzato a orientare solo a Dio.

Luigi: Infatti Cristo ci invita ad amare come Lui ci ha amati. Come Cristo ci ha amati? Orientandoci al Padre. Il più delle volte si legge il Vangelo senza capire che tutta la missione del Cristo è quella di orientarci al Padre. Tutte le cose che dice Gesù, tutte le cose che fa, sono tutte dette e fatte per orientarci al Padre. Egli ci ha dato la vita in quel modo. La vita viene dal fine e Lui è venuto tra noi, che siamo dispersi dietro tanti fini, a proporci il vero fine.

Arriviamo a dire: questo è necessario, quell’altro è doveroso, questo è il mio impegno, questa è la mia vita, Dio mi ha messo qui, questa è la volontà di Dio, io devo curare l’istituto, io devo curare la famiglia, io devo curare l’azienda… e riteniamo che siano doveri secondo la volontà di Dio. Cristo viene e dice “Una cosa sola è necessaria. Dio ti ha creato per conoscerLo…”, e ci libera con la sua autorità, l’autorità della Parola di Dio, ci libera da tutto quello che noi ritenevamo fosse sacrosanto e ci impegna nell’unica cosa necessaria. È lì che ci dà la vita. La vita mi viene dal fine.

 

Fabiola: Stavo pensando a quelli che umanamente tentano di definire l’amore, i cantanti, gli psicologi, ecc., che tentativi sono?

Luigi: Tutto quello che noi chiamiamo amore, siccome il principe di questo mondo è l’io, è soltanto desiderio di possesso. Ridotto ai termini estremi l’amore del mondo è il proprietario di un negozio che ama i suoi clienti: ti amo in quanto tu mi servi. In questo “amore” vedi l’altro come un mezzo per il tuo fine; e questa è proiezione dell’io. L’amore di Dio invece è tutt’altra cosa. L’amore di Dio è essenzialmente conoscenza e desiderio che anche gli altri giungano alla conoscenza, quindi è una partecipazione di conoscenza. L’amore vero non strumentalizza mai l’altro, rispetta l’altro, e tutt’al più aiuta l’altro, gli aggiunge qualche cosa, non lo fa servire; quando lo fa servire l’amore svanisce. L’uomo non è mai strumento, perché l’uomo è finalizzato a Dio. Non c’è nessuna nazione, nemmeno la Chiesa, nemmeno il Sabato, non c’è nessuna regola santa che lecitamente possa strumentalizzare l’uomo. Tutti sono servi all’uomo, tutti devono servire l’uomo affinché l’uomo possa liberamente cercare e conoscere il suo Signore. È l’anima dell’uomo che conosce; la conoscenza non avviene attraverso un’istituzione. Quindi tutto è fatto per servire l’uomo affinchè l’uomo possa cercare e conoscere il suo Signore. La vita eterna sta lì. Nella vita eterna entrano le persone, non entrano le case, non entrano le istituzioni. Quindi tutto è a servizio della persona. “Il Sabato è fatto per l’uomo”, dice Gesù affinchè l’uomo possa liberamente conoscere il suo Signore. Allora, aiutare gli uomini a conoscere Dio è il vero amore. “Ama il prossimo tuo come te stesso”, tu sei fatto per conoscere Dio, amare il prossimo come se stessi vuol dire aiutare il fratello a cercare e a conoscere Dio come noi desideriamo cercare e conoscere Dio.

Fabiola: Quindi le persone che dicono di non credere in Dio, se arrivano a parlare di rispetto vuol dire che parlano ugualmente di Dio pur dicendo di non credere.

Luigi: Ci sono molti che dicono di non credere e credono; ci sono molti che dicono di credere e non credono. Molti credono di pregare e non pregano, molti credono di non pregare e invece pregano. La vera preghiera è la ricerca di Dio. L’uomo è un essere incosciente, non si rende conto, il più delle volte non sa.

Fabiola: Però come si fa ad affermare che l’amore è rispetto se non si è conosciuto Dio?

Luigi: Dio è presente in ogni uomo, sempre! E può parlare anche attraverso gli uomini senza che essi stessi lo sappiano. Per cui succede che Dio fa dire agli uomini, pur senza che essi se ne rendano conto, delle grandi verità. Loro forse non si rendono nemmeno conto di ciò che dicono. Ma è sempre Dio che parla e opera in tutto. Per percepire e essere coscienti bisogna essere con Dio. Soltanto nella Verità uno è cosciente della Verità. Quante volte sentiamo dai bambini delle parole che nemmeno un adulto sa dire. Forse il bambino si rende conto della portata delle sue parole? È Dio che li fa parlare. Quindi evidentemente è Dio che opera e parla in tutto e in tutti anche a nostra insaputa. Più conosciamo Dio e più siamo partecipi e consapevoli di quello che diciamo, ma non è detto che uno che non conosca Dio non dica parole di Dio. Per cui noi siamo tenuti ad ascoltare Dio in tutte le creature. Non posso dire: quello è un ateo quindi io non lo ascolto. Anche se è un ateo, stai attento perché c’è Dio che sta parlando con te, perché anche l’ateo è uno strumento di Dio. Quindi non rifiutarlo dicendo che è un ateo o un lontano da Dio o un pagano, cerca piuttosto quello che Dio vuole comunicare a te attraverso questa persona che ai tuoi occhi è un ateo.  Ora, la cosa veramente importante è la continua attenzione al Dio presente in tutto e in tutti che fa arrivare a noi qualche messaggio. Perché in tutte le cose che arrivano a noi Dio fa arrivare qualche messaggio; allora eleviamo la mente “Signore, quale messaggio mi fai arrivare attraverso questo”. Cerchiamo cosa Dio ci vuol dire, quindi superando quello che è la creatura in sé e per sé. Non devo giudicare, ma devo cercare di capire cosa Dio mi vuole dire di Sé attraverso ogni creatura. Dio parla anche attraverso una  pietra, un fenomeno atmosferico, attraverso un albero o attraverso un animale; a maggior ragione parla attraverso un uomo, fosse anche ateo.

 

Franca: Se presso Dio tutto è consapevolezza, come è possibile che uno ami senza accorgersene?

Luigi: Chi ama veramente non si accorge di amare, perché più c’è il pensiero del mio io e più credo di essere consapevole di amare osservando le regole, recitando. Amare vuol dire pensare all’altro, e quando uno pensa all’altro dimentica se stesso e dimenticando se stesso non si accorge di amare.

 

Raffaella: Chiunque è capace di amare appartiene a Cristo…

Luigi: …perché la capacità di amare è sua, non è mia.

 

Rita: Solo attraverso Dio, che è l’Amore in Persona, l’uomo può amare. Ci sono però delle persone, magari mai conosciute, attraverso cui l’amore fluisce senza sforzo, ce ne sono altre dove c’è una resistenza.

Luigi: Perché magari noi diciamo di sentire amore per Dio, però portiamo con noi tanto carico di sentimenti, di rapporti sbagliati precedenti. Tutto questo, prima che sia decantato, ce ne vuole...

Rita: Però con alcuni c’è sintonia, magari senza mai averli visti prima.

Luigi: Certo, se tu incontri una che si è tagliata i capelli nel tuo stesso modo dici “come stai bene”, ecco la sintonia!

L’amore rende tutti simili. L’amore di Dio ci rende tutti simili a Dio. “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che fa splendere il suo sole sui buoni e sui cattivi…”, l’amore di Dio ti rende come Dio: ti rende grande, comprensivo, paziente. È la conoscenza di Dio che ti rende uguale.

 

Pinuccia B.: “Vi riconosceranno da questo che siete miei discepoli: da come vi ho amati”. È importante che ci riconoscano come discepoli?

Luigi: No, Egli lo dice perché possiamo illuderci. Illusi sono coloro che pensano di appartenere a Dio dicendo “Io appartengo al tale ordine”; uno si veste di bianco, l’altro si veste di nero; “io qui, io là”, e credono di distinguersi da coloro che sono del mondo. Ma il Signore dice “Vi riconosceranno solo da questo, non esigete altri segni di riconoscimento, perché questo è l’unico segno di riconoscimento: la capacità che avete di amare”. La capacità di amare è la presenza di Dio.

ciclo C – incontro n° 108 della Casa di Preghiera (11.01.1992):

Nino: Noi non siamo capaci di amare il nemico; lo possiamo amare solo se vediamo nel nemico l’intenzione di Dio positiva.

Franca: Da questa possibilità che abbiamo ricevuto da Gesù tutti ci riconosceranno…

Luigi: Sì, perché uno che non viene da Dio non può amare in quel modo.

Delfina: L’amore è il sigillo personale che ognuno porta in sé.

Giovanna: “…tutti vi riconosceranno”, ma anche chi non ha lo Spirito ci riconosce?

Luigi: È un segno e il segno si riconosce. Là dove si vede che c’è la capacità di comprendere si riconosce che c’è. Anche se non hai lo spirito puoi riconoscere se in uno c’è la capacità di comprendere, di amare. Amare vuol dire comprendere, quindi possiamo vedere chi ha la capacità di comprendere e chi non ce l’ha. Non sai donde venga, non sai dove vada, però capisci che comprende. Se hai la luce tu puoi comprendere, se non hai la luce non puoi comprendere. E tutti riconoscono che tu non comprendi.

Giovanna: Chi ha la luce comprende, ma chi non ha la luce si sente compreso da chi non ha la luce. Ma cosa si riconoscerà?

Luigi: Riconosceranno che “siete miei discepoli”. I discepoli del Cristo hanno questa capacità.

(?): L’amore umano è molto limitato.

Luigi: È limitato perché uno in quanto strumentalizza l’altro, vede nell’altro se stesso. L’amore è limitato nel pensiero dell’io. Soltanto con Dio c’è questa capacità di amore illimitato. Infatti con Dio c’è la possibilità di amare anche il nemico, anche chi ti pesta un piede, perché tu lì vedi la mano di Dio, vedi il pensiero di Dio. Ora, dove vedi Dio che opera, se tu hai messo Dio prima di tutto, allora ami tutto e tutti. Invece nel pensiero del tuo io non puoi amare il nemico. Amare vuol dire comprendere, e soltanto con Dio puoi comprendere anche il nemico.

Cris: “In questo vi riconosceranno come miei discepoli”, dal fatto che ci amiamo gli uni gli altri, ma non di un amore terreno.

Luigi: E no, “se voi salutate soltanto chi vi saluta, che merito ne avrete”, hanno una marcia in più i discepoli del Cristo. Hanno la capacità di amare non solo chi è simpatico, o chi li serve, ma anche il nemico, colui che li calpesta, che li uccide. Ma questa è una possibilità che viene soltanto da chi vede l’opera, la presenza di Dio anche nel nemico. Se tu vedi colui che tu ami in una sua opera, hai la possibilità di sopportare; altrimenti non hai la capacità di sopportare. Quindi l’amore è sempre la visione di un essere in-; l’amore è un legame con un essere. Ora, in quanto tu vedi quell’essere in tutto hai la possibilità di amare tutto. Ma là dove non vedi quell’essere non hai la possibilità di amare.

Silvana: Quindi Lui ci dice questo perché misurandoci su queste parole capiamo il cammino che dobbiamo fare.

Luigi: Diventa un test: tu verifichi; perché le cose dentro di te non le puoi verificare. Noi siamo fatti di dentro e fuori; quello fuori è un test per verificare quello che tu porti dentro. Se tu porti dentro qualche cosa allora fuori tu verifichi questo qualche cosa che porti dentro. Se tu dici di amare Dio, di conoscere Dio, però non riesci a comprendere le opere di Dio, allora prendi coscienza che il Dio che è in te tu non lo conosci. Ecco perché Dio ha messo il mondo attorno a noi, il mondo fuori di noi e non soltanto gli uomini, ma anche tutte le creature. A seconda di come tu ti comporti si rivela quello che tu porti dentro.

Pinuccia A.: Ogni creatura è una parola di Dio per noi.

Luigi: Sì, soltanto se tu vedi Dio nelle creature e per quanto tu Lo vedi hai la possibilità di amare. Ma questo intanto presuppone che tu abbia messo Dio prima di tutto. Come nell’amore umano: tu ami un essere e amandolo ami tutte le opere che fa quell’essere. Là dove tu vedi la manifestazione dell’essere che tu ami allora puoi amare; invece dove non vedi la manifestazione dell’essere amato non ami. L’amore è sempre un legame con una persona: là dove vedi quella persona, tutto diventa amabile in quanto ti rende capace di amare. Infatti attraverso l’amore uno è fatto simile, è inserito nella vita dell’altro e se tu sei inserito nella vita di un altro ami tutto ciò che fa l’altro.

Pinuccia B.: Si è visto nella lettera di Giovanni che chi ama è nato da Dio.

Luigi: Sì, ma bisogna intendere bene che cos’è l’amore.

Pinuccia B.: Chi sa comprendere tutti, chi sa amare anche il nemico è segno che è nato da Dio.

Luigi: Per amare bisogna avere la capacità di amare. Ognuno ha la capacità di amare secondo ciò che ama. Quindi se tu ami  Dio, visto che Dio è l’Essere in cui c’è la ragione di tutto tu hai in te la capacità di amare tutto e tutti. Se tu invece ami un essere che è gretto la tua capacità è limitata a quella grettezza.

Pinuccia B.: Questo essere nato da Dio vuol dire avere Dio per Padre, come motivo di vita.

Luigi: Ognuno di noi nasce da ciò per cui vive, perché siamo condizionati da ciò per cui viviamo. Quindi nasciamo dal nostro fine. Soltanto se tu vivi per conoscere Dio nasci da Dio.

Pinuccia B.: E se nasco da Dio ho la capacità di vedere l’opera di Dio in tutto e in tutti; dunque se credo che è Dio che fa tutto non posso non amare quello che fa, anche se non lo capisco.

Luigi: Anche se non capisci hai la capacità di sopportare, perché sai che c’è la sua mano. Se invece tu non vedi la sua mano e non credi in Dio non puoi sopportare una cosa che non sia conforme a quello che tu desideri.

Pinuccia B.: Anche perché se so che tutto viene da Dio…

Luigi: …hai la capacità di sopportare in attesa di capire. 


Simon Pietro gli domandò: “Signore, dove vai? Gesù gli rispose: “Dove Io vado, tu non puoi per ora seguirmi; mi seguirai più tardi”. Gv 13 Vs 36


Argomenti: La capacità di seguire Cristo – Dio presente in tutto e tutti – Il restare di Pietro – Togliere il futuro agli altri – Possibile e impossibile -


 

6/Settembre /1987


Luigi: “Mi seguirai più tardi: tu non puoi per ora seguirmi”: è Lui che ci da la possibilità di seguirlo. Noi dobbiamo solo guardare Lui: se Lui ci parla, noi lo ascoltiamo e Lui ci attrae. Ma se non ci parla, non lo possiamo più ascoltare, non ci attrae più e noi non lo possiamo seguire. La possibilità di seguire Dio è data da Dio stesso, perché tutto è opera sua. C’è però un tempo della vita in cui non lo possiamo trovare, un tempo in cui Lui se ne va e noi non possiamo seguirlo.

Gesù mi dice come a Pietro: “non puoi venire dove vado Io”, Perché? Come mai Gesù viene per salvarmi e poi mi dice questo? C’è una graduazione in questo parlare di Gesù: dapprima lo dice ai Giudei, poi ai discepoli ed ora a Pietro. Prima lo dice a tutti, poi a tutti coloro che l’hanno seguito, fino ad arrivare al tu per tu, a dirlo cioè personalmente ad ognuno di noi: “per ora non mi puoi seguire”. C’è per tutti un periodo della vita in cui non si può seguire Gesù. Lui stesso lo dice: “Dove Io sono, voi non potete venire da soli; però Io vado a prepararvi un posto, affinché dove Io sono siate anche voi”. È il tempo di assenza del Cristo, e di attesa della venuta dello Spirito Santo: tempo di maturazione, di morte a noi stessi, di silenzio di Dio in noi.

C’è questo tempo che Gesù paragona alla gestazione: “Quando la donna deve dare alla luce un figlio geme e soffre, ma poi gioisce. Così voi piangerete e il mondo riderà. Ma poi mi rivedrete di nuovo e la vostra tristezza sarà cambiata in gioia e nessuno ve la potrà rapire”. Ecco, prima di arrivare a questa gioia che nessuno ci può più rapire, è necessario passare attraverso questo tempo di silenzio di Dio, di morte di Dio in noi. La morte del Cristo è questo silenzio Dio in tutte le cose, è il trionfo del mondo e il fallimento di Cristo, è vedere che il mondo ha ragione, che il mondo trionfa con i suoi motivi, con la sua violenza, con le sue sicurezze, con i suoi argomenti. Di fronte al Cristo che muore chi ha ragione? I farisei, i sacerdoti, i romani.

Cristo si è lasciato uccidere, è fallito. Come mai c’è questo tempo di fallimento in cui il Padre tace (“Mio Dio, perché mi hai abbandonato?”), in cui non si vede più la sua opera? Perché non manda i suoi angeli a liberarlo?

La lezione più efficace del Cristo è proprio la Croce, in quanto la creature deve passare attraverso questo crogiuolo, per raggiungere quella maturazione nell’amore e purificazione d’intenzione che è necessaria per ricevere la conoscenza del Padre. È necessario passare per questa prova, perché è lì che si prova il nostro amore, è lì che si mette in evidenza il motivo per cui serviamo Dio.

Cfr. Giobbe: “Il diavolo disse a Dio: Giobbe ti serve perché gli hai dato tanti beni: provalo e vedrai se ti serve ancora”. È necessaria la prova perché tante volte si segue Dio, Lo si serve e si crede in Lui perché si sta bene, perché tutto va come vogliamo noi, e ci si può illudere. Allora Dio opera per evidenziare a noi stessi il motivo per il quale crediamo in Dio, per il quale amiamo e serviamo Dio.

Lo ami per la caramella? Allora ecco che Dio ti fa andare tutto al rovescio: è il momento della prova affinché tu veda perché servi Dio.

Fintanto che noi amiamo Dio perché Egli opera a nostro favore, non possiamo provare il nostro amore. C’è bisogno allora di sperimentare il silenzio di Dio, il trionfo del mondo per provare, per evidenziare a noi stessi se dentro di noi c’è vero amore o no. C’è per tutti questo tempo di silenzio di Dio e dell’apparente trionfo del mondo, perché è necessario per maturare il nostro amore per Dio. È il momento della prova del nostro attaccamento a Dio, che sembra perdere di fronte al mondo.

 

“Signore dove vai?”: le nostre domande sono sempre delle risposte. Interroghiamo perché Dio ha portato a noi qualche suo argomento. Interrogando, riveliamo anche ciò che portiamo dentro di noi, se abbiamo interesse o meno per gli argomenti di Dio, per la sua Persona.

Gesù aveva detto a tutti che se ne andava, “Dove Io vado voi non potete venire”. Siccome Dio ha parlato, nasce l’interrogazione, il “perché” interrogativo, e a questo “perché” Dio risponderà successivamente, se la creatura si apre, con un “perché” giustificativo. Abbiamo questa circolarità: l’iniziativa parte da Dio che presenta un argomento, nasce nella creatura il “perché” e Dio risponde se c’è apertura. Tutte le cose, tutte le creature, tutte le opere di Dio vengono da Dio e ritornano a Dio, come la pioggia che scende dal cielo, feconda la terra e ritorna nel cielo. Tutto ha questa circolarità. Però nel pensiero del nostro io questa circolarità può essere interrotta a metà strada, per cui le creature, i fatti, ecc. anziché portarci a Dio ci portano fuori, lontano da Dio. Perché ciò che noi raccogliamo in Dio, ci lega a Dio e ci prepara ad essere fedeli al Pensiero di Dio nel periodo di attesa e di prova che precede la rivelazione della Presenza di Dio, cioè nel periodo in cui non possiamo seguire Gesù.

 

“Per ora non puoi seguirmi”: è il momento della prova. Il pensiero dell’io in questo tempo ci può far cadere, invece il Pensiero di Dio ci mantiene fedeli, anche se noi non esperimentiamo più l’opera di Dio, la Parola di Dio. È necessario questo tempo. Ci troviamo come abbandonati, non troviamo le risposte ai nostri “perché”, assistiamo a qualcosa che ci sconvolge. Anche questo tempo è opera di Dio.

Nella nostra vita ad un certo momento ci deve essere questo silenzio con Dio solo, questa solitudine con Dio; e Dio ci sta conducendo verso questa solitudine con Lui. L’ora delle tenebre deve avvenire, ma ognuno sarà sostenuto da ciò in cui avrà creduto. Il Pensiero di Dio, il Verbo (non più il Cristo) ci sostiene attraverso il ricordo dell’insegnamento ricevuto. Gesù ce lo dice: “Vi dico queste cose prima che avvengano, affinchè quando avverranno vi ricordiate che ve le ho dette”. Egli parla per prepararci a sostenere ciò che avverrà. Quindi se Egli mi dice che deve avvenire questo tempo delle tenebre, quando questo tempo giungerà dirò “lo sapevo, me l’aveva detto!” e questo ricordo delle sue parole mi sostiene. Così avviene per coloro che sono nell’angoscia per la morte del Cristo e a cui Cristo si manifesterà risorto: avendo creduto in Cristo ottengono la grazia di ritrovare il Cristo risorto e ognuno lo ritroverà per quello che avrà creduto. Cristo si fa ritrovare attraverso questi segni.

L’opera di Dio è quella di portarci a questo silenzio con Lui solo. Il silenzio è necessario affinché arrivi il momento della grande rivelazione di ciò che Egli è.

Tutte le creature ci sollecitano a cercare il Padre, ma nessuna creatura può dirci ciò che Egli è. Solo Dio ce lo può dire. Ecco perché ad un certo momento si richiede questo tempo di solitudine con Dio, di silenzio di tutte le cose: e deve avvenire questo silenzio con Dio solo. Il momento di questa rivelazione, cioè della nostra vera nascita dipende da Dio: Lui sa quando la nostra anima è matura.

Da parte nostra, meno ci raccogliamo nel Pensiero di Dio, più prolunghiamo la nastra agonia, perché il superamento totale del nostro io per pensare solo a Dio, è la condizione per ricevere questa rivelazione, che è il punto da cui inizia la vita eterna.

Questo tempo di silenzio è una soglia in cui tu non sai cos’è il Pensiero di Dio, però hai il Pensiero di Dio, ed è solo questo che ti sostiene. Porti con te la parola di Cristo (ad es.: “vi è mai mancato qualche cosa?”) in cui hai creduto, però è una parola che non esperimenti più attorno a te, perché attorno a te esperimenti ben altro. Il Pensiero di Dio lo abbiamo, ma non più dall’esterno, perché anzi tutto dall’esterno ci parla della vittoria del mondo contrario a Dio. E in quel solo Pensiero di Dio la nostra anima attende la Presenza di Dio, ma non la esperimenta ancora. È la tribolazione di una nuova nascita, la nascita del figlio di Dio.

Gesù lo dice prima che avvenga “Vi troverete soli, piangerete e il mondo riderà…”. Ecco, l’ambiente non risponde più alle esigenze sostanziali della mia anima; la mia anima è triste perché il Signore se ne andato, mentre l’ambiente intorno a me è allegro. Si deve verificare questo. Cfr. Noè che costruisce l’arca: faticava e gli altri ridevano, ma nel diluvio ha avuto ragione Noè.

Chi sta in questo silenzio e non accondiscende alle sollecitazioni dell’ambiente, ha creduto a Dio; quindi è entrato nella conflittualità con un mondo contrario, però non ha ancora esperimentato il regno di Dio, perché non vede la Città di Dio che discende dall’Alto. C’è una nascita da Dio che deve avvenire prima, per poter esperimentare il regno di Dio. Fintanto che non si vede questa città (la nostra anima che discende da Dio) non si esperimenta la Presenza di Dio.

Cfr: Gesù dice: “La donna quando deve partorire soffre, ma poi gioisce per aver dato alla luce un figlio”. Noi siamo questa madre che deve dare alla luce un figlio. Prima c’è la sofferenza, poi c’è la gioia. Prima c’è solo la tribolazione: ci si sostiene solo sulla Parola di Dio, ma Parola non più esperimentata. Prima l’esperienza della Parola ci sosteneva poiché Dio ci mandava le caramelle, successivamente la Parola è nuda e cruda. E deve essere così. Bisogna appoggiarsi su di essa senza altri appoggi, senza esperimentarla. Anzi, la difficoltà sta proprio in quanto uno esperimenta cose diverse da quelle che si aspettava. I discepoli durante la passione e morte del Maestro provarono delusione e disorientamento.

 Anche questo discorso di Gesù, che annuncia il tradimento di uno di loro, e che dice che sta per andarsene, li lascia disorientati. Pietro, ad es., non ha penetrato il discorso di Cristo, ha saltato tutto l’argomento dell’amore per riprendere il discorso di prima, perché è quello che l’ha colpito, “dove Io vado, voi non potete venire”. Ma Gesù aveva aggiunto “però vi lascio un dono che vi farà amare gli uni gli altri come Io vi ho amato”. Avrebbe dovuto gioire di questo dono, ma Pietro è rimasto alla prima affermazione (il Maestro se ne va), per cui la sua domanda si collega con “Dove Io vado…”, e allora chiede “Maestro, dove vai?”. Egli non vuole separarsi dal Maestro, ed è sicuro che non si separerà mai.

Ma Pietro dovrà esperimentare la propria miseria, il proprio nulla, la persistenza del proprio io, il rinnegamento, il tradimento e poi il disorientamento provocato dall’assenza del Verbo incarnato, cioè del Verbo fuori di noi.

Anche noi dobbiamo passare attraverso questa esperienza di Pietro. Il momento delle tenebre c’è per tutti, perché fintanto che facciamo conto su qualcosa di diverso da Dio, non possiamo entrare nel regno di Dio. Il momento delle tenebre è necessario per arrivare a far conto tutto su Dio, è purificazione, è superamento dell’io. Pietro non aveva ancora superato il suo io. Per questo Gesù gli dice: “tu per ora non mi puoi seguire”: è la prova.

“Più tardi mi seguirai”, è la certezza che Gesù ci infonde. La certezza è data dalla Parola di Dio, per cui a quel punto facciamo conto solo sulla Parola di Dio, non più su di noi, e si nasce dall’Alto in virtù della Parola di Dio. Fintanto che si fa conto su altro non si nasce dall’Alto; Pietro faceva ancora conto su di sé, “…io darò la mia vita per te”.

Bisogna arrivare a far conto solo sulla Parola di Dio, Parola che ad un certo momento non è più parola esterna (Cristo incarnato se ne va) ma diventa puro Pensiero di Dio che è Presenza. È un “eccomi!”: Dio che rivela la sua presenza. E da questa parola si nasce.

Per arrivare a questa parola “eccomi!”, a questa presenza, è necessario passare attraverso il silenzio di tutto, perché i figli di Dio nascono da Dio. È sulla Parola di Dio che ci dobbiamo sostenere durante questo silenzio di tutto (anche dalla Parola di Dio esterna), poiché deve avvenire in noi la presenza del Pensiero puro di Dio: nascita da Dio, che richiede la nostra partecipazione totale.

Anche questo silenzio di tutto, questo silenzio di Dio è opera di Dio per portarci alla vita eterna. È opera educatrice di Dio per portarci alla salvezza. Questo silenzio di tutto è opera educatrice di Dio per modificare il nostro interno, dove magari facciamo ancora conto su di noi, sul mondo, ecc. Ci deve essere questo silenzio di tutto, perché i figli di Dio nascono da Dio e non da altro. Abbiamo una nascita fisica che avviene senza di noi; la seconda nascita non avviene senza di noi, richiede la partecipazione nostra, che consiste nell’annientamento dell’io per nascere nuovo da Dio come intelligenza, volontà, ecc.; è la creatura nuova che non nasce senza di noi.

Anche il silenzio di tutto è opera di Dio per la nostra vita eterna. Quindi se Dio ci mette davanti lo scandalo della Croce, il trionfo del mondo, questo è opera di Dio per portarci alla vita eterna, non per desolarci. È opera di Dio e va vista come opera di Dio, ma per vederla come tale bisogna nascere da Dio; è meglio lasciar perdere tutto pur di non perdere di vista il Pensiero di Dio. Si devono concentrare tutte le forze lì.

Molti di noi invece si giustificano di non fare questo dicendo che devono occuparsi della liturgia, delle regole, del lavoro, di cose sante, delle missioni, ecc.; ma Gesù ci dice che se la moglie, il lavoro, i campi, ecc., ci impediscono di assaggiare la sua cena, vuol dire che non siamo giustificati da queste cose.

In ogni luogo, in ogni situazione di vita corriamo sempre il rischio di perdere di vista l’essenziale. Il lavoro, la moglie, non sono cose e creature sante? Eppure possono essere di ostacolo. Gesù nella parabola degli invitati a nozze è chiaro: dice che il lavoro, la moglie (che è pur un sacramento) possono diventare motivo per cui non assaggiamo la sua cena. Abbiamo l’esempio di quel vecchio trappista che ha dovuto confessare, alla fine della sua vita, di essere vissuto per le sue api.

S. Teresa d’Avila diceva alle sue suore “avete lasciato un mondo, fate attenzione a non costruirvene un altro qui dentro”. Non dobbiamo essere sicuri in nessun posto.

 

“Mi seguirai più tardi”: Cristo potrà essere seguito quando la nostra anima sarà matura: per questo ci deve essere la desolazione là dove non dovrebbe esserci (“vedrete la desolazione nel Tempio...”)perché deve esserci questo crogiuolo (è lo choc escatologico) per ciascuno di noi; per cui tutte le sicurezze su cui fondavamo la nostra esistenza crollano, perché Uno solo deve essere la nostra sicurezza: Dio. È per questa nostra maturazione che Dio fa crollare tutte le altre sicurezze: lo fa per salvarci.

Questa è la nostra speranza: “mi seguirai più tardi”. È una promessa. L’ideale sarebbe che noi anticipassimo i tempi, superando queste sicurezze e valori diversi da Dio per puntare su Dio, per far conto su Dio. Bisogna che l’anima scopra che tutto assolutamente è mezzo, fuorché la Presenza di Dio che è il Fine. Se non scopriamo che tutto è mezzo, Dio ci fa esperimentare il nulla di quello su cui facciamo conto, per salvarci, in tal caso non possiamo non passare per questa prova. Invece si può evitare questa prova se uno la fa prima. Dio fa crollare le cose solo per la salvezza della nostra anima. Per ciascuno perciò c’è questa fine del mondo, e Cristo ci avvisa e ci dice queste cose “affinché possiate scampare questa prova… quando vedrete queste cose, sappiate che la vostra liberazione è vicina”. La fine del mondo è vedere il crollo di tutti questi valori.

Cristo fin dal principio, fino alla sua morte, opera per formare nella nostra anima la certezza che la Presenza di Dio in noi è il fine e che tutto il resto è mezzo. Con le parole che dice a Pietro promette che più tardi, a maturazione avvenuta, lo potrà seguire.  
(06.08.1980)

Nei versetti precedenti Gesù ha dato da intendere che se ne va e che gli apostoli non possono seguirlo dove Lui va, però lascia loro il suo Spirito che gli darà la grazia di amarsi gli uni gli altri come Lui li ama. Pietro ha capito solo questo: “il Maestro ci lascia”, ed è per questo che chiede “dove vai?”. Al che il Signore risponde: “Dove vado Io tu per ora non puoi venire, mi seguirai più tardi”.

Prima di poter raggiungere il Maestro nel luogo in cui va, c’è una prova da passare: la prova del silenzio e la prova delle tenebre, dell’apparente trionfo del mondo. Solo se rimaniamo con il Pensiero di Dio (Verbo non incarnato) e solo uniti a Lui, possiamo superare il momento del silenzio e il momento delle tenebre, rimanendo nell’attesa del dono dello Spirito di Dio, del dono della Presenza del Padre. In questo silenzio di Dio, dell’apparente assenza di Dio, dell’apparente trionfo del mondo, nel silenzio di tutto, nel silenzio dell’io e del mondo relativo all’io, l’anima rimane solo col puro Pensiero di Dio che il Verbo incarnato ha lasciato in lei prima di andarsene. Questo momento di silenzio e di tenebre è necessario per imparare a far conto in tutto su Dio. In questo momento l’anima ha la possibilità di far conto su Dio, è matura per questo, perché se no il Verbo incarnato non se ne andrebbe ancora.

Però, anche in questo momento c’è sempre il rischio di non far conto su Dio, perché non è una cosa automatica, ma richiede sempre una partecipazione personale. È prova per noi, ed è rischio di non far conto su Dio, perché è il momento in cui solo il mondo sembra prevalere. L’amore di per sé è un rischio perché deve puntare tutto su una cosa, cioè deve scegliere. E scegliere vuol dire lasciare, perdere. L’amore è scelta, quindi rischio e si può essere vinti dalla paura di perdere. Nella vita dello spirito vince chi sa perdere.

Se crediamo di scegliere senza lasciare, senza perdere qualcosa, non scegliamo, quindi non amiamo. Scegliere senza lasciare è perdere tutto, non è amare. Ecco perché tutte le cose se ne vanno: per aiutarci a scegliere, a lasciare.

 

Pietro interroga “dove vai?”, poiché il vangelo va applicato personalmente, quand’è che la nostra anima si forma questa interrogazione? Quand’è che l’anima sente questo bisogno di interrogare? Cosa significa questo interrogare per l’anima umana? E quand’è che nella nostra vita riscontriamo queste parole di Gesù “Io me ne vado… è necessario che Io me ne vada!”?

La domanda “Signore, dove vai?” è collegata con l’affermazione precedente di Gesù “Io me ne vado”. Quando si verifica questo nella nostra vita? Questo avviene quando, per ognuno di noi, l’Incarnazione ha esaurito la sua missione, e così pure tutte le creature.

Cristo è il compimento dei tempi, è la sintesi di tutte le opere di Dio e quindi rivelazione. La creazione, la storia, la vita dell’uomo vanno verso una conclusione, verso una sintesi in cui si evidenzia tutta l’opera di Dio.

Cristo essendo Parola di Dio, Verbo di Dio, è Colui nel quale si sintetizzano tutte le lezioni di Dio, si ricapitolano, quindi si evidenziano.

Il Cristo che dice “Io me ne vado”, ci illumina sul senso del passare delle cose: tutto viene da Dio, da a noi qualcosa e poi se ne torna a Dio. Ecco perché siamo immersi nel tempo. Anche Cristo (Verbo incarnato) appartiene al tempo, quindi viene e se ne va anche Lui: passa tra noi lasciandoci un messaggio, forma in noi qualche cosa e se ne va.

Cristo che passa è rivelazione del senso del passare di tutte le cose, dell’opera di Dio: col passare delle cose si forma in noi l’interrogazione: “perché?”. Assistendo al passare di tutte le cose si forma nell’animo umano il “perché?”, “dove vai, Signore?”. Tutte le creature nascono, durano un po’ di tempo e se ne vanno. È qui che nella nostra anima si forma l’interrogazione: “Dove vai, Cristo?”.

Tutte le cose vengono da Dio e tornano a Dio; ma perché? Per portare noi a Dio.

Quindi le cose vengono a noi per formare in noi un desiderio, per farci prendere coscienza del bisogno che abbiamo di conoscere Dio e di impegnarci a conoscerlo. Tutte le cose hanno questo scopo: portarci a Dio e, passando, impegnano noi con Dio.

Signore, dove vai?” è il desiderio dell’anima che cerca Dio, che cerca il significato della vita, il senso del tempo. La domanda “dove vai?” è il bisogno dell’anima di cercare e trovare Dio. Però qui abbiamo la risposta di Gesù: “dove Io vado tu non puoi venire”. Dicendoci questo ci fa toccare con mano un fatto: tutti vanno a Dio per farci conoscere Dio, però ci troviamo in una situazione di impotenza: da soli siamo impotenti a trovare Lui, a conoscere Lui, ad andare dove Lui è. È l’ora della prova. E perché? In che consiste? Che significa il fatto che ci sono momenti di luce e momenti di tenebre? Perché Dio manda la luce e ce la toglie? Ci da delle persone e poi ce le toglie? Ci fa delle promesse e poi ci delude? Perché un giorno siamo felici e un giorno siamo tristi? Perché c’è la gioia e perché c’è il dolore? Per quale motivo? Perché si esperimenta il passare delle cose?

Dio ci da una luce per avvicinarci a Lui, ma poi ci prova per non lasciarci adagiare nelle creature. Il momento della prova ha lo scopo di farci imparare a non tradire, a far conto su Dio, superandoci. Ma la luce ce la da inizialmente, perché se Dio non ci illuminasse, noi non lo potremmo desiderare, perché il desiderio si forma vedendo.

Quindi in un primo tempo Dio arriva a noi senza di noi, in un secondo tempo non si fa più trovare senza di noi. Lui ci ama per primo, anche quando non siamo capaci di amarlo, anche se ne siamo indegni, anche se ci troviamo nel più nero degli abissi; siamo sempre amati da Dio, perché se non ci amasse, noi non potremmo amare, perché il nostro amore è sempre una risposta all’amore di Dio, all’iniziativa di Dio, il quale si dona sempre per primo per formare in noi il desiderio di Lui.

Dio si dona senza di noi, l’iniziatore è sempre Lui; in un secondo tempo però richiede la partecipazione attiva, un superamento, richiede da parte nostra un impegno personale, una risposta d’amore. Ecco perché c’è una risposta d’amore da parte della creatura: si entra nella vita donandosi, non ricevendo. Il difficile è donarci ad un amore, perché donarci vuol dire lasciare il resto, poiché amare vuol dire mettere uno al di sopra di tutto; in caso contrario non si entra nell’amore. Noi diamo la nostra risposta di amore nel momento in cui sappiamo donarci, sappiamo amare, sappiamo lasciare, sappiamo cioè superare il nostro io. Per donarci bisogna lasciare. Ecco perché Gesù ci dice “Dove Io vado voi non potete venire, per ora”: non abbiamo ancora lasciato tutto; e fintanto che non lasciamo tutto di noi e noi stessi, non possiamo entrare in Dio, non possiamo conoscerlo.

La domanda di Pietro, “dove vai?”, rivela l’interesse suscitato da una cosa che viene meno. Ci arriva una cosa, e se ci viene annunciato che ci viene tolta subentra l’ansia, “come potrò riaverla?”. L’interesse è amore.

Cristo per primo si è donato a Pietro e ora se ne va; ma Pietro avendo seguito Cristo ora ha bisogno di Lui. Pietro non avrebbe bisogno di Cristo se Cristo per primo non si fosse donato.

Dio si dona per primo e poi ad un certo momento si sottrae, perché ha formato in noi l’interesse per trovarlo con la nostra partecipazione personale.

Quando Cristo si sottrae, in Pietro ormai si è formato il bisogno di Lui, un bisogno di ritrovarlo; per cui quando Gesù dice “Io me ne vado”, Pietro gli chiede “dove vai?” perché vuole seguirlo. Ma Gesù gli risponde “Dove Io vado tu per ora non puoi venire”: finché Pietro fa conto su di sé, finché non si è superato, non potrà andare dove Cristo va, anche se afferma “…perché non ti posso seguire ora? Io darò la vita per te! Ti seguirò fino alla morte!”.

Pietro è troppo sicuro di sé. Non si può arrivare a conoscere Dio e il suo regno fintanto che facciamo conto su di noi, sulle nostre promesse, sulle nostre virtù, su ciò che sappiamo fare e su ciò che non sappiamo fare, poiché si conosce soltanto per mezzo di Dio e solo facendo conto su Dio. E fintanto che noi non perdiamo tutto quello su cui facciamo conto, non vedremo Dio. Ecco perché vediamo le creature e non Dio. Se noi fossimo capaci, in questo momento, di lasciare tutto di noi, di dimenticare tutto di noi, noi vedremmo Dio, perché Dio è presente.

Se non lasciamo tutto, cioè se non facciamo unicamente conto su Dio, fossimo anche sull’ultimo gradino prima di raggiungere la vetta, non solo non possiamo restare in quel gradino, ma perdiamo tutto, non possiamo trattenere niente. Se non arriviamo al Fine, perdiamo tutto. Tutto è dato da Dio come mezzo per condurci a conoscere Lui, perché siamo creati per conoscere Dio.

 

Domanda: In questo momento delle tenebre, in cui si sperimenta il silenzio di Dio, è solo il Pensiero di Dio che ci sostiene. Come si sperimenta allora il silenzio di Dio se è il Pensiero di Dio che ci sostiene?

Luigi: Si esperimenta il silenzio di Dio in quanto non si esperimenta più Dio esternamente, così come lo si esperimentava quando ci dava le caramelle, quando in tutto Dio rispondeva ai nostri desideri. Infatti arriva il momento in cui Lui tace, perché ci invita a salire più in alto, a non accontentarci dei suoi doni. Egli vuole farci capire che i suoi doni sono per sollecitaci a cercare più Lui. Tante volte invece noi ci fermiamo ai doni, alle creature, e non ci preoccupiamo di cercare il Creatore. Dio ci da tutto per sollecitarci a guardare Lui, perché la vita eterna è conoscere Lui. Ecco perché ad un certo momento ci toglie tutto: per sollecitarci a cercarlo, perché non abbiamo colto il significato dei suoi doni. Se avessimo capito il significato dei suoi doni e avessimo quindi alzato lo sguardo a Lui non ce li avrebbe tolti.

La notte c’è per sollecitarci a guardare Lui. Tutti i doni che ci dà sono per sollecitarci a guardare Lui, ma siccome abbiamo solo lo sguardo ai doni deve toglierceli, perché i suoi stessi doni ci impedirebbero di entrare nella vita eterna.

 

Domanda: Se in quel silenzio di Dio abbiamo il Pensiero di Dio (non siamo pensiero di Dio) allora vuol dire che lui seguita a parlare e quindi non c’è più silenzio di Dio.

Luigi: Sì, seguita a parlare, ma non più come segno. Cristo è la Parola di Dio che parla un linguaggio umano, parla in parabole; la stessa creazione è parabola di Dio. Ma “viene il giorno in cui non vi parlerò più in parabole – dice Gesù – ma apertamente vi parlerò del Padre”. Quindi, quando Dio tace, quando cioè Cristo si sottrae, noi siamo affidati da Lui al Padre; rimane perciò il Pensiero di Dio in noi che non parla più a noi in parabole, con parola umana, ma con un linguaggio nuovo: è lì la crisi, perché a questo linguaggio noi non siamo abituati. Non si può spiegare la parola nuova che udiamo (perché sarebbe ancora parabola), non la si può spiegare perché è Presenza, è “eccomi”, senza parole. Ti fa vedere il Padre, te lo presenta. Te lo fa vedere in quel silenzio. Se tu permani in questo silenzio, senza sostenerti su altro, lì impari una vita nuova, lì c’è una nascita nuova.

 

Domanda: Perché Gesù non dice chiaramente dove va?

Luigi: L’ha già detto e lo dirà dopo: ritorna al Padre. Ma pur dicendo questo a Pietro, non dice quel “qualcosa” in grado di condurlo dove Egli va. Però Lui lo dice per affidarlo al Padre. L’ultima preghiera consiste nell’affidare tutti coloro che erano con Lui al Padre, affinché sappiano che sono affidati al Padre. È come se uno, dovendo partire per un lungo viaggio, affidasse una persona cara ad un’altra persona, questo suo caro guarderà solo a quella persona a cui è stata affidato e da lei dipenderà in tutte le sue necessità. Nell’ultima preghiera Gesù dice sostanzialmente questo: “finora sono stato con voi, ora me ne vado ma vi affido al Padre… voi mi rivedrete e la vostra gioia sarà completa”. Affida i discepoli al Padre, ma nonostante li affidi, l’affidamento non avviene automaticamente; le difficoltà, e si esprimono in questa problematica: “noi non vediamo il Padre e allora cosa facciamo?”. Ecco, si richiede quel silenzio (simboleggiato dai dieci giorni di attesa) per ricevere ciò che devono ricevere. Sarà in quel silenzio che, ricordando quanto Gesù aveva loro detto, saranno sostenuti.

Comunque qui era importante che Gesù dicesse a Pietro che dove Lui andava egli non poteva andare. Perché? Perché fintanto che si fa conto su altro da Dio non si può andare dove è Dio. Infatti Pietro presumeva sulle sue forze, “ti seguirò fino alla morte”, per cui Gesù deve annunciargli il suo prossimo tradimento: “stanotte mi rinnegherai tre volte”. Questo vuol dire che faceva conto su se stesso. E fintanto che facciamo conto su noi stessi, non possiamo conoscere il Padre, perché conoscere il Padre vuol dire nascere dal Padre.

 

“Più tardi mi seguirai”: l’arrivare al luogo dove Cristo va (il Padre) è affrettato dalla morte a noi stessi, perché da parte sua Cristo ha dato tutto. Quel “più tardi” dunque può essere abbreviato dal nostro con-morire con Lui, dal non  far più conto su altro che su Dio. Pietro non era morto a se stesso, ancora non si era superato, per questo non poteva andare dove andava Cristo. Era necessario prima che morisse a se stesso, cioè non pensasse più a sé, non contasse più su di sé, ma solo su Dio, perché la creatura nuova nasce da Dio, non dalla nostra buona volontà, non dalla nostra intelligenza, dai nostri impegni, dalle nostre virtù; non nasce da noi, ma da un Altro.

Si nasce da un Altro, quindi bisogna far conto su un Altro. È quanto avviene in quell’esperienza del silenzio; quel silenzio è necessario per Pietro e per noi, per morire a noi stessi. Allora la creatura nuova può nascere. Ma bisogna far conto solo su chi ci può far nascere. Affidandoci al Padre Cristo ci dà la possibilità di ricevere il dono del Padre. Cristo porta ciascuno di noi, se lo ascoltiamo, a far conto solo sul Padre. Seguendo tutte le lezioni del Vangelo, parola per parola, ci abitua a trascendere noi stessi, il mondo, per riferire tutto a Dio, perché tutto viene da Dio, e quindi a far conto solo su Dio. È Dio che parla in tutto con noi ogni giorno; e noi dove siamo? Cristo ci insegna questo….; e tu? Pensavi a te, alle creature, a ciò che fanno le creature, ecc., e non ti sei mai accorto che Dio parlava con te.

Tutti i nostri problemi sono determinati da questo: c’è uno nella nostra stanza che parla con noi e noi non lo ascoltiamo; conviviamo con Uno che ignoriamo, con Uno che non possiamo far fuori, perché è il padrone. Si ascolta e si vede Dio che è con noi soltanto col cuore. L’importante è ascoltare col cuore e allora si giunge a vedere col cuore Colui che parla sempre con noi. Bisogna ascoltare col cuore per vederlo, e allora la vita diventa luce, perché Dio è presente con noi, in noi ogni giorno.

 

Domanda: Quel “mi seguirai più tardi” è una certezza?

Luigi: Sì, ma quando sarai morto a te stesso. È la condizione.

Qui Cristo si avvia alla morte e Pietro si avvia al tradimento. La morte di Cristo è una tragedia per il discepolo (“speravamo che…”); inoltre Pietro porta su di sé il peso del tradimento. Questi due fattori tragici che piombano su di lui, lo portano alla morte di sé. L’uomo che fa conto su di sé, per morire a se stesso deve sperimentare il fallimento di se stesso; faceva conto su questo e invece… Perché questo?

Dobbiamo passare attraverso il fallimento di ciò che da noi era stato elevato a sicurezza. Dobbiamo convincerci che è Dio che sta lavorando per me, con me; dobbiamo convincerci a far conto su di Lui. Se così facessimo andremmo di luce in luce, di conferma in conferma, perché Dio non si diverte a farci fallire: siamo amati da Lui da sempre. Infatti noi siamo capaci di amare solo perché riceviamo amore, siamo capaci di ascoltare e di intendere, perché c’è uno che parla con noi prima di noi e che parlando a noi forma in noi l’orecchio.

Noi siamo fatti da Dio, la nostra capacità di penetrare non è nostra: ci viene dal fatto che Dio pensa a noi, se no non saremmo capaci di pensarlo. Sentiamo il bisogno della Verità, perché la Verità per prima si dona (l’animale non sente questo bisogno). Tutto ciò che in noi è bisogno è risposta a ciò che Dio ci ha dato per primo. È solo quando abbiamo sperimentato il nulla nostro (cos’è che non abbiamo ricevuto?) che noi cominciamo a far conto su Dio in tutto, e quindi a morire a noi stessi. Cristo lo seguiamo solo morendo a noi stessi. Ma nessuno, nemmeno Dio, può costringerci a morire a noi stessi. Dio ci può convincere, illuminandoci sui motivi per cui è necessario morire a noi stessi, ma non ci costringe, perché costringere vuol dire privare della capacità di conoscere.

Per poter conoscere Dio ci vuole un atto libero; per cui io, pur potendo far conto su me stesso, faccio conto su Dio, perché Dio è più importante, Dio è un Altro da me, è un Altro da altri. Basta un filo d’erba per convincermi che non sono io Dio, quindi non devo vivere pensando a me, facendo me stesso centro della mia vita e della vita degli altri, al posto di Dio. Non siamo noi Dio, né nel piccolo, né nel grande, questa è la verità, perché noi siamo solo creature. Essendo creature dobbiamo mettere Dio al centro, non noi, altrimenti siamo nel falso, nell’ingiustizia e quindi ci immergiamo nel caos e non capiamo più niente.

Per conoscere Dio ci è richiesto l’atto libero di far conto su Dio, ma per far conto su Dio dobbiamo mettere la giustizia a base della nostra vita. La giustizia è questa: tu non sei Dio, Dio è un Altro, quindi sii giusto mettendo Dio al centro dei tuoi pensieri. Questo è morire a noi stessi.

Il morire a noi stessi è un fatto positivo, è fare la giustizia senza la quale non si può camminare nella Luce, poiché se non mettiamo al centro Dio, che è la Verità, mettiamo un falso centro della nostra vita, per cui camminiamo nella notte, e ci è impossibile arrivare alla Luce. Dio opera tutto per convincerci che non siamo noi Dio; è questa la lezione fondamentale della creazione: “un Altro ti ha fatto, quindi alza gli occhi all’Altro che ti ha fatto, non vivere per te, non fare di te il tuo dio”. Purtroppo noi tendiamo a fare di tutto il nostro dio (denaro, gruppo, società, ecc.)facendo di tutto un assoluto, mentre tutte le creature ci invitano a non deificarle.

“Alza gli occhi ad un Altro!”: è questa la lezione fondamentale scritta in tutte le frange dell’universo. La giustizia fondamentale è la nostra risposta a questa lezione fondamentale: “alza gli occhi, metti Dio al centro della tua vita, se no cammini nella notte; avrai molte cadute, ma queste cadute derivano dalla giustizia non fatta”.

Non possiamo andare dove Lui è, perché camminiamo nella notte. Quindi fa questa giustizia! Dio non ci obbliga a farla perché ci ha fatto consapevoli (perché solo un essere consapevole può conoscere la Verità) e un essere consapevole può dire “sono io”. No! Dio solo è. Dio solo è l’Essere! Noi siamo e viviamo solo nella misura in cui partecipiamo a Colui che è. Partecipare di Colui che è vuol dire metterlo al centro: accogliere e riportare tutto a Dio, non disunire nulla da Lui.

Dio parlando mantiene le cose unite a Sé, quindi anche tu mantienile unite, riferiscile tutte a Lui, non attribuirle ad altri. Quindi tutte le cose, tutti i tuoi pensieri, stati d’animo, ecc., riferiscili sempre a Lui, dialoga in tutto con Dio. Se facciamo questo, è segno che abbiamo Dio come punto fisso di riferimento, che abbiamo Dio al centro della nostra vita.

Puoi non capire ciò che Dio ti dice, ma preoccupati di avere questi pensieri uniti a Dio, non fermarti mai a nulla di autonomo, ma chiedi sempre: perché Dio dice questo? Perché opera questo? Queste domande denotano che hai Dio al centro. Se uno invece si accontenta di vedere le cose in modo autonomo (questo l’ha fatto il caso, la natura, l’uomo) vuol dire che non ha messo Dio al centro della sua vita, del suo pensiero.

“Fate penitenza”: ci dice Giovanni Battista, predicando il battesimo di giustizia. Fare penitenza vuol dire cambiare modo di pensare: prima riferivi le cose all’uomo, ora riferiscile a Dio, prima pensavi secondo gli uomini, ora pensa secondo Dio. È questa giustizia dentro di te che ti fa capace di camminare con Cristo nella luce e giungere così dove Lui va.

 

Marco: Perché tante persone sono nella luce, sono contente senza morire a se stesse?

Luigi: La luce di cui godono è luce relativa alla creatura (non è ancora conoscenza di Dio) e la creatura crede di capire, di sapere tutto (come fa il bambino quando sa qualcosa). Fintanto che tutto va bene ci sentiamo nella luce, ma quando le cose non vanno più come vogliamo noi, allora cominciano le tenebre. Quando vediamo che quello che cerca il denaro è felice perché lo trova, ci domandiamo: Dio dov’è?  Aspetta! Arriverà il momento in cui quella persona o non troverà più il denaro che vuole e sarà triste, oppure pur avendo tutto il denaro che vuole non sarà più contento. Come mai? Dio che lavora incessantemente in ciascuno di noi, poco per volta fa maturare e ad un certo momento toglie qualcosa: la creatura prova delusione, disperazione, dolore. Ma anche quando la creatura sembra felice in realtà non lo è: alla sera, quando è sola, se è vuota nessuno può riempire la sua anima; quando gli altri se ne vanno, la sua anima si scopre vuota. Fintanto che ci sono creature intorno a noi, che si interessano di noi, siamo felici, perché ci guardano, perché ci esaltano. Ma quando se ne vanno ci lasciano vuoti, perché chi riempie la nostra anima è solo Dio. Da soli non si sta su, non si resiste, perché siamo fatti per un Altro, siamo fatti in complemento. Da soli non ci sosteniamo, e se l’altro che ci sostiene è la creatura dura quel che dura. Dio è l’unico vero sostegno.

Noi siamo fatti in coppia con Colui che è. Quindi solo trovando Dio troviamo Colui che ci riempie di luce. Possiamo scambiare Dio per la creatura, facendone un assoluto, ma quando essa se ne va, noi sperimentiamo la morte, proprio per il fatto che vivendo per l’altro, l’altro viene meno. Con Dio invece non sperimenteremo mai la morte, perché è l’Essere e non verrà mai meno.

Abbiamo più bisogno di Dio che del pane. E la creatura che si mette in silenzio per cercare Dio lavora per tutti, per il vero bene di tutti, perché il vero bisogno per tutti è Dio.

Le persone, se sono cattive, è perché non toccano Dio, per cui chi cerca Dio dà il vero bene a tutti. Dio se vuole può arricchire tutto l’universo, può far scoppiare di salute tutti gli uomini del mondo, ma se così facesse, li dannerebbe tutti. Dio non si diletta a far soffrire: se c’è il dolore è per far maturare gli uomini alla vita eterna. Il vero bisogno dell’uomo è Dio: Dio è necessario, non ne può fare a meno, perché è in coppia con Lui, quindi è assetati di Lui.

Quando uno ha sete, o beve alle pozzanghere e si avvelena o beve alla sorgente. Chi beve alla pozzanghera è uno che finisce di distruggere sé e gli altri, ma non ne può fare a meno. Però è inutile dirgli di non bere lì, perché ha sete. Conducilo piuttosto alla Sorgente. Quindi il vero bene che si può fare agli uomini e quello di cercare e aiutare a cercare la Sorgente. È il vero bisogno dell’uomo. Ma se noi non cerchiamo la Sorgente, non possiamo fare a meno di abbeverarci alle pozzanghere, con tutte le conseguenze che ne derivano. Quindi la vera necessità e urgenza è cercare l’acqua della Sorgente; e va cercata anche se ancora si sta bevendo alle pozzanghere. Solo così si può segnalare la sorgente a chi sta ancora bevendo alle pozzanghere, solo così si risponde al vero bisogno dell’uomo.

Se non cerchiamo Dio prima di tutto e non aiutiamo a cercarlo, diamo solo dei palliativi, perché non diamo ciò che Dio vuole; non risolviamo quindi i nostri e gli altrui problemi, anzi li complichiamo, perché abbiamo Dio contro di noi. L’uomo è veramente felice solo quando incontra Dio, ma per trovarlo deve lasciare le pozzanghere, cioè superare se stesso, morire al suo io, per cercare la Sorgente.

 

Tiziana: Gesù ci dice “Dove Io vado voi conoscete la via”: la conosciamo anche quando arriva quel silenzio di Dio?

Luigi: Sì, La vita è Cristo con tutto ciò che ci ha detto lungo il cammino e soprattutto con ciò che ci ha detto con la sua morte, perché la via sta lì. Infatti Cristo è morto perché noi moriamo a noi stessi; Egli muore per farci capire che la causa della sua morte siamo noi, ha preso su di sé le nostre colpe. Muore per causa nostra, e non per causa dei farisei, di Pilato, ecc., . Infatti se approfondiamo il comportamento degli attori di questa scena, vediamo che ciò che gli ha mossi è il loro io.

Ciò che manda a morte Cristo è il pensiero dell’io dell’uomo; quindi ogni uomo che pensa a sé è colpevole della morte di Cristo. Cristo in croce ci fa capire che dobbiamo morire a noi stessi: è questa la via che ci ha fatto conoscere. Ed è in quel silenzio che noi moriamo a noi stessi.

 

Domanda: Il silenzio di Dio è voluto da Dio?

Luigi: Sì, per farci crescere. Il momento delle tenebre è determinato dalla nostra incapacità di conoscere Dio: è Dio che si è sottratto. All’inizio Dio si fa sentire, anche quando siamo incapaci di rimanere con Lui; ci dà la caramella e allora noi sentiamo la sua bontà, la sua presenza. Capiamo che un Altro ci ha mandato quel “fatto” e ci siamo sentiti compresi: è Dio che scende nella nostra incapacità (ecco l’incarnazione) per prenderci per mano e dialogare con noi. Cominciamo allora a scoprire che Egli ha interesse per noi. Ma poi qualche volta questo non accade più; come mai? È Lui che comincia a dirci “fa un passo avanti”, e ci invita a cercarlo per qualcosa di più che una caramella, cioè per Lui stesso. E così, di dono in dono, ci porta sempre più su, fino a cercarlo per ciò che Egli è, non più per ciò che ci da, perché ormai ci ha fatto capire che il vero bene per noi è capire ciò che Egli è. E questo nessuna creatura ce lo può dire, perché solo Dio è rivelatore di se stesso. Tutte le creature sono cartelli stradali che ci dicono “vai, cerca Lui!”.

Dio opera attraverso questi doni graduali per farci desiderare cose sempre più grandi, fino a farci capire che il dono più grande per noi è conoscere Lui, fino a giungere alla vita eterna. Quindi, dopo essersi fatto sentire nella nostra vita, più tardi si sottrae fino ad arrivare a farci sperimentare il silenzio suo, per farci camminare. Al compimento dei tempi sarà un silenzio in cui, nel superamento e nel silenzio di tutto il nostro io e di tutto il mondo relativo all’io (Cristo compreso) si è sostenuti solo dal puro Pensiero di Dio: sarà un silenzio necessario ad una nascita nuova dell’anima.

 

Domanda: La domanda “dove vai?” può essere anche intesa come un invito a interiorizzarci, a invitare il Signore a venire in tutti gli angoli del nostro spirito, per possederlo pienamente, no?

Luigi: Dio cammina davanti a noi, affinché lo seguiamo, quindi non ci lascia stare seduti. Noi siamo felici non quando lo possediamo ma quando Lui ci possiede, perché la vera gioia di chi ama è di essere posseduti dalla persona amata.

Chiediamoci: dove ho messo Dio nella mia vita? Al centro o no? Ci accorgiamo che l’abbiamo messo al centro da questo fatto: se sentiamo il bisogno in tutto ciò che accade di riferire l’accaduto cose a Dio; Dio, perché mi mandi questo? È questo dialogo continuo che ci porta al bisogno di silenzio, perché fintanto che parliamo noi, Lui non parla; quindi è necessario fare silenzio per ascoltare Lui. La maggior parte della preghiera nostra è un parlare noi. La vera preghiera è ascolto. È Lui che parla, e riceviamo nella misura in cui facciamo silenzio; nel silenzio Lui ci illumina.

La preghiera vocale è preparazione al silenzio, per metterci alla presenza di Dio, in contatto con Dio, per far silenzio e stare in suo ascolto. La preghiera vocale è suonare il campanello alla porta dell’amico che si vuole andare a trovare. Se ti limiti a suonare il campanello e non entri, non hai trovato l’amico! Così facciamo noi quando ci accontentiamo della preghiera vocale senza entrare nel silenzio.

Suona, e aspetta che Lui ti apra, entra e poi stai a sentire ciò che ha da dirti. Quindi non diciamo di aver pregato se abbiamo solo suonato il campanello.

Come arrivare a questo silenzio nella preghiera? Dobbiamo abituarci a riportare tutto a Dio: è questo che crea il vuoto, la povertà in noi, il silenzio. Infatti il silenzio vero è dato dalla tanta presenza di un Altro, perché fintanto che penso a me faccio del rumore. Più Dio è presente, più l’anima è in silenzio. Invece se non trascendiamo le cose facciamo rumore e distribuiamo solo rumore. E Dio ce lo fa toccare con mano per farci capire: “avviene questo, perché non hai lasciato parlare Me”.

In un primo tempo magari crediamo di fare tanto e poi Dio ci fa toccare con mano che sostanzialmente non abbiamo combinato niente; ad es. facendoci constatare il fallimento nell’educazione dei figli dopo essersi magari sforzati e aver faticato tutta la vita. “Abbiamo faticato tutta la notte senza raccogliere niente!”, dovremo confessare anche noi, con  quegli apostoli.

Ma se cominciamo a buttarci sulla sua Parola, può avvenire la pesca miracolosa anche per noi. È la Parola di Dio che deve muoverci, non dobbiamo essere mossi da ciò che crediamo noi.

Quindi dobbiamo essere mossi in tutto da Dio, perché “il Figlio non può far nulla se non lo vede fare dal Padre”. Eppure noi crediamo di poter far tutto senza vedere operare Dio. L’errore della creatura è quello di credere di essere lei a fare. Siamo come i bambini che credono di fare tutto loro, mentre invece fanno solo rumore. E arriva anche per noi quel mattino in cui stanchi e delusi ci fermiamo sulla spiaggia a constatare il fallimento di tutti i nostri sforzi, “è stata tutta una fatica inutile”. Come mai? “Non c’ero Io, non eri in ascolto del tuo Signore”, ci sentiremo rispondere. Dobbiamo convincerci di questo: è Dio che fa tutto, non noi; è Lui il Creatore e ciò che accade è tutta opera sua, oggi. Anche oggi è sempre Lui il Creatore. Così professiamo nel Credo: “Credo in Dio Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra”.

Lo credi tu? No, non lo credi, perché attribuisci tutto alla società, alle cose, alle creature, alla natura, alle tue e altrui forze, al caso, ecc. .

 

Domanda: L’uomo non deve portare a compimento la creazione?

Luigi: Sì, ma portare a compimento la creazione vuol dire riportare tutto a Dio: ricevere tutto da Dio e portare tutto a Dio per capire il significato di ciò che Dio ci dà. Dio fa un colloquio con noi, personalmente, sempre. Egli dà e ci invita a riportare quello che ci dà a Lui con amore. Così come la mamma con il suo bambino per educarlo all’amore: gli dà una caramella e poi gli dice “adesso dalla a me”, e questo lo fa per stabilire un rapporto d’amore.

Questo è il compimento che Dio vuole da noi, non il compimento inteso a darci da fare per compiere la creazione su un piano materiale, perché qui abbiamo già constatato che disastri facciamo. Il compimento sta nel conoscere il Signore! Quindi tutto ciò che il Signore ci dà portiamolo in questo compimento. Tutte le cose che restano a metà fanno solo rumore. È nel Sabato, cioè nella conoscenza di Dio, nel silenzio, che le cose diventano silenziose. Lì, entrando nel settimo giorno, comprendiamo il significato delle opere di Dio.

Dio è Colui che parla, ma è anche Colui che spiega all’uomo le sue Parole. Non siamo noi che le possiamo spiegare. Siamo in coppia con Lui: “Io ti parlo ed ora cerca di capire ciò che ti ho detto”. Senza di Lui non capiamo niente, fraintendiamo tutto; e chiamiamo luce ciò che è notte. Il compimento delle cose è in Dio. Dio è il compimento di tutte le sue Parole, quindi tutte le cose sono Parole che vengono a noi e chiedono a noi di essere riportate in Dio, per essere intellette in Dio: lì sta il compimento, se no restano a metà strada, diventano rumorose, disturbano (così come il corpo che si fa sentire quando c’è qualcosa che non va bene). Quando qualcosa disturba, c’è qualcosa che non va nei riguardi di Dio, c’è qualcosa che non è riportato a compimento: porta le cose in Dio e vedrai che non ti disturbano più. Tutte le creature sono ottime servitrici se le riportiamo a Dio, ma sono delle pessime padrone, se non le riportiamo a Dio, perché ci schiacciano.


Gli soggiunse Pietro: “E perché non ti posso seguire ora? Io darò la mia vita per te!”.Gv 13 Vs 37


Argomenti: La creatura può fare solo ciò che riceve – Trasformati da ciò cui pensiamo – Vivere nell’iniziativa di Dio – Il tradimento di Pietro – Dio ci attrae comprendendoci - 


 

12/Settembre /1987


Qui si rivela la presunzione di Pietro che fa conto su di sé e non accetta quanto gli ha detto Gesù. Gesù, che lo conosceva bene, gli aveva detto “per ora non puoi seguirmi”, ma Pietro replica “darò la mia vita per te, ti seguirò fino alla morte”.

La lezione che dobbiamo trarre è questa: non dobbiamo e non possiamo far conto su noi stessi e sulle sicurezze che abbiamo, o su tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, su cose nostre, sugli altri, ecc. È un errore. E per quale motivo? E quand’è che facciamo conto su di noi?

“Far conto su-”, vuol dire appoggiarsi su-, fondarsi su-. È un errore quindi appoggiarsi su ciò che non è Verità. Questo avviene quando dimentichiamo Dio, e allora facciamo conto su noi o su altro. È un errore, perché tutto dipende da Dio e noi lo facciamo dipendere da altro.

La verità è che il Regno di Dio è il Regno dove le cose dipendono da Dio che è il Creatore, l’Essere. La nostra sicurezza deve essere Dio. Quindi facciamo un errore quando facciamo conto su noi stessi, perché noi non siamo la Verità; per restare nella Verità dobbiamo fa conto su Dio. Se facciamo conto su altro, ad es. sul denaro, facciamo un errore che ci apre la strada al fallimento. Per evitarci questo fallimento, Dio ci dice di non far conto sul denaro.

Il denaro è un bene, certo, è una creatura di Dio (è un segno dei beni di Dio: una volta si parlava di buoi, di pecore, ecc.), ma Cristo ci dice chiaramente che non possiamo vivere per il denaro.

Non dobbiamo far conto su nessun’altra creatura: “tu stesso sei una creatura, anche gli altri; ebbene non fondare la tua vita su te stesso, sugli altri, sulle promesse o parole delle creature, ma fondala su Dio”. Tutto è buono, tutte le creature sono buone, ma non dobbiamo far conto su di esse. Far conto su di esse vuol dire appoggiarsi sulle creature o sulle parole delle creature.

Ogni cosa che arriva a noi è un bene, perché arreca una lezione di Dio, ma tutte le cose devono essere riportate a Dio, perché si concludono solo in Dio.

Le creature ci dicono che Dio esiste, ma non ci possono dire ciò che Dio è, per cui semplicemente ci orientano a Dio, ci dicono di cercare Dio, vogliono essere cioè riportate a Dio da noi; è come se ci dicessero: “Portateci a Dio perché veniamo da Dio!”. Quindi tutte le creature devono essere riportate a Dio per essere illuminate da Dio; e questo lavoro nessuno lo può fare al posto nostro. Tutte le creature vengono poste da Dio nelle nostre mani, ma questo passaggio, dalla nostra mano a Dio, lo possiamo fare solo noi. Per questo esse ci dicono: “portaci a Dio, che è dentro di te”. Se non facciamo questo, tutta la creazione rimane interrotta, ferma nelle nostre mani. Tutte le cose sono segni di Dio, quindi sono belle a guardarsi e buone a gustarsi, ma se ci fermiamo ad esse, se ci appoggiamo su di esse, facciamo un grosso errore.

Tutte le cose sono buone, ma vanno tutte unite a Dio. Tutte le creature devono essere riportate da noi in Dio, per essere illuminate dallo Spirito di Dio, se no restano interrotte, quindi perdute. E se le creature vanno perdute, sperimentiamo l’inganno, il vuoto, l’angoscia. Perché ciò che non riportiamo a Dio (noi stessi, le persone, i beni, i mezzi, ecc.) finisce per tradirci. Ecco perché si richiede un lavoro di silenzio, un lavoro personale, di pensiero, per cercare il significato, per riportare tutto a Dio. Ed  è il vero lavoro, la vera preghiera, che costruire sulla roccia, sulla Parola di Dio.

Tutte le creature (fatti, ecc.) arrivano a noi e ci dicono “adesso raccogliti nella tua stanza, portaci in Dio, per vedere in noi il Pensiero di Dio”. È questa l’unica cosa necessaria, senza la quale manca tutto. Possiamo fare tutto il rumore che vogliamo in tutto il mondo, ma non serve a niente se non facciamo questo vero lavoro. Lo dice Gesù: “A che vale conquistare tutto il mondo, se poi perdi l’anima?”.

Bisogna far conto su Dio, e far conto su Dio vuol dire riferire tutto a Dio, riportare tutto a Dio per cercare di vedere il Pensiero, lo Spirito di Dio, perché lì abbiamo il compimento di ogni cosa. Invece tutto quello che non è unito da noi a Dio viene perduto. Si perde Dio e anche le creature. Pietro era in buona fede, certo. Ma si può essere in buona fede e sbagliare.

 

Dio presenta, ora, questa scena a me, quindi debbo chiedermi che cosa mi vuol dire, perché la sua Parola è universale, valida per ogni tempo e ogni persona: “Signore, cosa vuoi insegnare a me, per evitarmi l’errore di Pietro?”.

Pietro si fondava sul suo sentimento, sul suo entusiasmo, sul suo amore sentimentale, per cui è stata inevitabile la rottura. Ha detto con sincera convinzione: “Darò la mia vita per te!”, ma dopo poche ore, davanti ad una serva, per tre volte ha affermato “Non l’ho mai conosciuto!”. Pensiamo con che convinzione aveva professato il suo amore e la sua fedeltà. Quante cose noi diciamo con convinzione al Signore e poi…  Se noi non raccogliamo in Dio ciò che vediamo e sentiamo, e se non ci raccogliamo in Dio, crediamo di essere convinti, ma prendiamo degli abbagli. Facciamo programmi e propositi, ma a nulla servono.

Tutto ciò che programmiamo e facciamo senza di Lui è niente. “Senza di me non potete fare nulla”, ci dice il Signore. “Il Figlio non può far nulla se non lo vede fare dal Padre”: non può far nulla. I figli di Dio si caratterizzano in questo: in tutto sono guidati dallo Spirito di Dio. La forza e la costanza non è in noi, perché la creatura è instabile e mutevole. Da qui ci spieghiamo il rapido cambiamento di Pietro che contava su di sé.

Dio è l’Essere immutabile, fedele. Più la creatura umana si avvicina a Dio e più partecipa dell’immutabilità e fedeltà di Dio; meno è vicina, più è incostante e infedele.

La creatura prende consapevolezza di sé proprio nel suo mutare.

 

Tiziana: Quand’è che la nostra volontà può mettere dei bastoni nelle ruote alla Volontà di Dio?

Luigi: Quando interrompiamo l’opera di Dio fermandoci alla creatura, facendo conto su di essa e non riportandola a Dio. Noi abbiamo solo la possibilità di interrompere l’opera di Dio. La nostra volontà si manifesta solo come difetto. Se si arriva a compimento tutta l’opera è di Dio. Si entra nel Regno di Dio riconoscendo tutto come opera di Dio. L’opera che Dio attende da noi è la nostra disponibilità a lasciare tante cose per occuparci dell’essenziale. Ma anche questa disponibilità è grazia di Dio. Già il capire che dobbiamo riferire tutto a Dio, attribuire tutto a Dio, è grazia di Dio. Noi, da soli, siamo solo interruzione, incostanza, aborto, non possiamo portare nessun seme a compimento. È Dio che porta a compimento ma non senza di noi, cioè se non ci superiamo.

Tiziana: Ad es. ciò che è avvenuto con Giuda, è avvenuto per volontà di Dio, perché si adempissero le scritture, e allora che responsabilità ha Giuda?

Luigi: Tutto ciò che accade, in quanto accade, è voluto da Dio, così pure il fatto di Giuda. La responsabilità di Giuda non la sappiamo, può essere salvo; per cui nemmeno la Chiesa può dire che è dannato. Noi possiamo solo vedere la scena, ma l’animo umano (il rapporto tra l’anima della creatura e Dio) sfugge a noi. Per questo Dio dice “non giudicare”, perché può essere che Dio ha fatto recitare quella parte a Giuda. E questo vale per ogni scena che ci presenta.

Quell’ubriaco è una scena per te, perché tu scopra le tue ubriacature interiori. Tutto è scena, tutto è lavagna su cui vengono scritte le lezioni di Dio. Non si giudica la lavagna. Quindi non giudicare la lavagna, ma prendi la lezione su di te. Dobbiamo sempre prendere su di noi le lezioni, ma non basta: bisogna cercare presso Dio cosa Egli vuole dirci. La nostra volontà si manifesta solo come rifiuto di fare questo lavoro. La nostra opera, la nostra volontà è questa: interrompere questo processo dell’opera di Dio.

Tutto viene da Dio, ma se non lo riportiamo a Dio, interrompiamo l’opera di Dio. La nostra volontà è solo interruzione, aborto. Se la portiamo a compimento è tutta opera di Dio, dono di Dio. Nel compimento la creatura si sente compresa, perché riconosce che è stato tutto opera di Dio. Invece dove c’è la nostra volontà, la creatura si sente isolata, non pensata, sola. L’isolamento è causato dall’interruzione di questo lavoro in Dio. Tutto quello che Dio ha iniziato in noi senza di noi, non lo porta a compimento senza di noi, quindi tutto ciò che resta compiuto dobbiamo attribuirlo solo a Dio.

Noi interrompiamo l’opera di Dio, ci fermiamo alle cose, alle creature senza più riportarle a Dio, perché abbiamo paura di perderle. La paura è espressione dell’io.

La paura di perdere le creature, le cose ce le fa trattenere al nostro io; ma facendo così in realtà le perdiamo: perdiamo Dio e le cose e noi stessi. Questo accade perché non amiamo, cioè siamo nel pensiero dell’io.

Dio è Amore e trionfa in tutto perdendo. Nel campo dello Spirito, vince veramente chi sa perdere. Nell’amore si vince nella misura in cui si sa perdere. Nell’amore si vince nella misura in cui si è disposti a perdere; se si pretende, si perde veramente. Dio ha dato tutto se stesso, fino a morire sulla Croce: apparentemente ha perso tutto, sembra un fallimento. Invece Cristo non ha fallito, anzi ha trionfato, proprio perdendo tutto. Dio non opera imponendosi, ma convincendo; ma per convincere bisogna donarsi, bisogna saper perdere.

La convinzione fa l’uomo libero. L’imposizione crea lo schiavo e domani la fuga. Invece convincendo si conquista. Quindi tutto ciò che tratteniamo per non perderlo è scontato che lo perdiamo. Ciò che non è portato a Dio, a compimento, lo perdiamo.

Le cose si posseggono solo riportandole a Dio, cioè al loro compimento: ma questo avviene solo per opera di Dio, per volontà di Dio. Allora lì ci si sente compresi, pensati.

Se invece noi fermiamo le cose a metà, cioè se le fermiamo al nostro io, subentra la paura (espressione dell’io), l’isolamento, la solitudine, l’angoscia, perché affermiamo la nostra volontà; se seguiamo la nostra volontà non ci sentiamo più né compresi, né pensati, ma in balia di noi stessi.

 

Ida: È un lavoro difficile, anche perché proponendomi di vedere quante volte nel giorno penso a Dio, debbo constatare che l’ho pensato pochissime volte.

Luigi: L’esperimentare la nostra povertà, il constatare la nostra incapacità è già grazia di Dio. Se noi non ci proponiamo di vedere quante volte pensiamo Dio, ci illudiamo di essere virtuosi, giusti e ci gonfiamo. Proponendocelo, già constatiamo la nostra povertà e questo è grazia. È pauroso invece credere di essere qualcuno, perché ci gonfiamo e non entriamo nel Regno. Più constatiamo la nostra povertà, più questa ci sollecita a far conto su Dio: si entra nel regno di Dio solo facendo conto su Dio.

Finché presumiamo di noi stessi, tradiamo e rinneghiamo il Signore come Pietro.

 

Marco: Dio lo vedo più padrone che padre.

Luigi: Il padrone è colui che comanda dall’esterno e impone la volontà e autorità. Se c’è un essere silenzioso nel mondo è proprio Dio. Parlano tutti, tutti impongono la loro volontà, ma Lui tace. Alla fine però vince Lui, perché Lui vince convincendoci. Se Lui vincesse imponendosi dall’esterno, sarebbe l’inferno per noi. Allora per convincerci Lui si rende assente esternamente, ma parla dal di dentro.

Dio è Luce e la luce non ha bisogno di urlare per manifestarsi. L’uomo, che è niente, ha bisogno di urlare. La Luce non ha bisogno di dimostrarsi: quando c’è illumina, quando non c’è è notte. La Luce si testimonia da sé, illuminando. Dio è Padre perché non s’impone con la sua autorità dall’esterno. Dio manifesta la sua autorità nella luce, dentro di noi, convincendoci, se noi raccogliamo tutto in Lui.

I dubbi che portiamo in noi ci denunciano la nostra lontananza da Dio, ma ci sollecitano ad avvicinarci alla sua Luce. Invece il sentire Dio come padrone è un’altra cosa; non dobbiamo fondarci sul sentimento, perché Dio è Spiritio e Verità”, quindi bisogna basarsi sullo Spirito e sulla Verità, non sul sentimento. Quando si è convinti di una cosa, la si sperimenta come vera, ci si incammina per quella via.

Marco: Uno sente Dio come padrone perché le sue esigenze sembrano superiori alle nostre forze. Se voglio essere coerente nelle mie scelte (ad es. nella scelta dello studio oggi e del lavoro domani) sono costretto a fare un passo più lungo della mia gamba; non ce la faccio, credo che impazzirei. Eppure devo riconoscere che è una scelta incoerente, perché le mie scelte sono per guadagnare il denaro e per il piacere mio.

Luigi: Nessuno ci impone di fare un passo più lungo della gamba, però bisogna riconoscere l’ambiguità della scelta; è positiva anche questa confessione: “non sono capace”. E allora supplica il Signore: “Signore, fammi netto nelle mie scelte, liberami dalla mia ambiguità”. Da quante cose dobbiamo essere liberati e magari non lo sappiamo ancora. L’importante è non barare, ma essere fedeli, confessando “non me la sento”, e questa mia povertà mi farà umile e mi impedirà di essere superbo. Ad un certo momento, andando avanti nella mia scelta sbagliata, quando mi vedrò asservito al denaro, questo mi darà talmente nausea da farmi diventare capace di fare altre scelte: la pentola bolle, bolle, ma ad un certo momento scoppia.

 

Ida: Anche io sento l’incoerenza della mia scelta, perché vedo che la mia futura professione sarà un servizio ai ricchi, però se vorrò avere del denaro…, …e mi piace anche.

Luigi: Il criterio da cui uno deve lasciarsi guidare nelle scelte non è certamente il “mi piace”, né il denaro, né la carriera, se no mettiamo il nostro piacere o il denaro come elemento determinante, come scopo di vita.

Per che cosa vivo? Vivo per ciò che ha motivato la mia scelta. E fintanto che non possiamo dire “vivo per te, Signore”, siamo su una falsa strada e un giorno è scontato che toccherà con mano tutte le conseguenze negative di questo sbaglio. Tutto è buono, ogni servizio e lavoro è buono, tutto il mondo è opera di Dio, ma è l’intenzione che vale davanti a Dio, non ciò che si fa o non si fa.

Se servo il denaro nessuno mi critica, perché quasi tutti lo servono; però devo confessare che non è questo lo scopo per cui sono stato creato. Per quale fine Dio ci ha creato? Per cercarlo e per conoscerLo.

Ed io per che cosa vivo? Abbiamo qui un divario tra il fine per cui sono stato creato e ciò per cui vivo. E fintanto che c’è questo divario, creo una frattura nell’opera di Dio che avrà delle ripercussioni gravi.

“Ama e fa ciò che vuoi” dice s.Agostino. Cerca Dio e fa il lavoro che vuoi, perché se ami, se cerchi Dio lo farai nella finalità divina. L’importante è cercare Dio prima di tutto, e poi uno può essere debole, ma è orientato, e se uno è orientato, dopo ogni debolezza ritorna sulla strada giusta. Ad es.: se voglio andare a Torino, posso sbagliare strada, posso lasciarmi deviare da altre attrattive, ma se voglio andare a Torino e so ciò che voglio, ogni volta che mi accorgo di aver sbagliato strada o di aver deviato, ritorno sulla strada giusta; ma se non so dove andare, ad ogni bivio è una tragedia. L’importante è aver sempre ben presente il fine a cui vogliamo tendere.

Per che cosa Dio ti ha creato? E tu per che cosa vivi? Fintanto che l’ago della bussola non coincide col polo per il quale sei stato creato, c’è questo divario, e quindi sei scontento, perché porti una frattura dentro di te; perché sostanzialmente vivi per te, isolandoti dall’amore e ti senti solo.

Per entrare nell’amore e sentirti amato, compreso, pensato, devi superarti (e superare ciò che ti piace) vivendo per-. Vivendo per Dio si entra nell’amore vero. Dio è sorgente di tante novità, di tanti pensieri e preoccupazioni nuove; l’uomo che lo cerca è pieno di attività, motivato però da un interesse diverso; non più dall’interesse per il denaro, per la carriera, o per se stesso, non più dall’ambizione.

 

Paolo: In certe pagine del Vangelo, nell’entusiasmo il mio io mi fa dire: “darò la mia vita per te”, in altre pagine difficili e dure, arrivo a tradire, così come Pietro.

Luigi: Nella nostra vita ci sono sempre due facce: l’entusiasmo e la notte del tradimento di fronte ad una servetta. Tutto però è positivo, anche il tradimento, perché tutto serve per far maturare la nostra anima e renderla capace di accogliere quell’Infinito che è Dio, cioè per seguire Cristo là dove Lui va e dove per ora non possiamo andare. Siccome possiamo illuderci di amare e conoscere il Signore, Dio ci fa passare attraverso queste prove, attraverso questi tradimenti, queste ambiguità nelle scelte, per formare la nostra anima alla nettezza d’intenzione e scoprire che tutto è opera di Dio. Tutto è opera di Dio.

L’importante è non barare con noi stessi, non illuderci; quindi misuriamoci sempre con la Parola di Dio. Dio non si spaventa della nostra incapacità di rispondere. Chiediamo a Lui l’aiuto, facciamo conto su di Lui e non su di noi, non presumiamo di noi come Pietro. È tutto un lavoro di pazienza, e il Signore è paziente. Allora lasciamoci lavorare, non facciamo il passo più lungo della gamba, iniziamo a riconoscere: “come sarebbe bello se…, come sarebbe bello aver l’anima netta”.

Questa povertà ci solleciterà a far conto su Dio, attendendo con pazienza che Lui renda netta la nostra anima, facendoci capaci di superare ogni ambiguità, ogni tradimento, tutte le incostanze e infedeltà.

Facendo conto su di Lui, restando con Lui, Pietro, nonostante la sua debolezza e incostanza, è stato condotto alla Pentecoste.

 

Marco: Ma per capire se uno veramente non ce la fa a fare certe scelte…, cioè, per conoscere se stessi, bisogna avere la Sapienza di Dio, no?

Luigi: Innanzitutto uno constata personalmente se ce la fa o no: se impazzisce, non ce la fa…

Sì, abbiamo bisogno della Sapienza, ma Essa viene dalla conoscenza di Dio: è solo dalla conoscenza di Dio che abbiamo la Luce per conoscere noi stessi, non prima. Noi ci conosciamo solo per riflesso, perché siamo mutevoli, continuamente, per cui non possiamo fermarci ad osservarci. Il nostro io si ferma solo se guarda Dio e quindi comincia a conoscersi. Più mi fermo con Dio in preghiera e più aumenta il mio desiderio di dare più tempo alla preghiera, perché più sto con Dio, più raccolgo in Dio, più conosco qualcosa di Dio, e più capisco la validità della preghiera, la validità e l’importanza di raccogliere tutto in Dio e del raccoglimento nostro in Dio. E questa è tutta attrazione di Dio.

Uno non può fare un salto se non è attratto da Dio, se no impazzisce. È Dio che ce lo fa fare il salto. Il problema non sta nel fare i salti nel buio, quando non si vede nulla, ma di approfondire la Parola di Dio. Più meditiamo la Parola di Dio, più cresce in noi la conoscenza di Dio. Più la approfondiamo e più essa ci porta a conoscere Dio, e quindi ad amare Dio. L’amore è una conseguenza della conoscenza, per cui nasce il desiderio di stare con-. Più conosco e più amo. Più amo e più desidero stare con l’essere amato; per cui non facciamo fatica a restare. Infatti non si fa fatica a restare con una persona amata.

L’amore nasce dalla tanta conoscenza; quindi aumenta la conoscenza di Dio, se vuoi crescere nell’amore. Per cui, puoi disporre di mezz’ora al giorno? In quella mezz’ora occupati di Lui e fai pure il resto che devi o vuoi fare. Avresti più tempo ma non ce la fai? Dedica almeno mezz’ora per “Studiare Dio”: Dio lo si conosce attraverso la sua Parola.

Noi, tra persone, ci conosciamo sentendoci parlare, ascoltando ciò che uno dice, osservando ciò che fa, e questo è un segno: più frequentiamo Dio per cercare di capire le sue Parole (non per ricordarle: non si diventa dei registratori!), più lo si conosce. Quindi di fronte ad ogni sua parola, non applichiamola a noi stessi, ma chiediamogli: “cosa mi dici di Te, Signore?”; perché la Parola è capita in Lui quando mi rivela qualcosa di Lui, non di me.

Il lavoro da fare è approfondire tutte le parole del Signore, utilizzando tutti i cinque minuti liberi. In cinque minuti liberi cerchi Dio? Lì si rivela che hai amore per Dio (se li dedichi allo sport riveli che hai amore per lo sport). Questa conoscenza di Dio che hai ricavato dai cinque minuti liberi, ti fa crescere nell’amore, ti aumenta la capacità di stare con Lui, magari per dieci minuti, e poi sempre di più, fino a farti capace di essere netto e di non fare più le scelte secondo il mondo.

Se no Dio ti fa vedere l’ambiguità: “vedi? Ti stai illudendo, stai vivendo per te, perché ti piace, perché ti rende; ecc”. Più conosci Dio, più diventi netto nelle scelte, più sei reso capace di fare delle scelte secondo Dio.

Il “mi piace” non è il fine per cui sei stato creato; se segui il “mi piace”, questo ti impedisce di entrare nella Verità.

Se non ce la fai diversamente e vivi per te, metti però una mezz’ora per Dio, dà un bicchiere d’acqua ad un povero…, ecc. . Non rifiutare  ciò che ti richiede un superamento, perché la tragedia è la chiusura nell’io. Non sai pensare? Non sai fermarti per pensare? Dio ti metterà vicino qualcuno che ti richiede un superamento (sarà un carcerato, un handicappato, un povero, ecc.); questa apertura all’altro, se si verifica in te, inaugurerà la strada che ti condurrà a Dio.

Dio opera continuamente per liberarci dalle prigioni in cui ci chiudiamo pensando a noi. Non dobbiamo fare del nostro io l’elemento motivante la nostra vita, altrimenti ci chiudiamo in un carcere da cui da soli non usciamo più.

 

Teniamo sempre presente la lezione che ci da Pietro: non dobbiamo far conto su noi né su altri, ma su Dio.


Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte». Gv 13 Vs 38


Argomenti: Le esigenze della Verità – Essere conosciuti da Dio – Restare anche nel tradimento – Il tradimento interno e il tradimento esterno – La fragilità umana -


 

19/Settembre /1987


Luigi: Il Cristo, che ci conosce, mette allo scoperto la nostra ambiguità, se noi dialoghiamo con Lui.

 Qui abbiamo in evidenza il divario:

·                    L’illusione di Pietro

·                    e Cristo che sa cosa c’è nel suo cuore.

 

Così è con l’uomo. Cristo sa cosa c’è nel cuore dell’uomo; e quando l’uomo si illude Cristo lo riconduce alla sua dimensione, perché l’uomo è portato a gonfiarsi.

 

Il cammino con Dio è duro e faticoso, non bisogna illudersi. Per questo Gesù ci dice “fate bene i vostri conti a tavolino”. Dio non suona la grancassa per obbligare tutti a seguirlo. Lui non ha bisogno degli uomini, siamo noi che abbiamo bisogno di Lui. E se scende al nostro livello per invitarci a seguirlo, lo fa per evitarci il carcere, l’angoscia, il fallimento. Dio opera per liberarci, perché noi in continuazione ci chiudiamo in carcere e ci leghiamo con catene. Egli è l’Essere ed è Lui che ci fa essere, per cui Lui solo può liberarci e portarci a partecipare del suo Essere, della sua Verità. Ma la Verità ha le sue condizioni, le sue esigenze: richiede questa dedizione totale e unica, questa nettezza.

 

Fa i conti a tavolino e non illuderti, perché scoprirai che stai tradendo Dio nel modo più banale e volgare.

 

È solo guardando a Lui che ci accorgiamo dei nostri tradimenti, e più stiamo con Lui, più meditiamo le sue Parole, più ci accorgiamo che Lui ce li aveva predetti. La sua Parola, illuminandoci sulle esigenze della Verità, vuole riportarci alla nostra dimensione, perché noi non abbiamo a presumere su noi stessi, ma a far conto unicamente su Dio; se no il tradimento è inevitabile.  Anzi, noi tradiamo proprio nel momento in cui facciamo conto su di noi.

 

Tiziana: In queste parole di Gesù mi ritrovo, perché nonostante i buoni propositi tradisco sempre; però esse mi danno tanta gioia, perché Dio mi conosce, sa che sono debole.

Luigi: Noi siamo sempre conosciuti. Perché Dio non vuole che pensiamo a noi stessi?

Perché pensando a noi stessi ci distanziamo da Lui e non ci sentiamo più conosciuti.

La bellezza della vita invece sta proprio nell’essere conosciuti, compresi da Dio; per cui si preferisce essere da Lui bastonati, piuttosto che ignorati, perché quando ci bastona ci sentiamo pensati personalmente.

La tristezza grande è non sentirci pensati. Non è che Dio non ci pensi, perché se non ci pensasse ci annullerebbe, ma è che noi ci sentiamo soli. Come mai? Perché noi, quando pensiamo a noi, siccome diventiamo figli delle nostre opere, portiamo le conseguenze dei prodotti del nostro io. I prodotti del nostro io ci fratturano da Dio e ci impediscono di stare in sintonia con Dio.

Dio ci pensa sempre, ma noi non lo avvertiamo più (la sua stazione trasmittente funziona sempre, ma noi siamo in sintonia con altre lunghezze d’onda), per cui ci sentiamo soli; prendiamo una strada e non ci sentiamo accompagnati.

Quando invece siamo in sintonia con Dio è perché abbiamo superato il nostro io, abbiamo evitato di affermare la nostra volontà (che è solo rifiuto); allora ci sentiamo conosciuti, nonostante le nostre debolezze; ci sentiamo accompagnati, portati su una strada, dove tutto è già predisposto, dove Lui ci prepara gli incontri, ecc.

Quando invece non ci sentiamo conosciuti, questa lontananza è ancora misericordia di Dio per farci capire che stiamo sbagliando: abbiamo messo il nostro io come motivante le nostre scelte, anziché Dio.

Dobbiamo imparare a vivere motivati da Dio, perché siamo chiamati a convivere con la Verità di Dio. Ma si vive con la verità di Dio quando possiamo dire “faccio questo, dico questo, scelgo questo perché Tu vuoi così!”. Siamo allora giustificati dalla Verità di Dio, perché abbiamo in noi stessi la ragione di ciò che facciamo.

Diversamente siamo motivati dal “mi piace” o dal pensiero degli altri; ma gli altri, o il nostro io non sono Dio; per cui in queste cose, motivate da altro da Dio, non ci sentiamo più pensati da Dio, usciamo dall’amore. Non è il nostro peccato, non sono i nostri sbagli o tradimenti che spaventano Dio, perché Dio non ci abbandona mai nel peccato (siamo noi che lo abbandoniamo, Lui no, infatti ci dà sempre la possibilità di pensarlo) ma è il nostro far conto su noi anziché su Lui.

Dio non ci abbandona mai; siamo noi che lasciandoci motivare dall’io, moltiplichiamo i prodotti dell’io, allontanandoci sempre di più da Lui. Ma come ritorniamo a Lui, subito Lui ci fa sentire il suo Pensiero su di noi e sentiamo che Lui ci conosce in tutto. Allora ci sentiamo conosciuti anche nelle parole in cui Cristo ci annuncia il nostro tradimento o ce lo rivela; e non lo vediamo come parola di giudizio o condanna, ma come parole di misericordia che vogliono farci prendere consapevolezza della necessità di far conto su Dio, di riferire tutto a Dio, di raccogliere tutto in Dio.

 

Amalia: Quando sperimentiamo queste parole che Gesù dice a Pietro? Gesù gliele dice quando in realtà il tradimento è già avvenuto in lui, il tradimento esterno che Gesù gli annuncia sarà solo una conseguenza.

Luigi: Certo, il tradimento è già avvenuto nel momento in cui Pietro ha fatto conto su di sé. Il tradimento esterno è una conseguenza. Noi sperimentiamo queste parole di Gesù quando  prendiamo coscienza del nostro tradimento proprio grazie alle parole udite prima da Gesù.

Il tradimento esterno è opera di Dio per farci toccare con mano il tradimento che è già avvenuto in noi. L’incontro con quella servetta è stato predisposto da Dio; così pure che la servetta abbia riconosciuto e provocato Pietro. Pietro è in buona fede, non si rende conto che fa conto sul suo sentimento ma non su Dio. Pietro è sempre così: quando Gesù gli disse “Beato te…” si meritò poco dopo un “va via satana…”; perché? Perché faceva conto su quel “beato” che Gesù gli aveva detto poco prima, arrivando a dire “non sia mai Signore che ti uccidano, io ti difenderò”. Ma Gesù lo rimprovera e lo chiama Satana, perché ragionava secondo gli uomini (non ha detto “ragioni secondo il demonio”) e non secondo Dio, facendogli capire che bisogna ragionare secondo Dio, se no si è dei demoni. Anche qui, nella sua impulsività e facendo conto sul suo sentimento, Pietro gli ha dichiarato che è pronto a dare la vita per Lui; e questo è già tradire Dio. E se non fosse che Gesù glielo dice prima e glielo fa sperimentare poi, Pietro non potrebbe avvertire che il tradimento avviene non facendo conto su Dio. Quindi il tradimento interno, quello reale, avviene sempre prima di quello esterno. Anzi, quello che avviene al di fuori non è più un tradimento, ma misericordia di Dio, per farci toccare con mano il nostro tradimento e farci rinsavire; perché se no noi non ne possiamo prendere coscienza e ci illudiamo di essere giusti.

Il tradimento esterno è necessario perché c’è già il tradimento interiore.

Per ora non mi puoi seguire, mi seguirai più tardi”, quando l’anima sarà matura attraverso la presa di coscienza del proprio tradimento o avrà imparato a far conto unicamente su Dio, morendo totalmente a se stessa, sarà pronta a seguire Gesù.

Il tradimento avviene sempre in noi quando in noi non riportiamo le cose a Dio, quando fermiamo le nostre scelte al pensiero dell’io e non partiamo da Dio. Questo tradimento è un difetto nostro, è un interrompere l’opera di Dio, ma noi da soli non ne prendiamo consapevolezza. Il tradimento fuori avviene per opera di Dio, ed è grazia per guarirci, per dirci “hai fatto un errore dentro di te, non hai tenuto conto di Me nel tuo problema, quindi la soluzione che hai trovato è sbagliata”. Quando in matematica vogliamo risolvere un problema dobbiamo tener presenti tutte le sue componenti, perché se ne trascuriamo una la soluzione è sbagliata, tanto più sbagliata se si trascura il componente essenziale.

Ora, in tutti i nostri problemi, l’elemento fondamentale è sempre Dio, quindi nella soluzione di essi dobbiamo imparare a tener conto di Lui, che è la causa di essi, la causa principale.

Domanda: Quando sentiamo queste parole di Gesù?

Luigi: Gesù le dice ora a noi, personalmente, per avvisarci che se non facciamo conto su di Lui non tardiamo a tradire fuori, perché abbiamo già tradito dentro di noi. Dio ci fa mettere fuori il nostro tradimento, affinché ne prendiamo coscienza e ci ravvediamo. E quando ne prendiamo coscienza? Come ne ha preso coscienza Pietro? Non dopo il primo tradimento, nemmeno dopo il secondo e nemmeno dopo il terzo, ma quando il gallo ha cantato e Gesù lo ha guardato. Pietro non avrebbe capito e preso coscienza di questa lezione del Signore, non avrebbe capito il suo tradimento esterno, se non avesse sentito prima le parole di Gesù (“In verità, in verità ti dico: prima che il gallo canti mi avrai rinnegato tre volte”). Lo sguardo di Gesù gli richiamò queste sue parole e lui ha percepito il suo tradimento, perché il canto del gallo lo aveva dentro in quanto Dio gliene aveva parlato. Così pure noi: noi non percepiremmo le lezioni “fuori” del Signore, se non avessimo sentito prima le parole del Signore.

Se Dio mi dice qualcosa e poi lo riscontro fuori di me, lì capisco che c’è l’intervento di Dio, che è Lui che parla a me e che organizza tutto il mondo attorno a me: è Dio che fa cantare il gallo, è Dio che ha preparato l’incontro con la servetta, ecc.; anche lì ci si sente pensati. Non si può però capire il tradimento “fuori”, non possiamo cioè prendere coscienza del tradimento che portiamo dentro di noi se Dio non ha già parlato prima dentro di noi. Dio parla a noi le cose prima che avvengano affinché quando avverranno sappiamo che è Lui. “Vi dico queste cose prima che avvengano, affinché sappiate, quando avverranno, che Io sono”: lì capiamo che siamo pensati e che Dio opera tutto per ciascuno di noi.

Quando c’è la coincidenza tra la parola che Dio ha messo dentro di me prima e la parola che mi dice fuori (l’azione esterna, l’esteriorizzazione del tradimento e le circostanze) si prende coscienza del tradimento; ed è lì che capiamo la presenza del Signore, il suo intervento personale nella nostra vita.

 

Cina: Per non tradire bisogna avere molta cura delle nostre intenzioni.

Luigi: Fintanto che la nostra intenzione non è unica, Dio, navighiamo in mille intenzioni. Queste molteplici intenzioni devono semplificarsi in una sola. L’amore è una progressiva semplificazione: prima si amano tanti, poi si realizza la vita con uno solo. La vita è imparare a vivere con Uno che è in noi. La vita è amare solo quella Persona: Essa è talmente infinita che è sorgente di vita all’infinito; mentre tutti coloro che amano le creature, fermandosi ad esse, muoiono di noia, che è sorgente di morte. Dio è il rovescio della noia, perché è sorgente di vita infinita, di impegno all’infinito. Non avverranno più tradimenti in noi solo quando il nostro amore per Dio diventerà unico e totale.

 

Ida: È possibile che uno debba passare attraverso l’esperienza del tradimento (ad es. una scelta a favore del denaro) per giungere a Dio? Come può il denaro portarmi a Dio?

Luigi: No, col denaro non si va a Dio. Dio non lo si compra con il denaro. Non bisogna far conto sul denaro, non si possono fare certe scelte di lavoro motivati dal denaro. Se uno non se la sente di fare diversamente, passerà per quest’esperienza che gli farà toccare con mano l’errore della motivazione; e sarà questa esperienza di povertà che, se raccolta nel Pensiero di Dio, lo riporterà a Dio.

Quando uno non capisce la Parola, diventa necessario lo sbaglio per arrivare a capire la Parola che ci dice la Verità. Non che con questo uno debba disprezzare il denaro o non debba più toccarlo. No, il denaro è un bene, è simbolo di beni, è creatura e non c’è nulla di cattivo tra le cose create da Dio. Tutto dipende dal modo con cui le usiamo. Se faccio di un bene di Dio lo scopo della mia vita, sbaglio, anche se si tratta della creatura più santa o di un mezzo santo. Tutti i mezzi di Dio sono buoni e santi, ma se adoperati secondo lo Spirito di Dio; se no diventano un impedimento per giungere a Lui, che è il fine della vita. Per questo Gesù ci dice “Cerca prima di tutto il Regno di Dio e tutto il resto ti sarà dato in sovrappiù”. Dio l’ha detto o non l’ha detto questo? Sì, l’ha detto! Allora bisogna essere onesti: mangia, ma non vivere per mangiare; usa il denaro, ma non vivere per il denaro; lavora, ma non vivere per il lavoro. Non puoi affermare “senza questo o senza quello non posso vivere”, perché è qui che avviene il tradimento. Abbi la preoccupazione principale di cercare prima di tutto Dio e di non sottomettere la tua vita al denaro, se no dovrai asservirti ad esso e a tante cose che ti schiacceranno e avviliranno.

“Non preoccuparti dunque del mangiare e del vestire – ci dice Dio – ti ho creato dal niente e posso ben mantenerti; ma tu occupati di Me, perché sono io la tua vita, e poi vedrai che cosa succede, vedrai che liberazione sperimenterai”.

Il problema non sta nel fare questo o quello, nel non fare questo e non fare quello, ma nel sapere che dobbiamo cercare Dio, se no finiamo di girare attorno a noi stessi, di farci delle regole, di crederci migliori degli altri perché abbiamo fatto certe scelte esterne, ecc.

Incomincia ad occuparti di Dio per mezz’ora al giorno e poi fai il resto che vuoi; ma se sarai fedele a questa ricerca di Dio, poco per volta comincerai a sospirare più tempo per Dio, a poco per volta vedrai come la vita cambia e come tu cominci a navigare nella libertà.

È solo la tanta conoscenza di Dio che ci può liberare. Più conosciamo Dio, più consideriamo tutto come segno e diamo molta più importanza al significato che al segno. Noi siamo schiavi, ci creiamo situazioni senza soluzione di uscita, perché ci fermiamo ai segni. Tutto è buono, ma l’importante è vivere per Dio.

Bisogna arrivare a dire “se non vivo per Dio non posso vivere”. Allora sì, perché Lui è la Vita. Se invece diciamo “se non faccio questo o quello non vivo…, se non mangio questo o quello non vivo…, senza questo o quello non vivo…”, sbagliamo, perché ci creiamo delle catene che poi ci porteranno a sperimentare la morte. Le catene, le nostre schiavitù sono tutte conseguenze del nostro tradimento.

 

Luigi: “Il gallo non canterà prima che tu…”: c’è sempre nella nostra vita un gallo che canta per farci prendere coscienza di un nostro tradimento. È quel qualcosa di personale che ci rivela personalmente ciò che abbiamo fatto; è una circostanza esterna che ci fa capire l’errore che abbiamo fatto lasciandoci, ad es., guidare dall’entusiasmo, dal sentimento, illudendoci in tal modo di essere generosi con Dio; è quel qualcosa che ci rivela ciò che siamo e ci fa dire: “ma è possibile che io sia arrivato a questo punto?”; è quella circostanza o fatto che ci rivela ciò che siamo e il tradimento che portiamo dentro di noi.

Dio ci mette di fronte ad una cosa che ci schiaccia e di fronte alla quale possiamo disperare. Nel pensiero dell’io siamo portati a disperare, come Giuda che è andato ad impiccarsi; ma nel Pensiero di Dio arriviamo invece alle lacrime e ritorniamo a Lui (cf. il pianto di Pietro): se teniamo presente Dio, la coscienza del tradimento ci avvicina di più a Dio.

La gioia di Dio è quella di perdonarci. Dio ci ha creati non per umiliarci, ma per elevarci dal nostro nulla al suo Infinito. Non aspetta il nostro tradimento per dirci “guarda come sei”, ma poiché ci gonfiamo, Egli opera per riportarci alla nostra dimensione; e questo perché ci ama e vuole la nostra vita. Dio ci sgonfia, perché sa che pensiamo a noi stessi moriamo. Dio non ci ha creato per schiacciarci (non ha fatto cantare il gallo per schiacciare o avvilire Pietro, ma per salvare Pietro, per aiutarlo a far conto su Dio), non opera per avvilirci, ma per portarci in alto, per salvarci. La sua è tutta opera di misericordia e di amore. Il nostro io tende a portarci alla disperazione, allo scoraggiamento. Il nostro io è fatto così: prima ci esalta, poi ci schiaccia. Invece il Pensiero di Dio è sempre perdono. Se possiamo pensare a Dio è segno che siamo già perdonati.

È gioia per Dio il perdono: “Si fa più festa in Cielo per un peccatore pentito che per 99 giusti…”. Noi siamo amati da Dio e dobbiamo esserne convinti. L’amore di Dio comprende e perdona, non condanna. “Nessuno ti ha condannata? Va, nemmeno io ti condanno”, dice Gesù all’adultera. Dio ci ama, Dio tende a liberarci, gli uomini no, fanno al rovescio.

 

Il gallo quindi è quel segno esterno che ci fa rinsavire, perché ci fa accorgere del tradimento che porto dentro di me.

Il canto del gallo lo portiamo dentro di noi nella misura in cui custodiamo quella parola che ci farà ravvedere; questa parola coincide con il canto del gallo.