Figlioli,
ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai
Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire. Gv 13 Vs 33
Argomenti: Pensiero/mondo esterno/Dio
– Il passaggio della morte – Le presenze fisiche – L’iniziativa di Dio – Finito
e infinito – La parola ci fa superare l’io – La grazia della Parola – Capire la
morte di Cristo -
22/ Agosto /1987
Luigi: “Figliolini miei”: è un’espressione di amore. Infatti l’evangelista dice
“…avendo amato i suoi, li amò fino alla
fine”. Gesù li sta lasciando; quando uno muore
ed ama arriva a questa tenerezza. E quanto amore c’è in Cristo per
arrivare a queste espressioni di tenerezza! Noi non ci rendiamo conto, ma siamo molto amati da Dio.
“È per poco che Io sono ancora con voi”: questo lo dice sempre a tutti, ad
ogni età, perché il tempo è breve (“mille anni sono come il giorno di ieri che
passò”): è un invito ad affrettarci: “Se
tu oggi odi la sua Parola, se a te giunge oggi la sua Parola, affrettati ad
entrare nella sua Pace, cioè nella Vita Eterna, nella sua conoscenza”, ogni
parola di Dio che giunge a noi è uno scalino che ci fa avanzare in questa
conoscenza, perché Dio parla ed opera in tutto per portarci a questa
conoscenza: affrettatevi!
“Ancora per poco”: quel “poco” indica che lo spazio di tempo è breve, solo
per poco la Luce è con noi; al v. 35 del capitolo 12 aveva detto “La Luce è
vicina a voi ancora per un po’ di tempo. Camminate mentre avete la Luce,
affinché le tenebre non vi sorprendano”. Il rischio è quello di farsi
sorprendere dalla marea di tenebre che sta salendo.
Ogni parola inutile che diciamo ci tira giù, perché diventiamo figli delle
nostre opere. “Solo per poco la Luce è con voi: camminate
fintanto che avete la Luce, fintanto che Io sono ancora con voi, perché correte
il rischio di essere sorpresi dalle tenebre o di trovarvi davanti ad una porta
chiusa, come le vergini stolte”. Possiamo entrare solo con Lui, in caso
contrario invano busseremo alla sua porta, perché quella porta si apre soltanto
dal di dentro.
“Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”, cioè senza il
Pensiero del Padre, che è il Figlio non si può giungere al Padre. Deve sempre
essere il Cristo a portarci al Padre; non illudiamoci di poter andare da soli.
È Lui che ci consegna al Padre, se lo seguiamo; non è mai per iniziativa
nostra. Perché? Perché “Dove Io sono voi non potete venire”: “mi cercherete
quando non ci sarò più, ma non mi troverete”. “Affrettatevi a camminare con Me,
ora, in questa poco tempo in cui sono ancora con voi”. I nostri passi devono
sempre essere fatti come conseguenza di una sollecitazione del Figlio di Dio,
il quale ci guida passo passo, come uno che guida una scalata “metti un passo qui,
adesso là…”.
Se noi facciamo i nostri passi senza aver visto i suoi passi non possiamo
entrare. Egli ci insegna a camminare verso il Padre: si incarna, si immedesima
nella nostra situazione per agganciarci a sé e per insegnarci a uscirne.
La sua parola è la strada su cui io devo camminare, su cui posso camminare
se nel Pensiero di Dio la approfondisco. Per questo dobbiamo mangiare, assimilare le sue Parole; esse sono un
sentiero per i nostri passi, un sentiero che collega il punto, la situazione
nella quale ci troviamo con la meta, il Padre.
Si camminiamo su questo sentiero man mano che assimiliamo le sue parole,
una dopo l’altra; così Egli ci conduce al Padre, senza che ce ne accorgiamo.
“Chi ha visto Me ha visto il Padre… Tanto tempo sono con voi e non mi
conoscete?”, la conoscenza, la
comunione e quindi la vita viene dall’assimilazione.
Io vivo la Parola nella misura in cui assimilo la Parola. La vita è
comunione e la comunione deriva dall’assimilazione. “Io sono la strada”, dice
Gesù, perché le sue parole sono strada per i nostri passi. Senza di Lui non
possiamo giungere al Padre. L’iniziatore è Lui che parla, quindi se
aderisco è grazia sua, se cammino è per grazia sua e se giungo al Padre è per
grazia sua. Però posso non aderire, posso avere orecchi per altro e quindi non
assimilare le sue parole. Posso leggerle e non approfondirle, interpretarle in
senso orizzontale, nel pensiero dell’io, allora né cammino e né giungo al
Padre; ma la colpa è mia.
Oppure, posso essere terreno profondo che accoglie e custodisce e
approfondisce col Pensiero di Dio (“che cosa hai voluto dirmi con queste
parole, mio Signore?”) ogni parla che mi giunge, fino a portarla a maturazione,
al frutto, che è la conoscenza di Dio. Se faccio così con ogni parola di Cristo
arrivo alla meta.
Cristo mi parla come nessun uomo mi parla: le sue parole mi sorprendono,
perché arrivano nella mia situazione, però non mi confermano, anzi mi dicono cose che sono in contrasto con le esigenze del mio io
(cfr.: “Dì a mio fratello che divida con me l’eredità”, Gesù risponde
“Guardatevi da ogni avarizia…, la vita non viene dai beni che si posseggono”).
Egli parla in modo diverso da come parlano gli uomini, e questo ci costringe a
pensare, a superarci, ci mette in crisi: credevo di essere nella giustizia,
nella vita, ma Lui mi dice che la vera giustizia è un’altra, che la vita non è
lì, ma là, ecc. Egli viene a me, mi raggiunge nella mia situazione, in ogni
fatto, in ogni cosa, in ogni segno è il
Verbo di Dio che viene a me, per invitarmi a guardare dove Lui è, ma non resta
con me.
In Cristo si illumina il senso di ogni cosa, di ogni fatto, di ogni segno.
Cristo viene a me, ma se ne va, ritorna al Padre, non sta con me, e se non mi
affretto ad andare con Lui, quando Lui viene a me e poi se ne va, io rimango
solo con il ricordo della parola che mi ha detto; e ormai io non posso più
andare dove lui è andato (“Dove Io sono, voi da soli non potete venire”),
perché la grazia per andarvi, la forza è Lui che parla a me. Ma se io
non mi muovo quando Lui è con me, nel momento che è disceso a me, invano
cercherò di andarvi, anzi sarò giudicato dalla parola che mi ha detto perché
non l’ho ascoltata.
Bisogna seguirlo quando Lui è con noi (“ancora per poco resto con voi”); se
lo seguiamo in tutte le sue Parole, allora Lui ci conduce sulla “soglia”,
davanti alla quale ci lascia, affidandoci al Padre: lo ritroveremo come Verbo
interiore, dopo la conoscenza del Padre.
Già c’è in noi il Verbo interiore, ma non lo conosciamo, anche se è Lui che
ci guida. Nel Padre lo conosceremo. Cristo parla in modo da prepararci ad
accogliere il Padre dopo che Egli stesso ci avrà lasciato. Parla del Padre
in termini tali da preparare la nostra anima al momento in cui Lui dirà: “Ora
me ne vado”, e dirà al Padre “Ora, o Padre, custodiscili Tu”.
Quando Gesù dice queste parole gli animi degli apostoli sono preparati a
tal punto che Lui può andarsene. E invita il Padre a custodirli affinché essi
sappiamo che devono affidarsi al Padre, perché ormai sono affidati da Lui al
Padre: “vi ho affidati al Padre, ora Io me ne vado, ma continuate a guardare
quello di cui sempre vi ho parlato: il Padre, al quale vi ho affidati”. Se
l’anima ha seguito Gesù assimilando tutte le sue parole è in grado di guardare
il Padre, è in grado di attendere dal Padre quella rivelazione e quel dono di
Sé promesso da Cristo, è in grado di affidarsi unicamente al Padre nel
silenzio totale di ogni altra voce in sé e fuori di sé, cioè è in grado di far
conto ormai solo sul Padre. Tutte le sue parole ci purificano da ogni altro
interesse, ci portano cioè alla convinzione interiore di voler far conto
unicamente su Dio, a questa unicità e totalità di desiderio e di amore; ci
rendono cioè capaci di affidarsi al Padre.
Bisogna quindi affrettarci a cercare il Signore, a glorificare Dio, a
cercare il suo Pensiero in tutto, a vivere secondo il suo Pensiero. Se noi lo
glorifichiamo Egli ci glorificherà, si manifesterà a noi. Ma bisogna
glorificarlo, cercarlo, quando Cristo è con noi, perché senza di Lui “dove Io
sono voi non potete venire; mi cercherete ma non mi troverete”.
Domanda: Ma il vivere secondo il Pensiero di Dio presuppone già la conoscenza di
questo Pensiero di Dio?
Luigi: Il Verbo interiore, il Pensiero di Dio è già in noi, ma noi non ne siamo
coscienti. È Lui che inizia il dialogo con noi, è Lui che per primo si dona, se no noi non potremmo
desiderarlo. Se hai il desiderio di conoscere Dio è perché Dio per primo si è
donato a te. Noi siamo sempre in situazione di risposta a Dio, più o meno
difettosa. Più rispondiamo alle iniziative di Dio, alle parole di Dio che
giungono a noi, e più cresce in noi la conoscenza, o meglio la capacità di
ricevere il grande dono della rivelazione del Padre. Quindi c’è già una
conoscenza in noi, perché Dio per primo rivela qualcosa di Sé, se no l’uomo da
solo non potrebbe muoversi a cercarLo. Però tra questa conoscenza iniziale e la
conoscenza personale di Dio, che è Vita Eterna, c’è una differenza enorme: c’è
l’abisso. La conoscenza iniziale è una conoscenza in cui non sappiamo restare,
in quanto siamo dominati dagli avvenimenti. La difficoltà nostra è proprio
questo restare: “sarete veri miei discepoli se resterete nel mio amore”. Per
restare nella conoscenza di Dio bisogna imparare a generare il verbo di Dio. Lo
sforzo nostro deve essere quello di assimilare la Parola di Dio tenendo
presente Lui, il Pensiero di Dio; assimilarla senza separarci da Lui,
perché non basta che udiamo la sua Parola, ci vuole Lui, la sua Presenza, il
suo Pensiero. Dobbiamo sforzarci di vivere secondo il Pensiero di Dio, e
questo è possibile nella misura in cui ci sforziamo di assimilare con il
Pensiero di Dio la parola che giunge a noi. Infatti vivere secondo il
Pensiero di Dio vuol dire assimilare nel Pensiero di Dio la parola che giunge a
noi. Assimilando si entra in comunione, quindi nella vita. Vivo secondo il
Pensiero di Dio nella misura in cui assimilo la Parola che mi fa giungere,
cercando di capire ciò che mi dice, il segno che mi manda.
La parola, il segno è ambiguo, perché può avere il volto della creatura e
il Volto di Dio. Noi generalmente ci fermiamo all’aspetto che passa, perché lì
troviamo il volto nostro, e quindi non cerchiamo l’aspetto eterno, il Pensiero
di Dio. Invece in ogni cosa, avvenimento, creatura, ecc., dobbiamo preoccuparci
di cercare il volto Eterno, l’aspetto Eterno, superando l’aspetto transitorio
dove c’è il nostro io.
Dobbiamo sforzarci di entrare nelle cose eterne, di cogliere l’aspetto
eterno di ogni cosa. Così si vive secondo il Pensiero di Dio. Si vive
assimilando in Dio.
Non preoccuparti perciò di conoscere le cose che passano, ma preoccupati di
conoscere quelle che non passano, cioè l’aspetto eterno di ciò che passa. “Se
siete risorti con Cristo non cercate più le cose di quaggiù, ma le cose di
lassù, dove Cristo è seduto alla destra del Padre”. Quindi in ogni cosa e
avvenimento dobbiamo chiederci: “quale lezione di Vita Eterna mi da Dio? Che
cosa mi insegna di Sé?”. In tal modo assimiliamo e più assimiliamo e più
entriamo in comunione e quindi nella vita, perché la vita è comunione,
partecipazione, perché da sola la creatura non vive. La creatura vive
per partecipazione, vive nella misura in cui entra in comunione, nella misura
in cui partecipa della vita, del Pensiero dell’Altro, perché da sola muore.
Si vive la Parola nella misura in cui si assimila la Parola; questo è il
vero “fare”, la vera “vita”, la volontà di Dio su di noi, perché Dio vuole che
noi viviamo.
Si assimila la parola innanzitutto accogliendo la parola, il segno,
l’avvenimento. Senza accettazione non si può assimilare il segno e giungere
all’aspetto eterno. Nell’accettazione c’è il superamento dell’io, il
superamento dell’aspetto transitorio, relativo all’io che il segno porta con
sé. È attraverso questo superamento dell’io che siamo condotti dal Pensiero di
Dio alla Luce, all’aspetto eterno delle cose. Nel riconoscere che tutto è fatto
da Dio sta la grandezza della creatura, ed è la condizione per accogliere tutto
e cercare in tutto l’aspetto eterno.
“È per poco che Io resto ancora con voi”: qui Gesù intensifica il
rapporto perché sta partendo. È una sollecitazione a fare in fretta, perché
sta partendo “fai in fretta perché solo per poco sono ancora con te”. È una
sollecitazione a cercare il Pensiero di Dio presso il Padre nel momento in cui
esso si presenta a me ancora come segno. Altrimenti si perde il segno e il
Pensiero.
Quando i segni non ci dicono più niente è difetto nostro, perché non
abbiamo colto in essi il Pensiero di Dio: ci siamo fermati all’aspetto
transitorio, relativo, che ormai non può dirci più nulla. Certo, il segno
come segno si esaurisce per tutti, anche per coloro che si sono sforzati di
cogliere l’aspetto eterno, ma costoro quando i segni hanno esaurito ciò che
dovevano dire, non si trovano davanti al niente, ma davanti al Padre.
Sono due modi diversi di trovarsi davanti ai segni che passano:
·
possono arrivare e non
dirci più niente perché siamo morti: non li abbiamo raccolti in Dio e allora
siamo davanti al niente.
·
possono arrivare e non
dirci più niente perché siamo vivi: i segni come segni sono passati, ma ci
resta il significato di essi, perché li abbiamo raccolti in Dio; raccogliendoli
nel Padre si è carichi di vita, perché si è carichi di significato,
dell’essenziale.
La tragedia è quando non c’è più l’essenziale, perché non lo si è colto
quando il segno era giunto a noi; allora tutto si svuota, i segni, le cose non
ci dicono più nulla, si vive solo più di ricordi: è l’angoscia esistenziale.
Domanda: Dobbiamo far conto su Dio perché ci sarà più facile affrettarci a
raccogliere i segni in Dio?
Luigi: Lo sforzo più difficile da parte nostra, la difficoltà più grossa che
abbiamo è proprio questo far conto su Dio solo, perché facciamo sempre
conto su di noi e sui nostri sforzi. Lo sforzo più difficile ed essenziale per
noi è imparare a far conto solo su Dio, imparare ad affidarci a Dio. Sembra
facile, ma non lo è, perché affidarci a Dio vuol dire accogliere quanto Lui ci
dice: “Pensa a Me, Io penso a te, a tutto”. Noi ci crediamo? Abbiamo paura, e
arriviamo a dire “se non penso a me, chi ci pensa?”.
“Non preoccuparti del mangiare, del vestire, ecc., cerca prima di tutto il
Regno di Dio; tutto il resto ti sarà
dato in sovrappiù”: è Parola di Dio! Eppure, quanta difficoltà ad affidarci a
questa parola! Ed è basilare, non solo perché ci metterebbe nella condizione di
essere disponibili totalmente ad occuparci di Dio, a raccogliere tutto in Dio,
ma anche perché non si entra nel Regno di Dio se non si fa conto su Dio in
tutto: “Dove Io sono voi non potete venire, da soli”. È una nascita nuova, la
quale avviene solo in quanto si arriva a far conto in tutto su Dio. Noi
invece nasciamo dalla nostra famiglia, dalle nostre istituzioni, dal posto di
lavoro, ecc., perché facciamo conto su queste cose. “Nascere da-” vuol dire far conto su-. Dio parlando a me,
mi invita a far conto solo su Dio. I figli di Dio si caratterizzano in questo:
in tutto fanno conto solo su Dio, e questi non muoiono. È lo sforzo più faticoso,
è quel “sforzatevi di entrare per la porta stretta”, sforzatevi di far conto su
Dio in tutto, perché tutto è opera di Dio. Se non impariamo a far conto su Dio,
ci costruiamo catene a non finire.
Quindi: “ancora per poco…”, è un invito ad affrettarci a imparare a far conto
su Dio, a nascere da Dio, a essere fatti da Dio, finché Lui è ancora con noi.
Solo quando, condotti da Cristo, abbiamo imparato a far conto in tutto su Dio,
ci troviamo davanti a quella soglia in attesa di ricevere la rivelazione dal
Padre.
“Voi mi cercherete ma…”: si riferisce a quando se ne sarà andato. Invano lo
cercheremo quando Lui se ne sarà andato via. Invano busseremo alla porta:
“Signore, aprici!”. Dobbiamo cercarlo ora, in questo breve tempo che Lui è
ancora con noi. Se l’abbiamo cercato ora, allora lo ritroveremo. Ma Egli ci
avvisa del rischio di trovarci davanti ad una porta chiusa, se non lo cerchiamo
con tutto il nostro essere, quando Lui giunge a noi, quando Lui è con noi.
“…ma dove Io vado voi non potete venire”: “come ho detto ai Giudei, così
dico anche a voi”, cioè, questo vale per tutti, per ciascuno, giusto o
peccatore, Giudeo o discepolo: nessuno, da solo, può entrare nel Regno del
Padre. Lo dice anche ai suoi discepoli. Questo lo dice per salvarci, per farci
entrare, non per escluderci.
“Voi non potete venire”: Gesù non mi dice questo per farmi star fuori, ma
per farmi entrare, per sollecitarmi a cercarlo mentre Lui è con me. Infatti
dice “È per poco tempo ancora che sto con voi”, quindi affrettatevi. Ce lo dice
per affrettarci perché Lui non resta, ed è solo con Lui che si entra. Egli
quindi non vuole escluderci, ma vuole mettere bene in evidenza che è solo con
Lui che si entra.
Mi insegna la via per andare là dove Lui è; quindi non me lo dice per farmi
star fuori, ma per invitarci a stare attenti ad essere sempre in collegamento
con Lui, perché “nessuno può venire al
Padre se non per mezzo di Me”. È solo camminando con Lui che noi entriamo nel
regno di Dio. Egli vuole farci capire che non basta deciderci di cercarlo per
trovarlo, “arriverà il giorno in cui mi cercherai, non fosse altro perché
sospinto dalle tue amarezze per cercare consolazione”. Solo se si è condotti
dal Figlio si entra, con la sua Parola. È solo facendo conto su di Lui che si
entra, in quanto non si vuole altro che Lui, si è motivati da Lui solo.
“Come ho detto ai Giudei, così ora lo dico a voi”: agli apostoli lo dice
solo ora, perché adesso Lui sta per andarsene e non sarà più con loro. Ai
Giudei l’ha detto prima perché non erano sempre con Lui. Lo dice a tutti: “mi
cercherete, ma non mi troverete”. Lo si può cercare come le vergini stolte che
sono rimaste escluse. Lo dice affinché a noi non accada lo stesso. Solo con Lui
possiamo entrare dove Lui entra. Non possiamo quindi che far conto su di Lui.
Per questo dobbiamo imparare a camminare con Lui.
Noi possiamo glorificare il Padre (e quindi essere glorificati, cioè
giungere alla conoscenza del Padre) ad una sola condizione: seguendo il Figlio,
“nessuno va al Padre senza di Me”, “Io sono la Vita voi i tralci”. La
condizione è chiara: arriviamo nella misura in cui camminiamo con Lui. Perché
dove Lui è noi non possiamo andare. Lo dice a tutti perché può accadere che uno
lo cerchi stoltamente, ma lo dice perché non accada, affinché io mi convinca
che debbo cercarlo quando e come vuole Lui. I tempi sono di Dio, non debbo
rimandare. Io non posso dirgli: “aspetta, verrò dopo… quando sarò in pensione”.
La condizione essenziale per trovarlo è questa: dobbiamo essere
completamente disponibili per il nostro Signore, perché è il Signore, non il
servo.
Quando Lui sarà morto, ognuno lo ritroverà risorto nella misura in cui avrà
creduto in Lui. Infatti Gesù risorto si manifesta con volti e aspetti diversi,
e questo ci fa capire che ognuno di noi lo vedrà nella misura e nel modo con
cui avrà creduto in Lui; a seconda, quando si è presentato a me, di come sono
stato disponibile. Credere in Lui vuol dire essere disponibile per Lui. Ognuno
vedrà nella misura in cui si sarà impegnato con la Parola. Ma prima è
necessario morire a noi stessi davanti alla morte di Cristo. I discepoli
di Emmaus erano delusi, quindi hanno creduto solo fino ad un certo punto, però
lo conobbero allo spezzar del pane: ecco il punto in cui lo ritrovano e lo
riconoscono. Anche dopo la morte di Cristo i discepoli ragionavano ancora
umanamente, perché non erano ancora giunti a Pentecoste. A Pentecoste però
trionfano sul mondo e sui ragionamenti umani, perché vivono nel regno di Dio.
È necessario prima di tutto un processo di purificazione, perché la morte del
Signore è stata la loro morte. La morte del loro Maestro è stata il crogiuolo
di purificazione per morire a se stessi. Tommaso, non è morto a se stesso con
la morte del Cristo, se no non avrebbe detto quelle parole superbe che ha detto
ai discepoli dopo la visita di Gesù risorto; per questo Gesù lo ha fatto
aspettare otto giorni. Nell’attesa quelle parole lo hanno tormentato, poiché
diventiamo figli delle nostre opere e quindi delle nostre parole: pagheremo
tutto, fino all’ultimo spicciolo. In quel silenzio durato otto giorni Tommaso è
morto a se stesso e vede anche Lui Cristo risorto.
L’importante è rimanere con Gesù nonostante le nostre colpe e far conto
sulla sua misericordia, sul suo amore e non sulle nostre virtù, sui nostri
meriti, ecc.; così come ha fatto Pietro, la prostituta, ecc., perché Dio non ha
paura delle nostre colpe, del nostro marcio, perché Egli è Medico; quindi se
sono malato non debbo aver paura, perché Egli viene per i malati: il medico non
si stupisce delle malattie.
Pietro ha avuto fiducia nel perdono del suo Signore, nonostante la sua
presunzione, nonostante tutto. La lezione sostanziale di Pietro sta qui: è
rimasto col Signore nonostante tutto e il Signore l’ha condotto alla
Pentecoste. In sostanza non dobbiamo far conto sulle nostre virtù, sui nostri
mezzi, ma sulla misericordia e bontà di Dio. Si entra solo così, perché “dove
io sono voi non potete venire”. Solo col Pensiero di Dio, solo con Cristo
captiamo il significato di tutto, giungendo al Padre. Tutte le opere di Dio,
essendo segni, sono ambigue; Dio invece ha un volto solo e ci illumina il vero
volto delle sue opere. Senza di Lui niente ci può illuminare. Guarda quindi
sempre a Lui, all’essenziale, perché lì sta tutta la tua vita, la luce,
l’amore, ecc. Anche queste parole di Gesù: “Mi cercherete, ma dove Io sono voi
non potete venire”, le dice per invitarci a camminare con Lui che è la nostra
luce, non per escluderci.
“Dio vuole che tutti si salvino”. Cristo essendo la Volontà di Dio, tutto
ciò che dice lo dice secondo questa Volontà di Dio, con questo scopo di
salvezza, perché la Volontà di Dio è che tutti si salvino. Dice queste
parole per farci entrare, per evitarci di trovarci davanti ad una porta chiusa,
per insegnarci a far conto solo su Dio e non più su di noi.
(23.08.1980)
“Figliolini miei, è per poco che
io resto ancora con voi. Voi mi cercherete, ma come ho detto ai Giudei, dove io
vado, voi non potete venire, lo dico adesso anche a voi”: questo lo disse prima
ai Giudei che già erano con Lui; ora lo dice ai discepoli perché fra poco non
sarà più con loro (“è per poco che Io resto ancora con voi”). Ma quanto dice
vale per tutti, buoni e cattivi, perché tutti devono esperimentare
l’impossibilità di arrivare da soli a conoscere Dio, a giungere dove Lui è.
Anche in queste parole Gesù parla per noi. Gesù parola sempre per noi, sia
quando ci rivela ciò che Lui è (per rivelarci la meta alla quale siamo
chiamati, fino a fare una sola cosa con Lui; “il Figlio dell’uomo è stato
glorificato”), sia quando ci mostra ciò che fa e ciò che avviene in Lui (per
insegnarci come si arriva a fare una cosa sola con Lui, come si diventa figli,
“se Dio è stato glorificato in Lui”), sia nelle tentazioni, nella sofferenza,
ecc. . Egli si incarna, entra nelle
nostre situazioni per farci vedere come se ne esce.
Domanda: questo risulta facilmente comprensibile nei versetti precedenti, i quali
applicati a noi ci rivelano che anche noi siamo chiamati alla glorificazione e
ci insegnano quale è la condizione per giungervi. Ma in questo versetto le
parole di Gesù si possono riferire solo a Dio (“mi cercherete e non mi
troverete”) e non a noi.
Luigi: Gesù sempre parla per noi, perché l’Incarnazione è per noi. Anche queste
parole le dice per noi, per insegnarci che da soli non arriviamo a conoscere
Dio, così come quando dice: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio… Nessuno
ha mai visto Dio…”. Tutti, Giudei e Apostoli, devono esperimentare che non
possono giungere da soli dove Lui è: “Dove Io sono voi non potete venire”.
Tutti, buoni e cattivi, devono esperimentare questa prova dell’impossibilità di
conoscere da soli Dio, per cui, anche coloro che hanno seguito il Cristo per
essere condotti da Lui a questa conoscenza del Padre, debbono passare
attraverso la prova dell’attesa, del silenzio totale di tutto (cf. i dieci
giorni prima della Pentecoste, la mezz’ora di silenzio di tutto l’universo).
È necessaria questa prova per esperimentare che i doni di Dio sono
gratuiti. Noi dobbiamo essere disposti ad aspettare, fedeli, per tutto il
tempo che Dio vorrà, perché noi non possiamo pretendere niente. I doni sono
di Dio e sono gratuiti; non possiamo pretenderli, perché ci sottrarremmo
all’amore. Se noi vogliamo restare nell’amore, dobbiamo ricevere il dono
dell’altro, quindi dobbiamo avere la pazienza dell’attesa senza pretendere
nulla, perché l’Altro non è tenuto a darci i suoi doni e può farci aspettare
tutto il tempo che vuole: è Lui che sa il tempo in cui può rivelarsi a noi (non
lo possiamo determinare noi).
Il Regno di Dio è un regno d’Amore e quindi è un regno dove si rispetta
sempre la libertà dell’altro, è un regno dove non ci possono essere mai pretese. Ogni creatura quindi deve esperimentare innanzitutto che lei, da sola non
può far niente, e poi che i doni sono di Dio e sono liberi e gratuiti.
Qualunque anima, per quanto sia preparata, deve esperimentare che il dono è
gratuito da parte di Dio, deve cioè esperimentare il tempo dell’attesa.
Inoltre la scoperta del Tutto di Dio necessita, da parte della creatura, la
verifica del niente suo. All’anima che ha seguito Cristo fino alla fine, Dio
fa esperimentare l’attesa, perché quando Egli le si rivelerà, essa possa dire:
“È proprio dono tuo, Signore, non sono io che ho scoperto la tua Presenza,
ma sei Tu che mi hai fatto il dono della tua Presenza”. Se l’anima non è
convinta di questo non può entrare nel regno dell’Amore. Se l’anima crede di
poter fare qualche cosa, di avere dei diritti, l’amore sfuma. Quando uno
pretende, non può più scoprire i doni dell’amore, perché pretendere ciò che si
desidera è escludersi dall’amore. La maturità dell’amore è data dall’essere
con: per questo ogni creatura deve sperimentare, nel tempo dell’attesa, che da
sola non può fare nulla, e deve essere disposta ad attendere senza pretese
dieci giorni, come cinque o anche dieci anni. “Rimanete in Gerusalemme fintanto
che non sarete investiti del dono dall’Alto”, si tratta di un dono che si
riceve, ed è un dono gratuito, per questo tutti devono sperimentare l’attesa
per convincersi.
Gesù dice le cose prima che avvengano, così quando avvengono non
disperiamo, perché sappiamo che è Lui. Con queste parole già ci preannuncia la
necessità dell’attesa. Se una persona che desidero vedere mi fa sapere prima
che non verrà fino al tal giorno della settimana, io rimango tranquillo, perché
so che viene, anche se tarda mi ha avvisato. Così Gesù ci avvisa: se crediamo,
rimaniamo tranquilli; se non crediamo possiamo disperare. Se uno crede e viene
a trovarsi in questa esperienza di impossibilità e di attesa, non teme: le cose
erano programmate. Gesù parla prima che avvenga questo momento, perché se
crediamo sappiamo che anche il tempo del silenzio di Dio è suo. Infatti noi
possiamo stare nel silenzio di Dio con l’angoscia (se non abbiamo creduto) o nella
fiducia (se abbiamo creduto).
Gesù dice “Vi dico queste cose prima che avvengano, affinché quando
avverranno sappiate che sono Io”. Se credo, quando giunge questo momento,
capisco che è opera sua, e allora rimango tranquillo perché fa parte di un suo disegno:
è necessario infatti sperimentare il silenzio di tutto. Tutto di noi deve
tacere per arrivare su quella soglia in cui si scopre il tutto di Dio. Cioè è
necessario constatare il nulla nostro per scoprire il Tutto suo. Fintanto che
crediamo di avere diritto a qualcosa, siamo nell’impossibilità di conoscere
Dio. Per questo Gesù dice “Chi si innalza sarà abbassato”. Dio ci ha creati per
innalzarci, non per abbassarci, però è necessario che Egli ci abbassi quando
usciamo dalla nostra dimensione, appunto per poterci innalzare alla sua
conoscenza. Quindi è necessario che la creatura sappia ed esperimenti,
“dove Io sono voi non potete venire”: questo Gesù lo dice non per escluderci,
ma per farci entrare. Ci dice “Non far conto su di te, ma su di Me”, ed è la
condizione per arrivare dove vogliamo.
Dicendoci “voi da soli non potete venire dove Io sono; dunque restate con
Me se volete giungere dove Io sono, perché sono Io la strada”, è come se
dicesse a uno che vuole andare a Cuneo “se prendi la strada di Torino, non
arriverai mai a Cuneo”.
Ce lo dice per farci entrare, per dirci qual è la volontà del Padre, e la
volontà del Padre è che tutti si salvino. Quindi tutto quello che dice Gesù, lo
dice per salvare. Anche se ci dicesse “disgraziato”, ce lo direbbe ancora per
salvarci. Se non guardiamo le cose e gli avvenimenti in questa luce capiamo
niente di tutto ciò che dice il Cristo. Tutto il parlare di Dio è sempre
orientato a salvare la creatura, quindi ogni parola sua va intelletta nella
finalità, “Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la
Verità". Egli opera personalmente tutto quello che può per salvarci, fino
a donare se stesso. Non opera niente per rovinarci. Quindi chi si danna non
si danna certamente per volontà di Dio. Con queste parole Gesù ci dice due cose:
1.
La condizione per
evitare di trovarci davanti ad una porta chiusa è che stiamo con Lui.
2.
Dobbiamo passare tutti
attraverso la prova del silenzio di Dio, il tempo dell’attesa, perché Dio è
libero nei suoi doni e noi dobbiamo convincerci che tutto va attribuito a Lui.
Questo silenzio, siccome è programmato da
Lui, è ancora essere con Lui. È come se Lui ci dicesse “resta con me in quel
silenzio”: è un passaggio necessario, voluto da Lui. In tal modo resto nella
sua volontà.
Vi dò un comandamento
nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche
voi gli uni gli altri. Gv 13 Vs 34
Argomenti: La possibilità di
amare – Vedere il come – Amare il prossimo – Conoscere è essere - L’abbondanza di vita – Rinnegare se stessi
– Amare il nemico -
29/ Agosto /1987
Domanda:
Come possiamo amare veramente e quindi testimoniare, far capire ad una persona
lebbrosa l’amore del Padre?
Luigi: È
la persona lebbrosa che sollecita in noi l’amore per il Padre. Infatti Dio ce
la presenta per aprire il nostro cuore all’amore del Padre. Noi la amiamo
proprio ricevendola dal Padre, accogliendola come un invito ad amare Dio.
Più tu ami Dio, più accogli le creature, più ami le creature. Infatti l’amore è
desiderio di conoscere il Padre in risposta all’amore del Padre per noi, che
vuole che lo conosciamo. Quindi agli altri va portato l’amore del Padre per
ognuno di noi. “Vi do un comandamento
nuovo”, ciò che forma la novità è il “…come
Io vi ho amati”. È il “come” che
forma la novità, perché l’amore è una regola antica; infatti già nell’Antico
testamento abbiamo “Ama il prossimo tuo
come te stesso”. Il primo comandamento è “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente,
con tutte le tue forze” e il secondo
è simile al primo: “ama il prossimo tuo
come te stesso”. Qui invece abbiamo il “…come
Io vi ho amati”, non più “come te
stesso”.
È
questo “come” nuovo che ci impegna a
scoprire come Cristo ha amato e ama noi. E non è
facile scoprirlo, perché ad es. Cristo ci ha amato anche usando la sferza nel
Tempio.
La
novità non è una regola, un comando, ma un dono, una grazia: quella di amarci
come Lui ha amato noi. Sostanzialmente dice: “vi do un regalo nuovo: quello di amarvi
come Io ho amato voi”. È una grazia, un amore che parte dal di dentro, non
dal di fuori, da un precetto. È la grazia dell’amore del Padre che sovrabbonda
verso la creatura. Non è un amore che scaturisce da un precetto, da un comando,
perché il precetto è antico. Si tratta di una novità. È un dono speciale, il
dono del “come Lui ha amato noi”. L’amore
per il Padre che Lui ha avuto e che l’ha portato ad amare noi, dà a noi la possibilità di amare la creatura come
Lui la ama; perché infatti senza questo Amore noi amiamo le creature nel
pensiero dell’io, e qui il nostro è un amore possessivo.
L’amore
di Dio vuole il vero bene dell’altro. Le creature gemono perché non toccano
niente di Dio. Il vero bene della creatura è Dio: questo è il vero
bisogno della creatura. Chi ama veramente scopre il vero bisogno dell’altro; se
ha bisogno del pane, non gli dà uno scorpione.
Se
alla creatura che ha bisogno di Dio gli si da altro, ciò che le si da aumenta
la sua sofferenza. L’umanità è in una sofferenza crescente,
perché non si dà agli uomini il vero bene, perché non si cerca, non si ama Dio
prima di tutto. Chi ama veramente Dio, ama veramente l’uomo perché scopre qual
è il vero bene dell’altro. Agli altri noi siamo chiamati a dare l’amore del
Padre e del Figlio per noi.
Le
creature soffrono perché non toccano, non vedono l’amore di Dio per gli uomini.
Il vedere questo bisogno e dare l’amore del Padre, il vero dono, è tutta grazia
di Dio. Per questo Gesù dice: “Vi do…”.
La traduzione esatta dovrebbe essere: “Vi
do un dono nuovo, la possibilità di darvi il vero bene gli uni gli altri”.
Se do anche il mio corpo a bruciare, se do anche tutti i miei beni per il bene
delle anime, non risolvo nulla. È la possibilità di dare Dio che risolve i
problemi del fratello. Cristo è venuto a dare la vita (non fisicamente,
perché con la morte fisica non avrebbe risolto nulla), Cristo è venuto a dare
la sua vita: il Padre. La vita di uno è ciò per cui uno vive. La vita del
Cristo è il Padre. Quindi Cristo è venuto a darci il Padre che è la sua vita.
Venendo a darci la possibilità, che è grazia, di conoscere suo Padre, ci ha
dato la vita, il dono nuovo, la possibilità di amare tutti come Lui ci ha
amati.
Quindi tutti coloro che sono figli, coloro cioè che
conoscono il Padre, hanno la possibilità di dare la vita, il Padre. Per
questo la vita viene al mondo attraverso i contemplativi, attraverso i figli di
Dio, attraverso coloro che conoscono Dio (come l’acqua della pianura viene
dalle vette). La vita della creatura è Dio, e solo chi conosce Dio può dare
Dio, ha cioè la possibilità di dare la vita alle creature, la possibilità di
far conoscere la Verità del Padre, che è Vita.
Luigi:
Amare non vuol dire cercare di piacere agli uomini, ma vuol dire dare alle
creature il vero bene, anche se la creatura non lo capisce ancora. Il Figlio
di Dio non ha cercato di piacere agli uomini e proprio non cercando di piacere
agli uomini li ha salvati.
La
creatura che conosce Dio, amando, non si comporta accondiscendendo, perché l’amore
non sta nell’accondiscendere. Quando quel tale chiese a Gesù di intervenire
presso suo fratello per convincerlo a dividere con giustizia l’eredità, Gesù
non intervenne, non si diede da fare, non disse nulla al fratello; si sottrasse,
non fece ciò che gli chiese. Questo suo comportamento è amore: così facendo
Egli ha dato la vita. Gesù ha dato la vita non intervenendo, ma dicendo che la
vita non viene da ciò che passa e che quindi non bisogna lottare per le cose
che passano. Se fosse andato dal fratello egoista, avrebbe confermato l’altro
che la vita sta nel denaro.
Poi
abbiamo la lezione del ricco epulone, che sembra aver amore verso i fratelli
quando chiede di andarli ad avvisare, invece vero amore è il rifiuto di Abramo.
Amare non vuol dire cercare di piacere agli uomini, perché l’amore vuole il
vero bene della creatura; chi ama veramente sa il vero bisogno di cui la
creatura ha bisogno. La creatura non sa, quindi non può capire l’amore con cui
è amata quando si vede negato ciò che per lei è un bene; ma colui che sa qual è
il vero bene, si rifiuta di darle ciò che chiede, perché se compiacesse la
creatura la confermerebbe nell’errore, quindi la devierebbe, scandalizzandola. Cristo
ama anche quando sferza o chiama gli uomini “razza
di vipere”, “sepolcri imbiancati”,
ecc.
Cristo
può fustigare, comportarsi in un certo modo perché è Dio, quindi la violenza è
giustificabile in Lui, ma non in noi, a meno che non abbiamo la Sapienza di Dio
o un ordine di Dio (nell’Antico Testamento Dio comanda di uccidere tutti quelli
che sono nelle città; ad Abramo comanda di uccidere suo figlio, ecc.: tutti
esempi per testimoniare che si deve fare la volontà di Dio prima di tutto).
Bisogna
approfondire l’amore di Cristo (“amatevi
come Io vi ho amati”) per capire che amare non è cercare di piacere agli
uomini; anzi, proprio non accondiscendendo Lui li ha amati veramente. Se Gesù
avesse sempre cercato di far piacere agli uomini li avrebbe confermati
nell’errore: così è per noi. Lontano da Dio si confonde il bene con il male:
intellettualmente quindi appetisce il male credendo sia un bene e questo
desiderio porta a supplicare quel aiuto per avere ciò che si desidera.
Meno
male che Cristo, proprio perché ci ama, si è lasciato uccidere per non
convalidare il nostro errore, così facendo ci ha salvato.
La
vita di ognuno di noi è Dio, soltanto dando Dio diamo il vero bene all’uomo. È
per questo che tu puoi amare veramente solo nella misura in cui ami Dio.
Infatti chi cerca Dio (amare vuol dire cercare), dona Dio, quindi ama veramente
il prossimo. E non dobbiamo neppure proporci di dare Dio: è Dio che si dona se
noi cerchiamo Lui. Ciascuno dona agli altri ciò che cerca.
Domanda:
Perché Gesù non ha detto chiaramente: “se
cerchi Dio, ami”? Queste parole possono essere fraintese, lasciandoci in
una dimensione orizzontale.
Luigi:
Perché noi possiamo illuderci di cercare Dio, di amare Dio; quindi ci ha messo
un banco di prova: se ami veramente Dio ami tutti, anche i tuoi nemici. L’amore
al prossimo, l’amore al nemico è il banco di prova per verificare il nostro
amore per Dio, è la possibilità per verificare se la nostra vita, se il nostro
interesse principale è Dio. Se la nostra vita è Dio siamo portati ad amare
tutti, anche chi ci offende, chi ci calpesta. Se invece vi è difficoltà
nell’amare i nemici ci si illude di amare Dio.
Lontano
da Dio si è degli illusi: possiamo rovinarci credendo di amare Dio, di cercare
Dio e poi mancare davanti al fratello. Se non possiamo verificare, possiamo
illuderci di amare Dio. Abbiamo l’esempio di Pietro, che, troppo sicuro di
sé, si illudeva di amare Cristo fino alla morte, nonostante fosse avvisato da
Gesù “tu stanotte mi rinnegherai tre
volte!”; e davanti a una servetta ha veramente rinnegato Cristo. Ecco, la
servetta era il banco di prova. Eppure Pietro era onesto, credeva di amare
Cristo e di essergli fedele! Ma una cosa è quello che crediamo noi e altra cosa
è la realtà. Dio allora ci mette davanti a un banco di prova: osserva come
ti comporti con i fratelli per correggere il tuo rapporto con Dio.
Non
è giusto dire: se amo i fratelli, amo Dio; ma bisogna dire: se amo Dio, amo i
fratelli.
Si
può ancora fare questo errore: mettersi ad “amare” i fratelli pensando così di
amare Dio. No, così non si ama né Dio né i fratelli, ma si recita l’amore ai
fratelli e a Dio. Non si ha amore per Dio se diciamo: “amo i fratelli e sono a
posto”; no, così si è ipocriti, si recita. E la recitazione ad un certo momento
si rivela. Ad esempio: se ci si lamenta che il proprio amore non è
riconosciuto, non è ricambiato, è perché c’è l’io al centro. Presto o tardi
viene fuori.
Quindi
il prossimo è un aiuto per la nostra debolezza, perché con esso possiamo
misurare l’autenticità del nostro amore per Dio.
Luigi:
Questo comandamento nuovo non va inteso come un comandamento, ma come il dono
di una possibilità di amare come ha amato Cristo. E questo lo capiamo
assimilando tutto il Vangelo. Il Vangelo infatti si commenta col Vangelo.
Bisogna raccogliere tutto, e allora si comprende che l’amore al prossimo non è
un precetto, non è un proposito: se diciamo infatti “devo amare”, recitiamo.
Inoltre, bisogna capire, approfondendo il Vangelo, quale è il vero amore del
Cristo, affinché conoscendolo, anche noi impariamo ad amare. L’amore con cui
Cristo ha amato si scopre soltanto in profondità. Superficialmente noi
possiamo dire: “Cristo è stato l’uomo
tutto per gli altri” e sbagliamo. Non è vero che Cristo è l’uomo per gli
altri, perché infatti non ha guarito tutti i malati, si è rifiutato tante volte
di fare miracoli, tante volte ha trattato duramente.
Va
in profondità e osserva il “come” ha amato, cerca di capire qual è stato il
vero suo amore.
Gesù
ha trattato molto duramente la Cananea, eppure era il vero amore di Dio che lo faceva
parlare così, amare così. E i discepoli a dirgli: “sii buono, Maestro dalle ascolto!”; fino a che punto: si arriva a
dire al Creatore di essere buono, quando i cattivi siamo noi. La creatura parla
così perché non capisce l’amore di Dio. In Cristo c’è sempre lo sguardo al
Padre.
Gesù
è venuto per darci la Vita Eterna, non è venuto per risolvere i nostri
problemi, perché Lui i nostri problemi li potrebbe risolvere senza incarnazione.
È Lui che crea i nostri problemi, ma per salvarci. Infatti se ci fa ammalare è
perché ci ama: anche la malattia rientra nel disegno di amore per portarci alla
conoscenza di Dio, affinché conoscendolo impariamo anche noi ad amare
veramente, senza cercare di piacere alle creature.
S.
Paolo dice: “Se cerco di piacere alle creature
non appartengo a Cristo”. Questa parola di Paolo crea una problematica a
chi crede che amare sia far contenti tutti. Questa problematica è un invito ad
approfondire, per scoprire come ha amato il Cristo, perché è questo “come” che
conta e che forma la novità. Solo chi ha veramente interesse per Dio scopre
questo vero amore e impara ad amare veramente. Ma se non abbiamo un vero
interesse per Dio, constatiamo che creiamo una rovina; ci illudiamo di fare del
bene, perché non abbiamo capito “come”
si amano le creature. Infatti tante volte illusi di amare creiamo dei
guai. Come mai? Perché non abbiamo un vero interesse per Dio. Ognuno di noi
testimonia, manifesta ciò che cerca prima di tutto. Se io cerco Dio, do Dio.
Ma
se ci preoccupiamo di amare per testimoniare, recitiamo. Non si testimonia
l’amore che si vuole portare, ma l’amore che si porta; perché dicendo di voler
testimoniare l’amore che si vuol portare, sembra che si stabilisca un
programma. L’amore non è un programma, non è un proposito.
Infatti
Gesù non dà un comando nuovo, una regola nuova, ma una grazia nuova, un dono
nuovo. La grazia di amare è sua e Lui ci dà la forza di amare anche i
nemici. È Lui che ci fa amare, non siamo noi che dobbiamo amare i nemici. Chi
ama non dice: “devo amare”, ma ama. Chi dice “devo amare” è perché non ama.
Se amo, amo, ed è Lui che mi dà questo amore.
Se
cerco Dio prima di tutto, Dio mi dà la grazia di amare tutti e tutto; ma la
possibilità di cercare Dio prima di tutto viene data da Cristo. Se cerco Dio
prima di tutto, desidero vedere il Pensiero di Dio in tutto. Ed è Dio che mi fa
desiderare di vedere il Pensiero di Dio in tutto. È un dono, una grazia nuova,
ma non una regola. La grazia nuova, il dono di Dio nuovo è il desiderio e la
possibilità di vedere il Regno di Dio in tutto, l’Amore di Dio in tutto, la
volontà di Dio in tutto.
Quindi
Gesù sostanzialmente ci dice questo: “Vi
do un dono nuovo, una grazia nuova: quella di amarvi come Io vi ho amati”.
Dio l’aveva promesso già nell’A.T.: “Vi
darò uno Spirito nuovo: porrò il mio Spirito dentro di voi” (Ez). Quindi
questo comandamento nuovo è uno Spirito nuovo, un fatto interiore, per cui la
creatura che riceve questo Spirito sente un desiderio di amore verso tutti.
L’amore
al prossimo non è un’imposizione, per cui Gesù dice “Scoprirete il mio Spirito in voi, perché non siete voi che potete
amare così”. È il dono che Gesù ci lascia prima di andarsene, come una
madre che sta per morire: è un dono che si riceve e che si porta in sé sempre.
Non è un comando, ma una grazia che riceviamo se abbiamo ascoltato Gesù fino
alla fine (“da questo riconosceranno che
siete miei discepoli”).
Dio
non opera imponendosi, ma opera convincendoci. Quindi la parola “comandamento
nuovo”, detta da Gesù, va sentita non come un ordine, ma come grazia, dono.
Diversamente si ricade nell’A. T., nei comandamenti, nella Legge. E la Legge
non può salvare.
L’amore
al prossimo come comando, come regola, appartiene all’A.T., invece nel Nuovo
Testamento è grazia che Dio ci dà: ci dà il suo Spirito che ama in noi.
Fintanto che abbiamo una regola esterna, questa serve per farci toccare con
mano la nostra morte e quindi ci prepara all’incontro con la Vita, con Cristo;
ed è la funzione dell’A.T.. L’A.T. impone l’amore come regola, lo comanda; ma
proprio così ci fa constatare che siamo morti. La Legge è stata data proprio
per farci constatare che siamo morti, quindi è un aiuto. Infatti se non conosco
la Legge mi credo vivo e sono morto; invece la Legge mi fa toccare con mano la
morte che portiamo in noi e ci fa sospirare Cristo, il quale non ci da una
regola esteriore, ma uno Spirito nuovo, un dono nuovo: il suo Spirito; perché
la vita non ci viene dalle regole esterne. Quindi Gesù ci dice: “vi
do una grazia nuova”, e questo è molto diverso da un
dovere, da un comando. Ciò che ci autorizza a intenderlo così, a tradurlo
così è tutto lo Spirito del Vangelo, del Nuovo Testamento. Se invece lo
intendiamo come comando, dimostriamo di non aver ancora colto lo Spirito di
tutto il messaggio di Gesù. Certo, anche la Legge, il comando, il Decalogo è un
dono, ma quello di Gesù è un dono nuovo. C’è una differenza grande tra l’A.T. e
il N.T.: l’A.T. è tutto fondato sui comandamenti, passa tutto attraverso la
fase della Legge, ma non ci salva, perché la Legge non ci libera dall’io. E
quand’anche riuscissi ad applicarla tutta direi “guarda come sono bravo” e
cadrei nel fariseismo. La Legge mi dice “tu devi fare”, se io faccio mi illudo
di compiere la Legge, di fare ciò che mi dice e resto nell’io; se invece non
riesco a fare tocco con mano la mia morte, ma non ne esco. Il N.T. invece,
non è più regola, ma è amore, incontro con una Persona. La novità sta qui,
abbiamo la Persona, non il comando. La meraviglia dell’incontro con una Persona
è che la Persona mi libera dall’io. “Signore, sono un peccatore, però sono con
Te, appartengo a Te”.
ciclo B - incontro n° 227 della
Casa di Preghiera (29.8.1987):
Nino: Solo dopo che Gesù è stato scoperto in noi come
Pensiero di Dio, noi diventiamo capaci di amare.
Luigi: Più che “comandamento nuovo”
direi “vi do una possibilità nuova”,
la possibilità di amarci gli uni gli altri come Lui ha amato viene da Lui.
Quindi non è un comando o un ordine che arriva dall’esterno. Noi possiamo ricevere
un ordine dall’esterno, da un’autorità, ma non aiuta, non ci dà la possibilità.
Invece Lui da a noi la possibilità. Il termine giusto nello spirito è
“possibilità” nuova, possibilità di amarvi gli uni gli altri. Perché il
comandamento c’era già, anche prima, “amate
anche i vostri nemici”. In Lui abbiamo la possibilità di amare anche i
nostri nemici, di amare “come” Lui ha amato. Abbiamo sempre detto che la nostra
impossibilità viene dal non vedere il “come”. È il “come” che ci fa vedere la
possibilità. Come ho detto molte volte, se qualcuno mi dice di andare sul monte
bianco e io non vedo come fare, io sono impossibilitato. Chi mi da la
possibilità è chi mi fa vedere come posso arrivare, dal punto in cui mi trovo,
sulla cima del monte bianco. Quindi la possibilità viene dal vedere il “come”. Qui Gesù dice proprio “come”;
quindi con Lui noi vediamo il “come”,
e vedendo quel “come”, il “come” ci da la possibilità. È una
possibilità che arriva a noi.
Salvatore: “Vi do un
comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”,
come Lui ci ha amati?
Luigi: Gesù ci ha amati donandoci la sua vita. Cosa vuol dire darci la
sua vita? La sua vita qual è? È la vita di Figlio! E qual è la vita di Figlio?
La vita di Figlio è il Padre. Lui ci ha dato la sua vita, cioè ha dato a noi la
possibilità di conoscere il Padre, il vero amore. Noi diamo veramente qualche
cosa quando diamo all’altro la nostra vita, cioè ciò che per noi è motivo di
vita.
Chi ha trovato la sorgente ha
la possibilità di dare all’altro il modo di attingere alla sorgente. Ora,
Cristo ha dato a noi la possibilità di conoscere il Padre, Padre suo e Padre
nostro in cui è la nostra vita. Quindi Lui ci ha dato la vita perché ha dato
a noi quello che per Lui è vita. La vita del Figlio è conoscere il Padre.
Lui ha dato a noi la sua vita, cioè ha dato a noi quello che Lui conosce. Lui
conosce il Padre. Ha dato a noi la possibilità di conoscere il Padre come Lui
conosce. Conoscendo il Padre come Lui conosce, facciamo una cosa sola con Lui,
perché è la conoscenza che ci fa fare una cosa sola. Gesù dice a noi “amatevi come io vi ho amati”, quindi
dobbiamo condividere la conoscenza, perché dando all’altro la conoscenza di
ciò che per noi è motivo di vita, creiamo l’amore l’uno con l’altro. L’amore
viene dalla conoscenza.
Giusi: Noi possiamo amare gli altri solo quando…
Luigi: Siccome noi siamo creature, possiamo amare solo quando riceviamo
amore. Da soli non siamo capaci di amare. Da soli noi siamo soltanto una
pretesa d’amore, un’esigenza d’amore, ma non siamo capaci d’amare. Quanto più
riceviamo tanto più siamo capaci. È quello che riceviamo che ci fa capaci. Per
cui non è mai merito nostro. Se qualcuno non ci ama per primo noi non siamo
nella possibilità di amare. Ricevendo amore abbiamo la possibilità di amare.
Possibilità, perché pur ricevendo amore possiamo diventare egoisti e tenere
tutto l’amore per noi; oppure possiamo invece riversare l’amore. Ora, abbiamo
detto che l’amore è fondato sulla conoscenza. Ricevendo conoscenza puoi
comunicare conoscenza. Soltanto conoscendo Dio ricevi amore e c’è una carica.
Altrimenti sei affamata; e quando uno è affamato non può dare all’altro qualche
cosa, anzi è lui stesso che va a cercare il pane. Noi, senza Dio siamo degli
affamati; con Dio invece riceviamo pane in sovrabbondanza, perché Lui è venuto
a darci la vita e a darcene in sovrabbondanza. Anzi più la diamo e più ne
riceviamo, a differenza dei beni della terra che se ne diamo poi non ne abbiamo
più. Nel campo dello spirito più diamo e più riceviamo. Anzi all’ultimo avremo
solo quello che avremo saputo donare.
Maria Pia: Pensavo a questi “gli
uni gli altri”, quindi a questa importanza del tutto.
Luigi: Sì, perché formiamo tutti una cosa sola. Formando tutti una cosa
sola dobbiamo assorbire tutto in una cosa sola e questo assorbimento in una
cosa sola, questa corrente ascensionale, che ti raccoglie tutto nell’unità, è
proprio data dal riversare. Ciò che attrae non è il dire “tu devi far
questo, tu devi amare”; ciò che attrae è la comprensione. Chi ti comprende
ti raccoglie e ti unifica. Ora, l’essere che comprende tutto è Dio;
comprendendoci ci attrae. Allora, quanto più noi entriamo nella luce di Dio
tanto più siamo fatti capaci di comprendere, e la comprensione comunica vita.
Giovanna: Gesù ci insegna come si diventa figli di Dio.
Luigi: Soltanto conoscendo Dio si diventa figli di Dio, perché è la
conoscenza che ci fa essere. Quindi la tanta conoscenza di Dio ci fa figli di
Dio. “Ho dato a quelli che credono la
possibilità di diventare figli di Dio”. Cos’è questa “possibilità”? Dice
ancora “tutto quello che Io ho conosciuto
del Padre ve l’ho comunicato. Per questo non vi chiamo più servi, ma amici;
perché avete ricevuto tutto quello che Io ho ricevuto dal Padre”. Questo ci
fa capire che la conoscenza ci trasforma da servi in amici e quindi figli,
nella misura in cui riceviamo. È la conoscenza che ci fa essere, è la
conoscenza che ci fa fare dei salti di qualità, è la conoscenza che ci
trasforma, non è il dovere, non è la regola. Tutti possono urlare “devi fare
questo!”, ma non è quello che ti cambia. Ciò che ti cambia è la luce. Soltanto
che la luce ha delle regole ben precise: la luce comprende, e fintanto che
noi non comprendiamo non possiamo comprendere e non potendo comprendere né
cambiamo noi e né cambiamo gli altri.
Giovanna: Lui muore in Croce, quindi ci insegna che per
conoscere dobbiamo morire a noi stessi.
Luigi: Quella è la condizione essenziale, perché senza la morte a noi
stessi, non possiamo fare nessun passo verso la luce. È il passo fondamentale,
perché fintanto che siamo nel pensiero del nostro io non possiamo assolutamente
percepire qualche cosa di Dio, qualche cosa della Verità; siamo tagliati fuori,
anzi, tutto quello che arriva a noi da Dio lo trasformiamo tutto in “ma io qui,
ma io la”, senza concludere niente. Nel pensiero del nostro io siamo fuori,
perché nel pensiero dell’io non si può conoscere la Verità. La condizione
fondamentale è quella di dimenticare noi stessi e di dedicare la nostra mente,
il nostro pensiero a ciò di cui ci parla Lui. Per cui che io sia sano, che sia
ammalato, che io pianga, che io rida, che io corra, che io stia fermo, questo
non interessa, ciò che interessa è dedicare la mente a quello di cui Lui mi
parla. Non mi deve interessare quello che sono o non sono. Conta la misura
in cui attualmente mi dedico ad ascoltare ciò di cui l’altro mi sta
parlando. Certamente se io penso a me stesso non posso pensare a ciò di cui
l’altro mi sta parlando, quindi non posso ricevere assolutamente niente. Le
tazze piene non ricevono, bisogna svuotarle. Soltanto ascoltando quello di cui
mi parla l’altro, io posso essere condotto là dove l’altro mi vuol condurre e
vedere quello che l’altro mi vuol far vedere. Altrimenti non posso
assolutamente arrivare ad alcuna conoscenza e quindi a nessun cambiamento; per
cui nel mio io non posso cambiare.
Silvana: Questa capacità della reciprocità nell’amore è data a
chi guarda Cristo.
Luigi: Gesù dice ai suoi discepoli “non
vi chiamo più servi ma amici, perché avete ricevuto tutto quello di cui io vi
ho parlato”, quindi a coloro che ascoltano è data la possibilità. Ci vuole
uno che parli, e chi parla è Dio; l’iniziativa è di Dio, ma ci vuole anche
l’orecchio che ascolta. Non è detto che ci sia questo orecchio, perché affinché
ci sia l’orecchio che ascolta deve esserci il superamento dell’io. Perché
quando noi pensiamo a noi stessi non abbiamo l’orecchio attento ad ascoltare e
l’orecchio che non ascolta non riceve. In questa condizione Dio bussa alla
nostra porta, ci manda gli inviti, ma noi non riceviamo, siamo impegnati in
altro. “Non vi chiamo più servi”, non
lo dice a tutti, lo dice a coloro che hanno ascoltato e hanno ricevuto ciò di
cui Lui ha parlato. Questo ci fa capire che ricevendo e comprendendo ciò di
cui Lui parla avviene in noi un salto di qualità e il salto di qualità sta nel
passaggio dalla situazione di servo alla situazione di amico fino alla
situazione di figlio. Il figlio però nasce dal Padre. Cristo ci conduce a
nascere dal Padre come Lui nasce. Questa nascita uguale a quella del figlio,
alla quale il figlio solo ci può condurre, produce la fusione in un essere
unico, ci fa una cosa sola col figlio. Non è un processo di volontà, non è un
processo di virtù, di sacrificio o di rinunce, ma è un processo di conoscenza,
di assimilazione, quindi di comprensione di ciò di cui il Figlio di Dio viene a
parlarci.
(?): Mi sembra di comprendere meglio quel brano in cui il dottore
della Legge chiede qual è il comandamento più grande. Gesù è venuto a portare a
compimento la Legge, perché la Legge non ci permette di superare il pensiero
dell’io.
Luigi: La Legge dice di amare, e noi riconosciamo che è giusto, ma ci
troviamo nell’impossibilità, perché ci troviamo immersi in un mondo che è
diverso e che noi non possiamo superare. È soltanto la presenza di Cristo, è
l’Altro che ci dà la possibilità.
È Lui che parlando con me dà a
me la possibilità del superamento dell’io. La Legge non mi da la possibilità di
superare il mio io. E fintanto che noi ci limitiamo a dire ad un altro “devi
fare questo!” non gli diamo la possibilità di superarsi, non può; può solo dire
“sarebbe bello, sarebbe giusto, ma come faccio?”. È come dire a uno sprovveduto
“devi arrivare sulla cima del monte bianco!”, lui può solo dire “sarebbe bello,
ma come faccio?”. Ora, noi abbiamo bisogno di vedere la strada, il modo, il
come arrivare; e la strada, il modo e il come è Cristo.
(?): Quindi finché uno è nell’io non è capace di amare.
Luigi: Fintanto che uno è nell’io non può amare, pur riconoscendo che è
giusto. Tutte le mattine possiamo fare il proposito “Signore, oggi voglio amare
tutti, anche i miei nemici”, ma il primo nemico che incontriamo lo prendiamo
per il collo, nonostante tutti i buoni propositi. Questo accade perché noi non
siamo i padroni di noi stessi, l’uomo non è libero. È soltanto con la
sovrabbondanza di grazia che ad un certo momento si ha la capacità di amare
anche i nemici. È come vincere un miliardo: parti cantando e al primo
povero che incontri regali un milione.
Con Dio hai una tale carica di
abbondanza di vita che puoi sovrabbondare con tutti.
Franca: È molto importante questo “come”, ci prende dove ci
troviamo fino a portarci dove Lui è...
Luigi: …se noi lo seguiamo. È lì il difficile, perché “chi vuol venire dietro di me rinneghi se
stesso”, e si resta sempre al punto di partenza. Perché molti ritengono di
seguire Lui senza morire a se stessi, e questi sono sempre a quel punto. Tutte
le altre lezioni di Gesù presuppongono il rinnegare se stessi.
Rita: Detto così, “vi
do un comandamento nuovo”, sembra un ordine.
Luigi: Quando al mattino ti hanno inondato di gioia, non ti importa più
che l’altro sia bianco, sia nero, ma canti e ridi con tutti. Ora, l’importante
è ricevere tanto. Dio parlando dà la possibilità, la creatura parlando non dà
la possibilità. Il comando è un ordine dato alla volontà. Invece Cristo ti dà
la possibilità di volere, questa possibilità di volere viene dalla
conoscenza.
Pinuccia B.: Queste parole ci fanno capire come l’amore sia unico.
Non è che si amino le creature e si ami Dio.
Luigi: È solo Dio che ama, più siamo pieni di Dio e più l’amore di Dio
in noi ama tutto e ama tutti. È Dio che ama non siamo noi che amiamo, per
cui è la conoscenza, è la presenza di Dio che ci fa amare.
Non hai la presenza di Dio? Non
puoi amare! Senza presenza di Dio tu sei soltanto un esigenza, un bisogno,
perché da sola non stai su; e allora supplichi, chiedi, elemosini amore da uno
e dall’altro. Quindi solo Dio, essendo sorgente d’amore, ti carica d’amore e
quindi ti da la possibilità di amare. Ma è sempre Dio che ama in te. Quindi se
non c’è presente Dio non sei assolutamente capace di amare.
ciclo C - cassetta n° 108
della Casa di Preghiera (04.01.1992):
Nino: È un comandamento impossibile se non si è capito come
Dio regna e come il Figlio muore per fare la volontà del Padre.
Luigi: Qui dice “comandamento”
ma è come se dicesse: “Vi do una
possibilità nuova: quella di amarvi”. Noi senza Dio non possiamo amare. È
Lui che ci da la possibilità. Noi possiamo amare solo nel momento in cui
riceviamo amore, Lui amandoci per primo ci da la possibilità. Ogni capacità ci
viene da Dio nella misura in cui lo accogliamo.
Franca: Ogni situazione Dio la presenta per me. Ogni parola del
Vangelo Dio la dice per me, e io devo chiedermi cosa mi vuol dire?
Luigi: Certo, qui ti sta dicendo che se Lui non ti ama per
primo tu non puoi amare. Quindi è perfettamente inutile che tu dica “voglio
amare, voglio amare”, se non comprendi l’amore di Dio per te; in questa
condizione al primo che ti sfiora tu gli dai un calcio.
Amalia: A volte si ha un idea sfasata sull’amore.
Luigi: Se il nostro amore tende a possedere, quello non è
amore.
Giovanna: Abbiamo questa possibilità solo se Lui se ne va?
Luigi: Una presenza ti carica sempre. Noi patiamo l’assenza.
Nell’assenza tu sei a terra. Quando una persona che tu ami è assente ti
intristisci, quando è presente tutto si colora. Ricevi una carica. Un altro
esempio: è sufficiente camminare per la strada ed essere salutati per provare
gioia; se invece l’altro non ti vede o non ti riconosce ti intristisci. Ciò
vuol dire che è l’altro che ci carica in quanto ci guarda. “Mira che te mira”,
guarda che ti sta guardando. È attraverso questo sguardo che ci fa essere, la
meraviglia è questa. Dio ti guarda e ti fa essere, e tu canti di gioia,
se non ti guarda ti senti un niente. Ecco la natura della creatura: è nella
misura in cui riceve. Dunque è
inutile che ci proponiamo “voglio amare, voglio amare”, anzi, senza Dio,
diventiamo un centro di egoismo. Ecco, il comando: nella misura in cui Dio mi
inonda d’amore mi dona la possibilità di amare tutti, anche i nemici.
Giovanna: La persona che mi saluta e mi dà vita è segno di Dio?
Luigi: È segno di Dio per farti capire come tu ricevi vita
dall’altro, che poi diventa l’Altro maiuscolo. Nella persona che ti saluta è
Dio che significa se stesso e ti fa vedere come tu ricevi vita.
Bruno: Quando arriveremo, vedremo tutto come misericordia di
Dio, per noi e per gli altri.
Luigi: Già prima, già per fede; se tu credi in Dio creatore di
tutte le cose, capisci che Dio è Colui che opera in tutto, anche in chi ti
pesta un piede. A questo punto tu sei in grado di amare chi ti pesta un piede,
perché vedi che Dio attraverso questa persona ti sta palando personalmente, non
ti sta ignorando. E quando magari tu ti vedi pestato, anche pestato gioisci.
La nostra grande tristezza è non saperci pensati.
Una donna preferisce essere picchiata piuttosto che ignorata. Come diceva
s.Agostino “fai di me tutto ciò che vuoi, ma non ignorarmi”. Noi abbiamo
bisogno di essere pensati, è quello che ci carica. Quindi se uno ti pesta un
piede e tu vedi l’opera di Dio che ti sta pensando, abbracci quel fratello che
ti pesta il piede.
Silvana: Il fatto che dica questa cosa proprio quando sta per
andarsene, che significato ha?
Luigi: Lui se ne va e ti lascia il suo amore, in modo da
sostenerti. Ci fa capire che anche nella sua partenza noi siamo pensati.
Se infatti uno ti dice: “guarda domani ti troverai in tal posto”, nel momento in cui ti trovi in quel posto ti
senti pensata, e questo ti da una carica.
Pinuccia A.: Gesù ci ama parlandoci del Padre, noi per
amare come Lui ci ha amato…
Luigi: Soltanto conoscendo come Lui ci ama noi siamo fatti
capaci di amare di quell’amore, “come in
Cielo, così in terra”, soltanto conoscendo come le cose avvengono nel Cielo
tu sei fatta capace di vivere qui in terra, ma si richiede sempre di vivere qui
in terra. È la conoscenza di Dio che ci rende capaci di vivere in terra
secondo Dio.
Pinuccia A.: Ma questo amore “come Lui ci ha amati”, come
si deve intendere?
Luigi: Ha pensato a noi.
Pinuccia A.: Ma per amare come ha amato Lui…
Luigi: Devi pensare a Lui. Tu ami in quanto pensi. È l’amore di
Dio che ti fa capace di comprendere e di sopportare.
Rita: Nel momento in cui sta dicendo questo, i suoi discepoli
non sono ancora in grado di amare in quel modo, perché non hanno ancora
conosciuto come Lui li ha amati: Lui sta dicendo una cosa che loro non possono
fare.
Luigi: Lui sta dicendo un parola. Quando capiranno costateranno
la verità della parola. È la parola che sostiene.
Pinuccia B.: Quel “come” è la chiave di volta del
versetto, ci fa capire che si tratta di capire. Il vero amore è comprensione, è
vedere le creature in Dio e da Dio. Quindi solo vedendo quel “come” Lui mi da la capacità di vedere tutte le
creature fatte da Lui per me.
Da questo tutti
riconosceranno che siete miei discepoli,se avrete
amore gli uni per gli altri.Gv 13 Vs 35
Argomenti: La vita è unificare –
L’uomo è cosciente solo nella verità – L’amore di Dio e l’amore dell’io – Il
concetto di amore – Le verità inconsapevoli – Atei e credenti -
5/Settembre /1987
Luigi:
Dicendo “da questo”, esclude ogni
altro segno (non abito, non categoria, non nazione, non colore della pelle, non
regole, ecc.): l’unico segno che caratterizza coloro che sono discepoli di
Cristo è l’amore con cui si amano tra loro. E non è un segno che ci si può
addossare, perché è dono della Presenza dello Spirito di Cristo. Là dove c’è la
Presenza dello Spirito, c’è questo amore.
Non
si può recitare l’amore verso tutti e verso tutto, solo la Presenza di Dio può
farci amare il prossimo; quindi l’amore verso tutto e tutti è segno della
Presenza dello Spirito: dove c’è questa presenza, l’amore scaturisce da sé.
È
quindi la presenza dello Spirito di Dio che distingue il discepolo di Cristo.
L’amore
che distingue il discepolo di Cristo è un amore caratteristico, non
sentimentale. È l’amore del Cristo: “Amatevi
come Io vi ho amati”. Non è l’amore sentimentale che accondiscende a tutto
e che cerca di piacere agli uomini. Infatti, dice s.Paolo: “Se cercassi di piacere agli uomini, non poteri essere discepolo di
Cristo”. L’amore di Cristo è un amore che dà anche delle sferzate (“Guai a voi ipocriti”, ecc.). Quando uno
cerca di piacere agli uomini non ha il vero amore, perché ricerca se stesso,
l’approvazione, ecc., o conferma gli altri nei loro errori o li strumentalizza.
Gli altri devono vedere l’amore di Dio, il vero amore, in cui non c’entra il
nostro io, devono vedere un amore che non strumentalizza, che non fa servire
l’altro; devono vedere un amore che viene da Dio.
Diversamente
c’è il rimprovero di Dio: “Guai a voi che
pascolate voi stessi”. Dove c’è amore c’è il desiderio del bene dell’altro,
non si pensa a sé. La maggior parte degli uomini hanno un amore nel pensiero
dell’io: amore compiacente, strumentalizzante.
La
maggior parte dei nostri amori sono determinati dal fatto che servono a noi:
diciamo di amare la creatura perché possiamo sfruttarla, perché ci serve. Non è
questo l’amore di Dio. L’amore di Dio non fa servire e non si fa servire, ma
serve: vuole il bene della creatura. È per questo che a volte Gesù è duro,
tratta severamente. Egli non cerca di piacere alla creatura, però il suo è
amore anche quando frusta e colpisce, perché è finalizzato al vantaggio
spirituale della creatura; cerca il suo vero bene: conoscere Dio, sperimentare
Dio.
Chi
veramente ama secondo Dio, conoscendo il vero bene per la creatura, tende a
darglielo, non tende a distoglierla da Dio per asservirla ad altro (politica,
strutture, famiglia, società, gruppo, istituzione, ecc.). Nel mondo si fanno
servire gli uomini a certe strutture; per il mondo quello che conta è mantenere
sù certe cose, fare sempre certe cose.
Chi
ama veramente Dio vuole il vero bene della creatura. L’amore vero per Dio fa
servire tutto a favore della creatura, perché Dio ha creato l’universo per l’uomo.
S. Agostino dice “Tu hai fatto tutto per noi, affinché noi liberamente
cerchiamo Te”. Tutto ci viene dato (mangiare, vestire, casa, ecc.) affinché noi
possiamo cercare liberamente il Signore, senza altre preoccupazioni. E chi ama
Dio vuole questo per la creatura. In caso contrario la si fa servire alle
regole, alla politica, alle istituzioni, ai partiti, alle strutture, ecc.,
chiamando queste cose “volontà di Dio”. L’amore
di Dio si distingue per questo: cerca la conoscenza del Signore e vuole che il
fratello conosca Dio (questo è il vero amore per il prossimo).
Luigi: “Tutti riconosceranno che siete miei
discepoli”: essere discepolo di Gesù vuol dire cercare Dio. Chi cerca
Dio appartiene già a Dio, anche se non l’ha ancora trovato (in quanto uno cerca,
appartiene a-). Chi è orientato al fine appartiene già al fine, anche se non è
ancora arrivato.
Solo
se metto Dio al centro della mia vita, solo se cerco Dio come vero mio bene,
sono fatto discepolo, perché ognuno è caratterizzato da ciò che cerca. Se in coscienza posso dire che la mia vita
sta nella ricerca di Dio, sono discepolo di Cristo.
L’amore
per tutti è il banco di prova se siamo o no discepoli di Cristo, se la nostra
vita consiste veramente nel cercare Dio o no. Quindi, se è un banco di prova,
non devo sforzarmi di farlo, cioè non devo preoccuparmi di amare tutti, perché
sarebbe una recita (farei una copia dell’originale, quindi uno sgorbio). Se
ancora non riesco ad amare tutti devo preoccuparmi di cercare più Dio. È di
cercare Dio che mi devo preoccupare! Se cerco sinceramente Dio, allora amo
anche il nemico: è il segno!
Nel
pensiero di Dio amo il nemico, mentre nel pensiero dell’io odio chi mi pesta il
piede. Noi, nel pensiero dell’io, non siamo liberi verso i nostri pensieri.
Solo se abbiamo un pensiero tale che ci dia la possibilità di comprendere anche
ciò che non ci conviene, vedendo in esso un aiuto (i nemici, le persone
fastidiose, antipatiche, ecc.), siamo
capaci di amare e possiamo amare queste persone; se no, le facciamo fuori. Chi
cerca Dio ama il nemico, perché vede nel nemico un aiuto per cercare Dio. Amare vuol dire comprendere.
Fintanto
che non abbiamo il Pensiero di Dio, abbiamo pensieri parziali che ci
impediscono di amare come ama Dio, ci impediscono l’amore unico per Dio che
include anche l’amore al prossimo, al nemico. Quindi se non ami il nemico è
segno che i tuoi rapporti con Dio non sono come dovrebbero essere: rivedili.
Se non sei capace di comprendere, quindi di amare il nemico, rientra nel
segreto della tua stanza e rivedi il tuo rapporto con Dio, mettiti al tuo posto
(l’ultimo) e metti Lui al centro, al giusto posto; rivedi se veramente desideri
mettere Dio prima di tutto (questo è già appartenere a Dio), se desideri questa
giustizia verso Dio.
È
Dio che ti sta aiutando quando ti fa trovare la persona antipatica o che ti fa
soffrire, di fronte alla quale ti accorgi che il tuo io salta fuori: non puoi
comprenderla. Evidenzia che il tuo rapporto con Lui non è come dovrebbe essere.
È grazia di Dio, è un invito a interiorizzarci per avere luce da Dio e dare a
Dio il giusto posto; nel segreto della tua anima rivedi il rapporto con tuo
Padre. E fintanto che in te Dio non è posto al disopra di tutto, Egli ti
farà sempre trovare dei richiami fuori di te per invitarti a rivedere il tuo
rapporto con Lui. Dio opera l’esterno e l’interno, però l’interno prevale
sull’esterno. Dall’esterno, cioè dal rapporto con il prossimo, si vede lo
sporco (l’incapacità di amare). È inutile però lavare l’esterno del bicchiere
se l’interno è sporco. Dio opera dall’esterno per invitarci a pulire l’interno.
Tutto l’esterno è in funzione dell’interno. Dio opera l’esterno avendo presente
il rapporto tra la nostra anima e Lui, per mettercelo a fuoco; Dio va messo
al suo posto nei nostri pensieri e non attraverso regole, sentimenti, virtù
preghiere, istituzioni, ecc.. E fintanto che non entriamo in quel rapporto
con Lui, che Lui vuole, Dio ci presenterà sempre queste sfocature, perché opera
per mettere a fuoco il posto che noi gli diamo nel nostro pensiero, nel nostro
cuore, per farci capire che forse ci avviciniamo a Dio con regole, con
automatismi, con esteriorità anziché con rapporto personale. Il rapporto con Dio è essenzialmente un
rapporto personale di impegno, e non c’è nessuna ragione al mondo che mi
giustifichi dal sottrarmi a questo impegno. Quante volte ci crediamo
disimpegnati, giustificati dal disimpegno con Dio con i nostri impegni sociali,
di famiglia, di istituzione, ecc. No! Dio ti ha creato per cercarLo, quindi non
c’è nessun dovere, né padre, né madre, né impegno sociale che ti giustifichi
dall’assenza a questo impegno.
Domanda:
Dobbiamo imparare quando riceviamo dei dispiaceri dal prossimo, a non farci
caso, a non stare a guardare?
Luigi:
No, debbo amare: se ho presente lo Spirito di Dio, amo tutti, amici e nemici,
perché nello Spirito di Dio c’è comprensione per tutti e tutto. Non è un “non
farci caso”, perché è Dio che parla, e parlando in tutto ci dà delle lezioni.
Quindi uno può “guardare brutto” e vedere ciò che gli capita come lezione di
Dio. Anzi, è proprio il cercare di capire la lezione di Dio che ci fa
diventare seri. Non si può recitare la gioia nel dolore. Così nella
sofferenza: si soffre e si ama la volontà del Padre, come Gesù nell’agonia.
Quando
tu comprendi una cosa, praticamente la ami. Quando non la comprendiamo, quando
non la sappiamo amare è un segnale d’allarme, una parola d’amore di Dio per
noi, per richiamarci a Sé, per distoglierci dai nostri interessi sbagliati. La
maggior parte dei conflitti con i fratelli sono infatti determinati dai nostri
interessi (il mio onore, la figura, il giudizio degli altri, il guadagno, la
carriera, ecc.). Se io sposto il mio interesse verso Dio, ho un interesse al
disopra di tutto, per cui gli altri possono prendermi tutto, ma non importa più.
L’interesse per Dio, se è sincero, supera tutto, per cui ogni altro interesse
scade, e se scade il mio interesse (per cui potrebbe sorgere la conflittualità)
scade anche la conflittualità stessa. L’altro rimane smontato, perché è
smontato il mio interesse. Per questo Gesù ci insegna “Se uno ti chiede l’abito, dagli anche il soprabito”. Se invece ho
un mio interesse, mi metto a fare la guerra.
Quando
l’interesse per Dio è sincero, ti prendano pure tutto! Perché se hai interesse
per Dio non c’è più niente che ti possa portare via a Dio, non c’è nessuno che
ti possa portare via il tuo vero interesse: Dio; per cui non litighi più con
l’altro, perché il tuo bene nessuno te lo può rubare. E non sei più toccato dal
resto, perché il resto non ti interessa più. Questo avviene solo se c’è questo
interesse principale per Dio, perché è questo che ci fa perdere interesse per
ogni altra cosa; per cui le cose non sono più nostre e si rimane in questo
atteggiamento libero: “fa tutto ciò che vuoi, perché il mio interesse è
altrove”.
Se
invece il mio interesse è in altro da Dio, allora scatto e nasce il conflitto.
E anche quando ci portano via le cose, senza suscitare conflitto si deve vedere
la mano del Signore che vuole liberarci dai falsi idoli (ad es. il denaro). Nel
caso del rapimento di un figlio, se i genitori hanno il Pensiero di Dio e
dialogano con Dio, possono arrivare a vederne la lezione positiva: “Dio me l’ha
mandato a rapire, perché? Qual è il significato? Cosa ha voluto dirmi? Per
riscattarlo ci hanno messo completamente a terra: su che cosa adesso faremo
conto?”. Ecco, è Dio che opera per metterli di fronte alla prova. E questo lo
fa per salvarli, per farli entrare nella Vita Eterna.
Di
fronte ad un mondo che aveva fondato tutto il suo interesse sull’industria, sul
benessere, ora constatiamo che ci porta all’angoscia. Questo ci fa capire come Dio
si interessa per ogni creatura personalmente, tanto di un Mussolini, come di
Vigin (un pover uomo di Fossano): ha lo stesso interesse per l’uno e per
l’altro, e per ognuno opera in modo diverso per dare le stesse lezioni, per
salvare l’anima, per farli entrare nella Vita Eterna, cioè per convincerlil a
superare il pensiero dell’io (poiché questo è il problema di tutti, dei più
dotati e dei meno dotati) e aprirli al Pensiero di Dio. Quando uno comprende le
lezioni di Dio, comprende e ama anche le persone di cui Dio si serve per fare
tali dure lezioni.
Si comprende e si ama solo se si
ha sempre presente l’essenziale, la meta a cui siamo chiamati:
è questo che conta.
È
solo lo Spirito che ci dà la possibilità di comprendere il nemico e di amarlo.
Solo questo amore è il segno che ci distingue come discepoli, e questo segno è
unico: non è un segno esterno (non l’appartenenza a una regola, ad una
istituzione, a voti) ma è l’amore di Dio che si porta dentro.
Noi
non ce lo possiamo dare questo amore, per quanti sforzi facciamo, perché è solo
Dio che ce lo dà: “Vi do…”: è grazia
di Dio, è dono di Dio, dono della Presenza di Dio. E “dono” nuovo perché lo
Spirito è novità continua, per cui richiede un’attualità continua, richiede da
noi un pensiero continuo: infatti noi vogliamo Dio se abbiamo presente il
Pensiero di Dio (e quindi amiamo tutto e tutti), ma immediatamente vogliamo
altro se non abbiamo presente Dio (allora nascono i conflitti). Il fatto è che
la nostra volontà è determinata dal nostro pensiero. Dio è attualità e
richiede attualità, richiede un pensiero continuo; non si possono perciò
archiviare certe verità, dandole per acquisite, perché si perderebbero subito.
Chi
ha presente Dio non può non amare, perché vuole comprendere. Chi comprende ama.
Chi ha lo Spirito di Dio ha la possibilità di comprendere, perché lo Spirito di
Dio è Spirito di Verità, è Luce. Se si comprende il significato di ciò che Dio
opera, e che opera anche servendosi dei fratelli, allora si ama, perché tutto è
lezione; la persona che sbaglia è lezione per me; la persona che mi offende è
lezione per me, perché la persona è opera di Dio, creatura di Dio. Comprendendo
il significato si ama. In Dio intelligenza
e amore sono la stessa cosa: infatti lo Spirito di Verità è detto pure
Spirito d’Amore, perché la Verità è amore. Noi che siamo lontani da Dio
scindiamo le due cose, ma in Dio sono una cosa sola, la stessa cosa.
ciclo B - incontro n° 228 della Casa
di Preghiera (29.8.1987):
Nino: È talmente nuovo questo “comando” che determina una
distinzione: gli altri vedranno un amore che non è umano...
Luigi: ...che non è possibile all’uomo, perché senza la Presenza
di Dio quell’amore non è possibile. Tu vedendo quell’amore impossibile inizi a
pensare che c’è qualche cosa di diverso.
Elisa: Tutti siamo chiamati a essere discepoli.
Luigi: Certo, perché Lui è il Maestro di tutti, non è il
maestro soltanto di qualcuno. Infatti vuole che tutti si salvino. Noi andiamo
in un'altra scuola in quanto eleggiamo un altro maestro.
Se io voglio imparare qualche argomento del mondo, allora
vado da quei maestri che mi aiutano a risolvere quel mio interesse. Gesù
infatti dice: “Non date a nessuno il nome
di maestro, perché uno solo è il vostro maestro”. Questo vuol dire che Lui
solo vuole essere il nostro Maestro personale.
Lui è Maestro di tutti, tutti siamo chiamati ad essere alla
sua scuola. Nella realtà noi siamo alla sua scuola, l’universo è un aula e noi
siamo tutti allievi. Colui che parla è Dio. Dio è l’unico maestro per tutti.
Noi siamo tutti discepoli e ogni giorno Egli tiene le sue lezioni. A noi Dio
chiede di far silenzio, di ascoltare le sue parole e cercare di capire; ed è
quello che si chiede ad un allievo. Taci,
ascolta, capisci!
(?): “Da questo
sapranno che siete miei discepoli”, è l’unificazione nella dispersione.
Luigi: Noi, nel pensiero del nostro io, ci disperdiamo; Lui ci
raccoglie, e nella misura in cui siamo raccolti diventiamo capaci di
raccogliere, quindi di unificare tutta la nostra dispersione. Noi ci
disperdiamo dietro tante cose; il nostro io è principio di moltiplicazione di
interessi, di amori… fino a essere dispersi dietro tutto. Gesù ci raccoglie dietro l’unica cosa necessaria. Quindi la vita
viene dal raccogliere nell’unità. Se uno vuole andare a Cuneo, a Torino, a
Genova contemporaneamente, non va da nessuna parte. L’importante è un fine
solo. In un fine solo tu incominci a vivere, inizi a metterti in movimento.
Invece moltiplicando i nostri interessi restiamo fermi.
(?): “Se avrete amore
gli uni per gli altri”, è molto difficile convivere con gli altri...
Luigi: Impossibile. Diventa possibile solo se in noi c’è la
pienezza dell’amore di Dio. È l’amore di Dio in noi che ama, che fa amare gli
uni e gli altri. Ma se non c’è questo amore di Dio in noi, possiamo scrivercelo
a caratteri cubitali tutte le mattine, ma poi facciamo esattamente il rovescio.
È la pienezza dell’amore in noi che ci da questa possibilità di amare tutto e
tutti.
Il prossimo è il banco di prova della presenza dell’amore
di Dio in noi o dell’assenza. Se in te non c’è questo amore assolutamente non
puoi amare gli altri. Quindi non è una cosa che tu ti devi sforzare di fare.
L’iniziativa viene da Dio, quindi lascia soltanto passare l’amore di Dio e
siccome Dio ama tutto e tutti l’amore giunge a tutti. E tu non ti accorgi di
amare. Se ti accorgi di amare non stai già più amando.
Maria Pia: S. Paolo in questi giorni faceva proprio
questa distinzione: agli occhi del mondo si vede se sei di Dio e se non sei di
Dio. Quindi l’uomo vivendo rivela quello che ha come scopo.
Piero: Siamo condotti a vedere la Presenza di Dio in tutto.
Luigi: Quindi è Dio che creando e manifestando la sua presenza
in tutto mi da la possibilità di amare tutto è tutti; mi da la possibilità
perché mi da la sua Presenza. Quindi è sempre lo stesso amore: l’amore di Dio. Tu
ami gli altri nella misura in cui tu vedi la presenza del tuo amore. Se il
tuo amore è Dio, vedendo la presenza di Dio in tutto e in tutti non puoi non
amare. Allora, cos’è che ama in te: non sei tu, ma è l’amore di Dio in te
che ama; ecco perché dico che è l’amore di Dio che ama, non siamo noi.
Giovanna: Non devo preoccuparmi di amare gli altri, ma di
conoscere Dio.
Luigi: Devi preoccuparti soltanto di riempirti di Dio, poi Dio
fa tutto. “Una sola cosa è necessaria”,
quella di Maria: fare silenzio su noi stessi, ascoltare e cercare di capire.
Silvana: Se così stanno le cose ce ne sono ben pochi di discepoli
di Cristo.
Luigi: Noi non siamo qui per giudicare gli altri. Devi misurare
te stessa. Dio ci fa prima di tutto vedere la nostra impotenza, ma ci fa vedere
anche la sua grazia. Non ci fa vedere la nostra impotenza per condannarci; Egli
ci fa vedere la nostra impotenza, il nostro vuoto, il nostro niente e ci fa
vedere anche la sua grazia. In quanto Egli ci dice certe cose ci dà la
possibilità di realizzarle, e la possibilità viene da Lui. Lui non ci prende in
giro, non ci chiede una cosa impossibile. Dio non prende in giro nessuno,
quindi dicendo dà la possibilità. E non è un comando; fosse un comando sarebbe
una cosa impossibile. Dio non ci comanda cose impossibili. Egli ci dice: “presso di me tutto è possibile”, cioè
con Lui. È Lui che mi rende possibile anche l’impossibile; con Lui tutto
diventa possibile. Può anche essere difficile, ma la difficoltà è un test.
Amalia: L’amore vero tra gli uomini è dono di Dio, ed è ancora
finalizzato a orientare solo a Dio.
Luigi: Infatti Cristo ci invita ad amare come Lui ci ha amati.
Come Cristo ci ha amati? Orientandoci al Padre. Il più delle volte si legge il
Vangelo senza capire che tutta la missione del Cristo è quella di orientarci al
Padre. Tutte le cose che dice Gesù, tutte le cose che fa, sono tutte dette e
fatte per orientarci al Padre. Egli ci ha dato la vita in quel modo. La
vita viene dal fine e Lui è venuto tra noi, che siamo dispersi dietro tanti
fini, a proporci il vero fine.
Arriviamo a dire: questo è necessario, quell’altro è
doveroso, questo è il mio impegno, questa è la mia vita, Dio mi ha messo qui,
questa è la volontà di Dio, io devo curare l’istituto, io devo curare la
famiglia, io devo curare l’azienda… e riteniamo che siano doveri secondo la
volontà di Dio. Cristo viene e dice “Una
cosa sola è necessaria. Dio ti ha creato per conoscerLo…”, e ci libera con
la sua autorità, l’autorità della Parola di Dio, ci libera da tutto quello che
noi ritenevamo fosse sacrosanto e ci impegna nell’unica cosa necessaria. È lì
che ci dà la vita. La vita mi viene dal
fine.
Fabiola: Stavo pensando a quelli che umanamente tentano di
definire l’amore, i cantanti, gli psicologi, ecc., che tentativi sono?
Luigi: Tutto quello che noi chiamiamo amore, siccome il principe
di questo mondo è l’io, è soltanto desiderio di possesso. Ridotto ai termini
estremi l’amore del mondo è il proprietario di un negozio che ama i suoi
clienti: ti amo in quanto tu mi servi. In questo “amore” vedi l’altro come un
mezzo per il tuo fine; e questa è proiezione dell’io. L’amore di Dio invece è
tutt’altra cosa. L’amore di Dio è
essenzialmente conoscenza e desiderio che anche gli altri giungano alla
conoscenza, quindi è una partecipazione di conoscenza. L’amore vero non
strumentalizza mai l’altro, rispetta l’altro, e tutt’al più aiuta l’altro, gli
aggiunge qualche cosa, non lo fa servire; quando lo fa servire l’amore
svanisce. L’uomo non è mai strumento, perché l’uomo è finalizzato a Dio.
Non c’è nessuna nazione, nemmeno la Chiesa, nemmeno il Sabato, non c’è nessuna
regola santa che lecitamente possa strumentalizzare l’uomo. Tutti sono servi
all’uomo, tutti devono servire l’uomo affinché l’uomo possa liberamente
cercare e conoscere il suo Signore. È l’anima dell’uomo che conosce; la
conoscenza non avviene attraverso un’istituzione. Quindi tutto è fatto per
servire l’uomo affinchè l’uomo possa cercare e conoscere il suo Signore. La
vita eterna sta lì. Nella vita eterna entrano le persone, non entrano le
case, non entrano le istituzioni. Quindi tutto è a servizio della persona. “Il Sabato è fatto per l’uomo”, dice
Gesù affinchè l’uomo possa liberamente conoscere il suo Signore. Allora, aiutare
gli uomini a conoscere Dio è il vero amore. “Ama il prossimo tuo come te stesso”, tu sei fatto per conoscere
Dio, amare il prossimo come se stessi vuol dire aiutare il fratello a cercare e
a conoscere Dio come noi desideriamo cercare e conoscere Dio.
Fabiola: Quindi le persone che dicono di non credere in Dio, se
arrivano a parlare di rispetto vuol dire che parlano ugualmente di Dio pur
dicendo di non credere.
Luigi: Ci sono molti che dicono di non credere e credono; ci
sono molti che dicono di credere e non credono. Molti credono di pregare e
non pregano, molti credono di non pregare e invece pregano. La vera
preghiera è la ricerca di Dio. L’uomo è un essere incosciente, non si rende
conto, il più delle volte non sa.
Fabiola: Però come si fa ad affermare che l’amore è rispetto se
non si è conosciuto Dio?
Luigi: Dio è presente in ogni uomo, sempre! E può parlare anche
attraverso gli uomini senza che essi stessi lo sappiano. Per cui succede che
Dio fa dire agli uomini, pur senza che essi se ne rendano conto, delle grandi
verità. Loro forse non si rendono nemmeno conto di ciò che dicono. Ma è sempre
Dio che parla e opera in tutto. Per percepire e essere coscienti bisogna essere
con Dio. Soltanto nella Verità uno è
cosciente della Verità. Quante volte sentiamo dai bambini delle parole che
nemmeno un adulto sa dire. Forse il bambino si rende conto della portata delle
sue parole? È Dio che li fa parlare. Quindi evidentemente è Dio che opera e
parla in tutto e in tutti anche a nostra insaputa. Più conosciamo Dio e più
siamo partecipi e consapevoli di quello che diciamo, ma non è detto che uno che
non conosca Dio non dica parole di Dio. Per cui noi siamo tenuti ad
ascoltare Dio in tutte le creature. Non posso dire: quello è un ateo quindi io
non lo ascolto. Anche se è un ateo, stai attento perché c’è Dio che sta parlando
con te, perché anche l’ateo è uno strumento di Dio. Quindi non rifiutarlo
dicendo che è un ateo o un lontano da Dio o un pagano, cerca piuttosto quello
che Dio vuole comunicare a te attraverso questa persona che ai tuoi occhi è un
ateo. Ora, la cosa veramente importante
è la continua attenzione al Dio presente in tutto e in tutti che fa arrivare a
noi qualche messaggio. Perché in tutte le cose che arrivano a noi Dio fa
arrivare qualche messaggio; allora eleviamo la mente “Signore, quale messaggio
mi fai arrivare attraverso questo”. Cerchiamo cosa Dio ci vuol dire, quindi
superando quello che è la creatura in sé e per sé. Non devo giudicare, ma devo
cercare di capire cosa Dio mi vuole dire di Sé attraverso ogni creatura. Dio
parla anche attraverso una pietra, un
fenomeno atmosferico, attraverso un albero o attraverso un animale; a maggior
ragione parla attraverso un uomo, fosse anche ateo.
Franca: Se presso Dio tutto è consapevolezza, come è possibile
che uno ami senza accorgersene?
Luigi: Chi ama veramente non si accorge di amare, perché più
c’è il pensiero del mio io e più credo di essere consapevole di amare
osservando le regole, recitando. Amare vuol dire pensare all’altro, e quando
uno pensa all’altro dimentica se stesso e dimenticando se stesso non si accorge
di amare.
Raffaella: Chiunque è capace di amare appartiene a
Cristo…
Luigi: …perché la capacità di amare è sua, non è mia.
Rita: Solo attraverso Dio, che è l’Amore in Persona, l’uomo
può amare. Ci sono però delle persone, magari mai conosciute, attraverso cui
l’amore fluisce senza sforzo, ce ne sono altre dove c’è una resistenza.
Luigi: Perché magari noi diciamo di sentire amore per Dio, però
portiamo con noi tanto carico di sentimenti, di rapporti sbagliati precedenti.
Tutto questo, prima che sia decantato, ce ne vuole...
Rita: Però con alcuni c’è sintonia, magari senza mai averli
visti prima.
Luigi: Certo, se tu incontri una che si è tagliata i capelli
nel tuo stesso modo dici “come stai bene”, ecco la sintonia!
L’amore rende tutti simili. L’amore di Dio ci rende tutti
simili a Dio. “Siate perfetti come è
perfetto il Padre vostro che fa splendere il suo sole sui buoni e sui cattivi…”,
l’amore di Dio ti rende come Dio: ti rende grande, comprensivo, paziente. È la
conoscenza di Dio che ti rende uguale.
Pinuccia B.: “Vi
riconosceranno da questo che siete miei discepoli: da come vi ho amati”. È
importante che ci riconoscano come discepoli?
Luigi: No, Egli lo dice perché possiamo illuderci. Illusi sono
coloro che pensano di appartenere a Dio dicendo “Io appartengo al tale ordine”;
uno si veste di bianco, l’altro si veste di nero; “io qui, io là”, e credono di
distinguersi da coloro che sono del mondo. Ma il Signore dice “Vi riconosceranno solo da questo, non
esigete altri segni di riconoscimento, perché questo è l’unico segno di
riconoscimento: la capacità che avete di amare”. La capacità di amare è la
presenza di Dio.
ciclo C – incontro n° 108 della Casa di Preghiera (11.01.1992):
Nino: Noi non siamo capaci di amare il nemico; lo possiamo
amare solo se vediamo nel nemico l’intenzione di Dio positiva.
Franca: Da questa possibilità che abbiamo ricevuto da Gesù tutti
ci riconosceranno…
Luigi: Sì, perché uno che non viene da Dio non può amare in
quel modo.
Delfina: L’amore è il sigillo personale che ognuno porta in sé.
Giovanna: “…tutti vi
riconosceranno”, ma anche chi non ha lo Spirito ci riconosce?
Luigi: È un segno e il segno si riconosce. Là dove si vede che
c’è la capacità di comprendere si riconosce che c’è. Anche se non hai lo
spirito puoi riconoscere se in uno c’è la capacità di comprendere, di amare. Amare
vuol dire comprendere, quindi possiamo vedere chi ha la capacità di comprendere
e chi non ce l’ha. Non sai donde venga, non sai dove vada, però capisci che
comprende. Se hai la luce tu puoi comprendere, se non hai la luce non puoi
comprendere. E tutti riconoscono che tu non comprendi.
Giovanna: Chi ha la luce comprende, ma chi non ha la luce si sente
compreso da chi non ha la luce. Ma cosa si riconoscerà?
Luigi: Riconosceranno che “siete
miei discepoli”. I discepoli del Cristo hanno questa capacità.
(?): L’amore umano è molto limitato.
Luigi: È limitato perché uno in quanto strumentalizza l’altro,
vede nell’altro se stesso. L’amore è limitato nel pensiero dell’io. Soltanto
con Dio c’è questa capacità di amore illimitato. Infatti con Dio c’è la
possibilità di amare anche il nemico, anche chi ti pesta un piede, perché tu lì
vedi la mano di Dio, vedi il pensiero di Dio. Ora, dove vedi Dio che opera, se
tu hai messo Dio prima di tutto, allora ami tutto e tutti. Invece nel pensiero
del tuo io non puoi amare il nemico. Amare vuol dire comprendere, e soltanto
con Dio puoi comprendere anche il nemico.
Cris: “In questo vi
riconosceranno come miei discepoli”, dal fatto che ci amiamo gli uni gli
altri, ma non di un amore terreno.
Luigi: E no, “se voi
salutate soltanto chi vi saluta, che merito ne avrete”, hanno una marcia in
più i discepoli del Cristo. Hanno la capacità di amare non solo chi è simpatico,
o chi li serve, ma anche il nemico, colui che li calpesta, che li uccide. Ma
questa è una possibilità che viene soltanto da chi vede l’opera, la presenza di
Dio anche nel nemico. Se tu vedi colui che tu ami in una sua opera, hai la
possibilità di sopportare; altrimenti non hai la capacità di sopportare. Quindi
l’amore è sempre la visione di un essere in-; l’amore è un legame con un
essere. Ora, in quanto tu vedi quell’essere in tutto hai la possibilità di
amare tutto. Ma là dove non vedi quell’essere non hai la possibilità di
amare.
Silvana: Quindi Lui ci dice questo perché misurandoci su queste
parole capiamo il cammino che dobbiamo fare.
Luigi: Diventa un test: tu verifichi; perché le cose dentro di te
non le puoi verificare. Noi siamo fatti di dentro e fuori; quello fuori è un
test per verificare quello che tu porti dentro. Se tu porti dentro qualche cosa
allora fuori tu verifichi questo qualche cosa che porti dentro. Se tu dici
di amare Dio, di conoscere Dio, però non riesci a comprendere le opere di Dio,
allora prendi coscienza che il Dio che è in te tu non lo conosci. Ecco
perché Dio ha messo il mondo attorno a noi, il mondo fuori di noi e non
soltanto gli uomini, ma anche tutte le creature. A seconda di come tu ti
comporti si rivela quello che tu porti dentro.
Pinuccia A.: Ogni creatura è una parola di Dio per noi.
Luigi: Sì, soltanto se tu vedi Dio nelle creature e per quanto
tu Lo vedi hai la possibilità di amare. Ma questo intanto presuppone che tu
abbia messo Dio prima di tutto. Come nell’amore umano: tu ami un essere e
amandolo ami tutte le opere che fa quell’essere. Là dove tu vedi la
manifestazione dell’essere che tu ami allora puoi amare; invece dove non vedi
la manifestazione dell’essere amato non ami. L’amore è sempre un legame con una
persona: là dove vedi quella persona, tutto diventa amabile in quanto ti rende
capace di amare. Infatti attraverso l’amore uno è fatto simile, è inserito
nella vita dell’altro e se tu sei inserito nella vita di un altro ami tutto ciò
che fa l’altro.
Pinuccia B.: Si è visto nella lettera di Giovanni che chi
ama è nato da Dio.
Luigi: Sì, ma bisogna intendere bene che cos’è l’amore.
Pinuccia B.: Chi sa comprendere tutti, chi sa amare anche
il nemico è segno che è nato da Dio.
Luigi: Per amare bisogna avere la capacità di amare. Ognuno ha
la capacità di amare secondo ciò che ama. Quindi se tu ami Dio, visto che Dio è l’Essere in cui c’è la ragione
di tutto tu hai in te la capacità di amare tutto e tutti. Se tu invece ami un
essere che è gretto la tua capacità è limitata a quella grettezza.
Pinuccia B.: Questo essere nato da Dio vuol dire avere Dio
per Padre, come motivo di vita.
Luigi: Ognuno di noi nasce da ciò per cui vive, perché siamo
condizionati da ciò per cui viviamo. Quindi nasciamo dal nostro fine. Soltanto se tu vivi per conoscere Dio
nasci da Dio.
Pinuccia B.: E se nasco da Dio ho la capacità di vedere
l’opera di Dio in tutto e in tutti; dunque se credo che è Dio che fa tutto non
posso non amare quello che fa, anche se non lo capisco.
Luigi: Anche se non capisci hai la capacità di sopportare,
perché sai che c’è la sua mano. Se invece tu non vedi la sua mano e non credi
in Dio non puoi sopportare una cosa che non sia conforme a quello che tu
desideri.
Pinuccia B.: Anche perché se so che tutto viene da Dio…
Luigi: …hai la capacità di sopportare in attesa di capire.
Simon Pietro gli
domandò: “Signore, dove vai? Gesù gli rispose: “Dove Io
vado, tu non puoi per ora seguirmi; mi seguirai più tardi”. Gv 13 Vs 36
Argomenti: La capacità di seguire
Cristo – Dio presente in tutto e tutti – Il restare di Pietro – Togliere il
futuro agli altri – Possibile e impossibile -
6/Settembre /1987
Luigi: “Mi seguirai più tardi: tu non
puoi per ora seguirmi”: è Lui che ci da la possibilità
di seguirlo. Noi dobbiamo solo guardare Lui: se Lui ci parla, noi lo ascoltiamo
e Lui ci attrae. Ma se non ci parla, non lo possiamo più ascoltare, non ci attrae
più e noi non lo possiamo seguire. La possibilità di seguire Dio è data da
Dio stesso, perché tutto è opera sua. C’è però un tempo della vita in cui
non lo possiamo trovare, un tempo in cui Lui se ne va e noi non possiamo
seguirlo.
Gesù
mi dice come a Pietro: “non puoi venire
dove vado Io”, Perché? Come mai Gesù viene per salvarmi e poi mi dice
questo? C’è una graduazione in questo parlare di Gesù: dapprima lo dice ai
Giudei, poi ai discepoli ed ora a Pietro. Prima lo dice a tutti, poi a tutti
coloro che l’hanno seguito, fino ad arrivare al tu per tu, a dirlo cioè
personalmente ad ognuno di noi: “per ora non mi puoi seguire”. C’è per tutti
un periodo della vita in cui non si può seguire Gesù. Lui stesso lo dice: “Dove Io sono, voi non potete venire da
soli; però Io vado a prepararvi un posto, affinché dove Io sono siate anche
voi”. È il tempo di assenza del Cristo, e di attesa della venuta dello
Spirito Santo: tempo di maturazione, di morte a noi stessi, di silenzio di Dio
in noi.
C’è
questo tempo che Gesù paragona alla gestazione: “Quando la donna deve dare alla luce un figlio geme e soffre, ma poi
gioisce. Così voi piangerete e il mondo riderà. Ma poi mi rivedrete di nuovo e
la vostra tristezza sarà cambiata in gioia e nessuno ve la potrà rapire”.
Ecco, prima di arrivare a questa gioia che nessuno ci può più rapire, è
necessario passare attraverso questo tempo di silenzio di Dio, di morte di Dio
in noi. La morte del Cristo è questo silenzio Dio in tutte le cose, è il
trionfo del mondo e il fallimento di Cristo, è vedere che il mondo ha ragione,
che il mondo trionfa con i suoi motivi, con la sua violenza, con le sue
sicurezze, con i suoi argomenti. Di fronte al Cristo che muore chi ha ragione?
I farisei, i sacerdoti, i romani.
Cristo
si è lasciato uccidere, è fallito. Come mai c’è questo tempo di fallimento in
cui il Padre tace (“Mio Dio, perché mi
hai abbandonato?”), in cui non si vede più la sua opera? Perché non manda i
suoi angeli a liberarlo?
La
lezione più efficace del Cristo è proprio la Croce, in quanto la creature deve
passare attraverso questo crogiuolo, per raggiungere quella maturazione
nell’amore e purificazione d’intenzione che è necessaria per ricevere la
conoscenza del Padre. È necessario passare per questa
prova, perché è lì che si prova il nostro amore, è lì che si mette in evidenza
il motivo per cui serviamo Dio.
Cfr.
Giobbe: “Il diavolo disse a Dio: Giobbe
ti serve perché gli hai dato tanti beni: provalo e vedrai se ti serve ancora”.
È necessaria la prova perché tante volte si segue Dio, Lo si serve e si crede
in Lui perché si sta bene, perché tutto va come vogliamo noi, e ci si può
illudere. Allora Dio opera per
evidenziare a noi stessi il motivo per il quale crediamo in Dio, per il
quale amiamo e serviamo Dio.
Lo
ami per la caramella? Allora ecco che Dio ti fa andare tutto al rovescio: è il
momento della prova affinché tu veda perché servi Dio.
Fintanto
che noi amiamo Dio perché Egli opera a nostro favore, non possiamo provare il
nostro amore. C’è bisogno allora di sperimentare il silenzio di Dio,
il trionfo del mondo per provare, per evidenziare a noi stessi se dentro di noi
c’è vero amore o no. C’è per tutti questo tempo di silenzio di Dio e
dell’apparente trionfo del mondo, perché è necessario per maturare il nostro
amore per Dio. È il momento della prova del nostro attaccamento a Dio, che
sembra perdere di fronte al mondo.
“Signore dove vai?”: le nostre domande sono sempre delle
risposte. Interroghiamo perché Dio ha portato a noi qualche suo argomento. Interrogando,
riveliamo anche ciò che portiamo dentro di noi, se abbiamo interesse o meno per
gli argomenti di Dio, per la sua Persona.
Gesù
aveva detto a tutti che se ne andava, “Dove
Io vado voi non potete venire”. Siccome Dio ha parlato, nasce
l’interrogazione, il “perché” interrogativo, e a questo “perché” Dio risponderà
successivamente, se la creatura si apre, con un “perché” giustificativo.
Abbiamo questa circolarità: l’iniziativa parte da Dio che presenta un
argomento, nasce nella creatura il “perché” e Dio risponde se c’è apertura.
Tutte le cose, tutte le creature, tutte le opere di Dio vengono da Dio e
ritornano a Dio, come la pioggia che scende dal cielo, feconda la terra e
ritorna nel cielo. Tutto ha questa circolarità. Però nel pensiero del nostro io
questa circolarità può essere interrotta a metà strada, per cui le creature, i
fatti, ecc. anziché portarci a Dio ci portano fuori, lontano da Dio. Perché ciò
che noi raccogliamo in Dio, ci lega a Dio e ci prepara ad essere fedeli al
Pensiero di Dio nel periodo di attesa e di prova che precede la rivelazione
della Presenza di Dio, cioè nel periodo in cui non possiamo seguire Gesù.
“Per ora non puoi seguirmi”:
è il momento della prova. Il pensiero dell’io in questo tempo ci può far
cadere, invece il Pensiero di Dio ci mantiene fedeli, anche se noi non
esperimentiamo più l’opera di Dio, la Parola di Dio. È necessario questo
tempo. Ci troviamo come abbandonati, non troviamo le risposte ai nostri
“perché”, assistiamo a qualcosa che ci sconvolge. Anche questo tempo è opera di
Dio.
Nella
nostra vita ad un certo momento ci deve essere questo silenzio con Dio solo,
questa solitudine con Dio; e Dio ci sta
conducendo verso questa solitudine con Lui. L’ora delle tenebre deve
avvenire, ma ognuno sarà sostenuto da ciò in cui avrà creduto. Il Pensiero
di Dio, il Verbo (non più il Cristo) ci sostiene attraverso il ricordo
dell’insegnamento ricevuto. Gesù ce lo dice: “Vi dico queste cose prima che avvengano, affinchè quando avverranno vi
ricordiate che ve le ho dette”. Egli parla per prepararci a sostenere ciò
che avverrà. Quindi se Egli mi dice che deve avvenire questo tempo delle
tenebre, quando questo tempo giungerà dirò “lo sapevo, me l’aveva detto!” e
questo ricordo delle sue parole mi sostiene. Così avviene per coloro che sono
nell’angoscia per la morte del Cristo e a cui Cristo si manifesterà risorto:
avendo creduto in Cristo ottengono la grazia di ritrovare il Cristo risorto e
ognuno lo ritroverà per quello che avrà creduto. Cristo si fa ritrovare
attraverso questi segni.
L’opera
di Dio è quella di portarci a questo silenzio con Lui solo. Il silenzio è
necessario affinché arrivi il momento della grande rivelazione di ciò che Egli
è.
Tutte
le creature ci sollecitano a cercare il Padre, ma nessuna creatura può dirci
ciò che Egli è. Solo Dio ce lo può dire. Ecco perché ad un certo momento si
richiede questo tempo di solitudine con Dio, di silenzio di tutte le cose: e
deve avvenire questo silenzio con Dio solo. Il momento di questa
rivelazione, cioè della nostra vera nascita dipende da Dio: Lui sa quando
la nostra anima è matura.
Da
parte nostra, meno ci raccogliamo nel Pensiero di Dio, più prolunghiamo la
nastra agonia, perché il superamento totale del nostro io per pensare solo
a Dio, è la condizione per ricevere questa rivelazione, che è il punto da
cui inizia la vita eterna.
Questo tempo di silenzio è una
soglia in cui tu non sai cos’è il Pensiero di Dio, però hai il Pensiero di Dio,
ed è solo questo che ti sostiene. Porti con te la parola di Cristo
(ad es.: “vi è mai mancato qualche cosa?”)
in cui hai creduto, però è una parola che non esperimenti più attorno a te,
perché attorno a te esperimenti ben altro. Il Pensiero di Dio lo abbiamo, ma
non più dall’esterno, perché anzi tutto dall’esterno ci parla della vittoria
del mondo contrario a Dio. E in quel solo Pensiero di Dio la nostra anima
attende la Presenza di Dio, ma non la esperimenta ancora. È la tribolazione di
una nuova nascita, la nascita del figlio di Dio.
Gesù
lo dice prima che avvenga “Vi troverete
soli, piangerete e il mondo riderà…”. Ecco, l’ambiente non risponde più
alle esigenze sostanziali della mia anima; la mia anima è triste perché il
Signore se ne andato, mentre l’ambiente intorno a me è allegro. Si deve
verificare questo. Cfr. Noè che costruisce l’arca: faticava e gli altri
ridevano, ma nel diluvio ha avuto ragione Noè.
Chi
sta in questo silenzio e non accondiscende alle sollecitazioni dell’ambiente,
ha creduto a Dio; quindi è entrato nella conflittualità con un
mondo contrario, però non ha ancora esperimentato il regno di Dio, perché non
vede la Città di Dio che discende dall’Alto. C’è una nascita da Dio che deve
avvenire prima, per poter esperimentare il regno di Dio. Fintanto che non si
vede questa città (la nostra anima che discende da Dio) non si esperimenta la
Presenza di Dio.
Cfr:
Gesù dice: “La donna quando deve
partorire soffre, ma poi gioisce per aver dato alla luce un figlio”. Noi
siamo questa madre che deve dare alla luce un figlio. Prima c’è la sofferenza,
poi c’è la gioia. Prima c’è solo la tribolazione: ci si sostiene solo sulla
Parola di Dio, ma Parola non più esperimentata. Prima l’esperienza della
Parola ci sosteneva poiché Dio ci mandava le caramelle, successivamente la
Parola è nuda e cruda. E deve essere così. Bisogna appoggiarsi su di essa senza
altri appoggi, senza esperimentarla. Anzi, la difficoltà sta proprio in
quanto uno esperimenta cose diverse da quelle che si aspettava. I discepoli
durante la passione e morte del Maestro provarono delusione e disorientamento.
Anche questo discorso di Gesù, che annuncia il
tradimento di uno di loro, e che dice che sta per andarsene, li lascia
disorientati. Pietro, ad es., non ha penetrato il discorso di Cristo, ha
saltato tutto l’argomento dell’amore per riprendere il discorso di prima, perché
è quello che l’ha colpito, “dove Io vado,
voi non potete venire”. Ma Gesù aveva aggiunto “però vi lascio un dono che vi farà amare gli uni gli altri come Io vi
ho amato”. Avrebbe dovuto gioire di questo dono, ma Pietro è rimasto alla
prima affermazione (il Maestro se ne va), per cui la sua domanda si collega con
“Dove Io vado…”, e allora chiede “Maestro, dove vai?”. Egli non vuole
separarsi dal Maestro, ed è sicuro che non si separerà mai.
Ma
Pietro dovrà esperimentare la propria miseria, il proprio nulla, la persistenza
del proprio io, il rinnegamento, il tradimento e poi il disorientamento
provocato dall’assenza del Verbo incarnato, cioè del Verbo fuori di noi.
Anche
noi dobbiamo passare attraverso questa esperienza di Pietro. Il momento delle
tenebre c’è per tutti, perché fintanto
che facciamo conto su qualcosa di diverso da Dio, non possiamo entrare nel
regno di Dio. Il momento delle tenebre è necessario per arrivare a far
conto tutto su Dio, è purificazione, è superamento dell’io. Pietro non
aveva ancora superato il suo io. Per questo Gesù gli dice: “tu per ora non mi puoi seguire”: è la prova.
“Più tardi mi seguirai”,
è la certezza che Gesù ci infonde. La certezza è data dalla Parola di Dio, per cui
a quel punto facciamo conto solo sulla Parola di Dio, non più su di noi, e si
nasce dall’Alto in virtù della Parola di Dio. Fintanto che si fa conto su altro
non si nasce dall’Alto; Pietro faceva ancora conto su di sé, “…io darò la mia vita per te”.
Bisogna
arrivare a far conto solo sulla Parola di Dio, Parola che ad un certo momento
non è più parola esterna (Cristo incarnato se ne va) ma diventa puro Pensiero
di Dio che è Presenza. È un “eccomi!”: Dio che rivela la sua presenza. E da
questa parola si nasce.
Per
arrivare a questa parola “eccomi!”, a questa presenza, è necessario passare
attraverso il silenzio di tutto, perché i figli di Dio nascono da Dio. È
sulla Parola di Dio che ci dobbiamo sostenere durante questo silenzio di tutto
(anche dalla Parola di Dio esterna), poiché deve avvenire in noi la
presenza del Pensiero puro di Dio: nascita da Dio, che richiede la nostra
partecipazione totale.
Anche
questo silenzio di tutto, questo silenzio di Dio è opera di Dio per portarci
alla vita eterna. È opera educatrice di Dio per portarci alla salvezza. Questo
silenzio di tutto è opera educatrice di Dio per modificare il nostro interno,
dove magari facciamo ancora conto su di noi, sul mondo, ecc. Ci deve essere
questo silenzio di tutto, perché i figli di Dio nascono da Dio e non da altro.
Abbiamo una nascita fisica che avviene senza di noi; la seconda nascita non
avviene senza di noi, richiede la partecipazione nostra, che consiste
nell’annientamento dell’io per nascere nuovo da Dio come intelligenza, volontà,
ecc.; è la creatura nuova che non nasce senza di noi.
Anche
il silenzio di tutto è opera di Dio per la nostra vita eterna. Quindi se Dio ci
mette davanti lo scandalo della Croce, il trionfo del mondo, questo è opera di
Dio per portarci alla vita eterna, non per desolarci. È opera di Dio e va vista
come opera di Dio, ma per vederla come tale bisogna nascere da Dio; è meglio
lasciar perdere tutto pur di non perdere di vista il Pensiero di Dio. Si
devono concentrare tutte le forze lì.
Molti
di noi invece si giustificano di non fare questo dicendo che devono occuparsi
della liturgia, delle regole, del lavoro, di cose sante, delle missioni, ecc.;
ma Gesù ci dice che se la moglie, il lavoro, i campi, ecc., ci impediscono di
assaggiare la sua cena, vuol dire che non siamo giustificati da queste cose.
In
ogni luogo, in ogni situazione di vita corriamo sempre il rischio di perdere di
vista l’essenziale. Il lavoro, la moglie, non sono cose e creature sante?
Eppure possono essere di ostacolo. Gesù nella parabola degli invitati a nozze è
chiaro: dice che il lavoro, la moglie (che è pur un sacramento) possono
diventare motivo per cui non assaggiamo la sua cena. Abbiamo l’esempio di quel
vecchio trappista che ha dovuto confessare, alla fine della sua vita, di essere
vissuto per le sue api.
S.
Teresa d’Avila diceva alle sue suore “avete
lasciato un mondo, fate attenzione a non costruirvene un altro qui dentro”.
Non dobbiamo essere sicuri in nessun posto.
“Mi seguirai più tardi”:
Cristo potrà essere seguito quando la nostra anima sarà matura: per questo ci
deve essere la desolazione là dove non dovrebbe esserci (“vedrete la desolazione nel Tempio...”)perché deve esserci questo
crogiuolo (è lo choc escatologico) per ciascuno di noi; per cui tutte le
sicurezze su cui fondavamo la nostra esistenza crollano, perché Uno solo deve
essere la nostra sicurezza: Dio. È per questa nostra maturazione che Dio fa
crollare tutte le altre sicurezze: lo fa per salvarci.
Questa
è la nostra speranza: “mi seguirai più
tardi”. È una promessa. L’ideale sarebbe che noi anticipassimo i tempi,
superando queste sicurezze e valori diversi da Dio per puntare su Dio, per far
conto su Dio. Bisogna che l’anima scopra che tutto assolutamente è mezzo,
fuorché la Presenza di Dio che è il Fine. Se non scopriamo che tutto è
mezzo, Dio ci fa esperimentare il nulla di quello su cui facciamo conto, per
salvarci, in tal caso non possiamo non passare per questa prova. Invece si può
evitare questa prova se uno la fa prima. Dio fa crollare le cose solo per la
salvezza della nostra anima. Per ciascuno perciò c’è questa fine del mondo, e
Cristo ci avvisa e ci dice queste cose
“affinché possiate scampare questa prova… quando vedrete queste cose, sappiate
che la vostra liberazione è vicina”. La fine del mondo è vedere il crollo
di tutti questi valori.
Cristo fin
dal principio, fino alla sua morte, opera per formare nella nostra anima la
certezza che la Presenza di Dio in noi è il fine e che
tutto il resto è mezzo. Con le parole che dice a Pietro promette che più tardi,
a maturazione avvenuta, lo potrà seguire.
(06.08.1980)
Nei
versetti precedenti Gesù ha dato da intendere che se ne va e che gli apostoli
non possono seguirlo dove Lui va, però lascia loro il suo Spirito che gli darà
la grazia di amarsi gli uni gli altri come Lui li ama. Pietro ha capito solo
questo: “il Maestro ci lascia”, ed è per questo che chiede “dove vai?”. Al che il Signore risponde: “Dove vado Io tu per ora non puoi venire, mi seguirai più tardi”.
Prima
di poter raggiungere il Maestro nel luogo in cui va, c’è una prova da passare:
la prova del silenzio e la prova delle tenebre, dell’apparente trionfo del
mondo. Solo se rimaniamo con il Pensiero di Dio (Verbo non incarnato) e solo
uniti a Lui, possiamo superare il momento del silenzio e il momento delle
tenebre, rimanendo nell’attesa del dono dello Spirito di Dio, del dono
della Presenza del Padre. In questo silenzio di Dio, dell’apparente assenza di
Dio, dell’apparente trionfo del mondo, nel silenzio di tutto, nel silenzio
dell’io e del mondo relativo all’io, l’anima rimane solo col puro Pensiero di
Dio che il Verbo incarnato ha lasciato in lei prima di andarsene. Questo
momento di silenzio e di tenebre è necessario per imparare a far conto in tutto
su Dio. In questo momento l’anima ha la possibilità di far conto su Dio, è
matura per questo, perché se no il Verbo incarnato non se ne andrebbe ancora.
Però,
anche in questo momento c’è sempre il rischio di non far conto su Dio, perché
non è una cosa automatica, ma richiede sempre una partecipazione personale. È
prova per noi, ed è rischio di non far conto su Dio, perché è il momento in cui
solo il mondo sembra prevalere. L’amore di per sé è un rischio perché deve
puntare tutto su una cosa, cioè deve scegliere. E scegliere vuol dire lasciare, perdere. L’amore è scelta, quindi
rischio e si può essere vinti dalla paura di perdere. Nella vita dello spirito
vince chi sa perdere.
Se
crediamo di scegliere senza lasciare, senza perdere qualcosa, non scegliamo,
quindi non amiamo. Scegliere senza lasciare è perdere tutto,
non è amare. Ecco perché tutte le cose se ne vanno: per aiutarci a scegliere, a
lasciare.
Pietro
interroga “dove vai?”, poiché il
vangelo va applicato personalmente, quand’è che la nostra anima si forma questa
interrogazione? Quand’è che l’anima sente questo bisogno di interrogare? Cosa
significa questo interrogare per l’anima umana? E quand’è che nella nostra vita
riscontriamo queste parole di Gesù “Io me
ne vado… è necessario che Io me ne vada!”?
La
domanda “Signore, dove vai?” è
collegata con l’affermazione precedente di Gesù “Io me ne vado”. Quando si verifica questo nella nostra vita?
Questo avviene quando, per ognuno di noi, l’Incarnazione ha esaurito la sua
missione, e così pure tutte le creature.
Cristo
è il compimento dei tempi, è la sintesi di tutte le opere di Dio e quindi
rivelazione. La creazione, la storia, la vita dell’uomo vanno verso una
conclusione, verso una sintesi in cui si evidenzia tutta l’opera di Dio.
Cristo
essendo Parola di Dio, Verbo di Dio, è Colui nel quale si sintetizzano tutte le
lezioni di Dio, si ricapitolano, quindi si evidenziano.
Il
Cristo che dice “Io me ne vado”, ci
illumina sul senso del passare delle cose: tutto viene da Dio, da a noi
qualcosa e poi se ne torna a Dio. Ecco perché siamo immersi nel tempo. Anche Cristo
(Verbo incarnato) appartiene al tempo, quindi viene e se ne va anche Lui: passa
tra noi lasciandoci un messaggio, forma in noi qualche cosa e se ne va.
Cristo
che passa è rivelazione del senso del passare di tutte le cose, dell’opera di
Dio: col passare delle cose si forma in noi l’interrogazione: “perché?”.
Assistendo al passare di tutte le cose si forma nell’animo umano il “perché?”, “dove vai, Signore?”. Tutte le creature
nascono, durano un po’ di tempo e se ne vanno. È qui che nella nostra anima si
forma l’interrogazione: “Dove vai,
Cristo?”.
Tutte
le cose vengono da Dio e tornano a Dio; ma perché? Per portare noi a Dio.
Quindi
le cose vengono a noi per formare in noi un desiderio, per farci prendere
coscienza del bisogno che abbiamo di conoscere Dio e di impegnarci a
conoscerlo. Tutte le cose hanno questo scopo: portarci a Dio e, passando,
impegnano noi con Dio.
“Signore, dove vai?” è
il desiderio dell’anima che cerca Dio, che cerca il significato della vita, il
senso del tempo. La domanda “dove vai?” è il bisogno dell’anima di cercare e trovare Dio. Però
qui abbiamo la risposta di Gesù: “dove Io
vado tu non puoi venire”. Dicendoci questo ci fa toccare con mano un fatto:
tutti vanno a Dio per farci conoscere Dio, però ci troviamo in una situazione di
impotenza: da soli siamo impotenti a trovare Lui, a conoscere Lui, ad andare
dove Lui è. È l’ora della prova. E perché? In che consiste? Che significa il
fatto che ci sono momenti di luce e momenti di tenebre? Perché Dio manda la
luce e ce la toglie? Ci da delle persone e poi ce le toglie? Ci fa delle
promesse e poi ci delude? Perché un giorno siamo felici e un giorno siamo
tristi? Perché c’è la gioia e perché c’è il dolore? Per quale motivo? Perché si
esperimenta il passare delle cose?
Dio
ci da una luce per avvicinarci a Lui, ma poi ci prova per non lasciarci
adagiare nelle creature. Il momento della prova ha lo scopo di farci imparare a
non tradire, a far conto su Dio, superandoci. Ma la luce ce la da inizialmente,
perché se Dio non ci illuminasse, noi non lo potremmo desiderare, perché il
desiderio si forma vedendo.
Quindi
in un primo tempo Dio arriva a noi senza di noi, in un secondo tempo non si fa
più trovare senza di noi. Lui ci ama per primo, anche quando non siamo capaci
di amarlo, anche se ne siamo indegni, anche se ci troviamo nel più nero degli
abissi; siamo sempre amati da Dio, perché se non ci amasse, noi non potremmo
amare, perché il nostro amore è sempre
una risposta all’amore di Dio, all’iniziativa di Dio, il quale si dona sempre
per primo per formare in noi il desiderio di Lui.
Dio
si dona senza di noi, l’iniziatore è sempre Lui; in un secondo tempo però
richiede la partecipazione attiva, un superamento, richiede da parte nostra un
impegno personale, una risposta d’amore. Ecco perché c’è una risposta d’amore
da parte della creatura: si entra nella vita donandosi, non ricevendo.
Il difficile è donarci ad un amore, perché donarci vuol dire lasciare il resto,
poiché amare vuol dire mettere uno al di sopra di tutto; in caso contrario non
si entra nell’amore. Noi diamo la nostra risposta di amore nel momento in cui
sappiamo donarci, sappiamo amare, sappiamo lasciare, sappiamo cioè superare il
nostro io. Per donarci bisogna lasciare. Ecco perché Gesù ci dice “Dove Io vado voi non potete venire, per
ora”: non abbiamo ancora lasciato tutto; e fintanto che non lasciamo tutto
di noi e noi stessi, non possiamo entrare in Dio, non possiamo conoscerlo.
La
domanda di Pietro, “dove vai?”,
rivela l’interesse suscitato da una cosa che viene meno. Ci arriva una cosa, e
se ci viene annunciato che ci viene tolta subentra l’ansia, “come potrò riaverla?”. L’interesse è amore.
Cristo
per primo si è donato a Pietro e ora se ne va; ma Pietro avendo seguito Cristo
ora ha bisogno di Lui. Pietro non avrebbe bisogno di Cristo se Cristo per primo
non si fosse donato.
Dio
si dona per primo e poi ad un certo momento si sottrae, perché ha formato in
noi l’interesse per trovarlo con la nostra partecipazione personale.
Quando
Cristo si sottrae, in Pietro ormai si è formato il bisogno di Lui, un bisogno
di ritrovarlo; per cui quando Gesù dice “Io
me ne vado”, Pietro gli chiede “dove
vai?” perché vuole seguirlo. Ma Gesù gli risponde “Dove Io vado tu per ora non puoi venire”: finché Pietro fa conto
su di sé, finché non si è superato, non potrà andare dove Cristo va, anche se
afferma “…perché non ti posso seguire
ora? Io darò la vita per te! Ti seguirò fino alla morte!”.
Pietro
è troppo sicuro di sé. Non si può arrivare a conoscere Dio e il suo regno
fintanto che facciamo conto su di noi, sulle nostre promesse, sulle nostre
virtù, su ciò che sappiamo fare e su ciò che non sappiamo fare, poiché si
conosce soltanto per mezzo di Dio e solo facendo conto su Dio. E fintanto che
noi non perdiamo tutto quello su cui facciamo conto, non vedremo Dio. Ecco
perché vediamo le creature e non Dio. Se
noi fossimo capaci, in questo momento, di lasciare tutto di noi, di dimenticare
tutto di noi, noi vedremmo Dio, perché Dio è presente.
Se
non lasciamo tutto, cioè se non facciamo unicamente conto su Dio, fossimo
anche sull’ultimo gradino prima di raggiungere la vetta, non solo non possiamo
restare in quel gradino, ma perdiamo tutto, non possiamo trattenere niente.
Se non arriviamo al Fine, perdiamo tutto. Tutto è dato da Dio come mezzo per
condurci a conoscere Lui, perché siamo creati per conoscere Dio.
Domanda:
In questo momento delle tenebre, in cui si sperimenta il silenzio di Dio, è
solo il Pensiero di Dio che ci sostiene. Come si sperimenta allora il silenzio
di Dio se è il Pensiero di Dio che ci sostiene?
Luigi:
Si esperimenta il silenzio di Dio in quanto non si esperimenta più Dio
esternamente, così come lo si esperimentava quando ci dava le caramelle, quando
in tutto Dio rispondeva ai nostri desideri. Infatti arriva il momento in cui
Lui tace, perché ci invita a salire più in alto, a non accontentarci dei suoi
doni. Egli vuole farci capire che i suoi doni sono per sollecitaci a cercare
più Lui. Tante volte invece noi ci fermiamo ai doni, alle creature, e non
ci preoccupiamo di cercare il Creatore. Dio ci da tutto per sollecitarci a
guardare Lui, perché la vita eterna è conoscere Lui. Ecco perché ad un certo
momento ci toglie tutto: per sollecitarci a cercarlo, perché non abbiamo colto
il significato dei suoi doni. Se avessimo capito il significato dei suoi doni e
avessimo quindi alzato lo sguardo a Lui non ce li avrebbe tolti.
La
notte c’è per sollecitarci a guardare Lui. Tutti i
doni che ci dà sono per sollecitarci a guardare Lui, ma siccome abbiamo solo lo
sguardo ai doni deve toglierceli, perché i suoi stessi doni ci impedirebbero di
entrare nella vita eterna.
Domanda:
Se in quel silenzio di Dio abbiamo il Pensiero di Dio (non siamo pensiero di
Dio) allora vuol dire che lui seguita a parlare e quindi non c’è più silenzio
di Dio.
Luigi:
Sì, seguita a parlare, ma non più come segno. Cristo è la Parola di Dio che
parla un linguaggio umano, parla in parabole; la stessa creazione è
parabola di Dio. Ma “viene il giorno in
cui non vi parlerò più in parabole – dice Gesù – ma apertamente vi parlerò del Padre”. Quindi, quando Dio tace,
quando cioè Cristo si sottrae, noi siamo affidati da Lui al Padre; rimane
perciò il Pensiero di Dio in noi che non parla più a noi in parabole, con
parola umana, ma con un linguaggio nuovo: è lì la crisi, perché a questo
linguaggio noi non siamo abituati. Non si può spiegare la parola nuova che
udiamo (perché sarebbe ancora parabola), non la si può spiegare perché è
Presenza, è “eccomi”, senza parole. Ti fa vedere il Padre, te lo
presenta. Te lo fa vedere in quel silenzio. Se tu permani in questo silenzio,
senza sostenerti su altro, lì impari una vita nuova, lì c’è una nascita nuova.
Domanda:
Perché Gesù non dice chiaramente dove va?
Luigi:
L’ha già detto e lo dirà dopo: ritorna al Padre. Ma pur dicendo questo a
Pietro, non dice quel “qualcosa” in grado di condurlo dove Egli va. Però Lui lo
dice per affidarlo al Padre. L’ultima preghiera consiste nell’affidare tutti
coloro che erano con Lui al Padre, affinché sappiano che sono affidati al
Padre. È come se uno, dovendo partire per un lungo viaggio, affidasse una
persona cara ad un’altra persona, questo suo caro guarderà solo a quella
persona a cui è stata affidato e da lei dipenderà in tutte le sue necessità.
Nell’ultima preghiera Gesù dice sostanzialmente questo: “finora sono stato con voi, ora me ne vado ma vi affido al Padre… voi
mi rivedrete e la vostra gioia sarà completa”. Affida i discepoli al Padre,
ma nonostante li affidi, l’affidamento non avviene automaticamente; le
difficoltà, e si esprimono in questa problematica: “noi non vediamo il Padre e
allora cosa facciamo?”. Ecco, si richiede quel silenzio (simboleggiato dai
dieci giorni di attesa) per ricevere ciò che devono ricevere. Sarà in quel
silenzio che, ricordando quanto Gesù aveva loro detto, saranno sostenuti.
Comunque
qui era importante che Gesù dicesse a Pietro che dove Lui andava egli non
poteva andare. Perché? Perché fintanto che si fa conto su altro da Dio non si
può andare dove è Dio. Infatti Pietro presumeva sulle sue forze, “ti seguirò fino alla morte”, per cui
Gesù deve annunciargli il suo prossimo tradimento: “stanotte mi rinnegherai tre volte”. Questo vuol dire che faceva
conto su se stesso. E fintanto che facciamo conto su noi stessi, non possiamo
conoscere il Padre, perché conoscere il Padre vuol dire nascere dal Padre.
“Più tardi mi seguirai”:
l’arrivare al luogo dove Cristo va (il Padre) è affrettato dalla morte a noi
stessi, perché da parte sua Cristo ha dato tutto. Quel “più tardi” dunque può essere abbreviato dal nostro con-morire con Lui,
dal non far più conto su altro che su
Dio. Pietro non era morto a se stesso, ancora non si era superato, per questo
non poteva andare dove andava Cristo. Era necessario prima che morisse a se
stesso, cioè non pensasse più a sé, non contasse più su di sé, ma solo su Dio,
perché la creatura nuova nasce da Dio, non dalla nostra buona volontà, non
dalla nostra intelligenza, dai nostri impegni, dalle nostre virtù; non nasce da
noi, ma da un Altro.
Si
nasce da un Altro, quindi bisogna far conto su un Altro. È quanto avviene in
quell’esperienza del silenzio; quel silenzio è necessario per Pietro e per noi,
per morire a noi stessi. Allora la creatura nuova può nascere. Ma bisogna far
conto solo su chi ci può far nascere. Affidandoci al Padre Cristo ci dà la possibilità
di ricevere il dono del Padre. Cristo
porta ciascuno di noi, se lo ascoltiamo, a far conto solo sul Padre. Seguendo
tutte le lezioni del Vangelo, parola per parola, ci abitua a trascendere noi
stessi, il mondo, per riferire tutto a Dio, perché tutto viene da Dio, e quindi
a far conto solo su Dio. È Dio che parla in tutto con noi ogni giorno; e
noi dove siamo? Cristo ci insegna questo….; e tu? Pensavi a te, alle creature,
a ciò che fanno le creature, ecc., e non ti sei mai accorto che Dio parlava con
te.
Tutti
i nostri problemi sono determinati da questo: c’è uno nella nostra stanza che
parla con noi e noi non lo ascoltiamo; conviviamo con Uno che ignoriamo,
con Uno che non possiamo far fuori, perché è il padrone. Si ascolta e si vede
Dio che è con noi soltanto col cuore. L’importante è ascoltare col cuore e
allora si giunge a vedere col cuore Colui che parla sempre con noi. Bisogna
ascoltare col cuore per vederlo, e allora la vita diventa luce, perché Dio è
presente con noi, in noi ogni giorno.
Domanda:
Quel “mi seguirai più tardi” è una
certezza?
Luigi:
Sì, ma quando sarai morto a te stesso. È la condizione.
Qui
Cristo si avvia alla morte e Pietro si avvia al tradimento. La morte di Cristo
è una tragedia per il discepolo (“speravamo
che…”); inoltre Pietro porta su di sé il peso del tradimento. Questi due
fattori tragici che piombano su di lui, lo portano alla morte di sé. L’uomo
che fa conto su di sé, per morire a se stesso deve sperimentare il fallimento
di se stesso; faceva conto su questo e invece… Perché questo?
Dobbiamo
passare attraverso il fallimento di ciò che da noi era stato elevato a
sicurezza. Dobbiamo convincerci che è Dio che sta lavorando per me, con me;
dobbiamo convincerci a far conto su di Lui. Se così facessimo andremmo di luce
in luce, di conferma in conferma, perché Dio
non si diverte a farci fallire: siamo amati da Lui da sempre. Infatti noi
siamo capaci di amare solo perché riceviamo amore, siamo capaci di ascoltare e
di intendere, perché c’è uno che parla con noi prima di noi e che parlando a
noi forma in noi l’orecchio.
Noi
siamo fatti da Dio, la nostra capacità di penetrare non è nostra: ci viene dal
fatto che Dio pensa a noi, se no non saremmo capaci di pensarlo. Sentiamo il
bisogno della Verità, perché la Verità per prima si dona (l’animale non sente
questo bisogno). Tutto ciò che in noi è bisogno è risposta a ciò che Dio ci
ha dato per primo. È solo quando abbiamo sperimentato il nulla nostro
(cos’è che non abbiamo ricevuto?) che noi cominciamo a far conto su Dio in
tutto, e quindi a morire a noi stessi. Cristo lo seguiamo solo morendo a noi
stessi. Ma nessuno, nemmeno Dio, può costringerci a morire a noi stessi.
Dio ci può convincere, illuminandoci sui motivi per cui è necessario morire a
noi stessi, ma non ci costringe, perché costringere vuol dire privare della
capacità di conoscere.
Per
poter conoscere Dio ci vuole un atto libero; per cui io, pur potendo far conto
su me stesso, faccio conto su Dio, perché Dio è più importante, Dio è un Altro
da me, è un Altro da altri. Basta un filo d’erba per convincermi che non sono
io Dio, quindi non devo vivere pensando a me, facendo me stesso centro della
mia vita e della vita degli altri, al posto di Dio. Non siamo noi Dio, né nel
piccolo, né nel grande, questa è la verità, perché noi siamo solo creature.
Essendo creature dobbiamo mettere Dio al centro, non noi, altrimenti siamo nel
falso, nell’ingiustizia e quindi ci immergiamo nel caos e non capiamo più
niente.
Per
conoscere Dio ci è richiesto l’atto libero di far conto su Dio, ma per far
conto su Dio dobbiamo mettere la giustizia a base della nostra vita. La
giustizia è questa: tu non sei Dio, Dio è un Altro, quindi sii giusto mettendo
Dio al centro dei tuoi pensieri. Questo è morire a noi stessi.
Il
morire a noi stessi è un fatto positivo, è fare la giustizia senza la quale non
si può camminare nella Luce, poiché se non mettiamo al centro Dio, che è la
Verità, mettiamo un falso centro della nostra vita, per cui camminiamo nella
notte, e ci è impossibile arrivare alla Luce. Dio opera tutto per
convincerci che non siamo noi Dio; è questa la lezione fondamentale della
creazione: “un Altro ti ha fatto, quindi alza gli occhi all’Altro che ti ha
fatto, non vivere per te, non fare di te il tuo dio”. Purtroppo noi tendiamo a
fare di tutto il nostro dio (denaro, gruppo, società, ecc.)facendo di tutto un
assoluto, mentre tutte le creature ci invitano a non deificarle.
“Alza
gli occhi ad un Altro!”: è questa la lezione fondamentale scritta in tutte le
frange dell’universo. La giustizia fondamentale è la nostra risposta a questa
lezione fondamentale: “alza gli occhi, metti Dio al centro della tua vita, se
no cammini nella notte; avrai molte cadute, ma queste cadute derivano dalla
giustizia non fatta”.
Non
possiamo andare dove Lui è, perché camminiamo nella notte. Quindi fa questa
giustizia! Dio non ci obbliga a farla perché ci ha fatto consapevoli (perché
solo un essere consapevole può conoscere la Verità) e un essere consapevole può
dire “sono io”. No! Dio solo è. Dio solo è l’Essere! Noi siamo e viviamo solo
nella misura in cui partecipiamo a Colui che è. Partecipare di Colui che è vuol
dire metterlo al centro: accogliere e riportare tutto a Dio, non disunire nulla
da Lui.
Dio
parlando mantiene le cose unite a Sé, quindi anche tu mantienile unite,
riferiscile tutte a Lui, non attribuirle ad altri. Quindi
tutte le cose, tutti i tuoi pensieri, stati d’animo, ecc., riferiscili sempre a
Lui, dialoga in tutto con Dio. Se facciamo questo, è segno che abbiamo Dio come
punto fisso di riferimento, che abbiamo Dio al centro della nostra vita.
Puoi
non capire ciò che Dio ti dice, ma preoccupati di avere questi pensieri uniti a
Dio, non fermarti mai a nulla di autonomo, ma chiedi sempre: perché Dio dice
questo? Perché opera questo? Queste domande denotano che hai Dio al centro. Se
uno invece si accontenta di vedere le cose in modo autonomo (questo l’ha fatto
il caso, la natura, l’uomo) vuol dire che non ha messo Dio al centro della sua
vita, del suo pensiero.
“Fate penitenza”:
ci dice Giovanni Battista, predicando il battesimo di giustizia. Fare penitenza vuol dire cambiare modo di
pensare: prima riferivi le cose all’uomo, ora riferiscile a Dio, prima
pensavi secondo gli uomini, ora pensa secondo Dio. È questa giustizia
dentro di te che ti fa capace di camminare con Cristo nella luce e giungere
così dove Lui va.
Marco:
Perché tante persone sono nella luce, sono contente senza morire a se stesse?
Luigi:
La luce di cui godono è luce relativa alla creatura (non è ancora conoscenza di
Dio) e la creatura crede di capire, di sapere tutto (come fa il bambino quando
sa qualcosa). Fintanto che tutto va bene ci sentiamo nella luce, ma quando le
cose non vanno più come vogliamo noi, allora cominciano le tenebre. Quando
vediamo che quello che cerca il denaro è felice perché lo trova, ci domandiamo:
Dio dov’è? Aspetta! Arriverà il momento
in cui quella persona o non troverà più il denaro che vuole e sarà triste,
oppure pur avendo tutto il denaro che vuole non sarà più contento. Come mai?
Dio che lavora incessantemente in ciascuno di noi, poco per volta fa maturare e
ad un certo momento toglie qualcosa: la creatura prova delusione, disperazione,
dolore. Ma anche quando la creatura sembra felice in realtà non lo è: alla
sera, quando è sola, se è vuota nessuno può riempire la sua anima; quando gli
altri se ne vanno, la sua anima si scopre vuota. Fintanto che ci sono creature
intorno a noi, che si interessano di noi, siamo felici, perché ci guardano,
perché ci esaltano. Ma quando se ne vanno ci lasciano vuoti, perché chi
riempie la nostra anima è solo Dio. Da soli non si sta su, non si resiste,
perché siamo fatti per un Altro, siamo fatti in complemento. Da soli non ci
sosteniamo, e se l’altro che ci sostiene è la creatura dura quel che dura. Dio
è l’unico vero sostegno.
Noi siamo fatti in coppia con
Colui che è. Quindi solo trovando Dio troviamo Colui che ci riempie
di luce. Possiamo scambiare Dio per la creatura, facendone un assoluto, ma
quando essa se ne va, noi sperimentiamo la morte, proprio per il fatto che
vivendo per l’altro, l’altro viene meno. Con Dio invece non sperimenteremo mai
la morte, perché è l’Essere e non verrà mai meno.
Abbiamo
più bisogno di Dio che del pane. E la creatura che si mette in silenzio per cercare
Dio lavora per tutti, per il vero bene di tutti, perché il vero bisogno per
tutti è Dio.
Le
persone, se sono cattive, è perché non toccano Dio, per cui
chi cerca Dio dà il vero bene a tutti. Dio se vuole può arricchire tutto
l’universo, può far scoppiare di salute tutti gli uomini del mondo, ma se così
facesse, li dannerebbe tutti. Dio non si diletta a far soffrire: se c’è il
dolore è per far maturare gli uomini alla vita eterna. Il vero bisogno
dell’uomo è Dio: Dio è necessario, non ne può fare a meno, perché è in coppia
con Lui, quindi è assetati di Lui.
Quando
uno ha sete, o beve alle pozzanghere e si avvelena o beve alla sorgente. Chi
beve alla pozzanghera è uno che finisce di distruggere sé e gli altri, ma non
ne può fare a meno. Però è inutile dirgli di non bere lì, perché ha sete.
Conducilo piuttosto alla Sorgente. Quindi il vero bene che si può fare agli
uomini e quello di cercare e aiutare a cercare la Sorgente. È il vero bisogno
dell’uomo. Ma se noi non cerchiamo la Sorgente, non possiamo fare a meno di
abbeverarci alle pozzanghere, con tutte le conseguenze che ne derivano. Quindi
la vera necessità e urgenza è cercare l’acqua della Sorgente; e va cercata
anche se ancora si sta bevendo alle pozzanghere. Solo così si può segnalare la sorgente
a chi sta ancora bevendo alle pozzanghere, solo così si risponde al vero
bisogno dell’uomo.
Se
non cerchiamo Dio prima di tutto e non aiutiamo a cercarlo, diamo solo dei
palliativi, perché non diamo ciò che Dio vuole; non
risolviamo quindi i nostri e gli altrui problemi, anzi li complichiamo, perché
abbiamo Dio contro di noi. L’uomo è veramente felice solo quando incontra
Dio, ma per trovarlo deve lasciare le pozzanghere, cioè superare se stesso,
morire al suo io, per cercare la Sorgente.
Tiziana:
Gesù ci dice “Dove Io vado voi conoscete
la via”: la conosciamo anche quando arriva quel silenzio di Dio?
Luigi:
Sì, La vita è Cristo con tutto ciò che ci ha detto lungo il cammino e
soprattutto con ciò che ci ha detto con la sua morte, perché la via sta lì.
Infatti Cristo è morto perché noi moriamo a noi stessi; Egli muore per farci
capire che la causa della sua morte siamo noi, ha preso su di sé le nostre
colpe. Muore per causa nostra, e non per causa dei farisei, di Pilato, ecc., .
Infatti se approfondiamo il comportamento degli attori di questa scena, vediamo
che ciò che gli ha mossi è il loro io.
Ciò
che manda a morte Cristo è il pensiero dell’io dell’uomo; quindi ogni uomo
che pensa a sé è colpevole della morte di Cristo. Cristo in croce ci fa
capire che dobbiamo morire a noi stessi: è questa la via che ci ha fatto
conoscere. Ed è in quel silenzio che noi moriamo a noi stessi.
Domanda:
Il silenzio di Dio è voluto da Dio?
Luigi:
Sì, per farci crescere. Il momento delle tenebre è determinato dalla nostra
incapacità di conoscere Dio: è Dio che si è sottratto. All’inizio Dio si fa
sentire, anche quando siamo incapaci di rimanere con Lui; ci dà la caramella e
allora noi sentiamo la sua bontà, la sua presenza. Capiamo che un Altro ci ha
mandato quel “fatto” e ci siamo sentiti compresi: è Dio che scende nella nostra
incapacità (ecco l’incarnazione) per prenderci per mano e dialogare con noi.
Cominciamo allora a scoprire che Egli ha interesse per noi. Ma poi qualche
volta questo non accade più; come mai? È Lui che comincia a dirci “fa un passo
avanti”, e ci invita a cercarlo per qualcosa di più che una caramella, cioè per
Lui stesso. E così, di dono in dono, ci porta sempre più su, fino a cercarlo
per ciò che Egli è, non più per ciò che ci da, perché ormai ci ha fatto capire
che il vero bene per noi è capire ciò che Egli è. E questo nessuna creatura ce
lo può dire, perché solo Dio è rivelatore di se stesso. Tutte le creature sono
cartelli stradali che ci dicono “vai, cerca Lui!”.
Dio
opera attraverso questi doni graduali per farci desiderare cose sempre più
grandi, fino a farci capire che il dono più grande per noi è conoscere Lui,
fino a giungere alla vita eterna. Quindi, dopo essersi fatto sentire nella
nostra vita, più tardi si sottrae fino ad arrivare a farci sperimentare il
silenzio suo, per farci camminare. Al compimento dei tempi sarà un silenzio
in cui, nel superamento e nel silenzio di tutto il nostro io e di tutto il
mondo relativo all’io (Cristo compreso) si è sostenuti solo dal puro Pensiero
di Dio: sarà un silenzio necessario ad una nascita nuova dell’anima.
Domanda:
La domanda “dove vai?” può essere anche intesa come un invito a
interiorizzarci, a invitare il Signore a venire in tutti gli angoli del nostro
spirito, per possederlo pienamente, no?
Luigi:
Dio cammina davanti a noi, affinché lo seguiamo, quindi non ci lascia stare
seduti. Noi siamo felici non quando lo
possediamo ma quando Lui ci possiede, perché la vera gioia di chi ama è di
essere posseduti dalla persona amata.
Chiediamoci:
dove ho messo Dio nella mia vita? Al centro o no? Ci accorgiamo che l’abbiamo
messo al centro da questo fatto: se sentiamo il bisogno in tutto ciò che accade
di riferire l’accaduto cose a Dio; Dio, perché mi mandi questo? È questo
dialogo continuo che ci porta al bisogno di silenzio, perché fintanto che
parliamo noi, Lui non parla; quindi è necessario fare silenzio per ascoltare
Lui. La maggior parte della preghiera nostra è un parlare noi. La vera preghiera è ascolto. È Lui che
parla, e riceviamo nella misura in cui facciamo silenzio; nel silenzio Lui
ci illumina.
La
preghiera vocale è preparazione al silenzio, per metterci alla presenza di Dio,
in contatto con Dio, per far silenzio e stare in suo ascolto.
La preghiera vocale è suonare il campanello alla porta dell’amico che si vuole
andare a trovare. Se ti limiti a suonare il campanello e non entri, non hai
trovato l’amico! Così facciamo noi quando ci accontentiamo della preghiera
vocale senza entrare nel silenzio.
Suona,
e aspetta che Lui ti apra, entra e poi stai a sentire ciò che ha da dirti. Quindi
non diciamo di aver pregato se abbiamo solo suonato il campanello.
Come
arrivare a questo silenzio nella preghiera? Dobbiamo abituarci a riportare
tutto a Dio: è questo che crea il vuoto, la povertà in noi, il silenzio. Infatti
il silenzio vero è dato dalla tanta presenza di un Altro, perché fintanto
che penso a me faccio del rumore. Più Dio è presente, più l’anima è in
silenzio. Invece se non trascendiamo le cose facciamo rumore e distribuiamo
solo rumore. E Dio ce lo fa toccare con mano per farci capire: “avviene questo,
perché non hai lasciato parlare Me”.
In
un primo tempo magari crediamo di fare tanto e poi Dio ci fa toccare con mano
che sostanzialmente non abbiamo combinato niente; ad es. facendoci constatare
il fallimento nell’educazione dei figli dopo essersi magari sforzati e aver
faticato tutta la vita. “Abbiamo faticato
tutta la notte senza raccogliere niente!”, dovremo confessare anche noi,
con quegli apostoli.
Ma
se cominciamo a buttarci sulla sua Parola, può avvenire la pesca miracolosa
anche per noi. È la Parola di Dio che deve muoverci, non dobbiamo essere
mossi da ciò che crediamo noi.
Quindi
dobbiamo essere mossi in tutto da Dio, perché “il Figlio non può far nulla se non lo vede fare dal Padre”. Eppure
noi crediamo di poter far tutto senza vedere operare Dio. L’errore della
creatura è quello di credere di essere lei a fare. Siamo come i bambini che
credono di fare tutto loro, mentre invece fanno solo rumore. E arriva anche per
noi quel mattino in cui stanchi e delusi ci fermiamo sulla spiaggia a
constatare il fallimento di tutti i nostri sforzi, “è stata tutta una fatica
inutile”. Come mai? “Non c’ero Io, non eri in ascolto del tuo Signore”, ci
sentiremo rispondere. Dobbiamo convincerci di questo: è Dio che fa tutto, non
noi; è Lui il Creatore e ciò che accade è tutta opera sua, oggi. Anche oggi è
sempre Lui il Creatore. Così professiamo nel Credo: “Credo in Dio Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra”.
Lo
credi tu? No, non lo credi, perché attribuisci tutto alla società, alle cose,
alle creature, alla natura, alle tue e altrui forze, al caso, ecc. .
Domanda:
L’uomo non deve portare a compimento la creazione?
Luigi:
Sì, ma portare a compimento la creazione vuol dire riportare tutto a Dio:
ricevere tutto da Dio e portare tutto a Dio per capire il significato di ciò
che Dio ci dà. Dio fa un colloquio con noi, personalmente, sempre. Egli dà e ci
invita a riportare quello che ci dà a Lui con amore. Così come la mamma con il
suo bambino per educarlo all’amore: gli dà una caramella e poi gli dice
“adesso dalla a me”, e questo lo fa per stabilire un rapporto d’amore.
Questo
è il compimento che Dio vuole da noi, non il compimento inteso a darci da fare
per compiere la creazione su un piano materiale, perché qui abbiamo già
constatato che disastri facciamo. Il compimento sta nel conoscere il Signore!
Quindi tutto ciò che il Signore ci dà portiamolo in questo compimento. Tutte le
cose che restano a metà fanno solo rumore. È nel Sabato, cioè nella conoscenza
di Dio, nel silenzio, che le cose diventano silenziose. Lì, entrando nel
settimo giorno, comprendiamo il significato delle opere di Dio.
Dio è Colui che parla, ma è anche Colui che spiega
all’uomo le sue Parole. Non siamo noi che le possiamo spiegare. Siamo in coppia
con Lui: “Io ti parlo ed ora cerca di capire ciò che ti ho detto”. Senza di Lui
non capiamo niente, fraintendiamo tutto; e chiamiamo luce ciò che è notte. Il
compimento delle cose è in Dio. Dio è il compimento di tutte le sue Parole,
quindi tutte le cose sono Parole che vengono a noi e chiedono a noi di essere
riportate in Dio, per essere intellette in Dio: lì sta il compimento, se no
restano a metà strada, diventano rumorose, disturbano (così come il corpo che
si fa sentire quando c’è qualcosa che non va bene). Quando qualcosa disturba,
c’è qualcosa che non va nei riguardi di Dio, c’è qualcosa che non è riportato a
compimento: porta le cose in Dio e vedrai che non ti disturbano più. Tutte
le creature sono ottime servitrici se le riportiamo a Dio, ma sono delle
pessime padrone, se non le riportiamo a Dio, perché ci schiacciano.
Gli soggiunse
Pietro: “E perché non ti posso seguire ora? Io darò la
mia vita per te!”.Gv 13 Vs 37
Argomenti: La creatura può fare
solo ciò che riceve – Trasformati da ciò cui pensiamo – Vivere nell’iniziativa
di Dio – Il tradimento di Pietro – Dio ci attrae comprendendoci -
12/Settembre /1987
Qui
si rivela la presunzione di Pietro che fa conto su di sé e non accetta quanto
gli ha detto Gesù. Gesù, che lo conosceva bene, gli aveva detto “per ora non puoi seguirmi”, ma Pietro
replica “darò la mia vita per te, ti
seguirò fino alla morte”.
La
lezione che dobbiamo trarre è questa: non dobbiamo e non possiamo far conto
su noi stessi e sulle sicurezze che abbiamo, o su tutti i mezzi che abbiamo a
disposizione, su cose nostre, sugli altri, ecc. È un errore. E per quale
motivo? E quand’è che facciamo conto su di noi?
“Far
conto su-”, vuol dire appoggiarsi su-, fondarsi su-. È un errore quindi
appoggiarsi su ciò che non è Verità. Questo avviene quando dimentichiamo Dio,
e allora facciamo conto su noi o su altro. È un errore, perché tutto
dipende da Dio e noi lo facciamo dipendere da altro.
La verità è che il Regno di Dio è
il Regno dove le cose dipendono da Dio che è il Creatore, l’Essere.
La nostra sicurezza deve essere Dio. Quindi facciamo un errore quando facciamo
conto su noi stessi, perché noi non siamo la Verità; per restare nella Verità
dobbiamo fa conto su Dio. Se facciamo conto su altro, ad es. sul denaro,
facciamo un errore che ci apre la strada al fallimento. Per evitarci questo
fallimento, Dio ci dice di non far conto sul denaro.
Il
denaro è un bene, certo, è una creatura di Dio (è un segno dei beni di Dio: una
volta si parlava di buoi, di pecore, ecc.), ma Cristo ci dice chiaramente che
non possiamo vivere per il denaro.
Non
dobbiamo far conto su nessun’altra creatura: “tu stesso sei una creatura, anche
gli altri; ebbene non fondare la tua vita su te stesso, sugli altri, sulle promesse
o parole delle creature, ma fondala su Dio”. Tutto è buono, tutte le creature
sono buone, ma non dobbiamo far conto su di esse. Far conto su di esse vuol
dire appoggiarsi sulle creature o sulle parole delle creature.
Ogni
cosa che arriva a noi è un bene, perché arreca una lezione di Dio, ma
tutte le cose devono essere riportate a Dio, perché si concludono solo in Dio.
Le creature ci dicono che Dio
esiste, ma non ci possono dire ciò che Dio è, per cui
semplicemente ci orientano a Dio, ci dicono di cercare Dio, vogliono essere
cioè riportate a Dio da noi; è come se ci dicessero: “Portateci a Dio perché
veniamo da Dio!”. Quindi tutte le creature devono essere riportate a Dio per
essere illuminate da Dio; e questo lavoro nessuno lo può fare al posto nostro.
Tutte le creature vengono poste da Dio nelle nostre mani, ma questo passaggio,
dalla nostra mano a Dio, lo possiamo fare solo noi. Per questo esse ci dicono:
“portaci a Dio, che è dentro di te”. Se non facciamo questo, tutta la creazione
rimane interrotta, ferma nelle nostre mani. Tutte le cose sono segni di Dio,
quindi sono belle a guardarsi e buone a gustarsi, ma se ci fermiamo ad esse, se
ci appoggiamo su di esse, facciamo un grosso errore.
Tutte
le cose sono buone, ma vanno tutte unite a Dio. Tutte le creature devono essere
riportate da noi in Dio, per essere illuminate dallo Spirito di Dio, se no
restano interrotte, quindi perdute. E se le creature vanno perdute,
sperimentiamo l’inganno, il vuoto, l’angoscia. Perché ciò che non riportiamo a
Dio (noi stessi, le persone, i beni, i mezzi, ecc.) finisce per tradirci. Ecco
perché si richiede un lavoro di silenzio, un lavoro personale, di pensiero, per
cercare il significato, per riportare tutto a Dio. Ed è il vero lavoro, la vera preghiera, che
costruire sulla roccia, sulla Parola di Dio.
Tutte
le creature (fatti, ecc.) arrivano a noi e ci dicono “adesso raccogliti nella
tua stanza, portaci in Dio, per vedere in noi il Pensiero di Dio”. È questa
l’unica cosa necessaria, senza la quale manca tutto. Possiamo fare tutto il
rumore che vogliamo in tutto il mondo, ma non serve a niente se non facciamo
questo vero lavoro. Lo dice Gesù: “A che
vale conquistare tutto il mondo, se poi perdi l’anima?”.
Bisogna
far conto su Dio, e far conto su Dio vuol dire riferire tutto a Dio,
riportare tutto a Dio per cercare di vedere il Pensiero, lo Spirito di Dio,
perché lì abbiamo il compimento di ogni cosa. Invece tutto quello che non è
unito da noi a Dio viene perduto. Si perde Dio e anche le creature. Pietro era
in buona fede, certo. Ma si può essere in buona fede e sbagliare.
Dio
presenta, ora, questa scena a me, quindi debbo chiedermi che cosa mi vuol dire,
perché la sua Parola è universale, valida per ogni tempo e ogni persona:
“Signore, cosa vuoi insegnare a me, per evitarmi l’errore di Pietro?”.
Pietro
si fondava sul suo sentimento, sul suo entusiasmo, sul suo amore sentimentale,
per cui è stata inevitabile la rottura. Ha detto con sincera convinzione: “Darò la mia vita per te!”, ma dopo poche
ore, davanti ad una serva, per tre volte ha affermato “Non l’ho mai conosciuto!”. Pensiamo con che convinzione aveva
professato il suo amore e la sua fedeltà. Quante cose noi diciamo con
convinzione al Signore e poi… Se noi
non raccogliamo in Dio ciò che vediamo e sentiamo, e se non ci raccogliamo in
Dio, crediamo di essere convinti, ma prendiamo degli abbagli. Facciamo
programmi e propositi, ma a nulla servono.
Tutto
ciò che programmiamo e facciamo senza di Lui è niente. “Senza di me non potete fare nulla”, ci dice il Signore. “Il Figlio non può far nulla se non lo vede
fare dal Padre”: non può far nulla. I
figli di Dio si caratterizzano in questo: in tutto sono guidati dallo Spirito
di Dio. La forza e la costanza non è in noi, perché la creatura è instabile
e mutevole. Da qui ci spieghiamo il rapido cambiamento di Pietro che contava su
di sé.
Dio
è l’Essere immutabile, fedele. Più la creatura umana si avvicina a Dio e più
partecipa dell’immutabilità e fedeltà di Dio; meno è
vicina, più è incostante e infedele.
La creatura prende consapevolezza
di sé proprio nel suo mutare.
Tiziana:
Quand’è che la nostra volontà può mettere dei bastoni nelle ruote alla Volontà
di Dio?
Luigi:
Quando interrompiamo l’opera di Dio fermandoci alla creatura, facendo conto su
di essa e non riportandola a Dio. Noi abbiamo solo la possibilità di
interrompere l’opera di Dio. La nostra volontà si manifesta solo come difetto. Se
si arriva a compimento tutta l’opera è di Dio. Si entra nel Regno di Dio
riconoscendo tutto come opera di Dio. L’opera che Dio attende da noi è la
nostra disponibilità a lasciare tante cose per occuparci dell’essenziale. Ma
anche questa disponibilità è grazia di Dio. Già il capire che dobbiamo riferire
tutto a Dio, attribuire tutto a Dio, è grazia di Dio. Noi, da soli, siamo solo
interruzione, incostanza, aborto, non possiamo portare nessun seme a
compimento. È Dio che porta a compimento ma non senza di noi, cioè se non ci
superiamo.
Tiziana: Ad
es. ciò che è avvenuto con Giuda, è avvenuto per volontà di Dio, perché si
adempissero le scritture, e allora che responsabilità ha Giuda?
Luigi:
Tutto ciò che accade, in quanto accade, è voluto da Dio, così pure il fatto di
Giuda. La responsabilità di Giuda non la sappiamo, può essere salvo; per cui
nemmeno la Chiesa può dire che è dannato. Noi possiamo solo vedere la scena, ma
l’animo umano (il rapporto tra l’anima della creatura e Dio) sfugge a noi. Per
questo Dio dice “non giudicare”,
perché può essere che Dio ha fatto recitare quella parte a Giuda. E questo vale
per ogni scena che ci presenta.
Quell’ubriaco
è una scena per te, perché tu scopra le tue ubriacature interiori. Tutto è
scena, tutto è lavagna su cui vengono scritte le lezioni di Dio. Non si giudica
la lavagna. Quindi non giudicare la lavagna, ma prendi la lezione su di te.
Dobbiamo sempre prendere su di noi le lezioni, ma non basta: bisogna cercare
presso Dio cosa Egli vuole dirci. La nostra volontà si manifesta solo come
rifiuto di fare questo lavoro. La nostra opera, la nostra volontà è questa:
interrompere questo processo dell’opera di Dio.
Tutto
viene da Dio, ma se non lo riportiamo a Dio, interrompiamo l’opera di Dio. La
nostra volontà è solo interruzione, aborto. Se la portiamo a compimento è tutta
opera di Dio, dono di Dio. Nel compimento la creatura si sente compresa, perché
riconosce che è stato tutto opera di Dio. Invece dove c’è la nostra volontà,
la creatura si sente isolata, non pensata, sola. L’isolamento è causato
dall’interruzione di questo lavoro in Dio. Tutto quello che Dio ha iniziato in
noi senza di noi, non lo porta a compimento senza di noi, quindi tutto ciò che
resta compiuto dobbiamo attribuirlo solo a Dio.
Noi
interrompiamo l’opera di Dio, ci fermiamo alle cose, alle creature senza più
riportarle a Dio, perché abbiamo paura di perderle. La paura è espressione
dell’io.
La
paura di perdere le creature, le cose ce le fa trattenere al nostro io; ma
facendo così in realtà le perdiamo: perdiamo Dio e le cose e noi stessi. Questo
accade perché non amiamo, cioè siamo nel pensiero dell’io.
Dio
è Amore e trionfa in tutto perdendo. Nel campo dello Spirito,
vince veramente chi sa perdere. Nell’amore si vince nella misura in cui si
sa perdere. Nell’amore si vince nella misura in cui si è disposti a
perdere; se si pretende, si perde veramente. Dio ha dato tutto se stesso, fino
a morire sulla Croce: apparentemente ha perso tutto, sembra un fallimento.
Invece Cristo non ha fallito, anzi ha trionfato, proprio perdendo tutto. Dio
non opera imponendosi, ma convincendo; ma per convincere bisogna donarsi,
bisogna saper perdere.
La convinzione fa l’uomo libero. L’imposizione
crea lo schiavo e domani la fuga. Invece convincendo si conquista. Quindi
tutto ciò che tratteniamo per non perderlo è scontato che lo perdiamo. Ciò che
non è portato a Dio, a compimento, lo perdiamo.
Le
cose si posseggono solo riportandole a Dio, cioè al loro compimento: ma questo
avviene solo per opera di Dio, per volontà di Dio. Allora lì ci si sente
compresi, pensati.
Se
invece noi fermiamo le cose a metà, cioè se le fermiamo al nostro io, subentra
la paura (espressione dell’io), l’isolamento, la solitudine, l’angoscia, perché
affermiamo la nostra volontà; se seguiamo la nostra volontà non ci sentiamo più
né compresi, né pensati, ma in balia di noi stessi.
Ida: È
un lavoro difficile, anche perché proponendomi di vedere quante volte nel
giorno penso a Dio, debbo constatare che l’ho pensato pochissime volte.
Luigi:
L’esperimentare la nostra povertà, il constatare la nostra incapacità è già
grazia di Dio. Se noi non ci proponiamo di vedere quante volte pensiamo
Dio, ci illudiamo di essere virtuosi, giusti e ci gonfiamo. Proponendocelo, già
constatiamo la nostra povertà e questo è grazia. È pauroso invece credere di
essere qualcuno, perché ci gonfiamo e non entriamo nel Regno. Più
constatiamo la nostra povertà, più questa ci sollecita a far conto su Dio: si
entra nel regno di Dio solo facendo conto su Dio.
Finché
presumiamo di noi stessi, tradiamo e rinneghiamo il Signore come Pietro.
Marco:
Dio lo vedo più padrone che padre.
Luigi:
Il padrone è colui che comanda dall’esterno e impone la volontà e autorità. Se c’è un essere silenzioso nel mondo è
proprio Dio. Parlano tutti, tutti impongono la loro volontà, ma Lui tace.
Alla fine però vince Lui, perché Lui vince convincendoci. Se Lui vincesse
imponendosi dall’esterno, sarebbe l’inferno per noi. Allora per convincerci Lui
si rende assente esternamente, ma parla dal di dentro.
Dio
è Luce e la luce non ha bisogno di urlare per manifestarsi. L’uomo, che è
niente, ha bisogno di urlare. La Luce non ha bisogno di dimostrarsi: quando
c’è illumina, quando non c’è è notte. La Luce si testimonia da sé,
illuminando. Dio è Padre perché non s’impone con la sua autorità dall’esterno.
Dio manifesta la sua autorità nella luce, dentro di noi, convincendoci, se noi
raccogliamo tutto in Lui.
I
dubbi che portiamo in noi ci denunciano la nostra lontananza da Dio, ma ci
sollecitano ad avvicinarci alla sua Luce. Invece
il sentire Dio come padrone è un’altra cosa; non dobbiamo fondarci sul
sentimento, perché “Dio è Spiritio e
Verità”, quindi bisogna basarsi sullo Spirito e sulla Verità,
non sul sentimento. Quando si è convinti di una cosa, la si sperimenta come vera,
ci si incammina per quella via.
Marco:
Uno sente Dio come padrone perché le sue esigenze sembrano superiori alle
nostre forze. Se voglio essere coerente nelle mie scelte (ad es. nella scelta
dello studio oggi e del lavoro domani) sono costretto a fare un passo più lungo
della mia gamba; non ce la faccio, credo che impazzirei. Eppure devo
riconoscere che è una scelta incoerente, perché le mie scelte sono per
guadagnare il denaro e per il piacere mio.
Luigi: Nessuno
ci impone di fare un passo più lungo della gamba, però bisogna riconoscere
l’ambiguità della scelta; è positiva anche questa confessione: “non sono
capace”. E allora supplica il Signore: “Signore, fammi netto nelle mie scelte,
liberami dalla mia ambiguità”. Da quante cose dobbiamo essere liberati e magari
non lo sappiamo ancora. L’importante è non barare, ma essere fedeli,
confessando “non me la sento”, e questa mia povertà mi farà umile e mi impedirà
di essere superbo. Ad un certo momento, andando avanti nella mia scelta
sbagliata, quando mi vedrò asservito al denaro, questo mi darà talmente nausea
da farmi diventare capace di fare altre scelte: la pentola bolle, bolle, ma ad
un certo momento scoppia.
Ida:
Anche io sento l’incoerenza della mia scelta, perché vedo che la mia futura
professione sarà un servizio ai ricchi, però se vorrò avere del denaro…, …e mi
piace anche.
Luigi: Il criterio da cui uno deve lasciarsi
guidare nelle scelte non è certamente il “mi piace”, né il denaro, né la
carriera, se no mettiamo il nostro piacere o il denaro come elemento
determinante, come scopo di vita.
Per
che cosa vivo? Vivo per ciò che ha motivato la mia scelta. E fintanto che non
possiamo dire “vivo per te, Signore”, siamo su una falsa strada e un giorno è
scontato che toccherà con mano tutte le conseguenze negative di questo sbaglio.
Tutto è buono, ogni servizio e lavoro è buono, tutto il mondo è opera di Dio,
ma è l’intenzione che vale davanti a Dio, non ciò che si fa o non si fa.
Se
servo il denaro nessuno mi critica, perché quasi tutti lo servono; però devo
confessare che non è questo lo scopo per cui sono stato creato. Per quale
fine Dio ci ha creato? Per cercarlo e per conoscerLo.
Ed
io per che cosa vivo? Abbiamo qui un divario tra il fine per cui sono stato
creato e ciò per cui vivo. E fintanto che c’è questo divario, creo una frattura
nell’opera di Dio che avrà delle ripercussioni gravi.
“Ama
e fa ciò che vuoi” dice s.Agostino. Cerca Dio e fa il lavoro che vuoi,
perché se ami, se cerchi Dio lo farai nella finalità divina. L’importante è
cercare Dio prima di tutto, e poi uno può essere debole, ma è orientato, e se
uno è orientato, dopo ogni debolezza ritorna sulla strada giusta. Ad es.: se
voglio andare a Torino, posso sbagliare strada, posso lasciarmi deviare da
altre attrattive, ma se voglio andare a Torino e so ciò che voglio, ogni volta
che mi accorgo di aver sbagliato strada o di aver deviato, ritorno sulla strada
giusta; ma se non so dove andare, ad ogni bivio è una tragedia. L’importante
è aver sempre ben presente il fine a cui vogliamo tendere.
Per
che cosa Dio ti ha creato? E tu per che cosa vivi? Fintanto che l’ago della
bussola non coincide col polo per il quale sei stato creato, c’è questo
divario, e quindi sei scontento, perché porti una frattura dentro di te; perché
sostanzialmente vivi per te, isolandoti dall’amore e ti senti solo.
Per
entrare nell’amore e sentirti amato, compreso, pensato, devi superarti (e
superare ciò che ti piace) vivendo per-. Vivendo
per Dio si entra nell’amore vero. Dio è sorgente di tante novità, di tanti pensieri
e preoccupazioni nuove; l’uomo che lo cerca è pieno di attività, motivato però
da un interesse diverso; non più dall’interesse per il denaro, per la carriera,
o per se stesso, non più dall’ambizione.
Paolo:
In certe pagine del Vangelo, nell’entusiasmo il mio io mi fa dire: “darò la mia
vita per te”, in altre pagine difficili e dure, arrivo a tradire, così come
Pietro.
Luigi:
Nella nostra vita ci sono sempre due facce: l’entusiasmo e la notte del
tradimento di fronte ad una servetta. Tutto però è positivo, anche il
tradimento, perché tutto serve per far maturare la nostra anima e renderla
capace di accogliere quell’Infinito che è Dio, cioè per seguire Cristo
là dove Lui va e dove per ora non possiamo andare. Siccome possiamo
illuderci di amare e conoscere il Signore, Dio ci fa passare attraverso queste
prove, attraverso questi tradimenti, queste ambiguità nelle scelte, per formare
la nostra anima alla nettezza d’intenzione e scoprire che tutto è opera di Dio.
Tutto è opera di Dio.
L’importante
è non barare con noi stessi, non illuderci; quindi misuriamoci sempre con la
Parola di Dio. Dio non si spaventa della nostra incapacità di rispondere.
Chiediamo a Lui l’aiuto, facciamo conto su di Lui e non su di noi, non
presumiamo di noi come Pietro. È tutto un lavoro di pazienza, e il Signore è
paziente. Allora lasciamoci lavorare, non facciamo il passo più lungo della
gamba, iniziamo a riconoscere: “come sarebbe bello se…, come sarebbe bello aver
l’anima netta”.
Questa
povertà ci solleciterà a far conto su Dio, attendendo con pazienza che Lui
renda netta la nostra anima, facendoci capaci di superare ogni ambiguità, ogni
tradimento, tutte le incostanze e infedeltà.
Facendo
conto su di Lui, restando con Lui, Pietro, nonostante la sua debolezza e
incostanza, è stato condotto alla Pentecoste.
Marco:
Ma per capire se uno veramente non ce la fa a fare certe scelte…, cioè, per
conoscere se stessi, bisogna avere la Sapienza di Dio, no?
Luigi:
Innanzitutto uno constata personalmente se ce la fa o no: se impazzisce, non ce
la fa…
Sì,
abbiamo bisogno della Sapienza, ma Essa viene dalla conoscenza di Dio: è
solo dalla conoscenza di Dio che abbiamo la Luce per conoscere noi stessi,
non prima. Noi ci conosciamo solo per riflesso, perché siamo mutevoli,
continuamente, per cui non possiamo fermarci ad osservarci. Il nostro io si
ferma solo se guarda Dio e quindi comincia a conoscersi. Più mi fermo con
Dio in preghiera e più aumenta il mio desiderio di dare più tempo alla
preghiera, perché più sto con Dio, più raccolgo in Dio, più conosco
qualcosa di Dio, e più capisco la validità della preghiera, la validità e
l’importanza di raccogliere tutto in Dio e del raccoglimento nostro in Dio. E
questa è tutta attrazione di Dio.
Uno
non può fare un salto se non è attratto da Dio, se no impazzisce. È Dio che ce
lo fa fare il salto. Il problema non sta nel fare i salti nel buio, quando non
si vede nulla, ma di approfondire la Parola di Dio. Più meditiamo la Parola di
Dio, più cresce in noi la conoscenza di Dio. Più la approfondiamo e più essa ci
porta a conoscere Dio, e quindi ad amare Dio. L’amore è una conseguenza della
conoscenza, per cui nasce il desiderio di stare con-. Più conosco e più amo.
Più amo e più desidero stare con l’essere amato; per cui non facciamo fatica a
restare. Infatti non si fa fatica a restare con una persona amata.
L’amore
nasce dalla tanta conoscenza; quindi aumenta la conoscenza di Dio, se vuoi
crescere nell’amore. Per cui, puoi disporre di mezz’ora al giorno? In
quella mezz’ora occupati di Lui e fai pure il resto che devi o vuoi fare.
Avresti più tempo ma non ce la fai? Dedica almeno mezz’ora per “Studiare Dio”:
Dio lo si conosce attraverso la sua Parola.
Noi,
tra persone, ci conosciamo sentendoci parlare, ascoltando ciò che uno dice,
osservando ciò che fa, e questo è un segno: più frequentiamo Dio per cercare di
capire le sue Parole (non per ricordarle: non si diventa dei registratori!),
più lo si conosce. Quindi di fronte ad ogni sua parola, non applichiamola a noi
stessi, ma chiediamogli: “cosa mi dici di Te, Signore?”; perché la Parola è
capita in Lui quando mi rivela qualcosa di Lui, non di me.
Il
lavoro da fare è approfondire tutte le parole del Signore, utilizzando tutti i
cinque minuti liberi. In cinque minuti liberi cerchi Dio? Lì si rivela che hai
amore per Dio (se li dedichi allo sport riveli che hai amore per lo sport). Questa
conoscenza di Dio che hai ricavato dai cinque minuti liberi, ti fa crescere
nell’amore, ti aumenta la capacità di stare con Lui, magari per dieci minuti, e
poi sempre di più, fino a farti capace di essere netto e di non fare più le
scelte secondo il mondo.
Se
no Dio ti fa vedere l’ambiguità: “vedi? Ti stai illudendo, stai vivendo per te,
perché ti piace, perché ti rende; ecc”. Più conosci Dio, più diventi netto
nelle scelte, più sei reso capace di fare delle scelte secondo Dio.
Il
“mi piace” non è il fine per cui sei stato creato; se segui il “mi piace”,
questo ti impedisce di entrare nella Verità.
Se
non ce la fai diversamente e vivi per te, metti però una mezz’ora per Dio, dà un
bicchiere d’acqua ad un povero…, ecc. . Non rifiutare ciò che ti richiede un superamento, perché la
tragedia è la chiusura nell’io. Non sai pensare? Non sai fermarti per pensare?
Dio ti metterà vicino qualcuno che ti richiede un superamento (sarà un carcerato,
un handicappato, un povero, ecc.); questa apertura all’altro, se si verifica in
te, inaugurerà la strada che ti condurrà a Dio.
Dio opera continuamente per
liberarci dalle prigioni in cui ci chiudiamo pensando a noi.
Non dobbiamo fare del nostro io l’elemento motivante la nostra vita, altrimenti
ci chiudiamo in un carcere da cui da soli non usciamo più.
Teniamo sempre presente la lezione che ci da Pietro: non
dobbiamo far conto su noi né su altri, ma su Dio.
Rispose Gesù:
«Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico:
non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte». Gv 13 Vs 38
Argomenti: Le esigenze della
Verità – Essere conosciuti da Dio – Restare anche nel tradimento – Il
tradimento interno e il tradimento esterno – La fragilità umana -
19/Settembre /1987
Luigi:
Il Cristo, che ci conosce, mette allo scoperto la nostra ambiguità, se noi
dialoghiamo con Lui.
Qui abbiamo in evidenza il divario:
·
L’illusione
di Pietro
·
e Cristo che sa cosa c’è nel suo
cuore.
Così
è con l’uomo. Cristo sa cosa c’è nel cuore dell’uomo; e quando l’uomo si illude
Cristo lo riconduce alla sua dimensione, perché l’uomo è portato a gonfiarsi.
Il
cammino con Dio è duro e faticoso, non bisogna illudersi.
Per questo Gesù ci dice “fate bene i
vostri conti a tavolino”. Dio non suona la grancassa per obbligare tutti a
seguirlo. Lui non ha bisogno degli uomini, siamo noi che abbiamo bisogno di
Lui. E se scende al nostro livello per invitarci a seguirlo, lo fa per evitarci
il carcere, l’angoscia, il fallimento. Dio opera per liberarci, perché noi in
continuazione ci chiudiamo in carcere e ci leghiamo con catene. Egli è l’Essere
ed è Lui che ci fa essere, per cui Lui solo può liberarci e portarci a partecipare
del suo Essere, della sua Verità. Ma la Verità ha le sue condizioni, le sue
esigenze: richiede questa dedizione totale e unica, questa nettezza.
Fa
i conti a tavolino e non illuderti, perché scoprirai che stai tradendo Dio nel
modo più banale e volgare.
È
solo guardando a Lui che ci accorgiamo dei nostri tradimenti, e più stiamo con
Lui, più meditiamo le sue Parole, più ci accorgiamo che Lui ce li aveva
predetti. La sua Parola, illuminandoci sulle esigenze della Verità, vuole
riportarci alla nostra dimensione, perché noi non abbiamo a presumere su noi
stessi, ma a far conto unicamente su Dio; se no il tradimento è
inevitabile. Anzi, noi tradiamo
proprio nel momento in cui facciamo conto su di noi.
Tiziana:
In queste parole di Gesù mi ritrovo, perché nonostante i buoni propositi
tradisco sempre; però esse mi danno tanta gioia, perché Dio mi conosce, sa che
sono debole.
Luigi:
Noi siamo sempre conosciuti. Perché Dio
non vuole che pensiamo a noi stessi?
Perché pensando a noi stessi ci
distanziamo da Lui e non ci sentiamo più conosciuti.
La
bellezza della vita invece sta proprio nell’essere conosciuti, compresi da Dio;
per cui si preferisce essere da Lui bastonati, piuttosto che ignorati, perché
quando ci bastona ci sentiamo pensati personalmente.
La
tristezza grande è non sentirci pensati. Non è che Dio non ci pensi, perché se
non ci pensasse ci annullerebbe, ma è che noi ci sentiamo soli. Come mai?
Perché noi, quando pensiamo a noi, siccome diventiamo figli delle nostre opere,
portiamo le conseguenze dei prodotti del nostro io. I prodotti del nostro io
ci fratturano da Dio e ci impediscono di stare in sintonia con Dio.
Dio
ci pensa sempre, ma noi non lo avvertiamo più (la sua stazione trasmittente
funziona sempre, ma noi siamo in sintonia con altre lunghezze d’onda), per cui
ci sentiamo soli; prendiamo una strada e non ci sentiamo accompagnati.
Quando
invece siamo in sintonia con Dio è perché abbiamo superato il nostro io,
abbiamo evitato di affermare la nostra volontà (che è solo rifiuto); allora ci
sentiamo conosciuti, nonostante le nostre debolezze; ci sentiamo accompagnati,
portati su una strada, dove tutto è già predisposto, dove Lui ci prepara gli
incontri, ecc.
Quando
invece non ci sentiamo conosciuti, questa lontananza è ancora misericordia di
Dio per farci capire che stiamo sbagliando: abbiamo messo il nostro io come
motivante le nostre scelte, anziché Dio.
Dobbiamo
imparare a vivere motivati da Dio, perché siamo chiamati a convivere con la
Verità di Dio. Ma si vive con la verità di Dio quando possiamo dire “faccio
questo, dico questo, scelgo questo perché Tu vuoi così!”. Siamo allora
giustificati dalla Verità di Dio, perché abbiamo in noi stessi la ragione di
ciò che facciamo.
Diversamente
siamo motivati dal “mi piace” o dal pensiero degli altri; ma gli altri, o il
nostro io non sono Dio; per cui in queste cose, motivate da altro da Dio, non
ci sentiamo più pensati da Dio, usciamo dall’amore. Non è il nostro peccato,
non sono i nostri sbagli o tradimenti che spaventano Dio, perché Dio non ci abbandona
mai nel peccato (siamo noi che lo abbandoniamo, Lui no, infatti ci dà
sempre la possibilità di pensarlo) ma è il nostro far conto su noi anziché
su Lui.
Dio
non ci abbandona mai; siamo noi che lasciandoci motivare dall’io,
moltiplichiamo i prodotti dell’io, allontanandoci sempre di più da Lui. Ma come
ritorniamo a Lui, subito Lui ci fa sentire il suo Pensiero su di noi e sentiamo
che Lui ci conosce in tutto. Allora ci sentiamo conosciuti anche nelle
parole in cui Cristo ci annuncia il nostro tradimento o ce lo rivela; e non lo
vediamo come parola di giudizio o condanna, ma come parole di misericordia che
vogliono farci prendere consapevolezza della necessità di far conto su Dio, di
riferire tutto a Dio, di raccogliere tutto in Dio.
Amalia: Quando
sperimentiamo queste parole che Gesù dice a Pietro? Gesù gliele dice quando in
realtà il tradimento è già avvenuto in lui, il tradimento esterno che Gesù gli
annuncia sarà solo una conseguenza.
Luigi:
Certo, il tradimento è già avvenuto nel momento in cui Pietro ha fatto conto su
di sé. Il tradimento esterno è una conseguenza. Noi sperimentiamo queste parole
di Gesù quando prendiamo coscienza del
nostro tradimento proprio grazie alle parole udite prima da Gesù.
Il
tradimento esterno è opera di Dio per farci toccare con mano il tradimento che
è già avvenuto in noi. L’incontro con quella servetta è
stato predisposto da Dio; così pure che la servetta abbia riconosciuto e
provocato Pietro. Pietro è in buona fede, non si rende conto che fa conto sul
suo sentimento ma non su Dio. Pietro è sempre così: quando Gesù gli disse “Beato te…” si meritò poco dopo un “va via satana…”; perché? Perché faceva
conto su quel “beato” che Gesù gli
aveva detto poco prima, arrivando a dire “non
sia mai Signore che ti uccidano, io ti difenderò”. Ma Gesù lo rimprovera e
lo chiama Satana, perché ragionava secondo gli uomini (non ha detto “ragioni secondo il demonio”) e non
secondo Dio, facendogli capire che bisogna ragionare secondo Dio, se no si è
dei demoni. Anche qui, nella sua impulsività e facendo conto sul suo
sentimento, Pietro gli ha dichiarato che è pronto a dare la vita per Lui; e
questo è già tradire Dio. E se non fosse che Gesù glielo dice prima e glielo
fa sperimentare poi, Pietro non potrebbe avvertire che il tradimento avviene
non facendo conto su Dio. Quindi il tradimento interno, quello reale,
avviene sempre prima di quello esterno. Anzi, quello che avviene al di fuori non è più un tradimento, ma misericordia
di Dio, per farci toccare con mano il nostro tradimento e farci rinsavire;
perché se no noi non ne possiamo prendere coscienza e ci illudiamo di essere
giusti.
Il
tradimento esterno è necessario perché c’è già il tradimento interiore.
“Per ora non mi puoi seguire,
mi seguirai più tardi”, quando l’anima sarà matura
attraverso la presa di coscienza del proprio tradimento o avrà imparato a far
conto unicamente su Dio, morendo totalmente a se stessa, sarà pronta a seguire
Gesù.
Il
tradimento avviene sempre in noi quando in noi non riportiamo le cose a Dio,
quando fermiamo le nostre scelte al pensiero dell’io e non partiamo da Dio.
Questo tradimento è un difetto nostro, è un interrompere l’opera di Dio, ma noi
da soli non ne prendiamo consapevolezza. Il tradimento fuori avviene per opera
di Dio, ed è grazia per guarirci, per dirci “hai fatto un errore dentro di te,
non hai tenuto conto di Me nel tuo problema, quindi la soluzione che hai
trovato è sbagliata”. Quando in matematica vogliamo risolvere un problema
dobbiamo tener presenti tutte le sue componenti, perché se ne trascuriamo una
la soluzione è sbagliata, tanto più sbagliata se si trascura il componente
essenziale.
Ora,
in tutti i nostri problemi, l’elemento fondamentale è sempre Dio, quindi
nella soluzione di essi dobbiamo imparare a tener conto di Lui, che è la causa
di essi, la causa principale.
Domanda:
Quando sentiamo queste parole di Gesù?
Luigi:
Gesù le dice ora a noi, personalmente, per avvisarci che se non facciamo conto
su di Lui non tardiamo a tradire fuori, perché abbiamo già tradito dentro di
noi. Dio ci fa mettere fuori il nostro tradimento, affinché ne prendiamo
coscienza e ci ravvediamo. E quando ne prendiamo coscienza? Come ne ha preso
coscienza Pietro? Non dopo il primo tradimento, nemmeno dopo il secondo e
nemmeno dopo il terzo, ma quando il gallo ha cantato e Gesù lo ha guardato.
Pietro non avrebbe capito e preso coscienza di questa lezione del Signore, non
avrebbe capito il suo tradimento esterno, se non avesse sentito prima le parole
di Gesù (“In verità, in verità ti dico:
prima che il gallo canti mi avrai rinnegato tre volte”). Lo sguardo di Gesù
gli richiamò queste sue parole e lui ha percepito il suo tradimento, perché il
canto del gallo lo aveva dentro in quanto Dio gliene aveva parlato. Così pure
noi: noi non percepiremmo le lezioni “fuori” del Signore, se non avessimo
sentito prima le parole del Signore.
Se
Dio mi dice qualcosa e poi lo riscontro fuori di me, lì capisco che c’è
l’intervento di Dio, che è Lui che parla a me e che organizza tutto il mondo
attorno a me: è Dio che fa cantare il gallo, è Dio che ha preparato l’incontro
con la servetta, ecc.; anche lì ci si sente pensati. Non si può però capire il
tradimento “fuori”, non possiamo cioè prendere coscienza del tradimento che
portiamo dentro di noi se Dio non ha già parlato prima dentro di noi. Dio
parla a noi le cose prima che avvengano affinché quando avverranno sappiamo che
è Lui. “Vi dico queste cose prima che
avvengano, affinché sappiate, quando avverranno, che Io sono”: lì capiamo
che siamo pensati e che Dio opera tutto per ciascuno di noi.
Quando
c’è la coincidenza tra la parola che Dio ha messo dentro di me prima e la
parola che mi dice fuori (l’azione esterna, l’esteriorizzazione del tradimento
e le circostanze) si prende coscienza del tradimento; ed è lì che capiamo la
presenza del Signore, il suo intervento personale nella nostra vita.
Cina:
Per non tradire bisogna avere molta cura delle nostre intenzioni.
Luigi: Fintanto
che la nostra intenzione non è unica, Dio, navighiamo in mille intenzioni.
Queste molteplici intenzioni devono semplificarsi in una sola. L’amore è una
progressiva semplificazione: prima si amano tanti, poi si realizza la vita con
uno solo. La vita è imparare a vivere con Uno che è in noi. La vita è amare
solo quella Persona: Essa è talmente infinita che è sorgente di vita
all’infinito; mentre tutti coloro che amano le creature, fermandosi ad esse,
muoiono di noia, che è sorgente di morte. Dio è il rovescio della noia,
perché è sorgente di vita infinita, di impegno all’infinito. Non avverranno più tradimenti in noi solo
quando il nostro amore per Dio diventerà unico e totale.
Ida: È
possibile che uno debba passare attraverso l’esperienza del tradimento (ad es.
una scelta a favore del denaro) per giungere a Dio? Come può il denaro portarmi
a Dio?
Luigi:
No, col denaro non si va a Dio. Dio non lo si compra con il denaro. Non
bisogna far conto sul denaro, non si possono fare certe scelte di lavoro
motivati dal denaro. Se uno non se la sente di fare diversamente, passerà
per quest’esperienza che gli farà toccare con mano l’errore della motivazione;
e sarà questa esperienza di povertà che, se raccolta nel Pensiero di Dio, lo
riporterà a Dio.
Quando
uno non capisce la Parola, diventa necessario lo sbaglio per arrivare a capire
la Parola che ci dice la Verità. Non che con questo uno debba disprezzare il
denaro o non debba più toccarlo. No, il denaro è un bene, è simbolo di beni,
è creatura e non c’è nulla di cattivo tra le cose create da Dio. Tutto
dipende dal modo con cui le usiamo. Se faccio di un bene di Dio lo scopo della
mia vita, sbaglio, anche se si tratta della creatura più santa o di un mezzo
santo. Tutti i mezzi di Dio sono buoni e santi, ma se adoperati secondo lo
Spirito di Dio; se no diventano un impedimento per giungere a Lui, che è il
fine della vita. Per questo Gesù ci dice “Cerca prima di tutto il Regno di Dio e tutto il resto ti sarà dato in
sovrappiù”. Dio l’ha detto o non l’ha detto questo? Sì, l’ha detto! Allora
bisogna essere onesti: mangia, ma non vivere per mangiare; usa il denaro, ma
non vivere per il denaro; lavora, ma non vivere per il lavoro. Non puoi
affermare “senza questo o senza quello non posso vivere”, perché è qui che
avviene il tradimento. Abbi la preoccupazione principale di cercare prima di
tutto Dio e di non sottomettere la tua vita al denaro, se no dovrai asservirti
ad esso e a tante cose che ti schiacceranno e avviliranno.
“Non preoccuparti dunque del
mangiare e del vestire – ci dice Dio – ti ho creato dal niente e posso ben
mantenerti; ma tu occupati di Me, perché sono io la tua vita, e poi vedrai che
cosa succede, vedrai che liberazione sperimenterai”.
Il
problema non sta nel fare questo o quello, nel non fare questo e non fare
quello, ma nel sapere che dobbiamo cercare Dio, se no finiamo di girare attorno
a noi stessi, di farci delle regole, di crederci migliori degli altri perché
abbiamo fatto certe scelte esterne, ecc.
Incomincia
ad occuparti di Dio per mezz’ora al giorno e poi fai il resto che vuoi; ma se
sarai fedele a questa ricerca di Dio, poco per volta comincerai a sospirare più
tempo per Dio, a poco per volta vedrai come la vita cambia e come tu cominci a
navigare nella libertà.
È
solo la tanta conoscenza di Dio che ci può liberare. Più conosciamo Dio, più
consideriamo tutto come segno e diamo molta più importanza al significato che
al segno. Noi siamo schiavi, ci creiamo situazioni senza soluzione di uscita,
perché ci fermiamo ai segni. Tutto è buono, ma l’importante è vivere per Dio.
Bisogna
arrivare a dire “se non vivo per Dio non posso vivere”. Allora sì, perché Lui è
la Vita. Se invece diciamo “se non faccio questo o quello non vivo…, se non
mangio questo o quello non vivo…, senza questo o quello non vivo…”, sbagliamo,
perché ci creiamo delle catene che poi ci porteranno a sperimentare la morte.
Le catene, le nostre schiavitù sono tutte conseguenze del nostro tradimento.
Luigi: “Il gallo non canterà prima che tu…”:
c’è sempre nella nostra vita un gallo che canta per farci prendere coscienza di
un nostro tradimento. È quel qualcosa di personale che ci rivela personalmente
ciò che abbiamo fatto; è una circostanza esterna che ci fa capire l’errore che
abbiamo fatto lasciandoci, ad es., guidare dall’entusiasmo, dal sentimento,
illudendoci in tal modo di essere generosi con Dio; è quel qualcosa che ci
rivela ciò che siamo e ci fa dire: “ma è
possibile che io sia arrivato a questo punto?”; è quella circostanza o
fatto che ci rivela ciò che siamo e il tradimento che portiamo dentro di noi.
Dio
ci mette di fronte ad una cosa che ci schiaccia e di fronte alla quale possiamo
disperare. Nel pensiero dell’io siamo portati a disperare, come
Giuda che è andato ad impiccarsi; ma nel Pensiero di Dio arriviamo invece
alle lacrime e ritorniamo a Lui (cf. il pianto di Pietro): se teniamo presente Dio, la coscienza del
tradimento ci avvicina di più a Dio.
La
gioia di Dio è quella di perdonarci. Dio ci ha creati non per umiliarci, ma
per elevarci dal nostro nulla al suo Infinito. Non aspetta il nostro
tradimento per dirci “guarda come sei”,
ma poiché ci gonfiamo, Egli opera per riportarci alla nostra dimensione; e
questo perché ci ama e vuole la nostra vita. Dio ci sgonfia, perché sa che
pensiamo a noi stessi moriamo. Dio non ci ha creato per schiacciarci (non ha
fatto cantare il gallo per schiacciare o avvilire Pietro, ma per salvare
Pietro, per aiutarlo a far conto su Dio), non opera per avvilirci, ma per
portarci in alto, per salvarci. La sua è tutta opera di misericordia e di
amore. Il nostro io tende a portarci alla disperazione, allo scoraggiamento. Il
nostro io è fatto così: prima ci esalta, poi ci schiaccia. Invece il Pensiero di Dio è sempre perdono. Se
possiamo pensare a Dio è segno che siamo già perdonati.
È
gioia per Dio il perdono: “Si fa più
festa in Cielo per un peccatore pentito che per 99 giusti…”. Noi siamo
amati da Dio e dobbiamo esserne convinti. L’amore di Dio comprende e perdona,
non condanna. “Nessuno ti ha condannata?
Va, nemmeno io ti condanno”, dice Gesù all’adultera. Dio ci ama, Dio tende
a liberarci, gli uomini no, fanno al rovescio.
Il
gallo quindi è quel segno esterno che ci fa rinsavire, perché ci fa accorgere
del tradimento che porto dentro di me.
Il
canto del gallo lo portiamo dentro di noi nella misura in cui custodiamo quella
parola che ci farà ravvedere; questa parola coincide con il canto del
gallo.