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Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno.  Gv 11 Vs 13


Titolo: Nel Tempio dello Spirito Santo


Argomenti: L'Ascensione. Spazio per lo Spirito Santo.  Il sonno.  Ambiguità dei segni.  L'intenzione illumina il segno.  Il retto giudizio.   Conoscenza di Dio massimo valore.  La solitudine dell'uomo e di Dio.   Il Figlio di Dio non è ambiguo.  Come Cristo forma in noi il posto per lo Spirito Santo.


 

23/maggio/1993  Casa di preghiera Fossano


 

Esposizione di Luigi Bracco:

Siamo giunti al versetto 13 del capitolo XI di s. Giovanni.  Qui si dice: "Ora Gesù aveva parlato della morte di lui (di Lazzaro) mentre essi pensavano parlasse del riposo del sonno": per questo avevano detto: "Signore, se dorme guarirà".

Noi abbiamo visto domenica scorsa quale fosse l'intenzione di queste parole che gli Apostoli di Gesù avevano, detto obiettando alla proposta che Gesù aveva fatto di ritornare in Giudea.  È sempre l'intenzione che illumina le parole.

Adesso ci viene presentato questo fatto: gli Apostoli aveva no creduto ("pensavano" - dice il Vangelo) che Gesù avesse parlato del riposo del sonno (Gesù aveva detto: "Lazzaro dorme... si è addormentato, ed Io vado a scuoterlo dal sonno"); invece Gesù aveva parlato della morte di lui.

Ci troviamo nella domenica dell'Ascensione, e l'Ascensione, come d'altronde tutti i fatti che sono avvenuti nella vita di Gesù è per noi. Gesù è asceso al Padre per noi; non è asceso al Padre per Sé, perché Lui formando una cosa sola con il Padre è sempre con il Padre. Quindi anche l'Ascensione fa parte di questa incarnazione, cioè di questa lezione che il Verbo di Dio dà ad ognuno di noi per condurci alla meta e la meta è la Pentecoste, ricevere lo Spirito Santo, perché Gesù precisa: "Non sempre avrete Me ... ma se Io me ne sarò andato e vi avrò preparato un posto (il posto è in voi) – dice - vi manderò dal Padre lo Spirito Consolatore, lo Spirito di consolazione, di gioia, Spirito di Verità che viene dal Padre, il quale resterà sempre con voi" (Gv 12,8; Gv 14,3; Gv 16,7; Gv 15,26; Gv 14,16): ecco la conclusione!

Noi siamo fatti per giungere ad un compimento, e il compimento sta nell'essere sempre con-.  Attualmente noi siamo caratterizzati da cambiamenti continui...; il tempo passa e tutti i giorni noi siamo sorpresi da avvenimenti, che siano vicini o che siano lontani, che ci fanno mutare. L'uomo è caratterizzato dal mutamento, e soffre per questo mutamento.  Questo ci fa capire che l'uomo è fatto per raggiungere una meta in cui non c'è più mutamento, in cui lo Spirito non più va e viene, in cui non c'è più il "non sempre avrete Me", ma si realizza invece quel "sempre": "…resterà sempre con voi".

Ecco, allora dobbiamo capire che questa Ascensione di Gesù al Padre, che avviene quaranta giorni dopo che Lui è risorto da morte dopo la crocifissione della Pasqua, è per preparare a noi un posto, quel posto famoso di cui Gesù aveva parlato quando fece la promessa dicendo: "Io vado a prepararvi un posto”' (Gv 14,3). Qui sta ascendendo al Padre per preparare il posto in noi; e dobbiamo quindi chiederci in che cosa consiste questo "posto”. È quello che Gesù aveva detto: "Se Io non me ne vado non può venire in voi lo Spirito di Verità". E perché non può venire in voi? Perché in voi non c'è il posto, perché in voi non c'è la capacità di riceverLo. Allora è proprio questo suo andare (e per questo dice: “Non sempre avrete Me") al Padre che forma in noi il posto per ricevere lo Spirito Santo.

E allora qui dobbiamo anche chiederci: ma cosa succede? Gli Apostoli avevano anche chiesto: "cosa succede...?" quando Gesù aveva detto: "Il mondo non mi vedrà più, voi invece mi vedrete" (Gv 14,19). Allora avevano chiesto: "cosa succede? Come può succedere che tu ti fai vedere a noi e non più al mondo?" (Gv 14,22). E così è lo stesso: "come può succedere che andandotene Tu al Padre, in noi si formi il posto?". Vuol dire che fintanto che Lui non va al Padre in noi non si forma il posto. È proprio così.

Infatti Gesù dice: "Se Io non me ne vado al Padre non può venire in voi lo Spirito... perché non avete la capacità di portarLo, cioè non avete in voi il posto; mentre se me ne vado, Io ve Lo manderò". È proprio in questo suo andare quindi che si prepara il posto in noi, cioè la capacità di portare lo Spirito.

Ecco quindi l'anima, il significato che c'è in questa Ascensione di Gesù al Padre. Abbiamo detto che in tutte le cose noi dobbiamo cercare il significato, la lezione di Dio.  Il significato di questa sua Ascensione di Cristo al Padre è formare in noi il posto per ricevere lo Spirito Santo.

Questo già ci fa intuire che quello che impedisce a noi la formazione di questo posto, sono le presenze che abbiamo con noi, che portiamo con noi, o meglio, tutte quelle sicurezze che abbiamo, il Cristo stesso, perché Cristo dice: “è necessario che Io me ne vada”. Quindi se Cristo dice: “è necessario che Io me ne vada”, ci fa capire che Cristo stesso nella sua manifestazione fisica, sentimentale, questa sicurezza che può dare a noi il seguirLo, pur essendo "via" diventa impedimento per la formazione in noi di questo posto.  E noi molte volte restiamo confusi e quindi illusi: ci riteniamo cristiani, seguaci di Cristo, ma ci fermiamo all'imitazione del Cristo, ci fermiamo a metà strada: non giungiamo al fine al quale Cristo ci vuol condurre. E abbiamo visto che quando noi ci dissociamo dal fine di una persona noi perdiamo questa persona.

Ora tutte le presenze fisiche, tutto il mondo, tutte le creature, che sono sintetizzate in Cristo (Cristo è il compimento di tutta l'opera creatrice del Padre, dell'opera creatrice di DIO), tutte le creature che sono con noi e dentro di noi, pur essendo scala, pur essendo strada, movimento ("Io sono la Via" - dice Gesù {Gv 14,6}),diventano ostacolo alla formazione in noi del posto per ricevere lo Spirito Santo. Per questo è necessario che ad un certo momento tutto se ne vada, tutto sparisca; Cristo stesso è necessario che se ne vada, per condurre a questa grande novità: trovare Colui che viene dal Padre.

L'anima del nostro argomento di oggi è racchiusa in questo (e anche qui c'è un rapporto, e lo vedremo, con quello che si dice nel versetto 13): la formazione in noi del posto.

Il tema di oggi è: "Il Tempio dello Spirito Santo ". Domenica scorsa abbiamo visto l'entrata, la condizione per entrare, per prendere contatto con lo Spirito Santo. Oggi vediamo, se Dio vuole, qual è la condizione per restare nel Tempio dello Spirito Santo.

Lo Spirito Santo ha un suo Tempio ed è il Tempio stesso che costruisce Cristo. Cristo venendo tra noi costruisce in noi il luogo, il posto, quindi il Tempio dello Spirito Santo, per poter accoglierLo, per poter restare sempre con questo Spirito. Qui siamo nel segno dell'Ascensione di Cristo al Padre.

Qui ci viene detto che Gesù aveva parlato della morte di Lazzaro. Essi pensavano che avesse parlato del riposo del sonno, del sonno ristoratore. Abbiamo visto le volte precedenti che Il sonno ha una sua funzione molto importante, come la notte, ed è quella di disintossicarci da tutti quei cibi che noi durante il giorno non siamo stati in grado di assimilare. Tutte le parole, tutte le opere che Dio ci fa arrivare durante il giorno, (sono tutte parole sue, parole di Dio per noi, poiché tutto è fatto in noi per noi, nel nostro pensiero, nella nostra anima), tutto questo è cibo da mangiare, cibo per farci crescere. Si mangia per crescere. Quindi Dio ci alimenta delle sue parole (“l'uomo vive di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio”{Mt 4,4}), per farci crescere.  Però, il più delle volte questo cibo non è mangiato, o per lo meno è mangiato ma non è assimilato, e tutti i cibi che non sono assimilati ci intossicano, ci avvelenano, ci conducono a morte: cibo non mangiato uguale segno di morte, segno di malattia, mentre invece cibo assimilato è fortificazione e crescita nella vita.

Il sonno quindi ha una funzione importante: di staccare la spina dai segni di Dio, staccare la spina dalle creature, staccare la spina dal mondo, e in questo riposo ristoratore, ecco, abbiamo visto che la creatura riprende energie e forze e al mattino si trova fatta nuova, per ricominciare a ricevere il cibo di Dio e per poter assimilarlo.

Quest'opera di ricostruzione Dio la fa per sei notti, per aiutarci a giungere al fine. Si va però a senso unico, il che vuol dire che le notti finiscono: tutto approda ad un giorno che non ha più notte: al sabato senza sera: non c'è più notte; si va verso la vita eterna. Quindi le notti finiscono. L'opera di Dio è a senso unico: cammina quindi verso una meta. Ed è molto importante aver ben presente questa meta se si vuol capire, altrimenti si naviga nel buio e ad un certo momento le notti non riescono più a disintossicarci da quel veleno con cui noi ci avveleniamo, e allora si giunge alla morte.

Ma quello che è caratteristico è questo. Qui si dice: "Gesù aveva parlato della morte di Lazzaro ed essi avevano pensato parlasse del sonno; per questo avevano detto: "Signore, se dorme guarirà... non c'è quindi il caso di ritornare in Giudea, ecc., perché intanto sta guarendo". Invece qui ci viene detto: "Gesù aveva parlato della morte”.

Quello che è strano è che Gesù non aveva detto "Lazzaro è morto". Fin dall'inizio ha mai sostenuto che Lazzaro fosse morto. Aveva sempre detto: "questa malattia non è per la morte" e poi ancora all'ultimo Gesù conferma: "Lazzaro si è addormentato". Aveva detto che Lazzaro dormiva e poi?  E poi qui si dice: "Gesù aveva parlato della morte". Il fatto strano è questo: sembra che avessero ragione gli Apostoli quando hanno pensato che Lazzaro fosse addormentato e quindi fosse in via di guarigione; invece qui si corregge il tiro: Gesù aveva parlato della morte.  In realtà (apparentemente) Lui aveva parlato del sonno: "Lazzaro si è addormentato".

Che significato ha questo? Perché qui abbiamo una parola uguale, ma con significati diversi.

Qui abbiamo un dormire che può essere inteso come sonno e può essere inteso come morte. Qui dice che Gesù dicendo: "dorme" aveva inteso la morte. Gli Apostoli avevano inteso che dormisse, nel termine comune. Deve avere un significato questo fatto, un senso per la vita di ognuno di noi. Una stessa parola, quindi uno stesso segno, dà luogo a due realtà diverse.

Quando un segno dà luogo a due realtà diverse, a due interpretazioni diverse, noi diciamo: il segno è ambiguo.

Ecco, il segno è ambiguo, perché è vero che presso Dio, abbiamo detto, non ci sono i morti; presso Dio tutti sono vivi, per cui anche la morte può essere un sonno presso Dio, ma lontano da Dio è morte per davvero.

E poi soprattutto questo: c'è una differenza sostanziale per noi tra uno che è vivo e uno che è morto, tra uno che dorme e uno invece che è morto. È vero che noi usiamo l’eufemismo: "si è addormentato" per dire “è morto”; ; ma c'è una differenza enorme tra chi dorme e chi è morto, perché chi dormo può essere scosso dal suo sonno, può essere risvegliato; chi dorme ed è malato può essere guarito. Ma perché può essere guarito? Perché chi è malato è vivo. Ma uno che sia morto… lì non c’è cura possibile.

Abbiamo visto nel Vangelo che diverse volte in qualche episodio mandano ad avvisare Gesù che stava andando per guarire qualcuno, dicendo: "non disturbare più Maestro... è morto,  non c'è più niente da fare". Ci fa capire che là dove c'è la vita, dove si è vivi si può intervenire, si può curare, si possono dare delle medicine. Non si può invece curare un morto. C'è un abisso.  Il morto non è curabile, il che vuol dire che là dove non c'è la vita non c'è più niente da fare. Si può fare qualche cosa solo in quanto c'è la vita.

C'è una differenza tra chi dorme e chi è morto, almeno per noi, perché presso Dio tutti sono vivi. Dio può risuscitare i morti, Dio può dare la vita ai morti; noi no! Per noi i segni sono caratteristici e differenziati: quando si parla di dormire è dormire e quando si parla di morire è morire. C'è una differenza sostanziale per noi. Per Dio la cosa è diversa perché Dio può risuscitare i morti; Dio dà la vita al nulla, fa vivere il niente e noi siamo quel niente: ieri eravamo niente, oggi siamo vivi, non certamente per opera nostra o non per opera di creature perché non c'è nessuna creatura che possa dare la vita al nulla o a un morto.

Si può dare la vita soltanto là dove c'è la vita, si può curare qualcuno soltanto in quanto c'è la vita; non si può mettere la vita in ciò che non ha la vita. Quindi è soltanto per opera di Dio che noi oggi come oggi siamo viventi: è per grazia di Dio che siamo viventi, non per opera di creature certamente. La creatura non può dare la vita. Però noi possiamo ammalarci e morire; fintanto che siamo vivi possiamo essere curati, ma se moriamo nessuna creatura può darci vita. Soltanto Dio può risuscitare un morto, perché come può dare la vita a colui che non è, così può risuscitare colui che essendo ad un certo momento viene a morire.

Qui però, in questi versetti notiamo che anche se per noi c'è questa differenza di realtà (sonno e morte) invece con una parola sola Dio intende cose diverse. Allora questa parola è ambigua. C'è ambiguità. Il termine dormire ("sonno") usato per la morte o usato come riposo per ricostruzione di forse, è un termine ambiguo. È un segno. Tutti i segni sono ambigui. Il che vuol dire che sono passibili di interpretazioni diverse. Qui infatti la stessa parola "sonno" viene interpretata dagli Apostoli di Gesù in modo diverso da come Lui intendeva. Lui intendeva una cosa, essi ne intendono un'altra: “pensavano che...”. Questo ci fa capire che non sono i segni che illuminano le intenzioni o ci fanno capire il significato: i segni sono ambigui.  Ambigui vuol dire che possono ricevere diversi significati. La caratteristica del segno è questa: ha diversi significati. Soltanto in quanto si conosce l'intenzione di chi fa quel segno si può intendere il segno. È l'intenzione che illumina i segni.

Gli Apostoli non conoscendo l'intenzione di Gesù, hanno dato un'interpretazione diversa al segno. Ecco perché Gesù aveva usato il termine "dormire". Per far capire che il segno ci confonde se noi non abbiamo presente l'intenzione. Il problema è l'intenzione.

A questo punto dobbiamo dire che l'intenzione è superiore al segno, perché il segno non mi fa capire l'intenzione. Il segno è ambiguo. È l'intenzione che mi fa capire il segno! Quindi l'intenzione mi fa capire la parola di colui che parla. È soltanto conoscendo l'intenzione di Dio che noi possiamo conoscere le parole di Dio, interpretare, leggere le parole di DIO; ma senza l'intenzione di Dio, le parole di Dio stesso sono ambigue, sono segni. E noi possiamo anche ritenere di avere ragione, come gli Apostoli qui ritenevano di avere ragione e stavano sbagliando tutto.

Qui si forma già una certa graduazione di valori.  Dico, il segno certamente ci annuncia che c'è un'intenzione, che c'è un significato, ma non ce lo dà, anzi ci confonde. Soltanto conoscendo l'intenzione di colui che parla o opera, di colui che fa i segni, noi abbiamo la possibilità di intendere veramente.

Abbiamo concluso la volta scorsa che soltanto quando l’intenzione che è in noi corrisponde all'intenzione di Dio, quando anzi in noi l’Intenzione è di Dio, soltanto lì noi abbiamo la possibilità di giudicare con certezza, secondo Verità.

È quello che dice Gesù: "Non giudicate secondo le apparenze, quindi non fermatevi ai segni, non giudicate dai segni, ma cercate il retto giudizio" (Gv 7,24).  E allora ci siamo chiesti: come facciamo noi ad avere questo retto giudizio?

Retto giudizio è soltanto quando la nostra intenzione coincide con l'intenzione di Dio. È l'intenzione di Dio che mi porta a giudicare rettamente il significato delle cose, ma se non conosco l’intenzione di Dio è assurdo che io mi metta a cercare il significato delle cose,  perché certamente non arrivo a capirlo e se credo di dare un significato, il significato è fasullo, perché è soggettivo, il che vuol dire che mi lascia nel dubbio, non mi libera dal dubbio.

Questo vuol dire che soltanto derivando, deducendo da Dio l'Intenzione di Dio, noi abbiamo la possibilità di accedere al retto giudizio, quindi a capire, a leggere le opere di Dio, a intendere le parole di Dio.

Ma abbiamo detto anche che l'intenzione di uno è caratteristica di quell'uno, è propria di quell'uno. San Paolo dice che quello che c'è nell'uomo, soltanto l'uomo lo conosce. A molto maggior ragione, quello che è in Dio soltanto Dio lo conosce. L'intenzione di uno soltanto questi la conosce; a maggior ragione l'intenzione di Dio soltanto Dio la conosce.

E allora abbiamo detto che se la capacità di leggere, di capire il significato delle cose, di accedere al retto giudizio, è di avere presente l'Intenzione di Dio, dobbiamo dire: la condizione per poter ricevere, capire l'intenzione di Dio è di conoscere Dio. Intanto ci accorgiamo che tutto ci riconduce all'importanza di conoscere Dio, perché anche l'intenzione di Dio ci deriva dalla conoscenza di Dio.

Ora se l'intenzione dipende dalla conoscenza di Dio e se la lettura dei segni di Dio, delle opere di Dio, dipende dall'intenzione, qui abbiamo una scala, una graduazione di valori: abbiamo i segni che sono inferiori all'intenzione, perché l'intenzione illumina i segni, ma i segni non illuminano l'intenzione; e poi abbiamo l'intenzione che è inferiore alla persona, perché soltanto conoscendo la persona noi possiamo conoscere la sua intenzione. Il grande valore quindi è la “persona”, il grande valore è Dio, è il conoscere Dio. Conoscendo Dio, massimo Valore, conosciamo Colui da cui dipende ogni cosa, anche l’intenzione di Dio.

Soltanto quindi conoscendo Dio noi possiamo accedere all'intenzione di Dio, e soltanto conoscendo l'intenzione di Dio possiamo accedere alla lettura, al significato, al Pensiero di Dio nelle sue opere.

Dico, si stabilisce una graduazione, e quando si stabilisce un valore posto al di sopra di tutto, cosa succede? Succede che noi siamo responsabili nel rispetto di questo valore.

Se prima di tutto (perché tutto dipende di lì) l'intenzione dipende dalla conoscenza della persona e i segni dipendono dalla conoscenza dell'intenzione, noi siamo impegnati responsabilmente a cercare la conoscenza di Dio prima di tutto.

Il problema non è leggere i segni, ma è discendere da Dio verso la sua Intenzione e quindi verso i segni.

Ora man mano che noi ci avviciniamo ai valori superiori, alle cose più grandi, più importanti, al passaggio cioè dalle creature al Creatore, succede un fatto: che noi passiamo da quelli che sono gli elementi comuni, comuni a tutti, a delle singolarità. Cioè, più noi andiamo in alto, più andiamo verso i più grandi valori, alle cose più importanti, più andiamo verso delle cose che sono sempre più singolari. Ad esempio un uomo è una singolarità in sé; un uomo non è confondibile con un altro. Dio poi è la massima singolarità.  Dio è la massima singolarità!

Quando noi diciamo “singolarità” cosa vogliamo dire?

Già quello che è stato accennato prima, quando abbiamo parlato dell'intenzione: la singolarità non può essere conosciuta se non per mezzo di essa, cioè per mezzo della singolarità stessa; cioè non possiamo arrivare a ciò che è singolo attraverso dei mezzi.  I mezzi ci annunciano un essere che è singolarità, ma l'essere che è singolarità (e questo vuol dire che non si confonde con nessuno) può essere conosciuto soltanto attraverso quell’uno. Se io voglio conoscere una persona debbo andare personalmente da quella persona: non posso conoscerla per sentito dire.  La conoscenza per sentito dire è fallace. Quindi soltanto in quanto abbiamo la capacità, la possibilità, la grazia di accedere alla massima singolarità, a Dio, possiamo conoscere Dio.

DIO è conoscibile soltanto per mezzo di Dio.  Tutte le creature parlano di Dio, ma tutte le creature sono dei segni. I segni sono ambigui. Tutte le creature parlano di Dio. Anche gli uomini parlano di DIO: volenti o nolenti, parlano tutti di Dio. Tutte le nostre parole buone o cattive che diciamo, sono tutte un parlare di Dio consapevolmente o inconsapevolmente. Però tutti i segni sono ambigui e possono essere rivestiti da tante intenzioni; il che vuol dire che non si può arrivare a conoscere (e abbiamo detto che il massimo valore è questa conoscenza della Persona di Dio) ciò che è Singolarità massima, ciò che è singolo in Sé, se non attraverso Lui stesso; cioè l'Essere "singolarità" è Lui solo rivelatore di Sé.

I segni ce Lo annunciano ma non ce Lo fanno conoscere. Per noi è essenziale la conoscenza perché dalla conoscenza deriva la conoscenza dell'Intenzione e quindi la capacità di lettura dei segni.

Qui possiamo già intuire qual è il significato di tutta quest'opera del Cristo; del Cristo che muore in Croce, che risuscita, che ascende al Padre, tutto per preparare in noi il posto perché noi possiamo ricevere dalla singolarità del Padre (massima singolarità, Padre Creatore di tutte le cose, Principio di tutte le cose), quello che non si può ricevere altrimenti, nemmeno dal Figlio.  Perché è vero che il Figlio è il passaggio obbligato, è vero che nessuno può arrivare al Padre se non per mezzo di Lui, ed è il Figlio che prepara in noi questa capacità; però ad un certo momento il Figlio si ritira perché noi abbiamo a ricevere dal Padre quello che il Padre solo, singolarità massima (***registrazione: …rivela di Sé e quindi ci dà lo Spirito Santo.), ci può dare: la rivelazione di Sé, della sua intenzione e quindi lo Spirito Santo.

DIO essendo la grande singolarità, in tutte le opere che fa, significa questa sua singolarità e quindi noi vediamo questa singolarità in ogni persona, in ogni uomo. Ogni uomo è una singolarità.

Però la singolarità di Dio è diversa dalla singolarità dell'uomo, e la singolarità dell'uomo è diversa dalla singolarità di Dio. Dobbiamo chiederci in che cosa consiste questa diversità.

Ogni essere singolare, essendo singolare è solo. Profondamente l'uomo è solo. L'uomo è una singolarità: non si confonde con nessuno, non è comune con nessuno. È una singolarità e in quanto è singolarità l'uomo soffre di una strana malattia e questa strana malattia ha questo nome: solitudine. L'uomo è solo. Se vogliamo capire quanto l'uomo sia solo portiamoci nel momento della sua morte: certissimamente ogni uomo muore solo. Può avere tutto un mondo attorno a sé: creature che gli vogliono bene, ecc., tutta l'assistenza che volete..., ma l'uomo muore solo; il che vuol dire che il problema è solo suo. Qui si rivela, nel punto estremo, il punto della morte, la caratteristica della singolarità di ognuno. La singolarità di ognuno è questa: solitudine.  L'uomo è solo.

Dio è la massima singolarità, e allora anche Dio è solo.

Dio è solo, l'uomo è solo. Ma si tratta di solitudini molto diverse.

L'uomo è solo con la sua morte. Presso Dio non c'è morte. Dio è solo con la sua Vita. Dio è solo con la sua Verità. Essendo singolarità Lui solo è il rivelatore di Sé, ma Lui è solo.

Infatti nessun segno, nessuna cosa ci può fare comune con Dio. Solo Dio può comunicare Sé stesso. Ecco perché tutto è grazia ed è grazia libera da parte di Dio: tutto è amore, perché solo Dio può rivelare Se stesso. Noi possiamo osservare le piante, i fiori, gli, animali, la storia, gli eventi, tutto quello che vogliamo, possiamo conoscere tutto di tutte le cose del mondo, ma tutte le scienze del mondo che noi possiamo conoscere, intendere, ecc., non ci possono far conoscere DIO: ce Lo annunciano, non ce Lo smentiscono, ce Lo testimoniano, ma non ce Lo possono far conoscere. Perché? Perché sono ambigue e soprattutto perché Dio essendo massima singolarità non può essere conosciuto se non per mezzo di Sé.

Come i segni sono ambigui, così le creature sono ambigue. Tutte le creature sono ambigue (ed è per questo che noi siamo soli), tutte le creature sono ambigue e quindi non ci possono far conoscere Dio: ce Lo testimoniano, ce Lo annunciano, non ce Lo possono far conoscere. Quindi è inutile che noi ci mettiamo in testa: "adesso mi metto a cercare Dio nelle creature… sono io che opero e attraverso le creature arrivo a Dio”. No, tu non arrivi a Dio così! perché Dio è una singolarità, ed essendo la massima singolarità Lui solo è rivelatore di Sé. È soltanto per mezzo di Lui che noi possiamo accedere a Lui, entrare nel suo Tempio. In caso diverso noi moriamo, moriamo nella nostra solitudine, cioè nella nostra singolarità: “nostra” singolarità che è però caratterizzata appunto da questa ambiguità delle cose e quindi dalla nostra solitudine.

Presso Dio invece non c'è ambiguità. Noi con Dio non siamo nell'incertezza, perché l'intenzione di Dio, quello che deriva da Dio ("l'uomo vive di ogni parola che viene da Dio”) non è ambiguo. Presso Dio non c'è ambiguità: Dio è singolare e anche quello che viene da Lui è singolare e là dove c'è massima singolarità non c'è ambiguità. Lì c'è univocità. Il Figlio di Dio che è Pensiero che esce da Dio, dal Padre, il Figlio di Dio non è ambiguo. Infatti diciamo che è Unigenito. Non è ambiguo. Tutte le creature invece sono ambigue. Il Figlio di Dio non è ambiguo. Il che vuol dire che soltanto se per grazia di Dio noi possiamo conoscere Dio e possiamo vedere le opere di Dio da Dio, lì c'è univocità, lì si esce da ogni ambiguità, lì si entra nella certezza!

Qui possiamo capire il significato di tutta questa opera che Cristo fa tra noi incarnandosi per preparare in noi il posto a ricevere lo Spirito di Verità che viene dal Padre, che è Spirito di Verità, quindi Spirito di certezza, che è liberazione da ogni ambiguità (quello che viene da Dio non è ambiguo; è quello che viene dai segni che è ambiguo). L'opera meravigliosa che Cristo fa per formare in noi il posto per ricevere lo Spirito Santo si conclude con il suo ritorno al Padre, cioè con la necessità del superamento di tutto (“è necessario che Io me ne vada”).

A base di tutto questo, appunto per poter avere la formazione in noi di questo posto, sta il fatto che tutto viene da questa Singolarità di Dio, dalla conoscenza di Dio e solo di DIO; il che vuol dire che si forma in noi il posto in quanto si supera ogni altra cosa diversa da Dio. E quando diciamo necessità di superare ogni altra cosa diversa da Dio, noi intendiamo dire superamento di tutta la creazione, di tutte le creature, superamento soprattutto di noi stessi, del pensiero del nostro io, superamento di tutte le cose che sono opera di Dio, di tutti i segni di Dio, superamento di tutto! perché soltanto superando le opere di Dio, quindi morendo a tutto, qui sì forma il posto per ricevere lo Spirito Santo.

Ora però non è che noi distaccandoci da tutto, morendo a tutto, anche alle opere di Dio (ed è necessario perché le opere di Dio sono dei segni concessi a noi), non è che superando noi stessi noi riceviamo subito lo Spirito di Verità, lo Spirito Santo. No!  Si forma il posto per riceverLo, ma non è detto che Lo riceviamo. C'è distinzione tra formare in noi il posto per Lo Spirito e ricevere in noi Lo Spirito. È necessario che in noi si formi il posto, perché se non si forma il posto non siamo in grado di ricevere lo Spirito di Verità; il che vuol dire che se noi non superiamo tutte le opere di Dio, tutti i segni di Dio, noi non possiamo avere in noi il posto per ricevere lo Spirito Santo. Però se questa è la condizione necessaria per ricevere lo Spirito Santo, non è detto che noi riceviamo lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo non viene dal fatto che noi superiamo tutte le cose, che noi non pensiamo a noi stessi.  Non è che dicendo: “adesso non penso più a me stesso, adesso mi ignoro e supero tutto, io riceva lo Spirito Santo”.  No, tu se ti ignori formi il posto per ricevere lo Spirito Santo, ma non è detto che tu lo riceva. Lo Spirito Santo viene dal Padre.

Quindi c'è da distinguere con chiarezza se vogliamo capire le cose, perché Gesù parla di posto e parla di mandare b Spirito Santo. Se vogliamo quindi capire con chiarezza ciò di cui parla Gesù, e le parole di Gesù sono parole per la nostra vita, poiché le dice per noi, non per Sé, dobbiamo renderci ben conto:

-                            cosa vuol dire formare in noi il posto per ricevere lo Spirito Santo;

-                            cosa vuol dire ricevere lo Spirito Santo;

-                            e infine cosa vuol dire restare con lo Spirito Santo.

Il tema di oggi è di restare con lo Spirito Santo, cioè di restare nel Tempio dello Spirito Santo.

C'è questo Tempio dello Spirito Santo? C'è questo Tempio dello Spirito Santo! E questo Tempio dello Spirito Santo è il posto che è tutto riservato per Lui. Tempio è tutto ciò che è riservato: luogo riservato per-.

Ora Cristo opera per formare in noi il Tempio dello Spirito Santo: per formare in noi questo Tempio, il posto!  Lo Spirito Santo poi ce lo manda dal Padre.

Fintanto che in noi non si è formato il posto, noi non siamo e non possiamo essere Tempio di questo Spirito. Lo Spirito Santo viene dal Padre; ma non viene dal Padre in modo magico, non viene dal Padre imponendo le mani, attraverso cioè le imposizioni delle mani, non viene dal Padre attraverso dei segni.

Lo Spirito Santo richiede il rapporto personale con il Padre. Infatti per farci giungere allo Spirito Santo, cosa fa il Cristo? Cristo dopo aver sottomesso tutto di noi a Sé ci consegna (nell'ultima preghiera, al capitolo XVII di s. Giovanni), ci affida al Padre.

Perché ci affida al Padre? Perché non porta Lui a compimento l'opera? Perché ad un certo momento Lui, dopo aver fatto tutto quello che il Padre Gli aveva ordinato, ad un certo momento dice: "Adesso li affido a Te, Padre... Io me ne vado e li affido a Te".(Gv 17,6.11) Perché? È evidentissimo! perché lo Spirito Santo soltanto il Padre ce lo può dare. Infatti Gesù dice: “Se Io me ne sarò andato e avrò preparato a voi un posto, ve Lo manderò dal Padre".

Ecco perché ci affida al Padre! Soltanto dal Padre viene lo Spirito Santo! E cosa vuol dire che soltanto dal Padre viene lo Spirito Santo? Vuol dire che non viene in via magica: viene per via di conoscenza, di consapevolezza. Cioè è proprio attraverso la conoscenza del Padre, rapporto diretto faccia a faccia! (opera del Figlio è appunto di portarci a faccia con il Padre), che dal Padre consapevolmente noi riceviamo lo Spirito Santo. E noi possiamo restare con questo Spirito Santo di Dio che viene dal Padre soltanto in quanto e per quanto restiamo in questo rapporto diretto con il Padre, perché il Tempio dello Spirito Santo è caratterizzato da questo: tutto si guarda dal Padre.

Ecco, l'opera che Dio fa in tutta la nostra vita è quella che troviamo sul punto di morte (perché è nel fine che tutto si illumina). Sul punto di morte cosa succede?  Crollano (opera di Dio che interviene) tutti i nostri punti fissi di riferimento. Perché? Perché debbono lasciare il posto ad un unico punto fisso di riferimento. Punto fisso di riferimento è il Padre, Principio di tutto, Principio e Fine di tutto.

Sul punto di morte tutto si ritira, tutte le creature si ritirano, il Figlio stesso incarnato, Cristo, si ritira, tutti si ritirano e ci lasciano soli: ecco la solitudine dell'uomo! Ci lasciano soli a tu per tu, davanti al Padre, ci affidano cioè al Padre, perché soltanto personalmente, direttamente dal Padre ci é possibile prima di tutto ricevere lo Spirito, ci è dato poi anche la possibilità di restare nel Tempio dello Spirito Santo.



Così parlò e poi soggiunse loro: «Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo».Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s'è addormentato, guarirà». Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. Gv 11 Vs 11 - 13


- RIASSUNTI Domenica -


Argomenti: La solitudine della morte – L’unigenicità di Cristo – La salvezza e la liberazione dal nostro io – La Volontà di Dio – L’anima delle cose – Penetrare i misteri di Dio – Lo Spirito santo – La Parola senza Presenza-


 

30/maggio/1993  Casa di preghiera Fossano