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GV 10 VS 35 - Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivelata la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata.


Primo tema –  Il nome.


Argomenti: Adeguarsi alla Verità – La comunicazione – Mondo visibile e mondo invisibile – L’interesse per conoscere Dio – Il rendiconto – La funzione di Cristo – Questo è mio – Il bisogno di dare un nome – Il nome è un rapporto – Unificare – Adamo, nomi veri e fittizzi – Il nome che Dio dà al nostro pensiero  - Dio principio del nostro pensiero – Nome e realtà – Solo la persona può conoscere Dio – Ascensione.


 

31/ Maggio /1/Aprile/1992


È la continuazione di un discorso che, profondamente si allaccia all’affermazione che aveva creato scandalo tra i giudei: “Io e il Padre siamo uno”.

E Gesù, come anche nelle prove della tentazione del deserto, alla insinuazione, alla provocazione del nemico, oppone la parola di Dio che c’è nella scrittura, perché quella fa da testimone.

Infatti Lui aggiungerà che la scrittura non può essere annullata.

“Passeranno i cieli e la terra, ma le mie parole non passeranno”.

Fanno da testo.

Se fanno da testo vuol dire che a un certo momento queste parole diventano realtà.

Realtà che s’impone.

Gesù chiama legge la scrittura, perché essendo la parola di Dio una proposta, rivelazione dell’intenzione di Dio, è legge.

Legge in quanto ciò che è esposto come essere deve diventare il nostro dovere essere.

Il problema della Verità, è un problema di adeguazione all’essere.

Adeguazione quindi il nostro dover essere.

La Verità ci viene esposta, ci viene annunciata, ci viene dichiarata e se vogliamo entrare nella Verità, quella deve diventare il nostro dover essere.

E Gesù dice che nella scrittura è scritto: voi siete dei.

Lo dice a degli uomini ed abbiamo visto il significato di quest’affermazione.

Perché l’uomo è creato per conoscere Dio e per avere la sua vita in Dio, tanto che la vita eterna, per la quale l’uomo è creato, è conoscenza di Dio.

E se è conoscenza vuol dire che l’uomo è creato per ricevere la comunicazione dell’essere di Dio.

È creato per essere fatto partecipe della natura di Dio.

Ora, quando abbiamo parlato della comunicazione, abbiamo notato che si può comunicare soltanto là, dove c’è sintonia.

E il divino si può comunicare soltanto al divino, l’infinito all’infinito, l’eterno all’eterno e l’assoluto all’assoluto.

Se l’uomo quindi è stato creato per ricevere la comunicazione di Dio, evidentemente Dio deve formare nell’uomo, la capacità di ricevere questa comunicazione.

E poiché Dio è eterno, assoluto e infinito, soltanto formando nell’uomo questo eterno, assoluto e infinito, rende l’uomo capace di ricevere le Sue comunicazioni.

E l’eterno, l’assoluto e l’infinito è Dio.

Se Dio opera per formare nella creatura questa dimensione, evidentemente Dio che è infinito, Lui che non muta, opera ogni cosa per mutare la creatura.

Quindi la creatura è un divenire.

La creratura parte dal niente e cresce.

E Dio operando la fa crescere.

E cresce in progressione, fino a quel livello in cui è capace di ricevere l’infinito.

E quel livello è l’infinito.

Noi siamo fatti per crescere all’infinito.

Perché soltanto nell’infinito, noi riceviamo la comunicazione dell’infinito.

Noi siamo fatti per diventare ad immagine e somiglianza di Dio.

Creando l’uomo Dio ha detto: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”.

E se Dio è l’eterno, l’infinito e l’assoluto, la sua somiglianza è eterno, infinito e assoluto.

Ecco per cui: “Voi siete dei”.

Quindi Dio opera per formare in noi questa divinità, capace di ricevere questa comunicazione, questo infinito.

Ci siamo inseriti in questo argomento e dunque qui Gesù dice: “Se dunque la legge ha dato il nome di dei a quelli cui fu rivelata la parola di Dio”.

Il primo argomento che troviamo in questo versetto è questo: “La scrittura ha dato il nome”.

L’argomento, il tema di oggi è il nome.

Il nome non è l’essere.

Ma il nome è segno dell’essere.

È significazione dell’essere.

Noi abbiamo visto che l’uomo è inserito in due grandi mondi.

Un mondo delle cose che vede, tocca ed esperimenta, il mondo in cui l’uomo si trova.

Ed un mondo di cose invisibili.

C’è uno e c’è l’altro.

E tutta la difficoltà dell’uomo sta proprio in questa presenza di due mondi.

E questi due mondi non sono mica indipendenti, tutt’altro.

Abbiamo infatti visto che uno è in funzione dell’altro.

Dio non si è divertito a creare il mondo, l’universo, la natura come un sovvrapiù al mondo del suo cielo.

All’inizio c’era il cielo e la terra.

Dio creò il cielo e la terra.

Tutto fa parte di un universo.

Uni-verso vuol dire che è rivolto verso un fine.

Quindi questo mondo visibile ha uno scopo ben preciso.

E noi lo abbiamo visto questo scopo preciso della nostra esistenza in questo mondo che vediamo, tocchiamo ed esperimentiamo.

È un po’ un campo di gioco tra noi e Dio questo mondo.

Perché in questo mondo operiamo noi ma opera anche Dio.

E Dio scrive.

E tutto quello che Dio opera, lo opera per farci mutare.

E il primo grande mutamento è il passaggio dal nulla all’essere, all’esistenza.

E poi dall’esistenza c’è il passaggio alle parole, al mondo delle parole, al mondo dei pensieri.

E dal mondo dei pensieri, al mondo del Pensiero di Dio.

C’è tutto questo sviluppo che si forma nella nostra vita qui in terra.

Nello spazio di pochi anni.

Dio è un artista stupendo e meraviglioso.

Tutto questo mondo qui sensibile, in cui noi ci troviamo e in cui noi rischiamo di perdere il nostro destino eterno, perché finiamo di sprecare la nostra vita “giocando” con le creature, anziché capire il pensiero che c’è nella creazione, ha lo scopo di formare in noi l’interesse per conoscere Dio.

Questo è l’unico scopo che c’è in tutte le cose.

Nel tempo e nello spazio.

In tutto quello che vediamo c’è questa intenzione fondamentale.

Formare in noi l’interesse per conoscere Dio.

Dio, dopo averci fatto passare dal “non esistente” all’esistente, opera per formare in noi questo interesse.

Interesse per il mondo invisibile.

Abbiamo detto che sono due i mondi.

C’è il mondo delle cose visibili e il mondo delle cose invisibili.

Il mondo visibile che ha per centro l’uomo, ognuno di noi, ha lo scopo di formare in noi l’interesse per il mondo invisibile.

Ecco come i due mondi sono legati.

Uno è in funzione dell’Altro.

Ora, il mondo invisibile non è in funzione del mondo visibile.

È il mondo visibile che è in funzione del mondo invisibile.

Quindi tutta la creazione e la vita qui in terra, è a servizio del mondo invisibile.

Non il contrario.

Noi facciamo un errore grosso, quando noi consideriamo il mondo invisibile, di Dio, a servizio della nostra vita qui in terra.

È un errore grossolano.

Perché noi magari cerchiamo di conoscere le cose di Dio per vivere bene qui in terra.

O preghiamo Dio per vivere bene qui in terra.

Lo scopo non è assolutamente quello.

Dio non ci ha creati perché ci occupassimo delle cose del cielo per vivere bene qui in terra.

Il problema non è vivere bene qui in terra!

È la terra che è in funzione del cielo.

Noi siamo stati creati per il cielo, non per la terra.

La terra è a servizio del cielo.

Quindi in quanto è a servizio, è per formare in noi la capacità del cielo.

Ma perché c’è questo cielo?

Perché c’è questo mondo di cose invisibili?

Non era possibile, dal momento che Dio ci ha creati per Sè, crearci già nel suo cielo, in modo da vedere la sua presenza, in modo da colloquiare e parlare con Lui?

Evidentemente Dio non fa delle cose inutili.

E se ha creato il cielo e la terra per noi, evidentemente è perché è essenziale per la nostra vita, la presenza in noi delle cose visibili e la presenza in noi delle cose invisibili.

Abbiamo visto che tutto il regno delle cose visibili, ha lo scopop di formare in noi l’interesse, l’attrazione per la conoscenza di Dio.

Le cose visibili sono temporanee, sono soggette a mutamento e noi con esse.

Le cose invisibili sono eterne (San Paolo).

Noi siamo creati per le cose eterne.

Quindi tutte le cose visibili, sono al servizio delle cose eterne.

Sono per farci approdare su questa riva eterna.

E per formare in noi la capacità di abitare nelle cose eterne.

Perché soltanto trovando le cose eterne, noi troviamo la nostra vita e la nostra pace.

Soprattutto la nostra pace.

Noi ci riposiamo là, dove c’è l’eternità, dove le cose non mutano.

Noi siamo inquieti quando ci troviamo tra cose che mutano.

Noi siamo fatti per le cose che non mutano.

La nostra pace sta lì.

La nostra luce sta lì.

La nostra vita sta lì.

Tutto è a servizio di questo.

Le cose del cielo sono invisibili, perché trascendono noi, perché non sono relative a noi, perché non dipendono da noi.

Quindi abbiamo un mondo di cose visibili che è in relazione a noi, che dipende da noi, ma certamente il regno della verità, il regno di Dio, il regno delle cose eterne, appartenendo a Dio (assoluto), certamente non dipende da noi craeture.

Quindi non è in relazione a noi.

Non essendo in relazione a noi, noi non possiamo vederlo toccarlo ed esperimentarlo.

Però non possiamo ignorarlo, c’è.

Abbiamo detto molte volte che in questo mondo di cose eterne, le cose sono trascendenti noi e quindi non sono in relazione a noi, non dipendono da noi, per cui esistono anche se noi non le conosciamo, anche se noi non le pensiamo, anche se noi non ci occupiamo di esse.

Il cielo di Dio, il mondo dell’eternità di Dio, esiste indipendentemente da noi.

Siamo noi che non esistiamo indipendentemente dal cielo.

Cioè se noi non ci preoccupiamo di conoscere Dio e le cose eterne del cielo di Dio, il danno lo subiamo noi, non Dio.

Noi non rechiamo mica del danno al cielo.

Il cielo di Dio è assoluto ed eterno, immutabile e quindi non subisce il condizionamento delle creature.

Per cui c’è un abisso trta la creatura che conosce le cose eterne, il cielo di Dio e la creatura che non conosce il cielo di Dio.

Che la creatura conosca o non conosca questo non muta il cielo di Dio.

Il cielo resta perché è eterno, assoluto.

Ma che la creatura conosca o non conosca questo provoca nella creatura stessa una differenza enorme.

Tanto da approdare a queste due grandi soluzioni: paradiso o inferno.

E il paradiso è caratterizzato proprio dalla conoscenza di Dio.

L’inferno è caratterizzato dalla non conoscenza di Dio.

Quindi il predicare, il parlare o l’insistere circa la non necessità di conoscere Dio, praticamente è seminare l’inferno nelle creature.

Perché essendo la creatura creata per conoscere Dio e nel cialo di Dio, nelle cose eterne si approda soltanto attraverso la conoscenza, il far deviare le creature da questa passione, da questo interesse, da questa attrazione per conoscere Dio, è rivolgerle all’inferno.

E Gesù dice: “Guai a coloro che scandalizzano”, cioè guai a coloro che deviano l’interesse delle creature, dal cielo a ciò che non è cielo, a ciò che non è eterno, a ciò che non è conoscenza di Dio.

Tutto questo mondo visibile, ha lo scopo di formare nella creatura umana, in noi, questo interesse, questa attrazione per conoscere Dio.

Ed è il primo tempo dell’opera di Dio.

Del tempo in cui Dio dà a noi i talenti, le mine, la vigna da lavorare.

Poi c’è il secondo tempo, in cui Dio viene a chiedere l’interesse che noi abbiamo saputo trarre dalle cose che ci ha dato da amministrare.

Quindi viene a chiedere il rendiconto.

Viene a chiedere l’interesse.

Non dobbiamo pensare che questo rendiconto avvenga con la morte, no!

Il rendiconto avviene qui, perché abbiamo visto che Dio viene a chiedere a noi l’interesse, in quanto viene a proporci argomenti del suo cielo.

Quando viene a parlarci di cose del cielo, di cose del Padre, lì viene a chiederci il rendiconto.

Perché soltanto coloro che hanno maturato interesse per conoscere Dio, qui possono seguire l’argomento e la proposta che Dio fa, presentando loro argomenti di Dio.

Quindi abbiamo questa terra che ha il compito di formare in noi l’interesse per Dio e poi Dio ci viene a parlare delle cose che non si vedono e non si toccano (Cielo, Padre), argomenti cui siamo attratti soltanto se abbiamo maturato in noi interesse per conoscere Dio e possiamo quindi seguire Cristo.

Altrimenti dobbiamo desistere, non possiamo seguire Cristo.

Il Cristo ha questa funzione qui.

Come il mondo delle cose visibili ha una funzione ben precisa, così Cristo tra noi, ha una funzione ben precisa.

È quella di venire a raccogliere tutti coloro che sono attratti da Dio, quindi che hanno maturato questo interesse per Dio, per raccoglierli nel Pensiero di Dio.

E l’uomo può pensare Dio.

L’animale non può pensare Dio.

L’uomo può pensare Dio, perché porta in sé il Pensiero di Dio.

Per cui Cristo viene a raccogliere noi, in quest’interesse che è maturato in noi per Dio, per convogliarci in questo Pensiero di Dio.

Per cui la creatura s’accorge seguendo il Cristo che, a poco per volta diventa lei tutto pensiero di Dio.

Perché questo pensiero di Dio cresce.

Abbiamo detto che la creatura è in mutamento, sta mutando e Dio opera facendola crescere in Dio, semplificandola in questo interesse per Dio che è maturato in lei.

Semplificarla vuol dire ridurla unica, ridurla pura in questo Pensiero.

Questo Pensiero che deve crescere al punto tale da essere al di sopra di tutto.

Gesù addirittura dice al di sopra del mangiare e del vestire!

Al di sopra di tutte le questioni del nostro mondo.

Quindi quella dev’essere la nostra preoccupazione principale.

E Cristo viene a convocarci in quest’interesse.

Il seme c’è nell’uomo e se non c’è questo seme dell’interesse per Dio, Cristo non può fare niente.

“Nessuno può venire a Me, se non è attratto dal Padre”.

Quindi questo seme dell’attrazione per Dio ci deve essere.

Ed è quello stesso seme che Dio ha seminato sulla nostra terra.

E la funzione della terra è quello di far maturare in noi quest’interesse.

Cristo viene a raccogliere quest’interesse e lo fa cresce al punto che quella diventa l’unica pianta della nostra vita, l’unico albero, diventa lo scopo essenziale della nostra vita.

A questo punto qui sorge il problema del nome.

Qui soltanto qui.

Quando la creatura umana è convogliata, per opera del Cristo in questo interesse principale, in questo pensiero unico: pensare Dio per conoscere Dio, qui la creatura ascolta Dio che le dice: “Questo è mio”.

La creatura che non sa.

Perché noi di fronte a tutte le cose che arrivano a noi, indipendentemente da noi, noi ci troviamo sempre di fronte a punti interrogativi.

Infatti di fronte a tutte le cose il primo problema che si forma in noi è “che cosa è questo?”.

“Che cosa è questo?” è la grande interrogazione.

E noi diciamo anche “Che cosa è questo pensiero di Dio che portiamo in noi?”.

Cos’è questa fame di Dio, questa fame di conoscenza, quest’interesse per Dio?

Che cosa è questo?

E l’uomo non lo sa.

Lo sente, lo subisce ma non lo sa.

E il problema è che cosa è questo?

E proprio formando quest’interrogazione che l’uomo sta invocando un nome.

E noi diamo il nome alle cose: “Che cosa è questo?”.

E noi diamo il nome alle persone: “Chi è questo?”.

E ci attendiamo un nome.

Di fronte alla creatura che sta pensando Dio e che quindi pensando Dio formula quest’interrogazione: “Che cosa è questo?.

“Che cosa è questo bisogno che porto in me?”.

Perché la creatura lo subisce questo bisogno.

La creatura lo porta in sé ma non sa che cosa è.

Non può saperlo.

Perché non ce l’ha dal Principio.

Quindi portandolo in sé, lei che è fatta per conoscere...ecco il punto interrogativo, il problema: “Che cosa è questo?”.

E Dio che dice: “Questo è mio”.

Cioè: “Questo è il mio pensiero”.

Certo di fronte alla parola di Dio, l’uomo non può obbiettare niente, anche se non capisce.

Non ha elementi per contraddire.

Quindi qui abbiamo Dio che fa fare un passo avanti, un salto addirittura.

E che razza di salto avviene nella creatura quando questa creatura viene illuminata e convinta circa il fatto che il pensiero con cui lei pensa Dio, perché porta l’interesse per conoscere Dio, in realtà è pensiero di Dio.

È Dio che dice: “Questo è mio”.

Qui sorge il problema del nome.

L’uomo ha bisogno di dare un nome alle cose.

Per noi il problema è sempre questo, noi di fronte alle cose ci chiediamo sempre: “Che cosa è questo?”.

La risposta è “manu”.

“Che cosa è questo?”

“Questo è il pane per oggi”.

Ecco la grande importanza del deserto dell’uomo.

Ha dato un nome.

Un nome alle cose.

Il tema di oggi è il tema del nome.

Evidentemente questo nome che fa fare un salto di qualità alla vita dell’uomo deve avere una funzione molto importante.

Gli animali non danno il nome alle cose.

E perché l’uomo dà il nome alle cose e sente il bisogno di ricevere il nome delle cose?

L’uomo quando si trova di fronte alle cose che non può nominare è a disagio.

Ti trovi in un campo di fiori e non puoi nominare questi fiori, perché non li conosci, non sai che cosa sono.

Ti trovi di fronte al cielo stellato e non puoi nominare le stelle, non puoi dare un nome alle stelle, però t’accorgi che ti manca qualche cosa.

L’uomo s’accorge che quando non può nominare si trova in diminuzione di essere.

Nel campo della conoscenza, perché la conoscenza è essere.

Quindi c’è questo bisogno di dare un nome.

Perché a fondo c’è questo bisogno di dare un nome?

Questo bisogno di dare un nome è la caratteristica della persona umana.

Perché l’uomo è caratterizzato da questo bisogno di dare un nome alle cose?

Anche nei nostri rapporti più sempli che sono rapporti tra uomo e uomo, noi vediamo quanto bisogno abbiamo di dare un nome alle creature, agli uomini e alle donne che incontriamo.

E di fronte a ogni uomo noi chiediamo: “Chi è questo qui?”.

La prima volta che ci si presenta qualcuno...”Chi è questo qui?”.

E cosa succede?

Noi ci aspettiamo un nome ma in questo nome cosa succede?

Chi ci risponde, cosa dice?

Normalmente quando chiediamo di fronte a una nuova persona: “Chi è costui?”, ci viene risposto che è il figlio del tale, o che viene dal tale paese o che lavora nella tale fabbrica.

Questo è il nome.

E cosa significa questo?

Quando mi si dice che una persona è la figlia del tale o della tale, oppure è il padre, lo zio, il cognato della tale, cosa vuol dire questo?

Vuol dire che chi risponde a noi, mette in rapporto chi non conosciamo con qualcosa o qualcuno che conosciamo o che abbiamo presente.

Quando ci si dice: “Figlio del tale”, già si suppone che noi conosciamo chi è il “tale”.

Per cui fa riferimento a un nostro punto fisso di riferimento.

Quando ci si dice: “Questo qui viene da Cuneo”, implicitamente fa riferimento a qualcosa che noi conosciamo: Cuneo.

Per cui adesso io so che costui (che è uno tra tanti e che non so chi sia), è uno che viene da Cuneo: ha già un suo nome: viene da Cuneo.

Quando si dà un nome, si fa un rapporto tra un termine conosciuto e un termine che non si conosce.

Il termine che non si conosce è quello che noi abbiamo presente che vediamo e tocchiamo.

Il termine a cui si fa riferimento è quello che si suppone che l’altro conosca.

Cioè che conosca il padre o il figlio o la città di provenienza o il luogo di provenienza: “Questo è un francese”, e si fa riferimento alla Francia.

Si presuppone che uno sappia cos’è la Francia.

Si dà un nome in quanto si fa riferimento, si stabilisce cioè un rapporto tra una cosa che non si conosce e una cosa che si conosce.

Si assorbe, si unifica, quello che non si conosce (“Chi è questo?) in quello che si conosce.

Se io conosco il padre e mi si presenta un tale sconosciuto come il figlio, io adesso so chi è quel tale.

In realtà non conosco nessuno, però ho messo in relazione il tale che è figlio del tale padre che conosco, adesso conosco quel tale che prima non conoscevo.

Ecco, si dà un nome, in quanto si fa un rapporto con qualche cosa che si conosce: punto fisso di riferimento.

E va bene ma perché l’uomo ha bisogno di fare questi rapporti?

Perché l’uomo ha bisogno di unificare?

L’unificazione è un rapporto.

Quindi l’uomo mette in relazione una cosa che non conosce, con una cosa che conosce.

E se riesce a mettere in relazione tra loro i due termini ha capito cos’è la cosa che non conosceva.

Perché l’uomo ha bisogno di stabilire questi rapporti, di dare cioè un nome alle cose?

L’uomo ha bisogno di questo poiché porta in sé la passione d’assoluto che lo porta ad unificare.

Il nome è un rapporto determinato dal bisogno di unificazione dell’uomo.

L’uomo si trova di fronte a delle cose che sono “tante”, si trova di fronte a una molteplicità di cose.

E ha bisogno di cominciare a mettere una cosa in relazione all’altra.

E man mano che mette in relazione unifica.

Ecco l’uomo procede sul cammino della conoscenza unificando.

È il bisogno di unificare che ci fa dare il nome alle cose.

Adamo ha dato il nome alle cose, alla presenza di Dio.

Noi non diamo il nome alle cose alla presenza di Dio, magari!

Noi diamo il nome alle cose, alla presenza della nostra esperienza.

Alla presenza di ciò che abbiamo visto, toccato, esperimentato.

Infatti noi diciamo che il tale viene da Cuneo, oppure quel tizio è il figlio di Antonio e si presuppone che Cuneo e Antonio li conosciamo.

Quindi il nome che diamo, è in relazione a della nostre conoscenze, non è in relazione alla presenza di Dio.

Las parola di Dio ci dice che Adamo ha dato il nome alle cose, alla presenza di Dio.

E questo è il vero nome.

Qui ci dice una grande cosa.

Ci fa capire che ci sono veri nomi e nomi che non sono veri.

O perlomeno sono fittizzi.

Sono transitori, non durano.

Quando dico che quel tale è il figlio di Antonio, va bene ho capito chi è, ma in realtà non ho capito proprio niente.

È una conoscenza fittizzia, è un nome fittizzio.

Io ho fatto solo un rapporto ma in realtà non conosco né Antonio, né suo figlio.

Quando mi si dice che quel tale lavora a Bongioanni, sì, sì ho capito, è un operaio che lavora a Bongioanni ma non è che con questo io conosca qualcosa di quel tale che lavora a Bongioanni.

Sono nomi che c’illudono di conoscere.

Perché ogni rapporto che stabiliamo, introduce in noi un po’ di conoscenza.

E noi diciamo: “Ho capito!”, perché abbiamo messo in relazione due cose.

Invece là, dove non possiamo mettere in relazione le cose diciamo di non capire, dove riusciamo a mettere in relazione le cose, diciamo di capire.

In realtà siamo ben lontani dalla conoscenza!

Il vero nome è quello che ha dato Adamo.

E questa è lezione per ognuno di noi, tutta la Scrittura è lezione per noi.

Il che vuol dire che il vero nome, lo si dà soltanto quando lo si dà, alla presenza di Dio.

Allora Dio qui, diventa il punto fisso di riferimento.

Allora Dio qui diventa il punto fisso di riferimento e la creatura è il “tale” che non conosciamo.

E di fronte alla creatura che non conosciamo, diciamo che cosa è questo?

Ed è alla presenza di Dio che noi dobbiamo dare il nome a questa creatura.

Quindi la creatura ci viene data, affinché noi abbiamo a stabilire un rapporto con Dio ma evendo Dio come punto fisso di riferimento, come punto luce.

E soltanto in quanto in noi teniamo presente Dio come punto fisso di riferimento noi cerchiamo che cosa sono le cose, che cosa sono le creature, che cosa sono le parole in relazione a Dio.

Quando Dio dice alla creatura, che lo sta pensado: “Questo è mio”, è Dio che dà un nome.

Dio dà un nome alla creatura.

È come se dicesse alla creatura: “Tu sei mia in questo pensiero”.

Cioè: “Tu sei mio pensiero”.

Ecco il pensiero che noi non sappiamo cosa sia, questo pensiero con cui stiamo pensando Dio.

Dio invece sappiamo cos’è.

Perché Dio è Colui che nessuno può ignorare.

Punto fisso di riferimento: Dio, Creatore di tutte le cose.

Dio che dice a noi: “Questo è mio”, dà un nome al pensiero che porto in me e che non so che cosa sia.

Dà un nome!

È la sua presenza che mi dà un nome.

E questo è il vero nome.

Questo è un nome!

Qui siamo nel campo della fede.

Noi capiamo quello che Dio Creatore dice, dicendo “Questo è mio” ci fa capire che Lui è il principio, è il soggetto di questo pesniero con cui io sto pensando Lui.

Non sono io che penso Dio, non sono io il soggetto di questo pensiero che pensa Dio.

Non sono soprattutto io il principio di questo pensiero.

Dio dicendo a me che sto pensando Dio: “Questo è il mio pensiero”, mi fa capire che Lui è il principio di questo pensiero, che Lui è l’autore di questo pensiero, Lui è il soggetto di questo pensiero.

Qui avviene una rivoluzione enorme nella nostra vita.

Un salto abissale nella nostra vita.

Però intanto ha detto un nome...siamo nel campo della fede.

Perché noi accogliamo questo (e la scrittura non può essere annullata) perché Dio è il Creatore, il Principio di tutto, quindi è anche il principio del mio pensiero.

E lì resto nella Verità, perché Dio è il principio di tutto, quindi anche del mio pensiero che pensa Lui.

Siamo nel campo della fede, questo è il nome.

Ma quando mi si dice un nome, il nome è una parola.

E noi dobbiamo andare al di là del nome.

Dobbiamo arrivare alla realtà che corrisponde a questo nome.

Il nome ha una funzione molto importante in questo mutare della creatura che sta crescendo verso quest’infinito che è Dio e che Dio sta formando a sua immagine e somiglianza, per renderla capace, non più di ricevere parole, non più di ricevere nomi, ma di ricevere l’essere stesso di Dio.

La meta è questa.

“Non vi parlerò più con parabole, non vi parlerò più con parole, ma apertamente vi farò conoscere il Padre”.

La creatura sta andando verso questa meta.

Qui c’è la realtà.

Non ci sono più segni, non ci sono più parole, non ci sono più nomi.

E ci siamo chiesti e ci dobbiamo chiedere qual’è la funzione del nome?

Tutto ciò che la creatura riceve da Dio, indipendentemente da sé, senza di sé, tutto questo la creatura non lo può ignorare, perché lo riceve però non conosce, non sa.

Sono segni.

E allora tutto quello che la creatura riceve e porta in sé, tutto deve riportarlo a Dio, deve offrirlo a Dio.

Ecco il grande tema della creatura che riceve e deve riportare.

Tutto deve riportare a Dio.

E sono nomi che essa riceve dalla presenza di Dio.

Ricevuto il nome dalla presenza di Dio, lei deve riportare a Dio questo nome, per riceverlo come realtà.

Per riceverlo nuovo da Dio, abbiamo detto.

Anche il pensiero stesso di Dio che la creatura porta in sé e sul quale Dio ha detto “Questo è mio”, la creatura lo deve riportare a Dio, per riceverlo nuovo da Dio.

Il pensiero di Dio che è di Dio, immaginiamoci tutto il resto!

Tutto la creatura deve riportarlo a Dio, se vuole entrare nella conoscenza di Dio.

Perché la conoscenza di Dio si riceve soltanto dal Padre, si riceve soltanto da Dio.

E quindi soltanto in quanto la creatura portandolo, è fatta partecipe di quello che viene da Dio, quindi dal principio, lì entra nella conoscenza.

Lì non si conosce più per sentito dire, non si conosce più per parole, per parabole, non si conosce più per i nomi, lì si conosce direttamente perché quella è la realtà in cui noi ci troviamo.

Lì si costata la realtà.

Ora, in questa realtà, non si entra senza di noi.

Quindi abbiamo tutta una realtà che arriva a noi: Dio, il pensiero di Dio, tutta la creazione e le creature, tutto l’universo e i fatti della nostra vita, tutto questo pioba su di noi, indipendentemente da noi, sia che noi lo capiamo o non lo capiamo, sia che noi lo voglia o non lo vogliamo, sia che noi crediamo o che non crediamo.

Tutto entra in noi.

E tutto questo ci rende responsabili.

Poiché tutto ci è dato per trarne interesse per conoscere Dio.

Qui scopriamo che non si può giungere a conoscere Dio senza il nostro io.

Cioè non si può conoscere Dio se non si è persone.

È soltanto l’essere personale, cioè l’essere che ha un io che può giungere a Dio.

Qui capiamo perché c’è questo “io”.

È di una importanza enorme.

Ma questo “io” va superato.

Questo io al quale noi dobbiamo morire, ha una importanza enorme.

Perché non si può conoscere Dio se non si ha un io, se non si è persona.

L’animale non può conoscere Dio.

Soltanto l’essere che può dire: “Io sono”, soltanto l’essere che può dare il nome a tutte le cose (magari sbagliando) può conoscere Dio.

Perché abbiamo detto che Dio che fa arrivare tutti i segni di Sé, compreso suo Figlio, che dà a noi tutto di Sé (senza di noi), non si può far conoscere senza di noi.

Non si può far conoscere senaza il nostro io.

Ed è questo io qui che è la chiave per capire perché noi diamo il nome a tutte le cose.

Noi diamo il nome delle cose perché sentiamo il bisogno di rapportarle a dei punti fissi di riferimento.

Ed è soltanto in quanto noi riferiamo tutte le cose ad un punto fisso di riferimento che noi stiamo su.

Il nostro io sta su, in quanto riesce (magari falsificando tutto) a dare un nome a tutte le cose, riferendo tutto ad un punto fisso di riferimento.

Per cui questo “io” convinto di una sua realtà, dà il nome a tutte le cose, poiché ha la possibilità di riferire tutto alla sua reraltà.

Ecco per cui è molto difficile parlare a degli “io”, quando hanno come punto fisso di riferimento altro da Dio.

Perché nessuno li può smuovere dalla loro realtà, nemmeno Dio.

È Dio che ha dato l’io all’uomo.

È Dio che ha formato la persona.

Ed è necessario che la creatura umana, abbia la possibilità di predicare il suo io.

E quando predica il suo io cosa fa?

Non fa altro che predicare quella realtà che per lei è Realtà.

E predicare vuol dire dare il nome a tutte le cose in rapporto a una realtà.

Dare il nome è stabilire un rapporto.

La creatura, proprio perché è un io, ha la possibilità di stabilire dei rapporti tra la sua realtà, punto fisso di riferimento e tutte le cose che incontra.

Per cui interpreta tutti i fatti e tutti gli avvenimenti, tutta la storia, in relazione al suo punto fisso di riferimento e qui dà il nome.

Quindi noi siamo un io, in quanto abbiamo la possibilità di dare il nome a tutte le cose, rapportandole a un nostro punto fisso di riferimento.

Soltanto alla presenza di Dio, noi possiamo dare il vero nome alle cose.

Altrimenti tutti i nomi che noi diamo alle creature e alle cose, sono tutti nomi sbagliati.

Perché hanno come punto fisso di riferimento, altro da Dio.

Soltanto alla presenza di Dio abbiamo la possibilità di dare il vero nome alle cose come Adamo.

Soltanto alla presenza di Dio noi possiamo dare il vero nome alle cose.

Altrimenti tutti i nomi che noi diamo alle creature e alle cose, sono tutti nomi sbagliati.

Perché hanno come punto di riferimento altro da Dio.

Adamo è l’uomo, quindi l’uomo ha la possibilità di dare il vero nome alle cose, rapportando tutto ad un unico punto fisso di riferimento.

Soltanto alla presenza di Dio.

Allora è proprio questo nome, questo riferire e rapportare tutto a Dio, che forma in noi, nel nostro io, nella persona umana, questa tensione fra la nostra esistenza e la conoscenza.

Nella creatura umana c’è questa tensione massima tra ciò che ha presente e che non conosce e la conoscenza di Dio.

E il nome è quello che porta la creatura umana in questa tensione.

Il nome che viene dalla presenza di Dio, di questo Dio che dice a noi: “Voi siete dei”, di questo Dio che dice al nostro pensiero che lo pensa: “Questo è mio”, questo Dio che sta predicando Se stesso, dandoci il nome, crea in noi questa massima tensione, per riportare tutti i nomi che abbiamo ricevuto dalla sua presenza, per riportarli a Lui, per riceverli nuovi da Lui.

Ecco il processo dell’ascensione.

Cristo stesso ascende al Padre e ascende mica per Sé, ascende per noi.

Teniamo presente che Cristo è la sintesi, il compimento di tutta l’opera di Dio.

Quindi in Cristo che ascende al cielo del Padre, abbiamo tutta la creazione, tutta la nostra vita, tutte le opere, tutti i nomi che portiamo noi addosso, abbiamo tutta quest’opera meravigliosa che sta salendo al Padre, per ricevere dal Padre un nome nuovo.

E il nome nuovo è il nome dello spirito.

Cioè è il nome che viene dalla conoscenza di Dio.


GV 10 VS 35 - Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivelata la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata.


Secondo tema – Il vento di Pentecoste.


Argomenti: Mine, talenti e vigna – Da servi ad amici – Mondo visibile e mondo invisibile – Annuncio e rivelazione della Parola – Parola velata e disvelata – L’uomo non esiste indipendentemente dalla Verità – La selezione degli uomini – Dare il nome – Il nome è un rapporto – I nomi giusti e sbagliati – L’io, la persona – Impenetrabili alla Verità – Nomen est omen – Nomi e parole – La paternità – Tradurre la parola di Dio – La capacità di ascoltare la rivelazione delle parole di Dio – Il pensiero nella parola – Imparare a leggere – Non si passa dalla parola al pensiero – Passaggio dal pensiero alla realtà – Si muore per difetto di conoscenza – Rapporto Pensiero di Dio-Padre.


 

7-8/ Giugno /1992


Domenica scorsa abbiamo visto la prima parte do questo versetto.

Oggi dobbiamo soffermarci sulla seconda parte di questo versetto.

“Ha dato il nome di dei, a coloro quali fu rivelata la parola di Dio”.

E qui già subito notiamo che c’è una restrizione in questa dichiarazione di Gesù.

Ci fa capire che ci siano uomini ai quali non fu rivelata la parola di Dio.

E questo già subito ci fa meditare, perché la parola di Dio è per tutti.

Dio stesso vuole salvare tutti.

E certamente non si può giungere alla salvezza, che sta nella Verità, che sta nel conoscere Dio, se non ascoltando la parola di Dio.

E come mai qui, a un certo momento dice: “A quelli ai quali fu rivelata la parola di Dio”?

Ci fa pensare che ci siano quelli ai quali non fu rivelata la parola di Dio.

Gesù, proprio di fronte alla parola di Dio, dice che ci sono uomini che hanno orecchi e non odono.

E questo ci fa pensare che l’ascolto della parola di Dio e, soprattutto l’accogliere la rivelazione che c’è nella parola di Dio, è condizionato, è subordinato a delle condizioni.

Per cui si forma una selezione nel campo degli uomini.

Certamente la parola di Dio è annunciata a tutti.

Dio parla a tutti.

Dio offre la salvezza a tutti.

Però la rivelazione che è contenuta nella parola di Dio, è limitata.

Ora, tra l’annuncio a tutti e la rivelazione della parola stessa annunciata, qui c’è già una selezione che si forma negli uomini e che si forma nell’animo umano.

E allora dobbiamo chiederci perché?

Tutto è parola di Dio per noi, per darci la possibilità di entrare nella vita eterna e in questa vita eterna o si entra oggi o non si entra più.

Si tratta di un problema urgente.

Il mondo resta bruciato.

Molti si perdono lungo la strada.

È quindi molto urgente che le parole di Dio, le lezioni di Dio siano comprese a fondo.

Perché soltanto attraverso la comprensione, la rivelazione che c’è nella parola di Dio, l’uomo cammina verso la sua salvezza, verso la conoscenza di Dio come vero Dio.

Qui dobbiamo riprende l’argomento delle parabole dei talenti, delle mine e della vigna.

Cioè le parabole attraverso cui Dio presenta a noi i suoi due grandi tempi, nei rapporti con l’uomo, con ognuno di noi.

Il primo tempo è quello in cui Dio dà la vigna ai lavoratori.

O dà i talenti o le mine ai servi, affinché le facciano fruttificare.

Abbiano notato come questo concetto di servi è molto importante perché tutti sono servi.

Il che vuol dire che Dio dà i suoi doni da far fruttificare a tutti.

E poi c’è il secondo tempo in cui Lui viene a chiedere, quanto interesse abbiamo saputo trarre dai doni ricevuti.

E, a seconda dell’interesse per conoscere Dio che ciascuno sa trarre da quello che Dio gli ha dato, gli uomini cominciano a qualificarsi: si fa un salto di qualità.

Si passa da servi ad amici.

Infatti Gesù, a coloro che hanno saputo trarre interesse dai dono ricevuti, dice: “Entra nella gioia del tuo Signore”.

La gioia del Signore è la conoscenza.

E quindi questo entrare nella gioia è riservato agli amici, ai figli.

Cristo parlando ha la possibilità di dare la vita e quindi ha la possibilità di dare agli uomini questa capacità di diventare figli di Dio.

“Ha dato a coloro che credono in Lui, la possibilità di diventare figli di Dio”.

E allora abbiamo una qualificazione.

Abbiamo il passaggio da servi ad amici, a figli: “Entra nella gioia del tuo Signore”.

Qui gli uomini cominciano a differenziarsi.

Tutti gli uomini ricevono i doni di Dio, non tutti sanno trarre interesse da questi doni per conoscere Dio.

E così tra gli uomini, nell’umanità, si comincia a creare questa differenziazione.

Abbiamo visto che Dio viene a chiedere a noi l’interesse che abbiamo saputo trarre da i suoi doni dati a noi da amministrare, attraverso la presentazione di argomenti del mondo invisibile.

Tra noi ricordiamo, che c’è un mondo visibile e un mondo invisibile.

Il mondo delle cose visibili è quello che noi tutti esperimentiamo.

Arriva a noi attraverso i nostri sensi e fa parte di tutti i nostri sentimenti.

Per noi è visibile, è sperimentabile, perché è relativo a noi.

Poi c’è il mondo delle cose invisibili che è un mondo di cose eterne.

Le cose invisibili sono eterne, ci precisa la parola di Dio attraverso San Paolo.

Le cose visibili invece sono temporanee.

Durano poco.

Però hanno uno scopo ben preciso.

C’è quindi il mondo delle cose visibili e il mondo delle cose invisibili.

Il mondo delle cose visibili, arriva a noi indipendentemente da noi.

Nel mondo delle cose invisibili invece non si entra senza di noi.

E cosa vuol dire quel “senza di noi”?

Vuol dire che non si entra senza l’interesse per conoscere Dio.

Questo interesse maturato, attraverso le cose visibili.

Tutto il mondo delle cose visibili, ci viene dato, affinché attraverso esse, noi possiamo capire che c’è un Dio creatore e che tutta la sua opera è finalizzata ad uno scopo ben preciso, quello di formare nell’uomo l’interesse per conoscere Dio.

Perché tutto è fatto per l’uomo, affinché l’uomo possa elevare la sua mente a Dio (preghiera), perché attraverso la mente possa conoscere Dio.

E già questo ci fa capire che, alla conoscenza di Dio non si arriva attraverso i sentimenti, non si arriva attraverso fatti magici o opere virtuose ma si arriva attraverso la mente.

Dio è spirito e verità e vuole essere adorato in spirito e verità.

La verità si trova soltanto conoscendola.

La conoscenza è un problema di mente.

Dedizione di mente.

Quindi chi matura interesse per conoscere Dio, forma in sé questa apertura alle cose e agli argomenti invisibili.

E quando nel secondo tempo, Dio viene a cercare l’interesse, viene a cercarlo proprio in quanto ci fa arrivare parole di cose che noi non vediamo, non tocchiamo, non esperimentiamo.

Parole di realtà che sono invisibili.

Quindi parole che parlano a noi di Dio e di tutte le sue opere eterne, quindi che appartengono al cielo di Dio.

In questo cielo (“Entra nella gioia del tuo Signore”) di Dio, entrano soltanto coloro che hanno maturato interesse.

Questa è la selezione che si forma nel campo umano, per cui cominciamo qui ad intuire, a capire come, ci siano quelli “ai quali fu rivelata la parola di Dio”.

Poi c’è un altro argomento qui: “Fu rivelata la parola di Dio”, mentre la parola di Dio è annunciata a tutti.

Allora abbiamo queste due grandi fasi, l’annuncio e la rivelazione.

L’annuncio è per tutti, la rivelazione della parola no.

E questo ci fa capire che quando la parola arriva a noi come annuncio per tutti, questa parola è velata.

Quindi abbiamo una parola che è velata e una parola che è rivelata, svelata, disvelata.

Si passa dalla parola velata, alla parola disvelata solo attraverso la dedizione della nostra mente, cioè attraverso questo interesse.

Quindi la parola arriva a noi velata, ci annuncia cose che non vediamo, non tocchiamo, non sperimentiamo che però non possiamo ignorare, siamo nel campo dell’intelletto.

Le cose dell’intelletto non si sperimentano, non si toccano, non si vedono ma non si possono ignorare.

Dio è Colui che si annuncia a tutti, quindi che nessuno può ignorare ma Dio è velato.

Infatti viene presentato nel mistero.

Nessuno lo può ignorare e nessuno lo può annullare, Dio è trascendente.

Ciò che è annunciato come trascendente vuol dire che non può essere limitato, condizionato, ferito, cancellato, annullato da nessuna creatura.

Quindi Dio non può essere condizionato dalla creatura, Dio non è condizionato dall’uomo.

Che l’uomo creda o non creda, che l’uomo ami o non ami, che cerchi Dio o non cerchi Dio, che lo glorifichi o lo bestemmi, tutto questo non condiziona minimamente Dio.

Se l’uomo glorifica Dio, Dio non si “monta la testa” e se l’uomo bestemmia Dio, questo non ferisce Dio.

Dio è trascendente.

La verità è trascendente.

Che l’uomo creda o non creda, che benedica o maledica, la verità resta immutabile come una roccia, come una montagna, come un diamante, non può essere minimamente incrinata.

Ecco abbiamo questa verità che trascende, che esiste indipendentemente dall’uomo ma della quale l’uomo non può fare senza.

Perché se la verità esiste indipendentemente dall’uomo, l’uomo non esiste indipendentemente dalla verità.

E se la verità si trova soltanto conoscendola e l’uomo non esiste indipendentemente dalla verità, vediamo che il problema della conoscenza di Dio acquista una importanza enorme per l’uomo, perché l’uomo non esiste indipendentemente dalla verità.

La verità, Dio esiste indipendentemente dall’uomo, l’uomo non esiste indipendentemente da Dio o dalla verità.

Quindi è della massima importanza per l’uomo, tanto importante che le soluzioni finali sono conoscenza o non conoscenza.

Conoscenza paradiso, non conoscenza inferno.

Quindi la non conoscenza di Dio è tanto determinante da buttare l’uomo nell’inferno.

Un inferno che si apre già qui su questa terra e molti fanno questa esperienza.

Quando non si vive per conoscere Dio, già si sperimenta l’inferno, come si esperimenta il paradiso in quanto si vive per conoscere Dio e si mette la conoscenza di Dio al di sopra di tutto.

Metterla al di sopra di tutto, vuol dire che deve diventare la nostra vita.

Dio deve diventare il nostro Dio e diventa nostro Dio in quanto diventa scopo di vita, quindi diventa vita.

A Dio si giunge in quanto per noi si pone come problema di vita.

Non è un problema superfluo, non è una cornice, non è fare salotto, come non è fare dei riti e delle funzioni.

Il problema di Dio è un problema di vita.

Conoscere Dio è un problema di vita.

È necessaria questa premessa, appunto per dire che nell’uomo si forma questa distinzione.

Nati tutti per uno stesso fine, a un certo momento c’è questa selezione che si forma nell’uomo e a seconda di questa selezione qui si determina: “Quelli ai quali fu rivelata la parola di Dio”.

Annunciata a tutti, non a tutti è rivelata questa parola di Dio.

Abbiamo visto che l’uomo dà un nome a tutte le cose.

Ne abbiamo parlato domenica scorsa.

L’uomo “naturalmente” dà il nome a tutte le cose, perché è persona.

Se non potesse dare il nome a tutte le cose, svanirebbe come persona.

Per essere persona, cioè per essere un “io” consapevole, deve avere la possibilità di dare un nome a tutte le cose.

Adamo ha dato il nome a tutte le cose alla presenza di Dio.

Ognuno di noi dà un nome a tutte le cose.

E quando non riesce a dare un nome a tutte le cose, l’uomo si sente sminuito, si sente ferito.

Il difetto di conoscenza è un difetto di partecipazione di essere.

Abbiamo detto che il nome è un rapporto.

Si dà un nome in quanto si riferiscono le cose a punti fissi di riferimento (figlio di-).

Quindi l’uomo ha dei punti fissi di riferimento e tutto ciò che non conosce lo riferisce lì.

E dà un nome.

Il nome rappresenta questo rapporto tra ciò che non si conosce e ciò che si conosce o che perlomeno si ritiene di conoscere.

Ogni uomo ha dei punti fissi di riferimento.

Quei punti fissi di riferimento, sono punti che lui ritiene di conoscere.

“Che cosa è questo?” è la problematica di ogni uomo quando gli giunge qualcosa di nuovo.

“Che cosa è questo?”, l’uomo va alla ricerca di un nome, cioè di un rapporto.

E cerca di rapportarlo con qualcosa che conosce.

Adamo che è lezione per ognuno di noi, ha dato il nome alle cose, alle creature che Dio gli presentava, alla presenza di Dio.

Questo ci fa capire che noi diamo il vero nome alle cose, soltanto in quanto

rapportiamo le cose alla presenza di Dio.

È solo alla presenza di Dio che noi possiamo dare il vero nome alle cose.

In caso diverso, diamo dei nomi sbagliati poiché noi abbiamo come punti fissi di riferimento altro da Dio.

E cosa vuol dire altro da Dio?

I fatti che noi riceviamo attraverso i nostri sensi che noi scambiamo per Dio, cioè per verità.

Quando io dico che il tale è figlio di Antonio, lo riferisco ad Antonio come punto di riferimento.

Ma non è che io conosca Antonio!

Lo conosco solamente per una conoscenza spaziale, sentimentale, relativa ai miei sensi ed è una conoscenza fasulla.

Noi lo esperimentiamo tutti i giorni.

È sufficiente vedere una persona due volte, per poter dire la seconda volta che la conosciamo, perché l’abbiamo vista il giorno prima.

Io mi chiedo se quella è vera conoscenza, però per noi diventa un punto fisso di riferimento.

“Quella è la persona che ho visto ieri nel tale luogo”.

Quella non è affatto conoscenza, però noi cominciamo a dare il nome a quella persona in quel modo.

Così si formano tutte le conoscenze in noi.

E questi nomi, riferiti a una nostra esperienza, riferiti a noi, al nostro io come punto di riferimento, evidentemente sono tutti nomi sbagliati che ci portano molto lontano da Dio.

Perché il vero nome è quello che è dato alla presenza di Dio, cioè rapportandolo a Dio.

L’uomo dà il nome alle cose perché ha bisogno di unificare.

L’io è una passione d’assoluto ed essendo una passione d’assoluto quindi di unità, il nostro io, magari rivestendosi di menzogna, deve avere la possibilità di predicare quello che lui ritiene vero (punto fisso di riferimento) su tutto.

Perché soltanto in quanto ha la possibilità di predicare su tutto, lui può mantenere l’unità del suo io, quindi restare cosciente di essere un io.

Noi parliamo di persone, parliamo di “io” ma non ci rendiamo conto di cosa sia un io e di cosa sia una persona.

Un io, una persona è la possibilità di predicare all’infinito una verità su tutto ciò che gli si presenta.

L’io è una dimensione infinita, non è localizzato al corpo e noi facciamo un errore grosso quando confondiamo la persona con il corpo.

La persona non coincide con il corpo.

La persona è universale.

E così l’io, questo io è io, cioè unità, in quanto ha la possibilità di affermare una unità, cioè di affermare un pensiero, magari falsificando tutto ma deve avere la possibilità di affermare un pensiero per mantenere l’unità di se stesso su tutto.

Su tutti gli argomenti.

Quante volte noi facciamo esperienza di come nessun argomento riesca ad entrare nella mente, nella ragione di certe persone, perché stanno predicando il loro io, cioè la loro realtà su tutto e tutto il resto non lo accettano, diventano impenetrabili, impermeabili e questo ci fa capire come si possa andare all’inferno.

A un certo momento noi diventiamo impenetrabili alla verità.

Ecco l’importanza dei punti fissi di riferimento.

Il vero punto fisso di riferimento che dà a noi la possibilità di dare il vero nome alle cose è Dio.

Dando questo nome alla presenza di Dio, cosa si forma dentro di noi?

Dentro di noi si forma una paternità.

Questa paternità diventa molto importante.

Perché abbiamo detto domenica scorsa, parlando del nome, che “Nomen est omen”, cioè il nome è destino, è vocazione.

Noi non lo notiamo ma se avessimo una grande intelligenza, immediatamente, ascoltando una persona (una persona parlando dà i nomi alle cose) percepiremmo quali sono i punti fissi di riferimento ai quali essa fa riferimento parlando, dando dei nomi.

E con ciò rivela quale è la sua realtà.

Cioè quale è il fine per cui vive.

Ora, noi diventiamo figli del fine per cui viviamo.

Questo vuol dire che quel fine diventa nostro padre.

E se noi diamo il nome alle cose alla presenza di Dio, Dio diventa nostro padre.

Ma se noi abbiamo un altro punto fisso di riferimento, è quest’altro da Dio che diventa nostro padre.

E Gesù lo dice chiaramente ai farisei che si vantavano di avere come padre Dio: “Non siamo figli di prostitute, noi abbiamo come padre Dio”.

A loro che si vantavano di avere per Padre Dio, dice: “Voi avete per padre il demonio”.

E tutto questo perché?

“Perché le mie parole non penetrano in voi”.

Qui facciamo un salto, qui capiamo una cosa profonda.

Qui passiamo dal nome alle parole.

Il nome siamo noi che lo diamo alle cose, a tutta la creazione di Dio.

La creazione di Dio arriva a noi indipendentemente da noi e noi diamo il nome alle cose.

Quindi Dio ci presenta la sua creazione e a tutto noi diamo un nome.

Ma noi quando diciamo “albero” “pietra”, “sole” o stelle, diciamo niente.

Perché sono tutti nomi riferiti ai nostri sensi, ai nostri sentimenti.

A quello che noi vediamo, tocchiamo ed esperimentiamo.

Ma quello dice niente.

Noi per dare il vero nome alle cose, dobbiamo sempre riferire le cose a Dio.

Non dobbiamo dare il nome di “albero” all’albero, ma dobbiamo capire che cosa Dio mi significa attraverso l’albero.

Che cosa mi significa di Sé.

Perché tutto è parola di Dio.

E la parola di Dio non coincide con il nome.

Il nome siamo noi che lo diamo.

E lo diamo in quanto facciamo un rapporto con una nostra realtà.

La parola di Dio invece reca a noi un pensiero ed un pensiero di Dio, è parola di Dio!

Reca a noi la significazione di quello che Dio è per noi.

Quindi la parola è per noi ma è parola di Dio.

E quindi è significazione di quello che Dio è per noi.

Allora noi di fronte a questa creazione che Dio ci presenta tutti i giorni, noi dovremmo sempre chiederci, riferendo la creazione a Dio, che cosa Dio significa di Sé a noi, attraverso quello che ci presenta con la sua creazione, con la sua parola.

Dio parla solo di Sé.

Dio non parla di altro da Sé.

Lui solo è.

Lui parla di Sé a noi in tutto.

Ed è parlando di Sé a noi che dà a noi la possibilità di conoscere qualcosa di Lui.

Se Dio tace, noi sprofondiamo nel nulla.

Noi siamo creature che stanno in piedi, in quanto Dio parla.

Noi siamo fatti di parola di Dio.

Però dobbiamo stare attenti a non dare, a queste parole che arrivano a noi da Dio, dei nomi che abbiano punti di riferimento diversi da Dio.

Perché allora lì, noi diventiamo figli di altri padri.

Qui si rivela una cosa importantissima per noi.

Perché a seconda della paternità che noi abbiamo, quindi a seconda di quella realtà e di quei punti fissi di riferimento con cui noi nominiamo le cose, noi siamo fatti capaci (ecco la selezione) di ricevere la rivelazione delle parole, oppure siamo fatti incapaci di ricevere la rivelazione delle parole.

“Per questo le mie parole non penetrano in voi, non sono capite da voi”.

E Gesù aggiunge: “è inutile che voi brontoliate, nessuno può seguirmi, ascoltarmi capirmi, se non è attratto dal Padre”.

Quindi se non ha come punto fisso di riferimento Dio.

E Dio Padre.

Dio creatore di tutte le cose.

Per poco che noi ci scostiamo da questo riferimento, noi immediatamente diamo il nome alle cose con un punto fisso di riferimento diverso da Dio.

Il nome dobbiamo darlo, siamo obbligati, poiché è la nostra natura.

Noi non ce ne rendiamo conto ma, mettendo come punto fisso di riferimento altro da Dio, noi eleggiamo per noi, un padre diverso da Dio.

Noi diventiamo figli di-.

E questo padre diverso da Dio, ci rende adesso incapaci di ascoltare le parole di Dio.

Incapaci di ricevere la rivelazione che c’è nelle parole di Dio.

Noi siamo dei terribili traduttori che traducono la lingua di Dio in nostra lingua umana.

Noi facciamo sempre questa opera di traduzione.

Tutto quello che Dio ci presenta nella sua lingua, noi tendiamo a tradurlo nella nostra lingua.

E la nostra lingua ha quei punti fissi di riferimento che noi abbiamo messo e con i quali abbiamo costruito il nostro vocabolario e abbiamo dato i nomi alle cose.

Quindi la capacità non è data a noi all’inizio.

La capacità si forma in relazione alla paternità che noi eleggiamo.

Noi, creati tutti da Dio, man mano che viviamo eleggiamo il nostro padre.

Noi avremo come padre, quello che noi avremo voluto avere.

Soltanto che quel padre che noi avremo voluto avere, ci condiziona l’ascolto.

Al punto tale che, a un certo momento, noi diventiamo incapaci, nel modo più assoluto, di ascoltare parole diverse dal nostro padre.

Per cui solo se noi avremo come padre Dio, cioè solo se avremo nella nostra vita, come punto di riferimento Dio, avremo tutto nominato alla presenza di Dio.

E Dio sarà il nostro padre.

Soltanto se noi avremo dato il nome alle cose, agli avvenimenti e alle creature, alla presenza di Dio.

Quindi se Dio diventa il nostro punto fisso di riferimento, Dio diventa il nostro padre.

Dio diventando nostro padre, dà a noi la capacità, la possibilità di ascoltare la rivelazione delle sue parole.

In caso diverso siamo tagliati fuori.

C’è distinzione tra nome e parola.

La parola è un messaggio, un segno che reca a noi un pensiero.

Tutto è opera del Creatore e le parole sono opera del creatore.

Tutte le parole di Dio sono opere di Dio che recano a noi un messaggio.

Il messaggio del pensiero di Dio.

Allora abbiamo questa prima parte nella nostra vita, in cui noi diamo il nome alle cose e dando il nome alle cose, noi eleggiamo il nostro padre.

E poi abbiamo un secondo tempo nella nostra vita, in cui noi abbiamo questa tensione che si forma in noi, tra le parole che arrivano a noi e il pensiero.

Le parole recano a noi un pensiero.

E noi ci accorgiamo di fronte ad ogni parola che arriva a noi, se siamo capaci o incapaci di ricevere il messaggio, la rivelazione che c’è nella parola.

Se noi riceviamo una lettera scritta in una lingua straniera, noi ce ne accorgiamo che non riusciamo a capire il messaggio, quindi la rivelazione della lettera.

Capiamo che sono dei segni, che sono parole ma noi ci troviamo nell’impotenza di leggere, cioè di passare al pensiero.

Chi è capace a leggere, ha la possibilità di passare dal segno al pensiero.

Chi è analfabeta, chi non è capace a leggere si trova nella impossibilità di giungere al pensiero.

Vede il segno, vede la parola, però non riesce a passare dal segno al pensiero.

È tagliato fuori.

Si sente tagliato fuori.

La porta chiusa delle vergini stolte sta lì.

E si bussa invano, perché di fronte a delle parole di cui uno non riesce a coglierne il pensiero, può lavorare di fantasia ma è lui che attribuisce un’intenzione alle parole.

Ma in questo caso resta sempre nel dubbio.

Non coglierà mai la vera intenzione che c’è nei segni e nelle parole.

Ecco l’importanza d’imparare a leggere, imparare a passare del segno al pensiero.

Ecco questa tensione che si forma in noi di fronte ai segni, alle parole.

Le parole arrivano a noi e noi capiamo che sono parole che ci annunciano un pensiero, però non riusciamo a cogliere il pensiero.

È inutile che noi ci illudiamo.

Non si può passare dalla parola al pensiero.

Possiamo lavorare di fantasia ma non riusciremo mai a entrare nella certezza e quindi nella conoscenza di colui che scrive quelle parole.

Dio è Colui che scrive, per ognuno di noi personalmente, parole sue, per comunicare a noi un pensiero.

Ma soltanto chi ha come padre Dio e quindi soltanto colui che ha dato il nome alle cose alla presenza di Dio (primo tempo), soltanto costui ha la possibilità di ricevere la rivelazione che c’è nelle parole di Dio.

La comunicazione della scrittura di Dio.

In caso diverso si resta tagliati fuori.

E tutto questo è lezione di Dio per ognuno di noi.

Per farci capire come si giunge alla vita eterna.

Come si giunge alla salvezza.

Come si giunge alla conoscenza di Dio.

Il tema di oggi è vento di Pentecoste.

C’è questo vento in tutte le parole di Dio.

C’è questa tensione in noi, che è bisogno di capire.

Bisogno di capire!

La capacità di ricevere la rivelazione della Parola si forma o meno quando diamo il nome alle cose, poi si passa a ricevere le parole di Dio.

Le parole di Dio che possono essere recepite ed intellette soltanto in quanto uno ha Dio come padre.

E ha Dio come padre, in quanto vive per Dio.

Vive per conoscere Dio.

Il che vuol dire che ha messo Dio al di sopra di tutto.

Cioè, ha messo il problema della conoscenza di Dio, al di sopra di tutto.

Soltanto nel prima di tutto si entra nell’amore, si entra nel Dio come nostro Dio.

Perché Dio vuole essere il nostro Dio, cioè il nostro punto fisso di riferimento per ogni cosa.

Qui c’è l’apertura alla parola.

E la Parola arriva a noi da parte di Dio, per dare a noi la possibilità di giungere al pensiero.

Abbiamo parola e pensiero.

Quindi c’è della tensione tra parola e pensiero.

Se noi sapessimo tutta la bibbia a memoria e la cantassimo da mattina a sera, questo non sarebbe assolutamente sufficiente per arrivare al pensiero di Dio.

Perché non si può passare dalla parola al pensiero.

Il pensiero viene solo da Dio.

L’intenzione viene solo da Dio.

Se noi ci troviamo di fronte a segni e parole, noi possiamo fantasticare ma certamente non arriviamo a conoscere il pensiero di chi ci scrive.

Soltanto se noi abbiamo l’anima della lingua e quindi sappiamo quello che vuol significarci colui che scrive in quella lingua.

Soltanto se noi conosciamo il pensiero che vi è nei segni, noi possiamo ricevere il pensiero di colui che ci scrive.

Quindi il pensiero, l’intenzione di uno, viene soltanto da quell’uno.

Soltanto se io sono stato una volta alla presenza dell’acqua e ne ho ascoltato la voce, io ho la possibilità di capire il segno “voce dell’acqua” anche quando non vedo l’acqua.

Con Dio è lo stesso.

Soltanto se noi siamo stati con Dio (Dio Padre) e abbiamo udito da Lui la sua Parola, lì noi abbiamo la possibilità di capire il suo pensiero.

Cioè, il pensiero ci viene direttamente, personalmente da questo rapporto diretto con Dio.

Il pensiero di una persona si conosce soltanto dalla persona.

L’intenzione di una persona, si conosce soltanto dalla persona stessa.

Ed è conoscendo il pensiero di una persona che dopo, sono fatto capace di leggere le parole di quella persona.

In caso contrario mi trovo nella impossibilità.

E allora qui abbiamo il terzo passaggio.

Il passaggio dal pensiero alla realtà.

Noi possiamo anche essere stati con Dio ed avere colto il pensiero di Dio, aver colto la presenza oggettiva del pensiero di Dio in noi, è un fatto d’importanza enorme.

Certamente.

Scoprire che in noi c’è il pensiero di Dio e che questo pensiero non è pensiero, fantasia, immaginazione nostra, è una cosa importantissima.

Però chi ci dà la sicurezza che questo è pensiero di Dio?

Cioè chi ci fa toccare con mano la coincidenza della realtà con questo pensiero?

O la realtà stessa di questo pensiero?

E qui abbiamo proprio il grande problema della Pentecoste.

C’è il vento della Pentecoste.

C’è questa tensione tra le cose che arrivano a noi: “Che cosa è questo?” e il dover dare un nome alle cose.

C’è questa sollecitazione.

C’è la seconda tensione, il passaggio dalla parola al pensiero.

Per cui di fronte alla Parola noi ci troviamo come di fronte a un nuovo oggetto o a una nuova persona che si presenta e non capiamo.

Chi è questo?

Cosa è questo?

E di fronte a una parola che ci arriva per la prima volta: cosa è questa?

È il bisogno di capire il pensiero.

Quindi rapporto tra parola e pensiero

E poi il terzo grande passaggio, questa tensione che c’è tra il pensiero e la Realtà.

L’uomo è un essere ferito.

L’uomo è un essere straziato.

È tremendo perché l’uomo è un essere che continuamente dice: “Io sono”.

L’uomo continuamente parla di sé: “Io, io, io”…..e non sa chi lui è!

C’è questo strazio tra ciò che l’uomo fa e l’uomo dice e la conoscenza di ciò che fa e dice.

L’uomo dice e non sa che cosa dice.

L’uomo è un terribile predicatore di se stesso, del suo io.

Si mette sempre al centro.

“Io, io, io” e non sa che cosa è questo “io”!

Notate bene che non lo sa e non lo può sapere.

Teniamo presente che l’uomo è un essere che è fatto per la conoscenza.

E si riposa e vive in quanto conosce.

L’uomo è questo essere strano, che predica il suo io su tutto, che dà il nome a tutte le cose, nel pensiero di sé, si trova nell’impossibilità di conoscere ciò che lui dice!

L’uomo parla e non sa ciò che dice.

Ecco per cui dico che l’uomo è un essere ferito e straziato e esistenzialmente sofferente.

L’uomo è una sofferenza.

E porta questa sofferenza data da questo strazio tra ciò che esperimenta, ciò che lui dice e la conoscenza.

L’uomo non conosce ciò che dice.

L’uomo non conosce ciò che è.

Tutto questo per dirci che cosa?

Per dire che in noi si forma l’interesse, la fame, il desiderio, il bisogno.

In noi si forma questo.

Ma tutta la fame di questo mondo, non ti crea un pezzo di pane.

Non ti dà la realtà.

Tutti gli uomini muoiono di fame.

L’uomo muore per difetto di conoscenza.

Straziato da questa fame che non trova il suo pane.

L’uomo è questa tensione: bisogno di capire quella realtà che porta in sé.

La grande realtà, conclusione del cammino è pensiero di Dio: l’uomo è portatore del pensiero di Dio.

Non lo può negare.

È una realtà trascendente, Dio è trascendente, l’uomo lo porta in sè, lo costata.

Qualcuno glielo fa costatare e l’uomo lo costata.

Però questa costatazione è desiderio di conoscenza, è fame ma la realtà di quello che lui porta in sé, chi gliela dà?

L’uomo porta in sè una fame ma chi gli dà il pane per questa fame?

Ecco, noi dobbiamo capire questo che il vento di Pentecoste è il vento che porta la realtà.

La realtà viene solo da Dio.

Dio è il creatore.

Dio è Colui che fa la realtà.

Noi non facciamo la realtà.

Noi subiamo la realtà.

E subendo la realtà, diventiamo fame, bisogno.

Ma la realtà che risponde a questo bisogno, chi la fa?

Soltanto Dio, il creatore di tutte le cose.

Ecco per cui predicando il nostro io noi ci mettiamo in grossi pasticci.

Più predichiamo il nostro io e più ci rendiamo impossibile attingere la realtà.

Noi attingiamo della nubi, delle fantasie ma certamente non la realtà.

Ecco per cui bisogna superare il pensiero del nostro io e non parlare di noi, perché la realtà ci viene da Dio.

Il terzo e ultimo passaggio è quello dal pensiero di Dio a Dio per capire quale è la realtà di questo pensiero di Dio.

Chi fa la realtà è Dio e sapendo questo, ecco che soltanto DA Dio noi possiamo attingere la realtà di quello che noi portiamo in noi.

La realtà di tutta la creazione che portiamo in noi.

La realtà della parola stessa di Dio.

La realtà del pensiero di Dio che portiamo in noi.

Questa realtà, di questo pensiero, noi possiamo attingerla soltanto da Dio.

A questo punto, possiamo capire che l’ultimo rapporto è tra il pensiero di Dio e Dio.

Però questo rapporto qui che ci porta alla realtà, quindi alla presenza, è possibile determinarlo soltanto dal Padre, da Dio Creatore.

È soltanto da Dio Creatore che noi possiamo ricevere quella realtà che coincide con il suo pensiero, se questo pensiero è diventato nostro pensiero.

Perché è lì che si rivela.

Se in noi non c’è il pensiero di Dio come nostro pensiero, certamente, noi non potremo minimamente attingere da Dio la realtà di questo pensiero.

E allora questo Spirito Santo, questo vento di Pentecoste, è proprio quello che viene a noi dal Padre, in quanto abbiamo la possibilità di pensare il Padre, viene a noi dal Padre, come realtà del pensiero di Dio che portiamo in noi.


GV 10 VS 35 - Ora, se essa ha chiamato dei coloro ai quali fu rivelata la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata.


Terzo tema – Il capolavoro dello Spirito Santo.


Argomenti: La passione d’assoluto – Dare il nome - L’uomo è fatto di presenze – Nutrirsi di Dio – L’Essere e il niente – Assenza e presenza – La relatività del niente – Il muro dell’assenza – Rapporto pensiero-realtà – Le tre passioni dell’uomo – Le tre presenze dell’uomo – La contraddizione tra la Parola di Dio e l’esperienza dell’uomo – Interesse per Dio o per la creatura – L’assenza: Parola di Dio sull’errore dell’uomo -


 

14-15/ Giugno /1992


Oggi ci rimane l’ultima parte del versetto: “La scrittura non può essere annullata”.

La scrittura è parola di Dio.

Gesù stesso dice: “Passeranno i cieli e la terra ma le mie parole non passeranno”.

Quindi conferma che la scrittura non può essere annullata.

Però c’è un altra dichiarazione di Gesù e nel Vangelo.

Già nel prologo si dice che “Senza il Verbo di Dio, tutto ciò che è fatto è annullato”

“Tutto ciò che è fatto” è Parola di Dio e qui si dice che viene annullato.

E poi Gesù stesso nel capitolo 15 dice: “Senza di Me fate niente”.

Il che vuol dire che l’uomo può pensare, parlare e fare senza Dio e senza Cristo.

“Senza di Me fate niente”.

E tutto ciò che si fa senza di Lui viene ridotto a niente, annullato.

E l’uomo è un essere che fa esperienza di questo.

Mentre ci si dice che la parola di Dio non può essere annullata, che la scrittura non può essere annullata, l’uomo è un essere che fa esperienza del nulla, del vuoto, dell’annientamento di tutta la sua vita, di tutti i suoi sforzi di tutte le sue fatiche.

Di tutte le sue speranze.

Quanti sogni non si realizzano nella vita dell’uomo!

Abbiamo questi punti estremi.

Da una parte una realtà che non può essere annullata e che quindi rimane.

E dall’altra parte l’uomo che sperimenta che tutto diventa niente.

Tutto, perché tutto ad un certo momento diventa semplice parola, soffio senza realtà, senza sostanza.

E l’uomo esperimenta di essere senza punti d’appoggio, di non avere più una realtà a cui fare riferimento.

L’uomo è minacciato dal nulla e l’uomo corre il rischio di sprofondare in questo abisso di nulla.

Di fronte a quest’affermazione di Gesù e a questa contraddizione, noi dobbiamo chiederci quale lezione Dio ci vuole dare, e quindi dobbiamo chiederci che cosa Dio ci vuole dire con “La scrittura non può essere annullata”.

Soprattutto che cosa Dio ci vuole rivelare di Sé.

In tutto Dio non fa altro che parlare di Sé a noi.

E se noi fossimo attenti e intelligenti, noi in tutte le cose, vedremmo una significazione di quello che Dio è a noi.

Perché soltanto nella misura in cui capiamo quello che Dio significa di Sè a noi, noi siamo fatti partecipi della Verità di Dio, dell’Essere di Dio e quindi della vita eterna, poiché la partecipazione avviene attraverso la conoscenza.

Noi siamo stati creati per la vita eterna e la vita eterna è conoscere Dio come vero Dio.

E noi in questa vita eterna dobbiamo sforzarci di entrare, non si può vivere tutta la vita unicamente per lavorare, guadagnare.

Non si può vivere una vita intera nemmeno per una famiglia.

Non si può vivere tutta la vita per un istituto o per una istituzione.

Non si può vivere tutta la vita per qualcosa, per quanto nobile sia, che non sia Dio.

Perché la nostra vita eterna è in Dio.

E noi dobbiamo cercare la nostra vita e quindi dobbiamo impegnarci con Dio, perché la nostra vita è nascosta in Dio dichiara la Parola di Dio.

Se la nostra vita è nascosta in Dio e noi dobbiamo cercare questa vita qui nostra, per non morire, per non fare esperienza del nulla, evidentemente non dobbiamo sprecare tutta la nostra vita in tutto ciò che non è Dio.

Il tema di oggi, lo abbiamo accennato, è il capolavoro dello Spirito Santo.

L’uomo è un essere che fa esperienza del nulla, della vanità del tutto.

Del niente, in cui si esaurisce la maggior parte della nostra vita.

E allo stesso tempo però abbiamo la Parola di Dio che dice che la scrittura, cioè la Parola di Dio non può essere annullata.

L’uomo fa esperienza del nulla, però è un essere che è essenzialmente costituito di presenza.

L’uomo è un essere che è costituito dalla presenza di Dio che non può ignorare.

L’uomo porta Dio in Sé, tanto che la passione che determina tutto nella vita dell’uomo è la passione d’assoluto, la passione di unità.

Noi abbiamo visto le domeniche scorse come questa passione di unità, porta l’uomo a dare il nome a tutte le cose.

Una delle prime lezioni che riceviamo dalla Genesi è stata quella di Adamo che ha dato il nome a tutte le cose, alla presenza di Dio.

E già lì, abbiamo capito che il vero nome alle cose, si dà soltanto in quanto noi teniamo presente Dio.

Dare un nome alle cose vuole sempre dire fare un rapporto tra una cosa che non conosciamo e una cosa che conosciamo e quindi è una unificazione.

È la passione di unità, cioè la passione d’assoluto che ci porta a dare un nome a tutte le cose.

Ma abbiamo anche visto che questa passione d’assoluto c’impegna a passare dalle parole al pensiero.

Noi non ci accontentiamo di sentire delle parole, sentiamo sempre il bisogno di trovare il pensiero che è contenuto in quelle parole.

E poi l’ultimo grande tempo di questa passione d’assoluto, è quello di portarci a scoprire il rapporto che passa tra il Pensiero di Dio, il Figlio di Dio e il Padre suo.

E basta che noi accenniamo a questo rapporto che è ancora passione di unificazione, passione d’assoluto, per capire che stiamo parlando dello Spirito di Verità, dello Spirito Santo.

Per cui questa passione d’assoluto è il vento della Pentecoste, è questo soffio che ci sospinge ad unificare ogni cosa, fino ad unificare tutto in Dio, tanto noi siamo stati creati per Dio.

Al punto che Gesù dice: “Chi con me non raccoglie (unifica) disperde ma chi con Me unifica, riceve mercede di vita eterna”.

Quella vita eterna nella quale noi dobbiamo sforzarci di entrare e di entrare oggi.

Se non ci sforziamo di entrare oggi, non ci sarà più un domani in cui potremo entrare.

L’uomo è essenzialmente costituito dalle presenze.

Se noi gli togliamo le presenze, l’uomo scompare.

Prima di tutto c’è la presenza di Dio, l’essere creatore, assoluto, causa, motivo della passione di assoluto che portiamo in noi.

Ma poi c’è tutta la creazione di Dio.

Tutta la creazione di Dio è tutta una presenza.

Tutte le creature sono delle presenze.

E noi viviamo di queste creature, è Dio che ci sostiene lungo il cammino, dal momento che non siamo capaci a vivere alla presenza di Dio, è Dio che ci spezza il pane, presentandoci delle presenze con le quali noi siamo capaci di convivere dato che siamo incapaci a convivere con Dio.

Incapaci di restare alla presenza di Dio, incapaci di permanere alla presenza di Dio.

Noi che siamo incapaci di vita eterna, riceviamo questo pane spezzato da Dio in forma di creature.

Con le quali noi possiamo convivere, con le quali noi possiamo restare.

Ed è anche gioia per noi restare con queste creature, perché tutti i doni di Dio per noi sono verità, sono bontà, sono gioia e sono bellezza.

Le creature riflettono questa unità meravigliosa di Dio.

Dio non fa altro che significare Se stesso in tutte le cose.

E Lui che è Verità e Vita è anche Gioia.

È Luce.

Queste creature di Dio che è pane spezzato per la nostra incapacità, è presenza.

E costituisce la nostra vita.

Infatti noi soffriamo quando perdiamo la presenza di qualcosa o di qualcuno.

E la nostra sofferenza testimonia, dichiara a noi stessi che noi siamo fatti per la presenza.

Quando noi viviamo con una persona e questa persona in un modo o nell’altro ci viene a mancare, noi soffriamo terribilmente.

Ma la nostra sofferenza è una testimonianza a noi, che noi siamo fatti per una presenza.

Ma basta accennare a questo per capire il dramma che ogni uomo vive.

Perché se è vero che l’uomo è fatto per una presenza, è anche vero che l’uomo subisce nella sua vita perdita di presenza.

Le creature nascono si uniscono e si salutano.

Partono o muoiono.

Se ne vanno.

E tutti i giorni noi perdiamo qualche cosa.

Noi tutti i giorni salutiamo qualche cosa.

Incontriamo qualcuno e lo salutiamo.

È tutto un andare e un venire.

Noi che siamo fatti di presenza, noi subiamo questa lancinante morte tutti i giorni.

Fino ad arrivare al punto in cui tutto ci viene tolto.

E lì nasce il grande interrogativo umano: ma che senso ha tutto questo?

Perché questo strazio?

Perché l’uomo deve patire questa tristezza, questa sofferenza?

L’uomo che gioisce di una presenza, a un certo momento vede che questa presenza gli viene portata via, gli viene strappata.

Perché questo senso di morte in tutte le cose?

Tutta la creazione e tutte le creature è pane spezzato per noi.

Ora il pane viene spezzato, perché la creature se ne alimenti e cresca.

E crescendo lei deve diventare capace di nutrirsi di un altro Pane.

Ecco per cui tutte le creature arrivano a noi e passano.

La creatura è un pane che ci viene concesso ma è un pane che dobbiamo affrettarci a mangiare, a capire il significato di quello che Dio ci dona lungo il cammino.

E il significato sta in questo: “Cresci in fretta!”.

Diceva Dio a Sant’Agostino: “Io sono cibo per uomini adulti, per uomini che sono cresciuti”.

Cresci in fretta, affinché tu sia capace a nutrirti di Dio.

Ecco il Pane di cui dobbiamo imparare a nutrirci.

Ecco la presenza alla quale noi dobbiamo tendere.

Tutte le presenze ci vengono date per sostenerci lungo il cammino ma noi dobbiamo affrettarci a capirne il significato di questi doni che Dio ci fa, di queste parole, di questo pane che ci fa arrivare.

Noi dobbiamo nutrircene in fretta.

E ci si nutre in quanto si capisce il significato delle presenze che Dio ci dà.

Perché lo scopo, la meta, è quella di far crescere la nostra anima al punto tale da potere essere fatta capace di nutrirsi di quel pane eterno che è la conoscenza di Dio, che è la nostra vita eterna.

Noi dobbiamo giungere a quel punto lì.

Allora capiamo che tutte le cose che ci vengono date, ci vengono anche tolte, per dire a noi: guarda che la vita non sta nel vivere per le creature, queste ti sono state date a te ma per farti crescere.

Affinché tu possa elevare la tua mente (pregare) all’eterno, all’infinito, all’assoluto a Dio.

A Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.

E nutrirti di quello, perché quello è il cibo della tua vita.

L’uomo è fatto per nutrirsi di Dio e deve imparare a nutrirsi di Dio.

Perché soltanto nutrendosi di Dio resta alla presenza di Dio.

Altrimenti non può restare alla presenza di Dio.

E questo ci fa approdare al tema di oggi, il tema della presenza.

Certo sensibilmente sappiamo tutti cosa è una presenza e cosa è un assenza.

Ma spiritualmente parlando cosa è una presenza?

E come si rimane ad una presenza?

La presenza diventa vita e vita eterna.

Ma tutti quanti noi esperimentoiamo le difficoltà di restare alla presenza di Dio, a vivere della presenza di Dio.

Ci è molto facile vivere alla presenza delle creature, ci è terribilmente difficile vivere alla presenza di Dio, del creatore.

Allora dobbiamo chiederci cosa è questa presenza?

Per capire cosa è una presenza dobbiamo passare attraverso la conoscenza dell’assenza.

Noi esperimentiamo l’assenza, anzi, l’esperienza più tragica della vita dell’uomo è l’esperienza dell’assenza.

Tutto è opera di Dio per condurci a capire e trovare la vita e la luce e se Dio ci fa esperimentare l’assenza, questo ha un significato profondo.

È molto difficile per noi capire cosa è una presenza nel campo dello spirito.

È più facile capire cosa è un’ assenza.

E allora dobbiamo chiederci cosa è un assenza.

E quand’è che noi esperimentiamo l’assenza?

L’assenza in sè non esiste.

Come non esiste il nulla, come non esiste lo zero, come non esiste il niente, eppure Gesù dice: “Senza di Me fate niente” e il niente non esiste!

E l’uomo fa il niente? Ciò che non esiste???

E tutto ciò che si fa senza di Lui diventa niente.

Eppure il niente non esiste, esiste Dio, esiste l’Essere.

Esiste l’Essere e tutte le opere di Dio ma il nulla non esiste.

Eppure l’uomo fa questa esperienza del nulla, del niente.

Quando e come l’uomo fa esperienza del niente?

E cosa è questo niente?

L’uomo in continuazione dice: “Questo è niente, questo vale niente, serve a niente, qui non c’è nessuno”.

È esperienza d’assenza.

Cosa è questa esperienza d’assenza?

Se noi osserviamo e questo è facile osservarlo, perché ognuno di noi lo vive, noi diciamo “assente” in quanto noi portiamo nel nostro pensiero (desiderio) una presenza che non verifichiamo nel mondo esterno.

Noi cerchiamo una cosa, non la troviamo e diciamo che non c’è, è assente.

Noi abbiamo nella nostra mente una persona, questa persona non la vediamo attorno a noi.

Noi viviamo con una persona, a un certo momento magari questa persona muore, ci viene tolta e noi diciamo che è assente.

“Non c’è più” noi diciamo.

Cosa ci fa capire tutto questo?

Noi qui esperimentiamo l’assenza, prima c’era e adesso non c’è più.

E sperimentiamo il nulla, e sperimentiamo il niente.

In realtà non è che ci sia niente, c’è sempre qualcosa.

Io posso dire che qui non c’è una matita, però ci sono tante cose.

Una presenza c’è sempre e allora noi capiamo che l’assenza è una costatazione di quello che noi abbiamo in testa, di quello che portiamo nel pensiero, nel nostro desiderio.

L’assenza è in relazione al nostro pensiero.

Se nel nostro pensiero non avessimo nulla, noi certamente non diremmo che attorno a noi c’è niente.

Perché attorno a noi c’è sempre qualche cosa.

Noi siamo fatti di presenze.

Presenza di Dio e presenza di creature.

E c’è sempre qualche presenza, sarà un filo d’erba, un cane delle persone ma c’è sempre qualcuno attorno a noi.

Eppure noi possiamo essere circondati da una infinità di persone e creature e soffrire terribilmente perché manca qualcuno.

E per noi quell’assenza lì determina tutto, tutte le altre presenze per noi non contano più niente.

Noi patiamo e moriamo perché ci viene a mancare chi, che cosa?

Quello che portiamo nella testa, nell’anima, nel pensiero.

Ma allora qui dobbiamo dire che il concetto di assenza, è un concetto relativo, è relativo a ciò che noi portiamo nel pensiero.

Relativo a ciò che portiamo dentro di noi.

Ma se è relativo non è assoluto.

In assoluto l’assenza non esiste, esiste la presenza.

E tutto diventa presente.

Perché tutto è fatto nel Pensiero di Dio e Dio è Colui che è presente in tutto.

Il concetto di assenza è un concetto relativo e relativo a che cosa?

Relativo a quello che portiamo nella mente.

Quindi il niente non è una realtà esterna è determinato dalla nostra mente.

E quando ci accorgiamo che quello che portiamo nella mente non lo troviamo fuori, diciamo che è assente.

Quindi il concetto di nulla, il concetto di assenza, il concetto di vuoto, sono sempre relativi a quello che noi cerchiamo o a quello che portiamo dentro di noi.

Quindi se è relativo, questo ci fa capire che è dipendente da-.

E fintanto che nel nostro pensiero, noi cerchiamo qualche cosa nel mondo esterno, presto o tardi, noi veniamo a trovarci di fronte a questo muro.

A questo muro dell’assenza.

Perché tutto quello che avviene nel mondo esterno, tutta la creazione di Dio, tutte le creature di Dio, sono fatte da Dio, per condurre noi a scoprire Colui che è presente in eterno.

Colui che non è soggetto a mutamento.

Colui che non muore.

Noi siamo fatti per scoprire la presenza di Colui che non muore in eterno.

Colui che è sempre con noi.

Ecco per cui, tutto ciò che non è Dio è soggetto a mutamento.

È soggetto al tempo.

È soggetto a morire.

Però l’esperienza dell’assenza e capire da cosa è determinata la nostra esperienza d’assenza, deve condurci a scoprire cosa è la presenza.

Che per noi è difficile da capire.

Teniamo presente che l’assenza è un concetto relativo ad un pensiero che portiamo dentro di noi.

Quando quello che portiamo dentro di noi, non si realizza fuori di noi, non diciamo che non c’è, è assente.

E allora il concetto di assenza ci rivela che l’assenza è un rapporto che non si realizza.

Un rapporto tra un nostro pensiero e una realtà.

Quando noi portiamo una cosa nel nostro pensiero che non si realizza fuori di noi, attorno a noi, in quella che per noi è la realtà, noi diciamo di sperimentare l’assenza di quella cosa o di quella persona.

Questo ci conduce a una grande scoperta.

L’assenza è uguale a un rapporto che non si realizza.

Quando diciamo rapporto vuol dire che ci sono due termini.

Abbiamo un termine dentro di noi nel pensiero e un termine nella realtà che esperimentiamo.

Quando questo rapporto,tra il termine nel pensiero e il termine nella realtà, non si realizza, c’è l’assenza.

L’assenza quindi è un rapporto.

Ma un rapporto che non si realizza.

Allora qui è facile arrivare al concetto di presenza.

Presenza è un rapporto che si realizza.

Quando noi cerchiamo una cosa e la troviamo in quella che per noi è la realtà sensibile abbiamo la presenza.

Quindi assenza è uguale a rapporto che non si realizza.

Presenza è uguale a rapporto che si realizza.

Che coincide con la realtà.

Abbiamo detto che l’uomo è essenzialmente fatto di tre grandi passioni.

La passione di dare il nome a tutte le cose.

La passione di capire il pensiero che c’è nelle parole.

E la passione dello Spirito Santo che è la passione di unificare il Pensiero di Dio, in Dio, nel Padre, nel Principio.

Lo Spirito Santo è il rapporto costituito da queste due grandi realtà: il Pensiero di Dio e Dio.

Ma l’uomo parte dal nulla, l’uomo è un essere che ieri non c’era e per grazia di Dio, l’uomo comincia ad essere.

Ma si parte dal niente.

Ecco che noi abbiamo l’uomo che è fatto di queste presenze.

Una presenza che è data a lui senza di lui, ed è tutta la creazione, il Pensiero stesso di Dio in noi, che è dato a noi senza di noi.

Noi portiamo in noi il Pensiero di Dio creatore.

Nessuno lo può ignorare.

Però conoscerlo è tutta un altra cosa.

Quindi nessuno può ignorare Dio perché Dio è dato a noi senza di noi.

Nessuno può ignorare la creazione, perché la creazione arriva a noi senza di noi.

Non sappiamo come ma noi la subiamo.

E tutti i giorni ci arriva questa creazione.

E la creazione è continua.

E tutti i giorni Dio ci fa arrivare delle creature, degli avvenimenti, dei fatti.

Noi siamo bombardati da tutta la creazione di Dio.

La creazione è la prima presenza in cui noi ci troviamo, attraverso cui Dio comincia a farci essere.

Farci essere vuol dire che comincia a farci partecipi di Sé.

Noi partecipiamo di Dio, in quanto noi portiamo in noi senza di noi, il Pensiero di Dio Creatore e il pensiero dell’opera di Dio.

Quindi abbiamo Dio e l’opera di Dio.

Due cose.

Poi abbiamo un altra presenza, ed è una presenza che non si raggiunge senza di noi.

Ed è quella presenza che ci tormenta, perché si raggiunge soltanto attraverso il nostro pensiero.

A un certo momento noi non viviamo soltanto di una realtà esterna.

Questa realtà esterna, entrando dentro di noi diventa pensiero nostro, diventa desiderio.

E come diventa pensiero cosa succede?

Succede che diventa oggetto di desiderio del nostro pensiero.

Tutti quanti fanno esperienza che quando ci si trova bene con una creatura, si desidera quella creatura.

E cosa succede?

Si è incontrata una creatura e adesso la si desidera?

Vuol dire che quella creatura è entrata nel pensiero.

E entrando nel pensiero, uno comincia a desiderare quella creatura.

Adesso non si è più dipendenti da quella creatura, è quella creatura che è diventata oggetto del nostro pensiero.

Ecco, c’è una presenza che è determinata dal nostro desiderio, da quello che noi desideriamo.

Ed è proprio in funzione di quello che noi desideriamo che noi facciamo esperienza che ci sono cose che troviamo e cose che non troviamo.

Persone che noi possiamo trovare e persone che noi non possiamo trovare o che ci vengono portate via.

E qui abbiamo l’esperienza di presenza e di assenza.

E poi abbiamo un altra presenza, una terza presenza che costituisce noi, ed è quella presenza che non si ottiene senza Dio.

Quindi abbiamo presenze che sono date a noi senza di noi.

Presenze che sono date a noi attraverso il nostro pensiero, il nostro desiderio.

E presenza che non può essere data a noi se non attraverso Dio, soltanto da Dio.

Questa è la presenza eterna.

Questa è la presenza stabile.

Però scoperto che la presenza è essenzialmente un rapporto tra due termini.

Per cui quando non si riesce a costituire questo rapporto noi facciamo esperienza d’assenza.

E questa assenza per noi comincia a diventare tristezza ma poi diventa angoscia, al punto da diventare angoscia mortale.

Perché noi senza presenza non stiamo su.

Quando a noi viene a mancare una presenza, viene a mancare a noi il senso, il significato della vita.

E quando viene a mancare il significato della vita, nemmeno la vita noi riusciamo più a sopportarla.

Una vita senza senso, senza significato, cioè senza una presenza che ci giustifichi, noi non possiamo sopportarla.

Fintanto che noi viviamo per qualcosa o per qualcuno, quindi una realtà presente, la nostra vita è giustificata.

Ma tutti quanti, man mano che gli anni passano, fanno questa terribile esperienza: a un certo momento non hanno più niente per cui vivere.

Ecco la grande lezione di Dio.

Per cui dobbiamo affrettarci a conoscere Dio, ad entrare nella conoscenza di Dio, perché tutto ciò per cui noi viviamo ci viene portato via.

Ma ci viene portato via, non perché Dio si diverta a portarcelo via.

Ci viene portato via per farci capire che noi siamo creati per vivere per Dio, non per i suoi doni.

Per vivere per quella presenza che non possiamo ottenere se non da Dio.

Dio solo è il principio della sua presenza.

Per cui, mentre tutte le altre presenze arrivano a noi per mezzo di noi o senza di noi, la presenza di Dio, noi nel modo più assoluto non possiamo trovarla se non conoscendo Dio.

Perché si riceve soltanto da Dio.

Si riceve soltanto da Dio.

Abbiamo detto all’inizio che qui ci troviamo in un conflitto.

Tra quello che dice Gesù “ la scrittura non può essere annullata, la mia Parola rimane sempre”  e la costatazione che l’uomo rischia di fare esperienza che tutto è annullato.

Al punto tale che l’uomo non sa più per che cosa vivere.

Tolta la presenza, l’uomo non sa più per che cosa vivere.

E se l’uomo prima che le presenze sensibili gli siano tolte, non ha scoperto la grande presenza di Dio che gli viene solo da Dio (Spirito Santo), l’uomo subisce una tragedia.

C’è una tragedia nella vita dell’uomo.

L’uomo subisce questa tragedia.

C’è questa contraddizione.

Tra la parola di Dio che ci dice che la sua Presenza non verrà meno e l’uomo che invece esperimenta che la sua Presenza viene meno.

Quante volte si sente dire: “Se io potessi almeno credere che Dio esiste”.

Da una parte Dio assicura che la sua Presenza non verrà meno, che le sue parole non passeranno e dall’altra parte c’è l’uomo che a un certo momento dice: “Sono soltanto parole senza realtà, la realtà è la morte. La vanità del tutto, il nulla”.

Presso Dio non ci sono contraddizioni e allora che significato ha questo?

Quest’assenza, questo annullamento di tutto, questa perdita di tutto o è una parola di Dio o altrimenti è tutta una contraddizione.

Siccome noi facciamo esperienza d’assenza, del nulla della parola stessa di Dio, questo ha il significato di un messaggio, quindi di una parola di Dio per noi.

O l’esperienza del nulla nella nostra vita è una parola di Dio, o altrimenti è una contraddizione insanabile.

Gesù dice che le sue parole non verranno meno, che la sua presenza non verrà meno e se noi facciamo esperienza dell’assenza di Dio, vuol dire che questa assenza di Dio è ancora una parola di Dio per noi.

È possibile questo?

È possibile che l’assenza che noi esperimentiamo sia un a parola di Dio per noi?

L’uomo fa esperienza dell’assenza, perché ha nella sua testa qualcosa, qualcosa nel suo desiderio, nei suoi pensieri.

Lui desidera trovare qualcosa o qualcuno.

La presenza è un rapporto che si realizza.

Noi un pensiero lo realizziamo in quanto lo possiamo trovare come realtà.

Ma qui c’è un errore!

L’uomo fa esperienza dell’assenza e del non trovare Dio, perché sta cercando Dio senza tenere conto di Dio.

L’uomo cerca, quindi pensa e dice: “Questo l’ho trovato, questo non l’ho trovato, questo è assente, questo è presente”, perché sta pensando a qualcosa e magari prega Dio perché glielo faccia trovare.

Qui c’è un errore e l’errore è qui.

L’uomo è passione d’assoluto, quindi è passione di Dio.

E se l’uomo con questa passione d’assoluto, cerca di trovare nel mondo creature o cose attorno a sé, senza tenere conto di Dio, l’uomo fa questo errore: cerca l’assoluto in ciò che non è assoluto.

L’uomo non tiene conto di Dio.

Chi tiene conto di Dio, non cerca le creature, non vuole possedere le creature, di fronte alle creature, l’uomo che tiene conto di Dio, cerca il Pensiero di Dio, cerca che cosa Dio gli dice attraverso le creature.

Noi qui ci siamo trovati di fronte a queste parole: “La scrittura non può essere annullata”.

Abbiamo detto: “È parola di Dio, dobbiamo chiederci che cosa Dio ci significa di Sé”.

Ora tutto è Parola di Dio e in tutto, se noi teniamo conto di Dio, noi di fronte a tutte le creature, noi non cerchiamo mica di possederle o di restare con loro ma cerchiamo di capire che cosa Dio ci comunica di Sé attraverso le creature.

Noi non siamo creati per le creature.

Noi non siamo creati per il prossimo.

Noi siamo creati per Dio.

La nostra vita sta in Dio, non sta nelle creature.

E allora cosa ci stanno a fare le creature?

Le creature sono parole di Dio, per sollecitarci a conoscere Dio.

Quindi noi attraverso tutte le cose che Dio ci fa arrivare, noi dobbiamo sempre chiederci:”Signore che cosa mi dici di Te, che cosa mi vuoi far conoscere di Te?”.

Perché a noi quello che deve interessare è Dio, non deve essere la creatura.

Se invece il nostro interesse è la creatura, vuol dire che in noi c’è qualcosa di sbagliato, in noi c’è un errore.

E noi proiettiamo sulla creatura, quello che noi dovremmo proiettare su Dio.

Noi rivolgiamo il nostro destino alla creatura, anziché rivolgerlo a Dio.

Qui possiamo capire come l’esperienza dell’assenza, del niente che non esistono in senso assoluto, è una Parola di Dio nel nostro errore.

Nel nostro sbaglio, nella nostra menzogna.

Le menzogne non si realizzano mica.

Gli errori non si realizzano mica.

Ricadono tutti su di noi.

Nessuno può sostenere una menzogna.

L’errore ricade su di noi.

L’errore non è giustificato, l’errore non ha giustificazioni in Dio.

Noi però facciamo l’errore.

Dio per correggere questo errore che noi facciamo lungo il cammino, scrive per noi l’assenza.

Cioè ci fa toccare con mano che quello che noi pensiamo o desideriamo non c’è.

È Parola di Dio.

Ma allora se è Parola di Dio l’assenza, questa esperienza di nulla che noi facciamo, è vero quello che dice il Signore che le sue Parole non passano.

Perché anche l’assenza della sua Parola è una sua Parola.

È una sua Parola relativa al nostro errore.

Per correggere il nostro errore.

E qui che noi scopriamo il capolavoro dello Spirito Santo.

Perché se la presenza è data dal rapporto tra due realtà, tra due termini e se nell’assenza di Dio, nell’assenza della Parola di Dio (per un nostro errore), Dio scrive una sua Parola per noi, significa che l’assenza di Dio diventa una Parola di Dio per noi, qui noi troviamo l’opera stupenda del rapporto fra Dio Creatore e il suo Pensiero.

È lo Spirito Santo (rapporto tra Padre e Figlio) che trasforma l’esperienza della nostra assenza in presenza di Dio.

Il giorno in cui noi, per grazia di Dio, scopriamo che l’assenza è presenza, qui abbiamo trovato lo Spirito Santo.


GV 10 VS 35 - Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivelata la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata.


RIASSUNTI - Domenica - Lunedì


Argomenti: Il fuoco dello S.S. – L’assenza non esiste – Presenze sensibili e Presenza di Dio – Passione di rapporto – Restare con una persona – La perdita di presenze – Il bisogno di dare un nome – La capacità di conoscere Dio -


 

21-22/ Giugno /1992