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GV 10 VS 29 - Ciò che il Padre mio mi ha dato, è più grande di tutto e nessuno può strapparlo dalla mano del Padre.


Primo tema – La comunicazione.


Argomenti: Buttare l’eternità nell’immondizia. L’assenza di Dio. Il rischio di perdere l’anima. Dio si conosce solo attraverso il pensiero. La comunicazione tra infinito e finito. La pietra e la vita. Il verbo “dare”. La capacità di ricevere. L’abisso invalicabile. La vita sta nell’offrirsi.  L’albero e la luce. La passione d’assoluto. Si riceve nella misura in cui ci si offre. Il principio della comunicazione.


 

17-18/ Novembre /1991


Qui le versioni sono diverse, perché a seconda dei Vangeli, c’è chi riporta “ciò che il Padre mio  mi ha donato”, altre riportano “quelle che il Padre mio mi ha donato”, altre hanno altre versioni, perché è un versetto molto contestato.

Evidentemente dobbiamo fare una scelta e la scelta la facciamo secondo quello che lo Spirito suggerisce.

“Ciò che il Padre mio mi ha dato è il più prezioso di tutto” e ci fermiamo qui.

Stava parlando delle pecore e poi, a un certo momento, Gesù qui fa un salto.

Un salto di qualità.

Perché passa dalle “mie pecore” quello che Lui aveva a “ciò che il Padre mio mi ha donato”.

E quindi ci introduce in un rapporto intimo tra Padre e Figlio.

Sta infatti preparando il terreno per quel versetto successivo, il trenta, in cui Lui conclude tutto il suo discorso dicendo: “Io e il Padre siamo uno”.

È partito dalla creazione, dalle sue pecore, da quel lungo discorso che aveva fatto e qui adesso arriva a dichiarare o per lo meno ad annunciare, a presentarci questo rapporto tra Padre e Figlio.

Intanto dicendo: “Quello che il Padre mio mi ha donato”, dichiara apertamente Se stesso Figlio di Dio.

Qui abbiamo una dichiarazione aperta, si proclama Figlio di Dio.

È parola di Dio per noi, per la nostra vita, perché tutto quello che Gesù, Figlio di Dio dice, lo dice per noi, quindi serve a noi.

Se annuncia, annuncia una cosa che deve condurre le nostre menti a intendere, ciò che altrimenti non potremmo intendere.

Perché se Dio non parlasse, noi non potremmo inoltrarci minimamente in quel mistero divino che è tutta la nostra vita eterna.

Poiché la nostra vita è nascosta in Dio.

In quanto si dice “nascosta in Dio”, vuol dire che la nostra vita è in Dio.

Cioè la nostra vita sta nel conoscere Dio.

Infatti Gesù apertamente dice che la vita eterna è conoscenza di Dio.

Noi che viviamo pensando a noi stessi, pensando al denaro, pensando al mangiare, pensando al vestire, pensando al lavoro, pensando alla casa, pensando alla nostra figura davanti agli altri.

Noi che pensiamo che la nostra vita stia in questo, nel viaggiare, nel conoscere il mondo, nel sapere cosa fanno e dicono gli uomini.

In questa Babele la parola di Dio scende come nel mezzo della notte a annunciare che la nostra vita non sta in questo.

Infatti noi vivendo in queste cose esperimentiamo la morte e non la vita.

Però Dio non ci abbandona alla nostra morte.

Dio in questa nostra morte, in questa situazione di tristezza, d’angoscia che tutti gli uomini esperimentano, Dio fa arrivare la sua parola e ci annuncia che è inutile che noi consumiamo la nostra vita in ciò che non ci dà la vita.

La vita non viene dalle cose che si posseggono.

È inutile consumare la vita cercando di possedere più cose possibili.

La vita non ci viene da queste cose.

Anzi lì c’è uno spreco di vita, stiamo sprecando il tempo.

Stiamo sprecando l’eternità che Dio ha messo a nostra disposizione.

Perché l’eternità si può sprecare.

Oggi si butta tutto nell’immondizia.

E il mondo corre il rischio di morire in quest’immondizia.

Di morire in questo rifiuto.

Noi stiamo buttando l’eternità, la nostra eternità nell’immondizia.

In questo rifiuto di Dio.

In questo rifiuto ad occuparci di Dio.

Le volte precedenti abbiamo visto l’assenza di Dio che ogni uomo esperimenta.

L’uomo è un essere che fa esperienza di assenza di Dio, di silenzio di Dio, di morte di Dio.

Dio non  parla.

Dio tace.

Dio non si fa vedere.

Dio non si fa toccare.

Ed è lì tutta la tragedia dell’uomo.

Perché l’uomo si trova in un mondo che vede e tocca eppure non può ignorare la Verità, la presenza, l’esistenza di un Dio che però non vede e non può toccare.

Quest’assenza di Dio è in relazione stretta al nostro pensiero.

Al nostro pensare.

L’uomo fa esperienza dell’assenza di Dio, perché non fa Dio oggetto del suo pensare.

Perché non mette Dio prima di tutto.

Quando non si mette Dio prima di tutto, si perde Dio.

Abbiamo fatto l’esempio di quella mamma che trascurando il suo bambino, a un certo momento lo perde.

E si sente in colpa quando lo perde.

Perché si accorge che non ha pensato sufficientemente al suo bambino.

Lo ha trascurato.

Dio si paragona ad un bambino posto nelle mani dell’uomo.

Affidato alle mani di una madre.

Dio creandoci si è affidato ai nostri pensieri.

O meglio al nostro pensiero.

Dio si è posto nelle nostre mani.

Il che vuol dire che se noi non dedichiamo il nostro pensiero a Lui, se noi non guardiamo a Lui, se noi non lo mettiamo prima di tutto, noi facciamo esperienza della sua morte.

Noi facciamo esperienza della sua assenza, del suo silenzio.

Per cui quando noi vorremmo toccare qualche cosa di Lui, perché tutto va a rotoli, noi non riusciamo più a toccare qualche cosa di Lui.

E tutti gli uomini muoiono perché non riescono a toccare qualcosa di Dio.

Non si riesce a toccare niente di Dio non perché Dio si sottragga.

Anzi, abbiamo detto che Dio è quell’essere che nessuno può ignorare.

Pochissimi lo conoscono ma nessuno lo può ignorare.

Perché nessuno di noi è il creatore dell’universo.

E noi ci troviamo in un universo che non è fatto da noi.

Quindi è fatto da uno che noi non possiamo ignorare.

Tutti i giorni noi siamo sorpresi da avvenimenti che ci cadono addosso e che sono voluti da un Altro, non voluti da noi.

E questo è sufficiente per farci capire che c’è uno che non dobbiamo trascurare, che non possiamo ignorare e che non dobbiamo ignorare perché dobbiamo cercare di conoscerlo con tutte le nostre forze.

Tutta la nostra vita sta lì.

Abbiamo anche visto nelle domeniche precedenti, come ci sia nell’uomo il rischio di un anoressia spirituale.

Cioè di cadere in questa incapacità a nutrirsi di cose dello Spirito.

L’uomo può giungere alla incapacità di pensare ciò che è eterno.

All’incapacità di pensare Dio.

Il pensare Dio, il pensare ciò che è eterno, è la condizione essenziale, perché Dio si conosce soltanto attraverso il pensiero.

Dio non si conosce attraverso il cuore.

Dio non si conosce attraverso i sentimenti.

Dio non si conosce attraverso gli avvenimenti.

Dio non si conosce attraverso le creature.

Dio si conosce solo attraverso il pensiero, perché Dio è Spirito.

Gesù dice: “Dio è Spirito e vuole adoratori in Spirito e Verità”.

Il problema quindi non è di correre né a Gerusalemme, nè su un monte e nemmeno a Roma.

Il problema non sta né nell’andare qui, né nell’andare là.

Perché Dio non si trova correndo qui o andando là.

Dio si trova pensando a Lui.

Nel segreto della nostra anima.

Raccogliendoci nel suo pensiero.

E Lui ha dato a noi il suo pensiero.

E l’uomo ha la possibilità di pensare Dio.

Però se l’uomo non si preoccupa di conoscere Dio, l’uomo corre il rischio di cadere in questa anoressia dello Spirito, in questa incapacità a pensare Dio e quindi in questa incapacità a nutrirsi di Dio.

L’uomo consuma la sua vita cercando di arraffare più che sia possibile.

L’uomo vive per questo e Gesù gli dice: “A che vale possedere tutto il mondo se tu perdi la tua anima?”.

E questo ci fa capire che c’è questo rischio nella vita di ogni uomo.

Il rischio di perdere l’anima.

Quando diciamo “anima” parliamo di una cosa che non vediamo e non tocchiamo.

Molti dubitano: “C’è veramente quest’anima?”.

L’anima è il desiderio di assoluto, il desiderio di Verità che ogni uomo porta in sé.

E basta questo per denunciare che ognuno di noi ha questo desiderio di assoluto, questo desiderio di Verità.

E soffre, patisce e muore, proprio perché non riesce a soddisfare questo desiderio.

L’uomo è un bisogno essenziale di Luce.

Qui sta l’anima.

Però l’uomo corre il rischio di perdere la sua anima e di fare esperienza della perdita della sua anima.

Morte della sua anima uguale anoressia dello spirito.

Non più volontà, non più disponibilità per pensare Dio, per impegnarsi a conoscere Dio, tanto l’uomo si è caricato di mondo.

Perché tutto ciò cui noi dedichiamo la nostra vita diventa poi per noi una ossessione, una prigione che ci porta via il tempo, la disponibilità interiore, ci porta via il pensiero per Dio.

E quando la disponibilità interiore per Dio ci è stata portata via, noi possiamo piangere tutte le nostre lacrime ma la nostra anima noi non la ritroviamo più.

È per questo che Dio in anticipo ci dice queste cose.

Soprattutto Dio ci mette in evidenza il rischio in cui l’uomo può venire a trovarsi.

Se Dio parla, parla per salvarci.

Poiché questa è la sua volontà, questa è la sua intenzione.

Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità.

Però la conoscenza della Verità ha delle condizioni ben precise, tant’è vero che Gesù dice di fare bene i conti a tavolino.

State attenti, non si può giungere a trovare la Verità, a trovare Dio, la vostra vita occupandovi di altro.

L’uomo è stato creato con un fine ben preciso: occuparsi di Dio.

E “non avrai altro amore al di fuori di questo”.

E “amerai Dio con tutta la tua mente, con tutte le tue forze, con tutto te stesso”.

Dio ha comandato a noi di amare Lui, non perché Lui abbia bisogno del nostro amore.

Noi quando amiamo, amiamo perché abbiamo bisogno di un amore.

Dio non ha bisogno del nostro amore.

Dio ha comandato a noi di amarlo, perché ci ha comandato di vivere.

Lui non vuole che noi moriamo.

Però c’è questo rischio, il rischio di morire.

E allora qui approdiamo a quello che è il verbo che anima questo verso.

“Quello che il Padre mio mi ha dato”.

Questo verbo “dare”.

Ma c’è questa possibilità di dare qualcosa a qualcuno?

Ma se c’è questa possibilità di “dare” perché Dio non ci “dà” già Se stesso.

Perché ci fa tribolare tanto?

Perché ci fa cercare tanto?

Tutta la creazione e tutte le creature, anche se non le vogliamo, noi ce le ritroviamo tra i piedi.

E Dio che invece deve costituire l’anima di tutta la nostra vita, quello non lo troviamo mai.

Ma allora sorge il dubbio: c’è questa possibilità di comunicare Dio all’uomo?

Dio può darsi all’uomo?

Ed è proprio per farci capire come ci sia questa possibilità di Dio di darsi all’uomo che qui il Figlio di Dio ci conduce a riflettere, a meditare, ad approfondire il rapporto tra Padre e Figlio che sta proprio in questo “dare”.

Il Padre si dà a suo Figlio.

Perché proprio capendo questo, si capisce il dare che c’è tra Dio e l’uomo.

Tra Dio e la creature.

Ho detto molte volte che l’uomo è un essere finito.

Tutti i suoi pensieri sono finiti.

L’uomo ha una passione d’infinito dentro di sé che però non riesce mai a soddisfare.

L’uomo concretizza sempre i suoi pensieri in problemi del mondo o personali e sono sempre cose finite.

Il mondo dell’uomo è un mondo finito, soggetto al tempo, soggetto allo spazio, soggetto a condizioni finite.

E abbiamo detto molte volte che non si può passare dal finito all’infinito.

Se non si può passare vuol dire che non c’è la possibilità di comunicazione.

Vuol dire che non c’è la possibilità di “dare”.

Dare vuol dire comunicare.

Non si può dare il finito all’infinito.

Ma si può dare l’infinito al finito?

Si può comunicare da Dio all’uomo?

È lapalissiano: tutti i giorni riceviamo cose che arrivano a noi indipendentemente da noi, quindi tutti i giorni c’è Qualcuno che dà a noi qualche cosa.

E anche tra gli uomini, noi diamo e riceviamo in continuazione cose.

In realtà il problema è molto diverso, perché noi ci illudiamo di dare delle cose l’uno all’altro.

Che la cosa sia molto diversa ce lo fa capire il Signore nella creazione, perché tutto è lezione per noi.

L’universo è una scala, verso l’infinito, verso Dio e tutto è aiuto.

Ora, Dio nella creazione significa per noi i gradini di questa scala.

A noi sembra molto facile dara qualcosa a uno.

Io prendo una cassetta, la do a te e il gioco è fatto.

Apparentemente sembra che basti che uno voglia dare qualcosa a uno per darlo.

Però se noi mettiamo del cibo vicino ad una pietra, noi ci accorgiamo che non possiamo dare proprio niente a quella pietra.

La pietra non riceve.

Se noi mettiamo dell’acqua o del fertilizzante vicino ad una pianta la pianta riceve.

Ma se noi mettiamo un libro accanto ad una pianta, la pianta non riceve il libro.

Se noi diamo un orologio ad una gallina, la gallina non sa cosa farsene del nostro orologio.

Ma se gli diamo del mais la gallina sa cosa farsene.

Se noi diamo un libro ad una gallina, lei non sa cosa farsene.

Invece se diamo un libro ad un uomo, forse l’uomo sa cosa farsene del libro.

Diamo un orologio ad un bambino e il bambino sa cosa farsene di quell’orologio.

E allora dobbiamo chiederci: perché se diamo un orologio a una gallina questa non sa cosa farsene e un bambino invece sì?

E perché sopratutto qualunque cosa noi mettiamo attorno a una pietra, la pietra non sa cosa farsene?

La pietra non riceve.

È lezione di Dio per noi, perché tutto è parola di Dio per noi.

Allora ad una pietra non si può dare niente, alla pianta si può dare qualcosa, ad un animale si può dare qualcosa di più e ad un uomo si può dare Dio.

Dare un libro vuol dire dare un pensiero, nel pensiero c’è Dio, si può dare Dio.

Ma cosa vuol dire questo?

Qui scopriamo una cosa molto importante, il dare non dipende da chi dà.

Io posso voler dare del cibo a una pietra ma questo non è sufficente.

La pietra non riceve.

Se ad un morto noi mettiamo del cibo attorno, il morto non riceve.

Io mi ricordo tanti anni fa una mamma che aveva perso il suo bambino molto giovane e che di tanto in tanto prendeva il succhiotto e glielo metteva in bocca per vedere se dava segni di vita.

Un morto non riceve.

La pietra non riceve.

E poi abbiamo le piante che ricevono qualcosa.

Gli animali ricevono qualcosa di più.

L’uomo può ricevere tutto.

Allora il problema del dare, del comunicare non sta da chi dà, ma sta da chi riceve.

Dobbiamo allora chiederci che cosa è necessario perché uno possa ricevere.

Perché la gallina non riceve l’orologio e invece il bambino riceve l’orologio?

Anche nell’uomo c’è l’uomo che è capace di ricevere qualche cosa e c’è l’uomo che non è capace di ricevere qualche cosa.

Qui arriviamo a sfiorare il grande tema della incomunicabilità.

Per cui tra uomo e uomo si creano degli abissi.

Abissi insuperabili e la parola di Dio ce lo rivela.

“Tra noi e voi si è formato un abisso e noi non possiamo passare a voi e voi non potete passare a noi”.

Quando il ricco Epulone chiede una goccia d’acqua, Abramo risponde dall’alto del cielo.

Non è possibile dare, perché c’è un abisso.

Ecco l’abisso: l’incomunicabilità.

Abbiamo detto che c’è una incomunicabilità con la pietra.

Non si può dare niente alla pietra.

E non si può dare un orologio a una gallina: c’è incomunicabilità.

Non si può dare un libro a un cane: c’è incomunicabilità.

Ma anche tra gli stessi uomini, se uno parla una lingua diversa dall’altra c’è incomunicabilità.

Ma che cosa è necessario perché si crei comunicazione?

Che cosa è necessario perché si possa dare qualche cosa?

L’uomo può arrivare alla situazione in cui non può più ricevere niente.

L’uomo sta giocando una partita che è molto pericolosa per Lui.

L’uomo scherza e ride nel mondo.

Il mondo corre il rischio di morire nei suoi rifiuti.

Ogni uomo corre il rischio di morire nei suoi rifiuti.

Perché rifiutandosi di occuparsi di Dio, di mettere Dio prima di tutto, lui comincia a morire in questo rifiuto.

E morendo in questo rifiuto viene a trovarsi nella situazione di non poter ricevere più niente.

Non gli si può dare più niente.

Nemmeno da parte di Dio.

C’è l’abisso.

Non si comunica più.

Non si può dare niente ad una pietra, non si può dare niente ad un morto.

Si può dare qualche cosa solo là dove c’è la vita.

Allora dobbiamo chiederci cos’è la vita.

Perché soltanto dove c’è l’essere vivente si può dare qualche cosa.

E poi non basta essere vivo, perché anche tra gli esseri viventi qualcuno riceve e qualcuno non riceve.

Certamente la pietra non riceve.

Certamente il morto non riceve.

Quindi il grande salto sta nella vita.

Ma cos’è la vita?

Noi il più delle volte diciamo che la vita sta nel mangiare e nel riprodursi.

Là dove vediamo un essere che assimila, diciamo che là c’è la vita.

Là dove vediamo l’essere che si riproduce, diciamo che là c’è il vivente.

Ma noi non teniamo conto che il mangiare, il riprodursi, sono soltanto espressioni della vita ma non sono la vita.

Sono sintomi della vita ma non sono la causa della vita.

Teniamo presente che tutto è parola di Dio per noi.

Quindi la pietra è una parola di Dio per noi, perché?

Perché ci sono uomini che sono pietre.

E la Bibbia parla apertamente di “cuori di pietra”.

Il nostro cuore può diventare di pietra,

Il nostro pensiero può diventare pietra.

Gli uomini possono diventare delle pietre.

Ecco perché ci sono le pietre.

C’è il morto perché l’uomo può diventare morto.

L’uomo può morire.

E tutti quanti facciamo esperienza della morte.

Quindi c’è questa lezione di Dio nella vita di ognuno di noi.

La lezione più semplice della vita nel mondo, da cui poi deriva nel campo naturale ogni vita è l’albero.

Se non ci fossero gli alberi non ci sarebbe vita nel mondo, nemmeno per l’uomo, nemmeno per gli animali.

Noi superficialmente diciamo che la vita sta nell’assimilare e nel riprodursi, l’albero certamente assimila e si riproduce.

Ma questo è un sintomo di vita.

Ma la vita dell’albero in che cosa consiste?

L’albero non potrebbe né assimilare, né riprodursi se non avesse una energia in sé.

L’albero ha la caratteristica di ricevere questa energia dalla luce.

Ed è la forma più semplice di vita creata da Dio nel mondo, per farci capire che tutta la vita tra noi viene dalla luce.

L’albero stesso è luce.

La vita la riceve dalla luce.

L’albero ha quelle caratteristiche per cui riesce a raccogliere la luce, fissare la luce e ricevere quell’energia necessaria per mangiare e riprodursi.

Ma l’albero riceve luce in quanto si offre alla luce.

La vita non sta tanto nel mangiare o nel riprodursi (sintomi), la vita sta nell’offrirsi.

L’albero si offre alla luce.

E soltanto nella misura in cui si offre alla luce, lui riceve vita.

E questo è segno della parola di Dio che ci dice che in principio la vita era la luce.

La vita sta nella luce.

INTERRUZIONE-----

Abbiamo detto che il problema del dare, del comunicare, dell’informare è relativo alla vita.

Perché a tutto ciò che è morto non gli si può dare niente perché non può ricevere niente.

C’è un abisso che divide uomo da uomo, animale da uomo, vegetale da uomo, pietra da uomo.

E uomo da Dio.

Si può creare questo abisso.

Per cui non c’è possibilità di passaggio.

Incomunicabilità.

Ma Dio non ci ha creati per la incomunicabilità.

Noi possiamo crearci l’incomunicabilità.

Ma Dio non vuole.

Dio ha creato l’uomo unito a Sé.

E l’uomo è portatore di Dio.

Sì, si sente dire che l’uomo è portatore di Dio, che l’uomo è tempio di Dio...ma siamo proprio sicuri di questo?

E chi ci garantisce che è veramente così?

Noi stessi siamo i garanti di questo fatto.

Gesù dice: “Voi stessi dite che Io sono”.

Ogni uomo, ognuno di noi, è testimone della presenza di Dio in sé.

Tutti i nostri problemi, tutte le nostre questioni, tutte le nostre tribolazioni, tutte le nostre angosce e anche la nostra stessa morte, sono testimonianza della presenza di Dio in noi.

Presenza di Dio capita è uguale a vita-luce.

Presenza di Dio non capita è uguale a morte.

E l’inferno è costituito dall’impossibilità di capire Dio.

E il paradiso è costituito dalla possibilità di capire Dio.

Ma allora tutto il problema sta nel capire, sta nel conoscere.

Nel conoscere Colui che è presente in noi indipendentemente da noi.

Nessuno di noi può smentire e dimostrare che Dio non è presente in noi.

Noi ne subiamo la presenza, noi non possiamo ignorarlo, noi subiamo la sua passione perché noi siamo passione d’assoluto.

Passione d’assoluto e l’assoluto è Lui.

Ora, noi non potremmo subire la passione di una cosa se questa cosa non ci fosse presente. In qualche modo.

Se noi subiamo la passione dell’assoluto è perché certamente l’assoluto è presente in noi, si fa sentire e noi patiamo per questa presenza.

Quindi il problema è non trascurare ciò che non possiamo ignorare.

E cosa vuol dire non trascurare.

Non trascurare vuol dire fare quello che fa l’albero.

Abbiamo detto che la prima lezione di vita nel mondo è questo offrirsi alla luce.

La vita è la prima condizione per potere ricevere qualcosa.

La vita sta nella possibilità di offrirsi alla luce.

Dio per primo crea le creature.

E creando delle creature, crea delle possibilità di offrirsi.

Dio ha creato la vita nel mondo e questa vita nel mondo sta nel dare alle creature la possibilità di offrirsi a-.

Però quando diciamo “dare la possibilità di offrirsi”, non vuol dire che la creatura si offra.

Una pianta può essere tenuta al buio e non offerta alla luce.

E anche l’uomo può essere tenuto al buio e non offrirsi alla luce.

Per questo che dico che l’uomo può trascurare Dio.

Ma se l’uomo trascura Dio, quindi trascura la luce, l’uomo incomincia a patire la morte.

E patendo la morte, non riceve più.       

Perché non si può comunicare ad un morto.

Non si può dare niente ad un morto, come non si può dare niente ad una pietra.

La pietra non riceve, perché?

Perché non si offre.

La pietra non ha la possibilità di offrirsi.

Per questo non riceve.

Ognuno di noi, può ricevere solo nella misura in cui si offre, nella misura in cui si dà.

Allora questo dare, questo comunicare, non è un atto semplice di dare da uno all’altro.

È un interferenza di offerte.

Si riceve nella misura in cui ci si offre.

Noi abbiamo l’esempio del radar.

Il radar capta i segnali che lui stesso manda.

Quindi si offre e si riceve.

E si riceve nella misura in cui si offre.

E ognuno di noi è simboleggiato in questo.

Ognuno di noi riceve messaggi, riceve segnali, riceve doni nella misura in cui si offre.

Come l’albero, nella misura in cui si offre alla luce riesce ad assimilare.

Ecco l’anima del dare.

Il dare è costituito da uno che dà per primo, Dio creatore, è Lui che dà per primo, però la creatura riceve e in quanto riceve, riceve in uno stato di potenzialità, di capacità di offrirsi e soltanto nella misura in cui si offre, riesce ad ottenere veramente la comunicazione dell’altro.

Altrimenti perde il dono.

Il dare, il comunicare è un atto complesso, costituito da due grandi fattori.

C’è un essere che vuole dare e che ha la possibilità di dare ma questo essere si trova nell’impotenza, Dio si trova nell’impotenza a dare la vita, alla creatura che non si offre a Lui.

Dio fa tutto per dare alla creatura la possibilità di offrirsi, ma se la creatura non si offre non può ricevere.

L’atto essenziale dell’essere vivente è la possibilità di offrirsi a-.

La vita eterna sta nella possibilità di pensare l’eterno.

E pensare l’eterno vuol dire offrirsi all’eterno.

Quando noi pensiamo offriamo il nostro pensiero a-.

E offrire il nostro pensiero a-, vuol dire incominciare a guardare le cose dal punto di vista dell’altro.

Tutto il processo d’innamoramento che c’è nel mondo è tutto questo pensare all’altro. 

E pensare all’altro vuol dire guardare le cose dal punto di vista dell’altro.

Nei riguardi di Dio, ognuno riceve solo nella misura in cui si offre.

Perché è lì che avviene la comunicazione, la comunicazione avviene in ciò che uno offre.

Per cui se tu offri poco, tu ricevi poco.

Se tu pensi soltanto a te stesso e quindi non offri niente, non ricevi niente.

Per questo dico che si corre il rischio di fare esperienza di morte.

Morte è non ricevere più niente.

Incomunicabilità.

Ora, Dio che ti crea senza di te, (dice Sant’Agostino) non ti può salvare senza di te.

Cioè Dio che ti dà la possibilità di offrirti a Lui, se tu non ti offri a Lui, non ti può dare niente.

Per cui ecco che i veri doni, richiedono che la creatura salga a Dio.

Dio ha una infinità di doni.

“Ho tante cose da darvi e dirvi ma per ora non le potete portare”.

Perché non siamo in grado di portarle?

Perché non si sale a Lui.


Pinuccia A.: Se do un libro ad un uomo, costui riceve nella misura in cui dedica il suo pensiero al libro?

Luigi: No, perchè se il libro è scritto in una lingua straniera non riceve proprio nulla.

Vede dei segni ma non riceve nulla.

Il principio della comunicazione è che in te ci sia la stessa cosa che c’è in chi ti comunica.

Altrimenti non c’è il passaggio.

Ci deve essere la stessa cosa che c’è in colui che ti comunica.

Allora c’è la comunicazione.

Altrimenti non c’è nessuna comunicazione.

Cioè se in te c’è il pensiero di Dio c’è comunicazione con Dio.

Se in te non c’è il pensiero di Dio non c’è comunicazione con Dio.

Ecco perché tu non puoi dare ad una gallina un orologio.

Perché al bambino puoi dare un orologio e a una gallina no?

Perché il bambino ha presente l’eterno.

Tu mi dirai: che cosa centra l’eterno con l’orologio?

Perché il tempo è una manifestazione dell’eterno.

Se tu non hai presente l’eterno, tu non puoi capire minimamente il tempo.

Come se tu non sei ferma su una sponda di un fiume, tu non puoi vedere l’acqua che passa.

Tu vedi il passare delle cose, soltanto in quanto hai presente ciò che non passa.

È rapporto, cioè tu non vedresti il tempo, il passaggio delle cose se non avessi presente l’eterno e tanto meno lo potresti misurare.

Tu puoi misurare, vedere il tempo, soltanto in quanto hai presente l’eterno.

Il bambino ha presente l’eterno.

La gallina non ha presente l’eterno.È

La gallina è tutto sentimento.

Quindi abbiamo il mondo animale che rappresenta tutti i nostri sentimenti.

L’uomo che vive di sentimento non ha presente l’eterno.

Non può ricevere l’orologio, non sa cosa farsene.

Con l’orologio tu vedi come stai sprecando il tuo eterno.

Con l’orologio tu misuri lo spreco che fai dell’eterno.

E allora lì tu sai cosa fartene dell’orologio.

L’orologio è un giudizio su di noi.

Perché ci mette in evidenza ciò in cui stiamo impiegando il nostro pensiero, in cui stiamo consumando la nostra vita.

Ed è l’eterno che sta arrivando.

Perché il tempo che passa è Dio che viene.

L’eterno che già sta arrivando.

E tu questo eterno lo hai presente e tu corri il rischio di sprecare questo eterno in niente.

E ti resta niente.

Tu resti con niente e oltretutto il niente non esiste.

Eppure l’uomo muore nel niente.

L’uomo fa esperienza del niente.

L’uomo prova angoscia quando ciò per cui vive, a un certo momento tramonta.

Non c’è più.

Ciò per cui tu sei vissuto è passato.

Ed è niente.

Tutta la mia vita è servita a niente.

Quindi tu fai esperienza del niente e il niente non esiste.

Perché esiste soltanto Dio.

Il niente non esiste mica.

Eppure l’uomo muore facendo esperienza del niente.

Perché ha sprecato la sua eternità.

Cioè ha sprecato questa sua possibilità che aveva di pensare Dio.

L’ha sprecata in cose che passano.

A un certo punto non c’è più comunicazione tra l’eterno e te.

E tu esperimenti il niente perché non c’è più questa comunicazione.

Non si comunica più.

E non si comunica più perché in te non c’è quello che è in Dio.

Il tuo niente in Dio non c’è ma in te c’è.                      

Quello ha creato un abisso e tu non riesci più a comunicare.

Tra il niente e Dio non c’è comunicazione.

Perché ci sia comunicazione bisogna che quello che è in te ci sia anche in colui che ti dà.

In noi c’è il pensiero di Dio ma si resta con-, in quanto tu ti offri a-.

Noi abbiamo la possibilità di vivere in quanto ci offriamo a-, ci dedichiamo a-.

E quindi pensiamo a-.

Dio è il vivente.

Noi viviamo solo in quanto partecipiamo a Dio.

Quindi Dio dà a noi la possibilità di partecipare in quanto dà a noi il suo pensiero.

Se noi ci offriamo al pensiero di Dio, lì nel pensiero di Dio avviene la comunicazione ma solo nel pensiero di Dio.

Se io anziché pensare a Dio io vivo pensando ad altro, io non ho comunicazione con Dio.

Franco: Che rapporto c’è tra il tempo che passa e la luce di Dio?

Luigi: La luce di Dio nel nostro relativo.

Il tempo è la manifestazione dell’eterno in ciò che non è eterno, è l’affermazione dell’eterno.

Tu non scopriresti il tempo, se tu non avessi presente l’eterno.

La gallina non ha esperienza del tempo, il cane non ha esperienza del tempo.

L’uomo ha esperienza del tempo.

Ma tu fai esperienza del tempo in quanto hai la possibilità di fare un confronto, un rapporto.

E questo rapporto con chi lo fai?

Lo fai tra ciò che è eterno e ciò che non è eterno.

Ora, l’eterno non sei tu, per questo dico che l’eterno si può pensare solo eternamente.

Ma se tu anziché pensare all’eterno pensi a ciò che non è eterno, in questo che tu pensi, anziché pensare Dio, Dio afferma la sua eternità.

E affermando la sua eternità ti fa cambiare e scomparire le cose.

Per cui mentre io dico: “Io sono”, Dio sta già affermando su di me il suo: “Io sono”.

E il suo “Io sono” affermandosi sul mio “io sono” lo annulla: è il tempo.

Per cui io che dico: “Io sono”, domani non potrò più dirlo, perché?

Perché Lui ha detto il suo: “Io sono”.

Quindi noi viviamo soltanto nella misura in cui diciamo: “Tu sei”.

Soltanto nella misura in cui noi diciamo: “Tu sei”, noi partecipiamo di quello che Lui è.

La vita è partecipazione.

La vita è comunione.

Ma questa comunione non si verifica se noi non ci uniamo a ciò che noi non siamo.

Fintanto che io dico: “Io sono” mi creo un abisso d’incomunicabilità con l’”Io sono di Dio”.

Perché avvenga la comunicazione bisogna che quello che è in Dio sia in me.

In Dio c’è l’”Io sono”, soltanto se dico: “Tu sei” c’è la comunicazione.

Ma se io dico: “Io sono” c’è conflittualità tra il mio “io sono” e il suo “Io sono”.

E non ricevo niente.

Ma l’essere di Dio prevale e mi annulla il mio “io sono”.

E io muoio.

Tutti coloro che muoiono non fanno altro che: “Signore io non sono, tu sei”.

Perché c’è la morte nel mondo?

Perché l’uomo a un certo momento ha cominciato a dire: “Io sono”.

E l’uomo morendo finalmente dice: “Io non sono, Tu sei”.


GV 10 VS 29 - Ciò che il Padre mio mi ha dato, è più grande di tutto e nessuno può strapparlo dalla mano del Padre.


Secondo tema – L'offerta: condizione per restare uniti.


Argomenti: Pierre Teilhard de Chardin. La condizione per ricevere. La vita è capacità di offrirsi. Il tempo e l’eterno. Ci si può dedicare solo a ciò che si ha presente. La possibilità di occuparsi di Dio. Un termine comune necessario per la comunicazione. Occuparsi dell’eterno. L’assoluto si comunica solo dove c’è l’assoluto. Il pensiero di Dio nell’uomo. Il pianoforte divino. L’oggetto della dedizione. La salvezza sta nel capire.


 

24-25/ Novembre /1991


 Domenica scorsa su questo versetto ci siamo soffermati sul verbo “dare”.

“Ciò che il Padre mio mi dà”.

Ed abbiamo visto cosa c’è in profondità in questo verbo.

Non basta che qualcuno dia qualcosa, perché colui al quale si dona possa ricevere.

Ci sono delle condizioni.

Partendo dalla pietra, dal morto, dalla gallina, dall’albero, abbiamo notato prima di tutto che non si può dare niente a chi è morto.

Il morto non riceve.

E non si può dare niente ad una pietra.

La pietra non riceve.

Ci siamo chiesti perché non ricevono.

È lezione di Dio.

Tutto è parola di Dio.

E se Dio ci pone di fronte a lezioni come la pietra e la morte, verso cui non si può comunicare niente, evidentemente questo è per la nostra formazione nei nostri rapporti con Dio.

Dio dopo averci creati non ci abbandona a noi stessi ma ci circonda di lezioni e tutti i giorni ci trattiene nella sua scuola con le sue lezioni.

Per formare in noi la capacità di giungere alla conoscenza di Lui.

Di giungere cioè alla vita eterna.

Perché la vita eterna è conoscere Lui.

E allora ci siamo chiesti che lezione Dio vuole darci, presentandoci zone di incomunicabilità.

Esseri con cui non si può comunicare niente.

E lì c’è stata una grande distinzione.

Abbiamo detto che la condizione essenziale per poter dare qualcosa, è di trovarsi con un essere vivente.

Soltanto all’essere vivente si può comunicare qualcosa.

Ciò che è morto non riceve nulla.

Ciò che è pietra non riceve nulla.

E l’uomo può essere pietra.

E l’uomo può essere morto.

Cioè l’uomo può venirsi a trovare in una situazione di incomunicabilità, cioè non riceve.

Di tutto questo noi ne facciamo esperienza in sovrabbondanza.

E abbiamo visto invece che dove c’è vita: l’albero, l’animale, l’uomo, si può comunicare qualche cosa.

E allora ci siamo chiesti: perché al vivente si può comunicare e al non vivente non si può comunicare?

Per questo abbiamo detto che il dare, il comunicare non è a senso unico.

Non basta che uno voglia dare perché l’altro possa ricevere.

In chi riceve ci deve essere qualcosa di particolare perché possa ricevere.

Altrimenti non riceve.

E allora la grande distinzione è tra vivente e non vivente.

E ci siamo chiesti perché il vivente riceve.

Cosa c’è nel vivente da potere ricevere?

E abbiamo visto che la caratteristica della vita non sta tanto nell’assimilazione o nella riproduzione.

Questi sono sintomi di vita ma non è la vita.

La caratteristica della vita sta nella capacità di offrirsi.

La creatura riceve nella misura in cui è in grado di offrirsi.

Per cui la comunicazione, il dare, è strettamente condizionato, legato alla capacità nella creatura di offrirsi.

E poi abbiamo visto che anche nell’essere vivente c’è dono e dono.

Ciò che riceve la pianta non lo riceve l’animale.

Ciò che riceve l’animale non lo riceve l’uomo.

Oppure ciò che riceve l’uomo non può riceverlo l’animale.

E ciò che riceve l’uomo non può riceverlo la pianta.

E allora c’è da fare una distinzione tra vivente e vivente.

Perché non posso dare un libro ad una pianta o ad un animale.

Perché non posso dare un orologio ad una gallina?

E invece lo posso dare ad un bambino, lo posso dare ad un uomo.

Che diversità c’è per cui uno riceve certe cose e l’altro non le riceve?

Andando a fondo, abbiamo visto che non basta offrire, abbiamo la qualità dell’offerta.

Abbiamo visto che l’albero, è vivo in quanto si offre alla luce.

L’albero stesso, sotto un certo aspetto è luce e riceve luce.

Ma l’offerta dell’animale è diversa dall’offerta dell’albero.

E l’offerta dell’uomo è diversa.

Se io offro un orologio ad un cane, il cane non lo accetta o non sa cosa farsene.

E l’uomo invece sa cosa farsene.

Perché?

Che diversità c’è tra l’uomo e l’animale?

Qualcuno ha detto che nell’uomo c’è la consapevolezza del tempo.

Per questo sa cosa farsene dell’orologio.

Ma noi quando diciamo tempo cosa diciamo?

E andando più a fondo vediamo che l’uomo non potrebbe riconoscere il tempo e quindi utilizzare l’orologio se non avesse presente l’eterno.

Ogni conoscenza è sempre effetto di un rapporto.

E anche la conoscenza del tempo, la percezione del tempo è effetto di un rapporto.

Un rapporto con l’eterno.

Per cui il tempo è una manifestazione dell’eterno in ciò che l’uomo ha presente di non eterno.

È l’eterno  che si manifesta, si afferma, si dichiara in ciò che l’uomo non ha presente di eterno.

E l’uomo lì esperimenta il tempo ma non potrebbe nel modo più assoluto, avere la percezione del tempo se l’uomo non avesse in sé l’eterno.

E allora qui abbiamo una testimonianza stupenda meravigliosa.

L’uomo sa farsene qualcosa dell’orologio, perché l’uomo ha presente l’eterno.

Ha presente l’assoluto.

Ha presente l’infinito

E direi che sta misurando con l’orologio, lo spreco che lui fa dell’eterno.

Dio ha posto in mano agli uomini l’orologio perché misurassero lo spreco che loro fanno dell’eterno.

Perché l’uomo spreca l’eterno.

È come uno che buttasse via un tesoro per avere una patacca.

E l’uomo ha questo tesoro immenso che porta in sé.

Questa coscienza dell’eterno, dell’assoluto, dell’infinito, la spreca dietro a cose che valgono niente.

“Non accumulate tesori in terra”, non valgono niente.

Quando abbiamo accumulato tutto il mondo, tutto il mondo ci viene portato via.

E invece Dio ci dà a disposizione l’eternità.

Ci dà a disposizione l’eterno e ci dice di accumulare tesori in cielo.

Accumulate tesori nell’eternità.

Dove nessuno vi può portar via nulla.

Lì si raccomanda di accumulare.

Sforzatevi di entrare in questa eternità, perché questa eternità è data a disposizione adesso.

Adesso è data a disposizione.

E chi non si sforza di entrare oggi nell’eterno, certamente domani non entrerà.

L’eterno è un tesoro immenso che Dio ha messo a nostra disposizione.

Ha messo a nostra disposizione!

Non è detto che noi utilizziamo questo tesoro.

Noi lo sprechiamo questo tesoro.

Lo buttiamo via.

Senza renderci conto che trascuriamo la parola di Dio.

Perché la parola di Dio dice a noi di non accumulare tesori in terra ma in cielo.

Quindi accumula tesori nell’eternità.

Accumulare tesori nell’eternità, vuol dire cercare di conoscere ciò che è eterno.

Perché l’eterno ci è dato.

Noi lo portiamo in noi, indipendentemente da noi ed è quello che distingue noi dall’animale e dall’albero.

Motivo per cui l’uomo sa utilizzare l’orologio e ogni altro essere vivente non sa utilizzare l’orologio.

Noi portiamo in noi questa dimensione eterna, indipendentemente da noi.

E tutto quello che abbiamo in noi: Dio, l’eternità, l’assoluto, l’infinito, il pensiero stesso di Dio che portiamo in noi indipendentemente da noi, noi non possiamo ignorarlo.

Ma non lo conosciamo.

Non sappiamo che cosa sia.

Per questo Dio dice a noi di sforzarci per entrare in quest’eterno.

Dice a noi di accumulare tesori in cielo.

Quindi questo sforzarci di entrare, questo accumulare tesori in cielo, è segno evidente che dobbiamo sforzarci di conoscere ciò che è dato a noi senza di noi.

Perché noi l’abbiamo e non sappiamo che cosa è, non possiamo ignorarlo, però siamo responsabili della risposta che diamo a questo.

Tutto ciò che è dato è un offerta, tutto Dio ci offre: il suo pensiero, Se Stesso.

Ci offre la sua eternità.

Ci offre il suo infinito.

Ci offre il suo assoluto.

Ce lo offre.

Non è detto che noi lo valorizziamo.

Che noi si sappia valorizzarlo.

Ho detto che la caratteristica del vivente è questa capacità di offrirsi.

Offrirsi che vuole dire dedicarsi.

Soltanto l’essere vivente è capace di offrire.

La capacità di ricevere comunicazione, di ricevere dati, essendo relativa ci introduce in un altro campo.

Ed è il campo che per offrire, dedicarsi, bisogna avere presente qualcosa.

Qualcosa a cui dedicarsi.

L’animale non può ricevere né il libro, né l’orologio perché non può dedicarsi al pensiero.

Non può dedicarsi all’eterno, all’infinito, all’assoluto.

Perché non l’ha presente.

Perché non l’ha in sé.

Una pianta, può offrirsi alla luce ma non può offrirsi alla luce eterna.

E non può offrirsi alla luce eterna perché non l’ha presente.

L’uomo può offrirsi all’eterno, all’infinito, all’assoluto, perché lo porta in sè.

Perché Dio creando l’uomo, ha posto nell’uomo e soltanto nell’uomo, quest’infinito, assoluto, eterno che è Lui.

Ha posto Se Stesso in lui.

L’uomo ce l’ha.

Ma ho detto che avendolo ha la possibilità, è non è detto che...

Non è detto che l’uomo si dedichi all’eterno.

L’uomo ha presente l’eterno ma ha presente anche le creature.

L’uomo ha presente l’eterno ma vede il tempo.

Anzi subisce il tempo.

Avendo la presenza di altro da Dio, di altro dall’assoluto, di altro dall’eterno, l’uomo viene a trovarsi in un campo di possibilità.

L’uomo è una potenza.

Ha la possibilità.

Ma avendo la possibilità di andare ad un pranzo non è detto che uno ci vada.

Ha la possibilità.

E quando si ha la possibilità, si ha una responsabilità.

C’è la responsabilità della risposta.

A ciò che gli è dato possibile.

L’animale, la pianta, non hanno la possibilità di occuparsi di ciò che è eterno.

Quindi non sono responsabili.

L’uomo invece ha la responsabilità verso ciò che è eterno, perché ha la presenza di ciò che è eterno.

Comunque l’importante è questo: condizione essenziale perché uno possa offrirsi è essere vivente ma non basta.

Abbiamo creature che sono viventi ma non possono offrirsi ad altro se non ciò che hanno presente.

Quindi la condizione è questa che l’essere vivente può offrirsi solo a ciò che ha presente.

Ma ciò che ha presente, rende la creatura responsabile della risposta che dà.

Allora la comunicazione, il dare, da un essere all’altro, presuppone che ci sia un termine comune presente a tutti e due.

Noi possiamo occuparci dell’eterno, quindi ricevere comunicazioni di cose eterne, soltanto in quanto abbiamo presente in noi l’eterno.

Avendo presente in noi l’eterno, non è detto che noi ci dedichiamo a ciò che è eterno.

Se non ci dedichiamo a ciò che è eterno, la comunicazione non passa.

Perché se non ci dedichiamo a ciò che è eterno, è segno che noi ci dedichiamo a ciò che non è eterno.

E dedicandoci a ciò che non è eterno, noi non possiamo ricevere comunicazioni dall’eterno.

E qui si crea l’abisso, l’incomunicabilità.

L’eterno dà, Dio dà e la creatura non riceve.

E perché non riceve?

Perché non ha presente l’eterno.

E perché non ha presente l’eterno?

Perché si occupa di ciò che non è eterno.

E allora qui capiamo la grande lezione di Gesù.

Gesù è venuto a dirci di lasciare perdere tutto ciò che passa.

Non occuparti delle cose che passano.

Cerca di occuparti delle cose che non passano.

Perché soltanto se tu ti offri a ciò che non passa, tu puoi ricevere comunicazione da ciò che non passa.

Altrimenti si crea un abisso, tra ciò cui tu ti offri e l’eterno.

Perché l’uomo, dedicandosi a-, vivendo per- altro da ciò che è eterno, infinito e assoluto, viene a trovarsi nella situazione di incomunicabilità.

Dio parla, Dio dà, Dio offre e la creatura non può ricevere.

E perché non può ricevere?

Perché per ricevere bisogna che ci sia un termine comune.

L’infinito si comunica soltanto là, dove c’è l’infinito.

L’eterno si comunica soltanto là dove c’è l’eterno.

L’assoluto si comunica soltanto là, dove c’è l’assoluto.

Ma evidentemente noi non siamo né eterni, né infiniti, né assoluti.

E tutti ne facciamo l’esperienza.

Noi non siamo eterni, siamo soggetti al tempo.

È evidentissimo che ciò che è assoluto, infinito, eterno non subisce condizionamenti, non subisce mutamenti, quindi non è condizionato da niente.

L’uomo invece, certissimamente subisce condizionamenti.

Anche la mente dell’uomo a un certo punto subisce rovina e distruzione.

E in questa creatura che si sta disfacendo, c’è una parola di Dio che gli dice di occuparsi di ciò che è eterno, infinito, assoluto.

L’uomo certamente non è infinito, assoluto ed eterno.

Perché subisce condizionamenti.

Eppure ha la possibilità di dedicarsi all’eterno.

Se ha questa possibilità, vuol dire che può sfuggire al tempo.

Può sfuggire a ogni condizionamento, alla morte stessa.

Ed è parola di Dio: “Chi viene dietro di Me, non gusterà la morte”.

L’uomo ha questa meravigliosa possibilità ma questa possibilità l’ha in un punto solo.

In quel pensiero di assoluto, d’infinito, di eterno che l’uomo porta con sé.

Questo pensiero non è l’uomo ma lo porta in sé.

L’uomo porta in sé il pensiero di Dio.

L’uomo non è l’assoluto e ne porta su di sé le prove.

Però ha con sé il pensiero dell’infinito.

Ha con sé il pensiero dell’eterno, lo porta in sé.

E se l’ha con sé, vuol dire che ha una possibilità.

È vero che l’uomo può vivere per cose che passano ma l’uomo può anche vivere per ciò che non passa.

Perché lo porta in sé, l’ha presente in sé.

Averlo presente vuol dire avere la possibilità.

Non è detto che l’uomo si dedichi, si offra a questo.

L’uomo può offrirsi ad altro a ciò che non è eterno.

Ma se lui si offre a ciò che è eterno cosa succede?

Eterno nell’uomo, eterno in Dio, qui abbiamo comunicazione.

Come luce nel sole e luce nella pianta abbiamo comunicazione.

La pianta capta la luce.

E così in tutto.

Se noi possiamo sentire il suono, il rumore di una cosa ma è perché dentro di noi abbiamo la stessa corda che vibra dentro di noi.

Se uno che sta suonando un pianoforte si fa sentire, quindi comunica ciò che egli suona ad una creatura che sente, è perché nell’orecchio della creatura ci deve essere un pianoforte.

Se non ci fosse nell’orecchio nostro un pianoforte, il pianoforte che viene suonato da un altro, non potrebbe essere assolutamente essere ricevuto dall’orecchio.

E non solo bisogna che in noi ci sia il pianoforte ma bisogna che ci siano quelle corde che vibrano con la stessa lunghezza con cui viene trasmesso.

Perché soltanto là, dove c’è la stessa lunghezza d’onda c’è la comunicazione.

Ora, in noi nell’uomo c’è questo pianoforte divino.

E l’uomo può percepire l’eterno, l’infinito, l’assoluto, può percepire tutte le parole di Dio, tutto ciò che Dio dona e vuole donare, per rendere la creatura partecipe di Sé.

Ma è necessario che le corde di questo pianoforte divino che l’uomo porta dentro di sé, vibrino sulla stessa lunghezza d’onda di Colui che trasmette.

La lunghezza d’onda è data da una sola cosa in noi, dal pensiero dell’infinito, dell’assoluto, dell’eterno.

Ed è necessario, altrimenti resta scordato.

Il nostro pianoforte resta scordato.

E quando resta scordato non riceve niente.

È necessario che in noi ci sia l’offerta, la dedizione, la consacrazione a questo pensiero di assoluto, d’infinito e di eterno, perché arrivi la comunicazione.

E allora se avviene questa comunicazione, il maggiore assorbe il minore.

Succede che l’infinito assorbe tutto il nostro finito.

L’eterno assorbe tutto il nostro tempo.

E recupera tutto.

Quello di cui parlava Teilhard de Chardin.

Che il Tu di Dio assorba, beva, annienti tutto ciò che di me è finito.

Tutto ciò che non è Tu.

Qui è delineata l’opera di Dio ma anche l’opera che è richiesta ad ogni creatura.

La creatura deve offrire per ricevere.

E tutta la creazione di Dio che è fatta senza di noi, è fatta per formare una creatura capace di offrire.

Noi generalmente, nel pensiero del nostro io, quando si parla di creatura che offre a-, noi riteniamo sempre creatura che offre qualcosa di sé.

Denaro, sacrifici, tempo, offerta delle proprie virtù, della propria ubbidienza, offerta della propria volontà, dedizione eccetera.

Facciamo consistere l’offerta della creatura in creatura che offre qualcosa di sé.

Non è questo che conta.

Non è questo che vale qualche cosa.

Non è offrendo qualcosa che noi abbiamo che possiamo ricevere comunicazione dall’assoluto.

Abbiamo addirittura fatto una virtù dell’offerta del nostro pensiero e della nostra intelligenza.

Non è offrendo qualcosa di noi, non è offrendo qualcosa di finito che si entra in sintonia con l’infinito.

Il problema non sta nell’offrire qualcosa di noi a Dio.

Per poter ricevere la comunicazione del’’infinito, dell’eterno, dell’assoluto, di Dio, il problema sta in ciò cui ci si dedica.

Il problema non sta in ciò che uno dedica, ma in ciò cui uno si dedica.

Il principio della comunicazione, non sta nel dare noi qualcosa di noi.

La nostra corda qui non vibra sulla stessa lunghezza d’onda di ciò che deve ricevere.

Perché il pianoforte divino, lancia lunghezze d’onda infinite, all’infinito.

E ciò che è finito non può ricevere comunicazione dall’infinito.

E allora è inutile che noi facciamo consistere l’offerta di noi a Dio di qualcosa di nostro.

Il problema non è questo. Dio non ha bisogno di noi.

Dio non ha bisogno dell’uomo, è l’uomo che ha bisogno di Dio.

Quindi il problema non sta nel dare a Dio qualcosa di noi.

Dio non è uno a cui bisogna pagare le imposte.

Quello che conta non è quello che noi sacrifichiamo o doniamo di noi a Dio.

L’offerta, l’apertura a Dio non sta in questo.

Il problema sta in ciò cui noi ci offriamo.

Ciò a cui noi dedichiamo.

Il nostro pensiero, la nostra intelligenza la nostra vita.

Il problema non sta nel rinunciare all’intelligenza.

Nel rinunciare alla volontà.

Nel rinunciare ad amare.

Il problema non sta lì, il problema sta nel dedicare l’intelligenza, la volontà, l’amore, la vita all’eterno.

E soltanto se noi dedichiamo (non rinunciamo) l’intelletto, la mente, il pensiero al pensiero di Dio, a ciò che è infinito a ciò che è eterno, a ciò che è assoluto, solo lì avviene la comunicazione.

Perché qui abbiamo la stessa lunghezza d’onda.        

Solo lì possiamo ricevere e percepire i doni di Dio.

“Ciò che il Padre mi ha dato”.

Qui c’è un salto di qualità immenso.

Qualcuno ha detto che corriamo troppo, è Cristo che fa correre qui.

Qui è partito dalle pecore e poi passa a “Ciò che il Padre mi dà”.

E ci sprofonda in questo rapporto tremendo, immenso, infinito: ciò che il Padre dà al Figlio.

E non sono mica più pecore, non sono mica più creature.

Cosa è questo “ciò”, non abbiamo più il plurale.

E ci dobbiamo sprofondare nella conoscenza di questo.

Questo che il Padre dà al Figlio.

E ci rivela quello che il Padre vuole dare a noi.

Tutti i problemi che noi subiamo nella nostra vita sono problemi di rapporto con l’infinito, l’eterno e l’assoluto che portiamo dentro di noi.

Noi portiamo dentro di noi un ospite che ci rende la vita terribilmente difficile.

E dobbiamo prendere coscienza che tutta questa difficoltà, è creata dalla sua presenza.

Sua presenza non capita, non conosciuta.

Ma allora il problema essenziale sta nel passare da ciò che portiamo in noi non conosciuto a ciò che portiamo in noi conosciuto.

Il problema sta nel passare da tutto quello che abbiamo in noi senza di noi a quello che non possiamo avere in noi senza di noi.

In noi abbiamo l’eterno, l’assoluto, l’infinito, Dio.

Abbiamo tutto.

Manca una cosa sola, il capire ciò che noi abbiamo in noi.

Il non capire ciò che noi abbiamo in noi, ci butta all’inferno.

Uno capisce e conosce quando ha in sé il principio di una cosa.

E soltanto guardando da Dio, noi possiamo capire ciò che noi abbiamo in noi.

L’assoluto in noi è la condizione perché noi lo possiamo pensare.

E quando pensiamo cosa facciamo?

Quando io penso una creatura o Dio, non faccio altro che portarmi a guardale le cose dal punto di vista dell’altro.

E quando guadiamo Dio ci portiamo a guardare le cose dal punto di vista di Dio.

Ma Dio è il principio e se ci portiamo a guardare le cose dal punto di vista del principio, lì abbiamo il principio di tutto ciò che abbiamo in noi.

E lì abbiamo la possibilità di capire.

Ora, fintanto che in noi c’è qualcosa, anche lo stesso pensiero di Dio, che non capiamo da Dio, noi qui abbiamo la bomba atomica che può distruggere tutto il nostro mondo e la nostra vita.

E tutto ciò che noi portiamo in noi, non capito da Dio ci porta alla distruzione.

Ci scava un abisso d’incomunicabilità.

Soltanto quindi offrendo il nostro pensiero a Dio, per guardare da Dio, abbiamo lì la possibilità di capire ciò che Dio ci ha dato.

Sopratutto di capire cosa è il suo pensiero.

Il pensiero di Dio che portiamo in noi.

Cos’è questo pensiero di assoluto, di eterno, d’infinito che portiamo dentro di noi.

Qui abbiamo la condizione essenziale per poter capire.

E nel capire c’è la nostra salvezza.

Nel capire c’è la comunicazione dell’essere.

E nel capire si forma una cosa sola, tra Colui che trasmette e colui che riceve.


GV 10 VS 29 - Ciò che il Padre mio mi ha dato, è più grande di tutto e nessuno può strapparlo dalla mano del Padre.


Terzo tema - Legno secco e legno verde.


Argomenti: Tutto è opera di Dio. L’unione è l’essenza della vita. L’intelligenza sulle opere di Dio. L’anima della vita è la comunicazione. Bruciati dall’opera di Dio. L’offerta della vedova nel tempio. Il superfluo e il necessario. La capacità di portare i doni di Dio. La capacità di ricevere è proporzionale alla capacità di offrire. Le condizioni per la comunicazione. Tutti gli uomini sono portatori del pensiero di Dio. La lunghezza d’onda. La vita sta nel pensiero di Dio. Il significato del fuoco. La pena di un dono non fatto.


 

1-2/ Dicembre /1991


 Abbiamo visto la volta scorsa, ciò che forma l’unità tra noi e Dio.

Il problema dell’unione con Dio è un problema che s’impone nella vita dell’uomo e che è molto difficile.

L’uomo s’accorge di quanta difficoltà incontri nel pensare con Dio e nel restare con Dio.

L’uomo è continuamente portato via a Dio dai fatti e dagli avvenimenti.

Eppure i fatti e gli avvenimenti sono parole di Dio.

È Dio che parla con noi.

Io vorrei vedere qualcuno che dice che “Dio permette” e che non tutto è opera di Dio quando poi si afferma che Dio conduce la vita di ogni uomo ad un fine ben preciso.

Come si fa a condurre gli avvenimenti, se non si è padroni degli avvenimenti???

Come si può condurre la storia verso un fine ben preciso.

L’universo va verso un fine ben preciso ed è la gloria di Dio, l’affermazione della Verità.

Come si può fare questo se non si è padroni della storia e di tutte le cose.

Dio è il Signore.

Dio è il Creatore.

Non ci sono altri creatori, non ci sono altri signori.

Non c’è nessun altro che regna.

Dio solo è Colui che regna.

Quindi è Lui che inizia ogni cosa.

È Lui che governa ogni cosa.

Ed è Lui che conduce ogni cosa verso un fine ben preciso.

Non è detto che l’uomo approdi alla pace di Dio.

Perché per approdare alla pace di Dio, il primo passo è quello di credere che tutto è voluto da Dio.

Perché Dio ci conduce nella sua pace, proprio attraverso il suo parlare.

E la condizione per restare con uno che parla è quella di accogliere le sue parole.

Non è detto che l’uomo riconosca in tutto il parlare di Dio.

Ed è qui che c’è tanta difficoltà per restare con Dio.

Noi nella nostra superficialità, attribuiamo i fatti, gli avvenimenti, le cose vicine e lontane al destino, al caso, alla natura, alle leggi, all’uomo, alle cause seconde.

E non ci rendiamo conto dell’errore immenso che noi facciamo, perché facendo così, noi ci rendiamo impossibile il restare con Dio, con Colui che parla con noi.

Abbiamo visto la volta scorsa che la condizione per restare uniti a Dio.

Teniamo presente che l’unione è l’essenza della vita.

Perché la vita è fatta di comunione.

Uno è il vivente, uno è l’essere assoluto e la vita è l’unione con questo essere assoluto.

Noi non siamo viventi, siamo vivificabili.

Dio è il vivente.

Noi possiamo essere vivificati.

Vivificati dalla comunione con-.

Con Colui che è vivo.

Con Colui che parla.

Per restare in questa comunione e per partecipare quindi di questa vita, abbiamo visto che è necessario capire da Dio, tutto ciò che riceviamo da Dio senza di noi.

Credere che uno solo è Dio Creatore è l’anima di tutto l’antico testamento ma è l’anima di tutta la creazione e della vita di ogni uomo.

Uno solo è il Signore, uno solo è Colui che governa tutte le cose e che conduce tutte le cose al loro fine.

È assolutamente necessario credere questo, perché è necessario accogliere tutto da Dio, in quanto è Dio che fa arrivare a noi tutte le cose senza di noi.

Gli avvenimenti, la storia, il tempo.

Il tempo passa e quanti di noi vorrebbero che il tempo non passasse.

Eppure passa e noi siamo costretti a subire questo tempo che passa.

Gli anni che passano, la vita che passa, è tutto che passa.

Quindi noi subiamo.

C’è qualcuno che opera tutto questo su di noi.

E quindi tutto questo mondo, dentro e fuori di noi, che portiamo con noi, che arriva a noi indipendentemente da noi, ha bisogno di essere capito.

Visto da Dio.

Non si arriva alla conoscenza di Dio senza di noi.

Tutte le cose arrivano a noi senza di noi.

La luce di Dio, la conoscenza di Dio, la vita eterna, non arriva a noi senza di noi.

Senza la nostra dedizione.

Il difetto che portiamo in noi, rispetto a quest’opera meravigliosa di Dio è capire che cosa Dio comunica a noi, attraverso tutte le cose che fa senza di noi.

Quindi abbiamo queste due grandi classi di cose, di avvenimenti.

Avvenimenti che arrivano a noi senza di noi.

E poi la luce su questi avvenimenti.

La conoscenza di quello che Dio vuole comunicare a noi, attraverso questi avvenimenti.

Gli avvenimenti, tutti, arrivano a noi senza di noi.

Pura opera di Dio creatore.

Ma l’intelligenza di questi, la conoscenza del pensiero di Dio, del significato che Dio vuole fare arrivare a noi, attraverso tutte le cose che Lui fa e dice, questa non arriva a noi senza di noi.

E perché non arriva senza di noi?

Perché la conoscenza, l’intelligenza, il significato, richiede l’avere con noi il principio della cosa stessa.

Noi conosciamo veramente una cosa, quando vediamo il principio di essa.

Quando abbiamo il principio di quella cosa.

Quando noi vediamo una cosa ma non conosciamo il principio di essa noi non conosciamo la cosa.
Il principio di tutte le cose non siamo noi, il principio è Dio.

Per vedere le cose dal punto di vista di Dio, è assolutamente necessario che noi superiamo il pensiero del nostro io.

Superiamo tutto di noi.

I nostri sentimenti.

I nostri desideri.

Le nostre passioni.

I nostri problemi.

Dobbiamo superare tutto, per portarci a guardare dal punto di vista di Dio.

L’anima della vita che sta nell’unione-comunione, sta nella comunicazione.

Dio parla con noi sempre, in tutto.

E quindi comunica con noi.

Da questa comunicazione intelletta viene la comunione.

E quindi l’unione e quindi la vita.

Perché la vita è unione.

Ho detto che noi siamo vivificabili ma non siamo vivi.

Perché noi possiamo accedere a questa vita, è assolutamente necessario che la comunicazione di Dio sia intelletta da noi.

Dall’intelligenza della comunicazione arriva la comunione.

Visto questo, questa sera noi dobbiamo osservare che cosa è che ci mantiene disuniti da Dio.

Che forma questa disunione.

C’è questo rischio nella vita dell’uomo.

La disunione con Dio.

L’impossibilità di trovare questa unione con Colui che è vivo.

L’impossibilità di arrivare a capire Colui che sta parlando con noi.

Noi possiamo venirci a trovare fuori.

E mentre Dio parla in tutto, noi possiamo venirci a trovare nella situazione di non capire assolutamente niente.

Assolutamente niente.

Sentiamo solo del rumore.

E nient’altro.

È necessario quindi capire cos’è che determina in noi questa disunione, questa separazione, questo restare fuori dal regno della Verità, della luce, della conoscenza.

Fuori dal regno della vita eterna.

E capire il significato.

Perché se Dio ci parla di questo rischio di restare fuori, di restare bruciati, è perché il rischio c’è.

C’è per ognuno di noi, il rischio di restare bruciati dall’opera di Dio.

Cristo parla di questo e se parla di questo vuol dire che ha un importanza grande per noi, per la nostra vita.

E bisogna rendersi conto del rischio che c’è, per evitarlo.

Come Cristo parla della fine di tutte le cose.

Ed è una fine che riguarda ognuno di noi.

Prima che la nostra generazione passi.

Prima che la nostra vita finisca.

Tutti noi.

Ognuno di noi.

Personalmente.

Assisterà a questa fine del suo mondo.

A questo crollo di tutti i valori per cui è vissuto.

Nessuno scampa a questo.

Se Cristo ci parla di questo e ce lo annuncia.

Ce lo annuncia per evitare a noi di restare tagliati fuori, di restare bruciati da questo crollo dei valori.

Noi possiamo restare bruciati da questo crollo di tutto ciò per cui noi siamo vissuti.

Mentre dovevamo vivere per conoscere Dio.

Perché una cosa sola è necessaria.

Uno solo è l’impegno.

Noi il più delle volte diciamo di vivere per lavorare, per guadagnare, per lo studio, per la carriera, per la famiglia, mentre c’è una cosa sola che è assolutamente necessaria.

Quante volte ho sentito dire: “Io lavoro per vivere”.

E per che cosa vivi?

“Vivo per lavorare”.

E lì è un cerchio chiuso di assoluta assurdità.

Si lavora per vivere e si vive per lavorare.

Non c’è niente di più assurdo.

Ecco come noi annulliamo il significato delle cose.

Chiudiamo un cerchio e non ci accorgiamo dell’errore che stiamo facendo.

Dio ci ha dato la vita per ben altro.

Il problema è capire cosa è che ci divide da questo Essere vivente, presente e che nessuno di noi può ignorare.

Che nessuno può dimenticare, anche se lo può trascurare.

Lo possiamo bestemmiare, possiamo fare tutto quello che vogliamo.

Però Lui è sempre lì, come un chiodo fisso, come una montagna.

Sempre davanti a noi.

Può creare la nostra pace o il nostro tormento.

Soprattutto può essere per noi la sorgente di tutta la vita.

Cosa ci divide da Dio?

Il tema di oggi è legno secco e legno verde.

Gesù parla di questi due legni.

Durante la sua passione.

“Se fanno così del legno verde, cosa succederà al legno secco?”

Parla di questo legno secco quando parla della vite e del tralcio.

E dice che il tralcio può essere staccato dalla vite.

E il tralcio staccato dalla vite secca.

E quando il legno è secco non c’è altra soluzione che il fuoco.

Non c’è altra soluzione.

E allora dobbiamo dire che visto cosa è che ci unisce, noi possiamo capire cos’è che ci disunisce da Dio.

E con quanta facilità noi restiamo disuniti.

Abbiamo visto in questi giorni il commento di Gesù riguardo a quella povera vedova che nel tesoro del tempio getta due quadranti, due soldini.

Gesù dice ai suoi discepoli: “Questa povera donna ha dato più di tutti, perché tutti gli altri hanno dato il superfluo, questa donna ha dato tutto quello che aveva per vivere”.

E c’è una lezione profondissima in questo.

Tutto ciò che diamo di superluo a Dio, non serve per unirci a Dio.

Non è colla, non ci unisce.

Quello che ci unisce a Dio è soltanto ciò che si dà a Dio e rappresenta tutto ciò che noi abbiamo per vivere.

E allora dobbiamo chiederci, che cosa noi abbiamo per vivere?

E cos’è il superfluo?

Perché se dare a Dio il superfluo non ci unisce a Dio, e quindi non ci dà la possibilità di trovare la vita, è molto importante che noi ci chiariamo le idee nella nostra testa per renderci conto cos’è questo superfluo.

Il più delle volte noi crediamo di fare grandi offerte a Dio, grandi sacrifici a Dio e poi ci troviamo sempre con la porta sbattuta in faccia da Dio.

Sempre fuori.

Sempre bussando ad una porta che non si apre.

E cos’è invece quel “tutto ciò che si ha per vivere”?

Ciò che è più prezioso?

È più prezioso perché è quello che determina in noi l’unione con Dio.

Abbiamo visto che non basta che Dio riversi su di noi tutti i suoi doni.

Dio ci dà anche Se stesso.

Ma non basta.

Perché la condizione essenziale per potere accogliere i doni di Dio, è che ci sia un anima capace di ricevere questi doni.

“Ho tante cose da darvi e dirvi!”.

Lui è venuto a darci la vita e noi sempre a credere che ci abbia dato il suo corpo!

Lui ci ha dato la vita.

E la sua vita!

E la sua vita è il Padre.

E chi è che è capace di ricevere il Padre.

Non basta che Dio dia a noi tutto se Stesso.

Ha posto in noi Se Stesso.

“Voi non siete in grado di portare”.

È lì che incomincia la nostra tragedia.

Noi portiamo in noi un dono più grande di noi che non siamo capaci di portare.

Ed è questo che ci crea il tormento e ci porta all’inferno.

Non è sufficiente che Dio riversi su di noi tutto di Sè.

Tutto è relativo alla capacità di ricevere e di portare ciò che Dio ci dà.

Cos’è che rende noi capaci?

L’abbiamo visto le volte precedenti.

Quello che rende noi capaci di ricevere una comunicazione, è ciò che noi siamo capaci di offrire.

Perché una comunicazione passi d-,a-, non basta che ci sia uno che dia, è necessario che ci sia uno che si offra a ricevere.

Altrimenti non passa.

Non solo, la condizione essenziale perché arrivi la comunicazione che è vita, è necessario che ci sia la vita.

Soltanto la vita riceve la vita.

Però abbiamo visto che questo non è sufficiente.

Dio ci presenta tante lezioni di esseri viventi.

Sono parole di Dio.

C’è l’albero e la vegetazione.

Abbiamo gli animali.

Abbiamo gli uomini.

E tra gli uomini abbiamo tante differenze tra uno e l’altro.

Abissi tra uno e l’altro.

E tutto per insegnarci qual’è la condizione per ricevere ciò che Lui ci vuole dare.

E quindi fa tutta una graduazione, perché le lezioni di Dio sono lezioni molto pazienti.

Lezioni graduate.

E con pazienza Lui ci fa crescere e ci insegna come si ricevono i doni di Dio.

La vita è caratterizzata dalla capacità di offrire e offrirsi.

Perché è dall’offerta che si riceve.

E ognuno riceve nella misura in cui offre.

È assolutamente essere in sintonia per ricevere da colui che comunica.

E ci siamo anche chiesti da cosa è determinata questa sintonia.

La sintonia è determinata non da ciò che noi diamo ma è determinata da ciò o a chi noi diamo.

La condizione essenziale per dare qualcosa a qualcuno è che questo qualcuno in qualche modo sia presente.

E presente cosa vuol dire?

Che sia pensabile.

Che uno lo possa pensare.

Non si può dare a qualcuno al quale non si può pensare.

Dio, per dare a noi la capacità di essere in sintonia con Lui e quindi di offrire a Lui, condizione per potere ricevere da Lui, ha posto in noi il suo infinito, il suo eterno, il suo assoluto.

Ha posto in noi il suo pensiero.

Tutti gli uomini, santi o bestemmiatori, atei o credenti sono portatori del pensiero di Dio.

La cosa più preziosa.

Ora, L’uomo non è pensiero di Dio ma è portatore del pensiero di Dio.

Condizione essenziale, perché questo è l’unico modo per potere avere presente Dio.

Per potere pensare Dio, è necessario che noi abbiamo il pensiero di Dio.

Soltanto attraverso il pensiero di Dio noi possiamo essere in sintonia con Dio.

Solo attraverso il pensiero di Dio.

Perché?                                 

Perché soltanto con l’infinito si è in sintonia con l’infinito.

E se l’uomo non portasse in sé l’infinito, non potrebbe ricevere nessuna comunicazione dall’infinito.

Il finito non può minimamente ricevere l’infinito.

C’è un salto di qualità.

Dio ha posto in noi il suo pensiero, cioè ha posto in noi il suo infinito.

Noi non siamo infiniti, però abbiamo la possibilità di pensare l’infinito.

Non è detto che lo pensiamo, abbiamo la possibilità.

Qui è la chiave di volta dell’unione e della perdita dell’unione.

L’unione è data dalla comunicazione.

La comunicazione richiede sintonia.

La sintonia richiede un offerta da parte di chi riceve.

E una offerta che sia sulla stessa lunghezza d’onda, del dono che Dio vuole dare a noi.

Se non c’è la stessa lunghezza d’onda, non arriva la comunicazione.

C’è la frattura.

Ecco perché, soltanto attraverso il pensiero di Dio, noi poasiamo accedere alla comunicazione di Dio.

Ed ecco perché tanti, hanno tanta difficoltà a ricevere la prima comunicazione di Dio: “Io sono il Creatore, non c’è nessun altro”.

Io sono il Signore, non c’è nessun altro.

Tutto è opera mia e non c’è nessun altro.

Perché gli uomini hanno tanta difficoltà?

Perché non si mettono sulla stessa lunghezza d’onda di Dio.

Perché non si dedicano al pensiero di Dio.

Il pensiero di Dio è l’unico punto d’infinito che portiamo in noi.

Trascurato questo, noi siamo tutti immersi nel finito.

E tra il finito e l’infinito, non c’è nessuna possibilità di comunicazione.

E allora si fanno solo chiacchiere e rumore senza comunicare assolutamente niente.

E restiamo sempre nel nostro brodo.

E non ne usciremo mai.

Nemmeno facendo offerte a Dio da mattina a sera.

Perché tutto quello che noi offriamo a Dio è tutto finito.

E il finito, non entra in comunicazione con l’infinito.

E quindi il finito non ci porta in comunicazione con l’infinito.

E quindi ci rende incapaci di ricevere le comunicazioni di Dio.

E senza comunicazione di Dio, noi non partecipiamo della vita.

Qui arriviamo a capire “tutto ciò che uno ha per vivere”.

Se Dio è il vivente, tutto ciò che noi abbiamo per vivere, è il pensiero di Dio.

Solo il pensiero di Dio.

È tutto ciò che noi abbiamo per vivere.

Però il Signore dice: “Tutti hanno offerto del loro superfluo, questa povera donna, ha dato tutto ciò che aveva per vivere”.

Qui possiamo capire cosa è questo “superfluo”.

È molto importante.

Perché noi di disuniamo da Dio proprio offrendo a Dio il superfluo.

Il superfluo è ciò che non è necessario per vivere.

Ciò che s’aggiunge.

La cornice.

Tutto ciò che è necessario per vivere è ciò che dà a noi la possibilità di comunione con Dio, il Vivente.

Perché è da questa comunione che viene a noi la vita.

Un punto solo, una cosa sola è necessaria.

Il pensiero di Dio.

Perché solo nel pensiero di Dio c’è l’infinito di Dio.

E solo nell’infinito di Dio c’è la comunicazione di Dio.

Però questo pensiero di Dio va offerto a Dio.

Va offerto a Dio!

Questa povera donna ha offerto tutto ciò che aveva per vivere.

Soltanto donando si riceve la comunicazione.

Soltanto donando si riceve.

E ognuno riceve nella misura in cui dona.

E se il pensiero di Dio è l’unica cosa necessaria per vivere, soltanto donando il pensiero di Dio a Dio, noi qui riceviamo la vita.

Qui possiamo capire cos’è il superfluo.

Di fronte all’infinito, tutto ciò che è finito è superfluo.

Perché?

Perché per quanto noi aggiungiamo cose finite all’infinito, l’infinito non muta.

È inutile che noi diciamo “per sua maggior gloria”.

L’infinito di Dio, non ha assolutamente bisogno della creazione e delle creature.

Tutto ciò che è finito, non modifica minimamente, né in più, né in meno l’infinito.

L’infinito è un assoluto, esiste di per Sé.

Non cresce e non diminuisce.

Superfluo per l’infinito, è tutto ciò che è finito.

Il che vuol dire che fintanto che noi diamo a Dio tutto ciò che è finito, noi ce lo possiamo sognare di entrare in comunicazione con Dio.

Perché il finito, non può entrare in comunicazione con l’infinito.

Ecco per cui Gesù dice che hanno dato tutto il superfluo.

E sono rimasti fuori.

Eppure ci sono tante creature che danno tanto di sé, non è quello.

Il problema per entrare in comunicazione con Dio, sulla stessa lunghezza d’onda, non è quello che si dà, perché noi per quanto diamo diamo sempre cose finite.

E tutte le nostre cose finite che noi possiamo dare a Dio, non ci fanno entrare in comunicazione con Dio.

Noi restiamo qui e Lui è là.

Soltanto se abbiamo la possibilità di dare a Dio l’infinito, qui si entra in comunicazione con Dio.

Ma l’infinito è un punto solo in noi ed è il pensiero di Dio.

Allora cosa è che ci crea il distacco da Dio?

Questo distacco da Dio si forma in noi, in quanto offriamo a Dio il superfluo.

Noi viviamo per i nostri fini e accumuliamo tante cose, la nostra vita è un accumulare.

La nostra vita è un raccogliere.

Noi possiamo dare a Dio tante cose, però...

Però noi viviamo per altro.

E quello che determina tutto in noi è ciò per cui noi viviamo.

Uno può vivere e giungere a delle ricchezze enormi e giungere magari a possedere tutto il mondo e quindi può offrire tanto a Dio.

Come riconoscenza che Dio lo ha benedetto.

E invece tra lui e Dio c’è un abisso enorme.

Non ha capito niente.

Perché è vissuto per altro da Dio.

Quindi il problema non sta nell’offrire qualcosa di noi a Dio.

Il problema sta nel dedicare a Dio il suo pensiero.

È soltanto per mezzo di Dio che si conosce Dio.

Quindi soltanto dedicando a Dio il suo pensiero che portiamo in noi, noi entriamo in comunicazione con Dio.

Qui capiamo perché si formi il distacco, l’incapacità a restare con Dio, in comunione con Dio.

Qui possiamo capire perché il tralcio può essere separato dalla vite.

Magari si resta separati dalla vite facendo tante offerte a Dio.

Manca l’unica cosa necessaria, manca la vita.

La vita sta nel pensiero di Dio.

Se non offriamo il pensiero di Dio a Dio, noi restiamo separati da Dio.

E separati da Dio si è separati dalla vite.

E il tralcio staccato dalla vite secca.

C’è questa realtà nel mondo nostro.

E se c’è dobbiamo chiederci perché c’è.           

Perché Dio ci fa vedere delle piante, in cui quando il ramo si stacca dall’albero, secca.

Tutto è lezione di Dio per noi.

Perché c’è questa realtà?

Che cosa Dio ci vuole comunicare attraverso questo?

Lui lo dice a noi apertamente: “Io sono l’albero, la vite e voi i tralci”.

La lezione è tutta lì.

Ma perché il ramo non resta necessariamente attaccato all’albero?

Perché l’uomo può separarsi da Dio.

L’uomo per restare unito a Dio deve offrire a Dio il pensiero di Dio.

E soltanto da questa comunicazione vicendevole: Dio che dà a noi il suo pensiero, noi che diamo a Lui il suo pensiero, soltanto lì si forma la comunicazione e quindi l’unione.

L’unione con Dio è data da uno scambio reciproco, continuo, eterno di che cosa?

Del pensiero di Dio.

Dio è generatore del suo pensiero, e noi riportiamo a Lui il suo pensiero, per riceverlo nuovo da Lui.

Consapevolmente da Lui.

Perché la consapevolezza non si forma in noi, in quanto Dio dà a noi il suo pensiero.

Tutti gli uomini sono portatori del pensiero di Dio.

E chi mai ci pensa?

E cosa ce ne facciamo?

Quando diamo un orologio a una gallina, la gallina non sa che farsene e Dio ha dato a noi il suo pensiero e noi non sappiamo che farcene.

È la lezione di tutti noi.

Non basta che Dio dia a noi il suo pensiero, perché tutto quello che Lui dà a noi, senza di noi, indipendentemente da noi, non può essere capito, non può essere conosciuto.

Là dove non si capisce, non si conosce il dono che Dio dà a noi, là c’è disunione con Dio.

Noi ci dividiamo da Dio perché non capiamo il dono che Dio ci fa.

E non possiamo nel modo più assoluto capire il dono che Dio ci fa, se non lo guardiamo dal suo punto di vista.

Per cui è necessario offrire il pensiero di Dio che Dio dà a noi, riportarlo a Dio per riceverlo nuovo da Dio.

Perché lì, in questo riceverlo da Dio, c’è la consapevolezza di cosa è questo pensiero di Dio che noi portiamo in noi, senza di noi.

Se noi non capiamo da Dio, cosa è questo pensiero di Dio che portiamo in noi, noi ci separiamo: legno secco.

E il legno secco ha una fine sola dice Gesù: il fuoco.

E il fuoco, se c’è, se esiste, anche il fuoco ha il suo significato.

Il significato del fuoco.         

A un certo momento, tutto l’universo, tutte le creature, tutti gli avvenimenti, tutte le cose, tutti i pensieri che portiamo in noi diventano fuoco.

Fuoco che distrugge il ramo secco.

Che distrugge noi.

Brucia.

La conclusione è questa: o si è vivi o si è secchi e si resta bruciati.

Tutta la creazione di Dio, tutta l’opera di Dio a un certo momento diventa fuoco.

È il fuoco della fine del mondo, della fine dei tempi, della fine della vita di ognuno di noi, man mano che la vita passa.

Tutte le creature diventano fuoco che ci brucia.

Perché se le cose non son capite ci bruciano e noi restiamo bruciati.

E bruciati si diventa cenere.

“Cenere sei e cenere ritorni”.

Ma Dio non ci ha creati per diventare cenere.

Dio ci ha creati per fare una sola cosa con Lui.

Dio ci ha creati per renderci partecipi della vita eterna.

E questo non è cenere.

La cenere è effetto del fuoco.

E si subisce l’effetto del fuoco quando si è separati da Dio, quando si è legno secco.

Si si è legno vivo non si subisce l’effetto del fuoco, anzi si assorbe tutta la creazione.

E tutte le creature ci aiutano a conoscere sempre di più Dio.

Perché tutte le creature sono serve di Dio.

Diventano fuoco per chi ha perso il contatto con Dio.

E bruciano tutto di noi.

Per riciclarlo.

C’è anche un ricliclaggio in questo regno di Dio.

Riclaggio di tutto, eccetto una cosa sola: il pensiero del nostro io.

Soltanto la scemenza non è riciclata nel regno di Dio.

Ma questo diventa già inferno.

C’è l’opera del fuoco e c’è la disintegrazione.

Disintegrare che si forma in noi, quando noi non apriamo a Dio il nostro pensiero.

Quando noi non offriamo a Dio il suo pensiero, in noi si forma un blocco.

Un blocco che ci fa strettamente dipendere dalle creature, dalle cause seconde.

Dal denaro, dalla salute, dalla vita, da quello che dicono gli altri, dall’autorità, dalle istituzioni, ci fa figli di queste cose mentre dovremmo essere figli di Dio.

E il fuoco distrugge questo, perché per noi la creazione diventa ragione di vita.

Abbiamo accennato la volta scorsa che non si può portare via un osso a un cane.

Quello mi sbrana.

E perché non si può portare via l’osso a un cane?

Semplicemente perché l’osso per il cane è una ragione di vita.

E quando Dio non è la nostra ragione di vita, cioè viviamo per altro, ognuno di noi ha il suo osso.

Da cui nel modo più assoluto, né lui può separarsi, né gli altri lo possono separare.

E allora si scatena la guerra perché nessuno di noi vuole mollare il proprio osso.

Ecco la grande assurdità che si forma in noi.

Noi scambiamo per ragione di vita, ciò per cui viviamo.

Io vivo per il denaro e il denaro a un certo punto diventa la mia ragione di vita.

Ecco l’assurdità.

E il fuoco arriva qui, arriva qui per rompere ciò che noi non vogliamo mollare.

E mollare l’osso è la condizione essenziale per riportarci nudi alla meta.

Nudi, senza più niente, senza più ossi.

Soli con Dio.

Forse, non è detto...

Due sono le grandi soluzioni: o noi portiamo a Dio il pensiero di Dio e nel pensiero di Dio c’è la comunicazione, perché soltanto nell’infinito c’è la comunicazione dell’infinito e allora noi siamo fatti partecipi di questa Vita senza fine, anzi è un crescendo all’infinito.

Oppure noi offriamo soltanto a Dio il superfluo, perché forse è meglio tenerselo amico e allora qualcosa gli offro del superfluo.

Noi diamo via quello che ci avanza nel piatto e per noi la giustizia è fatta.

Noi diamo a Dio quello che ci avanza nel piatto e allora in noi resta questo tormento e questa nostalgia di un dono non fatto.

Questa è la pena: un dono non fatto.

Di un offerta non compiuta.

Quindi abbiamo due grandi soluzioni, la prima che ci porta alla conoscenza di Dio, alla vita eterna e l’altra che ci porta ad un tormento, ad una pena eterna.


GV 10 VS 29 - Ciò che il Padre mio mi ha dato, è più grande di tutto e nessuno può strapparlo dalla mano del Padre.


RIASSUNTI Domenica – Lunedì.


Argomenti: La realtà illumina la parola. Il non capito brucia. I dogmi. Cristo: salvezza o rovina. Il Figlio è la conoscenza del Padre. Il pensiero (Figlio) è la predicazione dell’essere. Il compimento del Figlio. La comunicazione di Dio. Il tempo è una parola di Dio non capita.


 

8-9/ Dicembre /1991



GV 10 VS 29 - Ciò che il Padre mio mi ha dato, è più grande di tutto e nessuno può strapparlo dalla mano del Padre.


Quarto tema - Natale in Cielo.


Argomenti: Le condizioni per la comunicazione: vita – sintonia – offerta. Da servi a figli. Il pranzo di nozze. La Verità opera convincendo. La conoscenza di Dio. L’assoluto. Il pensiero dell’assoluto. Le due comunicazioni di Dio: Generazione-Creazione. Dio parla per comunicare Se Stesso. Potenza e atto. Il Natale eterno. La possibilità di diventare figli di Dio. L’intelligenza del segno. Le contraddizioni del Natale.


 

15-16/ Dicembre /1991


 Stasera dobbiamo fermarci su questa dichiarazione di Gesù: “Ciò che il Padre mio mi ha dato”.

Come ogni parola di Gesù è una proposta.

Dobbiamo quindi chiederci cosa Dio vuole comunicarci di Sé.

Quale lezione Dio vuole darci?

Dio parla in tutto.

Lui solo è il Creatore.

Tutto è parola sua.

Dio regna in tutto.

In tutto.

E poiché Lui solo è il Creatore, tutto è parola sua.

E attraverso il suo parlare, Lui vuole comunicare a noi qualche cosa.

Però abbiamo visto le volte precedenti che non basta che ci sia uno che voglia comunicare.

Perché la comunicazione sia possibile è necessario che non ci sia soltanto Colui che parla ma ci sia anche chi ascolta.

E che sia in grado di ascoltare.

Non basta che ci sia uno che doni, bisogna che ci sia uno capace di ricevere i doni.

Non si può dare niente ad una pietra.

La pietra non riceve.

Ad un animale si può dare un libro ma l’animale non riceve il libro.

E anche tra uomo e uomo ci sono differenze abissali.

Per cui non basta che ci sia uno che doni.

Non basta che ci sia Dio che doni.

È necessario che la creatura sia in grado di ricevere il dono che Dio vuole fare.

E quando abbiamo parlato di questo abbiamo visto che perché la comunicazione passi dal donante al ricevente, è necessario che ci sia una sintonia.

E questa sintonia richiede la stessa lunghezza d’onda.

E la lunghezza d’onda deriva dall’avere lo stesso pensiero di Colui che comunica a noi.

È ciò per cui si vive che determina in noi la lunghezza d’onda per cui si riceve.

E quando si parla di ciò per cui si vive, si richiede sempre da parte della creatura un offerta.

Quando viviamo per-, noi ci offriamo a-.

Ed è proprio in ciò che noi siamo capaci d’offrire a-, che si forma in noi la capacità di ricevere.

La nostra capacità di ricevere è sempre relativa a ciò che noi siamo capaci di offrire.

E se arriva il giorno, in cui noi non siamo più capaci ad offrire niente, lì siamo chiusi, siamo completamente tagliati fuori, non possiamo più ricevere niente.

L’uomo può giungere a questo giorno tremendo in cui viene a bussare inutilmente ad una porta che non si apre.

Tutto è relativo all’offerta.

Abbiamo detto che l’essere capace di offrirsi e di offrire, è solo l’essere che è vivo.

Infatti la pietra non riceve niente perché non offre niente.

Ed ognuno è fatto capace di ricevere nella misura in cui offre.

Tutto dipende dal fine, il vivere per-, è lì che si crea la sintonia.

Soltanto vivendo per conoscere Dio, si crea la sintonia con ciò che Dio vuole comunicare a noi.

E allora la sintonia la comunicazione passa.

“Ciò che il Padre mio”, è un’affermazione.

Un affermazione che è una proposta.

Quando dice “Ciò” noi non capiamo più niente.

Cos’è che il Padre dà al Figlio?

Se Gesù lo dice, non lo dice mica per Sé.

Lo dice per noi.

Ogni parola di Dio è un occasione, quindi un offerta.

E se lo dice per noi, è per dare a noi la possibilità, l’occasione di capire.

“Ciò che il Padre mio dà a me”, Lui dichiara apertamente di essere Figlio.

E quindi ci propone di capire, perché se parla parla per farci capire.

Non parla per metterci spalle al muro.

Parla per dare a noi la possibilità e la capacità di capire ciò che Egli dice.

La parola di Dio è sempre un ponte.

Se Dio non parla, noi ci spegniamo.

Noi viviamo nella misura in cui Dio parla a noi.

È Lui con le sue parole che ci tiene in vita.

“L’uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.

Non parole che escono dalle bocche degli uomini.

E questa è una parola: “Ciò che il Padre mio mi ha dato”.

Cos’è che il Padre dà al Figlio?

È una proposta.

È una proposta perché è un segno.

Ogni parola è una proposta.

E tra il segno e ciò che è significato nel segno, a volte passa tutta una vita e non è detto che noi giungiamo a capire.

Però da parte di Dio, in quanto parla, Lui vuole comunicare qualche cosa di Sé a noi.

E nella misura in cui noi, per grazia di Dio, giungiamo a conoscere ciò che Dio ci comunica, noi entriamo nella vita eterna.

La Verità è eterna.

Noi possiamo non giungere a conoscere la Verità.

Ma chi conosce la Verità, trova la Verità.

Dio è la Verità.

Chi conosce Dio trova Dio ma Dio si trova solo conoscendolo.

Non si trova in altro modo.

La Verità non puoi trovarla in altro modo.

Ma quando tu la conosci l’hai trovata.

E quando l’hai trovata resta eterna.

La Verità non muta.

Dio non muta.

Dio è l’assoluto.

Il problema è capire, quindi il problema è conoscere.

Quando si è conosciuto quello resta.

Il che vuol dire che il grande salto di qualità che avviene nella nostra vita, sta nel passaggio dal non conoscere al conoscere.

Gesù dice: “Non vi chiamo più servi ma vi chiamo amici, perché vi ho fatto conoscere”.

“Vi ho fatto conoscere tutto quello che ho ricevuto dal Padre mio”.

Qui sta comunicando.

Sta proponendo.

E lo sta proponendo per farci passare dalla situazione di servi, alla situazione di amici e quindi alla situazione di figli, familiari suoi.

Questa è l’opera del Figlio.

Lui dice: “Ciò che il Padre”.

Questo è un segno.

È una proposta.

Quando uno riceve una proposta, non è detto che s’impegni a capirla.

La proposta è  un pranzo a nozze.

E noi abbiamo la parabola del Signore che di fronte all’invito al pranzo di nozze trova gli invitati che dicono: “Io ho i buoi, io ho i campi, io ho la moglie, abbimi per giustificato, io non posso venire”.

E al giorno d’oggi quanti dicono: “Io ho le mie regole, io ho il mio istituto, io ho i miei doveri, io ho i miei impegni, non posso venire”.

E Gesù qui è netto, deciso: “Tutti coloro che si giustificano dicendo: io ho le mie regole, io ho i miei impegni, io ho i miei doveri...tutti costoro non assaggeranno la mia cena”.

Dio non fa dei complimenti, Gesù è netto.

E lo ringrazieremo infinitamente di questa nettezza, perché ci fa vedere la via proprio con la nettezza.

Quindi di fronte alla proposta, non è detto che l’uomo aderisca.

Se aderisce e quindi s’impegna in ciò che gli viene proposto, allora quando giunge, ringrazierà infinitamente il Signore.

Se invece non s’impegna non giungerà mai a gustare il pranzo di nozze.

Non arriverà mai, eternamente.

Entreranno tutti: zoppi, ciechi, malati, morti, perché Dio è anche capace di resuscitare i morti,

Ma tutti coloro che hanno trovato una scusa, che si sono giustificati, in nome magari di cose sacre e non si sono impegnati a cercare di capire quello che il Figlio di Dio proponeva, questi nel modo più assoluto non possono entrare, perché si entra per grazia di Dio.

Come si giunge a un pranzo di nozze su invito: è per grazia di colui che invita.

Quindi in questo: “Ciò che il Padre mio mi ha dato”, c’è questa proposta che è un invito.

Un invito a capire che cosa?

Un invito a capire che cosa il Padre dà al Figlio.

Intanto ci presenta che c’è un Padre e c’è un Figlio.

È parola di Dio anche questa.

Il che vuol dire che Dio è Padre e genera un Figlio.

E poi dà qualche cosa a questo Figlio.

E noi siamo invitati a capire questo qualche cosa che il Padre dà al Figlio.

È deve essere importante per la nostra vita.

Perché Dio parla per condurre noi alla nostra vita.

E Lui dice che la vita sta nel conoscere Dio come vero Dio.

Quindi soltanto nella misura in cui uno s’impegna, si dedica a capire ciò che la parola di Dio gli annuncia e gli propone, forse (non è detto) ha la possibilità di arrivare a capire.

Intanto vediamo che Dio opera ogni cosa per farsi capire.

Quindi per farci entrare.

Tutto Dio opera per farsi conoscere, per dare la vita.

La vita è conoscenza.                                                           

Quindi la conoscenza viene da Dio.

Viene da Dio!

Ed è nella conoscenza che c’è un salto di qualità.

Tutti sono servi di Dio, perché tutti ubbidiscono a Dio e Dio regna in tutto.

Anche il demonio ubbidisce a Dio.

Anche l’inferno ubbidisce a Dio...e come fila!

Perché Dio è Colui che regna in tutto.

Però una cosa è essere servi e una cosa è essere amici.

Una cosa è non potere sempre restare in casa, altra cosa è potere restare sempre nella casa.

Una cosa è essere consapevoli della Verità di Dio, della presenza di Dio, del parlare di Dio in tutto, altra cosa è subire i fatti e gli avvenimenti e non potere capire niente.

E l’uomo può venirsi a trovare in questa situazione di restare sempre fuori.

Chi è fuori è nella notte.

“Dov’è pianto e stridore di denti” dice Gesù.

Quando non si capisce c’è questo pianto e stridore della nostra anima.

E quando una luce giunge, c’è questa gioia che comincia dal di dentro.

Perché Dio opera dal di dentro, Dio opera convincendo.

Dio non opera imponendo.

Le autorità del mondo operano imponendo, comandano, minacciano.

Dio in tutte le cose, opera convincendo.

Dio non ha bisogno di servi, se li crea, non ha nessuna difficoltà a crearli.

Dio chiede degli amici, dei famigliari, delle anime che lo conoscano, che partecipino di quello che Lui è.

Vuole renderci consapevoli.

La Verità opera convincendo.

E se anche qualche volta Dio comanda e ordina, comanda e ordina solamente per impedire a noi di morire.

Perché l’uomo sta correndo verso la sua morte, è l’uomo stesso che si scava la propria tomba.

È una cosa meravigliosa l’uomo che può ricevere la comunicazione di Dio che è Luce, la luce era la vita degli uomini, poi gli uomini hanno perso quello che era in principio.

Dio tutte le opere che fa, le fa per farci fare questo passaggio da servi ad amici.

Fino a farci fare una sola cosa con Lui.

Ma tutto questo avviene attraverso la conoscenza.

Attraverso la comunicazione.

Ma Dio comunica?

Comunica veramente?

E perché comunica?

E perché Dio vuole farsi conoscere?

Dio, essendo l’essere assoluto, non è condizionato da niente.

È eterno, perché non è condizionato.

Non subisce mutamenti.

Se non subisce mutamenti non è soggetto al tempo.

Dio non è soggetto al tempo, quindi è eterno.

L’assoluto è eterno.

L’assoluto è infinito, appunto perché non è condizionato da niente.

Ma di più ancora, l’assoluto, proprio perché non è condizionato conosce perfettamente Se Stesso: è trasparente.

La Verità è trasparente in Sè.

Dio è trasparente in Sé.

Non solo la l’assoluto è uno.

L’uno è infinito.

L’infinito non è una somma di cose finite.

L’infinito non si raggiunge attraverso tanti numeri finiti.

C’è un salto di qualità tra il finito e l’infinito.

L’uno è infinito.

Dio è uno.

Un essere solo, assoluto, eterno e infinito.

L’assoluto è consapevole di Sé, è Se Stesso.

Noi non siamo consapevoli di noi.

Noi non siamo mai noi stessi.

Noi non possiamo essere noi stessi.

Noi siamo sempre fatti da qualcos’altro da noi.

Ed è per questo che non ci conosciamo.

In quanto siamo composti di altro da noi.

L’assoluto non è composto di altro da Sé.

Fuori dell’essere assoluto non c’è niente.

Lui solo è.

Dio si definisce come Colui che è.

E quindi proprio perché è assoluto e quindi è perfettamente consapevole di Sé, genera il pensiero di Sé.

Genera il pensiero di Sé!

E questo è il Figlio.

Ma nella generazione del pensiero di Sé, l’assoluto non fa altro che comunicare Se Stesso, non può comunicare altro.

Perché Lui solo è.

Il pensiero di Dio, è Dio stesso.

Essendo pensiero di-, conosce perfettamente l’essere che lo genera.

E conoscendo l’essere che lo genera, conosce Se Stesso come generato da quell’essere lì.

Il Figlio riceve l’essere dal Padre.

Per cui ricevendo l’essere dal Padre, Figlio e Padre sono un essere unico.

L’essere è uno solo, le persone sono due.

Perché l’essere che genera il suo pensiero è generante e il pensiero è generato.

E se uno è generato e l’altro è generante, le persone sono due.

L’essere è uno solo ma le persone sono due.

La prima grande comunicazione che la Verità dà di Sé, la dà attraverso la generazione di Sé, cioè suo Figlio.

Due sono i grandi modi attraverso cui Dio comunica Se Stesso.

Dio comunica Se Stesso attraverso la generazione.

Dio comunica Se Stesso attraverso la creazione.

Le due grandi vie, attraverso cui Dio manifesta, annuncia, comunica Se Stesso.

Dio comunica Se Stesso attraverso la generazione e la comunica soltanto a suo Figlio.

Solo a suo Figlio.

Per cui solo suo Figlio partecipa per generazione quindi consapevolmente.

La generazione avviene unicamente per partecipazione consapevole da Dio.

Quindi la prima grande comunicazione, avviene per generazione.

Poi abbiamo l’altra via: Dio comunica Se Stesso e non può comunicare altro da Sé, poichè Lui solo è, attraverso la creazione.

La creazione è tutta comunicazione di Dio.

Dalle stelle lontanissime, al tempo, allo spazio, alle creature.

Le creature(finite in sé) sono infinite perché Dio è infinito.

Tutto è comunicazione di Dio.

E che differenza c’è tra creazione (comunicazione di Dio) e generazione (comunicazione di Dio)?

Nella generazione Dio comunica Se Stesso rendendo consapevole, per cui chi nasce da Dio per generazione, nasce consapevolmente.

Nella creazione non si nasce invece consapevolmente.

Noi non siamo nati consapevolmente.

Noi tutti i giorni riceviamo comunicazioni di Dio ma a nostra insaputa.

Noi siamo bombardati da parole di Dio tutti i giorni, perché tutto l’universo, tutti i fatti, tutta la storia è Dio che comunica Se Stesso a noi.

E comunicando ci fa essere.

Ci comunica qualcosa di Sé.

Ma non per partecipazione nostra.

Noi subiamo.

Noi la stiamo subendo questa comunicazione, non vi stiamo partecipando.

Eppure attraverso tutta la creazione, Lui non fa altro che predicare Se Stesso.

E se predica, predica per comunicare qualcosa di Sé.

Per cui noi in tutte le cose, dovremmo sempre chiederci che cosa Dio vuole comunicare di Sé a me, attraverso questo avvenimento, attraverso questo fatto.

Attraverso questa parola che cosa Lui mi comunica di Sé?

Perché il problema è quello.

Dio comunica Sé.

Dio non comunica mica altro.

Dio non è un moralista e Cristo non è un moralista.

Cristo non è il maestro di morale.

Cristo è rivelatore.

Dio non è un principio di morale.

Lui parla per comunicare Se Stesso.

Per farsi conoscere.

Ma abbiamo detto fin dall’inizio che Dio per comunicare Se Stesso alla creatura che non nasce per generazione ma dal niente deve formare una creatura capace di ricevere.

Dio è tanto potente che comunica Se Stesso al niente.

Noi siamo niente.

È a questo niente che Dio comunica Se Stesso.

Per renderci partecipi.

Noi che un giorno no eravamo.

Dio per grazia sua, ci sta facendo coscienti al punto di renderci coscienti di chi Lui è.

Noi che eravamo niente.

Che forse ancora adesso siamo niente.

Cosa succede affinché questo niente possa ricevere la comunicazione di Dio?

Teniamo presente che affinché ci sia una comunicazione, non basta che Dio crei le cose.

Bisogna che Dio formi una creatura capace di ricevere la sua comunicazione.

Se Dio parla e opera in tutte le cose per comunicare Se Stesso, lo comunica a qualcuno che sia in grado di ricevere.

Ma questo qualcuno è Lui che lo fa.

Quindi Dio creando forma una sua creatura, capace di ricevere la sua comunicazione.

E dire “creatura capace di ricevere la sua comunicazione”, cosa vuol dire?

Quando una creatura è capace di ricevere la comunicazione di Dio?

Le comunicazioni di Dio avvengono in quanto c’è sintonia.

Sintonia in quanto uno ha la possibilità di guardare colui dal quale gli viene la comunicazione.

È la presenza dell’altro che mi rende capace.

Devo essere in sintonia con la presenza dell’altro.

Se la condizione perché la comunicazione passi è che nella creatura ci sia il pensiero di Dio, Dio dà all’uomo il suo pensiero.

Altrimenti siamo nel campo del finito.

E fintanto che la creatura è finita e non ha la possibilità di avere in sé qualcosa d’infinito, non può certamente passare dal finito all’infinito.

Soltanto se nella creatura c’è la possibilità dell’infinito, qui c’è la possibilità della comunicazione di Dio.

E qui un termine nuovo è venuto fuori.

Il termine “possibilità”.

Nel Figlio di Dio non c’è la possibilità.

Nell’uomo c’è la possibilità.

Il Figlio di Dio è tutto pensiero di Dio.

Appunto perché è pensiero di Dio, conosce perfettamente il suo generante.

La creatura umana invece è un niente che Dio a poco per volta forma e poi in questo niente mette la possibilità di avere il pensiero di Dio.

In questa creatura Dio pone il suo spirito, pone il suo pensiero.

Notate bene che il Figlio di Dio è pensiero di Dio, la creatura non è pensiero di Dio.

Però porta in sé il pensiero di Dio.

E in quanto porta il pensiero di Dio ha la possibilità di pensare Dio, è potenza, non è atto puro.

Il Figlio di Dio è atto puro.

La creatura non è atto puro, è potenzialità.

Il che vuol dire che ha la possibilità.

Il che vuol dire che la creatura può pensare Dio.

Non è detto che lo pensi.

La creatura può pensare Dio.

L’uomo può fermare la sua macchina, scendere sul bordo della strada, fermarsi un momento e stare lì a pensare Dio.

È un miracolo, una cosa straordinaria, immensa questa.

Tutto l’universo è in attesa che l’uomo si fermi e si metta a pensare Dio.

Che in noi ci sia la presenza di Dio, tutti quanti noi ne siamo testimoni.

Perché è la presenza di Dio che fa noi persone.

Altrimenti saremmo animali.

Noi avendo la possibilità di pensare Dio, siamo questa potenza che può diventare atto.

Che può diventare quindi pensiero di Dio.

Che può pensare Dio.

E se si ferma a pensare Dio, lì abbiamo l’accesso, il passaggio obbligato, abbiamo il pensiero di Dio.

Il pensiero di Dio è Dio stesso.

Il pensiero di Dio è un infinito.

L’infinito è uno.

Il che vuol dire che nell’uomo c’è un punto solo in cui l’uomo può accedere alla conoscenza di Dio: il pensiero di Dio.

Fuori di questo punto, tutto è finito nell’uomo.

E l’uomo potrebbe offrire tutte le sue ricchezze, tutto il suo tempo ma l’uomo offrirebbe a Dio soltanto del superfluo.

Perché offrirebbe del finito all’infinito.

E il finito offerto all’infinito è tutto superfluo.

Perché non modifica assolutamente l’infinito.

Tutti i numeri aggiunti all’infinito, non modificano assolutamente l’infinito.

L’uomo ha soltanto un punto solo in cui può accedere a Dio ed è il pensiero di Dio che porta in sé.

Allora abbiamo questa meraviglia: l’uomo porta in sé il pensiero di Dio e può pensare Dio.

Non è detto che lo pensi.

Per cui il pensiero di Dio nell’uomo è una proposta, è un offerta, un offerta che l’uomo può perdere perché le offerte passano.

“Non sempre avrete Me” dice il Signore.

E poi abbiamo la altra grande comunicazione del Figlio di Dio.

Del Figlio di Dio che nasce da Dio per generazione, quindi consapevolmente.

Consapevolmente perché è pensiero di Dio.

Ed essendo pensiero di Dio, non fa altro che conoscere il suo generante.

Siamo partiti dicendo: “Ciò che il Padre mi dà”, questo è ciò che il Padre gli dà.

Il Padre dà al Figlio questo: la possibilità di guardarlo, di contemplarlo, di vederlo, di conoscerlo.

Di conoscere che cosa?

Il suo principio.

Colui che lo genera.

Ed è contemplando, guardando, conoscendo il suo principio che il Figlio conosce Se Stesso.

Il Figlio anche come conoscenza, riceve la conoscenza dal Padre.

È attraverso la conoscenza che Lui riceve l’essere del Padre.

Perché l’essere è uno solo.

Perché il Figlio dice a noi: “Ciò che il Padre mi dà”.

Per farci capire qual’è la via attraverso la quale, noi possiamo giungere a ricevere la stessa cosa che riceve il Figlio dal Padre suo.

Lo dice per noi quindi.

Dio ci rivela i suoi segreti per insegnarci la via attraverso la quale noi possiamo arrivare.

Noi siamo chiamati a fare una cosa sola con il Figlio.

Ma il Figlio nasce per generazione mentre noi nasciamo per creazione.

Noi nasciamo dal nulla.

Lui nasce dal Padre.

Lui è Dio, noi siamo niente.

Eppure a questo niente, viene insegnata la via per diventare una cosa sola con il Figlio.

Il tema di stasera abbiamo detto è il natale in cielo.

Qui abbiamo il Natale del Figlio di Dio ma è un Natale eterno.

Ogni giorno il Padre dice: “Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato”.

Ma internamente lo dice perché è fuori dal tempo.

Quel Natale eterno ha un corrispondente sulla terra.

Però il Natale qui sulla nostra terra è nel tempo, quello che è in cielo è eterno.

Però il fatto che il Figlio c’insegni come riceve la nascita dal Padre (“Ciò che il Padre mi ha dato”) e per farci capire che soltanto attraverso questo, possiamo anche noi giungere a diventare Figli di Dio.

Nel prologo di San Giovanni è detto che Cristo, il Figlio di Dio, il Verbo di Dio, venendo tra noi, ha dato la possibilità (ecco la potenza) a coloro che credono di diventare figli di Dio.

Venendo tra noi è il pensiero di Dio in noi.

E quel Natale che noi celebriamo qui in terra, è segno di quel pensiero di Dio che è in noi.

Quel passaggio obbligato, quel punto unico che è dato ad ogni uomo attraverso il quale se crede (impegnarsi a capire) può giungere a fare una cosa sola con il Figlio.

Il Natale in terra c’è, è una pagina della nostra storia.

Tutta da capire perché è un segno.

L’intelligenza di questo Natale, noi l’abbiamo soltanto se noi giungiamo a capire il Natale in cielo del Figlio di Dio.

Perché quello che è in cielo è la chiave per capire il segno.

Il Natale se fossimo attenti ci metterebbe in una crisi tremenda.

Ci mette in difficoltà.

Prima di tutto perché Gesù nasce da una vergine.

E noi non possiamo smentirlo, si possiamo riderci sopra, fare tutto quello che vogliamo.

Però la parola è quella.

L’annuncio è quello.

Nato da una vergine.

Il che vuol dire senza intervento di uomo.

Dopo 2000 anni non siamo ancora in grado di smentirlo.

È parola di Dio.

Ma ci sono ben altre difficoltà nel Natale.

Sostanzialmente nel Natale sono riassunte tutte le difficoltà verso cui veniamo a trovarci di fronte alla parola di Dio.

Perché la parola di Dio è un segno.

E noi di fronte al segno ci troviamo in enorme difficoltà.

Perché non possiamo passare dal segno al pensiero da soli.

Non possiamo passare dal Natale di Cristo in terra al Natale in cielo.

Eppure soltanto trovando il Natale in cielo, capiamo il Natale in terra.

Il che vuol dire che la luce viene dall’alto.

Non si passa dal basso all’alto.

Si discende dall’alto.

Quindi i segni di Dio arrivano a noi, unicamente per sollecitarci ad alzare gli occhi in alto.

Per potere guardare da Dio, perché soltanto guardando da Dio noi abbiamo l’intelligenza sul segno.

Il segno ci annuncia una cosa che per noi resta misteriosa e ci mette in crisi, quindi a un certo momento diventa insopportabile perché noi non possiamo sopportare ciò che non riusciamo a capire.

Il segno ci sollecita ad alzare gli occhi da tutto quello che noi vediamo, vediamo ed esperimentiamo.

Perché tutto quello che tocchiamo, vediamo ed esperimentiamo è tutto segno, soltanto segno.

Alzare gli occhi a Colui che opera questi segni perché l’intelligenza di questi segni ci viene soltanto da Lui.

Per questo dico che soltanto intendendo il Natale di Dio in cielo, noi abbiamo la possibilità d’intendere il Natale di Dio in terra.

Se non discendiamo dall’alto per assimilare quello che Dio ci ha fatto arrivare in basso non possiamo intendere il Natale in terra.

Noi faremo dei grandi sentimenti a Natale, tanti auguri, tante feste tante liturgie, tutto quello che volete ma noi restiamo sempre tali e quali come prima.

Non si creerà nessuna modificazione nella nostra vita.

Perché quello che muta la nostra vita è la luce, è la conoscenza.

Questo è quello che ci fa fare un salto di qualità.

Senza questo noi restiamo con le contraddizioni del Natale che noi non possiamo sopportare.

Perché Natale è tutta una contraddizione.

Ci contraddice nelle nostre convinzioni, perché per noi le creature nascono dall’incontro uomo-donna, mentre qui abbiamo una creatura che nasce senza intervento di uomo.

E questo ha un significato meraviglioso, è per farci capire che noi nasciamo alla Verità, alla Luce, senza intervento di uomo.

Si nasce soltanto da Dio.

È di un significato enorme questa nascita da una vergine.

È lezione di Dio per ognuno di noi.

È cammino per indicare a noi qual’è la fonte della nostra vera vita.

Qual’è la fonte della nostra vera luce.

È mettersi a contatto diretto con Dio, perché soltanto da Dio e senza alcun intervento di uomo possiamo concepire il pensiero di Dio.

Quindi è inutile correre a destra e a sinistra a sentire tutte le campane, è assolutamente inutile.

E se sentirete qualcuno che v’insegna secondo la luce, vi dirà sempre di non guardare a lui ma di guardare al solo Maestro.

Perché Uno solo è il Maestro.

La Luce ci viene solo da Dio.

Quindi prendi contatto con Dio.

Perché è da Dio che nascono i figli di Dio.


GV 10 VS 29 - Ciò che il Padre mio mi ha dato, è più grande di tutto e nessuno può strapparlo dalla mano del Padre.


Quinto tema - Difficoltà a restare originali.


Argomenti: La volontà di Dio. La proposta del Natale. Il Natale e la croce. Il Natale in cielo. Il regno di Dio. Consacrazione & comunione. La venuta dello Spirito Santo. Il mistero di Dio. Il rischio della porta chiusa. La valutazione della proposta. Possesso e conoscenza. L’esigenza del Natale: il pensiero. Il bene più prezioso: la conoscenza. L’annullamento dei valori: giudizio di Dio. Da originale a copia.


 

22-23/ Dicembre /1991


 Oggi dobbiamo approfondire questa parola di Gesù (Dio tra noi) che afferma: “Ciò che il Padre mi ha dato è il più prezioso di tutto”.

In quanto lo annuncia c’è un significato per la nostra vita personale, poiché Dio opera ogni cosa per tutti e per ognuno personalmente.

“Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità”.

Non so perché tanti lo mettono in dubbio ma con ciò ci dichiara apertamente che la volontà di Dio è che tutti si salvino e che la salvezza, sta nel giungere a conoscere la Verità.

Nella conoscenza quindi della Verità, sta la salvezza di ogni uomo.

Se l’uomo non giunge a conoscere la Verità di Dio, se l’uomo non giunge a conoscere Dio, l’uomo non giunge alla sua salvezza.

“La vita eterna sta nel conoscere Dio”.

Sta nella conoscenza di Dio.

Questa è la vita eterna.

Eterno è ciò che è vero.

Solo ciò che è vero è eterno.

E questo è per insegnare a noi che la vita vera di ogni uomo, sta nella conoscenza di Dio.

La vita vera contrapposta alla vita fasulla che facciamo noi.

Perché la vita che facciamo noi non è vita, non è vivere.

Tutti i nostri sentimenti verso Dio non servono a un cavolo di niente.

Il vero amore è conoscenza di Dio.

Chi veramente ama, tende a conoscere l’essere amato.

E l’essere amato non si vuol nascondere in nulla, perché Dio in ogni cosa, opera per comunicare Se Stesso, l’abbiamo visto domenica scorsa.

Dio solo è e se Lui solo è, in tutto ciò che opera, in tutto ciò che fa, in tutto ciò che dice non fa altro che comunicare Se Stesso, non può comunicare altro.

Perché Lui solo è.

Quindi Dio non fa altro che comunicare Se Stesso.

E se vuole comunicare Se Stesso, non diciamo che presso Dio c’è tenebra, c’è notte.

Chi dice che presso Dio c’è tenebra è perché vuole confondere gli animi.

Presso Dio c’è Luce.

La Verità è trasparente.

L’assoluto, Dio è perfetta trasparenza.

E tutto quello che opera, tutto quello che crea, Dio lo opera e lo crea unicamente per comunicare Se Stesso e quindi per rendere partecipe la creatura di Sé.

La nostra vita sta nella possibilità di partecipare a ciò che Dio è.

E la partecipazione avviene soltanto attraverso la conoscenza.

Abbiamo visto quello che Gesù dichiara: “Quello che il Padre mio mi dà” ed abbiamo visto come in questa dichiarazione ci sia la significazione del Natale tra noi

E il Natale è presentazione della Verità di Dio in mezzo a noi, in noi.

E come Dio è in noi.

Come Dio è presente in noi.

A Natale, senza intervento di uomo, Dio si presenta come un bambino appena nato.

E un bambino appena nato è una proposta.

Chiede a noi la dedizione.

Chiede a noi il pensiero.

Il che vuol dire che Dio a Natale, annuncia e rivela a noi, “come” Lui è presente in noi, nel nostro pensiero, dentro di noi.

Dio abita dentro di noi.

A Natale Dio ci dice come abita dentro di noi.

Il che vuol dire che Dio a Natale dichiara a noi, di essere affidato al nostro pensiero.

Richiede la dedizione del nostro pensiero.

Come un bambino appena nato.

Non si fanno dei sentimenti attorno a un bambino.

Ecco per cui Natale è essenzialmente una proposta.

E bisogna capire il significato di questa proposta.

Una presenza è sempre una proposta.

Richiede dedizione.

Ecco, Dio presente in noi, si presenta come uno che chiede a noi la dedizione del pensiero.

Abbiamo anche visto che due sono le grandi vie attraverso cui Dio si comunica.

-         Generazione di suo Figlio, generazione di Sé.

-         Creazione sulla nostra terra.

Nella creazione tutto avviene indipendentemente da noi.

La generazione avviene attraverso la consapevolezza di colui che riceve.

Sulla nostra terra tutto è annuncio di Dio che arriva a noi indipendentemente da noi.

Ed a Natale si presenta proprio questo: Dio che si presenta a noi indipendentemente da noi.

Attraverso una vergine.

Senza intervento di uomo.

Quando interverrà l’uomo, Dio si presenterà ancora a noi ma avremo il polo opposto: Cristo che muore in croce.

Sono i due grandi termini della presentazione del mistero di Dio tra noi.

Mistero di Dio non perché noi abbiamo a trovarci di fronte a questo come di fronte ad un muro invalicabile.

Si presenta come mistero affinché noi ci sprofondiamo in esso per capirlo.

Quello che è annunciato come mistero è perché richiede da parte di ognuno di noi la dedizione personale.

Questo non perché Dio voglia nascondersi, ma perché Dio vuole comunicarsi.

Comunicarsi personalmente.

Alla Verità si accede soltanto personalmente.

Alla conoscenza si accede soltanto personalmente.

Con la mente.

Con l’intelligenza.

Dio vuole essere conosciuto.

Dio vuole essere capito.

Abbiamo detto che i due grandi poli degli annunci di Dio sono questi.

Quindi tutto il mistero della creazione, dell’universo, della vita di ogni uomo, tutto è incluso tra questi due grandi termini.

Come Dio è presente in noi senza di noi: Natale.

Come Dio è presente in noi attraverso noi: Croce.

Abbiamo Natale e abbiamo Pasqua.

Mistero del Dio presente in noi indipendentemente da noi.

Mistero del Dio dopo che l’uomo è passato.

Dopo che l’uomo ha manifestato la sua intenzione verso di Lui.

Prima di questa croce abbiamo la grande presentazione di Pilato che presenta Cristo al mondo.

E lo presenta dicendo: “Ecco l’uomo”.

“È passato l’uomo”.

Prima che passi l’uomo, noi abbiamo Dio affidato a noi, come un bimbo affidato tutto alle nostre cure.

Alla nostra dedizione.

Ed abbiamo detto che un bimbo affidato alle nostre cure, se noi gli dedichiamo tutta la nostra attenzione, tutto il nostro pensiero, cresce e crescendo diventa nostra vita.

Ma se noi non gli dedichiamo il pensiero, quel bimbo muore.

Ecco per cui dico che il Natale è essenzialmente una proposta.

E bisogna capirla questa proposta.

Il significato, il capire le proposte è nel cielo.

Per questo abbiamo detto che soltanto conoscendo il Natale di Dio in cielo, noi capiamo il significato del Natale di Dio in terra.

Abbiamo detto che il Natale in Cielo, nascita di Dio da Dio,  generazione del pensiero di Dio da Dio, ci fa una grande rivelazione.

Dio ci annuncia i suoi misteri, per rendere noi capaci di capire quello che Lui ci significa sulla nostra terra.

Solo conoscendo l’intenzione di uno, noi abbiamo la chiave per capire tutte le sue opere e tutto quello che avviene sulla nostra terra, beni e mali, gioie e dolori, tutto è voluto da Dio.

Perché uno solo è Dio Creatore.

Non ci sono due creatori.

Non c’è Dio e Satana.

C’è un solo Dio.

Uno solo è il Creatore.

E Dio non subisce conflittualità.

Perché Dio regna in tutto, sulla terra, in cielo e nell’inferno.

“Cercate prima di tutto il regno di Dio” dice Gesù e questo vuol dire cercare il luogo in cui Dio regna in tutto.

Se ci fosse un solo pensiero, un solo avvenimento, un solo granello di sabbia non voluto da Dio, Dio non esisterebbe.

Quindi Dio è Colui che governa e che regna in tutte le cose.

Dio fa tutte le cose, indipendentemente da noi.

Però la chiave di lettura di tutte le cose che Egli fa è nel suo pensiero.

Ecco per cui Lui ci annuncia: “Ciò che il Padre mi dà”.

Quando Dio ci annuncia una cosa, ce la annuncia perché ci vuole rendere partecipi di essa.

Non ce la annuncia per nascondercela.

Ce la annuncia per farcela conoscere.

È vero che richiede la nostra dedizione ma Lui vuole farsi conoscere.

“Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto, domandate e vi sarà dato”.

Ma cosa dobbiamo cercare e domandare?

Per che cosa dobbiamo bussare?

Lui ce lo assicura è parola di Dio: “Viene dato a colui che chiede, domanda, bussa”.

È assicurazione di Dio e Dio non si smentisce né ci prende in giro.

Dio essendo la Verità è fedeltà assoluta.

Quindi tutto quello che Lui opera, tutto quello che Lui dice, richiede da noi una chiave di lettura.

E questa chiave di lettura l’abbiamo nel cielo.

Tutte le opere di Dio si sintetizzano nel Natale che annuncia a noi come Dio è presente in noi.

Tutto quello che Dio opera, lo fa affinché noi abbiamo ad alzare gli occhi al cielo (e il cielo è Lui)  per capire da Lui il significato di quello che Lui opera.

Per cui Lui ci fa arrivare una sua parola, un suo segno, una sua opera e attraverso quella (proposta) ci dice di alzare gli occhi a Lui: “Perché Io ti abbia a far capire il suo significato, il mio verbo do quello che ti presento”.

È la grande sintesi della Messa.

Dio attraverso la Messa e ogni giorno ci presenta sempre queste lezioni.

Prima ci mette qualcosa fra le mani e poi ci dice di offrirlo a Lui.

“Affinché attraraverso questo tuo offrirlo a Me. Io ti abbia a rivelare il mio pensiero”.

Ed è la consacrazione.

Su quello che noi gli offriamo.

E soltanto su quello che noi gli offriamo, Dio rivela il suo pensiero.

Ed è la rivelazione del suo pensiero che forma la comunione.

Tutto è lezione di Dio.

La Messa è celebrata affinché noi abbiamo a capire la Messa che dobbiamo celebrare dentro di noi.

E questa Messa che deve essere celebrata in noi, non può essere celebrata senza di noi.

Allora tutto quello che avviene fuori (sopratutto la Messa, questa sintesi dell’opera del Cristo) è per insegnare a noi a celebrare questa Messa interiore.

Tutto quello che arriva a noi senza di noi, noi lo dobbiamo offrire a Dio (offertorio), affinchè Lui abbia a dirci: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”.

Abbia a rivelarci che cosa è, che cosa significa di Sé in questo.

E quando ce lo ha significato, lì si forma la comunione.

Quindi la comunione è una conseguenza della conoscenza.

La comunione non è effetto di volontà.

Noi facciamo sempre leva sulla volontà ed è un grave errore.

È inutile fare leva sulla volontà degli uomini.

Gli uomini non possono volere.

Gli uomini non sono liberi di volere.

Se fossero liberi di volere, Gesù non avrebbe detto: “Se resterete nelle mie parole, sarete veri miei discepoli e conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi”.

Non si dice “vi farà liberi” a chi è libero.

Vuol dire che l’uomo prima di conoscere la Verità non è libero.

E se l’uomo non è libero, è perfettamente inutile predicare all’uomo che debba volere certe cose.

Non può volerle.

È inutile esortare un uomo che sta in prigione, a uscire dalla prigione, non può!

Aprigli la porta e lui uscirà.

Ma lui da solo non può nel modo più assoluto uscire.

La sua volontà è condizionata.

L’uomo non è libero di volere.

Lo vedremo questa sera, perché il problema è proprio questo: ciò che è più prezioso.

La nostra volontà è un effetto dei valori.

Soltanto in quanto viene data all’uomo la conoscenza di ciò che vale più di tutto, qui l’uomo inizia ad avera la capacità di volere.

La capacità di volere dipende dalla conoscenza di quello che vale più di tutto.

Quando un valore scade, l’uomo diventa incapace, impotente a volerlo.

Quindi non diciamo che l’uomo è libero di volere.

L’uomo non è libero di volere.

Il Natale ci fa capire il primo confine di tutta questa grande opera dell’universo.

L’opera di Dio è delimitata da questi due grandi pilastri: Natale e Pasqua.

E Pasqua non è la conclusione del cammino, sia chiaro.

Il mistero di Cristo non si conclude con Pasqua.

Abbiamo i due pilastri che delimitano e poi il cammino continua dopo Pasqua.

Cristo non è venuto per morire e non è venuto neppure per risorgere.

La morte di Cristo e la sua resurrezione sono delle tappe di questo grande cammino che a un certo momento si lancia verso l’invisibile.

Con la morte il cammino del visibile è finito e il cammino prosegue al di là del limite di tutto ciò che si vede e si tocca.

E bisogna proseguirlo questo cammino.

E bisogna andare oltre la resurrezione di Cristo.

Fino all’Ascensione e ancora oltre.

Fino a dove?

“Verrà lo Spirito”, ecco la grande meta.

Noi non capiamo niente del Vangelo se non capiamo che tutto il Vangelo è orientato a questa grande finalità: “Verrà lo Spirito che Io vi manderò dal Padre”.

Ecco la conclusione di tutto, questo comunicare da parte di Dio alla creatura il suo Spirito.

E cosa è questo Spirito di Dio?

Quando Gesù parla della venuta dello Spirito Santo che Lui manda dal Padre, lo dichiara come la venuta della presenza del Padre e del Figlio in noi.

È questa grande scoperta.

Tutto è già dentro di noi.

La realtà è già in tutto; tutto è regno di Dio, Dio è già presente in noi, nella sua unità e nella sua Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Tutto è presente in noi.

Manchiamo solo noi e tutta l’opera del Cristo è per condurre noi a prendere consapevolezza di questa grande realtà.

In cui noi siamo immersi, in cui tutto l’universo è immerso.

Noi nasciamo, viviamo, ci muoviamo nel regno di Dio come pesci nel mare.

Tutti immersi in questo mistero.

Tutto è opera di Dio.

Tutto è presenza di Dio che parla personalmente con noi.

Manchiamo solo noi.

E in che cosa manchiamo?

Non siamo noi che facciamo la realtà.

La realtà è già tutta fatta.

Manchiamo noi come intelligenza.

Manchiamo noi come difetto di capire la realtà in cui ci troviamo.

Ecco che i due grandi poli divengono per noi tenebre e luce.

Noi dobbiamo passare dalle tenebre alla Luce.

La realtà è quella che è, indiscutibile, è Dio che la fa.

Dio regna in tutto.

Siamo noi che dobbiamo passare dalla notte al giorno.

Dalle tenebre alla luce.

E Dio opera ogni cosa per farci passare, per farci matutare.

E la meta è questa comunicazione dello Spirito di Dio che è Spirito di Verità.

Spirito di Verità che è Spirito di conoscenza.

“In quel giorno conoscerete, in quel giorno capirete”.

Ecco la grande meta a cui bisogna tendere.

L’argomento di oggi è” la cosa più preziosa”.

La cosa più preziosa è determinata dal fine.

Dal fine per cui Dio opera e per cui tutte le cose sono fatte.

Dal fine per cui tutti gli uomini si chiedono che senso ha il vivere.

Che senso ha il tempo che passa e che senso hanno tutte le cose.

Lì è il fine di tutte le cose, è dichiarato in modo aperto.

Leggendo il Vangelo vediamo che tutto è proiettato verso questa grande finalità: la venuta dello Spirito di Verità, lo Spirito Santo.

Che è lo spirito della presenza del Padre e del Figlio.

Gesù dice: “Ve lo manderò dal Padre”.

Soltanto passando attraverso la conoscenza del Padre e la partecipazione alla generazione del Figlio dal Padre (“Ciò che viene dal Padre”), attraverso quello si giunge allo Spirito di Verità che ha lo Spirito di questa presenza.

Altrimenti noi ci troveremo sempre assenti a questa realtà che ci viene annunciata, che non possiamo ignorare.

Saremo tutto a bussare davanti a questa porta.

Tutti quanti.

Perché man mano che tutti i valori scadono nella nostra vita, noi ci troveremo tutti a bussare ad una porta.

Ad una unica porta: il mistero di Dio.

Però noi corriamo il rischio di bussare ad una porta che non si apre.

Che rimane chiusa.

Che non ci conosce.

“Non vi conosco”.

Una porta che non ci conosce?

Quando Dio ha fatto tutte le cose per farsi conoscere.

E com’è possibile che succeda questo?

Eppure è parola di Dio e noi dobbiamo tenerla presente.

Ogni uomo corre il rischio di venirsi a trovare di fronte ad una porta che non si apre.

A bussare inutilmente a quella porta per la quale Gesù aveva promesso: “Bussate e vi sarà aperto”.

Sembra una contraddizione.

Ed è parola di Dio.

E quindi va contemplato tutto e va raccolto tutto.

C’è questo rischio.

Perché l’uomo non può giungere alla conoscenza se non per mezzo di Dio e da Dio.

Solo da Dio.

Ed è lì il grande problema e la grande difficoltà dell’uomo.

Perché se la conoscenza si ha soltanto da Dio, allora all’uomo si richiede il superamento di tutto.

Soprattutto del pensiero di se stesso.

E allora ecco che si rivela quello che più vale.

Perché di fronte all’opera che Dio fa, l’uomo può dare due risposte.

Ecco per cui al polo opposto abbiamo il Cristo che muore in croce.

L’uomo può dare due risposte: l’uomo può tenere conto di Dio, tenere presente Dio oppure può trascurare Dio.

L’uomo può pensare Dio o può pensare a Se Stesso.

Di fronte a ogni proposta.

Tutto è proposta di Dio abbiamo detto.

Tutto è proposta di Dio e Dio propone Se Stesso.

Di fronte a ogni proposta, noi diamo una valutazione.

E la valutazione la diamo nella mente.

E nella mente, noi confrontiamo quello che ci viene proposto con Dio o col pensiero del nostro io.

E qui, tutto il mondo assume un aspetto particolare.

Perché tutto si decide lì: “Proprio davanti a te ho peccato”.

Tutte le nostre scelte in noi, senza saperlo, le facciamo proprio davanti a Dio.

Davanti a Dio, perché è Dio che parla con noi.

Ed è davanti a Dio che noi facciamo la nostra scelta e diciamo quello che vale più di tutto.

E questo lo facciamo con la mente.

Dio è Colui che nessuno può ignorare.

Però lo possiamo trascurare, perché non lo conosciamo.

Di fronte alla proposta di Dio, noi possiamo tenere presente Dio e allora se teniamo presente Dio, cerchiamo di capire, di conoscere ciò di cui Lui ci parla, quello che Lui ci propone.

È molto importante questo.

Se non teniamo presente Dio, se trascuriamo Dio, noi necessariamente cerchiamo di possedere quello che Dio ci propone.

Ora, tutta l’opera di Dio sulla nostra terra è creazione, quindi sono creature.

Se noi teniamo presente Dio, a noi non interessa affatto possedere le creature.

Non c’interessa possedere, a noi interessa capire, conoscere.

Se non teniamo presente Dio, noi necessariamente, siamo obbligati a tendere a possedere le creature.

A possedere più mondo che sia possibile.

Questo è il punto in cui si decide tutto nella nostra vita.

Perché tutto quello che verrà dopo sarà una conseguenza fatale.

Come noi abbiamo messo nella nostra vita come cosa più preziosa il possesso, questo comincerà a determinare tutte le nostre scelte, perché questo diventa il nostro fine, questo comincerà a determinare la nostra volontà, perché la nostra volontà diventa succube di quello che noi abbiamo stimato nella mente come cosa più preziosa, più importante per noi, con tutte le conseguenze.

O teniamo presente Dio o non lo teniamo presente.

Gesù in questo versetto dice che ciò che il Padre dà, è più prezioso di tutto.

Prezioso significa valore.

Valore vuol dire che è più importante.

Gesù dice che la cosa più importante per noi, è quello che viene dal Padre.

Soltanto guardando il cielo capiamo la vera realtà in cui noi ci troviamo.

La cosa più importante è quella che viene dal Padre.

Il che vuol dire che soltanto contemplando il Padre e guardando quello che viene dal Padre, noi sappiamo quello che veramente vale per la nostra vita.

Altrimenti prendiamo grosse cantonate.

Perché noi scegliamo come più importante quello che poi ci distrugge e lo vedremo dopo.

Perché ogni scelta sbagliata noi la paghiamo e la paghiamo molto cara.

Soltanto ciò che viene dal Padre.

Ecco come la parola di Dio ci orienta, ci fa vedere il cammino.

La cosa più preziosa per la nostra vita è quello che ci viene dal Padre.

E cosa ci viene dal Padre?

L’abbiamo visto domenica scorsa ed è quello che ci viene proposto a Natale.

Quel Bimbo appena nato è una proposta perché esige a noi qualche cosa.

E se noi non ci dedichiamo a Lui, il Bimbo muore.

Quindi la presenza del Natale diventa un esigenza.

Che cosa ci viene dal Padre?

Dal Padre ci viene questa richiesta.

“Donami il tuo pensiero”.

Dio chiede a noi il suo pensiero.

Come questo Bimbo nato a Natale chiede a noi questo pensiero.

Non chiede sentimenti.

Non chiede canti o liturgie.

Questo Bimbo chiede a noi il pensiero.

E perché chiede a noi il pensiero?

Perché questo bene più prezioso che viene dal Padre è la conoscenza.

Questo è il bene più prezioso.

È la conoscenza.

La conoscenza di Dio.

Questa è la vita.

Ecco per cui Gesù dice che la vita vera sta nel conoscere il Padre.

Questa è la cosa più preziosa.

Questo è quello che l’uomo deve cercare e mettere al di sopra di tutto.

“Non preoccupatevi del mangiare e del vestire”, il Signore che ci ha creati è ben capace di mantenerci in vita su questa terra.

Lui che ciba gli uccelli del cielo e veste i gigli dei campi, crediamo che non sia capace di provvedere a noi?

Tutta la nostra vita è improntata a cercare di assicurarci il cibo, il vestire, la casa, la famiglia, la carriera, il lavoro, la salute.

E non ci accorgiamo quanto abissalmente lontani siamo da ciò che ci propone Dio.

Nel mangiare e nel vestire c’è tutto.

Non preoccuparti, cerca prima di tutto il regno di Dio.

Cerca prima di tutto di conoscere Dio: questa è la volontà di Dio.

Noi andiamo a cercare la volontà di Dio per mari e per monti...questa è la volontà di Dio!

Cerca prima di tutto il regno di Dio.

Il bene più prezioso, la cosa più importante è la conoscenza di Dio.

Invece quando non teniamo conto di Dio, noi riteniamo di assicurarci la vita possedendo cose e creature.

È una grande fregatura.

E cosa succede?

Noi facciamo delle valutazioni delle scelte.

Quando io dico che senza cotoletta non posso vivere, per me la cosa più importante è la cotoletta.

Se tu senza automobile non puoi vivere, per te la cosa più importante è l’automobile.

Quando noi mentalmente, nell’intelletto abbiamo stabilito che una cosa è indispensabile al nostro vivere questo determina ogni scelta, determina la volontà.

Tutto il mondo diventa una predicazione di ciò che per noi è la cosa più importante.

“Io senza quello non posso vivere”.

“Senza denaro non posso vivere”.

“La cosa più importante è la salute”.

E non ci accorgiamo delle bestemmie che noi diciamo di fronte a Dio!

Perché noi senza Dio non possiamo vivere.

Quando noi facciamo una scelta sbagliata di fronte a Dio, vuol dire che mettiamo al posto di Dio (importante per noi) altro da Dio.

Questa scelta di altro da Dio, ci fa vivere per realizzare ciò che per noi è essenziale, è necessario, è la cosa più preziosa, ci conduce ad una grande terribile esperienza.

Ad un certo punto, tutto diventa senza senso.

Senza significato.

Noi non ce ne rendiamo conto ma l’esperienza del “senza senso”, del “senza significato”, è il giudizio di Dio su quello che noi abbiamo scelto.

E come ci sta giudicando?

Annullando ciò che noi abbiamo messo prima di tutto, ciò che noi abbiamo messo al posto suo.

Ciò di cui avevamo detto: “Questo è necessario”.

Quella cosa che era la prima cosa nella mia vita, per cui io avevo sempre tempo, senza la quale non potevo vivere.

E su quello che noi avevamo messo per errore al posto di Dio, come cosa più preziosa, come cosa essenziale, necessaria, Dio opera (per questo c’è il tempo) per annullarci il valore.

E come ce lo annulla?

La cosa per noi non ha più senso.

E tutto ciò per cui noi viviamo, a un certo momento non vale più per noi.

Non vale più, è scaduto.

Qui si rivela che noi non siamo liberi di volere.

Come la cosa scade e non ha più senso per noi, non ha più significato per noi, noi non riusciamo più a volerla.

Ecco perché dico che non siamo liberi di volere.

La nostra volontà scatta soltanto in quanto ha presente una cosa importante.

Come la cosa scade, non vale più, noi non riusciamo più a volerla.

Possiamo fare i salti mortali ma non riusciamo più a volerla.

La nostra volontà è una conseguenza del valore e il valore è una conseguenza di quel rapporto che noi abbiamo fatto di fronte a Dio, abbiamo preferito altro a Dio.

Questo è il giudizio di Dio sull’errore che noi abbiamo fatto.

E quando a questo punto noi facciamo esperienza di non essere più capaci a volere e a vivere per ciò per cui siamo sempre vissuti prima, perché prima per noi era molto importante mentre adesso è senza significato e non riusciamo più a volerlo, cosa succede dentro di noi a questo punto?

Una cosa quando perde di significato, non è più sopportabile da noi.

La nostra stessa vita, quando non ha più significato, noi dobbiamo suicidarci, non possiamo farne a meno, dobbiamo suicidarci perché noi non riusciamo a sopportare ciò che non ha significato.

Per noi il significato è più importante della cosa stessa.

Possiamo avere tutto il mondo e tutte le creature che ci amano ma noi dobbiamo suicidarci.

Perché non possiamo sopportare ciò che non ha più significato per noi.

La nostra stessa vita, non possiamo più sopportarla se non ha più un significato.

Il significato delle cose e della vita ci viene soltanto da Dio.

Ecco per cui soltanto se noi non sbagliamo nel significato delle cose, cioè nel dare valore alle cose, possiamo volere e il vero significato delle cose ci viene da Dio.

Ecco per cui è il più prezioso di tutto.

Quando noi non siamo più capaci di volere una cosa, noi non facciamo altro che ricevere l’impronta di tutti gli altri, non abbiamo più una vita nostra personale, non sappiamo più per che cosa vivere.

Sono soltanto gli altri che scrivono su di noi.

Noi non siamo più persona, a questo punto noi diventiamo copie di altri.

Sono tutti gli altri che operano su di noi, ma noi non abbiamo più una vita in noi.

Abbiamo detto che il principio è il Natale e c’è il principio dell’uomo: “In principio era il Verbo e tutto è fatto in questo Verbo”.

L’uomo nel principio è originale, è una singolarità inconfondibile.

Ognuno di noi è insostituibile, perché ognuno di noi nasce con una ragione ben precisa nel disegno di Dio.

Ognuno di noi ha una ragione presso Dio della sua esistenza.

Nessuno di noi esiste senza un significato.

Però man mano che noi viviamo, noi corriamo il rischio di perdere questa originalità.

Il tema di oggi è difficoltà a restare originali.

Originali nel senso difficoltà a restare nel principio, nell’origine.

È nel principio che si resta originali.

Noi man mano che viviamo, perdiamo il contatto con il principio.

E perdendo il contatto con il principio, noi diventiamo copie.

Diventiamo luoghi comuni.

Diventiamo banalità.

Ecco per cui a un certo punto la nostra vita diventa barzelletta, banalità, diventa luogo comune.

Parliamo solo più del tempo, dei prezzi, della politica...banalità...niente.

Cose senza significato.

L’uomo nasce originale e corre il rischio di morire copia.

Non ha più una vita sua personale.

Questa è la conclusione dell’uomo che ha perso il contatto con l’origine, con il principio.

Che ha perso il contatto con il pensiero di Dio.

Che ha soprattutto dimenticato che Dio ci ha dato la vita per conoscere Lui e che la conoscenza di Lui è la cosa più preziosa e che lì deve essere tutto il nostro impegno.

A costo di mangiare una fetta di polenta al giorno o di fare digiuno, non importa.

Se noi cerchiamo Dio prima di tutto possiamo digiunare tutta la vita e Dio non ci fa morire.

A costo di mangiare una fetta di polenta al giorno, noi dobbiamo vivere per conoscere Dio.

Perché lì è la vita vera, lì è la vita eterna.


GV 10 VS 29 - Ciò che il Padre mio mi ha dato, è più grande di tutto e nessuno può strapparlo dalla mano del Padre.


Sesto tema - Difficoltà ad essere uno.


Argomenti: La comunicazione del Padre al Figlio e all’uomo. La conoscenza di Dio avviene solo nel pensiero. Copia e originale. La vanificazione. Il crollo dei valori. Il ponte della parola di Dio. De beate vita. La trascendenza di Dio. La ragione di vita. La ragione per cui ci dà l’esistenza. “Verrò come un ladro”. Il principio delle cose. Imballaggio a perdere. La conoscenza di Dio.


 

29-30/ Dicembre /1991


Oggi ci rimane da approfondire e da capire quello che qui Gesù dice: “Nessuno può rapirlo dalle mani del Padre mio”.

Abbiamo detto che il Natale in cielo ci fa capire, c’illumina il significato del Natale in terra.

Perché il Figlio di Dio è il Pensiero di Dio.

E ciò che il Padre dà al suo Pensiero, ci fa capire il significato di quello che Dio ci offre con il Natale.

Natale è la rivelazione di come Dio è tra noi, come Dio è in noi.

Dio si presenta tra noi come un bambino appena nato che quindi esige, richiede la dedizione del nostro pensiero a Lui.

Perché soltanto attraverso la nostra dedizione del pensiero a Lui, Dio comunica a noi Se Stesso.

La rivelazione grande avviene nel cielo: Dio comunica a suo Figlio Se Stesso, Dio si fa conoscere.

Dio è l’essere assoluto.

Dio è Colui che è.

E Colui che è, in tutto il suo operare, anche nella generazione di suo Figlio, non fa altro che comunicare Se Stesso.

Per cui tutta la creazione, non è altro che comunicazione di Dio agli uomini.

Quindi questa comunicazione in terra, riceve luce dalla comunicazione che il Padre fa a suo Figlio.

Cioè Dio si comunica al suo Pensiero.

E questo è rivelazione per noi, di come soltanto attraverso il pensiero c’è la possibilità della conoscenza della comunicazione di Dio.

Tutto ciò che non è pensiero, non è Dio, è segno di Dio, è significazione di Dio, è opera di Dio ma la conoscenza di Dio, avviene solo nel pensiero.

Quindi è soltanto in quanto in noi, c’è la possibilità di pensare Dio, nel Pensiero DI Dio (non pensiero nostro) abbiamo la possibilità di ricevere la comunicazione di Dio.

Dio è un infinito e perché si possa ricevere l’infinito bisogna avere presente l’infinito.

L’infinito si comunica soltanto là dove c’è l’infinito.

Tra il finito e l’infinito, non c’è possibilità di comunicazione.

Dio s’annuncia al finito ma si fa conoscere soltanto là, dove c’è l’infinito.

Il Pensiero di Dio in noi, è l’infinito di Dio in noi.

Natale è l’infinito di Dio in noi che s’annuncia a noi, per ricevere da noi il pensiero.

Il Suo Pensiero.

Per dare a noi la possibilità (attraverso il suo Pensiero) di ricevere la comunicazione di Dio: infinito con infinito = sintonia.

Quindi il problema principale di tutto l’operare di Dio è questa comunicazione che Dio fa a noi stessi, tant’è che il senso, il significato e il fine dell’esistenza di tutte le cose e di ogni uomo è questo: la conoscenza di Dio.

Dio opera tutto per comunicare Se Stesso e fine dell’uomo, destino dell’uomo, scopo dell’uomo è quello di giungere alla conoscenza di Dio.

E in questa conoscenza di Dio c’è il nostro destino ma c’è anche la nostra salvezza.

C’è il raggiungimento della nostra libertà, abbiamo detto spesso che noi non siamo liberi.

“Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi”.

Quindi il raggiungimento della nostra libertà, si ottiene soltanto nella conoscenza della Verità.

La Verità è Dio.

Nella conoscenza di Dio c’è la vita vera e ciò che è vero è eterno e già questo ci fa capire che ogni altro fine, non dà a noi la possibilità di attingere la vita vera, la vita eterna.

Soltanto la conoscenza di Dio dà a noi la possibilità di giungere alla vita eterna.

La conoscenza della Verità (parola di Dio) è salvezza dell’uomo.

Ecco per cui si parla di salvezza.

Dio venendo tra noi è salvatore, perché salvatore?

Salvatore quindi vuol dire che c’è una situazione di rischio per l’uomo.

L’uomo che nasce originale, corre il rischio di morire copia.

Cioè corre il rischio di morire come espressione di tutto l’ambiente in cui si trova.

Della volontà degli altri, dell’intenzione degli altri, delle regole, delle istituzioni e quindi perde il senso di quello che è il senso, il significato per cui Lui è stato creato.

Perché ogni uomo, in quanto esiste, ha una sua ragione di esistere presso Dio.

Per questo dico che c’è una originalità.

Ogni uomo è originale.

Ogni uomo è insostituibile.

Non si può sostituire una persona con un altra.

Il che vuol dire che ogni uomo ha un suo destino personale, ha un suo significato personale.

Quindi ha una originalità.

C’è questa originalità nella creazione dell’uomo.

Ogni uomo in quanto esiste, ha una sua ragione di esistere.

Questo presso Dio.

E abbiamo visto l’ultima volta che l’uomo corre il rischio di perdere questa originalità e di morire come copia.

Perché nell’uomo c’è questa difficoltà a restare nel principio.

La ragione che rende l’uomo singolare e che giustifica quindi l’esistenza di ogni uomo è soltanto nel disegno divino, nella volontà di Dio.

Nel Pensiero di Dio c’è la ragione, la giustificazione delle cose.

E quindi c’è anche la giustificazione di ognuno di noi.

Quindi noi siamo stati creati per conoscere Dio.

E in questa conoscenza di Dio, in quest’infinito, ogni uomo ha la sua ragione specifica di essere.

Può perderla, l’uomo può tradire il suo destino.

L’uomo che è fatto per conoscere Dio, può vendere il suo destino per un piatto di lenticchie.

Può vendere il suo destino per un azienda, per un guadagno, per una carriera, per un lavoro.

Può vendere il suo destino per andare dietro ai pensieri del mondo.

È qui che l’uomo perde la sua originalità.

L’originalità dell’uomo è solo presso Dio.

E soltanto se l’uomo riferisce tutte le cose a Dio e riporta tutte le cose in questo principio da cui lui ha avuto l’esistenza, l’uomo mantiene la sua originalità.

Quindi mantiene il suo destino.

Quando ad un essere intelligente si dà un fine da raggiungere, si presuppone che questo essere intelligente coordini tutte le cose per giungere a quel fine, a quel destino.

Quindi il destino non si realizza senza di noi.

Dio ha creato l’uomo, perché l’uomo possa giungere a conoscerlo.

La conoscenza di Dio non si raggiunge, non si ottiene senza di noi.

E quando l’uomo mette come ragione di vita altro da Dio, si espone a quella che diventa poi la tragedia del giudizio di Dio.

Si espone alla vanificazione di tutto ciò per cui vive.

Ad un certo momento le cose per cui egli vive perdono valore, perdono significato.

E quando le cose perdono valore, perdono significato, l’uomo non riesce più a volerle.

Perché la volontà nostra possa volere è necessario che ci sia un valore personale, che sia valido per noi soggettivamente.

Quando questo valore crolla, crolla il significato e quando la cosa perde di significato, noi non riusciamo più a volerla.

La nostra volontà è condizionata da ciò che vale più di tutto.

Qui c’è il giudizio di Dio.

Dio corregge i nostri errori.

E corregge, annullando, togliendo il significato, il valore a ciò per cui noi stiamo vivendo.

Con ciò noi perdiamo la capacità di volere ma perdiamo anche l’interesse per vivere.

A un certo punto la vita può per noi perdere interesse.

Si arriva al punto in cui non si ha più voglia di vivere.

Si prospetta il suicidio, di fronte all’uomo che sta esperimentando la vanità del tutto, il non senso della vita, il crollo dei valori.

L’uomo è fatto per il significato delle cose, per cui per lui ciò che vale più delle cose è il significato.

E il significato è sempre nell’intenzione del Creatore.

E quando l’uomo perde il significato delle cose, l’uomo non può più sopportare neppure la sua stessa vita.

Quando la vita perde di significato, l’uomo non può più sopportare la sua vita.

Adesso, viste queste cose, noi abbiamo la possibilità di inoltrarci in quello che Gesù afferma: “Nessuno può rapire ciò che il Padre dà, dalle sue mani”.

Ed è un affermazione strana quella di Gesù.

Noi stiamo assistendo ad una perdita di tutte le cose.

Tutte le cose che ci vengono date da Dio, subiscono questa inflazione, questa perdita di valori.

Man mano che noi viviamo, noi vediamo che le cose che un tempo tanto ci attraevano, ad un certo momento subiscono questa inflazione e i valori crollano.

Tutto crolla.

Tutto perde di senso e di significato.

Tutto perde di valore.

Il tempo è un grande ladro di valori nella nostra vita.

Il tempo ci porta via tutto.

In un mondo in cui l’uomo subisce questo furto di tutte le cose, noi troviamo la parola di Dio, il Cristo che dice a noi che nessuno può portare via le cose dalle mani del Padre suo.

Cioè ci dichiara che c’è un luogo, in cui le cose non possono esserci portate via.

E lo dice a noi che stiamo subendo la perdita di tutte le cose.

Quindi all’uomo che sta esperimentando questa perdita continua, questa tragedia del disfacimento di tutto, la parola di Dio gli dice che c’è un luogo in cui niente può essere portato via.

Un luogo in cui tutto è eterno, tutto rimane.

Di fronte a questo dobbiamo chiederci se è una utopia o è Verità.

Se la parola di Dio ci assicura che c’è un luogo in cui niente ci può essere portato via, noi che cosa stiamo facendo con la nostra vita?

Mentre noi subiamo tragicamente la perdita di tutte le cose, perché non ci occupiamo di questo posto?

Perché trascuriamo questo luogo in cui c’è l’assicurazione di Dio che tutto rimane?

Sant’Agostino, nel suo libro De beata vita, pone proprio questo problema.

Il problema del luogo della felicità.

C’è un luogo per la felicità dell’uomo o non c’è?

E lui si chiede da cosa è determinata l’infelicità dell’uomo.

L’infelicità dell’uomo è determinata dal fatto che l’uomo assiste alla perdita di tutte le cose per cui vive.

Vivi per una cosa e poi, presto o tardi questa cosa la perdi, vivi per un altra e quest’altra cambia, vivi per una creatura e questa ti delude.

L’infelicità dell’uomo, profondamente è determinata da questa delusione, da questa vanità che ad un certo momento copre tutte le cose per cui gli uomini vivono.

E Agostino si domanda: se l’infelicità dell’uomo è determinata dal perdere le cose, da questo subire il furto di tutte le cose, la felicità, la beatitudine dell’uomo è determinata da ciò che non si può perdere.

E allora il problema è questo: c’è qualcosa che non si può perdere?

“Nessuno può rapirlo dalle mani del Padre”, qui Gesù afferma una cosa che per noi è assurda, è una contraddizione.

In un primo tempo dice: “Ciò che il Padre dà”.

E quando si dà una cosa la si consegna, la si affida ad un altro, non la si tiene più per sé.

“E nessuno lo può rapire dalle mani del Padre”.

E allora ci chiediamo: come può essere che Dio dia una cosa e nello stesso tempo la tenga nelle sue mani?

Perché se la tiene nelle sue mani non la dà.

E se la dà non l’ha più nelle sue mani.

Tutto quello che per noi è contraddizione, è sempre un invito di Dio ad approfondire, a cercare, perché ci deve essere una realtà in cui le parole di Dio si realizzano.

E fintanto che noi non giungiamo a trovare quella realtà che realizza le parole stesse di Dio, è segno che noi non abbiamo capito le parole di Dio.

Le parole di Dio hanno una caratteristica tutta particolare: ci annunciano una cosa che ancora noi non vediamo.

La parola di Dio ci parla di ciò che supera noi, ci parla di ciò che noi non vediamo e non tocchiamo.

Noi vediamo e tocchiamo le creature, noi esperimentiamo le cose create.

Dio non lo vediamo, non lo tocchiamo, non lo esperimentiamo.

Però c’è la parola di Dio.

La parola di Dio è un ponte che dalla trascendenza di Dio, si annuncia nel nostro mondo finito e annunciandosi, ci dà la possibilità, se crediamo alla parola, di passare da ciò che vediamo a ciò che noi non vediamo.

Da ciò che è visibile a ciò che è invisibile.

Da ciò che noi esperimentiamo a ciò che non esperimentiamo.                                             

Se noi non crediamo alla parola di Dio, non possiamo passare dal nostro finito all’infinito.

Non si può passare, c’è un salto di qualità dal finito all’infinito.

Se crediamo alla parola di Dio, questa dà a noi la possibilità di passare a ciò che noi non vediamo.

E san Paolo annuncia che la nostra salvezza, la nostra luce, la nostra eternità, sta nelle cose invisibili, sta nelle cose che non si vedono.

Noi che fondiamo tutta la vita su ciò che vediamo e tocchiamo e esperimentiamo, siamo stati creati per raggiungere la vita in ciò che non vediamo, non tocchiamo e non esperimentiamo.

Eppure ci è annunciato e non lo possiamo smentire.

Noi non possiamo smentire che Dio creatore esista.

Basta un filo d’erba per farci capire che c’è un creatore.

Noi non possiamo smentire che Dio esista.

Basta un filo d’erba per farci capire che c’è un creatore.

Ma noi non possiamo vederlo, toccarlo, esperimentarlo.

Dio è trascendente, è superiore a noi.

Dio è invisibile a noi, eppure Lui manda a noi dei segni di Sé, le sue parole che ci parlano di cose che attualmente noi non possiamo né vedere, né toccare, né esperimentare.

Però se noi, in nome di questo Dio che non possiamo ignorare, se noi crediamo alla sua parola che ci parla di Sé, noi abbiamo la possibilità dedicandoci, di giungere a Lui.

Ecco il problema del pensiero.

Solo attraverso il pensiero che si dedica, che s’impegna, si consacra a ciò che la parola di Dio annuncia, noi possiamo giungere a quella realtà che c’illumina le parole.

Queste parole che attualmente calate nel nostro mondo sono incomprensibili.

Perché noi non le possiamo vedere.

Noi chiamiamo logico, comprensibile, ciò che noi possiamo vedere, toccare ed esperimentare, invece le parole che ci parlano di cose che non possiamo vedere, toccare, esperimentare, le chiamiamo astratte.

E noi viviamo invece per le cose (avere i piedi per terra) che possiamo vedere, toccare, esperimentare.

Eppure tra noi ci sono questi segni, ci sono queste parole, di un Dio che non possiamo smentire, che non possiamo annullare, che non possiamo cancellare.

Se tutti gli uomini di tutti i tempi urlassero che Dio non esiste, noi non potremmo cancellare Dio dalla nostra mente.

Perché Dio trascende noi.

Ora il problema non è quello di cancellare Dio dalla nostra mente (impresa impossibile) ma di giungere a conoscere Dio.

E la nostra salvezza sta lì.

Perché in Dio c’è la ragione di tutto quello che accade qui in terra.

E di tutto quello che accade nella nostra vita.

Dio è il principio di tutto, perché Lui è il Creatore.

In Lui9 c’è la ragione e la giustificazione di tutto.

E Lui parla per condurre noi a conoscere Lui, in modo da trovare in Lui la ragione di tutte le cose.

C’è questo controsenso per noi, in questo mondo che esperimentiamo, di questa parola di Cristo che dice che ciò che il Padre gli dà, nessuno lo può portare via dalle mani del Padre suo.

Cosa può essere quella cosa che, quando ci è data da Dio, rimane nelle mani di Dio?

Noi dobbiamo trovare quella realtà in cui si realizzano quelle parole che Gesù ha detto.

Cristo è il Verbo di Dio incarnato, è Dio incarnato tra noi.

Incarnato vuol dire che tutto quello che Lui dice e tutto quello che Lui fa, lo dice o lo fa non per Sé ma per noi.

Quindi se dice a noi: “Ciò che il Padre mio mi ha dato, nessuno lo può portar via dalle mani del Padre mio” lo dice per noi.

E se lo dice per noi, lo dice per rivelarci quel luogo in cui niente può essere portato via.

Abbiamo detto che la felicità dell’uomo sta lì, nel giungere in quel luogo (se esiste) in cui niente può essere portato via.

Noi stiamo subendo la tragedia della perdita di tutte le cose per cui noi viviamo.

E quando si vive per una cosa e questa cosa qui crolla, questo crea in noi una tragedia che può portarci al suicidio, alla non più capacità di sopportare la vita.

Il problema è quindi di arrivare in quel luogo in cui le cose non subiscono né mutamenti, né perdita.

E la parola di Dio ce lo annuncia: “Le mani del Padre mio”.

Cosa significano questa “mani del Padre mio”.

E sopratutto cosa significa questo che il Padre dà alla creatura, a noi, eppure la tiene nelle sue mani e nessuno lo può portare via.

Nel Principio, nel Pensiero di Dio, ogni uomo in quanto esiste ha la sua ragione, ha la sua ragione in Dio.

E tutto ciò che esiste ha in quanto esiste o in quanto vive, una ragione in Dio.

Gli uomini il più delle volte la loro ragione, la loro giustificazione l’hanno in ciò che vedono e toccano.

Oppure ce l’hanno nelle loro autorità.

O nelle loro istituzioni.

Cioè l’uomo nasce con una ragione ben precisa nel pensiero di Dio ma l’uomo no ha questa ragione nel suo vivere.

C’è un contrasto tra la ragione per cui l’uomo è stato creato ed esiste e la ragione per cui l’uomo vive.

Ogni esistente in quanto esiste ha una sua ragione di vivere.

L’uomo, la persona ha sempre una sua giustificazione ma la ragione per cui l’uomo vive non è la ragione per cui Dio lo fa esistere.

E allora se la ragione per cui l’uomo esiste, non coincide con la Ragione per cui l’uomo esiste, qui c’è il motivo per cui l’uomo subisce il tracollo.

Perché fintanto che la ragione per cui l’uomo esiste, non coincide con la Ragione per cui Dio lo fa esistere, l’uomo si apre a questa esperienza di fallimento di vita.

Bisogna che la ragione per cui esiste, per cui vive, coincida, collimi con la Ragione per cui esiste nel disegno di Dio, nel pensiero di Dio.

Ciò che è nelle mani di Dio, rappresenta la ragione dell’esistenza di tutte le cose che Dio vuole.

Le mani di Dio rappresentano la ragione di ciò che esiste.

Soprattutto la ragione dell’esistenza dell’uomo.

Questo è ciò che è nelle mani di Dio.

Gli uomini vivono mettendo la loro vita in altre mani, nelle loro autorità (ogni uomo ne ha una), nei suoi maestri (ogni uomo ha i suoi maestri) e restano traditi dall’autorità e dai maestri.

Necessariamente resta tradito, perché Dio stesso opera questo tradimento.

Lo svuotamento dei valori, la delusione che ogni uomo esperimenta vivendo in questo mondo, è il segno di matita blu con cui Dio corregge un nostro errore.

E noi ci esponiamo a questo segno di matita blu, di errore grave, fintanto che noi non facciamo coincidere la ragione del nostro vivere e del nostro esistere, con la ragione per cui Dio ci fa esistere.

Per questo le cose cambiano, le cose mutano.

E per questo siamo soggetti al tempo.

Le mani di Dio rappresenta le ragioni o la ragione per cui Dio ci dà l’esistenza.

Questa ragione, abbiamo detto che è la conoscenza di Dio.

Abbiamo visto che la cosa più preziosa è la conoscenza di Dio.

E come può avvenire che Dio dia a noi una cosa e nello stesso tempo se la tenga nelle mani?

Ecco, come Dio ci sollecita a cercare (con le sue parole) la realtà in cui è la nostra vera vita.

Ci sollecita cioè a cercare quel luogo, in cui le cose restano eterne.

In cui niente e nessuno ci può portare via, nemmeno Dio.

Nemmeno Dio perché Dio paragona Se Stesso ad un ladro che viene per rubare.

E Dio che dona a noi tutto l’universo e dona Se Stesso, Lui arriva a paragonarsi ad un ladro che viene di notte!

Dio dà a noi le cose e poi ce le viene a rubare, è mai possibile?

Anche questa parola di Dio, rientra nel disegno di Dio.

La realtà che ognuno di noi esperimenta, prova, è proprio questo furto.

Il tempo è l’eterno che scende in noi.

Il tempo che passa è Dio che viene.

E questo Dio che viene è un ladro che ci porta via tutto.

Noi ci afferriamo a una cosa e ce la porta via, ci afferriamo ad un altra e ce la porta via e a un certo momento l’‘anima urla: “Perché me li hai dati se poi me li porti via?”, è un controsenso.

Noi che portiamo in noi la passione dell’assoluto, dell’eterno, non sopportiamo né che le cose mutino, né che le creature cambino e soprattutto non sopportiamo la morte.

Ed è per questo che il significato delle cose acquista un significato enorme per noi.

Noi abbiamo bisogno di un perché.

Le cose mutano e noi abbiamo bisogno di un perché.

Le cose ci vengono tolte e noi abbiamo bisogno di un perché.

Le creature a noi vicine muoiono e noi abbiamo bisogno di un perché.

E se non c’è un perché la cosa diventa insopportabile.

A un certo momento il significato (la ragione delle cose) è l’unica cosa che può dare a noi la capacità di sopportare tutto ciò che muta, di sopportare il tempo.

Ed è questo significato che è nelle mani del Padre.

Ma come può essere che Dio ci dia una cosa e al tempo stesso la tenga nelle mani?

Perché questo è di un importanza enorme.

La Verità è conoscere il principio delle cose.

Il significato delle cose, la Verità delle cose, quando è comunicata, è comunicata dando a noi la possibilità di avere in noi stessi il principio delle cose.

La Verità è avere in noi il principio delle cose.  

Quando noi troviamo la Verità, quando noi conosciamo la Verità e la Verità è Dio, noi troviamo il principio delle cose.

E il principio delle cose è Dio Creatore, il Padre.

E quindi questa Verità che ci viene donata, che si lascia trovare da noi, non è separata, anzi, reca in noi stessi il principio della cosa.

Non è tolta dalle mani di Dio ma è nelle mani di Dio.

E resta nelle mani di Dio.

E ciò che è nel principio, nessuna altra ragione al mondo ce la può portare via.

Tutto il mondo tende a strumentalizzare l’uomo, le istituzioni, le aziende, le famiglie tendono sempre a strumentalizzare l’uomo, a farlo servire.

Ma tutte le ragioni con cui gli uomini e il mondo e gli istituti tendono a giustificarsi e a strumentalizzare l’uomo, sono ridicole o fasulle, di fronte a chi ha la sua ragione in Dio, a chi ha la giustificazione nelle mani di Dio.

“Ma se tutti facessero così”, è semplicemente ridicolo.

“Ma se non si lavora come si fa a mangiare” semplicemente ridicolo di fronte a questa grande ragione che è in Dio Creatore di tutte le cose.

Ecco come sono i doni di Dio.

Dio donando i suoi doni ci dona Se Stesso.

Per cui quello che noi riceviamo da Dio ed è la conoscenza di Dio, è il dono stesso della Verità, Dio è il suo dono.

Per cui la cosa rimane in Dio e la ragione della cosa è in Dio e non è in altro e tutte le ragioni del mondo a quel punto lì rivelano il loro volto.

Le ragioni di tutto ciò che non è Dio (fossero anche angeli o papi), tutte le ragioni di questo mondo e tutto ciò che non è Dio, è imballaggio a perdere di fronte alla grande ragione che è solo in Dio, nelle mani di Dio.

Qui possiamo cominciare a intuire, come soltanto nella conoscenza di Dio, c’è la possibilità di fare una cosa sola.

È Dio che ci fa uno.

Mentre le ragioni del mondo ci dividono, ci contrappongono, ci mettono uno contro l’altro, perché sono finite, soltanto in Dio, noi abbiamo la possibilità di evitare questa divisione (morte) che le ragioni del mondo creano dentro di noi, tra noi e Dio.

Il grande problema per l’uomo, è far coincidere la ragione del suo vivere, con la ragione per cui Dio lo fa vivere.

Ed è soltanto in questa unificazione che noi troviamo l’unità.

Il tema di oggi era questo: la difficoltà a essere uno.

Noi possiamo essere uno, soltanto in quanto attingiamo la conoscenza di Dio.

Noi attingiamo alle parole stesse di Dio, perché sono le parole di Dio che formano il discepolo della Verità.

La salvezza sta nella conoscenza.

E quando diciamo conoscenza, escludiamo qualunque altro mezzo, qualunque altra cosa.

Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità.

Notate bene che avrebbe potuto dire “giungano ad amare la Verità”, “giungano a sacrificarsi per la Verità”, no...dice “giungano a conoscere la Verità”.

Parola di Dio.

Quindi la salvezza sta nel giungere a conoscere la Verità.

L’attingere la nostra libertà ( e questo ci rivela che siamo schiavi) si ha soltanto nella conoscenza della Verità: “Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi”.

Il raggiungere quella vita eterna (vera) che non è più soggetta a furti e ladri sta nel conoscere Dio come vero Dio e anche questa è parola di Dio.

E la nostra unità, l’essere uno, il restare uno (la singolarità per cui Dio ci ha creati) e il fare una sola cosa con Dio è ancora la conoscenza di Dio.


GV 10 VS 29 - Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre.


RIASSUNTI Domenica e Lunedì.


Argomenti: Amici e servi – La trasparenza di Dio – La generazione del Figlio – L’essere e il pensiero di Dio – Essere e Persona – Generante e generato – Generazione e creazione – La comunicazione di Dio – La sintonia – La possibilità di pensare Dio – Potenza e atto -    


 

5-6/ Gennaio /1992