GV 10 VS 29 - Ciò che il Padre mio mi ha dato, è più grande
di tutto e nessuno può strapparlo dalla mano del Padre.
Primo tema – La comunicazione.
Argomenti: Buttare l’eternità
nell’immondizia. L’assenza di Dio. Il rischio di perdere l’anima. Dio si
conosce solo attraverso il pensiero. La comunicazione tra infinito e finito. La
pietra e la vita. Il verbo “dare”. La capacità di ricevere. L’abisso
invalicabile. La vita sta nell’offrirsi.
L’albero e la luce. La passione d’assoluto. Si riceve nella misura in
cui ci si offre. Il principio della comunicazione.
17-18/ Novembre
/1991
Qui le versioni sono diverse, perché a
seconda dei Vangeli, c’è chi riporta “ciò che il Padre mio mi ha donato”, altre riportano “quelle che il
Padre mio mi ha donato”, altre hanno altre versioni, perché è un versetto molto
contestato.
Evidentemente dobbiamo fare una scelta e la
scelta la facciamo secondo quello che lo Spirito suggerisce.
“Ciò che il Padre mio mi ha dato è il più
prezioso di tutto” e ci fermiamo qui.
Stava parlando delle pecore e poi, a un certo
momento, Gesù qui fa un salto.
Un salto di qualità.
Perché passa dalle “mie pecore” quello che
Lui aveva a “ciò che il Padre mio mi ha donato”.
E quindi ci introduce in un rapporto intimo
tra Padre e Figlio.
Sta infatti preparando il terreno per quel
versetto successivo, il trenta, in cui Lui conclude tutto il suo discorso
dicendo: “Io e il Padre siamo uno”.
È partito dalla creazione, dalle sue pecore,
da quel lungo discorso che aveva fatto e qui adesso arriva a dichiarare o per
lo meno ad annunciare, a presentarci questo rapporto tra Padre e Figlio.
Intanto dicendo: “Quello che il Padre mio mi
ha donato”, dichiara apertamente Se stesso Figlio di Dio.
Qui abbiamo una dichiarazione aperta, si
proclama Figlio di Dio.
È parola di Dio per noi, per la nostra vita,
perché tutto quello che Gesù, Figlio di Dio dice, lo dice per noi, quindi serve
a noi.
Se annuncia, annuncia una cosa che deve
condurre le nostre menti a intendere, ciò che altrimenti non potremmo
intendere.
Perché se Dio non parlasse, noi non potremmo
inoltrarci minimamente in quel mistero divino che è tutta la nostra vita
eterna.
Poiché la nostra vita è nascosta in Dio.
In quanto si dice “nascosta in Dio”, vuol dire
che la nostra vita è in Dio.
Cioè la nostra vita sta nel conoscere Dio.
Infatti Gesù apertamente dice che la vita
eterna è conoscenza di Dio.
Noi che viviamo pensando a noi stessi,
pensando al denaro, pensando al mangiare, pensando al vestire, pensando al
lavoro, pensando alla casa, pensando alla nostra figura davanti agli altri.
Noi che pensiamo che la nostra vita stia in
questo, nel viaggiare, nel conoscere il mondo, nel sapere cosa fanno e dicono
gli uomini.
In questa Babele la parola di Dio scende come
nel mezzo della notte a annunciare che la nostra vita non sta in questo.
Infatti noi vivendo in queste cose
esperimentiamo la morte e non la vita.
Però Dio non ci abbandona alla nostra morte.
Dio in questa nostra morte, in questa situazione
di tristezza, d’angoscia che tutti gli uomini esperimentano, Dio fa arrivare la
sua parola e ci annuncia che è inutile che noi consumiamo la nostra vita in ciò
che non ci dà la vita.
La vita non viene dalle cose che si
posseggono.
È inutile consumare la vita cercando di
possedere più cose possibili.
La vita non ci viene da queste cose.
Anzi lì c’è uno spreco di vita, stiamo
sprecando il tempo.
Stiamo sprecando l’eternità che Dio ha messo
a nostra disposizione.
Perché l’eternità si può sprecare.
Oggi si butta tutto nell’immondizia.
E il mondo corre il rischio di morire in
quest’immondizia.
Di morire in questo rifiuto.
Noi stiamo buttando l’eternità, la nostra
eternità nell’immondizia.
In questo rifiuto di Dio.
In questo rifiuto ad occuparci di Dio.
Le volte precedenti abbiamo visto l’assenza
di Dio che ogni uomo esperimenta.
L’uomo è un essere che fa esperienza di
assenza di Dio, di silenzio di Dio, di morte di Dio.
Dio non
parla.
Dio tace.
Dio non si fa vedere.
Dio non si fa toccare.
Ed è lì tutta la tragedia dell’uomo.
Perché l’uomo si trova in un mondo che vede e
tocca eppure non può ignorare la Verità, la presenza, l’esistenza di un Dio che
però non vede e non può toccare.
Quest’assenza di Dio è in relazione stretta
al nostro pensiero.
Al nostro pensare.
L’uomo fa esperienza dell’assenza di Dio,
perché non fa Dio oggetto del suo pensare.
Perché non mette Dio prima di tutto.
Quando non si mette Dio prima di tutto, si
perde Dio.
Abbiamo fatto l’esempio di quella mamma che
trascurando il suo bambino, a un certo momento lo perde.
E si sente in colpa quando lo perde.
Perché si accorge che non ha pensato
sufficientemente al suo bambino.
Lo ha trascurato.
Dio si paragona ad un bambino posto nelle
mani dell’uomo.
Affidato alle mani di una madre.
Dio creandoci si è affidato ai nostri pensieri.
O meglio al nostro pensiero.
Dio si è posto nelle nostre mani.
Il che vuol dire che se noi non dedichiamo il nostro pensiero a Lui, se noi
non guardiamo a Lui, se noi non lo mettiamo prima di tutto, noi facciamo
esperienza della sua morte.
Noi facciamo esperienza della sua assenza, del suo silenzio.
Per cui quando noi vorremmo toccare qualche cosa di Lui, perché tutto va a
rotoli, noi non riusciamo più a toccare qualche cosa di Lui.
E tutti gli uomini muoiono perché non riescono a toccare qualcosa di Dio.
Non si riesce a toccare niente di Dio non perché Dio si sottragga.
Anzi, abbiamo detto che Dio è quell’essere che nessuno può ignorare.
Pochissimi lo conoscono ma nessuno lo può ignorare.
Perché nessuno di noi è il creatore dell’universo.
E noi ci troviamo in un universo che non è fatto da noi.
Quindi è fatto da uno che noi non possiamo ignorare.
Tutti i giorni noi siamo sorpresi da avvenimenti che ci cadono addosso e
che sono voluti da un Altro, non voluti da noi.
E questo è sufficiente per farci capire che c’è uno che non dobbiamo
trascurare, che non possiamo ignorare e che non dobbiamo ignorare perché
dobbiamo cercare di conoscerlo con tutte le nostre forze.
Tutta la nostra vita sta lì.
Abbiamo anche visto nelle domeniche precedenti, come ci sia nell’uomo il
rischio di un anoressia spirituale.
Cioè di cadere in questa incapacità a nutrirsi di cose dello Spirito.
L’uomo può giungere alla incapacità di pensare ciò che è eterno.
All’incapacità di pensare Dio.
Il pensare Dio, il pensare ciò che è eterno, è la condizione essenziale,
perché Dio si conosce soltanto attraverso il pensiero.
Dio non si conosce attraverso il cuore.
Dio non si conosce attraverso i sentimenti.
Dio non si conosce attraverso gli avvenimenti.
Dio non si conosce attraverso le creature.
Dio si conosce solo attraverso il pensiero, perché Dio è Spirito.
Gesù dice: “Dio è Spirito e vuole adoratori in Spirito e Verità”.
Il problema quindi non è di correre né a Gerusalemme, nè su un monte e
nemmeno a Roma.
Il problema non sta né nell’andare qui, né nell’andare là.
Perché Dio non si trova correndo qui o andando là.
Dio si trova pensando a Lui.
Nel segreto della nostra anima.
Raccogliendoci nel suo pensiero.
E Lui ha dato a noi il suo pensiero.
E l’uomo ha la possibilità di pensare Dio.
Però se l’uomo non si preoccupa di conoscere Dio, l’uomo corre il rischio
di cadere in questa anoressia dello Spirito, in questa incapacità a pensare Dio
e quindi in questa incapacità a nutrirsi di Dio.
L’uomo consuma la sua vita cercando di arraffare più che sia possibile.
L’uomo vive per questo e Gesù gli dice: “A che vale possedere tutto il
mondo se tu perdi la tua anima?”.
E questo ci fa capire che c’è questo rischio nella vita di ogni uomo.
Il rischio di perdere l’anima.
Quando diciamo “anima” parliamo di una cosa che non vediamo e non
tocchiamo.
Molti dubitano: “C’è veramente quest’anima?”.
L’anima è il desiderio di assoluto, il desiderio di Verità che ogni uomo
porta in sé.
E basta questo per denunciare che ognuno di noi ha questo desiderio di
assoluto, questo desiderio di Verità.
E soffre, patisce e muore, proprio perché non riesce a soddisfare questo
desiderio.
L’uomo è un bisogno essenziale di Luce.
Qui sta l’anima.
Però l’uomo corre il rischio di perdere la sua anima e di fare esperienza
della perdita della sua anima.
Morte della sua anima uguale anoressia dello spirito.
Non più volontà, non più disponibilità per pensare Dio, per impegnarsi a
conoscere Dio, tanto l’uomo si è caricato di mondo.
Perché tutto ciò cui noi dedichiamo la nostra vita diventa poi per noi una
ossessione, una prigione che ci porta via il tempo, la disponibilità interiore,
ci porta via il pensiero per Dio.
E quando la disponibilità interiore per Dio ci è stata portata via, noi
possiamo piangere tutte le nostre lacrime ma la nostra anima noi non la
ritroviamo più.
È per questo che Dio in anticipo ci dice queste cose.
Soprattutto Dio ci mette in evidenza il rischio in cui l’uomo può venire a
trovarsi.
Se Dio parla, parla per salvarci.
Poiché questa è la sua volontà, questa è la sua intenzione.
Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità.
Però la conoscenza della Verità ha delle condizioni ben precise, tant’è
vero che Gesù dice di fare bene i conti a tavolino.
State attenti, non si può giungere a trovare la Verità, a trovare Dio, la
vostra vita occupandovi di altro.
L’uomo è stato creato con un fine ben preciso: occuparsi di Dio.
E “non avrai altro amore al di fuori di questo”.
E “amerai Dio con tutta la tua mente, con tutte le tue forze, con tutto te
stesso”.
Dio ha comandato a noi di amare Lui, non perché Lui abbia bisogno del
nostro amore.
Noi quando amiamo, amiamo perché abbiamo bisogno di un amore.
Dio non ha bisogno del nostro amore.
Dio ha comandato a noi di amarlo, perché ci ha comandato di vivere.
Lui non vuole che noi moriamo.
Però c’è questo rischio, il rischio di morire.
E allora qui approdiamo a quello che è il verbo che anima questo verso.
“Quello che il Padre mio mi ha dato”.
Questo verbo “dare”.
Ma c’è questa possibilità di dare qualcosa a qualcuno?
Ma se c’è questa possibilità di “dare” perché Dio non ci “dà” già Se
stesso.
Perché ci fa tribolare tanto?
Perché ci fa cercare tanto?
Tutta la creazione e tutte le creature, anche se non le vogliamo, noi ce le
ritroviamo tra i piedi.
E Dio che invece deve costituire l’anima di tutta la nostra vita, quello
non lo troviamo mai.
Ma allora sorge il dubbio: c’è questa possibilità di comunicare Dio
all’uomo?
Dio può darsi all’uomo?
Ed è proprio per farci capire come ci sia questa possibilità di Dio di
darsi all’uomo che qui il Figlio di Dio ci conduce a riflettere, a meditare, ad
approfondire il rapporto tra Padre e Figlio che sta proprio in questo “dare”.
Il Padre si dà a suo Figlio.
Perché proprio capendo questo, si capisce il dare che c’è tra Dio e l’uomo.
Tra Dio e la creature.
Ho detto molte volte che l’uomo è un essere finito.
Tutti i suoi pensieri sono finiti.
L’uomo ha una passione d’infinito dentro di sé che però non riesce mai a
soddisfare.
L’uomo concretizza sempre i suoi pensieri in problemi del mondo o personali
e sono sempre cose finite.
Il mondo dell’uomo è un mondo finito, soggetto al tempo, soggetto allo
spazio, soggetto a condizioni finite.
E abbiamo detto molte volte che non si può passare dal finito all’infinito.
Se non si può passare vuol dire che non c’è la possibilità di
comunicazione.
Vuol dire che non c’è la possibilità di “dare”.
Dare vuol dire comunicare.
Non si può dare il finito all’infinito.
Ma si può dare l’infinito al finito?
Si può comunicare da Dio all’uomo?
È lapalissiano: tutti i giorni riceviamo cose che arrivano a noi
indipendentemente da noi, quindi tutti i giorni c’è Qualcuno che dà a noi
qualche cosa.
E anche tra gli uomini, noi diamo e riceviamo in continuazione cose.
In realtà il problema è molto diverso, perché noi ci illudiamo di dare
delle cose l’uno all’altro.
Che la cosa sia molto diversa ce lo fa capire il Signore nella creazione,
perché tutto è lezione per noi.
L’universo è una scala, verso l’infinito, verso Dio e tutto è aiuto.
Ora, Dio nella creazione significa per noi i gradini di questa scala.
A noi sembra molto facile dara qualcosa a uno.
Io prendo una cassetta, la do a te e il gioco è fatto.
Apparentemente sembra che basti che uno voglia dare qualcosa a uno per
darlo.
Però se noi mettiamo del cibo vicino ad una pietra, noi ci accorgiamo che
non possiamo dare proprio niente a quella pietra.
La pietra non riceve.
Se noi mettiamo dell’acqua o del fertilizzante vicino ad una pianta la
pianta riceve.
Ma se noi mettiamo un libro accanto ad una pianta, la pianta non riceve il
libro.
Se noi diamo un orologio ad una gallina, la gallina non sa cosa farsene del
nostro orologio.
Ma se gli diamo del mais la gallina sa cosa farsene.
Se noi diamo un libro ad una gallina, lei non sa cosa farsene.
Invece se diamo un libro ad un uomo, forse l’uomo sa cosa farsene del
libro.
Diamo un orologio ad un bambino e il bambino sa cosa farsene di
quell’orologio.
E allora dobbiamo chiederci: perché se diamo un orologio a una gallina
questa non sa cosa farsene e un bambino invece sì?
E perché sopratutto qualunque cosa noi mettiamo attorno a una pietra, la
pietra non sa cosa farsene?
La pietra non riceve.
È lezione di Dio per noi, perché tutto è parola di Dio per noi.
Allora ad una pietra non si può dare niente, alla pianta si può dare
qualcosa, ad un animale si può dare qualcosa di più e ad un uomo si può dare
Dio.
Dare un libro vuol dire dare un pensiero, nel pensiero c’è Dio, si può dare
Dio.
Ma cosa vuol dire questo?
Qui scopriamo una cosa molto importante, il dare non dipende da chi dà.
Io posso voler dare del cibo a una pietra ma questo non è sufficente.
La pietra non riceve.
Se ad un morto noi mettiamo del cibo attorno, il morto non riceve.
Io mi ricordo tanti anni fa una mamma che aveva perso il suo bambino molto
giovane e che di tanto in tanto prendeva il succhiotto e glielo metteva in
bocca per vedere se dava segni di vita.
Un morto non riceve.
La pietra non riceve.
E poi abbiamo le piante che ricevono qualcosa.
Gli animali ricevono qualcosa di più.
L’uomo può ricevere tutto.
Allora il problema del dare, del comunicare non sta da chi dà, ma sta da
chi riceve.
Dobbiamo allora chiederci che cosa è necessario perché uno possa ricevere.
Perché la gallina non riceve l’orologio e invece il bambino riceve
l’orologio?
Anche nell’uomo c’è l’uomo che è capace di ricevere qualche cosa e c’è
l’uomo che non è capace di ricevere qualche cosa.
Qui arriviamo a sfiorare il grande tema della incomunicabilità.
Per cui tra uomo e uomo si creano degli abissi.
Abissi insuperabili e la parola di Dio ce lo rivela.
“Tra noi e voi si è formato un abisso e noi non possiamo passare a voi e
voi non potete passare a noi”.
Quando il ricco Epulone chiede una goccia d’acqua, Abramo risponde
dall’alto del cielo.
Non è possibile dare, perché c’è un abisso.
Ecco l’abisso: l’incomunicabilità.
Abbiamo detto che c’è una incomunicabilità con la pietra.
Non si può dare niente alla pietra.
E non si può dare un orologio a una gallina: c’è incomunicabilità.
Non si può dare un libro a un cane: c’è incomunicabilità.
Ma anche tra gli stessi uomini, se uno parla una lingua diversa dall’altra
c’è incomunicabilità.
Ma che cosa è necessario perché si crei comunicazione?
Che cosa è necessario perché si possa dare qualche cosa?
L’uomo può arrivare alla situazione in cui non può più ricevere niente.
L’uomo sta giocando una partita che è molto pericolosa per Lui.
L’uomo scherza e ride nel mondo.
Il mondo corre il rischio di morire nei suoi rifiuti.
Ogni uomo corre il rischio di morire nei suoi rifiuti.
Perché rifiutandosi di occuparsi di Dio, di mettere Dio prima di tutto, lui
comincia a morire in questo rifiuto.
E morendo in questo rifiuto viene a trovarsi nella situazione di non poter
ricevere più niente.
Non gli si può dare più niente.
Nemmeno da parte di Dio.
C’è l’abisso.
Non si comunica più.
Non si può dare niente ad una pietra, non si può dare niente ad un morto.
Si può dare qualche cosa solo là dove c’è la vita.
Allora dobbiamo chiederci cos’è la vita.
Perché soltanto dove c’è l’essere vivente si può dare qualche cosa.
E poi non basta essere vivo, perché anche tra gli esseri viventi qualcuno
riceve e qualcuno non riceve.
Certamente la pietra non riceve.
Certamente il morto non riceve.
Quindi il grande salto sta nella vita.
Ma cos’è la vita?
Noi il più delle volte diciamo che la vita sta nel mangiare e nel
riprodursi.
Là dove vediamo un essere che assimila, diciamo che là c’è la vita.
Là dove vediamo l’essere che si riproduce, diciamo che là c’è il vivente.
Ma noi non teniamo conto che il mangiare, il riprodursi, sono soltanto
espressioni della vita ma non sono la vita.
Sono sintomi della vita ma non sono la causa della vita.
Teniamo presente che tutto è parola di Dio per noi.
Quindi la pietra è una parola di Dio per noi, perché?
Perché ci sono uomini che sono pietre.
E la Bibbia parla apertamente di “cuori di pietra”.
Il nostro cuore può diventare di pietra,
Il nostro pensiero può diventare pietra.
Gli uomini possono diventare delle pietre.
Ecco perché ci sono le pietre.
C’è il morto perché l’uomo può diventare morto.
L’uomo può morire.
E tutti quanti facciamo esperienza della morte.
Quindi c’è questa lezione di Dio nella vita di ognuno di noi.
La lezione più semplice della vita nel mondo, da cui poi deriva nel campo
naturale ogni vita è l’albero.
Se non ci fossero gli alberi non ci sarebbe vita nel mondo, nemmeno per
l’uomo, nemmeno per gli animali.
Noi superficialmente diciamo che la vita sta nell’assimilare e nel
riprodursi, l’albero certamente assimila e si riproduce.
Ma questo è un sintomo di vita.
Ma la vita dell’albero in che cosa consiste?
L’albero non potrebbe né assimilare, né riprodursi se non avesse una
energia in sé.
L’albero ha la caratteristica di ricevere questa energia dalla luce.
Ed è la forma più semplice di vita creata da Dio nel mondo, per farci
capire che tutta la vita tra noi viene dalla luce.
L’albero stesso è luce.
La vita la riceve dalla luce.
L’albero ha quelle caratteristiche per cui riesce a raccogliere la luce,
fissare la luce e ricevere quell’energia necessaria per mangiare e riprodursi.
Ma l’albero riceve luce in quanto si offre alla luce.
La vita non sta tanto nel mangiare o nel riprodursi (sintomi), la vita sta
nell’offrirsi.
L’albero si offre alla luce.
E soltanto nella misura in cui si offre alla luce, lui riceve vita.
E questo è segno della parola di Dio che ci dice che in principio la vita
era la luce.
La vita sta nella luce.
INTERRUZIONE-----
Abbiamo detto che il problema del dare, del comunicare, dell’informare è
relativo alla vita.
Perché a tutto ciò che è morto non gli si può dare niente perché non può
ricevere niente.
C’è un abisso che divide uomo da uomo, animale da uomo, vegetale da uomo,
pietra da uomo.
E uomo da Dio.
Si può creare questo abisso.
Per cui non c’è possibilità di passaggio.
Incomunicabilità.
Ma Dio non ci ha creati per la incomunicabilità.
Noi possiamo crearci l’incomunicabilità.
Ma Dio non vuole.
Dio ha creato l’uomo unito a Sé.
E l’uomo è portatore di Dio.
Sì, si sente dire che l’uomo è portatore di Dio, che l’uomo è tempio di
Dio...ma siamo proprio sicuri di questo?
E chi ci garantisce che è veramente così?
Noi stessi siamo i garanti di questo fatto.
Gesù dice: “Voi stessi dite che Io sono”.
Ogni uomo, ognuno di noi, è testimone della presenza di Dio in sé.
Tutti i nostri problemi, tutte le nostre questioni, tutte le nostre
tribolazioni, tutte le nostre angosce e anche la nostra stessa morte, sono
testimonianza della presenza di Dio in noi.
Presenza di Dio capita è uguale a vita-luce.
Presenza di Dio non capita è uguale a morte.
E l’inferno è costituito dall’impossibilità di capire Dio.
E il paradiso è costituito dalla possibilità di capire Dio.
Ma allora tutto il problema sta nel capire, sta nel conoscere.
Nel conoscere Colui che è presente in noi indipendentemente da noi.
Nessuno di noi può smentire e dimostrare che Dio non è presente in noi.
Noi ne subiamo la presenza, noi non possiamo ignorarlo, noi subiamo la sua
passione perché noi siamo passione d’assoluto.
Passione d’assoluto e l’assoluto è Lui.
Ora, noi non potremmo subire la passione di una cosa se questa cosa non ci
fosse presente. In qualche modo.
Se noi subiamo la passione dell’assoluto è perché certamente l’assoluto è
presente in noi, si fa sentire e noi patiamo per questa presenza.
Quindi il problema è non trascurare ciò che non possiamo ignorare.
E cosa vuol dire non trascurare.
Non trascurare vuol dire fare quello che fa l’albero.
Abbiamo detto che la prima lezione di vita nel mondo è questo offrirsi alla
luce.
La vita è la prima condizione per potere ricevere qualcosa.
La vita sta nella possibilità di offrirsi alla luce.
Dio per primo crea le creature.
E creando delle creature, crea delle possibilità di offrirsi.
Dio ha creato la vita nel mondo e questa vita nel mondo sta nel dare alle
creature la possibilità di offrirsi a-.
Però quando diciamo “dare la possibilità di offrirsi”, non vuol dire che la
creatura si offra.
Una pianta può essere tenuta al buio e non offerta alla luce.
E anche l’uomo può essere tenuto al buio e non offrirsi alla luce.
Per questo che dico che l’uomo può trascurare Dio.
Ma se l’uomo trascura Dio, quindi trascura la luce, l’uomo incomincia a
patire la morte.
E patendo la morte, non riceve più.
Perché non si può comunicare ad un morto.
Non si può dare niente ad un morto, come non
si può dare niente ad una pietra.
La pietra non riceve, perché?
Perché non si offre.
La pietra non ha la possibilità di offrirsi.
Per questo non riceve.
Ognuno di noi, può ricevere solo nella misura
in cui si offre, nella misura in cui si dà.
Allora questo dare, questo comunicare, non è
un atto semplice di dare da uno all’altro.
È un interferenza di offerte.
Si riceve nella misura in cui ci si offre.
Noi abbiamo l’esempio del radar.
Il radar capta i segnali che lui stesso
manda.
Quindi si offre e si riceve.
E si riceve nella misura in cui si offre.
E ognuno di noi è simboleggiato in questo.
Ognuno di noi riceve messaggi, riceve
segnali, riceve doni nella misura in cui si offre.
Come l’albero, nella misura in cui si offre
alla luce riesce ad assimilare.
Ecco l’anima del dare.
Il dare è costituito da uno che dà per primo,
Dio creatore, è Lui che dà per primo, però la creatura riceve e in quanto
riceve, riceve in uno stato di potenzialità, di capacità di offrirsi e soltanto
nella misura in cui si offre, riesce ad ottenere veramente la comunicazione
dell’altro.
Altrimenti perde il dono.
Il dare, il comunicare è un atto complesso,
costituito da due grandi fattori.
C’è un essere che vuole dare e che ha la
possibilità di dare ma questo essere si trova nell’impotenza, Dio si trova
nell’impotenza a dare la vita, alla creatura che non si offre a Lui.
Dio fa tutto per dare alla creatura la
possibilità di offrirsi, ma se la creatura non si offre non può ricevere.
L’atto essenziale dell’essere vivente è la
possibilità di offrirsi a-.
La vita eterna sta nella possibilità di
pensare l’eterno.
E pensare l’eterno vuol dire offrirsi
all’eterno.
Quando noi pensiamo offriamo il nostro
pensiero a-.
E offrire il nostro pensiero a-, vuol dire
incominciare a guardare le cose dal punto di vista dell’altro.
Tutto il processo d’innamoramento che c’è nel
mondo è tutto questo pensare all’altro.
E pensare all’altro vuol dire guardare le
cose dal punto di vista dell’altro.
Nei riguardi di Dio, ognuno riceve solo nella
misura in cui si offre.
Perché è lì che avviene la comunicazione, la
comunicazione avviene in ciò che uno offre.
Per cui se tu offri poco, tu ricevi poco.
Se tu pensi soltanto a te stesso e quindi non
offri niente, non ricevi niente.
Per questo dico che si corre il rischio di
fare esperienza di morte.
Morte è non ricevere più niente.
Incomunicabilità.
Ora, Dio che ti crea senza di te, (dice
Sant’Agostino) non ti può salvare senza di te.
Cioè Dio che ti dà la possibilità di offrirti
a Lui, se tu non ti offri a Lui, non ti può dare niente.
Per cui ecco che i veri doni, richiedono che
la creatura salga a Dio.
Dio ha una infinità di doni.
“Ho tante cose da darvi e dirvi ma per ora
non le potete portare”.
Perché non siamo in grado di portarle?
Perché non si sale a Lui.
Pinuccia A.: Se do un libro ad un uomo, costui
riceve nella misura in cui dedica il suo pensiero al libro?
Luigi: No, perchè se il libro è scritto in una
lingua straniera non riceve proprio nulla.
Vede dei segni ma non riceve nulla.
Il principio della comunicazione è che in te
ci sia la stessa cosa che c’è in chi ti comunica.
Altrimenti non c’è il passaggio.
Ci deve essere la stessa cosa che c’è in
colui che ti comunica.
Allora c’è la comunicazione.
Altrimenti non c’è nessuna comunicazione.
Cioè se in te c’è il pensiero di Dio c’è
comunicazione con Dio.
Se in te non c’è il pensiero di Dio non c’è
comunicazione con Dio.
Ecco perché tu non puoi dare ad una gallina
un orologio.
Perché al bambino puoi dare un orologio e a
una gallina no?
Perché il bambino ha presente l’eterno.
Tu mi dirai: che cosa centra l’eterno con
l’orologio?
Perché il tempo è una manifestazione
dell’eterno.
Se tu non hai presente l’eterno, tu non puoi
capire minimamente il tempo.
Come se tu non sei ferma su una sponda di un
fiume, tu non puoi vedere l’acqua che passa.
Tu vedi il passare delle cose, soltanto in
quanto hai presente ciò che non passa.
È rapporto, cioè tu non vedresti il tempo, il
passaggio delle cose se non avessi presente l’eterno e tanto meno lo potresti
misurare.
Tu puoi misurare, vedere il tempo, soltanto in
quanto hai presente l’eterno.
Il bambino ha presente l’eterno.
La gallina non ha presente l’eterno.È
La gallina è tutto sentimento.
Quindi abbiamo il mondo animale che
rappresenta tutti i nostri sentimenti.
L’uomo che vive di sentimento non ha presente
l’eterno.
Non può ricevere l’orologio, non sa cosa
farsene.
Con l’orologio tu vedi come stai sprecando il
tuo eterno.
Con l’orologio tu misuri lo spreco che fai
dell’eterno.
E allora lì tu sai cosa fartene
dell’orologio.
L’orologio è un giudizio su di noi.
Perché ci mette in evidenza ciò in cui stiamo
impiegando il nostro pensiero, in cui stiamo consumando la nostra vita.
Ed è l’eterno che sta arrivando.
Perché il tempo che passa è Dio che viene.
L’eterno che già sta arrivando.
E tu questo eterno lo hai presente e tu corri
il rischio di sprecare questo eterno in niente.
E ti resta niente.
Tu resti con niente e oltretutto il niente
non esiste.
Eppure l’uomo muore nel niente.
L’uomo fa esperienza del niente.
L’uomo prova angoscia quando ciò per cui
vive, a un certo momento tramonta.
Non c’è più.
Ciò per cui tu sei vissuto è passato.
Ed è niente.
Tutta la mia vita è servita a niente.
Quindi tu fai esperienza del niente e il
niente non esiste.
Perché esiste soltanto Dio.
Il niente non esiste mica.
Eppure l’uomo muore facendo esperienza del
niente.
Perché ha sprecato la sua eternità.
Cioè ha sprecato questa sua possibilità che
aveva di pensare Dio.
L’ha sprecata in cose che passano.
A un certo punto non c’è più comunicazione
tra l’eterno e te.
E tu esperimenti il niente perché non c’è più
questa comunicazione.
Non si comunica più.
E non si comunica più perché in te non c’è
quello che è in Dio.
Il tuo niente in Dio non c’è ma in te c’è.
Quello ha creato un abisso e tu non riesci più a comunicare.
Tra il niente e Dio non c’è comunicazione.
Perché ci sia comunicazione bisogna che quello che è in te ci sia anche in
colui che ti dà.
In noi c’è il pensiero di Dio ma si resta con-, in quanto tu ti offri a-.
Noi abbiamo la possibilità di vivere in quanto ci offriamo a-, ci
dedichiamo a-.
E quindi pensiamo a-.
Dio è il vivente.
Noi viviamo
solo in quanto partecipiamo a Dio.
Quindi Dio dà a
noi la possibilità di partecipare in quanto dà a noi il suo pensiero.
Se noi ci
offriamo al pensiero di Dio, lì nel pensiero di Dio avviene la comunicazione ma
solo nel pensiero di Dio.
Se io anziché
pensare a Dio io vivo pensando ad altro, io non ho comunicazione con Dio.
Franco: Che rapporto c’è tra il tempo che passa e la luce di Dio?
Luigi: La luce di Dio nel nostro relativo.
Il tempo è la
manifestazione dell’eterno in ciò che non è eterno, è l’affermazione
dell’eterno.
Tu non
scopriresti il tempo, se tu non avessi presente l’eterno.
La gallina non
ha esperienza del tempo, il cane non ha esperienza del tempo.
L’uomo ha
esperienza del tempo.
Ma tu fai
esperienza del tempo in quanto hai la possibilità di fare un confronto, un
rapporto.
E questo
rapporto con chi lo fai?
Lo fai tra ciò
che è eterno e ciò che non è eterno.
Ora, l’eterno non
sei tu, per questo dico che l’eterno si può pensare solo eternamente.
Ma se tu
anziché pensare all’eterno pensi a ciò che non è eterno, in questo che tu
pensi, anziché pensare Dio, Dio afferma la sua eternità.
E affermando la
sua eternità ti fa cambiare e scomparire le cose.
Per cui mentre
io dico: “Io sono”, Dio sta già affermando su di me il suo: “Io sono”.
E il suo “Io
sono” affermandosi sul mio “io sono” lo annulla: è il tempo.
Per cui io che
dico: “Io sono”, domani non potrò più dirlo, perché?
Perché Lui ha
detto il suo: “Io sono”.
Quindi noi
viviamo soltanto nella misura in cui diciamo: “Tu sei”.
Soltanto nella
misura in cui noi diciamo: “Tu sei”, noi partecipiamo di quello che Lui è.
La vita è
partecipazione.
La vita è
comunione.
Ma questa
comunione non si verifica se noi non ci uniamo a ciò che noi non siamo.
Fintanto che io
dico: “Io sono” mi creo un abisso d’incomunicabilità con l’”Io sono di Dio”.
Perché avvenga
la comunicazione bisogna che quello che è in Dio sia in me.
In Dio c’è
l’”Io sono”, soltanto se dico: “Tu sei” c’è la comunicazione.
Ma se io dico:
“Io sono” c’è conflittualità tra il mio “io sono” e il suo “Io sono”.
E non ricevo
niente.
Ma l’essere di
Dio prevale e mi annulla il mio “io sono”.
E io muoio.
Tutti coloro
che muoiono non fanno altro che: “Signore io non sono, tu sei”.
Perché c’è la
morte nel mondo?
Perché l’uomo a
un certo momento ha cominciato a dire: “Io sono”.
E l’uomo
morendo finalmente dice: “Io non sono, Tu sei”.
GV 10 VS 29 - Ciò che il Padre mio mi ha dato, è più grande
di tutto e nessuno può strapparlo dalla mano del Padre.
Secondo tema – L'offerta: condizione per restare uniti.
Argomenti: Pierre Teilhard de
Chardin. La condizione per ricevere. La vita è capacità di offrirsi. Il tempo e
l’eterno. Ci si può dedicare solo a ciò che si ha presente. La possibilità di
occuparsi di Dio. Un termine comune necessario per la comunicazione. Occuparsi
dell’eterno. L’assoluto si comunica solo dove c’è l’assoluto. Il pensiero di
Dio nell’uomo. Il pianoforte divino. L’oggetto della dedizione. La salvezza sta
nel capire.
24-25/ Novembre
/1991
Domenica scorsa su questo versetto ci siamo
soffermati sul verbo “dare”.
“Ciò che il Padre mio mi dà”.
Ed abbiamo visto cosa c’è in profondità in
questo verbo.
Non basta che qualcuno dia qualcosa, perché
colui al quale si dona possa ricevere.
Ci sono delle condizioni.
Partendo dalla pietra, dal morto, dalla
gallina, dall’albero, abbiamo notato prima di tutto che non si può dare niente
a chi è morto.
Il morto non riceve.
E non si può dare niente ad una pietra.
La pietra non riceve.
Ci siamo chiesti perché non ricevono.
È lezione di Dio.
Tutto è parola di Dio.
E se Dio ci pone di fronte a lezioni come la
pietra e la morte, verso cui non si può comunicare niente, evidentemente questo
è per la nostra formazione nei nostri rapporti con Dio.
Dio dopo averci creati non ci abbandona a noi
stessi ma ci circonda di lezioni e tutti i giorni ci trattiene nella sua scuola
con le sue lezioni.
Per formare in noi la capacità di giungere
alla conoscenza di Lui.
Di giungere cioè alla vita eterna.
Perché la vita eterna è conoscere Lui.
E allora ci siamo chiesti che lezione Dio
vuole darci, presentandoci zone di incomunicabilità.
Esseri con cui non si può comunicare niente.
E lì c’è stata una grande distinzione.
Abbiamo detto che la condizione essenziale
per poter dare qualcosa, è di trovarsi con un essere vivente.
Soltanto all’essere vivente si può comunicare
qualcosa.
Ciò che è morto non riceve nulla.
Ciò che è pietra non riceve nulla.
E l’uomo può essere pietra.
E l’uomo può essere morto.
Cioè l’uomo può venirsi a trovare in una
situazione di incomunicabilità, cioè non riceve.
Di tutto questo noi ne facciamo esperienza in
sovrabbondanza.
E abbiamo visto invece che dove c’è vita:
l’albero, l’animale, l’uomo, si può comunicare qualche cosa.
E allora ci siamo chiesti: perché al vivente
si può comunicare e al non vivente non si può comunicare?
Per questo abbiamo detto che il dare, il
comunicare non è a senso unico.
Non basta che uno voglia dare perché l’altro
possa ricevere.
In chi riceve ci deve essere qualcosa di
particolare perché possa ricevere.
Altrimenti non riceve.
E allora la grande distinzione è tra vivente
e non vivente.
E ci siamo chiesti perché il vivente riceve.
Cosa c’è nel vivente da potere ricevere?
E abbiamo visto che la caratteristica della
vita non sta tanto nell’assimilazione o nella riproduzione.
Questi sono sintomi di vita ma non è la vita.
La caratteristica della vita sta nella
capacità di offrirsi.
La creatura riceve nella misura in cui è in
grado di offrirsi.
Per cui la comunicazione, il dare, è
strettamente condizionato, legato alla capacità nella creatura di offrirsi.
E poi abbiamo visto che anche nell’essere
vivente c’è dono e dono.
Ciò che riceve la pianta non lo riceve
l’animale.
Ciò che riceve l’animale non lo riceve
l’uomo.
Oppure ciò che riceve l’uomo non può
riceverlo l’animale.
E ciò che riceve l’uomo non può riceverlo la
pianta.
E allora c’è da fare una distinzione tra
vivente e vivente.
Perché non posso dare un libro ad una pianta
o ad un animale.
Perché non posso dare un orologio ad una
gallina?
E invece lo posso dare ad un bambino, lo
posso dare ad un uomo.
Che diversità c’è per cui uno riceve certe
cose e l’altro non le riceve?
Andando a fondo, abbiamo visto che non basta
offrire, abbiamo la qualità dell’offerta.
Abbiamo visto che l’albero, è vivo in quanto
si offre alla luce.
L’albero stesso, sotto un certo aspetto è
luce e riceve luce.
Ma l’offerta dell’animale è diversa dall’offerta
dell’albero.
E l’offerta dell’uomo è diversa.
Se io offro un orologio ad un cane, il cane
non lo accetta o non sa cosa farsene.
E l’uomo invece sa cosa farsene.
Perché?
Che diversità c’è tra l’uomo e l’animale?
Qualcuno ha detto che nell’uomo c’è la
consapevolezza del tempo.
Per questo sa cosa farsene dell’orologio.
Ma noi quando diciamo tempo cosa diciamo?
E andando più a fondo vediamo che l’uomo non
potrebbe riconoscere il tempo e quindi utilizzare l’orologio se non avesse
presente l’eterno.
Ogni conoscenza è sempre effetto di un
rapporto.
E anche la conoscenza del tempo, la
percezione del tempo è effetto di un rapporto.
Un rapporto con l’eterno.
Per cui il tempo è una manifestazione
dell’eterno in ciò che l’uomo ha presente di non eterno.
È l’eterno
che si manifesta, si afferma, si dichiara in ciò che l’uomo non ha
presente di eterno.
E l’uomo lì esperimenta il tempo ma non
potrebbe nel modo più assoluto, avere la percezione del tempo se l’uomo non
avesse in sé l’eterno.
E allora qui abbiamo una testimonianza
stupenda meravigliosa.
L’uomo sa farsene qualcosa dell’orologio,
perché l’uomo ha presente l’eterno.
Ha presente l’assoluto.
Ha presente l’infinito
E direi che sta misurando con l’orologio, lo
spreco che lui fa dell’eterno.
Dio ha posto in mano agli uomini l’orologio
perché misurassero lo spreco che loro fanno dell’eterno.
Perché l’uomo spreca l’eterno.
È come uno che buttasse via un tesoro per
avere una patacca.
E l’uomo ha questo tesoro immenso che porta
in sé.
Questa coscienza dell’eterno, dell’assoluto,
dell’infinito, la spreca dietro a cose che valgono niente.
“Non accumulate tesori in terra”, non valgono
niente.
Quando abbiamo accumulato tutto il mondo,
tutto il mondo ci viene portato via.
E invece Dio ci dà a disposizione l’eternità.
Ci dà a disposizione l’eterno e ci dice di
accumulare tesori in cielo.
Accumulate tesori nell’eternità.
Dove nessuno vi può portar via nulla.
Lì si raccomanda di accumulare.
Sforzatevi di entrare in questa eternità,
perché questa eternità è data a disposizione adesso.
Adesso è data a disposizione.
E chi non si sforza di entrare oggi
nell’eterno, certamente domani non entrerà.
L’eterno è un tesoro immenso che Dio ha messo
a nostra disposizione.
Ha messo a nostra disposizione!
Non è detto che noi utilizziamo questo
tesoro.
Noi lo sprechiamo questo tesoro.
Lo buttiamo via.
Senza renderci conto che trascuriamo la
parola di Dio.
Perché la parola di Dio dice a noi di non
accumulare tesori in terra ma in cielo.
Quindi accumula tesori nell’eternità.
Accumulare tesori nell’eternità, vuol dire
cercare di conoscere ciò che è eterno.
Perché l’eterno ci è dato.
Noi lo portiamo in noi, indipendentemente da
noi ed è quello che distingue noi dall’animale e dall’albero.
Motivo per cui l’uomo sa utilizzare
l’orologio e ogni altro essere vivente non sa utilizzare l’orologio.
Noi portiamo in noi questa dimensione eterna,
indipendentemente da noi.
E tutto quello che abbiamo in noi: Dio,
l’eternità, l’assoluto, l’infinito, il pensiero stesso di Dio che portiamo in
noi indipendentemente da noi, noi non possiamo ignorarlo.
Ma non lo conosciamo.
Non sappiamo che cosa sia.
Per questo Dio dice a noi di sforzarci per
entrare in quest’eterno.
Dice a noi di accumulare tesori in cielo.
Quindi questo sforzarci di entrare, questo
accumulare tesori in cielo, è segno evidente che dobbiamo sforzarci di
conoscere ciò che è dato a noi senza di noi.
Perché noi l’abbiamo e non sappiamo che cosa
è, non possiamo ignorarlo, però siamo responsabili della risposta che diamo a
questo.
Tutto ciò che è dato è un offerta, tutto Dio
ci offre: il suo pensiero, Se Stesso.
Ci offre la sua eternità.
Ci offre il suo infinito.
Ci offre il suo assoluto.
Ce lo offre.
Non è detto che noi lo valorizziamo.
Che noi si sappia valorizzarlo.
Ho detto che la caratteristica del vivente è
questa capacità di offrirsi.
Offrirsi che vuole dire dedicarsi.
Soltanto l’essere vivente è capace di
offrire.
La capacità di ricevere comunicazione, di
ricevere dati, essendo relativa ci introduce in un altro campo.
Ed è il campo che per offrire, dedicarsi,
bisogna avere presente qualcosa.
Qualcosa a cui dedicarsi.
L’animale non può ricevere né il libro, né
l’orologio perché non può dedicarsi al pensiero.
Non può dedicarsi all’eterno, all’infinito,
all’assoluto.
Perché non l’ha presente.
Perché non l’ha in sé.
Una pianta, può offrirsi alla luce ma non può
offrirsi alla luce eterna.
E non può offrirsi alla luce eterna perché
non l’ha presente.
L’uomo può offrirsi all’eterno, all’infinito,
all’assoluto, perché lo porta in sè.
Perché Dio creando l’uomo, ha posto nell’uomo
e soltanto nell’uomo, quest’infinito, assoluto, eterno che è Lui.
Ha posto Se Stesso in lui.
L’uomo ce l’ha.
Ma ho detto che avendolo ha la possibilità, è
non è detto che...
Non è detto che l’uomo si dedichi all’eterno.
L’uomo ha presente l’eterno ma ha presente
anche le creature.
L’uomo ha presente l’eterno ma vede il tempo.
Anzi subisce il tempo.
Avendo la presenza di altro da Dio, di altro dall’assoluto,
di altro dall’eterno, l’uomo viene a trovarsi in un campo di possibilità.
L’uomo è una potenza.
Ha la possibilità.
Ma avendo la possibilità di andare ad un
pranzo non è detto che uno ci vada.
Ha la possibilità.
E quando si ha la possibilità, si ha una
responsabilità.
C’è la responsabilità della risposta.
A ciò che gli è dato possibile.
L’animale, la pianta, non hanno la
possibilità di occuparsi di ciò che è eterno.
Quindi non sono responsabili.
L’uomo invece ha la responsabilità verso ciò
che è eterno, perché ha la presenza di ciò che è eterno.
Comunque l’importante è questo: condizione
essenziale perché uno possa offrirsi è essere vivente ma non basta.
Abbiamo creature che sono viventi ma non
possono offrirsi ad altro se non ciò che hanno presente.
Quindi la condizione è questa che l’essere
vivente può offrirsi solo a ciò che ha presente.
Ma ciò che ha presente, rende la creatura
responsabile della risposta che dà.
Allora la comunicazione, il dare, da un
essere all’altro, presuppone che ci sia un termine comune presente a tutti e
due.
Noi possiamo occuparci dell’eterno, quindi
ricevere comunicazioni di cose eterne, soltanto in quanto abbiamo presente in
noi l’eterno.
Avendo presente in noi l’eterno, non è detto
che noi ci dedichiamo a ciò che è eterno.
Se non ci dedichiamo a ciò che è eterno, la
comunicazione non passa.
Perché se non ci dedichiamo a ciò che è
eterno, è segno che noi ci dedichiamo a ciò che non è eterno.
E dedicandoci a ciò che non è eterno, noi non
possiamo ricevere comunicazioni dall’eterno.
E qui si crea l’abisso, l’incomunicabilità.
L’eterno dà, Dio dà e la creatura non riceve.
E perché non riceve?
Perché non ha presente l’eterno.
E perché non ha presente l’eterno?
Perché si occupa di ciò che non è eterno.
E allora qui capiamo la grande lezione di
Gesù.
Gesù è venuto a dirci di lasciare perdere
tutto ciò che passa.
Non occuparti delle cose che passano.
Cerca di occuparti delle cose che non
passano.
Perché soltanto se tu ti offri a ciò che non passa,
tu puoi ricevere comunicazione da ciò che non passa.
Altrimenti si crea un abisso, tra ciò cui tu
ti offri e l’eterno.
Perché l’uomo, dedicandosi a-, vivendo per-
altro da ciò che è eterno, infinito e assoluto, viene a trovarsi nella
situazione di incomunicabilità.
Dio parla, Dio dà, Dio offre e la creatura
non può ricevere.
E perché non può ricevere?
Perché per ricevere bisogna che ci sia un
termine comune.
L’infinito si comunica soltanto là, dove c’è
l’infinito.
L’eterno si comunica soltanto là dove c’è
l’eterno.
L’assoluto si comunica soltanto là, dove c’è
l’assoluto.
Ma evidentemente noi non siamo né eterni, né
infiniti, né assoluti.
E tutti ne facciamo l’esperienza.
Noi non siamo eterni, siamo soggetti al
tempo.
È evidentissimo che ciò che è assoluto,
infinito, eterno non subisce condizionamenti, non subisce mutamenti, quindi non
è condizionato da niente.
L’uomo invece, certissimamente subisce
condizionamenti.
Anche la mente dell’uomo a un certo punto
subisce rovina e distruzione.
E in questa creatura che si sta disfacendo,
c’è una parola di Dio che gli dice di occuparsi di ciò che è eterno, infinito,
assoluto.
L’uomo certamente non è infinito, assoluto ed
eterno.
Perché subisce condizionamenti.
Eppure ha la possibilità di dedicarsi
all’eterno.
Se ha questa possibilità, vuol dire che può
sfuggire al tempo.
Può sfuggire a ogni condizionamento, alla
morte stessa.
Ed è parola di Dio: “Chi viene dietro di Me,
non gusterà la morte”.
L’uomo ha questa meravigliosa possibilità ma
questa possibilità l’ha in un punto solo.
In quel pensiero di assoluto, d’infinito, di
eterno che l’uomo porta con sé.
Questo pensiero non è l’uomo ma lo porta in
sé.
L’uomo porta in sé il pensiero di Dio.
L’uomo non è l’assoluto e ne porta su di sé
le prove.
Però ha con sé il pensiero dell’infinito.
Ha con sé il pensiero dell’eterno, lo porta
in sé.
E se l’ha con sé, vuol dire che ha una
possibilità.
È vero che l’uomo può vivere per cose che
passano ma l’uomo può anche vivere per ciò che non passa.
Perché lo porta in sé, l’ha presente in sé.
Averlo presente vuol dire avere la
possibilità.
Non è detto che l’uomo si dedichi, si offra a
questo.
L’uomo può offrirsi ad altro a ciò che non è
eterno.
Ma se lui si offre a ciò che è eterno cosa
succede?
Eterno nell’uomo, eterno in Dio, qui abbiamo
comunicazione.
Come luce nel sole e luce nella pianta
abbiamo comunicazione.
La pianta capta la luce.
E così in tutto.
Se noi possiamo sentire il suono, il rumore
di una cosa ma è perché dentro di noi abbiamo la stessa corda che vibra dentro
di noi.
Se uno che sta suonando un pianoforte si fa
sentire, quindi comunica ciò che egli suona ad una creatura che sente, è perché
nell’orecchio della creatura ci deve essere un pianoforte.
Se non ci fosse nell’orecchio nostro un
pianoforte, il pianoforte che viene suonato da un altro, non potrebbe essere
assolutamente essere ricevuto dall’orecchio.
E non solo bisogna che in noi ci sia il
pianoforte ma bisogna che ci siano quelle corde che vibrano con la stessa
lunghezza con cui viene trasmesso.
Perché soltanto là, dove c’è la stessa
lunghezza d’onda c’è la comunicazione.
Ora, in noi nell’uomo c’è questo pianoforte
divino.
E l’uomo può percepire l’eterno, l’infinito,
l’assoluto, può percepire tutte le parole di Dio, tutto ciò che Dio dona e vuole
donare, per rendere la creatura partecipe di Sé.
Ma è necessario che le corde di questo
pianoforte divino che l’uomo porta dentro di sé, vibrino sulla stessa lunghezza
d’onda di Colui che trasmette.
La lunghezza d’onda è data da una sola cosa
in noi, dal pensiero dell’infinito, dell’assoluto, dell’eterno.
Ed è necessario, altrimenti resta scordato.
Il nostro pianoforte resta scordato.
E quando resta scordato non riceve niente.
È necessario che in noi ci sia l’offerta, la
dedizione, la consacrazione a questo pensiero di assoluto, d’infinito e di
eterno, perché arrivi la comunicazione.
E allora se avviene questa comunicazione, il
maggiore assorbe il minore.
Succede che l’infinito assorbe tutto il
nostro finito.
L’eterno assorbe tutto il nostro tempo.
E recupera tutto.
Quello di cui parlava Teilhard de Chardin.
Che il Tu di Dio
assorba, beva, annienti tutto ciò che di me è finito.
Tutto ciò che non è
Tu.
Qui è delineata
l’opera di Dio ma anche l’opera che è richiesta ad ogni creatura.
La creatura deve offrire
per ricevere.
E tutta la
creazione di Dio che è fatta senza di noi, è fatta per formare una creatura
capace di offrire.
Noi generalmente,
nel pensiero del nostro io, quando si parla di creatura che offre a-, noi
riteniamo sempre creatura che offre qualcosa di sé.
Denaro, sacrifici,
tempo, offerta delle proprie virtù, della propria ubbidienza, offerta della
propria volontà, dedizione eccetera.
Facciamo consistere
l’offerta della creatura in creatura che offre qualcosa di sé.
Non è questo che
conta.
Non è questo che
vale qualche cosa.
Non è offrendo
qualcosa che noi abbiamo che possiamo ricevere comunicazione dall’assoluto.
Abbiamo addirittura
fatto una virtù dell’offerta del nostro pensiero e della nostra intelligenza.
Non è offrendo
qualcosa di noi, non è offrendo qualcosa di finito che si entra in sintonia con
l’infinito.
Il problema non sta
nell’offrire qualcosa di noi a Dio.
Per poter ricevere
la comunicazione del’’infinito, dell’eterno, dell’assoluto, di Dio, il problema
sta in ciò cui ci si dedica.
Il problema non sta
in ciò che uno dedica, ma in ciò cui uno si dedica.
Il principio della
comunicazione, non sta nel dare noi qualcosa di noi.
La nostra corda qui
non vibra sulla stessa lunghezza d’onda di ciò che deve ricevere.
Perché il
pianoforte divino, lancia lunghezze d’onda infinite, all’infinito.
E ciò che è finito
non può ricevere comunicazione dall’infinito.
E allora è inutile
che noi facciamo consistere l’offerta di noi a Dio di qualcosa di nostro.
Il problema non è
questo. Dio non ha bisogno di noi.
Dio non ha bisogno
dell’uomo, è l’uomo che ha bisogno di Dio.
Quindi il problema
non sta nel dare a Dio qualcosa di noi.
Dio non è uno a cui
bisogna pagare le imposte.
Quello che conta
non è quello che noi sacrifichiamo o doniamo di noi a Dio.
L’offerta,
l’apertura a Dio non sta in questo.
Il problema sta in
ciò cui noi ci offriamo.
Ciò a cui noi
dedichiamo.
Il nostro pensiero,
la nostra intelligenza la nostra vita.
Il problema non sta
nel rinunciare all’intelligenza.
Nel rinunciare alla
volontà.
Nel rinunciare ad
amare.
Il problema non sta
lì, il problema sta nel dedicare l’intelligenza, la volontà, l’amore, la vita
all’eterno.
E soltanto se noi
dedichiamo (non rinunciamo) l’intelletto, la mente, il pensiero al pensiero di
Dio, a ciò che è infinito a ciò che è eterno, a ciò che è assoluto, solo lì
avviene la comunicazione.
Perché qui abbiamo la stessa lunghezza d’onda.
Solo lì possiamo ricevere e percepire i doni di
Dio.
“Ciò che il Padre mi ha dato”.
Qui c’è un salto di qualità immenso.
Qualcuno ha detto che corriamo troppo, è Cristo
che fa correre qui.
Qui è partito dalle pecore e poi passa a “Ciò che
il Padre mi dà”.
E ci sprofonda in questo rapporto tremendo,
immenso, infinito: ciò che il Padre dà al Figlio.
E non sono mica più pecore, non sono mica più
creature.
Cosa è questo “ciò”, non abbiamo più il plurale.
E ci dobbiamo sprofondare nella conoscenza di
questo.
Questo che il Padre dà al Figlio.
E ci rivela quello che il Padre vuole dare a noi.
Tutti i problemi che noi subiamo nella nostra vita
sono problemi di rapporto con l’infinito, l’eterno e l’assoluto che portiamo
dentro di noi.
Noi portiamo dentro di noi un ospite che ci rende
la vita terribilmente difficile.
E dobbiamo prendere coscienza che tutta questa
difficoltà, è creata dalla sua presenza.
Sua presenza non capita, non conosciuta.
Ma allora il problema essenziale sta nel passare
da ciò che portiamo in noi non conosciuto a ciò che portiamo in noi conosciuto.
Il problema sta nel passare da tutto quello che
abbiamo in noi senza di noi a quello che non possiamo avere in noi senza di
noi.
In noi abbiamo l’eterno, l’assoluto, l’infinito,
Dio.
Abbiamo tutto.
Manca una cosa sola, il capire ciò che noi
abbiamo in noi.
Il non capire ciò che noi abbiamo in noi, ci
butta all’inferno.
Uno capisce e conosce quando ha in sé il
principio di una cosa.
E soltanto guardando da Dio, noi possiamo capire
ciò che noi abbiamo in noi.
L’assoluto in noi è la condizione perché noi lo
possiamo pensare.
E quando pensiamo cosa facciamo?
Quando io penso una creatura o Dio, non faccio
altro che portarmi a guardale le cose dal punto di vista dell’altro.
E quando guadiamo Dio ci portiamo a guardare le
cose dal punto di vista di Dio.
Ma Dio è il principio e se ci portiamo a guardare
le cose dal punto di vista del principio, lì abbiamo il principio di tutto ciò
che abbiamo in noi.
E lì abbiamo la possibilità di capire.
Ora, fintanto che in noi c’è qualcosa, anche lo
stesso pensiero di Dio, che non capiamo da Dio, noi qui abbiamo la bomba
atomica che può distruggere tutto il nostro mondo e la nostra vita.
E tutto ciò che noi portiamo in noi, non capito
da Dio ci porta alla distruzione.
Ci scava un abisso d’incomunicabilità.
Soltanto quindi offrendo il nostro pensiero a
Dio, per guardare da Dio, abbiamo lì la possibilità di capire ciò che Dio ci ha
dato.
Sopratutto di capire cosa è il suo pensiero.
Il pensiero di Dio che portiamo in noi.
Cos’è questo pensiero di assoluto, di eterno,
d’infinito che portiamo dentro di noi.
Qui abbiamo la condizione essenziale per poter
capire.
E nel capire c’è la nostra salvezza.
Nel capire c’è la comunicazione dell’essere.
E nel capire si forma una cosa sola, tra Colui
che trasmette e colui che riceve.
GV 10 VS 29 - Ciò che il Padre mio mi ha dato, è più grande
di tutto e nessuno può strapparlo dalla mano del Padre.
Terzo tema - Legno secco e legno verde.
Argomenti: Tutto è opera di
Dio. L’unione è l’essenza della vita. L’intelligenza sulle opere di Dio.
L’anima della vita è la comunicazione. Bruciati dall’opera di Dio. L’offerta
della vedova nel tempio. Il superfluo e il necessario. La capacità di portare i
doni di Dio. La capacità di ricevere è proporzionale alla capacità di offrire.
Le condizioni per la comunicazione. Tutti gli uomini sono portatori del
pensiero di Dio. La lunghezza d’onda. La vita sta nel pensiero di Dio. Il
significato del fuoco. La pena di un dono non fatto.
1-2/ Dicembre /1991
Abbiamo visto la volta scorsa, ciò che forma
l’unità tra noi e Dio.
Il problema dell’unione con Dio è un problema
che s’impone nella vita dell’uomo e che è molto difficile.
L’uomo s’accorge di quanta difficoltà
incontri nel pensare con Dio e nel restare con Dio.
L’uomo è continuamente portato via a Dio dai
fatti e dagli avvenimenti.
Eppure i fatti e gli avvenimenti sono parole
di Dio.
È Dio che parla con noi.
Io vorrei vedere qualcuno che dice che “Dio
permette” e che non tutto è opera di Dio quando poi si afferma che Dio conduce
la vita di ogni uomo ad un fine ben preciso.
Come si fa a condurre gli avvenimenti, se non
si è padroni degli avvenimenti???
Come si può condurre la storia verso un fine
ben preciso.
L’universo va verso un fine ben preciso ed è
la gloria di Dio, l’affermazione della Verità.
Come si può fare questo se non si è padroni
della storia e di tutte le cose.
Dio è il Signore.
Dio è il Creatore.
Non ci sono altri creatori, non ci sono altri
signori.
Non c’è nessun altro che regna.
Dio solo è Colui che regna.
Quindi è Lui che inizia ogni cosa.
È Lui che governa ogni cosa.
Ed è Lui che conduce ogni cosa verso un fine
ben preciso.
Non è detto che l’uomo approdi alla pace di
Dio.
Perché per approdare alla pace di Dio, il
primo passo è quello di credere che tutto è voluto da Dio.
Perché Dio ci conduce nella sua pace, proprio
attraverso il suo parlare.
E la condizione per restare con uno che parla
è quella di accogliere le sue parole.
Non è detto che l’uomo riconosca in tutto il
parlare di Dio.
Ed è qui che c’è tanta difficoltà per restare
con Dio.
Noi nella nostra superficialità, attribuiamo
i fatti, gli avvenimenti, le cose vicine e lontane al destino, al caso, alla
natura, alle leggi, all’uomo, alle cause seconde.
E non ci rendiamo conto dell’errore immenso
che noi facciamo, perché facendo così, noi ci rendiamo impossibile il restare
con Dio, con Colui che parla con noi.
Abbiamo visto la volta scorsa che la
condizione per restare uniti a Dio.
Teniamo presente che l’unione è l’essenza
della vita.
Perché la vita è fatta di comunione.
Uno è il vivente, uno è l’essere assoluto e
la vita è l’unione con questo essere assoluto.
Noi non siamo viventi, siamo vivificabili.
Dio è il vivente.
Noi possiamo essere vivificati.
Vivificati dalla comunione con-.
Con Colui che è vivo.
Con Colui che parla.
Per restare in questa comunione e per
partecipare quindi di questa vita, abbiamo visto che è necessario capire da
Dio, tutto ciò che riceviamo da Dio senza di noi.
Credere che uno solo è Dio Creatore è l’anima
di tutto l’antico testamento ma è l’anima di tutta la creazione e della vita di
ogni uomo.
Uno solo è il Signore, uno solo è Colui che
governa tutte le cose e che conduce tutte le cose al loro fine.
È assolutamente necessario credere questo,
perché è necessario accogliere tutto da Dio, in quanto è Dio che fa arrivare a
noi tutte le cose senza di noi.
Gli avvenimenti, la storia, il tempo.
Il tempo passa e quanti di noi vorrebbero che
il tempo non passasse.
Eppure passa e noi siamo costretti a subire
questo tempo che passa.
Gli anni che passano, la vita che passa, è
tutto che passa.
Quindi noi subiamo.
C’è qualcuno che opera tutto questo su di
noi.
E quindi tutto questo mondo, dentro e fuori
di noi, che portiamo con noi, che arriva a noi indipendentemente da noi, ha
bisogno di essere capito.
Visto da Dio.
Non si arriva alla conoscenza di Dio senza di
noi.
Tutte le cose arrivano a noi senza di noi.
La luce di Dio, la conoscenza di Dio, la vita
eterna, non arriva a noi senza di noi.
Senza la nostra dedizione.
Il difetto che portiamo in noi, rispetto a quest’opera
meravigliosa di Dio è capire che cosa Dio comunica a noi, attraverso tutte le
cose che fa senza di noi.
Quindi abbiamo queste due grandi classi di
cose, di avvenimenti.
Avvenimenti che arrivano a noi senza di noi.
E poi la luce su questi avvenimenti.
La conoscenza di quello che Dio vuole
comunicare a noi, attraverso questi avvenimenti.
Gli avvenimenti, tutti, arrivano a noi senza
di noi.
Pura opera di Dio creatore.
Ma l’intelligenza di questi, la conoscenza
del pensiero di Dio, del significato che Dio vuole fare arrivare a noi,
attraverso tutte le cose che Lui fa e dice, questa non arriva a noi senza di
noi.
E perché non arriva senza di noi?
Perché la conoscenza, l’intelligenza, il
significato, richiede l’avere con noi il principio della cosa stessa.
Noi conosciamo veramente una cosa, quando
vediamo il principio di essa.
Quando abbiamo il principio di quella cosa.
Quando noi vediamo una cosa ma non conosciamo
il principio di essa noi non conosciamo la cosa.
Il principio di tutte le cose non siamo noi, il principio è Dio.
Per vedere le cose dal punto di vista di Dio,
è assolutamente necessario che noi superiamo il pensiero del nostro io.
Superiamo tutto di noi.
I nostri sentimenti.
I nostri desideri.
Le nostre passioni.
I nostri problemi.
Dobbiamo superare tutto, per portarci a
guardare dal punto di vista di Dio.
L’anima della vita che sta
nell’unione-comunione, sta nella comunicazione.
Dio parla con noi sempre, in tutto.
E quindi comunica con noi.
Da questa comunicazione intelletta viene la
comunione.
E quindi l’unione e quindi la vita.
Perché la vita è unione.
Ho detto che noi siamo vivificabili ma non
siamo vivi.
Perché noi possiamo accedere a questa vita, è
assolutamente necessario che la comunicazione di Dio sia intelletta da noi.
Dall’intelligenza della comunicazione arriva
la comunione.
Visto questo, questa sera noi dobbiamo
osservare che cosa è che ci mantiene disuniti da Dio.
Che forma questa disunione.
C’è questo rischio nella vita dell’uomo.
La disunione con Dio.
L’impossibilità di trovare questa unione con
Colui che è vivo.
L’impossibilità di arrivare a capire Colui
che sta parlando con noi.
Noi possiamo venirci a trovare fuori.
E mentre Dio parla in tutto, noi possiamo
venirci a trovare nella situazione di non capire assolutamente niente.
Assolutamente niente.
Sentiamo solo del rumore.
E nient’altro.
È necessario quindi capire cos’è che
determina in noi questa disunione, questa separazione, questo restare fuori dal
regno della Verità, della luce, della conoscenza.
Fuori dal regno della vita eterna.
E capire il significato.
Perché se Dio ci parla di questo rischio di
restare fuori, di restare bruciati, è perché il rischio c’è.
C’è per ognuno di noi, il rischio di restare
bruciati dall’opera di Dio.
Cristo parla di questo e se parla di questo
vuol dire che ha un importanza grande per noi, per la nostra vita.
E bisogna rendersi conto del rischio che c’è,
per evitarlo.
Come Cristo parla della fine di tutte le
cose.
Ed è una fine che riguarda ognuno di noi.
Prima che la nostra generazione passi.
Prima che la nostra vita finisca.
Tutti noi.
Ognuno di noi.
Personalmente.
Assisterà a questa fine del suo mondo.
A questo crollo di tutti i valori per cui è
vissuto.
Nessuno scampa a questo.
Se Cristo ci parla di questo e ce lo
annuncia.
Ce lo annuncia per evitare a noi di restare
tagliati fuori, di restare bruciati da questo crollo dei valori.
Noi possiamo restare bruciati da questo
crollo di tutto ciò per cui noi siamo vissuti.
Mentre dovevamo vivere per conoscere Dio.
Perché una cosa sola è necessaria.
Uno solo è l’impegno.
Noi il più delle volte diciamo di vivere per
lavorare, per guadagnare, per lo studio, per la carriera, per la famiglia,
mentre c’è una cosa sola che è assolutamente necessaria.
Quante volte ho sentito dire: “Io lavoro per
vivere”.
E per che cosa vivi?
“Vivo per lavorare”.
E lì è un cerchio chiuso di assoluta
assurdità.
Si lavora per vivere e si vive per lavorare.
Non c’è niente di più assurdo.
Ecco come noi annulliamo il significato delle
cose.
Chiudiamo un cerchio e non ci accorgiamo
dell’errore che stiamo facendo.
Dio ci ha dato la vita per ben altro.
Il problema è capire cosa è che ci divide da
questo Essere vivente, presente e che nessuno di noi può ignorare.
Che nessuno può dimenticare, anche se lo può
trascurare.
Lo possiamo bestemmiare, possiamo fare tutto
quello che vogliamo.
Però Lui è sempre lì, come un chiodo fisso,
come una montagna.
Sempre davanti a noi.
Può creare la nostra pace o il nostro
tormento.
Soprattutto può essere per noi la sorgente di
tutta la vita.
Cosa ci divide da Dio?
Il tema di oggi è legno secco e legno verde.
Gesù parla di questi due legni.
Durante la sua passione.
“Se fanno così del legno verde, cosa
succederà al legno secco?”
Parla di questo legno secco quando parla
della vite e del tralcio.
E dice che il tralcio può essere staccato
dalla vite.
E il tralcio staccato dalla vite secca.
E quando il legno è secco non c’è altra
soluzione che il fuoco.
Non c’è altra soluzione.
E allora dobbiamo dire che visto cosa è che ci
unisce, noi possiamo capire cos’è che ci disunisce da Dio.
E con quanta facilità noi restiamo disuniti.
Abbiamo visto in questi giorni il commento di
Gesù riguardo a quella povera vedova che nel tesoro del tempio getta due
quadranti, due soldini.
Gesù dice ai suoi discepoli: “Questa povera
donna ha dato più di tutti, perché tutti gli altri hanno dato il superfluo,
questa donna ha dato tutto quello che aveva per vivere”.
E c’è una lezione profondissima in questo.
Tutto ciò che diamo di superluo a Dio, non
serve per unirci a Dio.
Non è colla, non ci unisce.
Quello che ci unisce a Dio è soltanto ciò che
si dà a Dio e rappresenta tutto ciò che noi abbiamo per vivere.
E allora dobbiamo chiederci, che cosa noi
abbiamo per vivere?
E cos’è il superfluo?
Perché se dare a Dio il superfluo non ci
unisce a Dio, e quindi non ci dà la possibilità di trovare la vita, è molto
importante che noi ci chiariamo le idee nella nostra testa per renderci conto
cos’è questo superfluo.
Il più delle volte noi crediamo di fare
grandi offerte a Dio, grandi sacrifici a Dio e poi ci troviamo sempre con la
porta sbattuta in faccia da Dio.
Sempre fuori.
Sempre bussando ad una porta che non si apre.
E cos’è invece quel “tutto ciò che si ha per
vivere”?
Ciò che è più prezioso?
È più prezioso perché è quello che determina
in noi l’unione con Dio.
Abbiamo visto che non basta che Dio riversi
su di noi tutti i suoi doni.
Dio ci dà anche Se stesso.
Ma non basta.
Perché la condizione essenziale per potere
accogliere i doni di Dio, è che ci sia un anima capace di ricevere questi doni.
“Ho tante cose da darvi e dirvi!”.
Lui è venuto a darci la vita e noi sempre a
credere che ci abbia dato il suo corpo!
Lui ci ha dato la vita.
E la sua vita!
E la sua vita è il Padre.
E chi è che è capace di ricevere il Padre.
Non basta che Dio dia a noi tutto se Stesso.
Ha posto in noi Se Stesso.
“Voi non siete in grado di portare”.
È lì che incomincia la nostra tragedia.
Noi portiamo in noi un dono più grande di noi
che non siamo capaci di portare.
Ed è questo che ci crea il tormento e ci
porta all’inferno.
Non è sufficiente che Dio riversi su di noi
tutto di Sè.
Tutto è relativo alla capacità di ricevere e
di portare ciò che Dio ci dà.
Cos’è che rende noi capaci?
L’abbiamo visto le volte precedenti.
Quello che rende noi capaci di ricevere una
comunicazione, è ciò che noi siamo capaci di offrire.
Perché una comunicazione passi d-,a-, non
basta che ci sia uno che dia, è necessario che ci sia uno che si offra a
ricevere.
Altrimenti non passa.
Non solo, la condizione essenziale perché
arrivi la comunicazione che è vita, è necessario che ci sia la vita.
Soltanto la vita riceve la vita.
Però abbiamo visto che questo non è
sufficiente.
Dio ci presenta tante lezioni di esseri
viventi.
Sono parole di Dio.
C’è l’albero e la vegetazione.
Abbiamo gli animali.
Abbiamo gli uomini.
E tra gli uomini abbiamo tante differenze tra
uno e l’altro.
Abissi tra uno e l’altro.
E tutto per insegnarci qual’è la condizione
per ricevere ciò che Lui ci vuole dare.
E quindi fa tutta una graduazione, perché le
lezioni di Dio sono lezioni molto pazienti.
Lezioni graduate.
E con pazienza Lui ci fa crescere e ci
insegna come si ricevono i doni di Dio.
La vita è caratterizzata dalla capacità di
offrire e offrirsi.
Perché è dall’offerta che si riceve.
E ognuno riceve nella misura in cui offre.
È assolutamente essere in sintonia per
ricevere da colui che comunica.
E ci siamo anche chiesti da cosa è
determinata questa sintonia.
La sintonia è determinata non da ciò che noi
diamo ma è determinata da ciò o a chi noi diamo.
La condizione essenziale per dare qualcosa a
qualcuno è che questo qualcuno in qualche modo sia presente.
E presente cosa vuol dire?
Che sia pensabile.
Che uno lo possa pensare.
Non si può dare a qualcuno al quale non si
può pensare.
Dio, per dare a noi la capacità di essere in
sintonia con Lui e quindi di offrire a Lui, condizione per potere ricevere da
Lui, ha posto in noi il suo infinito, il suo eterno, il suo assoluto.
Ha posto in noi il suo pensiero.
Tutti gli uomini, santi o bestemmiatori, atei
o credenti sono portatori del pensiero di Dio.
La cosa più preziosa.
Ora, L’uomo non è pensiero di Dio ma è
portatore del pensiero di Dio.
Condizione essenziale, perché questo è
l’unico modo per potere avere presente Dio.
Per potere pensare Dio, è necessario che noi
abbiamo il pensiero di Dio.
Soltanto attraverso il pensiero di Dio noi
possiamo essere in sintonia con Dio.
Solo attraverso il pensiero di Dio.
Perché?
Perché soltanto
con l’infinito si è in sintonia con l’infinito.
E se l’uomo non
portasse in sé l’infinito, non potrebbe ricevere nessuna comunicazione
dall’infinito.
Il finito non
può minimamente ricevere l’infinito.
C’è un salto di
qualità.
Dio ha posto in
noi il suo pensiero, cioè ha posto in noi il suo infinito.
Noi non siamo
infiniti, però abbiamo la possibilità di pensare l’infinito.
Non è detto che
lo pensiamo, abbiamo la possibilità.
Qui è la chiave
di volta dell’unione e della perdita dell’unione.
L’unione è data
dalla comunicazione.
La comunicazione
richiede sintonia.
La sintonia
richiede un offerta da parte di chi riceve.
E una offerta
che sia sulla stessa lunghezza d’onda, del dono che Dio vuole dare a noi.
Se non c’è la
stessa lunghezza d’onda, non arriva la comunicazione.
C’è la frattura.
Ecco perché,
soltanto attraverso il pensiero di Dio, noi poasiamo accedere alla
comunicazione di Dio.
Ed ecco perché
tanti, hanno tanta difficoltà a ricevere la prima comunicazione di Dio: “Io
sono il Creatore, non c’è nessun altro”.
Io sono il
Signore, non c’è nessun altro.
Tutto è opera
mia e non c’è nessun altro.
Perché gli
uomini hanno tanta difficoltà?
Perché non si
mettono sulla stessa lunghezza d’onda di Dio.
Perché non si
dedicano al pensiero di Dio.
Il pensiero di
Dio è l’unico punto d’infinito che portiamo in noi.
Trascurato
questo, noi siamo tutti immersi nel finito.
E tra il finito
e l’infinito, non c’è nessuna possibilità di comunicazione.
E allora si
fanno solo chiacchiere e rumore senza comunicare assolutamente niente.
E restiamo
sempre nel nostro brodo.
E non ne
usciremo mai.
Nemmeno facendo
offerte a Dio da mattina a sera.
Perché tutto
quello che noi offriamo a Dio è tutto finito.
E il finito,
non entra in comunicazione con l’infinito.
E quindi il
finito non ci porta in comunicazione con l’infinito.
E quindi ci
rende incapaci di ricevere le comunicazioni di Dio.
E senza
comunicazione di Dio, noi non partecipiamo della vita.
Qui arriviamo a
capire “tutto ciò che uno ha per vivere”.
Se Dio è il
vivente, tutto ciò che noi abbiamo per vivere, è il pensiero di Dio.
Solo il
pensiero di Dio.
È tutto ciò che
noi abbiamo per vivere.
Però il Signore
dice: “Tutti hanno offerto del loro superfluo, questa povera donna, ha dato
tutto ciò che aveva per vivere”.
Qui possiamo capire
cosa è questo “superfluo”.
È molto
importante.
Perché noi di
disuniamo da Dio proprio offrendo a Dio il superfluo.
Il superfluo è
ciò che non è necessario per vivere.
Ciò che
s’aggiunge.
La cornice.
Tutto ciò che è
necessario per vivere è ciò che dà a noi la possibilità di comunione con Dio,
il Vivente.
Perché è da
questa comunione che viene a noi la vita.
Un punto solo,
una cosa sola è necessaria.
Il pensiero di
Dio.
Perché solo nel
pensiero di Dio c’è l’infinito di Dio.
E solo
nell’infinito di Dio c’è la comunicazione di Dio.
Però questo
pensiero di Dio va offerto a Dio.
Va offerto a
Dio!
Questa povera
donna ha offerto tutto ciò che aveva per vivere.
Soltanto
donando si riceve la comunicazione.
Soltanto
donando si riceve.
E ognuno riceve
nella misura in cui dona.
E se il
pensiero di Dio è l’unica cosa necessaria per vivere, soltanto donando il
pensiero di Dio a Dio, noi qui riceviamo la vita.
Qui possiamo
capire cos’è il superfluo.
Di fronte
all’infinito, tutto ciò che è finito è superfluo.
Perché?
Perché per
quanto noi aggiungiamo cose finite all’infinito, l’infinito non muta.
È inutile che
noi diciamo “per sua maggior gloria”.
L’infinito di
Dio, non ha assolutamente bisogno della creazione e delle creature.
Tutto ciò che è
finito, non modifica minimamente, né in più, né in meno l’infinito.
L’infinito è un
assoluto, esiste di per Sé.
Non cresce e
non diminuisce.
Superfluo per
l’infinito, è tutto ciò che è finito.
Il che vuol
dire che fintanto che noi diamo a Dio tutto ciò che è finito, noi ce lo possiamo
sognare di entrare in comunicazione con Dio.
Perché il
finito, non può entrare in comunicazione con l’infinito.
Ecco per cui
Gesù dice che hanno dato tutto il superfluo.
E sono rimasti
fuori.
Eppure ci sono
tante creature che danno tanto di sé, non è quello.
Il problema per
entrare in comunicazione con Dio, sulla stessa lunghezza d’onda, non è quello
che si dà, perché noi per quanto diamo diamo sempre cose finite.
E tutte le
nostre cose finite che noi possiamo dare a Dio, non ci fanno entrare in comunicazione
con Dio.
Noi restiamo
qui e Lui è là.
Soltanto se
abbiamo la possibilità di dare a Dio l’infinito, qui si entra in comunicazione
con Dio.
Ma l’infinito è
un punto solo in noi ed è il pensiero di Dio.
Allora cosa è
che ci crea il distacco da Dio?
Questo distacco
da Dio si forma in noi, in quanto offriamo a Dio il superfluo.
Noi viviamo per
i nostri fini e accumuliamo tante cose, la nostra vita è un accumulare.
La nostra vita
è un raccogliere.
Noi possiamo
dare a Dio tante cose, però...
Però noi viviamo
per altro.
E quello che
determina tutto in noi è ciò per cui noi viviamo.
Uno può vivere
e giungere a delle ricchezze enormi e giungere magari a possedere tutto il
mondo e quindi può offrire tanto a Dio.
Come
riconoscenza che Dio lo ha benedetto.
E invece tra
lui e Dio c’è un abisso enorme.
Non ha capito
niente.
Perché è
vissuto per altro da Dio.
Quindi il
problema non sta nell’offrire qualcosa di noi a Dio.
Il problema sta
nel dedicare a Dio il suo pensiero.
È soltanto per
mezzo di Dio che si conosce Dio.
Quindi soltanto
dedicando a Dio il suo pensiero che portiamo in noi, noi entriamo in
comunicazione con Dio.
Qui capiamo
perché si formi il distacco, l’incapacità a restare con Dio, in comunione con
Dio.
Qui possiamo capire
perché il tralcio può essere separato dalla vite.
Magari si resta
separati dalla vite facendo tante offerte a Dio.
Manca l’unica
cosa necessaria, manca la vita.
La vita sta nel
pensiero di Dio.
Se non offriamo
il pensiero di Dio a Dio, noi restiamo separati da Dio.
E separati da
Dio si è separati dalla vite.
E il tralcio
staccato dalla vite secca.
C’è questa
realtà nel mondo nostro.
E se c’è dobbiamo chiederci perché c’è.
Perché Dio ci fa vedere delle piante, in cui quando il ramo si stacca
dall’albero, secca.
Tutto è lezione di Dio per noi.
Perché c’è questa realtà?
Che cosa Dio ci vuole comunicare attraverso questo?
Lui lo dice a noi apertamente: “Io sono l’albero, la vite e voi i tralci”.
La lezione è tutta lì.
Ma perché il ramo non resta necessariamente attaccato all’albero?
Perché l’uomo può separarsi da Dio.
L’uomo per restare unito a Dio deve offrire a Dio il pensiero di Dio.
E soltanto da questa comunicazione vicendevole: Dio che dà a noi il suo
pensiero, noi che diamo a Lui il suo pensiero, soltanto lì si forma la
comunicazione e quindi l’unione.
L’unione con Dio è data da uno scambio reciproco, continuo, eterno di che
cosa?
Del pensiero di Dio.
Dio è generatore del suo pensiero, e noi riportiamo a Lui il suo pensiero,
per riceverlo nuovo da Lui.
Consapevolmente da Lui.
Perché la consapevolezza non si forma in noi, in quanto Dio dà a noi il suo
pensiero.
Tutti gli uomini sono portatori del pensiero di Dio.
E chi mai ci pensa?
E cosa ce ne facciamo?
Quando diamo un orologio a una gallina, la gallina non sa che farsene e Dio
ha dato a noi il suo pensiero e noi non sappiamo che farcene.
È la lezione di tutti noi.
Non basta che Dio dia a noi il suo pensiero, perché tutto quello che Lui dà
a noi, senza di noi, indipendentemente da noi, non può essere capito, non può
essere conosciuto.
Là dove non si capisce, non si conosce il dono che Dio dà a noi, là c’è
disunione con Dio.
Noi ci dividiamo da Dio perché non capiamo il dono che Dio ci fa.
E non possiamo nel modo più assoluto capire il dono che Dio ci fa, se non
lo guardiamo dal suo punto di vista.
Per cui è necessario offrire il pensiero di Dio che Dio dà a noi,
riportarlo a Dio per riceverlo nuovo da Dio.
Perché lì, in questo riceverlo da Dio, c’è la consapevolezza di cosa è
questo pensiero di Dio che noi portiamo in noi, senza di noi.
Se noi non capiamo da Dio, cosa è questo pensiero di Dio che portiamo in
noi, noi ci separiamo: legno secco.
E il legno secco ha una fine sola dice Gesù: il fuoco.
E il fuoco, se c’è, se esiste, anche il fuoco ha il suo significato.
Il significato del fuoco.
A un certo momento, tutto l’universo, tutte
le creature, tutti gli avvenimenti, tutte le cose, tutti i pensieri che
portiamo in noi diventano fuoco.
Fuoco che distrugge il ramo secco.
Che distrugge noi.
Brucia.
La conclusione è questa: o si è vivi o si è
secchi e si resta bruciati.
Tutta la creazione di Dio, tutta l’opera di
Dio a un certo momento diventa fuoco.
È il fuoco della fine del mondo, della fine
dei tempi, della fine della vita di ognuno di noi, man mano che la vita passa.
Tutte le creature diventano fuoco che ci
brucia.
Perché se le cose non son capite ci bruciano
e noi restiamo bruciati.
E bruciati si diventa cenere.
“Cenere sei e cenere ritorni”.
Ma Dio non ci ha creati per diventare cenere.
Dio ci ha creati per fare una sola cosa con
Lui.
Dio ci ha creati per renderci partecipi della
vita eterna.
E questo non è cenere.
La cenere è effetto del fuoco.
E si subisce l’effetto del fuoco quando si è
separati da Dio, quando si è legno secco.
Si si è legno vivo non si subisce l’effetto
del fuoco, anzi si assorbe tutta la creazione.
E tutte le creature ci aiutano a conoscere
sempre di più Dio.
Perché tutte le creature sono serve di Dio.
Diventano fuoco per chi ha perso il contatto
con Dio.
E bruciano tutto di noi.
Per riciclarlo.
C’è anche un ricliclaggio in questo regno di
Dio.
Riclaggio di tutto, eccetto una cosa sola: il
pensiero del nostro io.
Soltanto la scemenza non è riciclata nel regno
di Dio.
Ma questo diventa già inferno.
C’è l’opera del fuoco e c’è la
disintegrazione.
Disintegrare che si forma in noi, quando noi
non apriamo a Dio il nostro pensiero.
Quando noi non offriamo a Dio il suo
pensiero, in noi si forma un blocco.
Un blocco che ci fa strettamente dipendere
dalle creature, dalle cause seconde.
Dal denaro, dalla salute, dalla vita, da
quello che dicono gli altri, dall’autorità, dalle istituzioni, ci fa figli di
queste cose mentre dovremmo essere figli di Dio.
E il fuoco distrugge questo, perché per noi
la creazione diventa ragione di vita.
Abbiamo accennato la volta scorsa che non si
può portare via un osso a un cane.
Quello mi sbrana.
E perché non si può portare via l’osso a un
cane?
Semplicemente perché l’osso per il cane è una
ragione di vita.
E quando Dio non è la nostra ragione di vita,
cioè viviamo per altro, ognuno di noi ha il suo osso.
Da cui nel modo più assoluto, né lui può
separarsi, né gli altri lo possono separare.
E allora si scatena la guerra perché nessuno
di noi vuole mollare il proprio osso.
Ecco la grande assurdità che si forma in noi.
Noi scambiamo per ragione di vita, ciò per
cui viviamo.
Io vivo per il denaro e il denaro a un certo
punto diventa la mia ragione di vita.
Ecco l’assurdità.
E il fuoco arriva qui, arriva qui per rompere
ciò che noi non vogliamo mollare.
E mollare l’osso è la condizione essenziale
per riportarci nudi alla meta.
Nudi, senza più niente, senza più ossi.
Soli con Dio.
Forse, non è detto...
Due sono le grandi soluzioni: o noi portiamo
a Dio il pensiero di Dio e nel pensiero di Dio c’è la comunicazione, perché
soltanto nell’infinito c’è la comunicazione dell’infinito e allora noi siamo
fatti partecipi di questa Vita senza fine, anzi è un crescendo all’infinito.
Oppure noi offriamo soltanto a Dio il
superfluo, perché forse è meglio tenerselo amico e allora qualcosa gli offro
del superfluo.
Noi diamo via quello che ci avanza nel piatto
e per noi la giustizia è fatta.
Noi diamo a Dio quello che ci avanza nel
piatto e allora in noi resta questo tormento e questa nostalgia di un dono non
fatto.
Questa è la pena: un dono non fatto.
Di un offerta non compiuta.
Quindi abbiamo due grandi soluzioni, la prima
che ci porta alla conoscenza di Dio, alla vita eterna e l’altra che ci porta ad
un tormento, ad una pena eterna.
GV 10 VS 29 - Ciò che il Padre mio mi ha dato, è più grande di
tutto e nessuno può strapparlo dalla mano del Padre.
RIASSUNTI Domenica –
Lunedì.
Argomenti: La realtà illumina
la parola. Il non capito brucia. I dogmi. Cristo: salvezza o rovina. Il Figlio
è la conoscenza del Padre. Il pensiero (Figlio) è la predicazione dell’essere.
Il compimento del Figlio. La comunicazione di Dio. Il tempo è una parola di Dio
non capita.
8-9/ Dicembre /1991
GV 10 VS 29 - Ciò che il Padre mio mi ha dato, è
più grande di tutto e nessuno può strapparlo dalla mano del Padre.
Quarto tema - Natale in Cielo.
Argomenti: Le condizioni per la
comunicazione: vita – sintonia – offerta. Da servi a figli. Il pranzo di nozze.
La Verità opera convincendo. La conoscenza di Dio. L’assoluto. Il pensiero
dell’assoluto. Le due comunicazioni di Dio: Generazione-Creazione. Dio parla
per comunicare Se Stesso. Potenza e atto. Il Natale eterno. La possibilità di
diventare figli di Dio. L’intelligenza del segno. Le contraddizioni del Natale.
15-16/ Dicembre
/1991
Stasera dobbiamo fermarci su questa
dichiarazione di Gesù: “Ciò che il Padre mio mi ha dato”.
Come ogni parola di Gesù è una proposta.
Dobbiamo quindi chiederci cosa Dio vuole
comunicarci di Sé.
Quale lezione Dio vuole darci?
Dio parla in tutto.
Lui solo è il Creatore.
Tutto è parola sua.
Dio regna in tutto.
In tutto.
E poiché Lui solo è il Creatore, tutto è
parola sua.
E attraverso il suo parlare, Lui vuole
comunicare a noi qualche cosa.
Però abbiamo visto le volte precedenti che
non basta che ci sia uno che voglia comunicare.
Perché la comunicazione sia possibile è
necessario che non ci sia soltanto Colui che parla ma ci sia anche chi ascolta.
E che sia in grado di ascoltare.
Non basta che ci sia uno che doni, bisogna
che ci sia uno capace di ricevere i doni.
Non si può dare niente ad una pietra.
La pietra non riceve.
Ad un animale si può dare un libro ma
l’animale non riceve il libro.
E anche tra uomo e uomo ci sono differenze
abissali.
Per cui non basta che ci sia uno che doni.
Non basta che ci sia Dio che doni.
È necessario che la creatura sia in grado di
ricevere il dono che Dio vuole fare.
E quando abbiamo parlato di questo abbiamo
visto che perché la comunicazione passi dal donante al ricevente, è necessario
che ci sia una sintonia.
E questa sintonia richiede la stessa
lunghezza d’onda.
E la lunghezza d’onda deriva dall’avere lo
stesso pensiero di Colui che comunica a noi.
È ciò per cui si vive che determina in noi la
lunghezza d’onda per cui si riceve.
E quando si parla di ciò per cui si vive, si
richiede sempre da parte della creatura un offerta.
Quando viviamo per-, noi ci offriamo a-.
Ed è proprio in ciò che noi siamo capaci
d’offrire a-, che si forma in noi la capacità di ricevere.
La nostra capacità di ricevere è sempre
relativa a ciò che noi siamo capaci di offrire.
E se arriva il giorno, in cui noi non siamo
più capaci ad offrire niente, lì siamo chiusi, siamo completamente tagliati
fuori, non possiamo più ricevere niente.
L’uomo può giungere a questo giorno tremendo
in cui viene a bussare inutilmente ad una porta che non si apre.
Tutto è relativo all’offerta.
Abbiamo detto che l’essere capace di offrirsi
e di offrire, è solo l’essere che è vivo.
Infatti la pietra non riceve niente perché
non offre niente.
Ed ognuno è fatto capace di ricevere nella
misura in cui offre.
Tutto dipende dal fine, il vivere per-, è lì
che si crea la sintonia.
Soltanto vivendo per conoscere Dio, si crea
la sintonia con ciò che Dio vuole comunicare a noi.
E allora la sintonia la comunicazione passa.
“Ciò che il Padre mio”, è un’affermazione.
Un affermazione che è una proposta.
Quando dice “Ciò” noi non capiamo più niente.
Cos’è che il Padre dà al Figlio?
Se Gesù lo dice, non lo dice mica per Sé.
Lo dice per noi.
Ogni parola di Dio è un occasione, quindi un
offerta.
E se lo dice per noi, è per dare a noi la
possibilità, l’occasione di capire.
“Ciò che il Padre mio dà a me”, Lui dichiara
apertamente di essere Figlio.
E quindi ci propone di capire, perché se
parla parla per farci capire.
Non parla per metterci spalle al muro.
Parla per dare a noi la possibilità e la
capacità di capire ciò che Egli dice.
La parola di Dio è sempre un ponte.
Se Dio non parla, noi ci spegniamo.
Noi viviamo nella misura in cui Dio parla a
noi.
È Lui con le sue parole che ci tiene in vita.
“L’uomo vive di ogni parola che esce dalla
bocca di Dio”.
Non parole che escono dalle bocche degli
uomini.
E questa è una parola: “Ciò che il Padre mio
mi ha dato”.
Cos’è che il Padre dà al Figlio?
È una proposta.
È una proposta perché è un segno.
Ogni parola è una proposta.
E tra il segno e ciò che è significato nel
segno, a volte passa tutta una vita e non è detto che noi giungiamo a capire.
Però da parte di Dio, in quanto parla, Lui
vuole comunicare qualche cosa di Sé a noi.
E nella misura in cui noi, per grazia di Dio,
giungiamo a conoscere ciò che Dio ci comunica, noi entriamo nella vita eterna.
La Verità è eterna.
Noi possiamo non giungere a conoscere la
Verità.
Ma chi conosce la Verità, trova la Verità.
Dio è la Verità.
Chi conosce Dio trova Dio ma Dio si trova
solo conoscendolo.
Non si trova in altro modo.
La Verità non puoi trovarla in altro modo.
Ma quando tu la conosci l’hai trovata.
E quando l’hai trovata resta eterna.
La Verità non muta.
Dio non muta.
Dio è l’assoluto.
Il problema è capire, quindi il problema è
conoscere.
Quando si è conosciuto quello resta.
Il che vuol dire che il grande salto di
qualità che avviene nella nostra vita, sta nel passaggio dal non conoscere al
conoscere.
Gesù dice: “Non vi chiamo più servi ma vi
chiamo amici, perché vi ho fatto conoscere”.
“Vi ho fatto conoscere tutto quello che ho
ricevuto dal Padre mio”.
Qui sta comunicando.
Sta proponendo.
E lo sta proponendo per farci passare dalla
situazione di servi, alla situazione di amici e quindi alla situazione di
figli, familiari suoi.
Questa è l’opera del Figlio.
Lui dice: “Ciò che il Padre”.
Questo è un segno.
È una proposta.
Quando uno riceve una proposta, non è detto
che s’impegni a capirla.
La proposta è
un pranzo a nozze.
E noi abbiamo la parabola del Signore che di
fronte all’invito al pranzo di nozze trova gli invitati che dicono: “Io ho i
buoi, io ho i campi, io ho la moglie, abbimi per giustificato, io non posso
venire”.
E al giorno d’oggi quanti dicono: “Io ho le
mie regole, io ho il mio istituto, io ho i miei doveri, io ho i miei impegni,
non posso venire”.
E Gesù qui è netto, deciso: “Tutti coloro che
si giustificano dicendo: io ho le mie regole, io ho i miei impegni, io ho i
miei doveri...tutti costoro non assaggeranno la mia cena”.
Dio non fa dei complimenti, Gesù è netto.
E lo ringrazieremo infinitamente di questa
nettezza, perché ci fa vedere la via proprio con la nettezza.
Quindi di fronte alla proposta, non è detto
che l’uomo aderisca.
Se aderisce e quindi s’impegna in ciò che gli
viene proposto, allora quando giunge, ringrazierà infinitamente il Signore.
Se invece non s’impegna non giungerà mai a
gustare il pranzo di nozze.
Non arriverà mai, eternamente.
Entreranno tutti: zoppi, ciechi, malati,
morti, perché Dio è anche capace di resuscitare i morti,
Ma tutti coloro che hanno trovato una scusa,
che si sono giustificati, in nome magari di cose sacre e non si sono impegnati
a cercare di capire quello che il Figlio di Dio proponeva, questi nel modo più
assoluto non possono entrare, perché si entra per grazia di Dio.
Come si giunge a un pranzo di nozze su
invito: è per grazia di colui che invita.
Quindi in questo: “Ciò che il Padre mio mi ha
dato”, c’è questa proposta che è un invito.
Un invito a capire che cosa?
Un invito a capire che cosa il Padre dà al
Figlio.
Intanto ci presenta che c’è un Padre e c’è un
Figlio.
È parola di Dio anche questa.
Il che vuol dire che Dio è Padre e genera un
Figlio.
E poi dà qualche cosa a questo Figlio.
E noi siamo invitati a capire questo qualche
cosa che il Padre dà al Figlio.
È deve essere importante per la nostra vita.
Perché Dio parla per condurre noi alla nostra
vita.
E Lui dice che la vita sta nel conoscere Dio
come vero Dio.
Quindi soltanto nella misura in cui uno
s’impegna, si dedica a capire ciò che la parola di Dio gli annuncia e gli
propone, forse (non è detto) ha la possibilità di arrivare a capire.
Intanto vediamo che Dio opera ogni cosa per
farsi capire.
Quindi per farci entrare.
Tutto Dio opera per farsi conoscere, per dare
la vita.
La vita è
conoscenza.
Quindi la
conoscenza viene da Dio.
Viene da Dio!
Ed è nella
conoscenza che c’è un salto di qualità.
Tutti sono
servi di Dio, perché tutti ubbidiscono a Dio e Dio regna in tutto.
Anche il
demonio ubbidisce a Dio.
Anche l’inferno
ubbidisce a Dio...e come fila!
Perché Dio è
Colui che regna in tutto.
Però una cosa è
essere servi e una cosa è essere amici.
Una cosa è non
potere sempre restare in casa, altra cosa è potere restare sempre nella casa.
Una cosa è
essere consapevoli della Verità di Dio, della presenza di Dio, del parlare di
Dio in tutto, altra cosa è subire i fatti e gli avvenimenti e non potere capire
niente.
E l’uomo può
venirsi a trovare in questa situazione di restare sempre fuori.
Chi è fuori è
nella notte.
“Dov’è pianto e
stridore di denti” dice Gesù.
Quando non si
capisce c’è questo pianto e stridore della nostra anima.
E quando una
luce giunge, c’è questa gioia che comincia dal di dentro.
Perché Dio
opera dal di dentro, Dio opera convincendo.
Dio non opera
imponendo.
Le autorità del
mondo operano imponendo, comandano, minacciano.
Dio in tutte le
cose, opera convincendo.
Dio non ha
bisogno di servi, se li crea, non ha nessuna difficoltà a crearli.
Dio chiede
degli amici, dei famigliari, delle anime che lo conoscano, che partecipino di
quello che Lui è.
Vuole renderci
consapevoli.
La Verità opera
convincendo.
E se anche qualche
volta Dio comanda e ordina, comanda e ordina solamente per impedire a noi di
morire.
Perché l’uomo
sta correndo verso la sua morte, è l’uomo stesso che si scava la propria tomba.
È una cosa
meravigliosa l’uomo che può ricevere la comunicazione di Dio che è Luce, la
luce era la vita degli uomini, poi gli uomini hanno perso quello che era in
principio.
Dio tutte le
opere che fa, le fa per farci fare questo passaggio da servi ad amici.
Fino a farci
fare una sola cosa con Lui.
Ma tutto questo
avviene attraverso la conoscenza.
Attraverso la
comunicazione.
Ma Dio
comunica?
Comunica
veramente?
E perché
comunica?
E perché Dio
vuole farsi conoscere?
Dio, essendo
l’essere assoluto, non è condizionato da niente.
È eterno,
perché non è condizionato.
Non subisce mutamenti.
Se non subisce
mutamenti non è soggetto al tempo.
Dio non è
soggetto al tempo, quindi è eterno.
L’assoluto è
eterno.
L’assoluto è
infinito, appunto perché non è condizionato da niente.
Ma di più
ancora, l’assoluto, proprio perché non è condizionato conosce perfettamente Se
Stesso: è trasparente.
La Verità è
trasparente in Sè.
Dio è
trasparente in Sé.
Non solo la
l’assoluto è uno.
L’uno è
infinito.
L’infinito non
è una somma di cose finite.
L’infinito non
si raggiunge attraverso tanti numeri finiti.
C’è un salto di
qualità tra il finito e l’infinito.
L’uno è
infinito.
Dio è uno.
Un essere solo,
assoluto, eterno e infinito.
L’assoluto è
consapevole di Sé, è Se Stesso.
Noi non siamo
consapevoli di noi.
Noi non siamo
mai noi stessi.
Noi non possiamo
essere noi stessi.
Noi siamo
sempre fatti da qualcos’altro da noi.
Ed è per questo
che non ci conosciamo.
In quanto siamo
composti di altro da noi.
L’assoluto non
è composto di altro da Sé.
Fuori
dell’essere assoluto non c’è niente.
Lui solo è.
Dio si
definisce come Colui che è.
E quindi
proprio perché è assoluto e quindi è perfettamente consapevole di Sé, genera il
pensiero di Sé.
Genera il
pensiero di Sé!
E questo è il
Figlio.
Ma nella
generazione del pensiero di Sé, l’assoluto non fa altro che comunicare Se
Stesso, non può comunicare altro.
Perché Lui solo
è.
Il pensiero di
Dio, è Dio stesso.
Essendo
pensiero di-, conosce perfettamente l’essere che lo genera.
E conoscendo
l’essere che lo genera, conosce Se Stesso come generato da quell’essere lì.
Il Figlio
riceve l’essere dal Padre.
Per cui
ricevendo l’essere dal Padre, Figlio e Padre sono un essere unico.
L’essere è uno
solo, le persone sono due.
Perché l’essere
che genera il suo pensiero è generante e il pensiero è generato.
E se uno è
generato e l’altro è generante, le persone sono due.
L’essere è uno
solo ma le persone sono due.
La prima grande
comunicazione che la Verità dà di Sé, la dà attraverso la generazione di Sé,
cioè suo Figlio.
Due sono i
grandi modi attraverso cui Dio comunica Se Stesso.
Dio comunica Se
Stesso attraverso la generazione.
Dio comunica Se
Stesso attraverso la creazione.
Le due grandi
vie, attraverso cui Dio manifesta, annuncia, comunica Se Stesso.
Dio comunica Se
Stesso attraverso la generazione e la comunica soltanto a suo Figlio.
Solo a suo
Figlio.
Per cui solo
suo Figlio partecipa per generazione quindi consapevolmente.
La generazione
avviene unicamente per partecipazione consapevole da Dio.
Quindi la prima
grande comunicazione, avviene per generazione.
Poi abbiamo
l’altra via: Dio comunica Se Stesso e non può comunicare altro da Sé, poichè
Lui solo è, attraverso la creazione.
La creazione è
tutta comunicazione di Dio.
Dalle stelle
lontanissime, al tempo, allo spazio, alle creature.
Le
creature(finite in sé) sono infinite perché Dio è infinito.
Tutto è
comunicazione di Dio.
E che
differenza c’è tra creazione (comunicazione di Dio) e generazione
(comunicazione di Dio)?
Nella
generazione Dio comunica Se Stesso rendendo consapevole, per cui chi nasce da
Dio per generazione, nasce consapevolmente.
Nella creazione
non si nasce invece consapevolmente.
Noi non siamo
nati consapevolmente.
Noi tutti i
giorni riceviamo comunicazioni di Dio ma a nostra insaputa.
Noi siamo bombardati
da parole di Dio tutti i giorni, perché tutto l’universo, tutti i fatti, tutta
la storia è Dio che comunica Se Stesso a noi.
E comunicando
ci fa essere.
Ci comunica
qualcosa di Sé.
Ma non per
partecipazione nostra.
Noi subiamo.
Noi la stiamo
subendo questa comunicazione, non vi stiamo partecipando.
Eppure
attraverso tutta la creazione, Lui non fa altro che predicare Se Stesso.
E se predica,
predica per comunicare qualcosa di Sé.
Per cui noi in
tutte le cose, dovremmo sempre chiederci che cosa Dio vuole comunicare di Sé a
me, attraverso questo avvenimento, attraverso questo fatto.
Attraverso
questa parola che cosa Lui mi comunica di Sé?
Perché il
problema è quello.
Dio comunica
Sé.
Dio non
comunica mica altro.
Dio non è un moralista
e Cristo non è un moralista.
Cristo non è il
maestro di morale.
Cristo è
rivelatore.
Dio non è un
principio di morale.
Lui parla per
comunicare Se Stesso.
Per farsi
conoscere.
Ma abbiamo
detto fin dall’inizio che Dio per comunicare Se Stesso alla creatura che non
nasce per generazione ma dal niente deve formare una creatura capace di
ricevere.
Dio è tanto
potente che comunica Se Stesso al niente.
Noi siamo
niente.
È a questo
niente che Dio comunica Se Stesso.
Per renderci
partecipi.
Noi che un giorno
no eravamo.
Dio per grazia
sua, ci sta facendo coscienti al punto di renderci coscienti di chi Lui è.
Noi che eravamo
niente.
Che forse
ancora adesso siamo niente.
Cosa succede
affinché questo niente possa ricevere la comunicazione di Dio?
Teniamo presente
che affinché ci sia una comunicazione, non basta che Dio crei le cose.
Bisogna che Dio
formi una creatura capace di ricevere la sua comunicazione.
Se Dio parla e
opera in tutte le cose per comunicare Se Stesso, lo comunica a qualcuno che sia
in grado di ricevere.
Ma questo
qualcuno è Lui che lo fa.
Quindi Dio
creando forma una sua creatura, capace di ricevere la sua comunicazione.
E dire
“creatura capace di ricevere la sua comunicazione”, cosa vuol dire?
Quando una
creatura è capace di ricevere la comunicazione di Dio?
Le
comunicazioni di Dio avvengono in quanto c’è sintonia.
Sintonia in
quanto uno ha la possibilità di guardare colui dal quale gli viene la
comunicazione.
È la presenza
dell’altro che mi rende capace.
Devo essere in
sintonia con la presenza dell’altro.
Se la
condizione perché la comunicazione passi è che nella creatura ci sia il
pensiero di Dio, Dio dà all’uomo il suo pensiero.
Altrimenti
siamo nel campo del finito.
E fintanto che la
creatura è finita e non ha la possibilità di avere in sé qualcosa d’infinito,
non può certamente passare dal finito all’infinito.
Soltanto se
nella creatura c’è la possibilità dell’infinito, qui c’è la possibilità della
comunicazione di Dio.
E qui un termine
nuovo è venuto fuori.
Il termine
“possibilità”.
Nel Figlio di
Dio non c’è la possibilità.
Nell’uomo c’è
la possibilità.
Il Figlio di
Dio è tutto pensiero di Dio.
Appunto perché
è pensiero di Dio, conosce perfettamente il suo generante.
La creatura umana
invece è un niente che Dio a poco per volta forma e poi in questo niente mette
la possibilità di avere il pensiero di Dio.
In questa
creatura Dio pone il suo spirito, pone il suo pensiero.
Notate bene che
il Figlio di Dio è pensiero di Dio, la creatura non è pensiero di Dio.
Però porta in
sé il pensiero di Dio.
E in quanto
porta il pensiero di Dio ha la possibilità di pensare Dio, è potenza, non è
atto puro.
Il Figlio di
Dio è atto puro.
La creatura non
è atto puro, è potenzialità.
Il che vuol
dire che ha la possibilità.
Il che vuol
dire che la creatura può pensare Dio.
Non è detto che
lo pensi.
La creatura può
pensare Dio.
L’uomo può
fermare la sua macchina, scendere sul bordo della strada, fermarsi un momento e
stare lì a pensare Dio.
È un miracolo,
una cosa straordinaria, immensa questa.
Tutto
l’universo è in attesa che l’uomo si fermi e si metta a pensare Dio.
Che in noi ci
sia la presenza di Dio, tutti quanti noi ne siamo testimoni.
Perché è la
presenza di Dio che fa noi persone.
Altrimenti
saremmo animali.
Noi avendo la
possibilità di pensare Dio, siamo questa potenza che può diventare atto.
Che può
diventare quindi pensiero di Dio.
Che può pensare
Dio.
E se si ferma a
pensare Dio, lì abbiamo l’accesso, il passaggio obbligato, abbiamo il pensiero di
Dio.
Il pensiero di
Dio è Dio stesso.
Il pensiero di
Dio è un infinito.
L’infinito è
uno.
Il che vuol
dire che nell’uomo c’è un punto solo in cui l’uomo può accedere alla conoscenza
di Dio: il pensiero di Dio.
Fuori di questo
punto, tutto è finito nell’uomo.
E l’uomo
potrebbe offrire tutte le sue ricchezze, tutto il suo tempo ma l’uomo
offrirebbe a Dio soltanto del superfluo.
Perché
offrirebbe del finito all’infinito.
E il finito
offerto all’infinito è tutto superfluo.
Perché non
modifica assolutamente l’infinito.
Tutti i numeri
aggiunti all’infinito, non modificano assolutamente l’infinito.
L’uomo ha
soltanto un punto solo in cui può accedere a Dio ed è il pensiero di Dio che
porta in sé.
Allora abbiamo
questa meraviglia: l’uomo porta in sé il pensiero di Dio e può pensare Dio.
Non è detto che
lo pensi.
Per cui il
pensiero di Dio nell’uomo è una proposta, è un offerta, un offerta che l’uomo
può perdere perché le offerte passano.
“Non sempre
avrete Me” dice il Signore.
E poi abbiamo
la altra grande comunicazione del Figlio di Dio.
Del Figlio di
Dio che nasce da Dio per generazione, quindi consapevolmente.
Consapevolmente
perché è pensiero di Dio.
Ed essendo
pensiero di Dio, non fa altro che conoscere il suo generante.
Siamo partiti
dicendo: “Ciò che il Padre mi dà”, questo è ciò che il Padre gli dà.
Il Padre dà al
Figlio questo: la possibilità di guardarlo, di contemplarlo, di vederlo, di
conoscerlo.
Di conoscere
che cosa?
Il suo
principio.
Colui che lo
genera.
Ed è
contemplando, guardando, conoscendo il suo principio che il Figlio conosce Se
Stesso.
Il Figlio anche
come conoscenza, riceve la conoscenza dal Padre.
È attraverso la
conoscenza che Lui riceve l’essere del Padre.
Perché l’essere
è uno solo.
Perché il
Figlio dice a noi: “Ciò che il Padre mi dà”.
Per farci
capire qual’è la via attraverso la quale, noi possiamo giungere a ricevere la
stessa cosa che riceve il Figlio dal Padre suo.
Lo dice per noi
quindi.
Dio ci rivela i
suoi segreti per insegnarci la via attraverso la quale noi possiamo arrivare.
Noi siamo
chiamati a fare una cosa sola con il Figlio.
Ma il Figlio
nasce per generazione mentre noi nasciamo per creazione.
Noi nasciamo
dal nulla.
Lui nasce dal
Padre.
Lui è Dio, noi
siamo niente.
Eppure a questo
niente, viene insegnata la via per diventare una cosa sola con il Figlio.
Il tema di
stasera abbiamo detto è il natale in cielo.
Qui abbiamo il
Natale del Figlio di Dio ma è un Natale eterno.
Ogni giorno il
Padre dice: “Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato”.
Ma internamente
lo dice perché è fuori dal tempo.
Quel Natale
eterno ha un corrispondente sulla terra.
Però il Natale
qui sulla nostra terra è nel tempo, quello che è in cielo è eterno.
Però il fatto
che il Figlio c’insegni come riceve la nascita dal Padre (“Ciò che il Padre mi
ha dato”) e per farci capire che soltanto attraverso questo, possiamo anche noi
giungere a diventare Figli di Dio.
Nel prologo di
San Giovanni è detto che Cristo, il Figlio di Dio, il Verbo di Dio, venendo tra
noi, ha dato la possibilità (ecco la potenza) a coloro che credono di diventare
figli di Dio.
Venendo tra noi
è il pensiero di Dio in noi.
E quel Natale
che noi celebriamo qui in terra, è segno di quel pensiero di Dio che è in noi.
Quel passaggio
obbligato, quel punto unico che è dato ad ogni uomo attraverso il quale se
crede (impegnarsi a capire) può giungere a fare una cosa sola con il Figlio.
Il Natale in
terra c’è, è una pagina della nostra storia.
Tutta da capire
perché è un segno.
L’intelligenza
di questo Natale, noi l’abbiamo soltanto se noi giungiamo a capire il Natale in
cielo del Figlio di Dio.
Perché quello
che è in cielo è la chiave per capire il segno.
Il Natale se
fossimo attenti ci metterebbe in una crisi tremenda.
Ci mette in
difficoltà.
Prima di tutto
perché Gesù nasce da una vergine.
E noi non
possiamo smentirlo, si possiamo riderci sopra, fare tutto quello che vogliamo.
Però la parola
è quella.
L’annuncio è
quello.
Nato da una
vergine.
Il che vuol
dire senza intervento di uomo.
Dopo 2000 anni
non siamo ancora in grado di smentirlo.
È parola di
Dio.
Ma ci sono ben
altre difficoltà nel Natale.
Sostanzialmente
nel Natale sono riassunte tutte le difficoltà verso cui veniamo a trovarci di
fronte alla parola di Dio.
Perché la
parola di Dio è un segno.
E noi di fronte
al segno ci troviamo in enorme difficoltà.
Perché non
possiamo passare dal segno al pensiero da soli.
Non possiamo
passare dal Natale di Cristo in terra al Natale in cielo.
Eppure soltanto
trovando il Natale in cielo, capiamo il Natale in terra.
Il che vuol
dire che la luce viene dall’alto.
Non si passa
dal basso all’alto.
Si discende
dall’alto.
Quindi i segni
di Dio arrivano a noi, unicamente per sollecitarci ad alzare gli occhi in alto.
Per potere
guardare da Dio, perché soltanto guardando da Dio noi abbiamo l’intelligenza
sul segno.
Il segno ci
annuncia una cosa che per noi resta misteriosa e ci mette in crisi, quindi a un
certo momento diventa insopportabile perché noi non possiamo sopportare ciò che
non riusciamo a capire.
Il segno ci
sollecita ad alzare gli occhi da tutto quello che noi vediamo, vediamo ed
esperimentiamo.
Perché tutto
quello che tocchiamo, vediamo ed esperimentiamo è tutto segno, soltanto segno.
Alzare gli
occhi a Colui che opera questi segni perché l’intelligenza di questi segni ci
viene soltanto da Lui.
Per questo dico
che soltanto intendendo il Natale di Dio in cielo, noi abbiamo la possibilità
d’intendere il Natale di Dio in terra.
Se non
discendiamo dall’alto per assimilare quello che Dio ci ha fatto arrivare in
basso non possiamo intendere il Natale in terra.
Noi faremo dei
grandi sentimenti a Natale, tanti auguri, tante feste tante liturgie, tutto
quello che volete ma noi restiamo sempre tali e quali come prima.
Non si creerà
nessuna modificazione nella nostra vita.
Perché quello
che muta la nostra vita è la luce, è la conoscenza.
Questo è quello
che ci fa fare un salto di qualità.
Senza questo
noi restiamo con le contraddizioni del Natale che noi non possiamo sopportare.
Perché Natale è
tutta una contraddizione.
Ci contraddice nelle
nostre convinzioni, perché per noi le creature nascono dall’incontro
uomo-donna, mentre qui abbiamo una creatura che nasce senza intervento di uomo.
E questo ha un
significato meraviglioso, è per farci capire che noi nasciamo alla Verità, alla
Luce, senza intervento di uomo.
Si nasce
soltanto da Dio.
È di un
significato enorme questa nascita da una vergine.
È lezione di
Dio per ognuno di noi.
È cammino per
indicare a noi qual’è la fonte della nostra vera vita.
Qual’è la fonte
della nostra vera luce.
È mettersi a
contatto diretto con Dio, perché soltanto da Dio e senza alcun intervento di
uomo possiamo concepire il pensiero di Dio.
Quindi è
inutile correre a destra e a sinistra a sentire tutte le campane, è
assolutamente inutile.
E se sentirete
qualcuno che v’insegna secondo la luce, vi dirà sempre di non guardare a lui ma
di guardare al solo Maestro.
Perché Uno solo
è il Maestro.
La Luce ci
viene solo da Dio.
Quindi prendi
contatto con Dio.
Perché è da Dio
che nascono i figli di Dio.
GV 10 VS 29 - Ciò che il Padre mio mi ha dato, è più grande di
tutto e nessuno può strapparlo dalla mano del Padre.
Quinto tema - Difficoltà a restare originali.
Argomenti: La volontà di Dio.
La proposta del Natale. Il Natale e la croce. Il Natale in cielo. Il regno di
Dio. Consacrazione & comunione. La venuta dello Spirito Santo. Il mistero
di Dio. Il rischio della porta chiusa. La valutazione della proposta. Possesso
e conoscenza. L’esigenza del Natale: il pensiero. Il bene più prezioso: la
conoscenza. L’annullamento dei valori: giudizio di Dio. Da originale a copia.
22-23/ Dicembre
/1991
Oggi
dobbiamo approfondire questa parola di Gesù (Dio tra noi) che afferma: “Ciò che
il Padre mi ha dato è il più prezioso di tutto”.
In quanto lo annuncia c’è un significato per
la nostra vita personale, poiché Dio opera ogni cosa per tutti e per ognuno
personalmente.
“Dio vuole che tutti si salvino e giungano a
conoscere la Verità”.
Non so perché tanti lo mettono in dubbio ma con
ciò ci dichiara apertamente che la volontà di Dio è che tutti si salvino e che
la salvezza, sta nel giungere a conoscere la Verità.
Nella conoscenza quindi della Verità, sta la
salvezza di ogni uomo.
Se l’uomo non giunge a conoscere la Verità di
Dio, se l’uomo non giunge a conoscere Dio, l’uomo non giunge alla sua salvezza.
“La vita eterna sta nel conoscere Dio”.
Sta nella conoscenza di Dio.
Questa è la vita eterna.
Eterno è ciò che è vero.
Solo ciò che è vero è eterno.
E questo è per insegnare a noi che la vita
vera di ogni uomo, sta nella conoscenza di Dio.
La vita vera contrapposta alla vita fasulla
che facciamo noi.
Perché la vita che facciamo noi non è vita,
non è vivere.
Tutti i nostri sentimenti verso Dio non
servono a un cavolo di niente.
Il vero amore è conoscenza di Dio.
Chi veramente ama, tende a conoscere l’essere
amato.
E l’essere amato non si vuol nascondere in
nulla, perché Dio in ogni cosa, opera per comunicare Se Stesso, l’abbiamo visto
domenica scorsa.
Dio solo è e se Lui solo è, in tutto ciò che
opera, in tutto ciò che fa, in tutto ciò che dice non fa altro che comunicare
Se Stesso, non può comunicare altro.
Perché Lui solo è.
Quindi Dio non fa altro che comunicare Se
Stesso.
E se vuole comunicare Se Stesso, non diciamo
che presso Dio c’è tenebra, c’è notte.
Chi dice che presso Dio c’è tenebra è perché
vuole confondere gli animi.
Presso Dio c’è Luce.
La Verità è trasparente.
L’assoluto, Dio è perfetta trasparenza.
E tutto quello che opera, tutto quello che
crea, Dio lo opera e lo crea unicamente per comunicare Se Stesso e quindi per
rendere partecipe la creatura di Sé.
La nostra vita sta nella possibilità di
partecipare a ciò che Dio è.
E la partecipazione avviene soltanto
attraverso la conoscenza.
Abbiamo visto quello che Gesù dichiara: “Quello
che il Padre mio mi dà” ed abbiamo visto come in questa dichiarazione ci sia la
significazione del Natale tra noi
E il Natale è presentazione della Verità di
Dio in mezzo a noi, in noi.
E come Dio è in noi.
Come Dio è presente in noi.
A Natale, senza intervento di uomo, Dio si
presenta come un bambino appena nato.
E un bambino appena nato è una proposta.
Chiede a noi la dedizione.
Chiede a noi il pensiero.
Il che vuol dire che Dio a Natale, annuncia e
rivela a noi, “come” Lui è presente in noi, nel nostro pensiero, dentro di noi.
Dio abita dentro di noi.
A Natale Dio ci dice come abita dentro di
noi.
Il che vuol dire che Dio a Natale dichiara a
noi, di essere affidato al nostro pensiero.
Richiede la dedizione del nostro pensiero.
Come un bambino appena nato.
Non si fanno dei sentimenti attorno a un
bambino.
Ecco per cui Natale è essenzialmente una
proposta.
E bisogna capire il significato di questa
proposta.
Una presenza è sempre una proposta.
Richiede dedizione.
Ecco, Dio presente in noi, si presenta come
uno che chiede a noi la dedizione del pensiero.
Abbiamo anche visto che due sono le grandi
vie attraverso cui Dio si comunica.
-
Generazione di suo
Figlio, generazione di Sé.
-
Creazione sulla nostra
terra.
Nella creazione tutto avviene indipendentemente
da noi.
La generazione avviene attraverso la
consapevolezza di colui che riceve.
Sulla nostra terra tutto è annuncio di Dio
che arriva a noi indipendentemente da noi.
Ed a Natale si presenta proprio questo: Dio
che si presenta a noi indipendentemente da noi.
Attraverso una vergine.
Senza intervento di uomo.
Quando interverrà l’uomo, Dio si presenterà
ancora a noi ma avremo il polo opposto: Cristo che muore in croce.
Sono i due grandi termini della presentazione
del mistero di Dio tra noi.
Mistero di Dio non perché noi abbiamo a
trovarci di fronte a questo come di fronte ad un muro invalicabile.
Si presenta come mistero affinché noi ci
sprofondiamo in esso per capirlo.
Quello che è annunciato come mistero è perché
richiede da parte di ognuno di noi la dedizione personale.
Questo non perché Dio voglia nascondersi, ma
perché Dio vuole comunicarsi.
Comunicarsi personalmente.
Alla Verità si accede soltanto personalmente.
Alla conoscenza si accede soltanto
personalmente.
Con la mente.
Con l’intelligenza.
Dio vuole essere conosciuto.
Dio vuole essere capito.
Abbiamo detto che i due grandi poli degli
annunci di Dio sono questi.
Quindi tutto il mistero della creazione,
dell’universo, della vita di ogni uomo, tutto è incluso tra questi due grandi
termini.
Come Dio è presente in noi senza di noi:
Natale.
Come Dio è presente in noi attraverso noi:
Croce.
Abbiamo Natale e abbiamo Pasqua.
Mistero del Dio presente in noi
indipendentemente da noi.
Mistero del Dio dopo che l’uomo è passato.
Dopo che l’uomo ha manifestato la sua
intenzione verso di Lui.
Prima di questa croce abbiamo la grande
presentazione di Pilato che presenta Cristo al mondo.
E lo presenta dicendo: “Ecco l’uomo”.
“È passato l’uomo”.
Prima che passi l’uomo, noi abbiamo Dio
affidato a noi, come un bimbo affidato tutto alle nostre cure.
Alla nostra dedizione.
Ed abbiamo detto che un bimbo affidato alle
nostre cure, se noi gli dedichiamo tutta la nostra attenzione, tutto il nostro
pensiero, cresce e crescendo diventa nostra vita.
Ma se noi non gli dedichiamo il pensiero,
quel bimbo muore.
Ecco per cui dico che il Natale è
essenzialmente una proposta.
E bisogna capirla questa proposta.
Il significato, il capire le proposte è nel
cielo.
Per questo abbiamo detto che soltanto conoscendo
il Natale di Dio in cielo, noi capiamo il significato del Natale di Dio in
terra.
Abbiamo detto che il Natale in Cielo, nascita
di Dio da Dio, generazione del pensiero
di Dio da Dio, ci fa una grande rivelazione.
Dio ci annuncia i suoi misteri, per rendere
noi capaci di capire quello che Lui ci significa sulla nostra terra.
Solo conoscendo l’intenzione di uno, noi
abbiamo la chiave per capire tutte le sue opere e tutto quello che avviene
sulla nostra terra, beni e mali, gioie e dolori, tutto è voluto da Dio.
Perché uno solo è Dio Creatore.
Non ci sono due creatori.
Non c’è Dio e Satana.
C’è un solo Dio.
Uno solo è il Creatore.
E Dio non subisce conflittualità.
Perché Dio regna in tutto, sulla terra, in
cielo e nell’inferno.
“Cercate prima di tutto il regno di Dio” dice
Gesù e questo vuol dire cercare il luogo in cui Dio regna in tutto.
Se ci fosse un solo pensiero, un solo
avvenimento, un solo granello di sabbia non voluto da Dio, Dio non esisterebbe.
Quindi Dio è Colui che governa e che regna in
tutte le cose.
Dio fa tutte le cose, indipendentemente da
noi.
Però la chiave di lettura di tutte le cose
che Egli fa è nel suo pensiero.
Ecco per cui Lui ci annuncia: “Ciò che il
Padre mi dà”.
Quando Dio ci annuncia una cosa, ce la
annuncia perché ci vuole rendere partecipi di essa.
Non ce la annuncia per nascondercela.
Ce la annuncia per farcela conoscere.
È vero che richiede la nostra dedizione ma
Lui vuole farsi conoscere.
“Cercate e troverete, bussate e vi sarà
aperto, domandate e vi sarà dato”.
Ma cosa dobbiamo cercare e domandare?
Per che cosa dobbiamo bussare?
Lui ce lo assicura è parola di Dio: “Viene
dato a colui che chiede, domanda, bussa”.
È assicurazione di Dio e Dio non si smentisce
né ci prende in giro.
Dio essendo la Verità è fedeltà assoluta.
Quindi tutto quello che Lui opera, tutto
quello che Lui dice, richiede da noi una chiave di lettura.
E questa chiave di lettura l’abbiamo nel
cielo.
Tutte le opere di Dio si sintetizzano nel
Natale che annuncia a noi come Dio è presente in noi.
Tutto quello che Dio opera, lo fa affinché
noi abbiamo ad alzare gli occhi al cielo (e il cielo è Lui) per capire da Lui il significato di quello
che Lui opera.
Per cui Lui ci fa arrivare una sua parola, un
suo segno, una sua opera e attraverso quella (proposta) ci dice di alzare gli
occhi a Lui: “Perché Io ti abbia a far capire il suo significato, il mio verbo
do quello che ti presento”.
È la grande sintesi della Messa.
Dio attraverso la Messa e ogni giorno ci
presenta sempre queste lezioni.
Prima ci mette qualcosa fra le mani e poi ci
dice di offrirlo a Lui.
“Affinché attraraverso questo tuo offrirlo a
Me. Io ti abbia a rivelare il mio pensiero”.
Ed è la consacrazione.
Su quello che noi gli offriamo.
E soltanto su quello che noi gli offriamo,
Dio rivela il suo pensiero.
Ed è la rivelazione del suo pensiero che
forma la comunione.
Tutto è lezione di Dio.
La Messa è celebrata affinché noi abbiamo a
capire la Messa che dobbiamo celebrare dentro di noi.
E questa Messa che deve essere celebrata in
noi, non può essere celebrata senza di noi.
Allora tutto quello che avviene fuori
(sopratutto la Messa, questa sintesi dell’opera del Cristo) è per insegnare a
noi a celebrare questa Messa interiore.
Tutto quello che arriva a noi senza di noi,
noi lo dobbiamo offrire a Dio (offertorio), affinchè Lui abbia a dirci: “Questo
è il mio corpo, questo è il mio sangue”.
Abbia a rivelarci che cosa è, che cosa
significa di Sé in questo.
E quando ce lo ha significato, lì si forma la
comunione.
Quindi la comunione è una conseguenza della
conoscenza.
La comunione non è effetto di volontà.
Noi facciamo sempre leva sulla volontà ed è
un grave errore.
È inutile fare leva sulla volontà degli
uomini.
Gli uomini non possono volere.
Gli uomini non sono liberi di volere.
Se fossero liberi di volere, Gesù non avrebbe
detto: “Se resterete nelle mie parole, sarete veri miei discepoli e conoscerete
la Verità e la Verità vi farà liberi”.
Non si dice “vi farà liberi” a chi è libero.
Vuol dire che l’uomo prima di conoscere la
Verità non è libero.
E se l’uomo non è libero, è perfettamente
inutile predicare all’uomo che debba volere certe cose.
Non può volerle.
È inutile esortare un uomo che sta in
prigione, a uscire dalla prigione, non può!
Aprigli la porta e lui uscirà.
Ma lui da solo non può nel modo più assoluto
uscire.
La sua volontà è condizionata.
L’uomo non è libero di volere.
Lo vedremo questa sera, perché il problema è
proprio questo: ciò che è più prezioso.
La nostra volontà è un effetto dei valori.
Soltanto in quanto viene data all’uomo la
conoscenza di ciò che vale più di tutto, qui l’uomo inizia ad avera la capacità
di volere.
La capacità di volere dipende dalla
conoscenza di quello che vale più di tutto.
Quando un valore scade, l’uomo diventa
incapace, impotente a volerlo.
Quindi non diciamo che l’uomo è libero di
volere.
L’uomo non è libero di volere.
Il Natale ci fa capire il primo confine di
tutta questa grande opera dell’universo.
L’opera di Dio è delimitata da questi due
grandi pilastri: Natale e Pasqua.
E Pasqua non è la conclusione del cammino,
sia chiaro.
Il mistero di Cristo non si conclude con
Pasqua.
Abbiamo i due pilastri che delimitano e poi
il cammino continua dopo Pasqua.
Cristo non è venuto per morire e non è venuto
neppure per risorgere.
La morte di Cristo e la sua resurrezione sono
delle tappe di questo grande cammino che a un certo momento si lancia verso
l’invisibile.
Con la morte il cammino del visibile è finito
e il cammino prosegue al di là del limite di tutto ciò che si vede e si tocca.
E bisogna proseguirlo questo cammino.
E bisogna andare oltre la resurrezione di
Cristo.
Fino all’Ascensione e ancora oltre.
Fino a dove?
“Verrà lo Spirito”, ecco la grande meta.
Noi non capiamo niente del Vangelo se non
capiamo che tutto il Vangelo è orientato a questa grande finalità: “Verrà lo
Spirito che Io vi manderò dal Padre”.
Ecco la conclusione di tutto, questo
comunicare da parte di Dio alla creatura il suo Spirito.
E cosa è questo Spirito di Dio?
Quando Gesù parla della venuta dello Spirito Santo
che Lui manda dal Padre, lo dichiara come la venuta della presenza del Padre e
del Figlio in noi.
È questa grande scoperta.
Tutto è già dentro di noi.
La realtà è già in tutto; tutto è regno di
Dio, Dio è già presente in noi, nella sua unità e nella sua Trinità: Padre,
Figlio e Spirito Santo.
Tutto è presente in noi.
Manchiamo solo noi e tutta l’opera del Cristo
è per condurre noi a prendere consapevolezza di questa grande realtà.
In cui noi siamo immersi, in cui tutto
l’universo è immerso.
Noi nasciamo, viviamo, ci muoviamo nel regno
di Dio come pesci nel mare.
Tutti immersi in questo mistero.
Tutto è opera di Dio.
Tutto è presenza di Dio che parla
personalmente con noi.
Manchiamo solo noi.
E in che cosa manchiamo?
Non siamo noi che facciamo la realtà.
La realtà è già tutta fatta.
Manchiamo noi come intelligenza.
Manchiamo noi come difetto di capire la
realtà in cui ci troviamo.
Ecco che i due grandi poli divengono per noi
tenebre e luce.
Noi dobbiamo passare dalle tenebre alla Luce.
La realtà è quella che è, indiscutibile, è
Dio che la fa.
Dio regna in tutto.
Siamo noi che dobbiamo passare dalla notte al
giorno.
Dalle tenebre alla luce.
E Dio opera ogni cosa per farci passare, per
farci matutare.
E la meta è questa comunicazione dello
Spirito di Dio che è Spirito di Verità.
Spirito di Verità che è Spirito di
conoscenza.
“In quel giorno conoscerete, in quel giorno
capirete”.
Ecco la grande meta a cui bisogna tendere.
L’argomento di oggi è” la cosa più preziosa”.
La cosa più preziosa è determinata dal fine.
Dal fine per cui Dio opera e per cui tutte le
cose sono fatte.
Dal fine per cui tutti gli uomini si chiedono
che senso ha il vivere.
Che senso ha il tempo che passa e che senso
hanno tutte le cose.
Lì è il fine di tutte le cose, è dichiarato
in modo aperto.
Leggendo il Vangelo vediamo che tutto è
proiettato verso questa grande finalità: la venuta dello Spirito di Verità, lo
Spirito Santo.
Che è lo spirito della presenza del Padre e
del Figlio.
Gesù dice: “Ve lo manderò dal Padre”.
Soltanto passando attraverso la conoscenza
del Padre e la partecipazione alla generazione del Figlio dal Padre (“Ciò che
viene dal Padre”), attraverso quello si giunge allo Spirito di Verità che ha lo
Spirito di questa presenza.
Altrimenti noi ci troveremo sempre assenti a
questa realtà che ci viene annunciata, che non possiamo ignorare.
Saremo tutto a bussare davanti a questa
porta.
Tutti quanti.
Perché man mano che tutti i valori scadono
nella nostra vita, noi ci troveremo tutti a bussare ad una porta.
Ad una unica porta: il mistero di Dio.
Però noi corriamo il rischio di bussare ad
una porta che non si apre.
Che rimane chiusa.
Che non ci conosce.
“Non vi conosco”.
Una porta che non ci conosce?
Quando Dio ha fatto tutte le cose per farsi
conoscere.
E com’è possibile che succeda questo?
Eppure è parola di Dio e noi dobbiamo tenerla
presente.
Ogni uomo corre il rischio di venirsi a
trovare di fronte ad una porta che non si apre.
A bussare inutilmente a quella porta per la
quale Gesù aveva promesso: “Bussate e vi sarà aperto”.
Sembra una contraddizione.
Ed è parola di Dio.
E quindi va contemplato tutto e va raccolto
tutto.
C’è questo rischio.
Perché l’uomo non può giungere alla
conoscenza se non per mezzo di Dio e da Dio.
Solo da Dio.
Ed è lì il grande problema e la grande
difficoltà dell’uomo.
Perché se la conoscenza si ha soltanto da
Dio, allora all’uomo si richiede il superamento di tutto.
Soprattutto del pensiero di se stesso.
E allora ecco che si rivela quello che più
vale.
Perché di fronte all’opera che Dio fa, l’uomo
può dare due risposte.
Ecco per cui al polo opposto abbiamo il
Cristo che muore in croce.
L’uomo può dare due risposte: l’uomo può
tenere conto di Dio, tenere presente Dio oppure può trascurare Dio.
L’uomo può pensare Dio o può pensare a Se
Stesso.
Di fronte a ogni proposta.
Tutto è proposta di Dio abbiamo detto.
Tutto è proposta di Dio e Dio propone Se
Stesso.
Di fronte a ogni proposta, noi diamo una
valutazione.
E la valutazione la diamo nella mente.
E nella mente, noi confrontiamo quello che ci
viene proposto con Dio o col pensiero del nostro io.
E qui, tutto il mondo assume un aspetto
particolare.
Perché tutto si decide lì: “Proprio davanti a
te ho peccato”.
Tutte le nostre scelte in noi, senza saperlo,
le facciamo proprio davanti a Dio.
Davanti a Dio, perché è Dio che parla con
noi.
Ed è davanti a Dio che noi facciamo la nostra
scelta e diciamo quello che vale più di tutto.
E questo lo facciamo con la mente.
Dio è Colui che nessuno può ignorare.
Però lo possiamo trascurare, perché non lo
conosciamo.
Di fronte alla proposta di Dio, noi possiamo
tenere presente Dio e allora se teniamo presente Dio, cerchiamo di capire, di
conoscere ciò di cui Lui ci parla, quello che Lui ci propone.
È molto importante questo.
Se non teniamo presente Dio, se trascuriamo
Dio, noi necessariamente cerchiamo di possedere quello che Dio ci propone.
Ora, tutta l’opera di Dio sulla nostra terra
è creazione, quindi sono creature.
Se noi teniamo presente Dio, a noi non
interessa affatto possedere le creature.
Non c’interessa possedere, a noi interessa
capire, conoscere.
Se non teniamo presente Dio, noi
necessariamente, siamo obbligati a tendere a possedere le creature.
A possedere più mondo che sia possibile.
Questo è il punto in cui si decide tutto
nella nostra vita.
Perché tutto quello che verrà dopo sarà una
conseguenza fatale.
Come noi abbiamo messo nella nostra vita come
cosa più preziosa il possesso, questo comincerà a determinare tutte le nostre
scelte, perché questo diventa il nostro fine, questo comincerà a determinare la
nostra volontà, perché la nostra volontà diventa succube di quello che noi
abbiamo stimato nella mente come cosa più preziosa, più importante per noi, con
tutte le conseguenze.
O teniamo presente Dio o non lo teniamo
presente.
Gesù in questo versetto dice che ciò che il
Padre dà, è più prezioso di tutto.
Prezioso significa valore.
Valore vuol dire che è più importante.
Gesù dice che la cosa più importante per noi,
è quello che viene dal Padre.
Soltanto guardando il cielo capiamo la vera
realtà in cui noi ci troviamo.
La cosa più importante è quella che viene dal
Padre.
Il che vuol dire che soltanto contemplando il
Padre e guardando quello che viene dal Padre, noi sappiamo quello che veramente
vale per la nostra vita.
Altrimenti prendiamo grosse cantonate.
Perché noi scegliamo come più importante
quello che poi ci distrugge e lo vedremo dopo.
Perché ogni scelta sbagliata noi la paghiamo
e la paghiamo molto cara.
Soltanto ciò che viene dal Padre.
Ecco come la parola di Dio ci orienta, ci fa
vedere il cammino.
La cosa più preziosa per la nostra vita è
quello che ci viene dal Padre.
E cosa ci viene dal Padre?
L’abbiamo visto domenica scorsa ed è quello
che ci viene proposto a Natale.
Quel Bimbo appena nato è una proposta perché
esige a noi qualche cosa.
E se noi non ci dedichiamo a Lui, il Bimbo
muore.
Quindi la presenza del Natale diventa un
esigenza.
Che cosa ci viene dal Padre?
Dal Padre ci viene questa richiesta.
“Donami il tuo pensiero”.
Dio chiede a noi il suo pensiero.
Come questo Bimbo nato a Natale chiede a noi
questo pensiero.
Non chiede sentimenti.
Non chiede canti o liturgie.
Questo Bimbo chiede a noi il pensiero.
E perché chiede a noi il pensiero?
Perché questo bene più prezioso che viene dal
Padre è la conoscenza.
Questo è il bene più prezioso.
È la conoscenza.
La conoscenza di Dio.
Questa è la vita.
Ecco per cui Gesù dice che la vita vera sta
nel conoscere il Padre.
Questa è la cosa più preziosa.
Questo è quello che l’uomo deve cercare e
mettere al di sopra di tutto.
“Non preoccupatevi del mangiare e del
vestire”, il Signore che ci ha creati è ben capace di mantenerci in vita su
questa terra.
Lui che ciba gli uccelli del cielo e veste i
gigli dei campi, crediamo che non sia capace di provvedere a noi?
Tutta la nostra vita è improntata a cercare
di assicurarci il cibo, il vestire, la casa, la famiglia, la carriera, il
lavoro, la salute.
E non ci accorgiamo quanto abissalmente
lontani siamo da ciò che ci propone Dio.
Nel mangiare e nel vestire c’è tutto.
Non preoccuparti, cerca prima di tutto il
regno di Dio.
Cerca prima di tutto di conoscere Dio: questa
è la volontà di Dio.
Noi andiamo a cercare la volontà di Dio per
mari e per monti...questa è la volontà di Dio!
Cerca prima di tutto il regno di Dio.
Il bene più prezioso, la cosa più importante
è la conoscenza di Dio.
Invece quando non teniamo conto di Dio, noi
riteniamo di assicurarci la vita possedendo cose e creature.
È una grande fregatura.
E cosa succede?
Noi facciamo delle valutazioni delle scelte.
Quando io dico che senza cotoletta non posso
vivere, per me la cosa più importante è la cotoletta.
Se tu senza automobile non puoi vivere, per
te la cosa più importante è l’automobile.
Quando noi mentalmente, nell’intelletto
abbiamo stabilito che una cosa è indispensabile al nostro vivere questo
determina ogni scelta, determina la volontà.
Tutto il mondo diventa una predicazione di
ciò che per noi è la cosa più importante.
“Io senza quello non posso vivere”.
“Senza denaro non posso vivere”.
“La cosa più importante è la salute”.
E non ci accorgiamo delle bestemmie che noi
diciamo di fronte a Dio!
Perché noi senza Dio non possiamo vivere.
Quando noi facciamo una scelta sbagliata di
fronte a Dio, vuol dire che mettiamo al posto di Dio (importante per noi) altro
da Dio.
Questa scelta di altro da Dio, ci fa vivere
per realizzare ciò che per noi è essenziale, è necessario, è la cosa più
preziosa, ci conduce ad una grande terribile esperienza.
Ad un certo punto, tutto diventa senza senso.
Senza significato.
Noi non ce ne rendiamo conto ma l’esperienza
del “senza senso”, del “senza significato”, è il giudizio di Dio su quello che
noi abbiamo scelto.
E come ci sta giudicando?
Annullando ciò che noi abbiamo messo prima di
tutto, ciò che noi abbiamo messo al posto suo.
Ciò di cui avevamo detto: “Questo è
necessario”.
Quella cosa che era la prima cosa nella mia
vita, per cui io avevo sempre tempo, senza la quale non potevo vivere.
E su quello che noi avevamo messo per errore
al posto di Dio, come cosa più preziosa, come cosa essenziale, necessaria, Dio
opera (per questo c’è il tempo) per annullarci il valore.
E come ce lo annulla?
La cosa per noi non ha più senso.
E tutto ciò per cui noi viviamo, a un certo
momento non vale più per noi.
Non vale più, è scaduto.
Qui si rivela che noi non siamo liberi di
volere.
Come la cosa scade e non ha più senso per
noi, non ha più significato per noi, noi non riusciamo più a volerla.
Ecco perché dico che non siamo liberi di
volere.
La nostra volontà scatta soltanto in quanto
ha presente una cosa importante.
Come la cosa scade, non vale più, noi non
riusciamo più a volerla.
Possiamo fare i salti mortali ma non
riusciamo più a volerla.
La nostra volontà è una conseguenza del
valore e il valore è una conseguenza di quel rapporto che noi abbiamo fatto di
fronte a Dio, abbiamo preferito altro a Dio.
Questo è il giudizio di Dio sull’errore che
noi abbiamo fatto.
E quando a questo punto noi facciamo
esperienza di non essere più capaci a volere e a vivere per ciò per cui siamo
sempre vissuti prima, perché prima per noi era molto importante mentre adesso è
senza significato e non riusciamo più a volerlo, cosa succede dentro di noi a
questo punto?
Una cosa quando perde di significato, non è
più sopportabile da noi.
La nostra stessa vita, quando non ha più
significato, noi dobbiamo suicidarci, non possiamo farne a meno, dobbiamo
suicidarci perché noi non riusciamo a sopportare ciò che non ha significato.
Per noi il significato è più importante della
cosa stessa.
Possiamo avere tutto il mondo e tutte le
creature che ci amano ma noi dobbiamo suicidarci.
Perché non possiamo sopportare ciò che non ha
più significato per noi.
La nostra stessa vita, non possiamo più
sopportarla se non ha più un significato.
Il significato delle cose e della vita ci
viene soltanto da Dio.
Ecco per cui soltanto se noi non sbagliamo
nel significato delle cose, cioè nel dare valore alle cose, possiamo volere e
il vero significato delle cose ci viene da Dio.
Ecco per cui è il più prezioso di tutto.
Quando noi non siamo più capaci di volere una
cosa, noi non facciamo altro che ricevere l’impronta di tutti gli altri, non
abbiamo più una vita nostra personale, non sappiamo più per che cosa vivere.
Sono soltanto gli altri che scrivono su di
noi.
Noi non siamo più persona, a questo punto noi
diventiamo copie di altri.
Sono tutti gli altri che operano su di noi,
ma noi non abbiamo più una vita in noi.
Abbiamo detto che il principio è il Natale e
c’è il principio dell’uomo: “In principio era il Verbo e tutto è fatto in
questo Verbo”.
L’uomo nel principio è originale, è una
singolarità inconfondibile.
Ognuno di noi è insostituibile, perché ognuno
di noi nasce con una ragione ben precisa nel disegno di Dio.
Ognuno di noi ha una ragione presso Dio della
sua esistenza.
Nessuno di noi esiste senza un significato.
Però man mano che noi viviamo, noi corriamo
il rischio di perdere questa originalità.
Il tema di oggi è difficoltà a restare
originali.
Originali nel senso difficoltà a restare nel
principio, nell’origine.
È nel principio che si resta originali.
Noi man mano che viviamo, perdiamo il
contatto con il principio.
E perdendo il contatto con il principio, noi
diventiamo copie.
Diventiamo luoghi comuni.
Diventiamo banalità.
Ecco per cui a un certo punto la nostra vita
diventa barzelletta, banalità, diventa luogo comune.
Parliamo solo più del tempo, dei prezzi,
della politica...banalità...niente.
Cose senza significato.
L’uomo nasce originale e corre il rischio di
morire copia.
Non ha più una vita sua personale.
Questa è la conclusione dell’uomo che ha
perso il contatto con l’origine, con il principio.
Che ha perso il contatto con il pensiero di
Dio.
Che ha soprattutto dimenticato che Dio ci ha
dato la vita per conoscere Lui e che la conoscenza di Lui è la cosa più
preziosa e che lì deve essere tutto il nostro impegno.
A costo di mangiare una fetta di polenta al
giorno o di fare digiuno, non importa.
Se noi cerchiamo Dio prima di tutto possiamo
digiunare tutta la vita e Dio non ci fa morire.
A costo di mangiare una fetta di polenta al
giorno, noi dobbiamo vivere per conoscere Dio.
Perché lì è la vita vera, lì è la vita
eterna.
GV 10 VS 29 - Ciò che il Padre mio mi ha dato, è più grande di tutto e nessuno può strapparlo dalla mano del Padre.
Sesto tema - Difficoltà ad essere uno.
Argomenti: La comunicazione del
Padre al Figlio e all’uomo. La conoscenza di Dio avviene solo nel pensiero.
Copia e originale. La vanificazione. Il crollo dei valori. Il ponte della
parola di Dio. De beate vita. La trascendenza di Dio. La ragione di vita. La
ragione per cui ci dà l’esistenza. “Verrò come un ladro”. Il principio delle
cose. Imballaggio a perdere. La conoscenza di Dio.
29-30/ Dicembre
/1991
Oggi ci rimane da approfondire e da capire
quello che qui Gesù dice: “Nessuno può rapirlo dalle mani del Padre mio”.
Abbiamo detto che il Natale in cielo ci fa
capire, c’illumina il significato del Natale in terra.
Perché il Figlio di Dio è il Pensiero di Dio.
E ciò che il Padre dà al suo Pensiero, ci fa
capire il significato di quello che Dio ci offre con il Natale.
Natale è la rivelazione di come Dio è tra
noi, come Dio è in noi.
Dio si presenta tra noi come un bambino
appena nato che quindi esige, richiede la dedizione del nostro pensiero a Lui.
Perché soltanto attraverso la nostra
dedizione del pensiero a Lui, Dio comunica a noi Se Stesso.
La rivelazione grande avviene nel cielo: Dio
comunica a suo Figlio Se Stesso, Dio si fa conoscere.
Dio è l’essere assoluto.
Dio è Colui che è.
E Colui che è, in tutto il suo operare, anche
nella generazione di suo Figlio, non fa altro che comunicare Se Stesso.
Per cui tutta la creazione, non è altro che
comunicazione di Dio agli uomini.
Quindi questa comunicazione in terra, riceve
luce dalla comunicazione che il Padre fa a suo Figlio.
Cioè Dio si comunica al suo Pensiero.
E questo è rivelazione per noi, di come
soltanto attraverso il pensiero c’è la possibilità della conoscenza della comunicazione
di Dio.
Tutto ciò che non è pensiero, non è Dio, è
segno di Dio, è significazione di Dio, è opera di Dio ma la conoscenza di Dio,
avviene solo nel pensiero.
Quindi è soltanto in quanto in noi, c’è la
possibilità di pensare Dio, nel Pensiero DI Dio (non pensiero nostro) abbiamo
la possibilità di ricevere la comunicazione di Dio.
Dio è un infinito e perché si possa ricevere
l’infinito bisogna avere presente l’infinito.
L’infinito si comunica soltanto là dove c’è
l’infinito.
Tra il finito e l’infinito, non c’è
possibilità di comunicazione.
Dio s’annuncia al finito ma si fa conoscere
soltanto là, dove c’è l’infinito.
Il Pensiero di Dio in noi, è l’infinito di
Dio in noi.
Natale è l’infinito di Dio in noi che
s’annuncia a noi, per ricevere da noi il pensiero.
Il Suo Pensiero.
Per dare a noi la possibilità (attraverso il
suo Pensiero) di ricevere la comunicazione di Dio: infinito con infinito =
sintonia.
Quindi il problema principale di tutto
l’operare di Dio è questa comunicazione che Dio fa a noi stessi, tant’è che il
senso, il significato e il fine dell’esistenza di tutte le cose e di ogni uomo
è questo: la conoscenza di Dio.
Dio opera tutto per comunicare Se Stesso e
fine dell’uomo, destino dell’uomo, scopo dell’uomo è quello di giungere alla
conoscenza di Dio.
E in questa conoscenza di Dio c’è il nostro
destino ma c’è anche la nostra salvezza.
C’è il raggiungimento della nostra libertà,
abbiamo detto spesso che noi non siamo liberi.
“Conoscerete la Verità e la Verità vi farà
liberi”.
Quindi il raggiungimento della nostra
libertà, si ottiene soltanto nella conoscenza della Verità.
La Verità è Dio.
Nella conoscenza di Dio c’è la vita vera e
ciò che è vero è eterno e già questo ci fa capire che ogni altro fine, non dà a
noi la possibilità di attingere la vita vera, la vita eterna.
Soltanto la conoscenza di Dio dà a noi la
possibilità di giungere alla vita eterna.
La conoscenza della Verità (parola di Dio) è
salvezza dell’uomo.
Ecco per cui si parla di salvezza.
Dio venendo tra noi è salvatore, perché salvatore?
Salvatore quindi vuol dire che c’è una
situazione di rischio per l’uomo.
L’uomo che nasce originale, corre il rischio
di morire copia.
Cioè corre il rischio di morire come
espressione di tutto l’ambiente in cui si trova.
Della volontà degli altri, dell’intenzione
degli altri, delle regole, delle istituzioni e quindi perde il senso di quello
che è il senso, il significato per cui Lui è stato creato.
Perché ogni uomo, in quanto esiste, ha una
sua ragione di esistere presso Dio.
Per questo dico che c’è una originalità.
Ogni uomo è originale.
Ogni uomo è insostituibile.
Non si può sostituire una persona con un
altra.
Il che vuol dire che ogni uomo ha un suo
destino personale, ha un suo significato personale.
Quindi ha una originalità.
C’è questa originalità nella creazione
dell’uomo.
Ogni uomo in quanto esiste, ha una sua
ragione di esistere.
Questo presso Dio.
E abbiamo visto l’ultima volta che l’uomo
corre il rischio di perdere questa originalità e di morire come copia.
Perché nell’uomo c’è questa difficoltà a
restare nel principio.
La ragione che rende l’uomo singolare e che
giustifica quindi l’esistenza di ogni uomo è soltanto nel disegno divino, nella
volontà di Dio.
Nel Pensiero di Dio c’è la ragione, la
giustificazione delle cose.
E quindi c’è anche la giustificazione di
ognuno di noi.
Quindi noi siamo stati creati per conoscere
Dio.
E in questa conoscenza di Dio, in
quest’infinito, ogni uomo ha la sua ragione specifica di essere.
Può perderla, l’uomo può tradire il suo destino.
L’uomo che è fatto per conoscere Dio, può
vendere il suo destino per un piatto di lenticchie.
Può vendere il suo destino per un azienda,
per un guadagno, per una carriera, per un lavoro.
Può vendere il suo destino per andare dietro
ai pensieri del mondo.
È qui che l’uomo perde la sua originalità.
L’originalità dell’uomo è solo presso Dio.
E soltanto se l’uomo riferisce tutte le cose
a Dio e riporta tutte le cose in questo principio da cui lui ha avuto
l’esistenza, l’uomo mantiene la sua originalità.
Quindi mantiene il suo destino.
Quando ad un essere intelligente si dà un
fine da raggiungere, si presuppone che questo essere intelligente coordini
tutte le cose per giungere a quel fine, a quel destino.
Quindi il destino non si realizza senza di
noi.
Dio ha creato l’uomo, perché l’uomo possa
giungere a conoscerlo.
La conoscenza di Dio non si raggiunge, non si
ottiene senza di noi.
E quando l’uomo mette come ragione di vita
altro da Dio, si espone a quella che diventa poi la tragedia del giudizio di
Dio.
Si espone alla vanificazione di tutto ciò per
cui vive.
Ad un certo momento le cose per cui egli vive
perdono valore, perdono significato.
E quando le cose perdono valore, perdono
significato, l’uomo non riesce più a volerle.
Perché la volontà nostra possa volere è
necessario che ci sia un valore personale, che sia valido per noi
soggettivamente.
Quando questo valore crolla, crolla il
significato e quando la cosa perde di significato, noi non riusciamo più a
volerla.
La nostra volontà è condizionata da ciò che
vale più di tutto.
Qui c’è il giudizio di Dio.
Dio corregge i nostri errori.
E corregge, annullando, togliendo il
significato, il valore a ciò per cui noi stiamo vivendo.
Con ciò noi perdiamo la capacità di volere ma
perdiamo anche l’interesse per vivere.
A un certo punto la vita può per noi perdere
interesse.
Si arriva al punto in cui non si ha più
voglia di vivere.
Si prospetta il suicidio, di fronte all’uomo
che sta esperimentando la vanità del tutto, il non senso della vita, il crollo
dei valori.
L’uomo è fatto per il significato delle cose,
per cui per lui ciò che vale più delle cose è il significato.
E il significato è sempre nell’intenzione del
Creatore.
E quando l’uomo perde il significato delle
cose, l’uomo non può più sopportare neppure la sua stessa vita.
Quando la vita perde di significato, l’uomo
non può più sopportare la sua vita.
Adesso, viste queste cose, noi abbiamo la
possibilità di inoltrarci in quello che Gesù afferma: “Nessuno può rapire ciò
che il Padre dà, dalle sue mani”.
Ed è un affermazione strana quella di Gesù.
Noi stiamo assistendo ad una perdita di tutte
le cose.
Tutte le cose che ci vengono date da Dio,
subiscono questa inflazione, questa perdita di valori.
Man mano che noi viviamo, noi vediamo che le
cose che un tempo tanto ci attraevano, ad un certo momento subiscono questa
inflazione e i valori crollano.
Tutto crolla.
Tutto perde di senso e di significato.
Tutto perde di valore.
Il tempo è un grande ladro di valori nella
nostra vita.
Il tempo ci porta via tutto.
In un mondo in cui l’uomo subisce questo
furto di tutte le cose, noi troviamo la parola di Dio, il Cristo che dice a noi
che nessuno può portare via le cose dalle mani del Padre suo.
Cioè ci dichiara che c’è un luogo, in cui le
cose non possono esserci portate via.
E lo dice a noi che stiamo subendo la perdita
di tutte le cose.
Quindi all’uomo che sta esperimentando questa
perdita continua, questa tragedia del disfacimento di tutto, la parola di Dio
gli dice che c’è un luogo in cui niente può essere portato via.
Un luogo in cui tutto è eterno, tutto rimane.
Di fronte a questo dobbiamo chiederci se è
una utopia o è Verità.
Se la parola di Dio ci assicura che c’è un
luogo in cui niente ci può essere portato via, noi che cosa stiamo facendo con
la nostra vita?
Mentre noi subiamo tragicamente la perdita di
tutte le cose, perché non ci occupiamo di questo posto?
Perché trascuriamo questo luogo in cui c’è
l’assicurazione di Dio che tutto rimane?
Sant’Agostino, nel suo libro De beata vita,
pone proprio questo problema.
Il problema del luogo della felicità.
C’è un luogo per la felicità dell’uomo o non
c’è?
E lui si chiede da cosa è determinata
l’infelicità dell’uomo.
L’infelicità dell’uomo è determinata dal
fatto che l’uomo assiste alla perdita di tutte le cose per cui vive.
Vivi per una cosa e poi, presto o tardi
questa cosa la perdi, vivi per un altra e quest’altra cambia, vivi per una
creatura e questa ti delude.
L’infelicità dell’uomo, profondamente è
determinata da questa delusione, da questa vanità che ad un certo momento copre
tutte le cose per cui gli uomini vivono.
E Agostino si domanda: se l’infelicità
dell’uomo è determinata dal perdere le cose, da questo subire il furto di tutte
le cose, la felicità, la beatitudine dell’uomo è determinata da ciò che non si
può perdere.
E allora il problema è questo: c’è qualcosa
che non si può perdere?
“Nessuno può rapirlo dalle mani del Padre”,
qui Gesù afferma una cosa che per noi è assurda, è una contraddizione.
In un primo tempo dice: “Ciò che il Padre
dà”.
E quando si dà una cosa la si consegna, la si
affida ad un altro, non la si tiene più per sé.
“E nessuno lo può rapire dalle mani del
Padre”.
E allora ci chiediamo: come può essere che
Dio dia una cosa e nello stesso tempo la tenga nelle sue mani?
Perché se la tiene nelle sue mani non la dà.
E se la dà non l’ha più nelle sue mani.
Tutto quello che per noi è contraddizione, è
sempre un invito di Dio ad approfondire, a cercare, perché ci deve essere una
realtà in cui le parole di Dio si realizzano.
E fintanto che noi non giungiamo a trovare
quella realtà che realizza le parole stesse di Dio, è segno che noi non abbiamo
capito le parole di Dio.
Le parole di Dio hanno una caratteristica
tutta particolare: ci annunciano una cosa che ancora noi non vediamo.
La parola di Dio ci parla di ciò che supera
noi, ci parla di ciò che noi non vediamo e non tocchiamo.
Noi vediamo e tocchiamo le creature, noi
esperimentiamo le cose create.
Dio non lo vediamo, non lo tocchiamo, non lo
esperimentiamo.
Però c’è la parola di Dio.
La parola di Dio è un ponte che dalla
trascendenza di Dio, si annuncia nel nostro mondo finito e annunciandosi, ci dà
la possibilità, se crediamo alla parola, di passare da ciò che vediamo a ciò
che noi non vediamo.
Da ciò che è visibile a ciò che è invisibile.
Da ciò che noi
esperimentiamo a ciò che non esperimentiamo.
Se noi non
crediamo alla parola di Dio, non possiamo passare dal nostro finito
all’infinito.
Non si può
passare, c’è un salto di qualità dal finito all’infinito.
Se crediamo
alla parola di Dio, questa dà a noi la possibilità di passare a ciò che noi non
vediamo.
E san Paolo
annuncia che la nostra salvezza, la nostra luce, la nostra eternità, sta nelle
cose invisibili, sta nelle cose che non si vedono.
Noi che
fondiamo tutta la vita su ciò che vediamo e tocchiamo e esperimentiamo, siamo
stati creati per raggiungere la vita in ciò che non vediamo, non tocchiamo e
non esperimentiamo.
Eppure ci è
annunciato e non lo possiamo smentire.
Noi non
possiamo smentire che Dio creatore esista.
Basta un filo
d’erba per farci capire che c’è un creatore.
Noi non possiamo smentire che Dio esista.
Basta un filo d’erba per farci capire che c’è un creatore.
Ma noi non possiamo vederlo, toccarlo, esperimentarlo.
Dio è trascendente, è superiore a noi.
Dio è invisibile a noi, eppure Lui manda a noi dei segni di Sé, le sue
parole che ci parlano di cose che attualmente noi non possiamo né vedere, né
toccare, né esperimentare.
Però se noi, in nome di questo Dio che non possiamo ignorare, se noi
crediamo alla sua parola che ci parla di Sé, noi abbiamo la possibilità
dedicandoci, di giungere a Lui.
Ecco il problema del pensiero.
Solo attraverso il pensiero che si dedica, che s’impegna, si consacra a
ciò che la parola di Dio annuncia, noi possiamo giungere a quella realtà che
c’illumina le parole.
Queste parole che attualmente calate nel nostro mondo sono
incomprensibili.
Perché noi non le possiamo vedere.
Noi chiamiamo logico, comprensibile, ciò che noi possiamo vedere, toccare
ed esperimentare, invece le parole che ci parlano di cose che non possiamo
vedere, toccare, esperimentare, le chiamiamo astratte.
E noi viviamo invece per le cose (avere i piedi per terra) che possiamo
vedere, toccare, esperimentare.
Eppure tra noi ci sono questi segni, ci sono queste parole, di un Dio che
non possiamo smentire, che non possiamo annullare, che non possiamo cancellare.
Se tutti gli uomini di tutti i tempi urlassero che Dio non esiste, noi
non potremmo cancellare Dio dalla nostra mente.
Perché Dio trascende noi.
Ora il problema non è quello di cancellare Dio dalla nostra mente
(impresa impossibile) ma di giungere a conoscere Dio.
E la nostra salvezza sta lì.
Perché in Dio c’è la ragione di tutto quello che accade qui in terra.
E di tutto quello che accade nella nostra vita.
Dio è il principio di tutto, perché Lui è il Creatore.
In Lui9 c’è la ragione e la giustificazione di tutto.
E Lui parla per condurre noi a conoscere Lui, in modo da trovare in Lui
la ragione di tutte le cose.
C’è questo controsenso per noi, in questo mondo che esperimentiamo, di
questa parola di Cristo che dice che ciò che il Padre gli dà, nessuno lo può
portare via dalle mani del Padre suo.
Cosa può essere quella cosa che, quando ci è data da Dio, rimane nelle
mani di Dio?
Noi dobbiamo trovare quella realtà in cui si realizzano quelle parole che
Gesù ha detto.
Cristo è il Verbo di Dio incarnato, è Dio incarnato tra noi.
Incarnato vuol dire che tutto quello che Lui dice e tutto quello che Lui
fa, lo dice o lo fa non per Sé ma per noi.
Quindi se dice a noi: “Ciò che il Padre mio mi ha dato, nessuno lo può
portar via dalle mani del Padre mio” lo dice per noi.
E se lo dice per noi, lo dice per rivelarci quel luogo in cui niente può
essere portato via.
Abbiamo detto che la felicità dell’uomo sta lì, nel giungere in quel
luogo (se esiste) in cui niente può essere portato via.
Noi stiamo subendo la tragedia della perdita di tutte le cose per cui noi
viviamo.
E quando si vive per una cosa e questa cosa qui crolla, questo crea in
noi una tragedia che può portarci al suicidio, alla non più capacità di
sopportare la vita.
Il problema è quindi di arrivare in quel luogo in cui le cose non
subiscono né mutamenti, né perdita.
E la parola di Dio ce lo annuncia: “Le mani del Padre mio”.
Cosa significano questa “mani del Padre mio”.
E sopratutto cosa significa questo che il Padre dà alla creatura, a noi,
eppure la tiene nelle sue mani e nessuno lo può portare via.
Nel Principio, nel Pensiero di Dio, ogni uomo in quanto esiste ha la sua
ragione, ha la sua ragione in Dio.
E tutto ciò che esiste ha in quanto esiste o in quanto vive, una ragione
in Dio.
Gli uomini il più delle volte la loro ragione, la loro giustificazione
l’hanno in ciò che vedono e toccano.
Oppure ce l’hanno nelle loro autorità.
O nelle loro istituzioni.
Cioè l’uomo nasce con una ragione ben precisa nel pensiero di Dio ma
l’uomo no ha questa ragione nel suo vivere.
C’è un contrasto tra la ragione per cui l’uomo è stato creato ed esiste e
la ragione per cui l’uomo vive.
Ogni esistente in quanto esiste ha una sua ragione di vivere.
L’uomo, la persona ha sempre una sua giustificazione ma la ragione per
cui l’uomo vive non è la ragione per cui Dio lo fa esistere.
E allora se la ragione per cui l’uomo esiste, non coincide con la Ragione
per cui l’uomo esiste, qui c’è il motivo per cui l’uomo subisce il tracollo.
Perché fintanto che la ragione per cui l’uomo esiste, non coincide con la
Ragione per cui Dio lo fa esistere, l’uomo si apre a questa esperienza di
fallimento di vita.
Bisogna che la ragione per cui esiste, per cui vive, coincida, collimi
con la Ragione per cui esiste nel disegno di Dio, nel pensiero di Dio.
Ciò che è nelle mani di Dio, rappresenta la ragione dell’esistenza di
tutte le cose che Dio vuole.
Le mani di Dio rappresentano la ragione di ciò che esiste.
Soprattutto la ragione dell’esistenza dell’uomo.
Questo è ciò che è nelle mani di Dio.
Gli uomini vivono mettendo la loro vita in altre mani, nelle loro
autorità (ogni uomo ne ha una), nei suoi maestri (ogni uomo ha i suoi maestri)
e restano traditi dall’autorità e dai maestri.
Necessariamente resta tradito, perché Dio stesso opera questo tradimento.
Lo svuotamento dei valori, la delusione che ogni uomo esperimenta vivendo
in questo mondo, è il segno di matita blu con cui Dio corregge un nostro
errore.
E noi ci esponiamo a questo segno di matita blu, di errore grave,
fintanto che noi non facciamo coincidere la ragione del nostro vivere e del
nostro esistere, con la ragione per cui Dio ci fa esistere.
Per questo le cose cambiano, le cose mutano.
E per questo siamo soggetti al tempo.
Le mani di Dio rappresenta le ragioni o la ragione per cui Dio ci dà
l’esistenza.
Questa ragione, abbiamo detto che è la conoscenza di Dio.
Abbiamo visto che la cosa più preziosa è la conoscenza di Dio.
E come può avvenire che Dio dia a noi una cosa e nello stesso tempo se la
tenga nelle mani?
Ecco, come Dio ci sollecita a cercare (con le sue parole) la realtà in
cui è la nostra vera vita.
Ci sollecita cioè a cercare quel luogo, in cui le cose restano eterne.
In cui niente e nessuno ci può portare via, nemmeno Dio.
Nemmeno Dio perché Dio paragona Se Stesso ad un ladro che viene per
rubare.
E Dio che dona a noi tutto l’universo e dona Se Stesso, Lui arriva a
paragonarsi ad un ladro che viene di notte!
Dio dà a noi le cose e poi ce le viene a rubare, è mai possibile?
Anche questa parola di Dio, rientra nel disegno di Dio.
La realtà che ognuno di noi esperimenta, prova, è proprio questo furto.
Il tempo è l’eterno che scende in noi.
Il tempo che passa è Dio che viene.
E questo Dio che viene è un ladro che ci porta via tutto.
Noi ci afferriamo a una cosa e ce la porta via, ci afferriamo ad un altra
e ce la porta via e a un certo momento l’‘anima urla: “Perché me li hai dati se
poi me li porti via?”, è un controsenso.
Noi che portiamo in noi la passione dell’assoluto, dell’eterno, non
sopportiamo né che le cose mutino, né che le creature cambino e soprattutto non
sopportiamo la morte.
Ed è per questo che il significato delle cose acquista un significato
enorme per noi.
Noi abbiamo bisogno di un perché.
Le cose mutano e noi abbiamo bisogno di un perché.
Le cose ci vengono tolte e noi abbiamo bisogno di un perché.
Le creature a noi vicine muoiono e noi abbiamo bisogno di un perché.
E se non c’è un perché la cosa diventa insopportabile.
A un certo momento il significato (la ragione delle cose) è l’unica cosa
che può dare a noi la capacità di sopportare tutto ciò che muta, di sopportare
il tempo.
Ed è questo significato che è nelle mani del Padre.
Ma come può essere che Dio ci dia una cosa e al tempo stesso la tenga
nelle mani?
Perché questo è di un importanza enorme.
La Verità è conoscere il principio delle cose.
Il significato delle cose, la Verità delle cose, quando è comunicata, è
comunicata dando a noi la possibilità di avere in noi stessi il principio delle
cose.
La Verità è avere in noi il principio delle cose.
Quando noi troviamo la Verità, quando noi conosciamo la Verità e la
Verità è Dio, noi troviamo il principio delle cose.
E il principio delle cose è Dio Creatore, il Padre.
E quindi questa Verità che ci viene donata, che si lascia trovare da noi,
non è separata, anzi, reca in noi stessi il principio della cosa.
Non è tolta dalle mani di Dio ma è nelle mani di Dio.
E resta nelle mani di Dio.
E ciò che è nel principio, nessuna altra ragione al mondo ce la può
portare via.
Tutto il mondo tende a strumentalizzare l’uomo, le istituzioni, le
aziende, le famiglie tendono sempre a strumentalizzare l’uomo, a farlo servire.
Ma tutte le ragioni con cui gli uomini e il mondo e gli istituti tendono
a giustificarsi e a strumentalizzare l’uomo, sono ridicole o fasulle, di fronte
a chi ha la sua ragione in Dio, a chi ha la giustificazione nelle mani di Dio.
“Ma se tutti facessero così”, è semplicemente ridicolo.
“Ma se non si lavora come si fa a mangiare” semplicemente ridicolo di
fronte a questa grande ragione che è in Dio Creatore di tutte le cose.
Ecco come sono i doni di Dio.
Dio donando i suoi doni ci dona Se Stesso.
Per cui quello che noi riceviamo da Dio ed è la conoscenza di Dio, è il
dono stesso della Verità, Dio è il suo dono.
Per cui la cosa rimane in Dio e la ragione della cosa è in Dio e non è in
altro e tutte le ragioni del mondo a quel punto lì rivelano il loro volto.
Le ragioni di tutto ciò che non è Dio (fossero anche angeli o papi),
tutte le ragioni di questo mondo e tutto ciò che non è Dio, è imballaggio a
perdere di fronte alla grande ragione che è solo in Dio, nelle mani di Dio.
Qui possiamo cominciare a intuire, come soltanto nella conoscenza di Dio,
c’è la possibilità di fare una cosa sola.
È Dio che ci fa uno.
Mentre le ragioni del mondo ci dividono, ci contrappongono, ci mettono
uno contro l’altro, perché sono finite, soltanto in Dio, noi abbiamo la
possibilità di evitare questa divisione (morte) che le ragioni del mondo creano
dentro di noi, tra noi e Dio.
Il grande problema per l’uomo, è far coincidere la ragione del suo
vivere, con la ragione per cui Dio lo fa vivere.
Ed è soltanto in questa unificazione che noi troviamo l’unità.
Il tema di oggi era questo: la difficoltà a essere uno.
Noi possiamo essere uno, soltanto in quanto attingiamo la conoscenza di
Dio.
Noi attingiamo alle parole stesse di Dio, perché sono le parole di Dio
che formano il discepolo della Verità.
La salvezza sta nella conoscenza.
E quando diciamo conoscenza, escludiamo qualunque altro mezzo, qualunque
altra cosa.
Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità.
Notate bene che avrebbe potuto dire “giungano ad amare la Verità”,
“giungano a sacrificarsi per la Verità”, no...dice “giungano a conoscere la
Verità”.
Parola di Dio.
Quindi la salvezza sta nel giungere a conoscere la Verità.
L’attingere la nostra libertà ( e questo ci rivela che siamo schiavi) si
ha soltanto nella conoscenza della Verità: “Conoscerete la Verità e la Verità
vi farà liberi”.
Il raggiungere quella vita eterna (vera) che non è più soggetta a furti e
ladri sta nel conoscere Dio come vero Dio e anche questa è parola di Dio.
E la nostra unità, l’essere uno, il restare uno (la singolarità per cui
Dio ci ha creati) e il fare una sola cosa con Dio è ancora la conoscenza di
Dio.
GV 10 VS 29 - Il Padre mio, che me le ha date, è
più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre.
RIASSUNTI Domenica e Lunedì.
Argomenti: Amici e servi – La trasparenza di
Dio – La generazione del Figlio – L’essere e il pensiero di Dio – Essere e Persona –
Generante e generato – Generazione e creazione – La comunicazione di
Dio – La sintonia – La possibilità di pensare Dio – Potenza e atto -
5-6/ Gennaio /1992