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GV 10 VS 27 - Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.


Primo tema – La capacità di ascoltare una voce.


Argomenti: Le pecore di Dio. Il prima di tutto. L’essere si riceve dalla comoscenza. La capacità di credere. Ascoltare la voce di Dio o degli uomini. L’appartenenza. La conoscenza fa le pecore di Dio. “Hanno orecchi e non odono”. La voce delle cose. La singolarità della voce. La funzione della voce. La voce dell’acqua. Occhio e orecchio. Voce: significazione dell’essere. La significazione universale della voce. Possibilità e impossibilità. Solo Dio insegna a noi la sua voce. I due elementi della voce. La progressione verso l’infinito o il nulla.


 

22-23/ Settembre/ 1991


Oggi ci soffermiamo sulla prima parte di questo versetto e cioè: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”.

Abbiamo visto la volta scorsa cosa s’intende per “mie pecore”.

Ci siamo chiesti come possa accadere che ci siano pecore di Dio e pecore non di Dio.

Com’è possibile che nel regno di Dio, dove tutto è di Dio si crei una frattura, una differenza per cui alcuni sono pecore di Dio e altri non sono pecore di Dio.

La maggior parte degli uomini sono pecore del mondo, non sono pecore di Dio.

È un dilemma che Gesù stesso ci presenta in quanto ci dichiara: “Le mie pecore”.

Quando dice: “Mie pecore” già fa pensare che ci siano pecore che non sono sue.

Abbiamo visto che anche le pecore “non di Dio” appartengono a Dio, anche il demonio appartiene a Dio perché tutto è di Dio.

Però nel passaggio dall’appartenere a Dio all’essere “pecore di Dio” si crea una frattura.

Pecora è quella che segue il pastore.

E se tutti sono di Dio, non tutti seguono Dio.

Pecora di Dio è la creatura, l’anima che guarda ogni cosa da Dio, è quella che s’affaccia sulla balconata divina a guardare ogni cosa da quel punto di vista.

Tutto nella vita dell’uomo dipende da ciò che mette prima di tutto e ogni uomo vivendo (lo sappia o non lo sappia) mette sempre qualche cosa prima di tutto ed è quello che determina tutto in lui.

Non tutti mettono Dio prima di tutto, anzi pochissimi, Gesù parla di “piccolo gregge”.

Miliardi sono le creature di Dio, miliardi sono gli uomini e da questi miliardi nasce un “piccolo gregge”: il gregge delle pecore di Dio.

Pochi sono coloro che mettono Dio prima di tutto.

Pochi sono coloro che si affacciano a guardare dal punto di vista di Dio ogni cosa.

Ecco per cui si crea questa frattura, questa distinzione: pecore di Dio e non pecore di Dio.

Non tutti si affacciano a guardare le cose dal punto di vista di Dio, la maggior parte  degli uomioni guardano le cose dal punto di vista del pensiero del loro io, dei loro interessi, delle loro passioni, dei loro sentimenti.

Ed abbiamo visto che proprio guardando da Dio, dalla conoscenza di quello che si vede da Dio, si forma una creatura nuova: l’essere si forma attraverso la conoscenza.

Ed è qui che si forma nell’uomo la capacità di credere.

Ognuno crede in ciò per cui vive e soltanto coloro che guardano tutte le cose dal punto di vista di Dio, hanno la capacità, la possibilità di credere, gli altri non hanno la possibilità di credere.

La fede viene da Dio e non è quindi nella volontà dell’uomo credere o non credere.

Se viene da Dio vuol dire che soltanto se noi guardiamo le cose dal punto di vista di Dio, abbiamo la possibilità d’incominciare a credere.

Perché solo guardando dal punto di vista di Dio si vede giusto ed è vedendo giusto che in uno si forma la capacità, la possibilità di credere.

Qui Gesù precisa: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”.

Gesù qui va più a fondo, prima aveva detto che solo le sue pecore lo possono credere, qui dice che solo le sue pecore ascoltano la sua voce.

Subito qui si presenta un altro dilemma, prima abbiamo visto il dilemma di queste “mie pecore” che diventa una tragedia nella vita dell’uomo, come nel regno di Dio in cui tutto appartiene a Dio, ci siano a un certo momento pecore che non sono di Dio.

Qui dice che ascoltano la sua voce e il dilemma sta qui: tutto è voce di Dio, perché Dio è il creatore.

Abbiamo letto San Paolo che dice che uno solo è il creatore che opera in tutto.

Uno solo, quindi nulla accade, nulla esiste che non sia voluto da Dio, perché uno solo è il creatore.

Creare vuol dire fare esistere le cose.

Tutto ciò che esiste, tutto ciò che accade non è opera dell’uomo o del caso, non è opera della natura, non è opera delle leggi ma è opera di Dio creatore, è Lui che ci dà l’esistenza, è Lui che ci fa vivere, è Lui che ci fa pensare, è Lui che ci porta alla salvezza, tutto è opera sua.

Lui è l’autore di tutto, noi siamo spettatori delle cose che Lui opera.

Abbiamo detto molte volte che il dovere, il compito, la responsabilità dello spettatore non è quella di cambiare le scene, non è quella di cambiare gli attori, lo spettatore non è uno che è invitato a salire sulla scena a cambiare le cose, lo spettatore deve essere attento a quello che è rappresentato sulla scena.

E deve cercare di capire la lezione, capire il significato perche sulla scena si recita per lo spettatore, il che vuol dire che tutto quello che accade nell’universo è scena, è opera di Dio per ognuno di noi.

E se questa è opera di Dio per ognuno di noi, qui viene fuori la responsabilità dell’uomo.

Perchè la responsabilità di ogni spettatore è quella di essere attento a quello che viene rappresentato sulla scena e di capire che cosa gli si vuole comunicare.

Se tutto è opera di Dio, creazione di Dio, tutto è voce di Dio, tutto è parola di Dio ma se tutto è voce e parola di Dio, come può accadere quello che dice qui Gesù: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”, il che ci fa pensare che le altre pecore non ascoltino la sua voce.

Il dilemma è lì, se tutto è voce di Dio, come può succedere che ci siano delle pecore, delle creature che non ascoltano la voce di Dio?

E cosa ascoltano?

Se tutto è voce di Dio, che cosa ascoltano?

Eppure qui Gesù ci dice: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”.

Ci fa pensare che le altre pecore non solo non ascoltano la sua voce ma non possono ascoltare la sua voce, la voce di Dio.

In realtà tutti noi ci accorgiamo tutti i giorni che non ascoltiamo la voce di Dio.

Noi ascoltiamo la voce degli uomini, noi ascoltiamo la voce dei politici, noi ascoltiamo la voce del predicatore di turno ma sono sempre voci di creature.

Noi ascoltiamo la voce degli avvenimenti, dei fatti, chi ascolta la voce di Dio?

.....

Noi non possiamo smentire che tutto è voce di Dio, come non possiamo smentire che Dio sia il creatore, certamente non siamo noi a fare le cose.

Noi non siamo capici a fare assolutamente niente.

Noi possiamo soltanto distruggere: noi possiamo strappare una foglia ma non possiamo riattaccarla, noi possiamo uccidere un insetto ma non possiamo rifargli la vita, nel modo più assoluto!

Quindi noi siamo fatti spettatori di una realtà che certamente non è opera nostra.

Non è smentibile questo fatto: è un Altro che fa. Tutti i giorni noi siamo sorpresi dall’opera di un Altro che fa qualche cosa nella nostra vita ed è Lui che ci conduce e conduce le fila della nostra vita.

E ci conduce là, dove magari noi non vorremmo.

Ma è Lui che conduce.

Noi stiamo subendo l’opera di un Altro, per questo dico che non possiamo smentirlo.

Così come non possiamo smentire che tutto è voce di Dio.

Eppure noi, tutti i giorni non ascoltiamo la voce di Dio.

Noi ascoltiamo altre voci: sono altri che parlano, non è Dio che parla.

Non possiamo smentire che tutto è voce di Dio, eppure ascoltiamo altre voci.

Cosa succede nella nostra anima, nella nostra mente, nel nostro pensiero per cui noi non possiamo smentire che tutto è voce di Dio, eppure noi sentiamo sempre voci di altri?

Eppure Gesù dice: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”.

Con questo ci mette il dubbio che noi non siamo pecore di Dio.

Perché se fossimo pecore di Dio ascolteremmo la voce di Dio.

Noi vedremmo la voce di Dio in tutte le cose.

Perché tutto è voce di Dio.

Allora dobbiamo ritornate all’appartenenza ma abbiamo visto l’altra volta che l’appartenenza non dipende da noi: noi possiamo dire da mattina a sera di appartenere a Dio ma sono solo parole nostre.

Non è la creatura che si offre a determinate l’appartenenza, non basta offrire una merce perché questa merce passi all’altro, bisogna che sia l’altro che la faccia sua: “Non siete voi che avete scelto me ma sono Io che ho scelto voi”.

È soltanto Dio il Creatore che può far sue le cose, non siamo noi che determiniamo la nostra appartenenza a Dio, pur piangendo da mattina a sera.

Questo esula dalla nostra volontà, dalle nostre scelte, dalle nostre decisioni, dalle nostre promesse, dai nostri voti, noi possiamo fare tutti i voti di questo mondo: Lui è là e noi siamo qui e noi siamo presi da tutti gli impegni del mondo, altro che essere spose di Dio.

Il problema primo da precisare è quello dell’appartenenza ed abbiamo visto che l’appartenenza non dipende da colui che si offre ma dipende da colui che prende, che fa suo e Colui che fa suo è Dio non siamo noi.

L’appartenenza a Dio non dipende quindi dalla nostra volontà, dalle nostre scelte, dai nostri sacrifici o dalle nostre rinuncie, non è questo che ci fa appartenere a Dio.

E allora il problema è quello di capire, di conoscere chi è suo, chi è sua pecora.

Ed è soltanto quando si capisce chi è pecora di Dio che si conosce se si è pecora di Dio.

Quello che fa le pecore di Dio è la conoscenza.

La pecora di Dio si caratterizza nel guardare tutto dal punto di vista di Dio.

Non pensa a se stessa, non pensa nemmeno di appartenere a Dio, perché colui che guarda da Dio non pensa a se stesso.

Ma guardando da Dio scopre ciò che è di Dio e a un certo momento scopre sé come pecora di Dio: è Dio che fa sui, perché già tutto è suo ma il difetto è in noi che non capiamo.

Per cui tutto è di Dio ma non tutti capiscono che tutto è di Dio.

Tutti noi siamo di Dio ma non tutti noi capiamo di essere di Dio.

E perché non lo capiamo?

Perché il capirlo è una conseguenza del guardare dal punto di vista di Dio.

E fintanto che noi non guardiamo le cose dal punto di vista di Dio, nel modo più assoluto noi siamo di Dio ma non possiamo capire che siamo di Dio e quindi noi siamo molto lontani da Dio.

Qui Gesù precisa che soltanto le pecore di Dio ascoltano la sua voce e possiamo capire quello che diceva: “Hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono”, possiamo anche aggiungere: hanno bocche e non parlano, perché non si dice niente.

Si parla da mattina a sera e non si comunica niente, non si dice niente.

Ci riempie gli occhi di mondo, si corre a destra e a manca e non si vede mai niente.

Si accende la radio, la televisione, si va ad ascoltare l’uno e l’altro e non si sente niente.

Hanno orecchi e non odono, non ascoltano.

Nella creatura può accadere questo, non basta avere occhi, orecchie e bocca.

Gli orecchi da soli non sentomo assolutamente niente.

Gli occhi da soli non vedono assolutamente niente e la bocca per quanto parli non dice niente e non comunica niente.

E allora a questo punto il problema si sposta, se tutto, come dice Gesù è voce di Dio, il problema si sposta sul tema della voce.

Cosa è una voce e quale è la condizione per potere ascoltare questa voce?

Tutto è voce di Dio eppure noi con le nostre orecchie ascoltiamo la voce di altri, di tutte le creature ma non ascoltiamo la voce di Dio.

Non l’ascoltiamo non perché non la vogliamo ascoltare ma perché non la possiamo ascoltare, non la sappiamo individuare.

Dove è questa voce di Dio e chi ci assicura che è la voce di Dio?

Ecco, orecchi che non odono.

E allora che cosa è necessario per avere orecchi che odono?

Che odano che cosa?

Che odano la realtà.

E quale è questa realtà?

La voce di Dio.

Se tutto è voce di Dio, cosa è necessario per avere orecchi che ascoltano la voce di Dio?

Il problema si sposta sull’argomento “voce”.

Cosa è una voce?

L’universo è una scuola e Dio sta insegnando, il più delle volte noi non abbiamo neppure incominciato la prima elementare, siamo all’asilo.

Comunque Dio ci parla e ci prende dalle situazioni più infelici, più tormentate o più elementari fino a portarci all’università, fino a portarci ai sommi studi, fino a portarci alla somma conoscenza, alla sapienza eterna.

Una delle prime lezioni che Dio ci presenta è quella di farci capire la voce delle cose.

Anche all’asilo o alla prima elementare s’insegna ai bambini la voce delle cose.

La voce degli animali: ogni animale ha la sua voce, ogni creatura ha la sua voce, l’albero ha la sua voce, l’acqua ha la sua voce, il fuoco ha la sua voce, tutto ha la sua voce.

E questo ci fa intuire che ogni esistente ha la sua voce.

Ci sono miliardi di uomini e ognuno ha la sua voce.

Questo ci fa intuire che ogni esistente non è fatto soltanto della sua natura, ma è fatto di due elementi.

Ciò che è ed è una singolarità, l’acqua è acqua, il monte è monte, il sole è sole, la foglia è foglia, l’uomo è uomo: una singolarità.

Ma non basta: è fatto anche di una voce e la voce è anche una singolarità.

La voce di ognuno è singolarità.

L’acqua, il fuoco, il vento hanno loro voci particolari.

Ogni animale ha una sua voce particolare, ogni uomo ha una sua voce particolare.

Ogni esistente è fatto di una sua natura e di una sua voce.

E dobbiamo capire cosa è questa voce e qual’è la funzione di questa voce.

Tutto è creazione di Dio, essendo tutto creazione di Dio, questo ci fa capire che anche Dio ha una sua voce.

Dio non fa altro che ripetere, significare Se stesso perché Lui solo è, e quindi come ogni creatura (sopratutto ogni persona) ha una sua voce, a molta maggior ragione Dio ha una sua voce.

Ed è della somma importanza, saper eiconoscere la voce di uno.

Ed è della somma importanza saper riconoscere la voce di Dio, perché è la condizione per la formazione in noi della capacità d’ascolto.

Se noi non abbiamo capito qual’è la voce di uno, noi siamo impossibilitati ad ascoltare la voce di quest’uno; non la possiamo individuare.

Ho fatto altre volte l’esempio dell’acqua.

Solo chi ha visto l’acqua e vedendola ha udito il rumore dell’acqua, ha capito la voce dell’acqua e tutte le volte che pur non vedendo l’acqua ne sente la voce la sa identificare come voce dell’acqua.

Ma può dire che quella è la voce dell’acqua, soltanto in quanto, un giorno, lui è stato a guardare l’acqua e ha udito il rumore che l’acqua faceva.

Se uno non si è fermato a guardare l’acqua ed a udire la voce dell’acqua, tutte le volte che sente la voce dell’acqua, non può riconoscere che quella è la voce dell’acqua.

Allora il vedere lo si vede con gli occhi, è con gli occhi che si vede l’acqua ma è con l’orecchio che si riconosce la voce dell’acqua.

E mentre l’occhio guarda, l’orecchio ascolta.

Ecco per cui Dio ci ha dato l’occhio e l’orecchio.

Noi con l’occhio vediamo l’acqua e con l’orecchio ascoltiamo il rumore, la voce dell’acqua.

Succede che un giorno, noi non vediamo l’acqua ma udiamo la voce dell’acqua con l’orecchio e siccome lo abbiamo interiorizzato, associato, udendo la voce dell’acqua diciamo che c’è dell’acqua, pur non vedendola con gli occhi.

Notiamo bene che se abbiamo sete, non basta sentire il rumore dell’acqua, noi non ci dissetiamo sentendo il rumore dell’acqua.

Noi ci dissetiamo soltanto se arriviamo alla presenza dell’acqua.

L’acqua non la vediamo perché occupa un luogo ben preciso, però la voce dell’acqua la udiamo anche se siamo lontani dal luogo dell’acqua e se abbiamo sete, interesse, udendo da lontano la voce dell’acqua, giungiamo alla presenza dell’acqua.

In montagna da lontano si sente il rumore dell’acqua e se uno ha sete seguendo la voce giunge all’acqua, perchè?

Perché soltanto arrivando alla presenza dell’acqua si può dissetare.

Questo ci fa capire cosa vuol dire “voce”.

Un essere è una singolarità, l’acqua è una singolarità.

La voce dell’acqua non è altro che l’annuncio, la significazione dell’acqua che arriva dappertutto dove non c’è l’acqua.

Se noi avessimo orecchi attenti, fini, noi sentiremmo la voce dell’acqua a kilometri di distanza.

Noi ci stupiamo come certi animali riescano a seguire delle piste invisibili per noi nelle loro migrazioni.

Cosa stanno seguendo?

Stanno seguendo la voce.

La voce è la significazione di un essere ma la significazione universale su tutto ciò che non è quell’essere.

Quindi abbiamo l’essere in sé e la voce dell’essere che è l’annuncio di quell’essere su tutto ciò che non è quell’essere.

Per cui la voce arriva dappertutto, a migliaia di kilometri di distanza.

Il problema è captarla, avere lo strumento per captarla ma la voce arriva dappertutto ed è una pista.

Chi ha interesse e sopratutto chi ha associato un esistente con una sua voce, ha la possibilità di passare dalla voce alla presenza dell’esistente, alla sua sorgente.

Questo è di una importanza enorme.

Qui si scopre il campo di possibilità e il campo d’impossibilità.

Chi non ha visto l’acqua  e quindi non ha udito il rumore che fa l’acqua, non ha la possibilità, udendo la voce dell’acqua di risalire all’acqua.

Perché non ha la possibilità di riconoscere che quella è la voce dell’acqua.

Il tema di questa sera è la capacità d’ascoltare.

La capacità d’ascoltare si forma dal guardare, si forra dall’osservare, dalla presenza di una cosa o di una persona.

Soltanto chi è stato con una persona ha la possibilità di riconoscere la voce di quella persona.

Perché stando con quella persona, ha ascoltato, ha udito, ha memorizzato, ha associato la voce di quella persona a quella persona.

Ogni esistente ha una sua voce caratteristica, singolare, Dio fa tutte le cose singolari, ed è questo che dà a noi la capacità, perché anche quando non vedremo quella persona, udendo quella voce sapremo che c’è quella persona.

E se abbiamo interesse, noi correndo dietro a quella voce, arriviamo alla presenza.

Questo ci fa capire che la conoscenza di una voce si ha soltanto deducendola dalla presenza della sorgente della voce.

La voce è singolarità di un essere e in quanto è singolarità di un essere, si può conoscere soltanto da quell’essere e da nessun altro.

Nessuno mi può far capire la voce dell’acqua parlandomene.

Soltanto se mi conduce alla presenza dell’acqua e mi fa vedere l’acqua e mi fa sentire il rumore dell’acqua mi dà la possibilità di capire la voce dell’acqua.

Questo ci fa capire che soltanto dall’essere stesso, noi possiamo personalmente capire la voce di quell’essere.

Nessuno ci può insegnare la voce di un essere, la voce è singolarità come l’essere è singolarità.

Nessuno ci può far conoscere un essere e nessuno ci può far conoscere la voce di un essere.

Soltanto se noi personalmente possiamo trovarci alla presenza di quell’essere, udendo la voce di quell’essere, soltanto lì noi abbiamo formato in noi la capacità di riconoscere e di ascoltare la voce di quell’essere.

Tutto è opera di Dio, tutto è segno di Dio...il tema di oggi è la capacità di ascolto ma questo perché siamo partiti da: “Le mie pecore ascoltano la mia voce” e da questa enorme difficoltà a riconoscere la voce di Dio.

Noi riconosciamo la voce delle creature, la voce degli animali, delle cose ma non sappiamo riconoscere la voce di Dio.

E non sapendola riconoscere non la possiamo ascoltare, poiché può ascoltare una voce, soltanto colui che riconosce quella voce ma quella voce si conosce soltanto dalla sua sorgente, dal suo principio, dal suo essere, dalla singolarità.

Tutto è opera di Dio per formare in noi questa capacità a riconoscere la sua voce e di ascoltare la sua voce, sopratutto di non confondere la sua voce con la voce degli altri.

Come la voce dell’acqua si conosce soltanto alla presenza dell’acqua, così la voce di Dio si conosce soltanto alla presenza di Dio.

Nessuno ce la può insegnare.

Come nessuno può insegnare a noi la voce dell’acqua, nessuno può insegnare a noi la voce di Dio, è soltanto Dio che insegna a noi la sua voce ma, soltanto se noi ci fermiamo con Lui, perché soltanto se noi ci fermiamo con l’acqua, noi capiamo qual’è il rumore dell’acqua che non si confonde con nessuna altra voce, nessun altro rumore.

E sono miliardi di rumori eppure ogni rumore è inconfondibile.

Così la voce di Dio, è inconfondibile, è singolare come Dio è singolare.

Però soltanto chi guarda da Dio, che si ferma con Dio, soltanto da Dio (ecco le pecore di Dio) può conoscere, può capire qul’è la voce di Dio e (l’essere si riceve attraverso la conoscenza) soltanto quando l’ha capita allora può ascoltarla.

E allora succede quello che abbiamo visto prima come dilemma, noi ci troviamo in un regno che è tutta opera di Dio, creazione di Dio, che è tutto parlare di Dio, quindi tutto è voce di Dio.

Noi ci troviamo in un regno in cui tutto è voce di Dio e noi non riusciamo a conoscere la voce di Dio, non riusciamo ad ascoltare la voce di Dio.

Adesso abbiamo capito perché non possiamo ascoltarla: perché non ci siamo fermati con Dio e fintanto che non ci fermiamo con Dio, (soltanto da Lui noi possiamo capire cos’è la voce di Dio), noi siamo costretti ad ascoltare altre voci.

Non possiamo farne a meno, siamo costretti ad ascoltare altre voci ma non certamente la voce di Dio.

Le voci di quello che abbiamo udito, visto o ascoltato.

La voce è il segno di un esistente, di un essere, di una persona, mentre la persona è singolarità in sé, la voce di un essere è universale, arriva dappertutto, là dove quella persona non è.

Proprio per questa carratteristica della voce, nella voce stessa abbiamo due elementi, abbiamo l’elemento di colui di cui è voce, porta con sé il principio: la voce dell’acqua è la voce dell’acqua, ma abbiamo un elemento che arriva a noi, nei nostri sensi: la voce dell’acqua arriva là, dove l’acqua non è, cioè arriva all’orecchio dell’uomo che non vede l’acqua.

Quindi abbiamo una parte che è sentimentale, che arriva all’uomo indipendentemente dall’uomo, si fa sentire dall’uomo ed abbiamo una parte che appartiene invece alla sorgente, alla fonte.

La prima parte è sentimentale, la seconda intelletuale.

Perché intelletuale?

Perché collega la voce con il suo principio.

L’uomo che non conosce la voce nel suo principio, quindi nella parte intelletuale, non la collega con il principio, quell’uomo si ferma alla parte sentimentale della voce, si ferma ai suoi sensi, si fema all’io.

Chi invece riconosce la voce poiché l’ha vista nel suo principio, costui dalla voce può passare al principio, ha la possibilità cioè di fare l’operazione inversa ma chi ha la possibilità di fare l’operazione inversa (passare dalla voce all’essere) è soltanto chi è passato prima dall’essere alla voce.

Altrimenti è assolutamente impossibile.

Anche in matematica abbiamo le operazioni dirette e le operazioni inverse, non possiamo assolutamente fare una sottrazione se non abbiamo imparato a fare l’addizione, non si può fare una divisione se non si è imparato a fare la moltiplicazione.

Qui siamo in un campo d’impossibilità: non si può passare dalla voce, alla sorgente della voce se uno prima non è passato dalla sorgente della voce alla voce.

Gesù diceva che nessuno può salire al cielo se non discende dal cielo.

Non si può passare dalla terra al cielo se prima non si è discesi dal cielo alla terra.

La terra è il luogo in cui si raccolgono tutte le voci ma non si può passare dalle voci al cielo se prima non si è passati dal cielo alle voci.

E allora succede che chi ascolta la voce di Dio cammina verso l’infinito di Dio, cammina verso un infinito poiché scopre che tutto a poco per volta rientra in questa voce di Dio e tutto lo raccoglie in Dio poiché la voce ci convoca a una presenza.

Per cui tutto ad un certo momento ci convoca alla presenza di Dio e a un certo momento il Signore ci dirà di entrare nella sua gioia.

Chi è disceso dal Principio e scopre che tutto è voce di Dio ha la possibilità di questa apertura all’infinito.

Si apre una serie che ha un limite infinito.

Ma chi non riconosce la voce di Dio è costretto a fermarsi alla parte sentimentale della voce, a ciò che sente della voce e quindi ha come punto di riferimento l’io.

Siccome il nostro io non giustifica niente, qui si apre un altra serie, una progressione che va verso il nulla verso il niente, verso il vuoto.

Ecco l’elemento determinate della voce.

La voce che arriva a noi determina in noi due grandi correnti: se noi sappiamo ascoltare la voce di Dio questa ci apre all’infinito,se noi non sappiamo riconoscere la voce di Dio e quindi ci fermiamo alla voce che percepiscono i nostri sensi, questa ci apre a questo corridoio che va verso l’abisso, il vuoto, il nulla.

Tutto è lezione di Dio per condurci a una cosa essenziale: a capire la voce di Dio, nessuno ci può insegnare la voce di Dio, è un fatto essenzialmente personale come è un fatto essenzialmente personale il conoscere la voce dell’acqua: soltanto colui che personalmente ha visto l’acqua sentendo il suo rumore, ha imparato qual’è la voce dell’acqua.


GV 10 VS 27 - Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.


Secondo tema – Entra nella gioia del tuo Signore.


Argomenti: La voce. Conoscere la voce di Dio. La capacità di riconoscere una voce  è conseguenza di essere stati con una presenza. La singolarità della voce. I tre dilemmi. L’unificazione dei pensieri in Dio. La morte è dispersione. La fede che non salva. La contraddizione tra fede e parola di Dio. I muri della fede. Logica umana e logica divina. I misteri. Le contraddizioni nell’opera di Dio. La conoscenza è data dal principio della cosa. Il principio dell’uomo. Salvati dalla teoria. Guardare dal punto di vista di Dio. Fede e conoscenza. Il principio del pensiero dell’uomo. Il male è un difetto. L’esperienza di non essere conosciuti da Dio e di essere conosciuti da Dio. La gioia d’intendere Dio.


 

29-30/ Settembre /1991


Ci siamo già soffermati sopra la prima parte di questo versetto, cioè “Le mie pecore ascoltano la mia voce”, oggi dobbiamo soffermarci sopra l’altra parte: “Io le conosco”.

Anche qui dobbiamo chiederci il significato di queste parole, sono parole di Dio e Dio parla per noi.

Parla per aiutarci ad entrare nella vita eterna, cioè nella conoscenza di Dio come vero Dio, poiché è questa la nostra vera vita.

Abbiamo visto le volte precedenti l’argomento della voce.

Tutto è creazione di Dio, tutto è opera di Dio, tutto è voce di Dio.

Dio parla ed opera in tutto per noi.

Tutta la creazione e tutto l’universo, tutti gli avvenimenti, tutti i fatti sono opera di Dio per noi.

Tutto è regno di Dio.

Dio regna, opera in tutto per formare in noi la capacità di giungere a conoscere Lui.

Lui è il rivelatore di Sé e Lui opera in tutto per formare in noi questa capacità.

Capacità di conoscere Lui e di restare con Lui.

E dopo l’argomento della voce ci siamo soffermati sulla capacità di ascoltare una voce.

Perché non tutti ascoltano la voce di Dio.

Non tutti sono capaci di ascoltare la voce di Dio.

Noi sappiamo per fede che uno solo è il creatore, quindi sappiamo per fede che tutto è voce di Dio.

Però non basta quello che noi sappiamo per fede, per dare a noi la capacità di riconoscere la voce di Dio in tutte le cose.

Abbiamo visto che noi riconosciamo la voce degli animali, la voce degli uomini, la voce delle creature e invece ci troviamo in una difficoltà enorme a riconoscere e quindi ad ascoltare la voce di Dio.

Noi non siamo capaci ad ascoltare la voce di Dio perché non riconosciamo la voce di Dio.

E allora ci siamo chiesti che cosa è necessario per poter riconoscere la voce di Dio.

E abbiamo visto che ogni esistente ha la sua voce, ogni esistente è una singolarità, quindi Dio è una singolarità e la voce di ogni esistente è una singolarità.

E proprio per questa caratteristica abbiamo visto che soltanto alla presenza di un essere abbiamo la possibilità di conoscere la voce di un essere.

Fintanto che noi non siamo stati con un essere, non possiamo conoscere la voce di quell’essere.

Perché la voce di un essere viene soltanto da quell’essere lì.

Abbiamo fatto l’esempio dell’acqua, soltanto se siamo stati alla presenza dell’acqua ed abbiamo udito la voce, il rumore che fa l’acqua, si è formata in noi la capacità di riconoscere la voce dell’acqua, in modo che, tutte le volte che noi udiamo quella voce, anche se non vediamo l’acqua, noi diciamo che quella è la voce dell’acqua.

Ma questa capacità si è formata in conseguenza del fatto che siamo stati con l’acqua, anche solo per un attimo.

Così è per le persone, soltanto se noi siamo stati con una persona, abbiamo avuto la possibilità di conoscere la voce di quella persona, per cui quando udiamo la voce di quella persona, anche se non vediamo la persona, noi riconosciamo che quella voce è la voce di quella persona.

Quindi la capacità è una conseguenza di essere stati con una presenza, con la presenza di un essere.

Questo ci fa capire perché noi abbiamo tanta difficoltà a riconoscere ed ad ascoltare la voce di Dio.

Noi non possiamo smentire che tutto è voce di Dio, non possiamo dimostrare che non è vero, dal momento che la creazione non siamo noi a farla, c’è un altro che la fa.

Uno solo è il Creatore: tutto è voce di Dio, ma noi non possiamo riconoscere questa voce e quindi non siamo in grado di ascoltare questa voce fintanto che non ci soffermiamo, almeno una volta con Dio, fino a capire quale è la voce di Dio.

Perchè la voce di Dio è singolarità e singolarità di Dio.

Dio è singolarità assoluta, anche la sua voce è una singolarità assoluta ed è soltanto quindi dalla presenza di Dio, dal restare con Dio che si forma in noi la capacità di conoscere quale è la voce di Dio e avendo formato in noi questa capacità, abbiamo adesso la possibilità di riconoscere la voce di Dio in tutto.

Questi argomenti sono stati necessari per condurci all’argomento di questa sera: “Io le conosco”, cioè conosce le sue pecore.

Se Dio parla, parla perché vuole comunicare a noi qualche cosa.

Dio non parla inutilmente.

La parola di Dio, dice la scrittura, scende dal cielo a fecondare la terra e non ritorna al cielo senza avere recato qualche frutto.

É la parola di Dio che feconda la nostra terra, la nostra vita.

Senza la parola di Dio la nostra vita è sterile e noi giriamo a vuoto e tutta la nostra vita diventa inutile: “Senza di Me fate niente”.

Quindi la parola di Dio è questo seme che rende feconda la nostra terra.

Anche in queste parole: “Io le conosco”, c’è questo seme per noi, per fecondare la nostra terra, per fecondare la nostra vita.

E quindi dobbiamo cercare di capire il significato, la portata di questa comunicazione di Dio perché è una comunicazione per noi.

Dio dice: “Io conosco le mie pecore”.

Ma qui come le volte precedenti si apre un abisso, un dilemma.

In quanto Gesù, parola di Dio annuncia: “Io conosco le mie pecore”, fa capire che ci sono delle pecore che Lui non conosce.

Dice: “Le mie pecore”, abbiamo visto le volte precedenti chi sono queste sue pecore.

Ma affermando: “Io conosco le mie pecore” già ci pone davanti al fatto che Lui non conosca le altre pecore, pecore che non sono sue, è un dilemma, perché?

Perché la fede ci afferma che Dio conosce tutto.

Tutto è opera di Dio, tutto è creazione di Dio, Dio conosce tutto.

Se la sua conoscenza fosse limitata non sarebbe Dio.

Da una parte abbiamo la fede che dice che Dio conosce tutto e tutti, qui abbiamo la parola di Dio che implicitamente dice che Dio non conosce le pecore che non sono sue.

E non è soltanto questa affermazione, noi ne abbiamo altre simili di Dio, in cui Dio apertamente dice: “Non vi conosco, non vi ho mai conosciuti”, è un dilemma, una contraddizione.

E anche le contraddizioni hanno un significato profondo, il principio di non contraddizione sarebbe la logica umana, ma le contraddizioni hanno un significato profondo nella logica divina.

Anzi se osservate con attenzione, noi siamo già passati attraverso due dilemmi, questo è il terzo, ed è attraverso questi dilemmi che si forma in noi il movimento e la penetrazione nel mistero divino.

Il primo dilemma che abbiamo incontrato è stato questo: tutto è di Dio, questo è la fede stessa che lo annuncia e la fede è in quanto parte da Dio creatore.

Noi conosciamo Dio per l’opera stessa di Dio.

Tutta la creazione non è opera nostra è opera di un altro.

Però basta semplicemente pensare Dio creatore di tutte le cose per capire che tutto è suo, tutto è di Dio.

Eppure la parola di Dio ci dice: “Le mie pecore” e ci fa capire che ci sono delle pecore che non sono sue.

Abbiamo detto che è il primo dilemma, tutto è di Dio, però ci sono delle pecore che non sono di Dio.

Il secondo dilemma che abbiamo incontrato è stato questo: tutto è voce di Dio e la parola di Dio afferma che non tutti ascoltano la voce di Dio, non tutti conoscono la voce di Dio.

Quindi in un mare in cui tutto è voce di Dio, non si ascolta, non si ode la voce di Dio.

Ci siamo chiesti come è possibile trovarsi in un luogo in cui Dio solo è Colui che parla e non udire la voce di Dio.

Adesso terzo dilemma: Dio conosce tutto e qui si dice: “Io conosco le mie pecore, le altre non le conosco”.

Noi non sopportiamo le contraddizioni, perché siamo fatti per l’assoluto, quindi siamo fatti per un pensiero semplice, la cosa migliore per la nostra vita è l’unità, la semplicità di pensiero, perché lì c’è la luce.

Noi non vediamo la luce perché abbiamo una molteplicità di pensieri, pensieri che non si unificano o che non unifichiamo.

La più grande rovina che gli uomini fanno a se stessi è quella di non preoccuparsi di raccogliere i loro pensieri in Dio.

Gesù dice: “Chi con Me raccoglie riceve mercede di vita eterna, ma chi con Me non raccoglie disperde e disperdendo resta disperso”.

E la morte è dispersione.

Se noi ci rendessimo veramente conto che noi seminiamo la morte nella nostra vita, proprio non raccogliendo, non unificando in Dio, noi ci preoccuperemmo come prima cosa, come unica cosa necessaria di raccogliere i nostri pensieri in Dio, questo riportare tutti i nostri pensieri a Dio, per vederli dal punto di vista di Dio, per unificarli in Dio.

Perché la vita è raccoglimento, la vita è unificazione.

La grande rovina che l’uomo fa a se stesso, inizia lì, nella mente, nei pensieri.

Si arriva al punto in cui l’uomo non ha più tempo per fermarsi per unificare i suoi pensieri e resta distrutto dai suoi stessi pensieri.

E ogni pensiero in noi, non riportato al principio, alla sorgente, non riportato in Dio dentro di noi, intossica noi.

Diventa un cancro che ci distrugge.

E non è ancora detto che la sorgente dei tumori, dei cancri non derivi proprio da questo difetto di unificazione dei pensieri che portiamo dentro di noi, nel nostro cervello, non riportati in Dio.

Tutti i pensieri non raccolti, non unificati in Dio, diventano per noi veleno e quindi distruzione, disgregazione della nostra unità di vita.

Ho detto che qui c’è questo dilemma: la fede in Dio creatore o la fede nelle parole di Dio.

E la fede non ci risolve questo dilemma.

La fede a un certo momento ha i muri.

La fede a un certo momento ci dice che Dio conosce tutto e noi non possiamo smentirlo: Dio conosce tutto.

La fede nella parola di Dio, voce che Dio ci fa arrivare ci dice che le pecore che non sono sue, Dio non le conosce.

La fede ci fa credere l’una e l’altra affermazione ma non ce le fa capire.

Per cui è un muro, è un muro perché è una contraddizione, la fede non ci dà la possibilità di superare la contraddizione.

Quindi o noi andiamo oltre la fede e c’impegniamo nella conoscenza o altrimenti noi restiamo nella contraddizione.

Questo per dirci che non basta credere, o la fede conduce alla conoscenza o altrimenti la fede che non ti conduce alla conoscenza non ti salva.

La fede che non ti salva è quella che non ti mette in movimento verso la conoscenza.

Abbiamo detto che non basta sapere o credere che tutto è voce di Dio.

La fede ti dice che tutto è voce di Dio.

Ma noi pur credendo che tutto è voce di Dio e non potendo smentire che tutto è voce di Dio, noi non ascoltiamo, non vediamo, non udiamo, non intendiamo la voce di Dio in tutto.

E se noi non la intendiamo perché non riconosciamo la voce di Dio, noi non entriamo nella luce di Dio, quindi non entriamo nella vita, non entriamo nella salvezza.

La fede ci dice e ci fa credere che tutto è voce di Dio, pero noi sentiamo le voci di tutt’altro da Dio: noi sentiamo la voce degli uomini, della natura, degli animali, di tutte le cose ma noi non sentiamo e non intendiamo la voce di Dio.

Questo ci dice che ci vuole qualcos’altro.

Noi abbiamo la possibilità, abbiamo detto, di riconoscere una voce in quanto abbiamo conosciuto questa voce nel suo principio, cioè direttamente dall’essere di cui quella voce è voce.

Perché la voce è singolare all’essere stesso.

Qui non basta la fede.

La fede ci porta a questo dilemma ma proprio perché la fede c’impegna a conoscere.

E colui che s’accontenta di credere si trova a un certo punto di fronte a questi muri, oltre i quali non può andare e quindi non arriva alla luce.

Quindi questo c’impegna a capire e ad andare oltre quello che dice e che afferma la fede.

Dio conosce tutto eppure Dio non conosce tutto: è parola di Dio e allora dobbiamo cercare la ragione.

Quello che è illogico, per la logica umana, la contraddizione che c’è nella logica umana, ha un significato per la logica divina e il significato sta in questo stimolarci ad andare oltre, ad approfondire, questo impegnarci a capire il perché, la ragione.

In tutte le cose c’è una ragione, è parola di Dio anche questa.

In tutte le cose c’è un pensiero.

E noi dobbiamo chiederci cosa è questa conoscenza.

Conoscere vuol dire avere in se stessi il principio di una cosa.

Se noi osserviamo le cose ma non abbiamo in noi il principio di esse è come se ascoltassimo delle parole di cui non capiamo il pensiero.

Il rumore arriva a noi, la visione delle cose arriva a noi, però tutto è senza pensiero, non riusciamo ad arrivare al pensiero.

Noi lo chiamiamo mistero e ci fermiamo al mistero.

E non ci accorgiamo invece che il mistero ci è annunciato affinchè noi abbiamo a buttarci, sprofondarci in esso.

Le cose sono misteriose, certamente, perchè la luce sulle cose si riceve soltanto da Dio e fintanto che noi non impariamo a guardare da Dio, noi ci troveremo sempre di fronte al mistero ma Dio non ci presenta il mistero per metterci con le spalle al muro o per farci disperare di non poter mai giungere alla luce.

Dio ci presenta il mistero per sollecitarci, perchè questa contraddizione che c’è nelle cose......

Ma in realtà c’è la contraddizione in tutte le cose.

La creazione stessa è una contraddizione con Dio.

Tutte le creature esistono e noi diciamo “sono” mentre Dio solo è.

Il vero nome di Dio è questo: “Io sono Colui che è”.

Lui solo è.

Abbiamo detto che l’essere è una singolarità: Lui solo è.

Allora il costatare l’esistenza di tanti altri “esseri”, è già tutta una contraddizione.

Per questo noi percepiamo che c’è il mistero.

E già, ma il mistero lo portiamo dentro di noi, ma il mistero è per sollecitarci a sprofondarci in questo mistero, in modo di arrivare alla luce: è Dio che sta parlando con noi.

La conoscenza è possibile soltanto in quanto si vede il principio di una cosa.

Il principio di tutte le cose è Dio, Lui solo è il Creatore.

In Lui c’è quindi la chiave, la luce per conoscere tutte le cose, e per conoscere Dio perché Dio ha in Sé il principio di Sé.

Tutte le cose non hanno in sé il principio di sé e qui c’è la differenza tra Dio e le creature.

Tutte le creature, angeli compresi, hanno altrove da sé il principio di sé, per questo sono ignote a se stesse, noi non ci conosciamo ed è assurdo dire all’uomo di conoscere se stesso.

Perché l’uomo non ha in sé il principio di sé, ed è una presa in giro dire all’uomo: “Conosci te stesso”, perché il principio dell’uomo non è nell’uomo.

Il principio dell’uomo è in Colui che fa l’uomo.

L’uomo è un essere “fatto”.

E tutte le creature sono degli esseri fatti.

Il che vuol dire che non si fanno da sé.

Il che vuol dire che non hanno in se stesse il principio di sé.

Il che vuol dire che il principio loro è altrove e fintanto che non si trova questo principio, tutte le cose sono ignote a noi e noi ci aggiriamo nella notte, nelle tenebre, nella confusione.

Soltanto il Creatore, Colui che è il principio di tutte le cose, ha in Sè la ragione di tutte le cose.

E quindi soltanto in Dio e soltanto da Dio, noi abbiamo la possibilità di giungere alla conoscenza.

Ma allora se questo è vero, è assolutamente necessario che noi superiamo tutti i nostri problemi, dimentichiamo tutto di noi, sopratutto il pensiero del nostro io, per immergerci nel cielo di Dio, per guardare le cose da Dio.

Abbiamo accennato domenica scorsa alla teoria, questa contemplazione delle cose in Dio e da Dio.

Noi siamo salvati dalla teoria, dalla contemplazione delle cose in Dio, perchè lì abbiamo la luce.

Lì c’è il principio di tutte le cose.

Quindi l’importante è cominciare a guardare le cose dal punto di vista di Dio.

Ed anche queste parole: “Io le conosco, conosco le mie pecore”, anche queste parole vanno guardate dal punto di vista di Dio, perché nemmeno la fede qui ci salva.

Tutta la fede che possiamo avere, a un certo punto conclude con un dilemma e quel dilemma è lo stimolo ad andare al di là della fede quindi a cercare la conoscenza e non solo ma a cercare la conoscenza in Dio e da Dio.

Perché Colui che parla in tutte le cose è anche Colui che ha la soluzione di tutte le cose.

In Lui c’è la luce, la nostra vita è nella luce.

Per questo la parola di Dio dice: “La vostra vita è nascosta in Dio”.

In principio la vita era la luce degli uomini, poi gli uomini hanno fatto consistere la loro vita negli affari e nelle cose del mondo ma in principio (cioè nel pensiero di Dio) la vita era la luce degli uomini.

E gli uomini hanno perso la vita perché hanno perso la luce e non si preoccupano più di cercare la luce, questa deve essere la preoccupazione principale.

Ogni giorno vale in quanto noi progrediamo nella luce di Dio, perché lì progrediamo nella vita, è inutile che noi lottiamo contro la morte, la morte necessariamente ha la partita vinta se noi non cerchiamo la luce.

La morte si vince non lottando contro la morte, la morte si vince trovando la vita, scoprendo la vita, scoprendo in cosa sta la vita.

E se c’impegnamo a cercare dove sta la nostra vita, lì troviamo la vita.

Gesù stesso dice che chi va dietro di Lui non proverà la morte.

Quindi ritorniamo a questo punto: “Io conosco le mie pecore” e quindi implicitamente dice di non conoscere quelle che non sono sue pecore.

Conoscere vuol dire avere in sè il principio.

Dio ha in Sé il principio di tutto ciò che esiste, quindi conosce tutto e tutti.

Abbiamo detto all’inizio che tutto è di Dio: certamente tutto è di Dio, però ci sono delle pecore che non sono di Dio e dobbiamo capire il significato anche di questo.

Quindi tutto è di Dio, però non tutti sono di Dio: è una contraddizione nella logica umana ma non nella logica divina.

Dio conosce tutto però è anche vero che Dio non conosce quelle che non sono sue pecore.

Tutto è voluto da Dio, certamente la nostra esistenza è voluta da Dio, non ci siamo creati noi da soli e tutti i fatti che accadono e che costituiscono il nostro vivere, sono creazione di Dio e non sono voluti da noi, quindi c’è una parte di noi che è di Dio, che appartiene a Dio, ma c’è anche una parte di noi che sfugge a Dio.

Basta pensare questo: Dio è il principio di tutto, non tutti hanno Dio come loro principio, è vera la prima affermazione ed è vera la seconda.

Non tutti hanno Dio come principio, eppure Dio continua ad essere principio di tutto.

Dio è presente in tutto e in tutti, certamente Dio è presente in noi, non tutti hanno presente Dio, è vera l’una e l’altra affermazione.

Dio è la vita di tutti, Dio non è la vita di tutti, è vera la prima ed è vera la seconda affermazione.

C’è un punto solo in cui Dio non è la vita di tutti, e questo punto non è nella sua volontà, non è nei suoi sentimenti, non è nel cuore, non è nel suo vivere, non è nella sua morale, non è nelle sue regole, c’è un punto solo in cui è possibile che Dio non sia principio: nel pensiero.

Dio è il centro di tutti i pensieri, non è vero che Dio sia il centro di tutti i pensieri: l’uomo può avere come punto fisso di riferimento altro da Dio.

Tutti noi possiamo avere come punto fisso di riferimento altro da Dio, perché pecore di Dio sono coloro che hanno Dio come punto fisso di riferimento e guardano tutto da Dio, quindi che hanno Dio come loro principio.

Non tutti hanno Dio come loro principio.

C’è questa possibilità di difetto nell’uomo.

Il male è un difetto, il male è non raccogliere tutto in Dio, non riportare tutto a Dio, non riportare tutto nel principio.

E quando non riporta tutto nel principio, ecco che l’uomo ha altro in sé come principio della sua vita, come principio del suo pensare, come principio del suo parlare.

Ecco che succede questa confusione nell’uomo: Dio è il principio di tutto e l’uomo non può negarlo ma l’uomo può avere un altro principio.

L’uomo si ferma cioè ai suoi sentimenti e non cerca più il pensiero, il significato dei sentimenti che lui prova.

I sentimenti certamente sono opera di Dio, perché i sentimenti non avvengono in noi se non attraverso la creazione stessa di Dio, è Dio che tocca noi e noi sentiamo, sentimento.

I sentimenti arrivano a noi indipendentemente da noi.

Quindi i sentimenti non sono cattivi.

Non c’è niente di cattivo nell’opera di Dio.

Però l’uomo può essere in situazione di difetto, omissione, può omettere di portare quello che arriva a lui indipendentemente da lui, può omettere di riportarlo a Dio, di riferirlo a Dio, di raccoglierlo in Dio, di vederlo da Dio.

Ecco il punto in cui avviene lo scorporamento, in cui la creatura perde Dio e non appartiene più a Dio.

Noi diventiamo figli dei nostri errori.

E Dio non approva i nostri errori, Dio non ci conosce nei nostri errori, non ci comprende nei nostri errori.

E noi qui facciamo l’esperienza di non essere conosciuti da Dio.

Dio ci conosce, perché ci conosce anche nel nostro errore, però non giustifica il nostro errore e noi facciamo esperienza di un Dio che non ci conosce.

Un Dio che non ci conosce perché la voce dei nostri errori non trova comprensione, giustificazione in Dio.

E allora abbiamo questo Dio che dice: “Non vi conosco”.

Perché per conoscere bisogna avere il principio e soltanto se in noi c’è lo stesso principio in cui Dio giustifica tutte le cose, soltanto se in noi abbiamo come principio Dio che è il principio di tutte le cose, lì c’è la possibilità di capire e di entrare nella luce.

Il principio è uno solo: Dio ma noi possiamo avere altri principi, perché possiamo omettere di riportare tutte le cose a Dio, noi ci fermiamo alle impressioni, ecco quindi il problema dell’io e la necessità di superarlo.

Il nostro io naviga nei sentimenti e nelle impressioni e vive di quello.

Invece bisogna andare al di là di quello che noi sentiamo, di quello che il nostro io sente, prova, gusta, di quello che piace o dispiace al nostro io, bisogna andare al di là, per cercare in tutto il pensiero e il significato di Dio.

Soltanto se uno cerca il pensiero di Dio, lì ha il pensiero di Dio come elemento dominante ed è il pensiero di Dio che è in Dio che è il principio in cui si giustificano tutte le cose.

Allora soltanto se c’è questa identità di principio, cioè di pensiero, lì c’è la luce, altrimenti mentre Dio conosce tutto, l’uomo fa esperienza di non essere conosciuto da Dio, ed è la realtà in cui l’uomo viene a trovarsi.

Allora ecco la parola di Dio che dice: “Io conosco le mie pecore ma quelle che non sono mie pecore io non le conosco”.

Cioè le pecore che hanno un altro principio, Lui non le conosce.

Non le conosce, non le comprende, non le giustifica, il che vuol dire che la creatura si sente non compresa, non conosciuta da Dio.

Cioè si trova di fronte a questa parola di Dio che le dice:”Non ti conosco”.

Dio non lo dice con parole umane, Dio lo dice con la realtà, perché le sue parole sono creazione e l’uomo viene a trovarsi nella realtà esperimentata come non conosciuto da Dio.

Per cui Dio dice:”Questo è mio” e fa sua la cosa, solo là, dove la creatura ha Lui come principio.

Ecco il Dio che conosce le sue pecore.

Sue pecore sono quelle che hanno Lui come principio.

Allora hanno in sé il vero principio e lì c’è la luce e lì la creatura si sente conosciuta da Dio, realtà conosciuta da Dio.

Ora, là dove c’è una realtà conosciuta da Dio, noi abbiamo una creatura che ha la possibilità di comprendere e di sentirsi compresa, ha la possibilità d’interrogare Dio e di ricevere la risposta da Dio: “Qualunque cosa chiederete vi sarà data”.

Dio non ci prende mica in giro, le parole che dice sono promesse che Dio vuole realizzare.

Quindi c’è la possibilità di questo, siamo soltanto noi che possiamo trascurare queste parole, ma noi dobbiamo impegnarci sulle parole di Dio.

Uno delle prime parole che Cristo dice è: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire, cerca prima di tutto il regno di Dio e tutto il resto ti sarà dato in sovrappiù”...e chi crede ancora in questo?

Se Cristo promette che tutto viene dato in sovrappiù a chi cerca prima di tutto il regno di Dio, certamente questa è la realtà che Lui fa nella nostra vita.

Nella vita dell’uomo tutto viene determinato da ciò che l’uomo mette prima di tutto.

Soltanto se l’uomo mette prima di tutto Dio, qui abbiamo il punto di osservazione, soltanto se l’uomo guarda dal punto di vista di Dio vede bene le cose, capisce, conosce, ma è necessario mettere prima di tutto ciò che è prima di tutto.

Certamente Dio è al di sopra di tutto e Dio va messo prima di tutto.

Certamente Dio è il principio di tutto e Dio va messo come principio di tutto.

Altrimenti siamo noi che veniamo a trovarci in difficoltà ma perché non abbiamo ascoltato, non abbiamo creduto alla parola di Dio.

Quindi le parole ci sono dette e noi non possiamo ignorarle.

Ora se l’uomo mette Dio prima di tutto, l’uomo viene a trovarsi in questa realtà, come viene a trovarsi nell’altra realtà chi non mette Dio prima di tutto.

Il secondo viene a trovarsi nella realtà di non essere conosciuto da Dio per cui lui chiede e nessuno risponde, lui prega e nessuno lo ascolta.

C’è questa realtà del Dio che non ti conosce perché Dio non può comprendere e quindi giustificare il nostro errore.

Quando l’uomo dice:”Io sono Dio”, certamente non può trovare la comprensione e la giustificazione in Dio.

Come c’è questa realtà negativa, testimonianza di Dio, così anche c’è la realtà positiva, la realtà di potere interrogare Dio e potere ascoltare la risposta di Dio, la realtà di potere conoscere Dio e scoprire di essere conosciuti da Dio.

La possibilità di amare Dio e di essere amati da Dio, questa possibilità di questa intimità con Dio.

L’argomento di stasera era: “Entra nella gioia del tuo Signore”, è questo conoscere le cose dal punto di vista di Dio.

Conoscendo le cose dal punto di vista di Dio, Dio non ti dice a parole: “Entra nella gioia del tuo Signore”, ti fa la realtà di esistere nella natura stessa del tuo Signore, in quella realtà in cui uno parla ed è ascoltato, Dio parla e noi ascoltiamo la sua voce e noi riconosciamo la sua voce.

La possibilità di ascoltare la voce di uno e di potere capire il suo pensiero è la gioia, mentre la grande tristezza è ascoltare la voce e non potere capire il pensiero.

La gioia è potere ascoltare e potere intendere, sapere che Dio ti parla e tu puoi capire il suo pensiero, e puoi partecipare di quello che Lui è.

Questa gioia è la gioia che c’è nel seno della natura divina, nel seno della Trinità di Dio ed è in questa Trinità di Dio che noi siamo chiamati a partecipare, in questa pienezza di conoscenza in cui si conosce e si è conosciuti, si ascolta e si capisce, si ama e si è amati.

Pinuccia A.: Nell’uomo c’è una parte che appartiene a Dio e una parte che sfugge a Dio, non ho capito questo...

Luigi: Cioè il principio è in Dio, c’è una parte di noi che non ha il suo principio in Dio.

Pinuccia A.: Solo una parte?

Luigi: Solo una parte si capisce.

Pinuccia A.: Ma non è tutto nostro?

Luigi: No, vedi un po’ il tuo corpo se appartiene a te!

Vedi un po’ il mondo attorno a te se appartiene a te.

Pinuccia A.: Ma il mio pensiero non appartiene tutto a Dio.

Luigi: Ecco, ho detto che l’unico punto in cui possiamo evere un principio diverso da Dio è il pensiero.

Perché è nel pensiero che noi possiamo collegare con Dio o non collegare con Dio.

Dio è presente nel nostro pensiero ma noi possiamo non riferire tutte le cose a Dio.

Di fronte ad un avvenimento, io possi riferire questo avvenimento ai miei interessi, posso riferirlo a una creatura, posso attribuirlo a una creatura e non a Dio: do la colpa a quel delinquente o a quel politico o al caso, non riferisco le cose a Dio.

Dove non riferisco le cose a Dio?

Solo nel pensiero.

Dio abita nel nostro pensiero.

Noi possiamo non tenere conto di Dio, non possiamo ignorare Dio ma possiamo non tenere conto di Dio: è lì che avviene la frattura.

Tutti gli avvenimenti avvengono con un sigillo ben chiaro: “Noi siamo di Dio”, questa è la voce di Dio in tutto.

Tutto è di Dio e noi non possiamo smentirlo.

Quindi tutte le cose arrivano a noi con questo sigillo ben chiaro: “Noi siamo di Dio”.

Noi prendiamo queste cose, cancelliamo questo sigillo e ce ne appropriamo, anziché riportarle a Dio.

La giustizia essenziale sta nel dare ad ognuno il suo: se tutto è di Dio, tutto va dato a Dio, va riportato a Dio e dove va riportato?

A quel Dio che abita tra i miei pensieri, perché è lì che non posso ignorarlo e quindi le cose vanno sempre collegate lì, perché se non le collego, cosa succede?

Succede che nel mio pensiero ho un altro punto di riferimento diverso da Dio e quello diventa il mio principio.

Pinuccia A.: ma tra il riportare tutto a Dio ed entrare “nella gioia del tuo Signore”, di strada ne passa parecchia...

Luigi: Ma è Lui che ti fa entrare, perché è Lui che ti dice: “Entra nella gioia del tuo Signore”.

Pinuccia A.: Ma questo avviene quando mi sento conosciuta.

Luigi: Ma si capisce.

Pinuccia A.: Ma non basta riportare tutto a Lui per sentirmi conosciuta da Lui.

Luigi: Quando io ho conosciuto la voce dell’acqua che funzione ha ancora la voce dell’acqua?

La funzione della voce dell’acqua è quella di annunciarmi l’acqua là, dove io non vedo l’acqua.

La funzione della voce di Dio è quella di annunciarmi Dio, là dove io non vedo Dio.

Io “naturalmente” non vedo Dio.

Dio non si vede “naturalmente”, relativamente a mio io.

Relativamente al mio io, io vedo le creature, le cose ma non vedo Dio.

Ecco per cui la voce, arriva là, dove non c’è la presenza.

Ma io non posso arrivare alla presenza se non supero tutto di me, cioè devo correre dietro alla voce per arrivare a trovare la presenza, il che vuol dire che mi devo dedicare.

Arrivando alla presenza di Dio, succede che ho la possibilità di guardare le cose dal punto di vista di Dio: la teoria.

E questa teoria, questo contemplare le cose da Dio che assorbe tutto di me, ecco allora: “Entra nella gioia del tuo Signore”.

Certamente se io non mi porto a guardare dal punto di vista di Dio, se non mi porto cioè nel cielo di Dio, io non entro nella gioia del Signore.

La mia terra non entra nella gioia del Signore se io non mi porto in cielo a guardare la terra, ma se io mi porto in cielo a guardare la terra, io scopro che la terra è un corpo celeste e la faccio entrare nel cielo.

Ma fintanto che io guardo il cielo dalla terra sto fresco e non entro nel cielo del Signore.

Pinuccia A.: Devo far scendere la teoria nella mia pratica...

Luigi: No, non nella pratica, è la teoria che deve assorbire la pratica, è il cielo che deve assorbire la terra, se io voglio entrare nella verità, non è la terra che deve assorbire il cielo.

Quindi la funzione della voce è quella di richiamarmi: là dove io mi trovo, là dove non vedo l’acqua, là dove non vedo la presenza di Dio, la voce di Dio m’arriva e se io la seguo questa mi convoca.

Perché convocandomi cosa succede?

In questa convocazione avviene una purificazione di pensiero.

Io quando vado dietro ad una cosa, scarto, scarto, scarto e a un certo momento ho un pensiero unico.

Ed è proprio quella semplificazione di pensiero che mi rende poi trasparente, perché la presenza di Dio c’è già, perché non la vediamo?

Perché abbiamo una molteplicità di pensieri.

La voce quindi, arriva là nella molteplicità di pensieri e se io la seguo mi convoca, mi unifica fino ad arrivare a un pensiero unico ed è nel pensiero unico che Dio si rivela, ed è lì che io ho la possibilità di guardare le cose dal punto di vista di Dio.

Guardando dal punto di vista di Dio, ecco la teoria, la contemplazione che mi fa entrare.

Dio si rivela nel suo pensiero e se Dio attraverso la sua voce ha formato in me il suo pensiero, lì il mio pensiero si sente compreso e conosciuto, lì chiede e trova la risposta.

Se io mi trovo con una persona e chiedo e quella persona mi risponde, io entro nella gioia di quella persona.

La gioia sta nel poter ascoltare la voce di uno, la presenza di uno e potere essere compresi da quest’uno.

Pinuccia A.: Devono coincidere i due principi.

Luigi: Ecco, devono coincidere.

Giorgio: L’avvenimento riportato a Dio mi dà anche la luce sull’avvenimento stesso?

Luigi: Certamente, Dio opera per illuminarci mica per accecarci.

Se volesse accecarci basterebbe che restasse zitto.

Quindi se Dio parla, parla perché vuole comunicarci qualche cosa.

Dio vuole comunicarci il suo pensiero, però il suo pensiero viene soltanto da Lui.

Noi le cose le riceviamo da Dio, anche se apparentemente sembra che siano gli uomini che parlano e agiscono.

Il pensiero di Dio è unigenito, quindi viene soltanto da Lui, solo da Lui, il che vuol dire che se io non riporto, gli avvenimenti, i fatti, i problemi in cui mi trovo, i muri in cui mi trovo, se non li riporto a Dio, non ricevo il pensiero di Dio.

Silvana: La nostra colpa è un omissione.

Luigi: Tu ometti di dare a Dio quello che è di Dio.

Silvana: E in quello che disunisco io vedo altre cause.

Luigi: Certo, è logico, per forza: tu attribuisci ad altro ciò che invece è di Dio.

E non puoi vederti conosciuta e quindi fai la tua infelicità.

Noi attribuiamo le cose a cause seconde, credendo di renderci la vita facile ma in realtà ce la rendiamo difficile.

Siamo noi che ci rendiamo impossibile la gioia.

Dio opera tutto per condurci nella gioia, noi ce la rendiamo impossibile.

Monica: “Chi non mi riconoscerà tra gli uomini, neppure io lo riconoscerà di fronte al Padre mio”.

Luigi: Lui che conosce tutto perché non può subire dei limiti, fa esperimentare alla creatura di non essere conosciuta da Dio.

Giorgio: L’avvenimento riportato a Dio mi dà anche la luce sull’avvenimento stesso?

Luigi: Certamente, Dio opera per illuminarci mica per accecarci.

Se volesse accecarci basterebbe che restasse zitto.

Quindi se Dio parla, parla perché vuole comunicarci qualche cosa.

Dio vuole comunicarci il suo pensiero, però il suo pensiero viene soltanto da Lui.

Noi le cose le riceviamo da Dio, anche se apparentemente sembra che siano gli uomini che parlano e agiscono.

Il pensiero di Dio è unigenito, quindi viene soltanto da Lui, solo da Lui, il che vuol dire che se io non riporto, gli avvenimenti, i fatti, i problemi in cui mi trovo, i muri in cui mi trovo, se non li riporto a Dio, non ricevo il pensiero di Dio, è il pensiero di Dio che m’illumina, perché tutto è fatto nel pensiero di Dio, nel suo fine.

Dio opera tutto nel suo pensiero, per comunicare a noi il suo pensiero.

Se io parlo, in quanto parlo ho un pensiero, solo se chi ascolta non si ferma alle parole che io dico ma cerca di arrivare al pensiero, allora capisce il senso delle parole, altrimenti no, noi ci fermiamo alle parole, magari le ricordiamo a memoria, le registriamo, facciamo un mucchio di casini e poi le perdiamo e non ci preoccupiamo di arrivare al pensiero.

La nostra memoria non sta in noi, la nostra memoria sta nel pensiero di Dio, stai tranquillo che nel pensiero di Dio ti ricordi tutto, Lui ti fa ricordare tutto.

Noi possiamo registrare da mattina a sera ma a un certo punto tutto viene cancellato.

La cosa s’illumina in quanto trova il suo principio.

E questo è il lavoro essenziale che è chiesto ad ognuno di noi.

Il lavoro principale, per cui la nostra giornata vale o non vale.

Se faccio questo tutta la mia giornata resta illuminata ma se non faccio questo, tutta la mia giornata cade in nulla gadagnassi pure miliardi e io alla fine della mia vita debbo costatare che la mia vita è servita assolutamente a niente.

Solo l’eterno rimane.

Franca: Solo Dio ha in Se stesso il principio di Sè e di tutto.

Luigi: Si capisce, è logico, è Lui il creatore.

Il creatore vuol dire che ha in Sè la ragione di Sè, non l’ha altrove da Sè.

Noi abbiamo la ragione di noi altrove da noi, per questo tutte le nostre difficoltà.

Franca: Soltanto se il principio che è in me coincide con il principio che è in Dio ho la possibilità di entrare nella gioia del Signore.

Luigi: Sì, perché lì ti vedi conosciuta.

Conosci e ti vedi conosciuta, prima no.

Domenico: La conoscenza va oltre la fede.

Luigi: Hai capito che la fede si conclude con un muro?

Domenico: Ci sono conoscenze parziali che non sono ancora la Pentecoste ma vanno già oltre la fede.

Luigi: Certo, il dilemma in cui uno viene a trovarsi nella fede, è una sollecitazione a passare oltre.


GV 10 VS 27 - Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.


Terzo tema - La via del Cielo: capacità di seguire.


Argomenti: I tre incontri che formano le tre capacità: ascolto, conoscenza, seguire. La singolarità di Dio e dell’uomo. Il punto in comune tra Dio e l’uomo: il pensiero di Dio. Gli incontri a tu per tu con Dio. La funzione della voce. La sete d’assoluto dell’uomo. Secondo incontro: capire il principio del nostro bisogno d’assoluto. La capacità di seguire. Le tre conoscenze dell’uomo: fede-esperienza-deduzione. Restare con un essere. La vita con Dio è capire le sue opere. La scala di Giacobbe. Immagine e somiglianza di Dio. La deduzione prima di Pentecoste. Guardare da-.


 

6-7/ Ottobre /1991


Abbiamo già visto le prime due parti di questo versetto, adesso ci rimane l’ultima parte: “Esse mi seguono”.

Abbiamo considerato due capacità: la capacità di ascoltare la voce e la capacità di conoscere.

Quello che Gesù dice: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”, quindi hanno la capacità di ascoltare la sua voce.

Però dice: “Le mie pecore”, il che vuol dire che fa una distinzione, coloro che non sono sue pecore non ascoltano la sua voce, non perché non vogliano ma perché non hanno la capacità di ascoltare.

Tutto è voce di Dio, però non è sufficiente sapere per fede che tutto è voce di Dio perché uno solo è il creatore, non è sufficiente per essere in grado di ascoltare la voce di Dio.

Tutto è voce di Dio, però nel mondo si ascoltano voci di uomini, voci di animali, voci di creature.

Pur sapendo o non potendo negare, dimostrare il contrario che tutto è voce di Dio.

Coloro che credono, che hanno fede e quindi ritengono che tutto sia voce di Dio non hanno la possibilità di ascoltare la voce di Dio.

Abbiamo detto che la fede non basta, la fede da sola non salva.

Perché per ascoltare la voce di Dio bisogna averla conosciuta.

Soltanto conoscendo la voce di una persona, uno ha la capacità di riconoscere la voce di quella persona.

Abbiamo  portato l’esempio dell’acqua: soltanto colui che è stato alla presenza dell’acqua ed ha udito il rumore che fa l’acqua, è fatto capace di riconoscere la voce dell’acqua.

Questo ci fa capire che la capicità di-, deriva dall’essere stati presenti a-.

Soltanto se uno è stato presente a una persona ed ha ascoltato, il timbro, la tonalità della voce di quella persona, s’è formato in sé la capacità di riconoscere la voce di quella persona.

Ma non basta che uno conosca per sentito dire la voce di quella persona, la voce non s’impara per corrispondenza, non s’impara per sentito dire: ci vuole la presenza.

Così anche per la seconda capacità, la capacità di conoscere.

E poi ci siamo soffermati, meditando sulle parole di Gesù: “Io conosco le mie pecore”.

Abbiamo visto che soltanto capendo come Dio conosce le sue pecore, si è fatti capaci di conoscere.

Anche qui riconosciamo che la capacità deriva e si forma in noi, in conseguenza di un rapporto personale, in conseguenza di una presenza, di un incontro.

Abbiamo quindi due incontri.

Il primo incontro in cui si conosce la voce, il secondo incontro, in cui uno è fatto capace di conoscere.

E questa sera abbiamo un altro argomento: “Esse mi seguono”.

Cioè la capacità di seguire.

La capacità di seguire Cristo, di seguire il Figlio di Dio.

Anche qui abbiamo una capacità, e sono tre le capacità.

Capacità di ascolto, capacità di conoscenza e capacità di seguire.

E questa capacità di seguire, la pone dopo la formazione in noi della capacità di conoscenza.

Gesù precisa che soltanto coloro che lo conoscono lo possono seguire.

Le pecore non seguono la voce di estranei, cioè di coloro che non conoscono.

Non si puà andare dietro alla voce che non si conosce, né a coloro che non si conoscono.

Il che vuol dire che c’è una conoscenza che rende capaci di seguire.

E fintanto che questa capacità non si è formata in noi, non abbiamo la capacità di seguire.

Il tema di questa sera sono le vie del cielo.

La capacità di seguire il Cristo è la capacità di seguirlo, là dove Lui ci conduce e Lui ci conduce in cielo.

Perché tutto è cielo.

Il cielo è il luogo in cui tutto è riferito a Dio e tutto si vede dal punto di vista di Dio.

Soltando avendo la possibilità e guardando dal cielo, c’è la possibilità di restare sempre con-.

Perché si ha la possibilità di seguire in quanto si ha interesse per restare.

Abbiamo quindi tre capacità che si formano in conseguenza di tre incontri.

Dio ci pone sempre dei problemi perché c’invita ad approfondire, a scavare: la verità non si trova in superficie.

La verità si trova in profondità.

Il problema è questo: se le capacità si formano per incontro, come è possibile e quando è possibile questo incontro o questi incontri?

Intanto Dio è una singlorarità e quando si dice singolarità si dice una solitudine.

Ma anche l’uomo è una singolarità e anche l’uomo è una solitudine.

Ognuno di noi è solo, lo esperimentiamo tutti di fronte ai veri problemi dela vita, sopratutto di fronte alla morte si è sempre soli.

Si muore soli.

Si decide soli.

Di fronte ai veri grandi problemi, ci si sente sempre soli.

A tu per tu con uno solo.

Ma date queste singolarità, Dio è una singolarità, l’uomo è una singolarità, è possibile l’incontro di due singolarità?

E come è possibile?

Dio è una singolarità assoluta, ed essendo singolarità assoluta, non è possibile incontrarlo.

L’uomo è una singolarità relativa, relativa perché porta con sé una presenza.

L’uomo è costituito da un Tu.

Ed è per questo che l’uomo ignora chi è fintanto che non conosce questo Tu.

Ignora il suo partner ma il suo partner non è un altro, ce l’ha in se stesso ed è colui che sodtituisce la singolarità stessa dell’uomo.

La singolarità dell’uomo è data dalla presenza stessa di Dio, dalla presenza di questo pensiero di assoluto, d’infinito e di eterno che ogni uomo porta con sé e in cui vi è la chiave di tutti i suoi problemi, tutti, personali e sociali, famigliari e istituzionali: tutto, perché l’uomo è costituito dalla presenza in Sé del pensiero dell’assoluto, dell’eterno, dell’infinito ed è per questo che subisce la passione dell’eterno, dell’infinito, dell’assoluto.

La passione di capire.

Il bisogno di conoscere la verità.

L’uomo è una singolarità relativa perché è formato dalla presenza di un altro, un altro che è singolarità assoluta.

E uno dei problemi principali dell’uomo è quello d’incontrare Dio, di trovare Dio e soltanto dall’incontro con Dio si forma in noi la capacità di ascoltare la voce di Dio, la capacità di conoscere Dio e la capacità di seguirlo.

Il che vuol dire che se noi non incontriamo Dio, noi non abbiamo queste capacità.

Per cui siamo fatti incapaci di ascoltare, siamo fatti incapaci di riconoscere la voce di Dio, per cui siamo dominati da altre voci, siamo fatti incapaci di conoscere e di seguire.

C’è questa possibilità d’incontro, perché c’è questo punto in comune tra la singolarità di Dio e la singolarità dell’uomo.

E il punto in comune è dato dal pensiero di Dio.

Il pensiero di Dio è nell’uomo e forma la singolarità dell’uomo e il pensiero di Dio è in Dio.

C’è un punto in comune.

Ora la possibilità d’incontro è data dal punto in comune.

Ed è in quel punto comune che c’è il luogo dell’appuntamento.

Ora, fintanto che l’uomo non entra in questo pensiero di Dio, in questo “TU” che porta con sé (anche se non lo sà), l’uomo nel modo più assoluto non può incontrare Dio, ecco perché dico che l’uomo fa esperienza di solitudine.

L’uomo si sente solo.

Perché soltanto in quel punto, in quel luogo lì, Lui ha la possibilità di incontrare Dio.

E soltanto incontrando Dio, ha la possibilità di formare in sé queste tre capacità.

Partendo dall’acqua: soltanto personalmente quando uno incontra l’acqua (anche se non sa cosa è) percepisce il rumore dell’acqua e forma in sé la capacità di riconoscere la voce dell’acqua.

Ed è un fatto personale, nessuno puà far conoscere a noi la voce dell’acqua, soltanto l’acqua può far conoscere a noi la voce dell’acqua.

Quindi l’incontro è un fatto essenzialmente personale: a tu per tu.

E fintanto che in noi non c’è stato questo incontro singolo, personale, a tu per tu con Dio, non c’è stato incontro.

E se non c’è stato incontro, in noi non c’è la capacità di ascolto, non c’è la capacità di conoscere, non c’è capacità di seguire, è una conseguenza.

Pero abbiamo detto che ad ogni incontro succede la formazione di una capacità.

E qui abbiamo presentato tre incontri.

Riprendiamo l’esempio dell’acqua: quando si conosce la voce dell’acqua?

Uno vede la presenza dell’acqua, ode il rumore che fa l’acqua e diventa capace di ascoltare e di capire quale è la voce dell’acqua.

A questo punto diremmo che è tutto fatto.

A cosa serve adesso sapere questo?

Abbiamo detto che la voce ha questa caratteristica: arriva là, dove non si vede la presenza.

E a cosa serve udire la voce di uno senza vederne la presenza?

È molto importante perché l’uomo perché l’uomo prima di essere capace di restare con la presenza di Dio, ha tanto cammino da fare.

Il che vuol dire chhe l’uomo esperimenta sempre la presenza di altro da Dio.

Il che vuol dire che l’uomo non è capace di restare alla presenza dell’acqua, però se la voce dell’acqua arriva dappertutto, l’uomo in ugni sua dispersione, essendo stato alla presenza dell’acqua, ha in sé la capacità di riconoscere la voce dell’acqua e (se ha sete) riconoscendo la voce dell’acqua, ha la possibilità di seguire questa voce, fino ad arrivare a vedere la presenza dell’acqua.

Ho detto che la voce dell’acqua non disseta, però ti dà la possibilità di arrivare alla presenza dell’acqua e la presenza dell’acqua disseta.

E tutto è segno.

Quindi abbiamo un primo incontro che ci rende capaci di riconoscere la voce dell’acqua ma poi abbiamo un secondo incontro che è una sintesi di un desiderio (una sete) e una presenza.

Al secondo incontro non si arriva se uno non ha sete.

Qui abbiamo la funzione della voce.

La funzione della voce è quella di convocarci da un luogo in cui naturalmente siamo in cui non vediamo la presenza di Dio, però se abbiamo incontrato una sola volta Dio e si è formata in noi la capacità di riconoscere la voce di Dio, ovunque noi veniamo a trovarci, in qualunque dispersione, noi, essendo capaci di riconoscere la voce di Dio, abbiamo la possibilità di seguire questa voce, fino alla presenza di Dio.

Perché abbiamo detto che la voce ha la funzione di convocare, quindi chi ci parla ci convoca e ci convoca a che cosa?

Alla presenza di ciò che ci vuole presentare.

Quindi la funzione della voce è questa: convocarci a una presenza.

Perché soltanto la presenza disseta.

Cosa vuol dire dissetare nel campo dello spirito?

Soltanto la presenza disseta.

Soltanto l’incontro disseta.

Qui abbiamo un secondo incontro, non è più il primo incontro.

Il primo incontro ci ha resi capaci di conoscere la voce.

Il secondo incontro ci disseta.

Se disseta vuol dire che l’uomo patisce una sete, patisce un bisogno.

L’uomo è soprattutto passione che vuol dire essere che patisce il bisogno dell’assoluto.

L’uomo naturalmente vive dove non vede l’acqua, cioè l’uomo naturalmente vive là, dove non vede l’assoluto, non è capace a stare alla presenza di Dio.

Eppure l’uomo è stato creato per restare alla presenza di Dio.

“Io sono colui che è sempre alla presenza di Dio” dice l’arcangelo Gabriele.

Ed è il destino di ogni uomo.

Dio attraverso i pochi anni della nostra esistenza, forma in noi questa meravigliosa capacità: restare sempre alla presenza di Dio, perché lì è la nostra vita.

L’uomo è naturalmente alla presenza di ciò che non è Dio, non vede l’assoluto, non vede l’infinito, non vede l’eterno.

Vede tutte cose che passano.

Non è alla presenza dell’acqua, però l’uomo non è contento, non è soddisfatto di queste presenze con le quali Lui si trova.

E perché non è soddisfatto? (Lì si rivela il suo destino).

L’uomo non è soddisfatto delle cose che mutano, delle persone che cambiano, l’uomo non è soddisfatto del tempo che passa, di questo annullamento di tutte le cose l’uomo non è soddisfatto.

Ma perché non è soddisfatto?

Perché non si rassegna?

Lì si rivela il destino dell’uomo: l’uomo è fatto di una passione, di una sete, sete di acqua, passione d’assoluto.

L’uomo ha bisogno di trovare l’assoluto, cioè ciò che non muta, ciò che resta per sempre, ciò che non patisce mutamenti, ciò che non patisce il tempo.

Ecco per cui l’uomo soffre nel trovarsi nel tempo, nel trovarsi di fronte a cose che mutano.

Lì si forma il bisogno, lì si forma la sete.

Questa sete e questo bisogno che, se nell’uomo si è formata la capacità di conoscere la voce dell’assoluto, adesso lo fa andare dietro alla voce e lo fa rendere attento alla voce.

Attento a che cosa?

A ciò che gli parla dell’assoluto, dell’infinito, dell’eterno, di questo sogno che l’uomo porta dentro di sé.

Ecco, l’uomo che patisce e tribola trovandosi attorniato da presenze che non sono assolute, l’uomo è fatto attento a ciò che gli parla dell’assoluto, ciò che gli annuncia l’assoluto.

È la voce dell’assoluto ha questa funzione: condurre l’uomo, convocare l’uomo da ciò che non è assoluto a ciò che è assoluto.

La voce dell’acqua ha la funzione di convocare l’uomo alla presenza dell’acqua ma soltanto alla presenza l’uomo si disseta, ciò soltanto trovando ciò che è assoluto, infinito ed eterno, l’uomo si disseta, cioè l’uomo soddisfa il suo bisogno.

Quindi l’uomo è in una situazione di bisogno, di tensione e questa è la testimonianza di tutti.

E tutti gli uomini sono dei terribili cercatori dell’assoluto e poiché non lo trovano cercano di trasformare in assoluto quello che non è assoluto e si sobbarcano delle fatiche immense, enormi.

L’uomo è un essere che soffre, patisce e lavora e fatica senza sosta, unicamente per cercare di rendere assoluto quello che assoluto non è.

E fa un errore gravissimo e si impegna in un opera improba, impossibile, assurda.

Il problema non sta nel rendere assoluto, perfetto, nel rendere Dio ciò che non è Dio.

Il problema sta nel trovare chi è Dio.

Il problema sta nel trovare chi è l’assoluto, cosa è quest’assoluto, cosa è questo eterno, cosa è questo infinito che portiamo dentro di noi di cui sentiamo tanto il bisogno, per cui noi siamo insoddisfatti in tutto.

La voce, ciò che gli parla dell’assoluto, dell’infinito e dell’eterno, lo convoca alla presenza dell’assoluto, ad individuare cosa è l’assoluto, a trovare quest’assoluto: ecco il secondo incontro.

Nel secondo incontro, l’uomo capisce quale è il principio del suo bisogno.

Ho detto che la seconda capacità è capacità di conoscere, perché si vede come Dio conosce.

Abbiamo detto che la conoscenza sta nell’avere in Sé il principio di una cosa.

Dio, l’assoluto, l’eterno, l’infinito, il creatore di tutte le cose, la singolarità assoluta, questo Dio è il principio di tutte le cose, quindi ha in Sé la ragione di tutte le cose.

Ha in Sé sopratutto la ragione dei nostri patimenti, ha in Sé la ragione della nostra fame, sete, passione d’assoluto.

Dio ha in Sé la ragione, per cui soltanto trovando Lui, noi troviamo il principio della nostra sete, ecco per cui la nostra sete d’assoluto si soddisfa trovando l’assoluto.

Il bisogno trova la sua soddisfazione, là dove trova il principio del bisogno stesso.

Dio è questo principio.

Il secondo incontro ci rivela il principio della conoscenza, come Dio conosce e quindi forma in noi la capacità di conoscere.

E questa capacità di conoscere, adesso ci apre, al terzo incontro, alla terza capacità: la capacità di seguire.

Non si segue un estraneo, non si segue ciò che non si conosce.

Si segue ciò che si conosce.

E questa è l’apertura ad un terzo incontro.

Teniamo presente che la capacità si forma per incontro.

L’uomo è costituito essenzialmente da tre tipi di conoscenze.

Torniamo all’esempio dell’acqua: l’uomo incontra l’acqua, incontrando l’acqua ode il rumore che fa l’acqua, ed è fatto capace di riconoscere la voce dell’acqua.

Però l’uomo non sa cosa è l’acqua.

Lo saprà nel secondo incontro quando comincerà a capire che l’acqua disseta.

Ma quella prima volta che Lui vede l’acqua e vedendo l’acqua ode il rumore dell’acqua, non sa che cosa sia l’acqua.

Abbiamo detto che l’uomo è costituito da tre grandi tipi di conoscenze.

La prima conoscenza è la conoscenza per fede: in cui non si sa che cosa è, però non si può ignorare.

L’uomo ha visto l’acqua, però non può più ignorarla, però non sa che cosa è l’acqua.

Ecco la conoscenza che deriva dal non potere ignorare.

Dio, il creatore di tutte le cose, è Colui che nessun uomo può ignorare ma non lo conosce.

È necessario che l’uomo guardi l’acqua e la guardi fintanto che è diventato capace di capire il rumore che fa l’acqua.

Abbiamo detto che il punto d’incontro è uno solo e le capacità si formano per incontro.

Il punto d’incontro è il pensiero di Dio, se l’uomo non pensa Dio, l’uomo si esclude dalla formazione di ogni altra capacità.

Dio è Colui che nessun uomo può ignorare, perché l’uomo è costituito dal pensiero stesso di Dio.

Se l’uomo pensa Dio, già nel pensiero di Dio, l’uomo è fatto capace di capire la voce di Dio.

L’uomo non ignora Dio perché Dio è il creatore di tutte le cose, non lo può ignborare perché non è l’uomo che fa le cose, è un altro che fa le cose.

Ed è sufficente che l’uomo si fermi a pensare quest’Altro che l’uomo non conosce ma che sa essere Colui che fa tutte le cose, perché non è il nostro io che fa le cose.

È sufficente questo per udire la voce e la voce di Dio creatore è questa: “Sono Io che faccio tutte le cose”.

Il primo grande principio è questo: tutto è opera di Dio, tutto.

Non c’è un creatore all’inizio, il creatore è oggi.

Dio è fuori del tempo.

Dio non ha creato e poi lasciato che la creazione andasse avanti per conto suo, non ci sono cause seconde che operano, tutto è opera attuale di Dio, tutto è voce di Dio, tutto è parola di Dio.

E questo deriva dal fatto che uno si è fermato a pensare a Dio creatore.

La prima conseguenza del pensare a Dio creatore è questa conoscenza che è una conoscenza per fede, perché non si sa che cosa è questo Dio.

Come non sappiamo cosa è l’acqua, noi vediamo l’acqua, udiamo il rumore che fa l’acqua e siamo fatti capaci di riconoscere la voce dell’acqua, però non sappiamo cosa sia l’acqua.

Noi ascoltiamo una persona, ci fermiamo con una persona, sentiamo la voce di quella persona, siamo fatti capaci di riconoscere la voce di quella persona, però non sappiamo chi sia quella persona.

Questa è la prima conoscenza.

Se uno è fatto capace di conoscere la voce, adesso è fatto capace di riconoscere quella voce lì, ovunque lui si trovi.

Perché la voce giunge ovunque.

Fatto capace di riconoscere la voce, adesso se ha sete, se sente il bisogno, seguendo questa voce è convocato dalla voce alla presenza.

E qui abbiamo un secondo tipo di conoscenza.

Abbiamo detto che l’uomo, guidato dalla voce, giungendo adesso all’incontro con l’acqua, capisce che l’acqua disseta, soddisfa la sua sete.

L’uomo che segue la voce di Dio, giunge adesso a conoscere Dio per esperienza.

Prima conoscenza per fede, seconda conoscenza per esperienza.

E l’esperienza sta in questo: Dio è il principio della sete di assoluto che l’uomo porta in sé.

L’uomo è principio di questa fame di assoluto che l’uomo porta in sé.

Di questa fame, di questo bisogno di assoluto che tormenta ogni uomo, per cui l’uomo fa l’errore gravissimo di cercare di rendere assoluto, tutto quello che vede, tocca, tutto ciò che ama e per cui vive.

La seconda conoscenza è una conoscenza per esperienza, perché l’uomo a questo punto comincia a capire che l’acqua è una cosa che soddisfa la sua sete, che l’assoloto è quello che soddisfa, che giustifica, che è ciò in cui è la ragione della sua sete, del suo bisogno d’assoluto.

Adesso capendo che il principio del suo bisogno è questo, l’uomo incomincia ad avere la possibilità di guardare tutte le cose da quel punto di vista lì, se vuole capire.

Perché lì c’è la ragione, la giustificazione delle cose.

Qui si forma la capacità di segure.

La capacità di seguire è una conseguenza della conoscenza.

Avendo capito, adesso l’uomo ha la capacità di stabilirsi in-.

Perché ha trovato il suo bene.

Se uno ha capito che la sua sete si trova nell’acqua, incomincia a stabilirsi presso l’acqua.

Ecco l’inizio della formazione di tutte le stabilità degli uomini.

La maggior parte dei luogi in cui si sono formate le città degli uomini, sono vicino all’acqua.

Perché l’uomo è un assetato.

E questo è segno.

Avendo capito che l’acqua corrisponde ad un suo bisogno, l’uomo incomincia a fermarsi, a stabilizzarsi.

Ed è questo stabilizzarsi che dà la capacità di seguire.

Si segue uno per restare con quell’uno.

E soltanto se si ha la capacità di seguire uno si ha la possibilità di restare con quell’uno.

Non si resta con una persona fisicamente, è un beato sogno.

Quanti credono di potere restare uniti a una persona in quanto se la legano fisicamente.

Non c’è nessuna presenza fisica che possa soddisfare il vero bisogno di presenza.

Ho detto che ogni essere è costituito soprattutto dal pensiero.

E si può restare con un essere in quanto si è fatti capaci di capire il pensiero di quell’essere.

Si può restare con Dio soltanto in quanto si è fatti capaci di capire l’operare di Dio, il pensiero di Dio in tutte le sue opere.

Basta non poterlo capire in un opera sola (e tutto è opera di Dio) per perdere immediatamente la capacità di restare con Dio.

Ecco cosa vuol dire questo “seguire”.

Questo seguire vuol dire potere camminare con il pensiero di Dio che è il Cristo, con la voce di Dio che è Cristo e abbiamo detto che la voce di Dio ci convoca in continuazione al suo principio, al Padre e potere camminare da tutti i luoghi dietro questa voce per giungere al Padre, al principio, questo è restare con Cristo.

Poter camminare vuol dire poter capire.

E poter capire vuol dire potere arrivare al principio.

La vita con Dio, come la vita con le persone non è una stabilità nel senso di restare fermi, la vita con Dio è un capire in continuazione tutte le opere di Dio.

La vita con Dio è sopratutto intelligenza e l’intelligenza appartiene al cielo, ecco le vie del cielo.

Le vie del cielo sono fatte d’intelligenza.

E l’intelligenza è la possibilità di riportare tutte le cose al principio, è questa scala di Giacobbe che Giacobbe vede nel sogno, di questi angeli, questi pensieri che vengono, scendono da Dio e ritornano a Dio.

Tutto viene da Dio e avere la possibilità di vedere questi angeli, questi pensieri che vengono da Dio e avere la possibilità di risalire la scala riportandoli a Dio, questo vuol dire potere seguire il Cristo.

Questo vuol dire poter restare con Cristo, perché si segue soltanto con l’intelligenza, intendendo.

Non si segue col sentimento, con sacrifici, rinuncie o regole.

Si segue intendendo.

Ma per intendere bisogna avere la capacità di seguire o meglio per seguire bisogna avere la capacità d’intendere.

E questa capacità d’intendere si forma soltanto in quanto uno ha visto il principio in cui c’è la ragione di tutto.

Ed è qui che seguendo Cristo, Cristo c’inserisce nella sua vita che è la nostra vita, per cui quello che è stato un incontro necessario per formare in noi una capacità diventa adesso stabilità e diventa stabilità nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo che è la stabilità del Figlio.

“Il Figlio, a tutti coloro che credono in Lui dà la possibilità di diventare Figli di Dio” e coloro che sono figli di Dio, restano sempre in casa e la loro casa è Dio stesso conosciuto nella sua unità di sostanza e trinità di persone.

Uno solo è Dio creatore e le persone sono tre: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Amen.


Luigi: La possibilità di incontro tra l’uomo e Dio è data dal punto in comune del pensiero di Dio.

Se non c’è punto in comune non c’è nessuna possibilità d’incontro.

Anche tra le persone, se non c’è un punto in comune, non c’è nessuna possibilità d’incontro.

Bisogna sempre trovare il punto in comune.

Quindi il punto in comune tra queste due singolarità: uomo – Dio, è il pensiero di Dio.

Il pensiero di Dio è comune all’uomo ed è comune a Dio.

Però non è detto che l’uomo si rechi in questo luogo.

Allora non c’è nessun punto d’incontro.

Allora l’uomo non ha nessuna possibilità d’incontrare Dio.

Perché si può incontrare Dio soltanto in quel punto in comune tra l’uomo e Dio: il pensiero di Dio.

La voce di Dio ci convoca se noi siamo stati capaci d’individuare la voce di Dio.

Per poterla individuare devo già avere avuto un incontro con Dio per fede.

Abbiamo detto le tre conoscenze che poi sono i tre gradi d’intelligibilità di Dio: fede – esperienza – comprensione dal principio, cioè per deduzione.

La fede è induzione, per cui esiste Dio creatore perché c’è il creato, dalla creazione che non ho fatto io, per induzione arrivo a dire che c’è un creatore, però non so chi sia.

Per esperienza esperimento che Lui risponde ad un mio bisogno: conoscenza per esperienza.

Queste due conoscenze però non ci salvano mica, né la conoscenza per fede, né la conoscenza per esperienza ma sono la condizione per arrivare all’altra.

Quella che ci salva è l’altra, la conoscenza per deduzione dal principio, cioè da Dio.

Guardare tutte le cose dal punto di vista di Dio, è quella che ci salva.

Pinuccia A.: L’uomo è una singolarità relativa perché ha questo punto in comune con il Tu di Dio, Dio invece è una singolarità assoluta...

Luigi: Sì perchè ha in Se...quindi è una massima solitudine.

Pinuccia A.: Si ma il suo pensiero però è nell’uomo, collegato con l’uomo.

Luigi: Non è collegato, è il suo stesso Pensiero nell’uomo.

Dio creando l’uomo pone Se stesso nell’uomo, cioè l’uomo è formato dal Tu di Dio.

Pinuccia A.: Quindi nell’uomo c’è questa singolarità assoluta che è il pensiero di Dio.

Luigi: Però l’uomo non è singolarità assoluta, perché l’uomo non è legato a Dio “naturalmente”, tant’è vero che se l’uomo personalmente non pensa Dio, l’uomo vive senza avere nessuna possibilità di incontrare Dio.

Dio è singolarità assoluta in Sé, nel suo pensiero mentre invece l’uomo non è questa singolarità assoluta nel pensiero di Dio.

L’uomo può trascurare il pensiero di Dio.

Patisce tutto quello che patisce, esperimenta la morte ma non necessariamente l’uomo pensa a Dio.

Abbiamo già visto questi dilemmi in cui viene a trovarsi la fede, per cui ci fa capire che la fede da sola non ci salva.

La fede ci dice che tutto è di Dio e noi capiamo che tutto non è di Dio: ci sono pecore che non sono di Dio, ed è parola di Dio.

La fede ci dice che tutto è voce di Dio e non tutti ascoltano la voce di Dio.

Ci sono delle contraddizioni e questo ci fa capire che soltanto con la conoscenza si superano questi dilemmi, dai quali la fede non ci fa uscire.

Perché non basta che io sappia per fede che tutto è voce di Dio, per avere la possibilità di conoscere la voce di Dio.

Per fede ritengo che tutto è voce di Dio perché uno solo è il creatore, però io sento la voce degli uomini anziché la voce di Dio.

Non distinguo la voce di Dio.

Allora che cosa di deve formare in me per poter distinguere la voce di Dio?

So che tutto è voce di Dio e io sento sempre parlare gli uomini.

Quindi non posso dimostrare o negare che tutto sia voce di Dio eppure io ascolto e sento tutt’altre voci.

Perché?

Questo per farci capire che la fede va superata.

L’uomo è salvato, in quanto è fatto capace d’individuare, di riconoscere la voce di Dio, distinguerla da ogni altra voce, perché soltanto riconoscendo la voce di Dio, ha la possibioità di seguire Dio e di arrivare al terzo incontro con Dio, in cui vede Dio come principio e quindi ha la possibilità di guardare tutto da Dio.

Questo ci fa capire che la fede, ponendoci di fronte a dei dilemmi, a delle contraddizioni, ci sospinge a superarla.

La fede stessa ci sospinge a superarla.

Perché noi non sopportiamo le contraddizioni, non sopportiamo i dilemmi.

Pinuccia A.: Dio è il principio della stessa sete d’assoluto che portiamo in noi.

Luigi: Sì, siccome abbiamo in noi questa presenza dell’assoluto, pensiero di Dio in noi, cosa succede? Cosa è questa sete?

Noi ci troviamo in un deserto.

Da cosa è costituito questo deserto?

Da tutto ciò che non è Dio.

Io, che porto in me il bisogno dell’assoluto, mi trovo a vivere con tutto ciò che è relativo e non assoluto.

Pinuccia A.: Ma questo mio patire la sete d’assoluto è data dal fatto che non ho riportato tutto a Dio...

Luigi: In quanto non sono capace di riconoscere la voce di Dio e quindi di riportare tutto a Dio e di seguire questa voce fino a vedere tutto dal punto di vista di Dio.

Ora, fintanto che non sono fatto capace di vedere tutte le cose da Dio, io patisco, perché mi trovo sempre a metà strada, perché mi trovo in una realtà che non è Dio.

L’animale non patisce quello che patiamo noi.

L’animale quando ha mangiato è in pace, ha soddisfatto il suo bisogno, noi quando abbiamo mangiato non siamo in pace, e perché non siamo in pace?

Evidentemente perché noi portiamo un bisogno che tutto ciò che è materiale e sensibile non ci può soddisfare.

È questa passione di assoluto che portiamo in noi e che è testimonianza e prova della presenza dell’assoluto in noi.

Portando in noi questo bisogno d’assoluto e trovandoci a vivere con ciò che non è assoluto, noi patiamo la sete.

Pinuccia A.: Ma se noi dall’inizio avessimo riportato tutto a Dio non ci troveremmo in questa situazione.

Luigi: Si capisce, è logico.

Adamo riportava tutto a Dio ed era perfettamente in pace ma è problema d’intelligenza.

Noi ci troviamo con delle cose che non sono Dio, che non sono assolute e non riusciamo a capire perché ed è lì la fregatura, non arriviamo all’intelligenza delle cose.

Noi abbiamo bisogno di arrivare all’intelligenza delle cose.

Quando noi ci chiediamo “perché?” evidentemente è perché ci troviamo con delle cose che non ci soddisfano.

Perché l’animale non si pone i “perché” che ci poniamo noi?.

Evidentemente perché in noi c’è questo bisogno dell’assoluto, bisogno di giustificare tutto nell’assoluto.

Quindi noi ci troviamo di fronte a delle cose che non sono assolute con una fame che è assoluta, la crisi dell’uomo è tutta lì.

Però questa capacità di essere intelligenti si forma soltanto da Dio, cioè dall’incontro con Dio, ecco per cui fintanto che non prendiamo contatto con il pensiero di Dio, fintanto che non entriamo in questo luogo: pensiero di Dio, in cui abbiamo la possibilità di trovare Dio, d’incontrarci con Dio, noi sentiamo il bisogno ma non abbiamo la capacità, ci manca l’intelligenza, ci manca la capacità di seguire la voce, d’individuare la voce.

Noi patiamo e magari attribuiamo tutte le nostre sofferenze a Tizio, Caio, Sempronio, alla società, alla politica ma non abbiamo la capacità.

Perché la capacità di capire il significato delle cose che stiamo subendo ci viene dall’incontro con Dio.

E fintanto che noi non entriamo dentro di noi e prendiamo contatto con questo pensiero di Dio, noi saremo sempre tribolati a quel modo.

Ogni capacità si forma in conseguenza di un incontro.

Però a quest’incontro non si giunge senza di noi personalmente, perché si tratta di entrare nel pensiero di Dio.

Pinuccia A.: Però non basta il nostro desiderio...

Luigi: Non è questione di desiderio, rinuncie, sacrifici o sentito dire, è un fatto essenzialmente personale e fintanto che non avviene questo incontro, personalmente con Dio, a tu per tu in questa solitudine con Dio, non c’è stato vero incontro e se non c’è stato vero incontro non si è formata in noi la capacità.

Giovanna: Questo punto in comune con Dio è il pensiero di Dio...

Luigi: Unico punto che abbiamo in comune con Dio ma nel quale possiamo non recarci.

Io posso passare tutta la vita a pensare ad altro e non fermarmi neppure un istante a pensare a Dio.

Giovanna: Già per il primo incontro?

Luigi: Ma si capisce!

L’incontro con Dio avviene soltanto in quel punto lì, perché due singolarità non hanno nessun punto in contatto, se ci fosse un punto in contatto non c’è più la singolarità.

Quindi abbiamo due solitudini.

C’è la solitudine di Dio che però è una solitudine soddisfatta perché  per Lui è tutto giustificato nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo.

E poi c’è la solitudine dell’uomo che è formata dalla presenza del pensiero di Dio in lui, nel quale l’uomo può non entrare, può non prendere contatto.

E l’uomo rischia di morire solo.

Giovanna: Ma se c’è una presenza in me non sono sola.

Luigi: Ma non basta che ci sia questa presenza, se tu non entri in questa presenza, se tu non prendi contatto con questa presenza.

Non basta che una persona sia con te, se tu non prendi contatto con questa persona o non trovi il modo di parlare con questa persona.

Fisicamente una persona può essere con te da mattina a sera tutta la vita e tu puoi non aver avuto neppure un incontro solo con quella persona.

Tu puoi essere sposata con una persona tutta la vita e all’ultimo scoprire che tu non hai avuto neppure un incontro con quella persona.

Quindi non basta che ci sia la presenza dell’altro per trovare l’altro.

Giorgio: Come sappiamo noi che la nostra sete può essere soddisfatta dall’acqua?

Luigi: Tu non lo sai.

Tu sei stato una volta con l’acqua, non sai cosa è l’acqua, però conosci la voce dell’acqua.

L’uomo patisce una certa sete, però pur patendo questa sete, se non è stato un momento con Dio, non può riconoscere la voce di Dio che risponde a questa sete, per cui lui va a cercare soddisfazione alla sua sete da tutte altre parti.

La voce di per sé non ti disseta, tutta la voce di Dio, di per sé non ti disseta, però ti convoca alla presenza di Colui che ti disseta.

È la presenza che ti soddisfa.

Giorgio: Che è la conoscenza dell’acqua.

Luigi: No, tu incominci a conoscere per esperienza.

La seconda conoscenza: cominci a capire che l’acqua è quella che soddisfa la tua sete, perché finalmente la tua sete è stata estinta.

Quindi non basta la voce, devi arrivare alla presenza.

Tutto è lezione da portare sul piano di Dio.

Dio soddisfa la mia sete non facendomi sentire la sua voce, la sua voce mi convoca e come mi convoca?

Spiritualmente cosa vuol dire convocare?

Vuol dire che ti libera da tutti gli altri pensieri e t’incentra in un pensiero unico.

Quando è che tu arrivi alla presenza dell’acqua?

Quando sei liberato da tutti i luoghi diversi dal luogo dell’acqua.

La voce di Dio che arriva in tutti gli altri luoghi in cui non c’è Dio, mi sgombra la mente da tutti i luoghi in cui non c’è Dio


GV 10 VS 27 - Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.


RIASSUNTI Lunedì-Martedì


Argomenti: Riconoscere la voce di Dio. L’amore è scegliere. Il desiderio che nasce da Dio. La voce è predicazione dell’essere. Cristo è la voce di Dio.


 

13-14/ Ottobre /1991