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GV 10 VS 26 - Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore.


Primo tema - La balconata dal cielo.


Argomenti: L’opera del Figlio: la Luce. Tenebre e luce. Cuore e intelletto. Il conflitto di Giacobbe. Il conflitto di Michele. Coincidenza di principi. L’incostanza dell’uomo. Restare nel vero. Il Figlio ci convoca alla presenza del Padre. Il punto di vista di Dio. La stabilità è effetto del guardare dal punto di vista di Dio. Predicare Dio. Le parole e la realtà. Guardare dalla Realtà Dio. La realtà illumina le parole. Lo sguardo di Dio ci fa essere. Rapporto tra il guardare e l’essere.


 

25-26/ Agosto /1991


Abbiamo visto che le opere che il Figlio fa sono la Luce che Egli reca nelle anime.

Ed abbiamo visto che proprio in questa Luce, noi abbiamo la possibilità di identificare Colui che parla con noi.

È Luce la sua opera, perché collega ogni cosa con il Principio.

Là, dove le parole, i segni, gli avvenimenti, i fatti, sono collegati con il Principio, per cui si vede il Principio, lì c’è la Luce.

La Luce è vedere la giustificazione dei fatti e degli avvenimenti, il significato di essi, e quindi vedere il Principio.

Chi parla a noi il Principio, reca a noi la Luce.

Là, dove arrivano i fatti, i segni, le parole non collegati col Principio, lì abbiamo le tenebre.

Ecco perché si dice che presso Dio non ci sono tenebre.

Presso Dio, presso il principio non ci sono tenebre.

Dio è il principio di tutto.

Però noi siamo immersi nelle tenebre.

Già fin dell’inizio del Vangelo di San Giovanni, viene detto che la luce risplende nelle tenebre.

Ma le tenebre non l’anno compresa.

Noi siamo nelle tenebre perché assistiamo, riceviamo segni e parole di Dio per imposizione.

Tutte le opere di Dio arrivano a noi, indipendentemente da noi.

La creazione, le parole che si sentono nel mondo, le parole stesse che si leggono nel Vangelo, arrivano a noi indipendentemente da noi e in quanto arrivano indipendentemente da noi ci sono imposte.

Noi la risposta la diamo dopo che queste sono arrivate a noi.

Ed in quanto ci sono imposte, noi non possiamo ignorarle, però non possiamo capirle.

Capire vuol dire vedere il principio di una cosa.

E il Principio ci viene soltanto dal Figlio di Dio, è il Figlio di Dio che parla a noi il Principio.

“Tu chi sei?”

“Io sono Colui che parla a voi il Principio”.

Ecco la Luce.

Lui è la Luce.

Però abbiamo detto che per giungere all’identificazione di Colui che parla con noi si richiede una lotta e si richiede una lotta già per scoprire che c’è qualcuno che parla con noi.

Queste due lotte sono state significate nella scrittura (opera di Dio) con la lotta di Giacobbe e di Michele.

La lotta di Giacobbe è quel conflitto tra ciò che portiamo in noi come sentimento, come cuore, e ciò che portiamo in noi come mente, come intelligenza,

Ci sono due grandi dati, dati a noi indipendentemente da noi e che formano l’uomo.

Che formano anche la tristezza dell’uomo, la tribolazione dell’uomo.

L’uomo è tribolato perché è crocifisso tra questi due grandi dati.

I dati del sentimento, del cuore e i dati dell’intelletto che l’uomo non può smentire.

L’uomo nei sensi, in quello che esperimenta, tocca e vede (creazione), non vede e non tocca Dio.

Però Dio lo porta dentro di sé, tra i suoi pensieri e non lo può ignorare.

Quindi ci sono questi due grandi dati: uno è Dio creatore di tutte le cose che l’uomo non può smentire, non lo può ignorare ma difficilmente lo conosce e poi abbiamo tutta questa grande opera di Dio che l’uomo sente, vede tocca, esperimenta, però non sa che cosa sia.

E questi due dati sono in conflitto uno con l’altro.

È il conflitto di Giacobbe e di ogni uomo.

L’uomo questo conflitto generalmente non lo avverte.

Giacobbe lo avvertì quando fece passare le sue mogli, i suoi figli, i suoi servi, i suoi animali e restò solo al guado del fiume Iabbok.

Restò solo.

Ecco, l’uomo incomincia a esperimentare questa lotta quando scopre la sua solitudine.

Prima no, perché prima ha il conforto delle creatore, l’uomo vive di sentimento, vive di cuore.

E se anche è religioso, la sua religiosità è tutta una cornice.

Per lui il problema essenziale è quello che vede e che tocca: le creature.

E fintanto che ci sono queste creature di conforto, lui si sostiene su questo e tutto il resto diventa cornice.

Ma arriva il momento in cui il problema s’impone e allora è qui che l’uomo entra in conflitto.

Perché è qui che l’uomo deve capire se c’è o non c’è qualcuno.

Se colui che porta nella sua mente è soltanto una idea, un suo mito, una sua creazione, oppure se è una realtà.

Ecco, il conflitto dell’uomo è questo: la realtà è quella che l’uomo vede tocca ed esperimenta, oppure è quella che lui porta nel suo intelletto, nei suoi pensieri?

La realtà è Dio o è la materia?

La realtà è Dio o sono gli uomini?

Se la realtà sono gli uomini, Dio è un mito, è una fantasia degli uomini, è una proiezione degli uomini.

Ma se la realtà è quella dell’intelletto?

Attraverso questo conflitto, l’uomo subisce una ferita ed è la ferita di ogni uomo.

Ferita che l’uomo patisce e che denuncia a lui che c’è qualcuno.

E che quel “qualcuno” non è quello che l’uomo vede e tocca, quello che l’uomo vede e tocca sono segni, opere di questo “qualcuno”.

E qui l’uomo fa il passaggio da tutte le creature al suo mondo interiore.

Il mondo interiore è il cielo dell’uomo.

Abbiamo visto che Dio creando l’uomo lo ha formato di cielo e di terra, mondo interno e mondo esterno.

Realtà interiore e realtà esteriore.

Attraverso il primo conflitto, l’uomo scopre che la realtà è dentro e allora a questo punto fa il passaggio dall’esterno all’interno.

E nell’interno si avvia verso il secondo grande conflitto: il conflitto dell’arcangelo Michele.

Nel cielo dei pensieri che cosa l’uomo mette prima di tutto?

Tutto nella vita dell’uomo viene determinato da ciò che l’uomo mette prima di tutto.

Fino alla prima lotta, l’uomo mette prima di tutto il problema del mangiare, del vestire, del lavorare eccetera.

E l’uomo subordina tutto a questo.

Ma poi quando la lotta di Giacobbe s’impone, l’uomo inizia a mettere prima di tutto ben altro.

Comincia a mettere prima di tutto quello che porta in sé, tra i suoi pensieri.

Ma tra i suoi pensieri, che cosa deve mettere prima di tutto?

La lotta, portata alle estreme conseguenze, è la lotta tra il pensiero di Dio e il pensiero dell’io.

Perché su tutti i pensieri che mettiamo sull’altare della nostra mente, questo arcangelo Michele li contesta tutti dicendoci: “Chi è come Dio?”.

Arriva questa grande selezione: nessuno è come Dio.

Solo Dio è come Dio.

Ecco il processo di selezione che si forma nella vita dell’uomo.

Per cui a un certo momento l’uomo viene posto a tu per tu con Dio, perchè nessuno è come Dio.

E chi parla questa singolarità dell’essere, è soltanto il Figlio di Dio.

Ed è proprio in questo Figlio di Dio che noi troviamo la luce, quella luce che illumina tutto di noi, dentro e fuori.

Pero qui Gesù dice: “Ma voi non mi credete”.

La luce splende tra le tenebre ma le tenebre non la comprendono.

Il prima di tutto è il principio che determina tutto di noi ma perché questo principio che determina tutto di noi corrisponda alla verità, bisogna che questo principio coincida in noi con il Principio, cioè bisogna che coincida con Dio.

Tutto nella nostra vita dipende da ciò che abbiamo in noi prima di tutto.

Abbiamo detto però che questo prima di tutto viene contestato a noi da quest’annuncio di Dio: “Chi è come Dio?”.

Che nessuno può smentire.

Per cui siamo a un certo momento costretti a dire che nessuno è come Dio e che quindi nel nostro pensiero dobbiamo mettere prima di tutto Dio, perchè soltanto mettendo Dio il principio in noi soggettivo coincide con il Principio oggettivo.

Ed è da questa corrispondenza tra il principio personale che poniamo nel nostro cielo e il Principio reale sorge in noi la Luce della Verità.

In caso diverso no.

Però una volta capito ciò che bisogna mettere prima di tutto, il problema che s’affaccia all’uomo è come restare in questo prima di tutto.

La caratteristica dell’uomo (prima di entrare nel cielo di Dio) è l’incostanza, la volubilità.

Dio solo è, Dio è Colui che è Se stesso.

L’uomo non è mai se stesso.

Mentre la caratteristica di Dio è la stabilità, l’immutabilità, la caratteristica dell’uomo è l’incostanza, la volubilità, è l’incapacità a restare fermo.

Tutte le parole di Dio convocano l’uomo di fronte a questa grande realtà: Dio è il Principio di tutto e tu non lo puoi ignorare, perché tu sei fatto spettatore delle opere di Dio.

L’uomo non è creatore.

Dio è creatore.

L’uomo è spettatore della creazione di Dio.

Tutta l’opera di Dio, non fa altro che convocare l’uomo di fronte a questa presenza.

E l’uomo di fronte a questa presenza (fosse anche nell’inferno) deve dire: “È così!”.

Però che l’uomo sia convocato di fronte alla realtà, questo non è sufficiente per rendere l’uomo capace di restare nella realtà.

Noi abbiamo nella scrittura, nei salmi: “Signore, chi resterà sul tuo santo monte?”.

“Chi potrà restare sul tuo santo monte?”.

Dio è questo santo monte ma chi può restare su questo monte?

Tutti sono convocati di fronte a questo monte, ma chi può restare?

E che cosa è necessario per restare e cosa rende l’uomo capace di restare?

Abbiamo detto che la caratteristica dell’uomo è la volubilità.

L’uomo è soggetto in continuazione a mutamento.

E cosa è che rende l’uomo così incostante e volubile?

L’uomo riconosce il vero e poi si lascia attrarre da tutto il resto.

L’uomo attraverso i conflitti che subisce deve confessare che prima di tutto bisogna mettere Dio ma poi non è capace a restare.

Perché l’uomo è così volubile, perché l’uomo è così incostante?

Tutto è parola di Dio, quindi anche la volubilità e l’incostanza dell’uomo è una parola di Dio.

L’uomo è un moltiplicatore di amori, è un moltiplicatore d’interessi.

L’uomo promette fedeltà a poi non sa mantenerla.

Abbiamo visto la lezione di Pietro che è la lezione di ogni uomo: l’uomo è sicurissimo: “Se anche tutti ti tradissero, io no” e dopo poche ore Pietro è il primo a tradirlo.

E come lo tradisce!

Non bastano voti, promesse, giuramenti, sacramenti, non bastano tessere, divise, istituti o istituzioni, non c’è niente, nel modo più assoluto che renda l’uomo costante.

Quindi che renda l’uomo capace di restare in quel prima di tutto che l’uomo ha riconosciuto che va messo prima di tutto.

L’uomo è un essere che non è libero.

Molte volte si dice che l’uomo avendo la possibilità di scegliere tanti amori è libero ma è sbagliato.

L’uomo è incostante e volubile perché non è libero.

Soltanto la conoscenza della verità rende l’uomo libero e lì, nella libertà l’uomo sarà costante.

Perché l’uomo subisce le presenze e basta cambiare ambiente o compagnia perché l’uomo cambi.

L’uomo subisce l’opera di ciò che ha presente.

Ed è quella che determina tutto e lo fa tradire.

Perché quando è con uno l’uomo subisce l’opera di uno e quando è con l’altro, subisce l’opera dell’altro.

E l’uomo moltiplica gli amori così.

Ed è moltiplicando gli amori che distrugge in sé la capacità di amare e la capacità di pensare.

Se c’è una incostanza nell’uomo è proprio nella mente.

La nostra mente è vagabonda, sempre in giro.

Non è capace a restare ferma.

Perché subisce l’effetto di ciò che le si presenta.

L’uomo lo riconosce, lo deve riconoscere che Dio va messo prima di tutto, che Dio deve essere il centro, che deve essere il punto fisso di riferimento, perché questa è la condizione essenziale per entrare nella luce, per avere la vita, perché la vita sta nella luce.

L’uomo questo lo riconosce, non può non riconoscerlo, anche il demonio lo riconosce.

Il tormento è che l’uomo riconosce ciò che è vero ma non è in grado di restare.

Ma se non resta in quello che è vero, che cosa lo può salvare?

Il tema di oggi è la balconata del cielo.

Ciò che ci viene presentato come prima di tutto è una balconata e quando si parla di balconata, è un invito ad affacciarci, è un invito a guardare da-.

Fino a questa balconata, a questo prima di tutto, noi siamo convocati dall’opera di Dio, dalla parola di Dio, da Colui che parla con noi.

Abbiamo detto che c’è uno che parla con noi e poi attraverso l’arcangelo Michele siamo condotti a riconoscere che Colui che parla con noi è il Figlio di Dio.

Però Colui che parla con noi, parla a noi, indipendentemente da noi.

E quindi in quanto parla indipendentemente da noi, conduce noi, ci convoca alla presenza di Colui che Lui ha presente.

Io in questo momento sto parlando e parlando cosa faccio?

Non faccio altro che convocare, coloro che ascoltano, alla presenza di quello che ho presente.

Tutta l’opera di Dio, nella vita di ogni uomo, ha questo fine: convocarci alla presenza di Sé.

Il Figlio ci convoca alla presenza del Padre, di Colui che Lui ha presente.

Questa è l’opera di Dio che viene a noi indipendentemente da noi.

E qui cosa possiamo fare?

Come possiamo restare?

Ecco convocati lì ci dice: “Questa è una balconata, tu ti devi affacciare”.

Prima siamo presi per il collo dall’opera di Dio che ci porta di fronte alla Verità, qui non siamo più presi per il collo, non siamo più costretti.

Qui tu ti devi affacciare, qui tu devi guardare.

Questo è un punto di vista.

Dio ti offre un punto di vista.

La balconata è un punto di vista.

Dio ci offre la vita, ci offre cioè in punto di vista da cui dobbiamo guardare tutto: il Principio.

Ma tu devi guardare.

Dio non ci costringe a guardare.

Perchè se ci costringesse a guardare ci spingerebbe nell’inferno.

Dio ci offre di guardare, ci offre il Principio da cui guardare ogni cosa.

E c’invita a guardare tutto da quel punto di vista.

Soltanto nella misura in cui noi guardiamo da-, si forma in noi la capacità di restare fermi.

La stabilità quindi è una conseguenza di quello che guardiamo dal punto di vista di Dio.

Dal punto di vista dell’eterno, dell’assoluto, dell’infinito.

L’eterno, l’infinito, l’assoluto, Dio ci viene presentato ma ci viene presentato come il centro di tutto.

Colui che va messo prima di tutto.

E se va messo prima di tutto, deve essere il luogo, la balconata da cui tu ti devi affacciare per osservare, per guardare tutto.

Guardare tutto da Dio, è un predicare Dio su tutto.

Nella misura in cui noi predichiamo Dio, siamo fatti capaci di restare con Dio.

In caso diverso no, non possiamo smentire Dio ma nel modo più assoluto non possiamo restare con Dio.

Quando si dice “predicare Dio” noi pensiamo immediatamente a “parlare”.

No, su questa balconata non ci sono più parole.

Le parole servono a convocarci a questa balconata, a questo prima di tutto, ci convocano lì, servono per quello.

Ma da quel punto lì in poi, le parole non servono più.

E allora il problema diventa come predicare Dio senza parlare di Dio?

Non ci sono più parole, perché se noi guardando da questa balconata facciamo delle parole, noi certamente non guardiamo da Dio.

Il guardare da questo prima di tutto, da questo principio, è un guardare dalla Realtà.

Le parole sono segni della Realtà ma non sono mai la Realtà.

Ecco per cui tutte le parole passano, tutti i segni passano, tutta la creazione di Dio che è un parlare di Dio passa e tutto è soggetto al tempo, perché?

Perché tutto deve lasciare il posto alla Realtà.

E la Realtà non è parola, la Realtà è Dio, Dio è la grande Realtà.

E guardare da Dio, è guardare dalla Realtà.

La Realtà convince, la Realtà rende consapevoli.

Le parole no, è la realtà che illumina le parole.

Non sono le parole che illuminano la realtà.

Le parole sono rumore.

Tutto ciò che fa rumore ci convoca ad una fonte, al principio di quel rumore.

Perché soltanto trovando la fonte di quel rumore si giustifica il rumore.

La fonte mi giustifica il rumore, non è il rumore che mi giustifica la fonte.

Tutte le parole che si dicono nella nostra vita sono tutte rumore.

E in quanto noi sentiamo questo rumore, siamo convocati al principio, alla fonte di questo rumore.

E la fonte di questo rumore è la Realtà e soltanto nella misura in cui noi guardiamo da questa fonte, da questa realtà noi siamo fatti capaci di restare.

La capacità in noi si forma man mano che noi guardiamo da- e quindi assorbiamo tutto in Dio.

Ma senza parole, perché le parole sono dei segni.

Con Dio non ci sono i segni, con Dio si contempla la realtà di Dio e del suo operare.

Ed è questo che ci rende capaci di restare.

Abbiamo visto queste settimane che Mosé prima di morire fu condotto sul Monte per osservare tutta la terra promessa.

Ecco la balconata per guardare.

Però lui non è entrato.

Dio ci conduce a vedere, però il guardare da- non avviene senza di noi.

Abbiamo visto nell’Apocalisse un monte altissimo dove è fatta vedere la meraviglia: la donna vestita di sole.

Ecco la balconata per osservare la realtà e la verità di Dio ed è questa Realtà che convince l’uomo.

Perché soltanto in questa realtà (non più parole) noi giungiamo a questa grande scoperta.

Quello che impedisce a noi di conoscere e di essere consapevoli, è sempre qualche cosa che non troviamo giustificato nel Principio.

Soltanto guardando da Dio, da questa balconata, noi siamo condotti a scoprire che noi non siamo altro, non siamo fatti di altro che dello sguardo di Dio: è Dio che guardando noi ci fa essere.

Che ci sia un rapporto tra il guardare e l’essere noi tutti lo esperimentiamo.

Noi tutti esperimentiamo a livello dei segni di Dio che colui che ci guarda ci fa essere.

Noi lo costatiamo tutti i giorni, basta che una persona ci saluti o non ci saluti per essere pieni di gioia o essere depressi.

Questo ci fa capire che nel guardare c’è una comunicazione dell’essere.

Noi siamo fatti da colui che ci guarda.

Ecco la grande verità, guadando dalla Balconata, noi costatiamo che siamo fatti da Colui che ci guarda.

Dio guardandoci ci fa essere, quindi Dio guardandoci ci comunica l’essere.

Come una creatura che ci saluta ci comunica qualche cosa.

C’è Santa Teresa d’Avila che ha una parola stupenda: “Mira che te mira”, in italiano vuol dire: “Guarda che ti guarda”.

Ecco, è la sintesi di questa balconata.

Guarda Dio, guarda da Dio e scoprirai che tu sei lo sguardo di Dio, è Dio che guardando te ti fa essere, ti comunica il suo Essere.

Fintanto che noi da Dio non scopriamo che noi siamo sguardo di Lui, pensiero suo, noi non giungiamo alla conoscenza di Dio, noi non giungiamo alla consapevolezza.

 


GV 10 VS 26 - Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore.


Secondo tema - L'abito della sposa.


Argomenti: L’abito delle nozze. Il Verbo incarnato. La balconata. La parabola dei talenti. L’investitura del regno. Dio non premia i talenti dati a noi. Dio premia l’interesse. “Entra nella gioia del tuo Signore”. L’interesse per conoscere Dio. Il pensiero dell’uomo e il pensiero di Dio. L’unione col pensiero di Dio. I servi e i figli. L’illusione del prima di tutto. L’uomo nasce dal movente. L’ubbidienza al padre nella parabola del figliol prodigo. Il punto di vista del Figlio. Il verbo credere: cosa vuol dire. Fare la Verità. L’opera del Figlio. Ricevere l’essere di Dio. La comunicazione dell’essere. Fatti partecipi della natura divina.


 

1-2/Settembre/1991


Abbiamo visto la volta scorsa, la condizione per restare nel “prima di tutto”.

E per considerare questo, abbiamo presentato quel “prima di tutto” come una balconata da cui bisogna guardare ogni cosa.

C’era stata una domanda: “Quando si mette prima di tutto qualcosa , è implicito restare in quel prima di tutto”, è vero, è giusto, però nell’uomo può succedere e succede, che l’uomo metta il prima di tutto dopo tutto e si è convinti di averlo messo prima di tutto.

Perché nell’uomo succede quello...e anche altro...

D’altronde che non si possa restare nel prima di tutto, noi lo troviamo nella parabola di Gesù degli invitati al pranzo di nozze.

Ad un certo momento Gesù dice che quel signore che aveva invitato alle nozze, entrando nella sala, trova uno che non aveva l’abito delle nozze.

Era entrato ma non aveva l’abito, l’abito delle nozze.

E ci si dice che lo cacciò fuori, tra le tenebre esteriori, dove c’era pianto e stridore di denti.

Abbiamo detto che la condizione per entrare è quella di mettere Dio prima di tutto, è questo che ci fa entrare.

Gli uomini si caratterizzano in uomini che sono fuori e uomini che sono dentro.

Agli uomini che sono fuori, tutto è detto in parabole, affinché non capiscano.

Gli uomini che sono fuori s’accorgono che tutto è mistero, che tutto è incomprensibile, che tutto è notte.

E siccome l’uomo è fatto per la luce, le tenebre e il mistero sono sofferenza.

E poi abbiamo invece uomini che sono dentro.

“A voi che siete dentro è dato conoscere i misteri del regno di Dio”.

Quindi abbiamo uomini a cui non è dato conoscere i misteri del Regno ed abbiamo uomini a cui è dato conoscere i misteri del Regno di Dio e quest’ultimi sono coloro che sono dentro.

Si è dentro quando si mette Dio prima di tutto.

Quest’invitato alle nozze era dentro, quindi aveva messo Dio prima di tutto, però non aveva l’abito delle nozze.

Questo deve farci pensare, poiché è parola di Dio e Dio parla per noi, per la nostra salvezza, quindi contempla le situazioni in cui noi veniamo a trovarci.

Verbo incarnato vuol dire un verbo che contempla tutte le situazioni dell’uomo, per offrire ad ogni situazione la possibilità della salvezza.

Questo vuol dire incarnazione, questo vuol dire mangiare la carne del Figlio dell’uomo.

Quindi è una situazione in cui l’uomo può venirsi a trovare.

L’uomo può essere dentro, può cioè avere messo Dio prima di tutto e non avere l’abito.

Allora il problema si sposta, abbiamo visto già che si è spostato dal “prima di tutto” (condizione per entrare), alla “balconata”, il prima di tutto deve essere considerato come una balconata da cui guardare ogni cosa, per cui questo “prima di tutto” non deve essere considerato come un fine da raggiungere ma come un principio da mettere, perché è un punto di vista.

Abbiamo detto che è una balconata e vale come prima di tutto in quanto è una balconata.

“Balconata” vuol dire un luogo di osservazione, un punto di vista da cui si osservano tutte le cose.

Come punto di vista, evidentemente deve essere messo prima di tutto.

Quindi siamo passati dal “prima di tutto” alla “balconata” perché c’è il rischio di mettere il prima di tutto, dopo tutto ed essere convinti di averlo messo prima di tutto, ed essere convinti di essere dentro per poi trovarci di fronte a questo padrone di casa che ci dice: “Amico, come mai sei entrato in casa mia senza avere l’abito delle nozze?”, ed essere cacciati fuori.

E allora il problema si sposta dalla balconata, cioè dal guardare de questo punto di vista all’abito delle nozze.

Cosa è quest’abito delle nozze?

Perché il problema è quello di restare nel prima di tutto.

Questa parabola è segno che senza questo abito delle nozze non si può restare dentro, cioè non si può restare nel prima di tutto, il che vuol dire che non si può guardare da quella balconata.

Il problema si sposta su questo abito, abbiamo detto che il tema di oggi è l’abito della sposa.

Questo abito delle nozze che dà la possibilità di restare, perché se quell’uomo che era entrato, avesse avuto l’abito delle nozze sarebbe rimasto, infatti fu cacciato perché non aveva l’abito delle nozze.

Se il Signore ci presenta l’abito delle nozze, come condizione per restare dentro, cioè per restare nel prima di tutto, per guardare tutto da Dio, evidentemente questo abito delle nozze è il momento determinante nella vita dell’uomo.

E allora dobbiamo chiederci in che cosa consiste questo abito delle nozze che dà la possibilità di restare.

Visto quello che abbiamo già visto, cioè il prima di tutto come una balconata, come un punto di vista, qui già possiamo capire cosa significa questo abito delle nozze.

Tanto più che noi abbiamo nell’Apocalisse questo quadro stupendo della sposa dell’agnello della città santa.

Dice: “L’angelo mi condusse su un alto monte” e lì siamo sulla balconata, perché soltanto sull’alto monte si può vedere questa sposa, preparata per l’Agnello vestita di sole, questa Gerusalemme celeste, questa città di Dio.

E viene presentata come una città che discende dal cielo: discende, viene da-, viene da Dio.

Ecco l’abito è un qualche cosa che si aggiunge alla nostra nudità.

D’altronde abbiamo visto proprio ieri, nella parabola dei talenti di quel signore che distribuisce dei talenti ai suoi servi e poi se ne va in un paese lontano, in un altro luogo si precisa “per l’investitura del regno” ed è molto importante, perché ci fa capire tante cose.

Questo signore che se ne va lontano, è Dio che se ne va lontano.

È Dio che, dopo aver dato a noi l’esistenza, i talenti, la creazione, il tempo e tutto quello che abbiamo con noi che è tutto nudo, se ne va lontano, Dio è assente.

Dio ci fa esperimentare l’assenza e quante volte ci chiediamo perché l’uomo che è fame e bisogno di Dio non lo esperimenta.

Quante volte invochiamo un segno da Dio eppure Dio tace, Dio è assente, Dio è lontano, Dio non si fa toccare, non si fa esperimentare dall’uomo che ha bisogno di esperimentarlo, perché è condizione di vita o di morte.

Dio se ne va lontano.

Qui in questa parabola ci viene precisato che questo padrone se ne va lontano per ricevere l’investitura del regno.

Dio si fa assente dalla nostra vita ed ha il modo di farci esperimentare, toccare con mano la sua assenza, il suo silenzio.

Noi tocchiamo con mano il silenzio di Dio.

C’è un significato.

Anche questa è parola di Dio.

Tutto è parola di Dio, quindi anche l’esperienza dell’assenza di Dio, della morte di Dio, è una parola di Dio, quindi ha un significato.

Non dobbiamo mai allontanarci dalla parola del Cristo, perché è la parola di Cristo che ci apre ai grandi significati.

La parola di Cristo ci dice che quel signore se ne andò lontano per ricevere l’investitura del regno.

Ed abbiamo detto che è l’uomo che deve dire a Dio chi Dio è.

L’uomo chiede a Dio: “Dimmi chi tu sei” ma è l’uomo che deve dire a Dio chi è Dio.

Dio proprio attraverso la sua assenza, il suo silenzio, la sua lontananza chiede l’investitura del regno, vuole che sia l’uomo a dire: “Tu sei questo! Tu sei Colui che regna!” ed è l’uomo che lo deve dire.

Perché soltanto se l’uomo lo dice può entrare nel regno di Dio.

E deve dirlo con consapevolezza, perché la verità non s’impone, si propone, il che vuol dire che è l’uomo che deve dire cosa è questa verità.

Perché è l’uomo che deve investire Dio di questo regno.

Proprio attraverso questa parabola dei talenti, noi troviamo che quel signore non premia i diversi talenti dati ai servi e i doni di Dio dati agli uomini sono infinitamente diversi.

Ogni uomo è diverso dall’altro, il che vuol dire che i talenti sono molti, ma Dio non premia i talenti che ci dà, quindi tutto quello che abbiamo indipendentemente da noi, non riceve premio, quello è dono di Dio che Dio ha dato a noi indipendentemente da noi.

Quel signore non premiò i talenti dati.

Quel signore, al suo ritorno, dopo molto tempo, premiò l’interesse che i servi avevano saputo trarre dai talenti.

Abbiamo detto che il talento è un dono nudo, è un dono imposto, l’interesse no, l’interesse è un vestito, l’interesse è l’abito.

Dio premia l’interesse che l’uomo sa trarre dai doni che Dio fa all’uomo, indipendentemente dall’uomo.

L’interesse per che cosa?

L’interesse per conoscere Dio.

Quindi abbiamo i doni di Dio che sono dati all’uomo, indipendentemente dall’uomo e poi abbiamo l’interesse che ogni uomo sa trarre da ciò che Dio gli ha dato.

Dio premia l’interesse e il premio sta in questo: “Entra nella gioia del tu Signore”.

Questo: “Entrare nella gioia del Signore” è la stabilità.

Ecco il problema che dicevano: questo restare nel “prima di tutto”.

“Entra nella gioia del tuo Signore”.

Perché l’uomo, fintanto che si trova nell’incertezza, fintanto che l’uomo non è sicuro di restare, l’uomo trema, non ha pace.

La grande gioia è soltanto là dove c’è la sicurezza e questa sicurezza soltanto la parola di Dio ce la dà, quando dice: “Entra nella gioia del tuo Signore”.

Lì è la sicurezza.

Lì l’uomo non muta più.

Non è più soggetto a mutamento.

E quando l’uomo non è soggetto a mutamento, lì, abbiamo l’uomo che si riposa.

Cosa è che lo ha fatto entrare in questa “Gioia del suo Signore”?

È l’interesse abbiamo visto, è un qualche cosa che si aggiunge.

Abbiamo quindi i talenti, i doni che Dio dà e sono nudi, l’interesse è l’abito.

Ma l’interesse per che cosa?

L’interesse per conoscere Dio.

Dio dà a noi tutte le cose per suscitare in noi interesse per conoscere Lui, è l’uomo che deve dire chi è Dio.

E quindi tutti i doni di Dio, tutto quello che accade, tutti gli avvenimenti, hanno una finalità ben precisa, suscitare nell’uomo l’interesse, quindi l’impegno per conoscere Dio.

E Dio premierà questo abito, premierà questo interesse,

Tant’è vero che colui che ha un talento solo e per paura di perdere quel talento lo mette sotto terra, questo si vedrà privato del talento.

Privato vuol dire messo fuori.

Non ha trovato il modo di trarre interesse da quel talento ricevuto.

Viene cacciato fuori.

Ecco il dono nudo e puro custodito dall’uomo, questo è l’uomo senza l’abito delle nozze.

Allora diciamo subito che l’abito delle nozze è l’interesse per conoscere Dio, è questo che riveste la nostra nudità che dà significato, che dà senso alla nostra vita.

Noi da soli siamo nudi, non abbiamo senso.

Noi il senso lo traiamo da Dio.

Abbiamo detto che la sposa discende dal cielo ed è vestita di luce, dalla luce che viene da Dio, l’interesse.

Il che vuol dire che soltanto guardando da Dio, da questo prima di tutto, il primo regalo, il primo dono che si riceve è l’attrazione, è l’interesse, è l’interesse per conoscerlo.

È la prima derivazione sulla creatura quando la creatura guarda da Dio: interesse per Conoscerlo.

Questo è l’abito delle nozze, perché l’uomo è stato creato per sposare Dio, per sposare il pensiero di Dio e il pensiero di Dio non è l’uomo.

Perché l’uomo ha un pensiero suo, perché se non avesse un pensiero suo non sarebbe persona ma, il pensiero che è nell’uomo non è il pensiero di Dio.

Tra i pensieri degli uomini c’è anche il pensiero di Dio ma il pensiero di Dio non è il pensiero dell’uomo.

Il che vuol dire che l’uomo ha la possibilità di unirsi (sposarsi) al pensiero di Dio ma il pensiero di Dio viene da Dio, è Figlio di Dio, è generato da Dio ed è unigenito, inconfondibile quindi, però all’uomo è data la possibilità (se ha l’Abito della sposa) di questa unione.

Ed è da questa unione che deriva un essere nuovo.

Perché chi resta per sempre nella Casa sono soltanto i figli di Dio.

Quindi il Figlio di Dio resta sempre con il Padre e i figli di Dio restano sempre col Padre, nella casa del Padre.

I figli di Dio, sono quelli che hanno sposato il Figlio di Dio.

Quindi hanno formato una cosa sola con il Figlio di Dio.

I figli restano sempre nella casa.

I servi no.

E anche qui noi dobbiamo capire le parole, le parole sono dei segni.

E allora quando è che abbiamo i figli di Dio, perché è molto importante.

Abbiamo detto che il problema è il restare e il restare ci viene dall’abito.

E tenendo presente quello che abbiamo visto prima, che rimane presente soltanto colui che guarda da questa panoramica del prima di tutto ogni cosa, abbiamo visto che questo abito è determinato dall’interesse che si forma nell’uomo, quando l’uomo guarda da Dio, avendo messo Dio prima di tutto.

L’uomo mettendo Dio prima di tutto, riceve l’interesse, l’attrazione.

L’attrazione per Dio, ecco la prima grazia.

Tanto è prima grazia che Gesù precisa che nessuno può andare a Lui Figlio di Dio (quindi non ha l’abito) se non è attratto dal Padre.

Essere attratti vuol dire avere interesse.

Chi ha interesse è attratto ma questo interesse viene da Dio.

Il che vuol dire che soltanto guardando da Dio, si riceve quest’attrazione.

Restiamo sempre nella stessa problematica: ma forse Dio non attrae tutti?

E allora c’è qualcuno che è motivato da Dio e qualcuno che non è motivato da Dio.

Ma Dio non è forse il Padre di tutti?

Dio è il Padre di tutti, però c’è qualcuno che non ha Dio come Padre e Gesù lo precisa con i farisei: “Voi non avete Dio come padre”.

Anzi apertamente, a un certo momento dice loro: “Voi avete per padre il demonio”.

Può succedere che l’uomo dica tante volte al giorno a Dio: “Padre nostro” mentre nella realtà ha per padre il demonio come quei farisei.

Ed è parola di Dio anche questa.

Perché Dio lo dice a coloro che erano convinti di avere Dio come padre.

L’uomo può essere convinto di mettere Dio prima di tutto e poi in realtà lo ha messo dopo di tutto.

Ecco per cui non basta mettere Dio prima di tutto per restare dentro.

Avevano per padre il demonio ed erano convinti di avere Dio come padre.

L’uomo può essere convinto di avere messo Dio prima di tutto e poi invece lo ha messo dopo tutto.

Ecco per cui non basta mettere prima di tutto per restare dentro.

E Gesù dice che soltanto i figli restano sempre nella casa del padre, i servi no.

È necessario precisare chi sono i figli e chi sono i servi.

Gesù stesso lo precisa: figli sono coloro che hanno Dio come padre e cosa vuol dire avere Dio come padre?

I farisei si vantavano di avere Dio come padre e poi avevano per padre il demonio.

Sono figli di Dio coloro che hanno Dio come motivazione.

Come movente.

Come principio del loro pensare, parlare, agire.

Quindi che hanno Dio come questa balconata.

Dio è l’abito.

Dio è l’interesse principale della loro vita.

Quindi figli di Dio sono quelli che nascono da Dio.

E i servi?

Anche i servi servono Dio, sia chiaro.

Anche i servi servono Dio.

Però hanno una motivazione diversa.

Quindi anche i servi servono Dio perché conviene, però la motivazione è altra.

L’uomo nasce dal movente, da ciò che lo motiva, i figli di Dio hanno come movente il Padre, come movente Dio, qui Dio è loro padre.

I servi non hanno come movente Dio, anche se servono Dio da mattina a sera ma il loro movente è un altro.

E allora non possono restare sempre.

Il che vuol dire che a un certo momento il movente dei servi entra in contraddizione con il movente Dio.

Ed è la contraddizione che costringe l’uomo a scappare dalla casa, il servo non può restare nella Casa.

L’uomo è costretto a scappare quando entra in contraddizione.

Come nella parabola del figliol prodigo, quando rientra il suo fratello, il figlio maggiore è costretto a scappare, dalla casa, non può più stare nella casa.

Ecco, a un certo momento c’è questa contraddizione che si forma nell’uomo tra i due moventi.

Ho detto che soltanto quando il movente personale della nostra vita coincide con il movente universale ed eterno che è Dio, soltanto lì, noi abbiamo la luce, la verità con noi.

Soltanto lì si ha la stabilità ma fintanto che il movente nostro è diverso no, anche se il fratello maggiore del figliol prodigo urlerà di avere sempre fatto la volontà del padre, di avere sempre ubbidito agli ordini.

Ecco l’ubbidienza dove ci conduce.

A un certo momento c’è questa conflittualità qui tra l’amore del padre e l’amore di questo figlio maggiore.

Evidentemente il movente di questo figlio maggiore non s’identificava con l’amore del padre e quando l’amore del padre si è manifestato, a un certo momento c’è stata la contraddizione.

E la casa è diventata insopportabile.

Quando c’è la contraddizione non si può più restare in casa, si è costretti a scappare, ecco perché c’è l’uomo che è soggetto a mutamento.

Fintanto che il movente dell’uomo non coincide con il movente di Dio, l’uomo sarà sempre soggetto a cambiamento, costretto a fuggire di casa.

La stabilità la troviamo soltanto presso ciò che è eterno, ecco per cui è importante identificare che cosa c’è di eterno in noi.

Perchè è lì che bisogna costruire.

Noi dobbiamo trovare che cosa è eterno e appoggiarci su questo.

E fare di questo il nostro punto di vista.

Soltanto guardando dal punto di vista dell’eterno si vede veramente bene e si vede il significato di tutte le cose, è lì che si ha la possibilità di restare sempre dentro: “A voi che siete dentro è dato conoscere i misteri”.

Tutto questo avviene soltanto in quanto uno ha l’abito delle nozze e l’abito delle nozze viene da Dio perché i figli di Dio, diventano tali, per grazia del Figlio di Dio.

È il Figlio di Dio che fa i figli di Dio: “Senza di me non potete fare niente”, “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me”.

Il Figlio di Dio, venendo tra noi, parlando a noi non fa altro che manifestare a noi le cose dal suo punto di vista.

Abbiamo detto molte volte che parlare è comunicare una intenzione.

Si parla per insegnare una intenzione.

Tutti anche quelli che interrogano dice Sant Agostino parlano per insegnare una propria intenzione.

Anche il Figlio di Dio parlando a noi, insegna a noi la sua intenzione, il suo punto di vista.

E il Suo punto di vista è il Padre.

Il che vuol dire che Lui parlando a noi, convoca noi a vedere il suo punto di vista.

Le parole per essere intellette, devono sempre essere viste dal punto di vista di colui che ci parla.

Quindi il Figlio di Dio parlando a noi, convoca noi a vedere il suo punto di vista.

Ma il punto di vista è una balconata.

Convocati al suo punto di vista, ed è il punto di vista del Figlio (che non è il nostro), convocati qui, siamo invitati o perlomeno, abbiamo la possibilità di affacciarci: è una balconata.

Quando uno ci porta su un balcone o in montagna, la prima cosa è quella di affacciarci.

Si va in montagna perché siamo fatti per vedere e più si va in alto e più si gioisce, perché?

Perché si può vedere tanto da un unico punto di vista.

Ora il Figlio di Dio ci conduce, ci convoca al suo punto di vista.

E convocati lì, ci invita ad affacciarci, a guardare da-, è proprio questo che ci fa capire un altro verbo, quello che è detto qui in questo versetto: il verbo “credere”.

Le parole sono tutte segni: abiti, nozze, credere e noi li rivestiamo di tanti e tanti significati ma il vero significato viene da Uno solo, ecco per cui l’importanza di guardare unicamente dal punto di vista dell’eterno, dell’infinito, dell’assoluto, dal punto di vista del Padre.

Noi dobbiamo evitare di caricare di significati materiali le parole, i fatti e i segni.

Tutti commentano i fatti, basta aprire un giornale per vedere un commento diverso dall’altro.

Tutto è opera di Dio, lezione di Dio per noi, anche se arriva attraverso la cronaca quotidiana e noi dobbiamo avere paura di caricare le lezioni di Dio delle nostre intenzioni.

Perché noi su tutte le cose che incontriamo, proiettiamo su di esse i nostri punti di vista, le nostre intenzioni, i nostri valori, cioè ciò di cui siamo convinti.

Ma quello non è il punto di vista di Dio!

Il punto di vista di Dio non coincide mai con il nostro punto di vista: “I miei pensieri non sono i vostri”.

L’intenzione di Dio non è mai la nostra, il che vuol dire che richiede da parte nostra (poco o tanto) un superamento di tutto quello di cui noi siamo convinti, di tutto quello che noi riteniamo vero, per guardare dal punto di vista di Dio quello che Dio ci presenta.

È sempre necessario questo passaggio.

Perché Dio per quanto sia vicinissimo a noi, non coincide mai con noi e con quello che noi sappiamo.

Ed è qui che si giunge alla consapevolezza delle cose da Dio, perchè senza di noi non ci si affaccia e non si guarda da questa balconata.

Il Figlio di Dio, essendo figlio di Dio vede tutto dal punto di vista del Padre e parlando a noi ci presenta il suo punto di vista, la sua balconata e quindi invita noi a guardare da-.

Qui abbiamo la chiave per capire cosa vuol dire questo “credere” e questo “non credere”.

“Ma voi non credete”.

Credere vuol dire affacciarci alla balconata.

Vuol dire guardare dal punto di vista che il Figlio di Dio, parlando a noi presenta.

E se noi non ci affacciamo a guardare da quel punto di vista lì, noi non crediamo.

“Voi non credete” cioè: “Io vi ho presentato un balcone ma voi non vi siete affacciati a guardare”.

Ecco l’opera del Figlio, per rendere noi capaci di essere partecipi d’intendere le cose dal punto di vista di Dio.

Di fare la verità.

Gesù  nel vangelo di San Giovanni a un certo momento dice: “Chi fa la verità giunge alla luce”.

Ecco è l’uomo che deve “fare”.

Questo è il vero fare chiesto all’uomo.

Noi crediamo che il fare sia l’agire, è ben altro il fare.

Il vero fare è affacciarci a questa balconata, balconata del Dio che va messo prima di tutto, questo vedere le cose dal punto di vista di Dio.

Questo è fare la verità per giungere alla luce e chi giunge alla luce trova la stabilità.

Ecco, il Figlio di Dio, parlando a noi, rende a noi possibile la verità, la conoscenza di Dio e delle cose dal punto di vista di Dio, dall’intenzione di Dio.

Dà a noi la possibilità, possibilità! Perchè a un certo momento Lui dice anche: “Senza di Me non potete fare niente”, quindi c’è una situazione d’impossibilità.

Il Figlio di Dio dà a noi la possibilità di vedere in tutto il pensiero di Dio.

Abbiamo detto molte volte che là, dove c’è la possibilità di vedere in tutto il pensiero di Dio, lì si è nella casa di Dio.

La casa di Dio come la casa di ognuno di noi è caratterizzata dal fatto che si vede il pensiero del proprietario.

Si entra in una casa e si vede il pensiero del proprietario.

Nella casa di Dio si vede il pensiero di Dio.

In tutto.

Soltanto colui che ha la possibilità di vedere il pensiero di Dio in tutto, solo questo rimane nella casa di Dio sempre.

Sempre perché il sempre coincide con il tutto.

Là dove c’è qualcosa in cui non si vede il pensiero di Dio si è cacciati fuori: si è servi, non si è figli di Dio.

Il figlio di Dio è colui che guarda tutto dal punto di vista del Padre e lì abbiamo l’abito della sposa.

Lì abbiamo l’unione, lì abbiamo il guardare da-.

Ed abbiamo visto che  guardando da-, si riceve l’essere.

È lì la meraviglia dell’opera di Dio, che Dio creando la creatura ha trovato il modo di comunicare Se stesso, attraverso un semplice sguardo.

La meraviglia di Dio è quella, che dà a noi la possibilità di ricevere l’essere guardandolo col semplice pensiero.

Basta pensare Dio per ricevere Dio, ed è parola di Dio anche questa.

D’altronde il Figlio di Dio è il pensiero di Dio.

“Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me”.

Perché soltanto nel pensiero di Dio si riceve l’essere, il Padre, abbiamo la comunicazione dell’essere attraverso lo sguardo dell’Essere.

Guardando da Dio si riceve l’essere di Dio.

Guardando da Dio si partecipa alla generazione del Figlio di Dio.

Ho detto: l’abito della sposa.

Cioè attraverso quest’interesse che viene dal guardare da Dio. l’uomo riceve una natura nuova, una natura divina.

“Fatti partecipi della natura divina”.

La natura divina è infinitamente distante dalla natura umana, è abissalmente differente dalla natura umana, perché?

Perché la natura umana è tutta costituita dal finito.

La natura divina è infinito, è l’infinito, è l’assoluto, è l’eterno, è il presente.

E noi siamo chiamati ad essere fatti partecipi della natura divina.

Questo avviene unicamente guardando da-, da Dio.


GV 10 VS 26 - Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore.


Terzo tema - Di-: le pecore di Dio.


Argomenti: Fuori e dentro la verità. Dio prima di tutto. L’abito della sposa. I talenti e l’interesse. Il credere non dipende dalla nostra volontà. Il concetto di appartenenza. Non è nel potere della creatura appartenere a Dio. Tutto appartiene a Dio. La realtà è lezione di Dio per noi. I talenti e l’interesse. Siamo in casa d’altri. Guardare dal punto di vista di Dio. Il superamento del pensiero dell’io. Pecora è chi ascolta il maestro. L’essere si comunica attraverso la conoscenza. Pecora di Dio è chi conosce cosa vuol dire essere pecora di Dio.


 

8-9/Settembre/1991


Siamo giunti all’ultima parte di quest’affermazione di Gesù: “Non mi credete, perché non siete delle mie pecore”.

Abbiamo visto che gli uomini possono essere dentro o essere fuori.

“A tutti coloro che sono fuori, tutto viene detto in parabole affinché non capiscano, invece a voi che siete dentro, è dato conoscere i misteri del regno”.

E il problema della salvezza, della vita eterna sta nel conoscere i misteri del regno: “Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità”.

Il più delle volte noi confondiamo la salvezza o nei comportamenti o nel raggiungimento di certe virtù, o nell’essere in un luogo piuttosto che in un altro, la parola di Dio ci dice che la salvezza non sta in questo.

La salvezza sta nel giungere a conoscere la Verità.

Siamo già tutti nella vita eterna, si tratta di giungere a prendere consapevolezza del luogo in cui ci troviamo.

San Paolo diceva che noi esistiamo, viviamo e ci muoviamo in Dio, siamo già nella vita eterna, soltanto che non ne abbiamo consapevolezza.

La vita eterna sta nel conoscere Dio come vero Dio e Colui che è mandato da Dio.

E dobbiamo sforzarci di entrare nella vita eterna, sforzarci cioè di entrare nella conoscenza.

La Conoscenza però è data soltanto a coloro che sono dentro.

Il problema allora è diventato il passaggio dal di fuori al di dentro.

Come si fa questo passaggio?

Quand’è che si è dentro?

Si è dentro mettendo Dio prima di tutto.

E quando si è fuori?

Si è fuori quando ci sono interessi diversi da Dio che ci dominano.

Fintanto che Dio non è messo prima di tutto noi siamo fuori e tutto ci viene detto in parabole: non è dato a noi capire.

Il fatto però di non capire, di trovarci nelle tenebre, nella notte, in noi che siamo fatti per capire è motivo di tristezza, di angoscia, di tribolazione e di morte.

La morte sta proprio nella notte: l’uomo è fatto per la Luce.

Però, anche messo Dio prima di tutto.....

L’uomo si confonde e s’imbroglia, l’uomo ama raccontarsi delle menzogne e allora è necessario precisare: il più delle volte l’uomo ritiene di avere messo Dio prima di tutto e poi lo mette sempre dopo tutto.

Dobbiamo precisare quando veramente mettiamo Dio prima di tutto.

Si mette Dio prima di tutto quando si guarda ogni cosa da Dio, dal punto di vista di Dio.

È soltanto guardando da Dio quindi che si è dentro, chi ci fa entrare è Dio.

Guardando dal punto di vista di Dio si ha la possibilità di capire le cose di Dio.

E qui siamo passati all’abito della sposa.

L’ultimo argomento è stato l’abito della sposa.

Quest’abito che è dato dall’interesse che uno ha.

Abbiamo parlato del fatto che Dio non premia i talenti che ci dà.

Dio premia l’interesse che noi traiamo dai talenti che Dio ci dà.

Per cui nell’uomo ci sono sempre queste due grandi componenti:

1-I talenti, cioè quello che l’uomo riceve indipendentemente da sé, l’universo, la creazione, la vita, il tempo, l’intelligenza, il cuore, la fede eccetera, tutto questo è tutto talento che Dio ci dà e non è questo che determina la salvezza e non è questo che ci dà la possibilità di entrare nella gioia del Signore.

2-L’interesse che l’uomo sa trarre da ciò che Dio gli dà e Dio premia l’interesse che uno sa trarre dai talenti ricevuti.

L’interesse per che cosa?

L’interesse per conoscere Dio.

Tutte le cose ci sono date perché in noi si formi interesse per conoscere Colui che dà a noi le cose.

La creazione è come ricevere un mazzo di fiori, quel mazzo di fiori ci viene dato unicamente per suscitare in noi interesse verso chi ci manda il mazzo di fiori.

Noi tutti i giorni riceviamo doni di Dio ma dobbiamo capire l’anima, il significato, l’intenzione di questi doni.

Dio tutti i giorni ci offre doni per farci alzare gli occhi a Lui, perché soltanto alzando gli occhi a Lui, da Lui noi possiamo conoscere qualche cosa di Lui.

E la conclusione di tutto questo argomento è questa tristezza di Gesù: “Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà ancora qualcuno che crederà?”.

E qui dopo tutto questo discorrere Gesù dice: “Ma voi non credete”.

E dà anche la ragione per la quale non credono.

L’argomento di questa sera è proprio questo credere e la ragione per cui non si crede.

“Voi non mi credete perché non siete delle mie pecore”.

La prima cosa che questa dichiarazione di Gesù mette in evidenza è questa dipendenza dal credere all’essere sue pecore.

Cioè ci fa capire che il credere è una funzione ed è dipendente da-.

“Voi non mi credete perché...” e ti dice la causa, il motivo: “Perché non siete mie pecore”.

Ma allora questo ci fa capire che il credere non è un atto che dipenda dalla nostra volontà, noi non siamo liberi di credere.

Quanti vorrebbero credere e non possono credere!

Il credere non dipende da noi.

È vero che “opera di Dio è che voi crediate” ma qui ci precisa che il credere non è dato alla nostra volontà.

Il credere è una capacità, è una facoltà che deriva dall’essere pecore di Dio.

E allora il problema si sposta perché se noi vogliamo capire questo credere e la responsabilità che l’uomo ha in questo credere, dobbiamo spostarci sull’argomento “essere pecore di Dio”.

Il vangelo è pieno di contraddizioni perché ci sollecita ad andare in profondità.

La Verità non si trova in superficie, la verità si trova in profondità.

Noi non troveremo mai la verità tra le cose apparenti.

La verità richiede dedizione.

La verità richiede l’andare in profondità.

Tutto quello che leggiamo vediamo e ascoltiamo, anche il vangelo è tutto per noi, essendo creazione di Dio è parola di Dio per noi: “Voi non  siete mie pecore”.

Il primo problema che si presenta è questo: come è possibile che nella creazione di Dio, nel regno di Dio in cui Dio solo regna a cui tutto appartiene vi siamo delle pecore che non sono sue?

Tutte le creature sono di Dio, Dio è il padre di tutti, eppure ci sono uomini che non hanno Dio come padre, ai farisei che si vantavano di avere per padre Dio, Gesù dice apertamente: “Voi non avete Dio come padre, voi avete come padre il demonio”.

Come è possibile in questo regno universale di Dio, in cui Dio tutto opera, governa e regna vi siano pecore che non sono sue, creature non sue, uomini che non abbiano Lui come padre.

Eppure c’è questa dichiarazione: “Voi non siete pecore di Dio” e anche questa è parola di Dio per noi.

Qui il problema diventa cercare di capire cos’è questa appartenenza a Dio.

Questo concetto di appartenenza: “Voi non siete mie pecore”.

Quand’è che si appartiene a Dio e quand’è che non si appartiene a Dio.

Perché ha un significato il non appartenere a Dio come ha un significato il non avere Dio come padre.

Il concetto di appartenenza non è relativo all’uomo, non è l’uomo che possa appartenere a-.

Una donna che volesse appartenere a un tale uomo sta fresca, non è nelle mani della creatura appartenere a-.

Non è offrendo un oggetto che quell’oggetto appartenga a colui al quale lo si offre.

L’appartenenza non dipende quindi dai nostri sacrifici, dalle nostre offerte, dai nostri voti o dalle nostre promesse.

Noi possiamo fare tutte le promesse del mondo ma queste non ci fanno appartenere a-.

Non dipende da noi essere sposi di Dio, avere l’abito dello sposo o della sposa, non dipende dalla nostra offerta.

Certamente non è questo il criterio dell’appartenenza a-.

Il criterio di appartenenza non è nelle mani di colui che vuole appartenere a-.

L’appartenenza dipende da colui che possiede, da colui che prende, non dipende da colui che offre, uno può offrire tutta la merce di questo mondo ma se non c’è qualcuno che gliela compra sta fresco.

Non è che offrendo qualcosa si determini l’appartenenza, il possesso di questo qualcosa.

Il possesso dipende da colui che vuole possedere o da colui che possiede.

Quindi non è nelle mani della creatura l’appartenere a Dio, questo bisogna chiarirlo bene.

Ma allora com’è che il Signore dice: “Voi non siete mie pecore”, forse Dio crea delle pecore non sue, cioè delle creature che non vuole? Che rifiuta?

A un certo momento abbiamo anche questa parola del Signore alle creature: “Non vi ho mai conosciuti, non vi conosco”.

Nell’uomo ci sono due componenti:

Nell’uomo tutto è opera di Dio, noi non siamo nati con la partecipazione nostra, tutto l’universo non ha nulla a che fare con noi, nel senso che lo troviamo, ci siamo dentro ma certamente non siamo noi che lo abbiamo voluto, è un altro che lo ha fatto, tutto è opera di un altro e tutto è nelle mani di un altro.

Ogni giorno noi siamo sorpresi da avvenimenti, da fatti, da incontri che sono sempre determinati da un altro, c’è un altra volontà che opera nella nostra vita, fuori e dentro di noi.

Tutto questo mondo in cui noi siamo immersi come pesci nel mare, è voluto da un altro, non è opera nostra, arriva a noi indipendentemente da noi.

E qui è pacifico, tutto è di Dio, la creazione è di Dio, tutto è di Dio.

Anche il demonio appartiene a Dio, servo o non servo però tutto appartiene a Dio.

Non c’è un filo d’erba o un granello di sabbia che non appartengano a Dio.

Basterebbe che ci fosse un solo granello di sabbia in tutto l’universo, uno solo, non voluto da Dio e Dio cesserebbe di esistere.

Quindi noi ci troviamo in un universo che è tutto disposto e tutto voluto da Dio.

Tutte le creature (buone e cattive) appartengono a Dio.

Però in quest’universo c’è anche questa parola di Dio che ci dice: “Voi non siete mie pecore, voi non avete Dio come padre”.

E se lo dice, lo dice affinché noi capiamo.

Dio non parla per non farci capire, anche se Lui dice: “Parlo in parabole affinché non capiscano”, ma questo è un argomento per farci entrare perché c’è un luogo dove si capisce.

Se Dio parla per accecarci, o parla per farci rendere conto che non capiamo, è un atto d’amore o di misericordia per sollecitarci ad entrare in quel luogo in cui le cose diventano chiare.

Perché c’è un luogo ben preciso in cui si capisce: “A voi che siete dentro” e questo luogo abbiamo visto che è determinato dal fatto di mettere Dio prima di tutto.

Dio parla per farci capire.

Dio parla per comunicarci il suo pensiero.

Dio parla unicamente per far conoscere Se Stesso, per comunicare Se stesso.

Dio opera tutto in questa finalità.

E noi ci troviamo in questo universo, in questo mondo qui, apparteniamo tutti a Dio, tutti i fatti e tutti gli avvenimenti appartengono a Dio, noi stessi siamo di Dio, volenti o nolenti, che lo sappiamo o non lo sappiamo.

Dio è già in noi e noi siamo già in Dio, questa è la grande realtà in cui ogni uomo si trova.

Però noi siamo incoscienti e Dio opera per far maturare in noi questa presa di coscienza, per farci diventare consapevoli della realtà in cui ci troviamo.

Tutto il problema della vita non è un problema di modificazione del mondo, di cambiare il mondo o di farlo migliore, il problema non è questo.

Siamo tutti allievi nell’aula dell’universo in cui c’è un solo maestro: “Non date a nessuno il nome di maestro”.

L’universo è questa grande aula in cui c’è un solo maestro che parla a tutti.

Ora il compito dell’allievo non è quello di modificare la lezione, il compito dell’allievo è quello di capire la lezione.

Noi siamo lì che ci arrabattiamo per modificare l’universo, per fare il mondo migliore, correre a destra e sinistra per cambiare gli altri ma il problema non è cambiare il mondo, perché tutto quello che accade, tutto quello che esiste e in cui noi ci troviamo è realtà e la realtà è lezione di Dio per noi.

Siamo tutti allievi e il problema principale dell’allievo non è quello di modificare la lezione che il maestro sta dando o di voler che la lezione sia come piace all’allievo: lì ci mettiamo fuori.

Il problema dell’allievo è quello di capire la lezione.

Quindi se il mondo è così come è, il problema non è quello di cambiare il mondo o fare il mondo che piace a noi, il problema è quello di capire perché Dio ci mette in una situazione di tanta durezza o di tanta severità o addirittura in un mondo che ci fa tribolare fino a condurci alla morte.

Sono lezioni di Dio, tutte da capire.

Abbiamo detto che Dio parla per farci capire qualche cosa, per far maturare in noi questa consapevolezza, questa presa di coscienza e se in questo mondo, in quest’aula, in queste sue lezioni c’è anche questa lezione, Lui che dice: “Voi non potete credere in Me perché non siete mie pecore”, è una lezione da capire.

È una lezione personale per ognuno di noi.

Noi non dobbiamo giustificarci ritenendo che queste parole le dica solo ai farisei.

Questa è parola di Dio e le parole di Dio non sono condizionate né dallo spazio, né dal tempo: “Passeranno i cieli e la terra ma le mie parole non passeranno”.

Le parole di Dio sono personali per ognuno di noi.

Qui abbiamo questa parola di Dio che dice a noi che quando abbiamo difficoltà a credere (credere è guardare dal punto di vista di Dio) è perché non siamo pecore di Dio.

Il credere è una capacità che si forma in conseguenza dell’essere pecore di Dio

Abbiamo detto che due sono le componenti dell’uomo.

C’è la creazione di Dio che arriva a noi, indipendentemente da noi.

Noi stessi siamo creazione di Dio, noi, così come siamo, con tutto il nostro carico di pene, di tribolazioni e di sofferenze, così come ci troviamo, oggi come oggi: questa è creazione di Dio, è voluto da Dio per noi, è lezione di Dio per noi.

Questo è il primo dato e questi sono i talenti.

E poi abbiamo un altro dato che costituisce l’uomo: l’interesse.

Abbiamo detto che i talenti da soli sono nudi.

La situazione, la realtà, il mondo in cui ognuno di noi si trova è creazione di Dio, appartiene a Dio, è di Dio.

E se è di Dio, non dobbiamo permetterci noi di cambiarla, noi dobbiamo preoccuparci d’intenderla.

E poi c’è l’interesse per conoscere, per capire che cosa Dio ci vuole dire, attraverso la situazione in cui ci fa essere.

La realtà in cui tu ti trovi, oggi come oggi è voluta da Dio, inutile rinvangare scelte o colpe.

Ma se è voluta da Dio, il problema per te è capire che cosa Dio ti vuole dire, che cosa ti vuole significare, che cosa Dio ti vuole significare attraverso questi talenti che Dio ti ha dato.

La realtà è nuda ed essendo nuda ha bisogno di significato.

Tutte le cose arrivano a noi ma non hanno scritto il significato.

E già perché il significato nasce dall’interesse.

E soltanto se noi manteniamo unita la realtà in cui noi ci troviamo con Dio, lì sgorga l’interesse.

E Dio guarda l’interesse, lì salta fuori l’interesse, l’interesse per capire che cosa Dio ci vuole dire mettendoci in questa “marmellata”, mettendoci nelle problematiche in cui noi ci troviamo, mettendoci nella notte.

Dio creandoci ci ha messi in una notte ma che significato ha questa notte.

Ora, se noi teniamo unita la notte con Dio creatore di tutte le cose la nostra notte s’illumina e diventa giorno.

Perché da questa notte nasce un interesse: “Signore perché mi hai messo in questa notte? Che cosa mi significhi di te in questo?”.

Ora, è proprio questo interesse per capire il pensiero di Dio, per capire il significato di Dio in quella realtà in cui Lui mi mette, questo interesse mi fa incontrare Dio che mi dice: “Entra nella gioia del tuo Signore”.

Ho detto che l’uomo è costituito da queste due grandi componenti, dalla realtà di Dio che opera in tutto e qui tutto è di Dio, angeli e demoni compresi, e dalla componente dell’interesse, del desiderio di vedere, di capire il significato delle cose dal punto di vista di Dio, questo si forma soltanto se noi manteniamo le cose unite a Dio.

Se non le manteniamo unite al pensiero di Dio creatore, noi siamo in colpa, perché noi sappiamo perfettamente che le cose, che la realtà in cui ci troviamo, che il mondo in cui ci troviamo non lo abbiamo fatto noi.

Quindi se noi siamo sicuri che non siamo noi i creatori delle cose, noi dobbiamo rispettare il padrone di casa.

Trovandoci in casa d’altri, noi dobbiamo rispettare il padrone di casa, altrimenti quello ci butta fuori, ecco perché tanti si trovano fuori.

La casa è di un altro e arriva il momento in cui il padrone di casa ci butta fuori.

Quando uno entra in casa d’altri la prima cosa è quella di rispettare, perché la cosa non è tua, è di altri.

Noi ci troviamo in casa d’altri, l’universo non è nostro, è del creatore, non siamo noi ad avere fatto l’universo.

Basta questo pensiero per porci questa grande necessita di giustizia.

Le cose non sono tue, sono di Dio, anche te stesso non sei tuo, sei di Dio, per cui non puoi permetterti di usarti come vuoi, perché tu sei di Dio.

E se tutto è di Dio, noi, gli altri, tutta la creazione, tutte le cose sono di Dio, noi siamo tenuti a questo grande rispetto.

“Date a Dio quello che è di Dio”.

Tutto è di Dio.

Perché in tutte le cose e in te stesso c’è un anima, c’è un pensiero, il pensiero di un altro, c’è l’intenzione di un altro e devi rispettarla questa intenzione, c’è il disegno di un altro e devi capirlo questo disegno.

È qui che l’uomo viene a trovarsi in difetto poiché non è pecora di Dio.

Anche il demonio è di Dio e non può non ubbidire a Dio e non può non fare quello che vuole Dio ma se tutti sono di Dio, non tutti giungono a conoscere Dio, non tutti entrano nella Luce.

Per entrare nella Luce ci vuole questo interesse per Dio.

Dio che crea tutte le cose, per cui tutte le cose sono sue, non tutte possono godere della conoscenza di Dio, perché?

Perché Colui che ti crea senza di te, non si fa conoscere senza di te, è un problema che richiede questa balconata, che richiede questo portarsi a guardare dal punto di vista di Dio, che richiede il pensiero di Dio.

Per questo è necessario che a un certo punto tutto dell’uomo sia superato, che l’uomo superi se stesso, che l’uomo dimentichi se stesso e tutti i suoi punti di vista, superi il suo mondo, superi tutto di sé per guardare le cose dal punto di vista di Dio.

Questo guardare le cose dal punto di vista di Dio, non può avvenire senza di noi perché si richiede il superamento del pensiero del nostro io.

Il pensiero del nostro io è creazione di Dio, appartiene a Dio, è opera di Dio, ora è Dio che creandoci dà a noi il pensiero del nostro io perché questo pensiero è la condizione essenziale per potere essere consapevoli di qualche cosa, perché un essere incosciente non può giungere a conoscere niente.

L’animale non può giungere a conoscere Dio....noi abbiamo letto che Dio salva anche le bestie ma l’uomo animale non può assolutamente giungere a conoscere Dio.

L’uomo che vive di sentimento seguendo la natura o i suoi bisogni certamente non giunge a conoscere Dio.

Nel pensiero del nostro io non si giunge a conoscere Dio.

Il pensiero del nostro io deve essere superato, è come una pedana di lancio, perché?

Perché dobbiamo imparare a guardare le cose dal punto di vista di Dio.

Quando parliamo di conoscenza, quando parliamo di luce, vuol dire guardare le cose dal Principio.

È soltanto quando uno conosce una  cosa dal Principio che conosce veramente la cosa.

Quando uno non conosce la cosa dal principio si trova nella notte, esperimenta la cosa, tocca la cosa, vede, subisce la cosa, però non la conosce dal principio, non sa la ragione di quella cosa.

Lui che è il principio di tutto, Lui nel quale c’è la ragione di tutto, Lui ci ha creati per dare a noi la possibilità di vedere le cose dal principio e proprio vedendo le cose dal principio abbiamo la conoscenza, si forma in noi la conoscenza.

Ma allora qui arriviamo al problema delle pecore di Dio e cosa vuol dire essere pecora di Dio.

Perché se si entra nella Luce, soltanto guardando dal principio e il Principio è Dio, non siamo certamente noi.

Che non siamo noi il Principio lo sappiamo perfettamente perché noi ci troviamo davanti a tante cose che noi subiamo ma di cui non vediamo il principio.

Come dice Gesù  è tutta opera dello spirito e lo spirito soffia dove vuole, tu ne senti il soffio ma non sai né donde viene né donde va.

E così è per tutti gli avvenimenti e tutti i fatti, la vita, il nascere, il morire, il gioire, il soffrire, è tutto questo vento della creazione di Dio, arriva a noi, noi lo avvertiamo, sentiamo il soffio però non sappiamo né donde viene, né donde va, perché?

Perché noi non siamo il principio.

Quindi questo ci annuncia che il Principio è un altro.

Dio è il Principio e soltanto se vediamo le cose dal principio noi abbiamo la possibilità di entrare nella Luce.

Le pecore di Dio sono le creature che guardano le cose dal principio, dal pensiero di Dio.

Pecora è colui che ascolta, è l’allievo che ascolta la lezione del maestro, è la creatura che è tutta disponibile per intendere le cose dal punto di vista di Colui che le insegna.

Ecco perché ci sono pecore di Dio e non pecore di Dio.

Qui non siamo nell’automatismo, qui non siamo nella fase della creazione, qui non c’è più la creazione.

Nella fase della creazione tutte creature di Dio (anche il demonio) ubbidiscono a Dio ma qui siamo nel campo dell’automatismo.

Ma là dove invece la creatura deve superare se stessa per incominciare a guardare le cose dal punto di vista di Dio, qui non c’è più automatismo.

Qui è la creatura che per giustizia, per amore di Luce, per amore di verità, supera se stessa, supera quello che tocca ed esperimenta, per guardare le cose dal punto di vista del Creatore, dal punto di vista di Dio.

La pecora di Dio nasce qui, nasce dalla conoscenza di Dio, nasce dalla Luce e qui scopriamo una grande cosa, scopriamo che l’essere, (quindi la pecora di Dio) si comunica attraverso la conoscenza.

Essere pecora di Dio non è effetto di volontà nostra, si diventa pecora di Dio soltanto conoscendo cosa vuol dire essere pecora di Dio.

La pecora di Dio nasce dalla luce dalla conoscenza quindi soltanto chi conosce, chi capisce cosa significa essere pecora di Dio è pecora di Dio.

Qui scopriamo una cosa molto importante: nel campo dello spirito l’essere si comunica attraverso la conoscenza.

Per cui conoscenza ed essere coincidono.

Là dove non c’è conoscenza di Dio non c’è pecora di Dio e l’essere non si comunica.

Presso Dio conoscenza ed essere si uguagliano.

Là dove non c’è conoscenza non c’è partecipazione di essere, quindi si  è in difetto, c’è perdita di essere.

Il concetto principale di oggi è che pecore di Dio sono soltanto coloro che giungono a conoscere cosa vuol dire essere pecora di Dio.


GV 10 VS 26 - Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore.


RIASSUNTI Domenica-Lunedì.


Argomenti: L’illusione del mettere Dio prima di tutto. L’essere si riceve attraverso la conoscenza. Servi e  pecore di Dio. Guardare dal punto di vista di Dio. Sapere cosa vuol dire essere pecora di Dio. Subire la passione di ciò che si ha presente. L’interesse per Dio nasce da Dio.


 

15-16/Settembre/1991