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GV 10 VS 24 - Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».


Primo tema - Il tempo della Sapienza.


Argomenti: Dio realizza la sua presenza solo nell’uomo. La crisi della oggettività. L’interesse per la sapienza. La salvezza e il tempo dipendono da Dio. Il tempo è lo spazio che passa tra il desiderio e la sua realizzazione. Conoscere come Dio è presente in noi senza di noi: oggettività che salva. La presenza di Dio non appartiene alla creazione. La presenza della Verità conseguenza della conoscenza. Le tre presenze dell’uomo: imposte, relative e dipendenti. La presenza di Dio imposta, c’impedisce di trovare la presenza di Dio. La presenza di Dio è figlia della conoscenza di Dio.


 

30 Giugno /1 Aprile/1991


Cominciamo un nuovo versetto: il 24° del cap.  X di s. Giovanni. Qui si dice: “I Giudei dunque Lo attorniarono e Gli dicevano: «Fino a quando terrai Tu sospeso il nostro animo?  Se Tu sei il Cristo dillo a noi apertamente»”.

Tutto è opera di Dio, poiché Dio è il Creatore, Dio è il Signore, Dio è Colui che regna, per cui se oggi ci presenta questa scena con queste parole, anche questo rientra nel Regno di Dio, e quindi, siccome tutto è fatto per l'uomo affinché l'uomo possa giungere a conoscere il suo Signore, perché conoscere Dio è Vita Eterna, quindi affinché l’uomo possa giungere alla Vita Eterna, anche queste parole rappresentano un tratto del nostro cammino verso la Vita Eterna: opera di Dio quindi, per la nostra vita, perché Dio vuole salvare tutti e vuole che tutti giungano a vedere la Verità.

Questa sera ci soffermiamo sulla prima parte, sopra questa interrogazione che fanno i Giudei a Gesù, cioè: “fino a quando...?”.

Il tema di oggi è: il tempo della sapienza.

Il "quando" è una categoria di tempo, e questo interrogare dell'uomo: “fino a quando?” è interrogare sul tempo, è far calare il cielo in terra.

Tutti gli uomini interrogano perché hanno bisogno di una presenza, sono fame e sete di presenza, e tutti profondamente stanno chiedendo: “ma fino a quando?”.

Le volte precedenti abbiamo visto che Dio non è disponibile in tutti i luoghi. Dio che opera ogni cosa per condurci a conoscerLo e a trovare la sua Presenza, non è disponibile in tutti i luoghi. Abbiamo visto che Dio è disponibile nel Tempio, cioè all'interno, nell'interiorità dell'uomo, e soprattutto sotto il portico di Salomone.

Parlare di disponibilità di Dio è sempre in relazione ad una situazione di bisogno da parte dell'uomo. Un essere è disponibile in quanto viene incontro al bisogno dell'uomo. Il bisogno essenziale dell'uomo è di giungere a trovare la presenza di Dio, perché l'uomo soffre, si ammala, si angoscia, si dispera e muore, perché non tocca niente di Dio. L'uomo è fame e sete, abbiamo sentito nel Salmo, fame e sete di conoscere Dio, di trovare Dio; ma di trovarLo non tra le nubi, di trovarLo non nell'incertezza dei suoi pensieri.

L'uomo ha bisogno di trovare Dio, ma in modo oggettivo, cioè con una Presenza che non sia informata nemmeno minimamente da dubbi o dal suo pensiero, perché fintanto che qualche cosa è informato dai nostri dubbi o è oggetto del nostro pensiero, questo non ci salva. Quello che ci salva è ciò che non dipende da noi nel modo più assoluto.

Ora Dio è disponibile in quanto realizza per noi la sua Presenza. Dicendo che Dio è disponibile solo nel Tempio, e il Tempio è l'interno di ogni uomo, poiché Dio abita nell'interno dell’uomo, significa che Dio rende presente, realizza la sua Presenza solo nell'interno dell'uomo.  E allora è perfettamente inutile che andiamo a cercare questa Presenza fuori, altrove: anzi più noi la cerchiamo altrove e più facciamo esperienza di fallimento, esperienza di frustrazione, di crisi (abbiamo detto: crisi di oggettività), poiché ad un certo momento ci accorgiamo che tutto quello che noi vediamo o tocchiamo nel mondo esterno è tutto infirmato dal pensiero del nostro io. E questo ci priva dell'oggettività, della certezza: è la marea crescente del soggettivo che ci priva dell'oggettività, mentre invece noi abbiamo bisogno dell'oggettività.

Ora, in quanto Dio è disponibile soltanto nel Tempio vuol dire che questa oggettività che salva noi, questa realizzazione della Presenza di Dio indipendentemente da noi, senza di noi, Dio la riserva soltanto dentro di noi; non solo, ma sotto il portico di Salomone, e il portico di Salomone è la Sapienza, e il che vuol dire che Dio è disponibile soltanto là dove c'è la Sapienza, e la Sapienza significa mettere prima di tutto l'interesse per Dio. Dio è disponibile solo là dove c'è questo amore alla Sapienza, questo desiderio, questo interesse per conoscere Dio, messo al di sopra di tutto, perché soltanto lì c'è il portico di Salomone. Salomone è caratterizzato dal fatto che ha messo l'interesse per la Sapienza, per conoscere Dio al disopra di tutto. Quindi, Dio che si rende disponibile nel Portico di Salomone vuol dire che realizza la sua Presenza soltanto là dove l'amore, l'interesse, la conoscenza di Lui, la Sapienza, è al di sopra di tutto.

Parlandone in questi termini abbiamo detto che questo è il luogo della Sapienza.  Abbiamo detto che la Sapienza è un portico con tante arcate.  Una di queste arcate è il luogo della Sapienza. Se questo è il luogo della Sapienza, approdare a questa convinzione, cioè a sapere che Dio abita in quel luogo e si rende disponibile, quindi realizza la sua Presenza, ci conduce a conoscere la sua Presenza in quel luogo, viene a determinarsi per noi il tempo della Sapienza. E subito si direbbe che il tempo della Sapienza sta nel recarsi in tale luogo: nel luogo della Sapienza, poiché evidentemente se Dio ci fa capire che Lui è disponibile soltanto in un punto, la sapienza sta nell'arrivare in quel punto.

È l'uomo che deve arrivare in quel punto, se vuole attingere, trovare la presenza di Dio.

Ma subito si presenta una difficoltà, perché se è l'uomo che deve recarsi in quel punto se vuol trovare la presenza di Dio, perché Dio si rende disponibile solo lì, apparentemente l'opera cade nelle mani dell'uomo, il trovare viene a dipendere dall’uomo.

Quando io so che una persona la posso trovare soltanto in un certo luogo, evidentemente la preoccupazione da parte mia, se ho interesse per quella persona, è di recarmi in quel luogo perché in ogni altro luogo non la posso trovare: lì il tempo cade nelle mie mani.  Il tempo diventa dell'uomo: è l'uomo che deve recarsi in quel punto, in quel luogo.

La prima difficoltà allora è questa: se il tempo è dell'uomo, allora la salvezza dipende dall'uomo? Evidentemente qui c'è una prima contraddizione, perché la salvezza certamente non dipende dall'uomo. E il tempo non è dell'uomo: il tempo è di Dio. E quando ci accorgiamo che stiamo pensando in termini in cui il tempo è nelle mani dell'uomo, certamente siamo su una pista errata, perché noi abbiamo la salvezza in quanto teniamo presente tutto ciò che viene da Dio, perché è Dio che traccia in noi il sentiero. Una delle cose che vengono da Dio è: “il tempo è di Dio”. Intanto però qui capiamo una cosa: quello che noi chiamiamo "tempo" è strettamente relativo allo spazio, al luogo. Infatti parlando del luogo della Sapienza, abbiamo detto che il luogo in cui Dio è disponibile è il Tempio di Gerusalemme in cui Gesù passeggiava e più specificatamente è il portico di Salomone: questo è il luogo in cui Dio è disponibile.

Dio è disponibile in quanto soddisfa un nostro bisogno: il bisogno essenziale dell'uomo è di trovare una "presenza", perché vive di presenza; il giungere a questo luogo in cui Dio è disponibile è il "tempo".

Il tempo è la realizzazione del nostro bisogno, ed è per questo che è relativo allo spazio, al luogo.  Infatti il tempo è lo spazio che ci separa dal punto in cui noi ci troviamo e il punto della nostra salvezza, cioè il punto in cui la cosa (la nostra salvezza) si realizza.

Il tempo rappresenta la differenza che passa tra un nostro desiderio e la realizzazione di esso. È relativo allo spazio, tant’è vero che attualmente si è scoperta una quarta dimensione dell'universo: oltre a quelle che sono state da sempre il fondamento della matematica e della geometria (altezza o profondità, larghezza e lunghezza), si è aggiunta una quarta dimensione: la dimensione spazio-temporale.

Ecco: tempo e spazio formano una unità, un’unica dimensione, un'unica cosa, mentre invece per noi sono due realtà differenti. Il tempo, dico, non rappresenta che la distanza che ci separa nel raggiungere un certo punto. Quindi è sempre rapportato allo spazio, rapportato ad una meta.

Però il tempo è anche condizionato dalla velocità con cui si cammina verso quella meta.  Più uno cammina con velocità verso la meta, e più il tempo si stringe, diventa molto corto.  Se uno cammina molto adagio il tempo si allunga, diventa molto lungo, e ad un certo momento il tempo può diventare infinito.  Infatti se noi non camminiamo verso la nostra meta, la meta per la quale siamo stati destinati, il tempo diventa infinito. Vediamo che il tempo è nettamente relativo: se noi siamo molto veloci, cioè ci dedichiamo intensamente, molto intensamente, al fine, il tempo si accorcia: si accorcia quasi a sparire: ad un certo momento sparisce e diventa Vita Eterna. Ma se noi ci dedichiamo lentamente, il tempo si allunga e si allunga tanto al punto che ad un certo momento diventa infinito: il punto d'arrivo non si raggiunge mai; si arriva al punto in cui addirittura si dispera di arrivarci, si è convinti addirittura che non si raggiungerà mai; a quel punto il tempo è diventato infinito.

Per camminare sulla strada di Dio è assolutamente necessario che noi ci manteniamo nelle categorie del Divino. Quindi per poco che noi ci accorgiamo che il tempo cade nella dimensione umana o nelle mani dell'uomo, lì certamente siamo fuori strada poiché il tempo è sempre di Dio.

Per questo dobbiamo andare oltre. Ecco allora vediamo che l'argomento delle domeniche precedenti in cui si è parlato del luogo della Sapienza, del luogo cioè in cui Dio è disponibile a rivela re la sua Presenza, ha preparato il terreno ad un'altra arcata del portico di Salomone. E quest'altra arcata è l'argomento di stasera: il tempo della sapienza. Si passa quindi dal luogo della Sapienza al tempo della Sapienza.

È necessario questo passaggio perché il luogo della Sapienza non ci libera dal ritenere che il tempo sia dell'uomo. Infatti il luogo della Sapienza ci fa capire dove noi possiamo trovare la disponibilità di Dio, dove noi possiamo trovare Dio. Però il fatto di sapere il luogo, fa cadere nelle nostre mani il tempo: il tempo diventa dell'uomo. Ma il tempo non può essere dell'uomo.

(Interruzione per nuovi arrivati)

Stavo dicendo che abbiamo visto le volte precedenti il luogo della Sapienza, il luogo della disponibilità di Dio, e, quando si parla di disponibilità di Dio, intendiamo Dio che dà, che offre a noi la possibilità di trovare la sua Presenza.  Questa disponibilità di Dio non è fuori di noi, ma è dentro di noi, nel Tempio interiore, e non solo dentro di noi, ma è sotto il portico di Salomone, cioè nel luogo della Sapienza. Dio è disponibile là dove c'è interesse, amore alla Sapienza messo al di sopra di tutto, messo prima di tutto.

Sapere questo è una cosa molto importante per l'uomo, perché vuol dire sapere dove l'uomo può rivolgere tutta la sua attenzione per trovare il Dio disponibile, cioè il Dio che realizza il nostro bisogno di trovare la sua Presenza. Quando ci troviamo con Dio che non realizza questo nostro bisogno, e Dio non lo realizza nel mondo esterno, allora noi restiamo sommersi da una marea crescente di soggettività

Dio non si realizza nel mondo esterno, Dio non si fa trovare nel mondo esterno.  Dio parla nel mondo esterno, ma parla in parabole “affinché non capiscano” (Mt 13,13) (cioè affinché l'uomo capendo di non capire entri "dentro"), il che vuol dire che non realizza, cioè non ci conduce a capire. Infatti "realizzare" vuol dire capire, non realizzare vuol dire non capire.

Tutto il mondo esterno è avvolto nel mistero: tutto per noi è mistero. Tutto ci annuncia Dio, per cui noi non possiamo ignorarLo. Tutto ci annuncia Dio perché non siamo noi a fare le cose, però tutto è avvolto nel mistero, il che vuol dire che Dio non realizza fuori di noi quello che annuncia, il che vuol dire che nel mondo esterno parla in parabole: cioè ci fa capire di non capire.

Ora la realizzazione, cioè il capire le parabole, il capire quello che Dio ci annuncia, il capire quello che Lui ci parla di Sé in tutto, lo riserva nell'interno dell'uomo; il che vuol dire che se noi non rientriamo in noi stessi, se non ci raccogliamo dentro di noi chiudendo gli occhi al mondo esterno, certamente non giungiamo alla scoperta della presenza di Dio. Dio non è disponibile fuori, ma è disponibile soltanto dentro.

Non solo, ma se noi dentro di noi non poniamo l'amore alla Sapienza, alla conoscenza di Dio, al di sopra di tutto, in modo esclusivo, non troviamo Dio disponibile a realizzare la sua Presenza in noi.

Quando non giungiamo alla realizzazione della presenza di Dio, noi entriamo in quella famosa crisi di cui abbiamo parlato: la crisi dell'oggettività e cadiamo nella schiavitù della marea della soggettività: tutto è informato dal pensiero del nostro io, e quando noi siamo informati dal pensiero del nostro io, quando tutto per noi è macchiato dal pensiero del nostro io, noi siamo come i bachi chiusi nel bozzolo: non attingiamo più la Verità, non attingiamo più nulla.

Questo passaggio dall'esterno all'interno e all'amore esclusivo alla Sapienza, è un passo molto importante, perché è la condizione per trovare il luogo in cui Dio realizza la sua Presenza.  Però sapere dov'è questo luogo ci fa correre un rischio.

Abbiamo detto: è il rischio di ritenere che il tempo sia dell'uomo, di ritenere cioè che sono io che debbo andare lì: io so il punto in cui debbo arrivare e dico: adesso sono io che debbo arrivare in quel punto, io determino il tempo.

Il tempo, ho detto, è quello spazio che mi separa dalla situazione in cui mi trovo al luogo in cui debbo arrivare.

Questo è un errore, perché il fatto di ritenere che il tempo sia dell’uomo e sia l'uomo quindi a poterlo determinare, mette l'uomo in una situazione di crisi rispetto alla Verità, perché nella verità il tempo è di Dio. Non è l'uomo a determinarlo, ma è Dio che lo determina.

Allora noi dobbiamo considerare le cose non come se dipendessero dall'uomo, ma, soprattutto il tempo, come se dipendessero da Dio, perché nella realtà tutto, quindi anche il tempo, dipende da Dio.

La conclusione alla quale siamo giunti l'ultima volta sull'ultimo argomento è stata questa: la presenza di Dio si può trovare soltanto conoscendo "come" Dio è presente in noi senza di noi. Abbiamo detto che è molto importante quel "senza di noi", perché per poco che in noi entri un pensiero, un semplice pensiero, in cui noi consideriamo il trovare la presenza di Dio come dipendente da noi (ecco perché bisogna escludere il fatto che il tempo sia dell'uomo) già ci impedirebbe nel modo più assoluto di trovare la presenza di Dio, perché la presenza di Dio sta nel conoscere come Dio è presente in noi "senza di noi": "senza", quindi escluso noi.

È soltanto lì che noi troviamo l'oggettività, quella che ci salva. È soltanto lì che noi troviamo di essere pensati da Dio, conosciuti da Dio, amati da Dio, perché la nostra salvezza non viene da noi, dai nostri sforzi, dalle nostre fatiche, dalle nostre rinunce, dai nostri sacrifici, dalle nostre dedizioni; non viene nemmeno dal nostro sforzo di pensare. Anche il nostro tanto pensare non ci conduce alla salvezza. Noi con tutto il nostro pensare non giungiamo alla salvezza.  La salvezza viene unicamente da Dio. E allora dobbiamo entrare in questo ordine: il tempo della salvezza è determinato da Dio.

Noi nella nostra vita facciamo esperienze di diverse presenza:

1)                      una delle prime esperienze di presenze è la creazione stessa. La creazione di Dio è una presenza: gli alberi, le creature, i fatti, gli avvenimenti, ecc., sono presenze che noi vediamo e tocchiamo. Ma noi diciamo: sono presenze che arrivano a noi in modo magico. Sono effetti della creazione di Dio. Noi esperimentiamo queste presenze, le vediamo, le tocchiamo, le esperimentiamo, però non le conosciamo, non le sappiamo, non le capiamo. Ecco, noi abbiamo delle presenze che non possiamo smentire, perché le vediamo e le tocchiamo, però non le capiamo. Soprattutto non possiamo capire come Dio ci faccia vedere le cose, come Dio ci faccia vedere le persone, le creature: nel modo più assoluto non possiamo capirlo. Le constatiamo, certo le constatiamo!  Tocchiamo con mano la creazione, le pietre le tocchiamo, le esperimentiamo, le subiamo, però come avvenga questo contatto noi non possiamo capirlo.  Questo è l'opera creatrice di Dio. È Dio che parla con noi in tutto. È Dio che crea! Ma il fatto avviene in modo magico (senza di noi e in modo incomprensibile a noi). Ma la manifestazione della Presenza di Dio non dobbiamo aspettarla così. Dio è un Essere trascendente e noi nel modo più assoluto non possiamo smentirlo, però non possiamo essere sicuri della sua Presenza, perché la sicurezza ci viene soltanto da Dio. E quando per essere sicuri noi chiediamo a Dio che si faccia vedere, “Signore, fammi vedere il tuo Volto! fammi toccare con mano la tua Presenza!”, noi implicitamente chiediamo a Dio che si renda presente, come ci rende presenti le creature, si faccia toccare come noi possiamo toccare la pietra, possiamo toccare l'albero, possiamo toccare la natura. Noi invochiamo questo. E qui facciamo un errore gravissimo, un errore di stoltezza, un errore di insipienza.  Perché? Perché noi sì vediamo e tocchiamo le creature. Dio nella sua opera di formazione nostra alla conoscenza di Sé, quindi alla Vita Eterna, ci presenta delle creature che noi vediamo e tocchiamo, perché sono segni suoi, però la presenza di Dio noi non possiamo vederla e toccarla come vediamo e tocchiamo le creature. La presenza di Dio non è opera della creazione di Dio, non appartiene quindi al regno delle creature. La presenza di Dio non è una creatura. Per cui se noi chiediamo a Dio un segno di Sé, che si faccia toccare con mano, che si faccia vedere, che ci convinca della sua Presenza, noi stiamo sbagliando strada, come sbagliamo strada quando riteniamo che il tempo sia dell'uomo. (Non è l'uomo che decide la sua salvezza; è vero che Dio crea l'uomo senza l'uomo, ma Dio non salva l'uomo senza l'uomo; non salva l'uomo senza l'uomo, è vero, però la salvezza dell'uomo non viene dall'uomo: la salvezza non è dell'uomo; il tempo non è dell’uomo). Abbiamo questa prima presenza, questo primo dato di presenze che l'uomo esperimento e sono le presenze della creazione, le presenze naturali.

2)                     E poi c'è un altro ordine di presenze: e sono quelle che derivano da quello che noi desideriamo, dai nostri pensieri (cioè le esperimentiamo quando un nostro desiderio è soddisfatto). Ho fatto molte volte l'esempio: io sto pensando alla biro, desidero vedere una biro, la cerco e noto che non è presente, per cui dico: è assente, non c'è; se la trovo, dico: c'è. Quindi abbiamo una presenza che è relativa a quello che desideriamo, in relazione ai nostri pensieri. Quindi abbiamo: le prime presenze che ci sono imposte, anche se non le pensiamo. Ad esempio, noi andiamo a sbattere con una macchina contro un albero, e non è che noi desideriamo andare a sbattere contro un albero; è l'albero che si impone. Ci sono quindi delle presenze che si impongono. E poi ci sono delle presenze che sono relative invece al nostro pensiero, ai nostri desideri.

3)                     E poi abbiamo un altro grande ordine di presenza, ed è l'ordine della Verità, l'ordine a cui appartiene Dio. Nell'ordine della Verità la Presenza è conseguenza della conoscenza. E qui siamo arrivati completamente ad un capovolgimento: vedete che c'è un capovolgimento completo:

-                                      nell'ordine della creazione, noi abbiamo le presenze senza conoscenza;

-                                      poi abbiamo un secondo ordine: le presenze in relazione al nostro pensiero per cui le conosciamo in relazione al nostro pensiero;

-                                      e poi abbiamo il terzo ordine in cui le presenze dipendono dalla conoscenza, per cui la conoscenza precede la Presenza. Possiamo trovare nel regno della Verità una Presenza soltanto in quanto abbiamo conosciuto. La Verità certamente noi non la troviamo fintanto che non la conosciamo. Vedete che il trovare la Verità è una conseguenza della conoscenza della Verità, per cui fintanto che noi non conosciamo la Verità, non abbiamo trovato la Verità. Non possiamo smentire che ci sia la Verità: tutti parlano di Verità, noi possiamo anche sentire parlare di Verità, possiamo anche parlare, per sentito dire, della Verità, però noi certamente non l'abbiamo trovata fintanto che noi stessi non la conosciamo, personalmente!

Questo ci fa capire che c'è un ordine in cui il trovare (trovare, quindi: "presenza") è una conseguenza della conoscenza. Dio è la Verità. Il che vuol dire che Dio si trova solo conoscendoLo, quindi non Lo si trova senza di noi.

Noi qui dobbiamo chiederci adesso: come è possibile trovare Dio che è già presente in noi? Come è possibile trovare Dio presente senza di noi se non può essere trovato senza di noi? Sono tutte contraddizioni che il Signore ci pone per farci approfondire. Come ci ha messo prima di fronte alla contraddizione tra il tempo dell'uomo e il tempo di Dio, ora ci pone di fronte alla contraddizione tra ciò che è presente senza di noi e ciò non si trova senza di noi.

Sono tutte contraddizioni che il Signore ci pone per condurci (ecco, perché, dico, il tempo è di Dio: perché è Lui che ci conduce, e la salvezza viene da Dio), per condurci a formare il nostro pensiero, la nostra attenzione sull'unico luogo da cui viene a noi la Luce, la Salvezza, la sua stessa Presenza.

Noi certamente abbiamo detto prima, non possiamo smentire che Dio è già presente in noi. Eppure la salvezza viene dal trovare la sua Presenza. E noi stiamo invocando la sua Presenza. "Signore, facci vedere soltanto un po' della tua Presenza e noi saremo salvi. Facci toccare qualche cosa di Te e noi saremo salvi".  E qui, in questo versetto, i Giudei dicono: "Fino a quando terrai sospeso il nostro animo?" Ecco! Quando Gesù stesso parla della fine dei tempi, della fine del mondo, del momento in cui Lui sta arrivando, imponendo la sua Presenza, i discepoli Gli chiedono: “Quando questo avverrà?” (Mt 24,3). Gli stessi Farisei Gli dicono: “dacci un segno affinché noi possiamo credere in Te!” (Mt 16,1). Chiedere di darci un segno e chiedere il "quando" è sempre la stessa cosa. Noi non ci rendiamo conto di cosa vuol dire questo chiedere: “Quando Tu ti farai conoscere? quando Tu ti rivelerai? quando Tu ci darai un segno?” è un errore grave, perché pensiamo che Dio manifesti la sua Presenza come crea tutte le cose; cioè riteniamo che la manifestazione della presenza di Dio sia opera della creazione di Dio.

Stiamo facendo un errore grave, perché stiamo chiedendo a Dio che ci renda incapaci di conoscerlo e quindi che ci butti nell'inferno. Noi stiamo chiedendo a Dio l'inferno!

Quando noi chiediamo a Dio: "fino a quando Tu non ti manifeste noi?” quando noi chiediamo a Dio: “Dacci un segno di Te, affinché noi possiamo crederti”, noi stiamo chiedendo a Dio che ci butti nell'inferno. Ecco perché Dio non risponde, non è disponibile a certe nostre richieste! perché Lui non ci vuole buttare nell'inferno: se Lui manifestasse la sua Presenza come manifesta la sua creazione a noi, ci renderebbe incapaci di conoscerLo, come noi siamo fatti incapaci di fronte alle presenze create di conoscerle. Le presenze create noi le subiamo, quindi non le possiamo smentire. Certamente non le possiamo smentire: un muro non lo possiamo smentire, perché ci sbatteremmo la testa se lo ignorassimo. Quindi si impone!

Ora se la presenza di Dio ci fosse imposta noi saremmo incapaci di conoscerla. Quando noi chiediamo il luogo di Essa, quando noi chiediamo un segno di Essa, quando noi chiediamo: "fino a quando?" a Dio, noi stiamo chiedendo a Dio che manifesti la sua Presenza imponendocela. E se Lui ce la imponesse, ho detto, ci butterebbe nell'inferno, perché ci renderebbe impotenti a conoscerLo. Ecco come i tempi sono di Dio, come Dio stesso li forma in noi.

Ho detto prima che non possiamo smentire che Dio sia presente in noi. Dio è già presente in noi. Allora dobbiamo chiederci: ma se è già presente in noi, cosa stiamo andando cercando? Dio è già presente in noi e noi stiamo andando a cercare la presenza di Dio?  Dobbiamo chiederci: che cos'è che impedisce a noi di vedere questa Presenza che è già in noi?

Certamente noi non possiamo smentire che Dio sia già presente in noi, tant’è vero che noi siamo Tempio di Dio: Dio abita dentro di noi. Ma se è già presente cosa noi stiamo andando a cercare? Che difetto portiamo dentro di noi da non vedere questa Presenza? Dio è già presente in noi, perché creandoci (e qui siamo nella creazione) ci ha imposto la sua Presenza. Questa sua Presenza ci impedisce di conoscerLo. È per questa sua Presenza che noi non vediamo la sua Presenza. È per la presenza di Dio che portiamo in noi, imposta, che noi non vediamo Dio.

Ho detto: Dio ci ha creati, noi siamo creature di Dio. Questa è un'imposizione. Dio ci ha imposto la vita, ci ha imposto l'esistenza, e questo è imposizione, per cui noi non possiamo capirlo. Tutto quello che ci è imposto noi lo subiamo, ma non lo possiamo capire. Anche la presenza di Dio che portiamo in noi, noi non possiamo ignorarLa, ma non possiamo capirLa.

Invece questo ci deve far capire che il problema nostro non è cercare quando Dio ci farà conoscere la sua Presenza, non è invocare Dio che manifesti a noi la sua Presenza.

Il problema nostro essenziale è di conoscere la presenza di Dio che già portiamo in noi, se c'è la possibilità di conoscere questa Presenza che già portiamo in noi, poiché Dio è già presente in noi: noi non lo possiamo smentire. Che cosa manca a noi? Che cosa ci impedisce di vederLo? Manca a noi la conoscenza! Quello che impedisce a noi di vedere la presenza di Dio che non possiamo ignorare, ma che la portiamo già in noi, è il difetto della conoscenza da parte nostra: difetto di conoscenza di Dio!

Qui capiamo che la presenza di Dio che ci salva viene dalla conoscenza di Dio. Solo conoscendo Dio noi giungiamo a trovare quella Presenza che già portiamo in noi.

Ecco perché, dico, ed è la conclusione dell'altra volta: è la conoscenza che ci salva, cioè  conoscere "come" Dio è già presente in noi senza di noi. La salvezza sta nel giungere lì. Quindi il problema non è invocare, come noi facciamo, di sentire la presenza di Dio, di esperimentare la presenza di Dio. L'errore sta in quanto vogliamo far scendere la presenza di Dio su un fatto sentimentale, sul piano della creazione.

Il problema è invece di Dio è di conoscere come Dio è già presente in noi. Ma se qui sta il problema, qui allora non abbiamo più il problema del tempo. Non è più problema di tempo. 0 per lo meno, il tempo della Sapienza, il tempo della scoperta della Presenza di Dio, sta nella conoscenza di Dio.

"Tempo della Sapienza". Quando abbiamo parlato della Sapienza abbiamo detto che la Sapienza sta nel guardare le cose da Dio. Soltanto guardando da Dio noi possiamo conoscere Dio e da Dio possiamo capire "come" Dio è già presente in noi. Quindi la Presenza di Dio non è una questione di tempo. Non dobbiamo aspettarci di vedere Dio da qui a qualche anno o con la morte: noi corriamo il rischio, se Lo aspettiamo così. di non trovarLo eternamente, perché non è morendo che noi troviamo Dio. Il problema di Dio (di trovare la Presenza di Dio) non cala nel tempo, perché farlo calare nel tempo è farlo dipendere dal tempo, vuol dire farlo calare nella creazione di Dio, e quello che cade nella creazione di Dio, cade in quell'appartenenza alle presenze che noi subiamo, che noi vediamo, che noi tocchiamo, ma che non possiamo capire.

La presenza di Dio è figlia della conoscenza di Dio. Ora, siccome questa Presenza è già in noi, è già data a noi, il problema è di conoscere questa Presenza che già portiamo in noi, cioè portiamo in noi indipendentemente da noi. Questa conoscenza può venire a noi soltanto da Dio.

Ecco allora perché il tempo della Sapienza è tempo di Dio! È tempo di Dio perché viene solo da Dio, perché soltanto conoscendo Dio (e Dio Lo possiamo conoscere soltanto per mezzo di Dio) e quindi soltanto in quanto ci impegniamo a conoscere Dio, soltanto se entriamo nel campo della Sapienza, soltanto se mettiamo l'amore, l'interesse a conoscere Dio al di sopra di tutto, dalla conoscenza di Dio noi saremo condotti, per opera stessa di Dio, a scoprire, a trovare la presenza di Dio, perché la Presenza è figlia della conoscenza di Dio.

Ora, se noi teniamo presente che la conoscenza di Dio ce l'ha soltanto il Figlio (“solo il Figlio conosce il Padre” {Mt 11,27}), se teniamo presente che la Presenza di Dio è lo Spirito Santo, noi qui possiamo capire che lo Spirito Santo viene a noi soltanto dalla conoscenza del Padre che è il Figlio.  Quindi soltanto attraverso il Padre e il Figlio noi siamo condotti a trovare lo Spirito Santo, a ricevere lo Spirito Santo che è Spirito della Presenza di Colui che è già presente, ché la nostra salvezza sta lì.


GV 10 VS 24 - Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».


Secondo tema - Il perché della Sapienza.


Argomenti: Il dubbio è perdita di vita. La sorgente del dubbio. Il tormento del dubbio. Giacobbe ed Esaù. Disprezzare la conoscenza di Dio. Le due presenze: Dio e la Parola di Dio. La fonte del dubbio: non unificazione in Dio. Il dubbio è effetto del rifiuto dell’uomo a Dio. Il dilemma di Sant Agostino. Invocare o conoscere? Le dieci vergini. Invocare è un difetto di fede. L’errore di cercare la presenza di Dio sentimentale. La presenza di Dio si trova solo conoscendo come Dio è presente a noi.


 

7-8/ Luglio /1991


Abbiamo già visto il luogo della sapienza.

Il tempo della sapienza.

Sono le arcate del portico di Salomone.

Oggi dobbiamo considerare un altra arcata: il perché della sapienza.

Perché bisogna mettere l’interesse per conoscere Dio prima di tutto e al di sopra di tutto.

Qui i giudei, interrogando Gesù gli dicono: “Fino a quando tu, terrai sospeso il nostro animo?”.

Ma, nell’originale graco la parola è molto più dura: “Fino a quando Tu ci porterai via la vita?”.

Ci fa capire una cosa importante, quel dubbio della creatura, è in stretto rapporto con la vita.

Là, dove la creatura subisce il dubbio, perde la vita.

Loro dicono: “Fino a quando ci toglierai la vita?”.

Ma quando Cristo mai, toglie la vita?

Lui è venuto a dare la Vita.

Lui si sente accusare dagli uomini (e ancora oggi): “Fino a quando Tu ci toglierai la vita?”.

Nel dubbio l’uomo subisce una perdita, una sofferenza.

Non c’è strazio peggiore dell’uomo che il dubbio.

Che il non potere giustificare una cosa.

Questo ci fa capire, ci rivela una cosa molto importante.

Se l’uomo nel dubbio, patisce, soffre, addirittura perde la vita, questo è segno che l’uomo è fatto per conoscere Dio, l’uomo è fatto per la verità, è fatto per la sapienza, è fatto per la certezza.

E la sua vita sta lì.

Ma se noi riconosciamo questo, dobbiamo a questo punto, accogliere e riconoscere la grandezza delle parole del prologo: “In principio la vita era la Luce”.

Cioè in principio, nel disegno originale di Dio, l’uomo è fatto per la luce, è fatto per conoscere Dio.

Ma allora anche qui, riconosciamo la grandezza di quello che ci viene detto, sempre dalla Parola di Dio: “La nostra vita è nascosta in Dio.

E chi trova Dio trova la Vita.

E allora capiamo anche perché gli uomini perdono la vita.

Perdono la vita perché non si occupano di Dio.

Perché non cercano Dio.

E non cercando Dio, perdono la Luce.

E perdendo la Luce restano vittime dei dubbi.

E allora vengono straziati.

L’uomo  è fatto per la Luce, è fatto per la Verità, per la sicurezza, per la certezza e la libertà sta solo in questa grande sicurezza.

L’uomo non è fatto per il timore, non è fatto per la paura.

L’uomo non è fatto per vivere tormentato, ossessionato dai dubbi.

Perché allora nell’animo dell’uomo sorgono dubbi?

E quale è la fonte di questi dubbi?

E poiché nulla accade senza significato, quale è il significato di questi dubbi?

Dubbi di cui l’uomo è vittima.

L’uomo non può liberersi dai dubbi.

L’uomo resta schiacciato dai dubbi.

E questi dubbi gli portano via tutto.

Prima di tutto la fede.

Ma poi gli portano via la capacità di pensare, di volere, di vivere.

Il dubbio porta via tutto e questi giudei erano nel dubbio: “Se tu sei il Cristo...”.

Il dubbio c’era.

E ogni uomo è in questo dubbio.

Il dubbio principale è: “Dio c’è o è una fantasia nostra?”.

È il dubbio principale.

È il dubbio che carica l’inferno di tormenti.

Dopo aver caricato ogni uomo di tormento.

L’uomo subisce il dubbio ma non è libero di sciogliere i suoi dubbi, l’uomo li subisce.

L’uomo fatto per la sicurezza, per la verità, per la conoscenza, per spaziare libero nella pace di Dio, subisce questa pena del dubbio.

Perché?

Il dubbio trova la sua sorgente in una realtà diversa da quella nella quale crediamo.

Il dubbio nasce da due cose.

Due cose che non si conciliano.

Anche questo ci testimonia che l’uomo è fatto per giustificare, per conciliare, per unificare.

L’uomo è fatto per unificare.

E quando l’uomo si trova di fronte a due cose che non riesce a unificare, giustificare, nasce il dubbio.

E inizia lo strazio, il tormento.
Il tormento non è tanto dato da una realtà diversa, è dato dall’impossibilità di capire il significato di questa realtà diversa.

Di giustificare questa realtà diversa.

Allora il tormento dell’uomo è dato dalla sua passione per l’unità.

Il tormento è dato dalla passione d’assoluto che l’uomo porta in sé.

Il tormento è dato da Dio.

Ma da Dio non conosciuto.

Da Dio non compreso.

Questo è il tormento di ogni uomo.

La fonte dei dubbi, è data dalla presenza di una realtà diversa (che s’impone) da quella nella quale uno crede.

Sostanzialmente l’uomo si trova di fronte a due grandi realtà che non può ignorare.

La prima grande realtà è Dio, il Creatore di tutte le cose, il creatore di ognuno di noi personalmente e il creatore di tutto l’universo.

Creatore del tempo, dello spazio, il Creatore di tutto.

Creatore sopratutto del nostro destino eterno.

Questa è la grande vera realtà che nessun uomo può ignorare.

È difficile conoscerla ma non si può ignorare...perché non ci siamo fatti noi da soli, non siamo noi a fare le cose.

Non siamo sopratutto noi a fare il tempo perché noi vorremmo che il tempo non passasse.

Noi siamo creature che subiscono l’opera creatrice di un altro essere.

E quest’opera creatrice è la presenza di uno che sta parlando con noi.

E quando uno parla con noi, noi non lo possiamo ignorare.

Non sappiamo chi è, è difficile sapere chi è.

Quante volte sentiamo persone che vivono insieme da cinquant’anni che confessano non sapere dire chi sia il compagno o la compagna con cui hanno vissuto mezzo secolo insieme.

Noi ci ignoriamo.

La grande caratteristica dell’uomo è ignorare, non sapere.

Ma proprio questa sofferenza, questa pena, questa tristezza del non sapere è la grande testimonianza che l’uomo porta in sé la sua vocazione, il suo destino.

L’uomo è stato creato, destinato per sapere, per conoscere.

E la grande offesa che l’uomo può fare a Dio e al suo destino è quella di disprezzare questa conoscenza.

Peccato contro lo Spirito.

È quello di rifiutare la primogenitura, quest’interesse per conoscere Dio al di sopra di tutto.

Abbiamo visto in questi giorni la grande colpa di Esaù nei confronti di Giacobbe.

E quindi la grande offesa che ne è derivata dal problema della primogenitura.

Quando Esaù ritorna affamato dalla caccia e vede che suo fratello gemello sta mangiando un piatto di lenticchie, chiede quel piatto di lenticchie al fratello e Giacobbe che aveva il chiodo della primogenitura gli dice: “Si te lo do, se tu mi concedi il diritto della primogenitura”.

Abbiamo quindi Giacobbe, disposto a cedere il suo cibo, la sua ricchezza materiale per il diritto alla primogenitura che arriverà chissa quando.

Vuol dire che gli stava molto a cuore e gli interessava.

Ma quello che qui ha deciso tutto è stata la risposta di Esaù: “Che importa a me il diritto della primogenitura, se adesso sto morendo di fame?”.

Che importa a me!

È lì che si è giocato tutto il suo destino.

Ed è lì che ogni uomo si gioca tutto il suo destino!

“Che importa a noi la conoscenza di Dio?”.

“Che importa a noi il sapere le cose eterne se qui stiamo morendo di fame?”.

“Quello che importa a noi è assicurarci qui il piatto di lenticchie”.

E quanti di noi rinunciano all’interesse per Dio, al diritto alla sapienza, alla conoscenza di Dio in nome di un piatto di lenticchie, di un posto di lavoro, in nome di un guadagno, di una paga, in nome del denaro?

E poi succede che in nome di questo denaro, il mondo conduce questi uomini là, dove, come e quando vuole, e questi uomini patiscono terribilmente perché sono condotti in catene (le galene romane), perché hanno rinunciato al diritto di conoscere Dio.

Questo è il vero diritto di ogni uomo.

Inalienabile.

Per cui se l’uomo lo vende, l’uomo diventa peccatore e peccatore cpontro lo Spirito santo.

Esaù si vedrà poi dopo portare via la sua primogenitura con la menzogna e l’offesa.

Ma la colpa di tutto questo è stata a monte, là in quel punto in cui lui disse: “Che cosa importa a me della primogenitura, se in questo momento sto morendo di fame?”.

Per cui il problema della vita è un problema di conflittualità tra la nostra vita nel mondo e la nostra vita nel cielo.

E troviamo Gesù a rimediare quell’errore di Esaù: “Non preoccupatevi del mangiare e del vestire”, quindi non preoccupatevi del piatto di lenticchie.

“Cercate prima di tutto il Regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato in sovvrapiù”.

Soltanto cercando prima di tutto la conoscenza di Dio, lì l’uomo trova la liberazione da ogni suo dubbio.

L’anima dell’uomo è soffocata e triste proprio perché l’uomo diventa schiavo dei dubbi.

Qui i giudei chiedono: “Fino a quando terrai tu sospeso il nostro animo?”.

È un invocazione.

Chiedono a Gesù che li liberi dal dubbio.

Essendo una invocazione sembra una cosa buona.

D’altronde la liberazione dai dubbi ci può venire soltanto da Dio.

Qui stanno invocando.

Ma anche qui c’è un dubbio: stanno invocando perché hanno fede o stanno invocando per sottrarsi all’impegno della fede?

Era un dubbio, grosso come un macigno.

È confortato questo dubbio da Gesù stesso.

E Gesù non scioglierà questo dubbio.

Ma allora quest’invocare a Gesù che ci liberi, che ci dia un segno affinché noi possiamo credere, è fede o è mancanza di fede?

È desiderio di Luce o è sottrazione all’impegno a cercare la Luce?

Già si può intuire quale è la risposta.....

L’uomo non è libero dai dubbi perché subisce due presenze.

La prima presenza è quella di Dio Creatore che nessuno può ignorare.

Ognuno porta Dio dentro di sé, perché Dio abita dentro l’uomo.

L’uomo è tempio di Dio, l’uomo è portatore dell’assoluto, dell’eterno, dell’infinito e non lo può ignorare.

Non lo può ignorare perché Dio gli sta parlando tutti i giorni.

Non possiamo ignorare una persona che parli con noi tutti i giorni.

Ma c’è un altra presenza.

L’altra presenza è la parola di questo Dio che è presente in noi, che parla con noi.

La Parola.

Le sue parole.

Tutta la creazione s’impone a noi.

Tutta la creazione sono parlole di Dio.

Ma le parole di Dio non sono Dio.

Noi abbiamo la realtà: Dio e abbiamo un altra realtà: le parole di Dio, i segni di Dio, la creazione di Dio, i fatti di Dio.

Ora, i fatti, la creazione, le parole, sono segni (!), non sono Dio.

L’albero è creazione di Dio, creatura di Dio, è un segno di Dio, non è Dio.

Il sole, le stelle, l’acqua, gli uomini, le donne sono tutti segni di Dio.

Segni ma non Dio.

Gli angeli stessi non sono Dio e se qualcuno ponesse un angelo al posto di Dio sarebbe in colpa e l’angelo si rifiuterebbe.

“Io sono una creatura” dice l’angelo a Giovanni quando Giovanni tenta d’inginocchiarsi di fronte a lui per la grande rivelazione.

“Guardati bene dal farlo, io sono creatura”.

L’angelo è creatura.

L’angelo quindi è un segno, è un segno di Dio e non è Dio.

Noi siamo tenuti a non confondere mai il segno della persona con la persona.

L’uomo si trova di fronte a queste due grandi realtà: l’uomo creatore di tutte le cose, essere assoluto, persona che parla con noi e le sue parole.

Di fronte a due realtà, l’uomo patisce, si crea una tensione.

Perché l’uomo subisce la passione d’assoluto.

La passione d’assoluto lo spinge a unificare tutto in una unità.

Ecco, Dio parlando all’uomo, forma nell’uomo questa tensione.

Questo desiderio di capire le parole che gli dice.

Capire vuol dire raccogliere, giustificare, unificare.

Unificare tutto in Dio.

Se l’uomo raccoglie, unifica, l’uomo non subisce mica dubbi, anzi, tutto ciò che raccoglie lo inserisce sempre di più nella conoscenza di Dio che è conoscenza di verità, quindi una maggiore easpansione nella libertà e nella pace e nella sicurezza di Dio.

L’uomo nella misura in cui raccoglie, entra nella pace, nella sicurezza di Dio.

San Paolo dice: “Se oggi ascoltate la sua parola, affrettatevi ad entrare nella sua Pace”.

Cosa vuol dire questo affrettarsi ad entrare nella sua pace?
Vuol dire non subire lo strazio dei dubbi.

Quindi se oggi voi udite, vedete un segno di Dio affrettatevi a cercarte di comprenderlo nel pensiero di Dio, ad entrare nella sua pace.

“Per non essere costretti a vagare nel deserto fino all’estinzione di tutta la generazione”.

Ecco lo strazio del deserto.

Quindi la fonte del dubbio, dei dubbi nasce qui.

In quanto l’uomo è in difetto nel raccogliere in Dio.

Tutti i segni di Dio non riportati, giustificati, intelletti in Dio, diventano fonte del dubbio nell’uomo.

Un dubbio che strazia e che s’impone, da cui l’uomo non è libero di uscirne.

I dubbi pesano, perché l’uomo è dominato dalla passione dell’unità, dalla passione dell’assoluto.

Da solo l’uomo non può uscire dai dubbi.

Allora dobbiamo dire che la fonte dei dubbi è un omissione.

È un difetto nell’uomo che non porta a compimento l’opera che Dio gli presenta.

Dio parlando con l’uomo, invita l’uomo a portare a compimento un opera: intendere il significato di ciò che Lui dice.

L’uomo che non si affretta ad entrare nella pace di Dio commette una omissione.

Abbiamo un difetto.

Qui capiamo che l’io è fonte del dubbio.

Il nostro io naturale nasce da un difetto, non è altro che un difetto.

Il nostro io nasce dal “no”, è ribellione.

Il “sì” all’opera di Dio è opera di Dio, è grazia di Dio, è figlio di Dio.

L’uomo può dire “sì” a Dio solo con Dio, e per grazia di Dio.

Il “no” è pura opera dell’uomo, quindi è pura opera dell’io.

Il “no” è questo difetto.

Dio invita l’uomo al “pranzo di nozze” e l’uomo risponde: “Io ho i buoi, i campi, la moglie abbimi per giustificato”.

Ecco il difetto.

Il “NO”.

Il sottrarsi alla parola di Dio.

La parola di Dio è sempre una proposta.

È l’Infinito che si avvicina al nostro finito, per darci l’occasione, la possibilità di entrare nell’infinito.

L’io dell’uomo si rivela qui.

Si rivela soltanto in questo “no”.

In questo rifiuto.
Il dubbio che schiaccia gli uomini è effetto del rifiuto dell’uomo.

E abbiamo detto molte volte che gli uomini stanno morendo di e in questi rifiuti.       

Ogni rifiuto dell’uomo, l’uomo se lo porta addosso.

E a un certo momento è tanto grande il carico di questi rifiuti che l’uomo resta soffocato, non respira più.

Muore nei suoi rifiuti.

Un segno dei nostri tempi.

Tutto questo ci fa capire che l’uomo ha la possibilità di rifiutare, quindi di caricarsi di dubbi ma non ha la possibilità di uscire dal dubbio.

Però il dubbio in quanto c’è, deve avere un significato, deve avere un significato, rientra nel disegno, nell’opera di Dio.

E noi dobbiamo sempre cercare il significato di tutte le cose.

Anche dei dubbi.

Che significato ha questa pena, questo tormento dei dubbi?

E questo invocare di uomini alla divinità affinché li liberi dai dubbi.

Abbiamo detto che c’è un dubbio anche in questo invocare: è espressione di fede o è espressione di disimpegno all’impegno della fede?

Vi lascio il punto interrogativo.

Tutto questo per farci capire che come il luogo della sapienza, come il tempo della sapienza sono pura opera di Dio e vengono unicamente da Dio e si trovano soltanto in Dio, così anche la soluzione, quindi la liberazione dal dubbio, viene solo da Dio, serve per farci capire che anche quei dubbi che pesano sull’uomo (per colpa dell’uomo), hanno questa finalità: far capire all’uomo che soltanto in Dio e da Dio, l’uomo può trovare la liberazione dai suoi dubbi.

Ma allora hanno ragione questi giudei, è motivo di fede invocare a Dio la risposta, la soluzione al dubbio: “Fino a quando ci porterai via la vita?” “Se tu ci sei dacci un segno”, “Dicci chi sei”.

Il dubbio ha la funzione di farci identificare il luogo in cui noi troviamo la liberazione da questi dubbi.

E qui entriamo nel tema di questa sera: il dilemma di Agostino.

Qui stanno invocando la liberazione dal dubbio: “Fino a quando?”.

E Sant’Agostino all’inizio delle sue confessioni (primo capitolo, primo libro) si chiede cosa deve mettere prima di tutto.

Abbiamo visto per gli argomenti precedenti che il vero pregare non sta nel far servire Dio a noi.

Dio non è servitore nostro, siamo noi servi di Dio.

Il nostro problema si risolve sottomettendoci noi a Dio.

Cercando le cose in Dio e da Dio.

Il problema non è pregare Dio perché realizzi le nostre finalità che possono essere anche finalità religiose, di salute, di famiglia, di sentimenti.

Il problema non è neppure che Dio ci dia la pace, il lavoro, che ci faccia stare tranquilli.

Non è questo nel modo più assoluto.

Il problema con Dio è quello di cercare di conoscere qual’è la sua intenzione, il suo pensiero, la sua volontà.

Questo è il problema fondamentale.

Abbiamo anche visto che il problema fondamentale (vedere il volto di Dio) non sta nel determinare nè il luogo, nè il tempo.

Il problema di Dio non dipende dall’uomo.

Il problema del luogo che è poi associato al problema del tempo non ci libera dall’idea che siamo noi a dover fare, siamo noi a recarci in quel luogo in cui Dio è disponibile.

Abbiamo visto che Dio non è disponibile fuori e quindi non dobbiamo cercare di far servire Dio ai nostri problemi esteriori o a cercare Dio nell’esterno.

Dio è disponibile nell’interno ma l’entrare non è opera nostra, non siamo noi che dobbiamo “fare”.

E l’entrare nel Tempio di Dio, sotto il portico di Salomone, non è tempo dell’uomo, è tempo di Dio e viene da Dio.

Quindi escluso tutto questo campo ed individuato che il termione estremo è questo: ricevere da Dio, avendo capito che tutto viene da Dio, anche la soluzione di ogni dubbio, cosa dobbiamo mettere prima di tutto?

Invocare Dio o conoscere Dio.

Devo prima invocare o devo prima conoscere?

E Agostino dice: “Se invoco prima di conoscere, io rischio di invocare uno che non conosco”.

E quindi d’invocare un altro.

E già li si lascia intuire...

Domenico dice che non risponde chiaramente...

Però s’intuisce....dice: “Se io non conosco, corro il rischio di invocare, di pregare, di supplicare un essere diverso da Dio”.

In-vocare, chiamare dentro.

Il vero invocare non è dire delle parole.

“Io posso invocare uno che non conosco”, cosa vuol dire?

Vuol dire che io posso pensare ad un altro da Dio.

E se penso un altro da Dio, io sto invocando, pregando un altro da Dio.

Il fatto essenziale sta nel pensiero allora, nell’oggetto del nostro pensiero.

Teniamo presente che noi possiamo fare oggetto del nostro pensiero solo ciò che conosciamo.

Qui balza evidente quello che va messo prima di tutto.

È vero che Gesù dice che è necessario pregare sempre, ed è altrettanto vero che Gesù dice: “Chiedete ed otterrete”, invocare è chiedere.

Però alla fine dei tempi, nella conclusione di tutto, noi troviamo due grandi categorie di anime (Dio è un artista), abbiamo anime che invocano Dio: “Signore aprici” e alle quali la porta non viene aperta e anime che invece sono entrate.

E Gesù nella sua parabola dice: intelligenza-non intelligenza.

Quelle che sono entrate sono quelle che avevano interesse per conoscere.

Quelle che non sono entrate sono quelle che hanno terminato invocando.

Il che vuol dire che si può pregare e invocare tutta la vita e venirsi a trovare di fronte a una porta chiusa ed è parola di Dio anche questa.

E se è parola di Dio è da tenere molto presente.

E allora al dilemma di Sant’Agostino: “Devo prima invocare o conoscere?”, la troviamo in Gesù la risposta.

L’invocare non è un problema di fede, è un difetto di fede, è una sottrazione all’impegno della fede.

La fede impegna a capire, a conoscere e quando tu invochi Dio che si faccia conoscere e tu non t’impegni a conoscere, quella non è fede.

Quello è disimpegno dalla fede.

Ecco allora quello che va messo prima di tutto: il capire.

La fede t’impegna a capire.

T’impegna a conoscere quello che Dio ti presenta.

Affrettati a entrare nella sua pace, affrettati a capire.

Tutti gli uomini sono appassionati di Dio e tutti gli uomini, inconsciamente stanno cercando l’assoluto, stanno cercando quindi la presenza di Dio.

Ma il grande errore degli uomini è che cercano la presenza di Dio sentimentalmente.

Vogliono sperimentare la presenza di Dio come si esperimenta la presenza delle creature, dei segni di Dio.

Ma tutte le creature, tutti i segni di Dio, s’impongono sull’uomo e tutto ciò che s’impone sull’uomo non può essere conosciuto.

Dio s’impone con la sua parola e con la sua presenza stessa ma quella noi non possiamo conoscerla.

Alla conoscenza di Dio si arriva soltanto con la conoscenza.

Quindi non chiediamo e non invochiamo che Dio ci riveli il suo volto, cnhe Dio ci manifesti la sua presenza.

“Fino a quando?”, è un invocazione ma questa invocazione conduce di fronte a una porta chiusa.

Non si arriva a Dio invocando che Dio ci manifesti la sua presenza, ci faccia vedere il suo volto.

È vero che ci sono preghiere (anche nei salmi) in cui si dice: “Signore non mi darò pace finché non vedrò il tuo volto” ma qui è l’uomo che si tormenta e si preoccupa di conoscere Dio.

La presenza di Dio non si trova con il sentimento, si trova soltanto conoscendo come Dio è presente a noi.

Il problema non è quindi il tempo dell’uomo, non è tendere a quel punto in cui Dio finalmente ci farà vedere la sua presenza.

La sua presenza è già.

Dio è già presente in noi.

Nessuno lo può smentire, Dio è presente in noi.

Siamo noi in difetto.

Il problema di trovare la presenza di Dio che è già in noi, è quello di capire, di conoscere come Dio è presente in noi senza di noi.

Questo è l’impegno della fede.

Questa è l’opera dello Spirito Santo.

Questo “come”, soltanto da Dio Padre, per mezzo del Figlio (conoscenza di Dio), noi possiamo ottenerlo.

Ecco quello che bisogna mettere prima di tutto: non l’invocare Dio ma il conoscere Dio, sapendo che Dio è già presente e se non lo vediamo, se restiamo nel dubbio circa la sua presenza è perché noi non ci siamo sufficentemente impegnati a conoscere Dio per quello che Dio è.


GV 10 VS 24 - Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».


Terzo tema - Il principio della Sapienza.


Argomenti: La sorgente del dubbio. Le realtà diverse da Dio. La fede è impegno a capire. Il dilemma di Agostino. Il dilemma di Cristo. Distinguere l’opera di Dio dall’opera dell’uomo. Il parlare aperto di Cristo. Identificare Dio e identificare Cristo. Identificare è fare un rapporto. La crisi d’identità. La creazione sollecita l’uomo a dire chi è Dio. “Chi sono Io?”. Dare una identità alle cose. Il crollo delle conoscenze dell’io. Il principio dell’identità. L’identificazione è un rapporto con il fine.

 


 

14-15/ Luglio /1991


Oggi ci dobbiamo soffermare sulla terza e ultima parte di questo versetto: “Se tu sei Cristo, dillo a noi apertamente”.

Siamo passati dal luogo della sapienza, al tempo della sapienza, al perché della sapienza e ci troviamo oggi sotto questa arcata: il principio della sapienza che è il principio della identificazione di Cristo, dell’identificazione di Dio: “Se tu sei il Cristo dillo a noi apertamente”.

È l’interrogazione di quei giudei ma è l’interrogazione profonda che è nell’animo di ogni uomo.

Abbiamo visto che l’uomo è dominato dai dubbi.

Tutta la nostra vita è caratterizzata da questa macchia: il dubbio.

L’uomo non trova pace perché non riesce a trovare un luogo di certezza, di sicurezza.

Pur avendone terribilmente bisogno.

“Se io potessi anche solo toccare un lembo del suo vestito”.

Toccare qualche cosa di Dio.

Essere sicuri di Dio.

E ci siamo chiesti perché l’uomo patisce per questi dubbi e queste incertezze.
La sorgente del dubbio, è data dalla presenza di realtà diverse.

Però l’uomo non avrebbe dubbi, se in lui non ci fosse una presenza che gli facesse notare la realtà diversa.

Diversa da che cosa?

La realtà che domina l’uomo e domina ogni sua decisione, ogni sua scelta è Dio, è l’Assoluto, l’eterno, l’infinito e tutto ciò che l’uomo vede e subisce è sempre in relazione a questo assoluto, infinito ed eterno che l’uomo porta con sé e che l’uomo non può ignorare.

E proprio perché non può ignorarlo, trovarsi di fronte a ciò che non è infinito, che non è eterno, che non è assoluto pone il dubbio nell’uomo.

Il dubbio nasce per una realtà diversa da quella che noi abbiamo presente.

Noi crediamo una cosa, poi costatiamo una realtà diversa e nasce il dubbio su ciò che crediamo.

Il dubbio nasce dalla presenza di due termini.

Ci siamo anche chiesti perché ci sia una realtà diversa.

C’è una realtà diversa da Dio.

Le creature sono una realtà diversa da Dio.

Ogni uomo è una realtà diversa da Dio.

Ed è questa che fa sorgere in noi il dubbio.

La materia certamente è una realtà diversa da Dio.

Forse Dio crea tutte le cose per tormentarci?

Per farci sorgere i dubbi?

Per prostrarci nella vanità del tutto?

Perché la conclusione di tutti questi dubbi è quel senso di vanità che grava su di noi e in cui la maggioranza degli uomini muore.

Nessuno costringe Dio a darci l’esistenza, nessuno costringe Dio a creare.

Se noi esistiamo siamo creature liberamente volute da Dio.

Dio non è geloso di noi.

Quindi in quanto siamo voluti da Dio, tutto contribuisce alla nostra esistenza, alla nostra vita, al nostro destino.

E bisogna identificarlo questo destino.

Il nostro destino è Dio stesso.

Dio non ci ha fatti per vivere qui sulla terra qualche anno e poi scomparire.

Questa terra è un tratto di strada di un lungo cammino che Dio creandoci ha iniziato in noi e che vuole portare a compimento.

E il compimento sta nel giungere proprio a quella sicurezza a quella certezza che è la conoscenza della Verità, in cui finalmente lì, noi troviamo la nostra pace.

E allora ci siamo chiesti che cosa sono tutte queste realtà diverse da Dio, per cui noi subiamo il dubbio e il dubbio stesso su Dio.

Queste realtà diverse sono per sollecitare noi ad approfondire e conoscere più Dio.

Sono delle sollecitazioni.

È vero che ci turbano ma, se non ci turbassero non sarebbero sollecitazioni.

Ci turbano proprio perché ci sollecitano ad approfondire la conoscenza di Dio.

Tutta la creazione è Dio che c’interroga, perché se noi interroghiamo è perché a fondo noi siamo interrogati.

“Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente”.

È una interrogazione che riflette l’interrogazione di ogni uomo, di ogni anima.

Noi andiamo alla ricerca di una sicurezza, abbiamo bisogno di capire se effettivamente Cristo è Dio, se Cristo è il Messia.

Ma più ancora abbiamo la necessità di raggiungere la certezza se Dio ci sia o non ci sia.

Dio è soltanto una proiezione umana, un pensiero nostro, oppure è la realtà che domina veramente in tutto.

Dio è Colui che regna o il regno di Dio è soltanto una fantasia nostra, un sogno nostro, una idea nostra?

Ecco perché dico che questa interrogazione dei giudei è l’interrogazione profonda di ogni uomo.

Loro dicono: “Dillo a noi apertamente”.

Ma già subito di fronte a questa interrogazione sorge in noi quel dubbio a cui avevamo accennato domenica scorsa.

Questa interrogazione dei giudei è una espressione di fede o è una espressione di mancanza di fede?

Molte volte noi chiamiamo fede quello che è esattamente il rovescio della fede.

La fede è un impegno.

Chi crede s’impegna a capire.

Chi crede veramente non cerca mica delle prove, non cerca delle testimonianze.

La fede è un impegno a capire.

Domenica scorsa abbiamo visto il dilemma di Agostino: “Cosa devo mettere prima di tutto? Invocare o conoscere?”.

Ed abbiamo visto che tanta invocazione umana è un rifiuto ad impegnarsi al vero problema della fede, quindi non è espressione di fede.

È comodo per l’uomo invocare.

È terribilmente difficile per l’uomo impegnarsi.

È facile dire a Dio di farsi conoscere, è terribilmente difficile per l’uomo impegnarsi a conoscere se Dio c’è e chi è Dio.

Allora la fede ci fa invocare o ci fa impegnare?

Se la fede ci fa impegnare, fintanto che invochiamo noi non partecipiamo della fede, anzi noi ci stiamo sottraendo alla fede.

Infatti Gesù dice: “Non chi dice Signore, Signore...”.

E nella conclusione dei tempi, noi ci troviamo con questa grande scena di vergini con la fede, incontro allo sposo che stanno invocando ad una porta chiusa che si rifiuta di aprirsi loro e di conoscerle.

Invece le altre erano intelligenti, avevano interesse per capire e quelle entrano.

Agostino si chiedeva cosa doveva mettere prima di tutto:  di fronte a creature che invocano chiuse fuori e creature intelligenti che entrano è evidente la risposta di Dio.

Oggi di fronte a questa interrogazione dei giudei che è interrogazione dell’uomo: “Se tu sei Cristo dillo a noi apertamente”, il tema è il dilemma di Cristo.

All’interrogazione degli uomini, Cristo risponde con un dilemma.

Quando i giudei lo interrogano: “Con quale autorità fai queste cose?”

L’uomo ha sempre bisogni di autorità.

L’uomo ha bisogno di autorità perché ha bisogno di segni.

Ma l’uomo ha bisogno di autorità e segni perché ha bisogno di appoggiarsi.

L’uomo ha bisogno di stampelle, quando non s’impegna personalmente.

L’uomo quando è dominato da un amore non va mica a cercare l’autorità, anzi, si ribella a tutte le autorità.

E così l’uomo quando ha una fede vera, non va mica a cercare l’appoggio dell’autorità, lui s’impegna personalmente, è lui che vuole toccare con mano, è lui che vuole costatare.

Nei nostri interessi principali noi non demandiamo ad altri.

Sì, c’è stato Erode che ha mandato i Re magi ma era un interesse fasullo il suo, non c’era autenticità.

Comunque anche qui interrogano Gesù: “Con quale autorità fai queste cose?”.

“Chi ti ha autorizzato a parlare?”

Evidentemente non andavano d’accordo e non gli avevano rilasciato il “certificato”.

E Lui risponde con un dilemma, abbiamo detto il dilemma di Cristo: “Vi farò anch’io una interrogazione...il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini?”.

Cioè era opera di Dio o era opera dell’uomo?

I giudei rispondono di non saperlo e allora Gesù dice: “Neppure Io vi dico con quale autorità faccio queste cose”.

Li ha posti di fronte a un dilemma.

Il dilemma era: “Opera di Dio o opera dell’uomo?”.

Cioè c’era la mano di Dio nel battesimo di Giovanni o no? Era una fantasia dell’uomo?

Era un fissato su Dio Giovanni Battista?

Oppure era veramente lo Spirito di Dio che l’aveva mandato?

“Noi non lo sappiamo”...lì c’è la colpa.

Il non sapere riconoscere quello che viene da Dio, il non saperlo distinguere da quella che è opera dell’uomo, lì sta la grande colpa.

È come confondere l’opera o la parola del proprio padre con l’opera o la parola di uno qualunque.

Tu, creatura di Dio non sai distinguere ciò che è da Dio da ciò che non è da Dio?

E Gesù a questo punto dice: “Io non vi dico niente!”.

E qui capiamo perché Dio non dice niente.

Perché Dio parla in parabole.

Perché Dio non risponde chiaramente: “Dillo a noi apertamente”.

Verrà un momento in cui Lui parlerà apertamente e non più in parabole.

Ma qui capiamo perché Dio non parla apertamente.

Dio è tutto un parlare aperto!

Non parla apertamente perché siamo noi che siamo stolti da non riuscire a vedere il suo parlare aperto.

Se noi non sappiamo riconoscere quello che è di Dio da quello che non è di Dio, Dio si rifiuta nel modo più assoluto di parlare apertamente.

Perché?

Perché non siamo capaci a sopportarlo.

Quando Lui dirà apertamente: “Io sono figlio di Dio” si stracceranno i vestiti.

Perché non sono capaci a sopportarlo.

Ecco perché non parla apertamente.

Tutto è regno di Dio ed è tutto un parlare aperto.

Siamo noi che non impegnandoci a riconoscere quello che è di Dio...

Gesù dice: “Se non mi avrete riconosciuto tra gli uomini, anch’Io non vi riconoscerò davanti al Padre mio”.

In questo sta la ragione per cui Lui non vuole dirci niente, il che vuol dire che non parla aperto.

“Se non mi riconoscete tra gli uomini”, cosa vuol dire?

“Se non mi sapete identificare, se mi confondete”.

Chi confonde l’opera del caso, della natura, dell’uomo con l’opera di Dio non è in grado di ascoltare la parola aperta di Cristo, in cui Dio si rivela, si rende presente e dice: “Sono Io che parlo con te”.

La meta è questa, giungere a quel punto in cui l’anima costata, tocca con mano: “Sono Io che parlo con te” e parlando con noi ci fa essere.

È Dio che parlando con noi ci fa essere.

All’inizio il problema era se siamo noi che dobbiamo chiedere a Cristo chi Lui è, o siamo noi che dobbiamo riconoscere chi Lui è?

È Lui che deve dire a noi chi Lui è o siamo noi che dobbiamo dire a Lui chi Lui è?

Lui stesso c’interroga e dice: “Chi dite voi che Io sono?”.

Siccome in Cristo abbiamo la conclusione di tutta l’opera di Dio, vuol dire che tutta la creazione, tutta l’opera di Dio, ha questo scopo: far dire a noi chi è Dio e chi è il Cristo.

Non siamo noi che dobbiamo interrogare Cristo chiedendogli chi Lui è.

È Cristo che chiede a noi di dire apertamente chi Lui è.

L’uomo è chiamato a identificare Cristo.

Un altra arcata di questo portico di Salomone, è il principio della Sapienza.

L’identificazione di Dio e di Cristo è il principio della Sapienza.

Il non identificare Dio e Cristo è il principio di stoltezza.

Noi in continuazione abbiamo bisogno di identificare.

L’identificazione è un problema essenziale nella vita dell’uomo.

Quando chiediamo: “Chi è?”, noi andiamo sempre alla ricerca del rapporto tra la persona che non conosciamo con qualcuno o qualcosa che noi conosciamo.

Identificare è sempre fare un rapporto tra ciò che conosciamo e ciò che non conosciamo.

In modo da potere assorbire quello che non conosciamo in quello che conosciamo.

Questo vuol dire identificare.

Identificare è rapportare lo sconosciuto con un termine che è presente a noi.

Noi siamo continuamente sollecitati ad identificare cose e persone.

Qui chiedendo: “Se Tu sei il Cristo diccelo apertamente”, stanno chiedendo una identità.

La prima domanda che fanno a Giovanni Battista: “Chi sei?”.

Vogliono identificarlo.

Evidentemente non era sufficiente che Lui dicesse: “Io sono il figlio di Zaccaria”, andavano alla ricerca di chi fosse, in relazione al loro problema principale.

Il loro problema principale era il Messia.

E Giovanni dice di non essere il Messia.

“Sei un profeta?”, “No, non sono un profeta”.

“E chi sei?”.

Ecco il problema di identificare.

Ma perché l’uomo sente il bisogno dell’identità?

Notate che questo bisogno d’identità, è il bisogno di identificare anche noi stessi.

L’uomo ha bisogno d’identificare se stesso.

Ogni uomo a un certo momento nella vita si chiede chi è.

E non sa dare una risposta.

Una delle crisi principali di questi nostri tempi è proprio la crisi d’identità.

A un certo momento non sappiamo più chi siamo.

Ma anche gli istituti religiosi entrano in crisi d’identità.

Quanti missionari sono entrati in crisi d’identità dopo il concilio?

“E noi allora cosa ci stiamo a fare se tutti si salvano?”.

Come mai c’è questa crisi d’identità che grava su di noi?

E come mai noi abbiamo bisogno di rispondere a questo richiamo? “Chi è?”.

La persona che incontriamo per la prima volta non sappiamo mai chi è.

Quando la incontriamo la seconda volta già la possiamo identificare un poco: “È quella che ho incontrato ieri”.

Noi le persone le identifichiamo così.

Sono identificazioni fasulle ma noi abbiamo bisogno d’identificare.

Dobbiamo andare a fondo e cercare di capire perché l’uomo sia fatto così.

È Dio che l’ha fatto così.

E perché Dio ha fatto l’uomo con questo bisogno d’identificare?

L’identificazione è un rapporto.

Ma un rapporto presuppone sempre due termini.

Rapporto tra cosa?

Rapporto tra ciò che conosciamo, quindi che abbiamo presente in noi e ciò che non conosciamo.

Tutta l’opera creatrice di Dio porta con sé questi due grandi termini nell’uomo.

L’uomo porta in sé la presenza di Dio che non può ignorare, Dio creatore, però non sa chi sia, non lo conosce, però non lo può ignorare.

E se lo ignora è in colpa, in peccato.

E poi l’uomo per l’opera creatrice di Dio ha presente tutta la creazione, tutte le creature che vede, tocca e sperimenta senza capirle.

Il primo termine è Dio creatore che l’uomo ha presente ma che non conosce.

Il secondo termine sono le creature che ha presente, che conosce ma di cui non riesce a capire il significato.

Quando abbiamo due termini già nasce il dubbio.

Il dubbio su Dio stesso e l’inquietudine dell’uomo che non sa unificare le due cose.

Tutta quest’opera creatrice di Dio, è Dio che sollecita l’uomo a dire chi è Dio.

Dal filo d’erba, alle stelle, agli avvenimenti, alle tragedie, al nascere, al morire c’è una voce sola, un verbo solo di Dio Creatore che dice ad ogni uomo: “Chi sono Io?”.

E ce lo dirà fino all’ultimo istante, anche nel momento della morte, in quel momento in cui Lui ci toglie assolutamente tutto e tutti i punti fissi di riferimento con cui noi abbiamo identificato tutte le cose.

Perché toglierà anche ai genitori la conoscenza dei loro figli.

Padre e madre conoscono i loro figli in relazione a se stessi e anche tutti questi punti fissi di riferimento saranno tolti.

E Dio toglie tutto all’uomo per dirli:”Chi sono Io?”.

All’ultimo noi resteremo di fronte a questa unica parola di Dio: “Chi sono Io?”.

Ogni uomo muore di fronte a questa unica parola di Dio: “Chi sono Io?”.

Ma se è così, allora non siamo noi che dobbiamo interrogare Dio e non chiedere a Lui chi è, perché è Lui che interroga noi: “Chi sono Io?”.

L’uomo lo sappia o non lo sappia, appartiene al regno di Dio e sente questo bisogno di dare una identità alle cose.

Dare una identità alle cose vuol sempre dire rapportarle e quando si rapporta si tende a restare con uno solo, cioè a riferire tutto a un unico punto di riferimento.

E già questo bisogno d’identità rientra in quella che è la fame d’assoluto che domina la vita di ogni uomo.

L’uomo ha bisogno d’identificare, perché ha bisogno di rapportare sempre tutto a un punto solo, cioè a restare con uno solo.

È vero che gli uomini s’identificano con dei punti di riferimento fasulli che a un certo momento crollano, per cui tutte le nostre conoscenze le vedremo crollare.

Anche tutto quello su cui noi avremo giurato di più sicuro e valido, noi lo vedremo crollare.

“Vedrete l’abominazione posta là nei luoghi santi”.

I terremoti di cui il Signore parla è proprio questo crollare delle nostre sicurezze.

Perché?

Perché sono tutte le nostre identità che crollano.

E perché crollano?

Crollano perché sono tutte identità che noi abbiamo definito rapportandole a dei punti fissi di riferimento che non sono il vero punto fisso di riferimento.

Che il tale sia nipote della tale o che lavori nel tal posto o venga dal tal paese, sono tutte conoscenze fasulle.

Perché se l’interrogazione fondamentale che c’è in tutta la creazione è Dio che dice a noi: “Chi sono Io?”, evidentemente tutte quelle conoscenze che portiamo in noi e di cui viviamo e che non sono conoscenze rapportate all’unico punto fisso di riferimento che è Dio, sono false.

In Dio abbiamo il vero punto d’identificazione.

Lì abbiamo il vero principio d’identità.

Tutte le altre conoscenze, sono destinate a crollare, per opera stessa di Dio.

E noi stessi crolleremo in esse se non ci sarà in noi almeno un punto su cui sostenerci.

Un punto d’Assoluto, di eternità, un punto di Dio su cui sostenerci.

Le crisi d’identità, cominciano in noi, tutte le volte che Dio ci tocca in quei punti di riferimento su cui noi ci sosteniamo.

Quando noi viviamo per una cosa e quella cosa a un certo momento crolla, noi subiamo la crisi d’identità, perché è crollato quel punto fisso di riferimento principio dei nostri giudizi sbagliati e delle identità sbagliate.

Intanto però ci rivela una grande cosa: l’identificazione è un rapporto con un termine fisso che deve essere presente in noi.

Un termine fisso presente in noi è un termine assolutamente personale.

A tu per tu.

In noi il termine fisso a cui rapportiamo ogni cosa è sempre il fine per cui noi viviamo.

Può essere una persona, una cosa, un interesse, un’azienda, un istituto...

Questo è il termine fisso a cui rapportiamo le cose.

È il fine per cui viviamo, quindi quello che noi abbiamo sempre presente.

Solo se noi abbiamo veramente presente Dio, il fine per cui siamo stati creati, noi abbiamo lì il principio d’identificazione delle cose.

Abbiamo la possibilità di stabilire dei rapporti e dire ciò che le cose e le creature sono con quello che è il vero punto fisso di riferimento, per l’eternità.

Perché per l’eternità, per chi entra nella Luce, il principio d’identità nostra, di cose e creature e di Dio. È Dio stesso.

Soltanto se noi abbiamo Dio come punto fisso di riferimento e lo è, soltanto se è nostro fine.

Perchè il nostro punto di valutazione e d’identificazione, è ciò che abbiamo ben presente in noi: il fine ed è questo che determina la misura di tutte le cose.

Se Dio è il nostro fine personale, l’identità stessa di Dio, scaturisce da questo rapporto solitario della nostra anima con Dio.

È lì che si rivela a noi il volto di Dio.

È lì che noi possiamo dire chi Dio è.

Perché soltanto se noi avremo Dio come l’essere determinante il nostro unico e solo bisogno, solo lì potremo identificare Dio.

È il bisogno che identifica.

Siamo noi che dobbiamo dire chi Lui è.

E certamente non siamo noi che dobbiamo chiedere a Dio chi Lui è.


GV 10 VS 24 - Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».


RIASSUNTI Domenica-Lunedì.


Argomenti: La lotta di Giacobbe. L’opera del Figlio: la Luce. Distinguere la parola di Dio e degli uomini. L’incarnazione. La presenza e l’assenza. Il luogo della Verità. Le parabole. Il prima di tutto. La ferita del deicidio.


 

21-22/ Luglio /1991