HOME


  Prologo Capitolo uno Vangelo di San Giovanni


Titolo: La funzione del Prologo.


Argomenti: Rinnegare noi stessi. Custodire le parole di Cristo. Gli interessi diversi da Dio. Recuperare il Principio. Le parole di Cristo purificano.


 

4/Gennaio/1976


Dall’esposizione di Luigi Bracco  (tratta dagli appunti e dalla parte registrata).

 

(Appunti della parte non registrata): Dopo l’approfondimento dei singoli versetti del Prologo, é utile ora dare uno sguardo generale su di esso, per averne una visione d’insieme, al fine di coglierne l’anima e lo sviluppo  del pensiero.

Il Prologo è una scena grandiosa di tutta  l’opera di Dio per noi e del nostro cammino verso di Lui. Ne è una sintesi stupenda: in esso troviamo tutto, per cui il Prologo rappresenta il fondamento, la base su cui dobbiamo appoggiare la nostra vita spirituale.  

            Infatti in esso troviamo:

·la segnalazione del Principio dell’uomo,

·lo smarrimento di questo Principio da parte dell’uomo,

·l’opera di recupero da parte di Dio (la funzione di Giovanni Battista e l’Incarnazione del Verbo),

·le condizioni per riconoscere il Verbo Incarnato, il Cristo,

·le condizioni per abitare e camminare con il Verbo Incarnato,

·le condizioni per giungere a vedere la Gloria del Verbo (importanza di vederla e il “luogo” da cui si  vede).

Nel Prologo sono dunque indicate le grandi tappe della nostra vita con Dio:

·recupero del Principio:  giustizia essenziale, scoperta della Luce vera che è in ogni uomo,

·incontro e cammino con il Verbo incarnato, il Cristo,

·contemplazione della sua Gloria.

 

In principio era il Verbo……”: Quello che nel Prologo ci è annunciato come “principio” dobbiamo intenderlo come “principio” da recuperare, perché “…in Lui è la vita…”. Alla radice del nostro essere c’è il Verbo che parla con noi in tutto. Noi siamo costituiti da questo “Tu” in cui è la nostra vita.

Il Prologo ci insegna infatti il principio della vera vita: “…in Lui era la Vita e la Vita era la luce degli uomini”; ci invita quindi a recuperare in noi il Principio della vera vita che abbiamo smarrito; recupero che si conclude nel: “Abbiamo visto la sua gloria”.

È necessario recuperare il nostro Principio, perché attualmente la nostra vita è una morte crescente. S. Paolo ci dice: “lontani dal Signore vi disperdete”. Nel Vangelo di s. Luca, nel Benedictus, è detto: “Dio viene a visitare coloro che giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte” (Lc 1,78-79). Infatti viviamo sotto l’ossessione della vita che se ne va e non nell’amore della ”Vita che viene”. Finché uno teme la malattia e la morte, non vive.

La vera vita è conoscenza di Dio, perché la vita sta nella Luce (“…la vita era la luce degli uomini”). Dalla conoscenza ci viene la vita, la libertà, la pace, ecc.

Per questo Dio ci annuncia: “In principio era il Verbo…, in Lui era la Vita”.

“L’uomo vive di ogni parola che procede dalla bocca di Dio” (Mt 4,4): già in questa affermazione, che è parola di Dio, possiamo capire il Principio che abbiamo smarrito. Se recuperiamo quel Principio, cioè se incominciamo a vivere nella Parola di Dio e ci preoccupiamo di non staccarci da essa, concluderemo anche noi nel vedere la Gloria.

Quindi se abbiamo veramente accolto in noi questo Principio, escluderemo tutto ciò che non è Parola di Dio, dicendo: “non mi interessa, sono storie”.

La vera vita sta nella Parola di Dio: nel Verbo di Dio che ci parla in tutto, questo è il Principio; ma questo recupero del Principio non viene mai automaticamente; viene solo con la partecipazione nostra. Finché non aderiamo personalmente, il Principio ci viene solo annunciato, ma rimane fuori di noi.

Dio opera per recuperarci al Principio smarrito, e tutta quest’opera di recupero è sintetizzata nel messaggio di Giovanni Battista, il cui battesimo di giustizia è la condizione per scoprire la “Luce vera che illumina ogni uomo”, il Verbo interiore, e quindi per incontrare il Cristo, il Verbo fatto carne.

Giovanni Battista rappresenta la coscienza dell’umanità. È l’uomo giusto che parla: “…Chi viene dopo di me…” (Gv 1,27). Inteso esteriormente il “dopo” indica tempo; inteso spiritualmente significa “Colui che viene dopo che io mi sono superato”.

Il “dopo” di Giovanni rappresenta il “dopo” di ogni uomo che si è superato; quindi, questo “dopo” può anche non esserci, perché nessuno ci obbliga a superare noi stessi. Questo “viene” è la scoperta di questo “dopo”.

Infatti Gesù dirà: “Nessuno può venire a Me se non rinnega se stesso” (cf Mt 16,24). La parola rimane incarnata fuori di me se non la vivo.

(Parte registrata): Il Maestro interiore parla indipendentemente da noi (attraverso la voce della coscienza, ecc.) e ci dice le stesse cose che ci dice il Cristo esterno, quando mettiamo Dio al centro. È questa sintonia tra il Cristo esterno e il Verbo interiore che ci convince e ci fa accogliere il Cristo.

Ma la condizione è mettere Dio al centro  e questo richiede un superamento di noi stessi: è la giustizia prima.

Quindi superarci, rinnegare noi stessi, vuol dire innanzitutto fare la giustizia di Giovanni Battista, mettendo Dio al centro e vuol dire ancora non fermarci a ciò che arriva a noi come impressione, come sentito dire, ma andare oltre.

Rinnegare se stessi non vuol quindi dire prendersi a schiaffi o flagellarsi, perché così facendo non risolviamo niente, ma vuol dire non fermarci al pensiero del nostro io e andare oltre. Perché se mettiamo il nostro io come centro riceviamo le cose secondo il piacere che provocano o le rifiutiamo per il dispiacere o fastidio che recano e ci fermiamo lì. Invece bisogna andare oltre: anche se una cosa ti piace, non fermarti, e non dare una risposta affrettata, ma cerca se piace al Signore. Ed è così che vai oltre.

Quindi, questo andare oltre vuol dire non fermarci al nostro io, ma cercare la giustificazione in Dio, cioè che cosa ne pensa Dio, che cosa dice Dio di ciò che ci ha fatto arrivare.

Questo rinnegare noi stessi richiede una fatica, perché è superamento. Però questo superamento non vuol nemmeno dire “faccio tutto quello che non mi piace”, perché se anche noi facessimo tutto quello che non ci piace, in realtà non rinnegheremmo noi stessi, perché si può arrivare ad amare anche quello che non piace, e lì c’è ancora il proprio io.

È vero che ci sono delle regole ascetiche che dicono: “fa’ tutto quello che non ti piace e quella è la volontà di Dio”, ma questo è sbagliato, perché se uno prende come regola: “faccio tutto quello che non mi piace”, ad un certo momento gli piace quello che non gli piace, cioè è la contestazione per la contestazione. E c’è ancora il nostro io lì in mezzo. Nel sadismo c’è ancora il nostro io, nel flagellarci c’è ancora il nostro io, al punto da provare gusto nel flagellarci. Il superamento non sta lì.

Dobbiamo arrivare a quella maturità tale da non voler fare niente se non lo vediamo gradito a Dio. Cioè bisogna fare solo ciò che Dio vuole che noi facciamo, e non dire: “io debbo fare questo e adesso cerco se Dio lo vuole”. No! Questo sarebbe voler mettere l’etichetta (“Dio lo vuole”) ad una decisione presa da noi. No, non bisogna muoverci affatto e fare solo ciò che Dio dice, per cui è doveroso cercare la sua Volontà.

Ma c’è questo: anche se non ci muoviamo, arrivano tante cose: notizie, richieste, informazioni. Ecco, queste cose che arrivano a noi, non dobbiamo fermarle al nostro io e dire: “che seccatura, è arrivato questo”, ma con pazienza, anche se apparentemente è una seccatura, dobbiamo cercare la ragione in Dio di ciò che ci arriva.

Ora, siccome Dio non è mai il nostro io, la sua Volontà non è mai la nostra volontà e il suo Pensiero non è mai il nostro pensiero, se noi facciamo questa fatica di andare oltre il pensiero del nostro io per cercare la ragione di ogni fatto in Dio (cioè per cercare di vedere, con l’aiuto della parola del Verbo incarnato, Cristo, ogni fatto nello Spirito di Dio), l’avvenimento si modifica molto, cioè si vede in modo molto diverso da come si era presentato a me e soprattutto modifichiamo noi interiormente, perché è così che camminiamo verso Dio. Rinnegare se stessi è infatti la condizione richiesta per seguire Cristo in tutte le tappe della sua vita: Morte, Risurrezione, Ascensione, fino alla nostra Pentecoste, cioè fino alla contemplazione della Gloria del Verbo.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Eligio: Abbiamo sempre la possibilità di scoprire il senso degli avvenimenti rapportandoli a Dio? Oppure delle volte ci si può illudere di ritenere pensiero di Dio ciò che magari sottilmente può essere invece un nostro pensiero?

Luigi: Certo, può capitare. Sono sempre possibili le illusioni. Noi per principio dobbiamo sempre ritenerci dalla parte dell’errore e dire: “Posso sbagliare”. Per cui, ritenendo sempre di poter sbagliare, dobbiamo diventare un’interrogazione continua nei confronti del Signore. Allora anche se abbiamo dato una nostra interpretazione, se ci teniamo dalla parte del torto, nella consapevolezza di poter sbagliare, ci manteniamo aperti, quindi disponibili a essere corretti, poiché Dio sta dialogando con noi. Dio ci osserva personalmente, e Lui vede se stiamo prendendo una cantonata; se così è, allora opera nell’ambiente per correggerci. Ma questo solo se siamo aperti.

Se invece ci irrigidiamo su ciò che crediamo di aver capito, c’è chiusura, non disponibilità a essere corretti; e qualunque cosa ci venga di contrasto, la rifiutiamo e diciamo: “…perché io ho ragione”.

Non dobbiamo irrigidirci nemmeno nella volontà di Dio; per cui, anche se abbiamo visto una cosa in Dio, dobbiamo stare attenti, perché Dio, siccome ci supera continuamente, e ci supererà sempre, opera continuamente per modificare un tantino anche quella conoscenza che abbiamo avuto da Lui, perché la conoscenza di Dio è una conoscenza continua, progressiva, e Lui la migliora solo se noi siamo aperti. Essere aperti vuol poi dire non irrigidirsi.

Dio vede la tua buona fede, quindi non ti condanna in caso di errore; infatti se sei in buona fede, sei aperto alle correzioni. E non soltanto alle correzioni che ti vengono dall’interno, ma anche a quelle che ti vengono dall’esterno.

Tu non puoi prendere a calci niente e nessuno, appunto perché in tutto c’è la mano di Dio: “Togliti i calzari, perché la terra su cui stai è terra sacra” (Es 3,5).

Allora se noi abbiamo la coscienza che tutto è sacro, che tutto è parola di Dio, ogni avvenimento che ci arriva cerchiamo di riferirlo a Dio e di capirlo in Lui; questo è l’atteggiamento giusto in cui uno cerca onestamente, in coscienza, di vedere qual è lo Spirito di Dio in ciò che Dio gli presenta. Per cui lo classifica secondo Dio:  lo accoglie se lo aiuta o lo scarta se gli è di disturbo.

Però ci deve essere sempre in noi questa apertura: “Mi posso anche sbagliare, posso anche dare un’interpretazione soggettiva, Dio può anche pensare in modo diverso, ecc.”; per cui  se ci arriva un fatto contrario, non dobbiamo escluderlo solo perché contrario al giudizio che abbiamo fatto, perché è sempre Dio che ce lo manda, quindi va anche questo capito in Dio.

Se uno è attento a Dio non si accontenta soltanto di una frase di Gesù, ma va avanti cercando di penetrare tutte le parole di Gesù. Quindi medita sulle parole semplici, ma medita anche sulle parole difficili, sapendo che le deve penetrare tutte.

Ora, la preoccupazione di doverle penetrare tutte è quella che ci porta poi dopo a quella famosa “gloria” di cui abbiamo già tanto parlato e che è poi la conclusione di tutto il cammino tracciato dal Prologo e che Dio vuole far percorrere ad ognuno di noi.

Le parole del Signore sono la nostra strada chilometrata che ci conduce alla meta. Però queste parole vanno tutte raccolte, perché ci fanno camminare nella misura in cui noi le penetriamo e le capiamo. Ma nella misura in cui noi le trascuriamo…ci fermiamo. Ecco, in quanto io trascuro un argomento resto bloccato, resto fermo, non vado più avanti: avendo trascurato un tratto di strada, quel tratto di strada mi impedisce ormai di proseguire.

Eligio: Ma se non comprendiamo le parole del Signore pur desiderando di capirle, che atteggiamento dobbiamo avere?

Luigi: Noi le dobbiamo custodire in attesa di arrivare a capirle, come faceva la Madonna: “Meditava e custodiva tutto ciò che riguardava suo Figlio, anche se non capiva” (Lc 2,19.51); perché chi veramente ha amore per una persona, ricorda di quella persona anche ciò che non capisce. Poi, magari dopo una settimana o un mese la cosa s’illumina: “Ah, ho capito, voleva dire quello….!”.

Ora, noi queste cose le esperimentiamo: quando una persona ci sta veramente a cuore, diciamo: “Chissà cosa vorrà dire con quella parola”; poi dopo, magari dopo averla meditata, arriva un’altra parola che illumina la prima.

Quindi anche con Dio: se noi conserviamo le parole nel nostro cuore, queste saranno illuminate da parole successive. Ma tutto dipende da questo “timore”, cioè da questa attenzione riverenziale che dobbiamo avere nei confronti di Cristo, perché è Lui il Maestro che parla; e in quanto il Maestro parla a noi, noi allievi dobbiamo essere molto scrupolosi nel meditare e custodire.

L'altra sera si diceva che, frequentando l’Università della Terza età, una signora molte cose  le scrive senza ancora capirle. Proprio perché non capisce prende degli appunti. Ma perché questo? Perché ha interesse e ha la speranza di giungere a capire. Ecco, noi dobbiamo fare altrettanto lavoro nei riguardi del Signore, se effettivamente ci stanno a cuore le sue lezioni. E anche se non le capiamo, dobbiamo rimanere in attesa di capirle, mantenendole dentro, meditandole, pensandoci.

Questo lavoro va fatto soprattutto con le parole che non capiamo; perché proprio in quanto non le capiamo sono le più importanti. Infatti se non le capisco vuol dire che queste parole  sono ad un livello superiore, e se sono ad un livello superiore mi sollecitano, quindi mi dicono: “Guarda che devi salire più su”. Ora, il Signore non ci farebbe arrivare una cosa che non capiamo se già non ci chiamasse a quel livello superiore. Se ci fa arrivare una parola che non capiamo, vuol dire che già ci invita, che ci sollecita a salire più in alto.

Eligio: Quindi io non posso dire: “Questa parola non la capisco, quindi non me ne occupo”.

Luigi: Tu non la puoi accantonare, perché è il Signore che ti chiama. Ti chiamerà da lontano, ma ti chiama. In quanto te la fa giungere, vuol dire che ti chiama a una luce superiore, perché Dio è fedele. Dio non inganna, e in quanto non inganna, se ti fa arrivare l’annuncio di qualche cosa, vuole già comunicartelo, quindi ti chiama alla luce.

Ora, sapendo che sono chiamato, anche se mi sento lontanissimo da quella voce o da quella altezza alla quale Lui mi chiama, siccome però so che Lui mi chiama, allora presto attenzione e subentra in me la preoccupazione di custodire e la speranza di capire, perché in quanto Lui mi chiama, già mi dà Lui stesso la possibilità, la grazia, se io sono fedele, di arrivare dove Lui vuole condurmi.

Eligio: Per poter riportare l’anima in quella situazione ideale del “In principio era il Verbo…”, siccome ritrovo in me una grande quantità di mondo che mi impedisce di  vedere il Verbo che mi parla in tutto,  l’opera che devo fare è quella di rimuovere questo mondo?!

Luigi: È la penitenza di cui parla Giovanni Battista. Non si tratta tanto di rimuovere materialmente, ma di rimuovere soprattutto interiormente, dentro di noi, come giudizio. Per cui arriva un certo momento in cui devo farmi, dentro di me, due classificazioni: “questo vale” o “questa è una storia”.

Eligio: E già, perché tra le tenebre attuali e quell’“In Principio…”, c’è il mondo che ho messo, che ho lasciato entrare in me.

Luigi: Si capisce! Comunque noi dobbiamo sapere che la vera vita incomincia là. È un punto luminoso; sarà lontano, ma è là, mi è annunciato; io devo recuperare quella posizione là, devo recuperare questo “principio”. C’è un po’ di dislivello, ma a tutto quello che si frappone, adesso devo avere il coraggio di dire: “Sono tutte storie”; ecco, è zavorra che devo eliminare, perché debbo recuperare quello, in quanto so che la mia vita incomincia da quel punto ben preciso: “In principio era il Verbo…” .

Eligio: La sintesi del Prologo è un po’ questa!?

Luigi: La sintesi del Prologo è quella di darci, di annunciarci un Principio da recuperare, perché la vita era lì. Ora, il Prologo è annunciato a dei morti, cioè a delle persone che stanno esperimentando le tenebre, la morte, la confusione, il caos, ecc. In sintesi dice: “Voi state esperimentando questa situazione di morte e di tenebre perché la Vita era quella…, perché la Luce era quella…, perché la liberazione era quella…”. Ecco, ce l’annuncia, e in quanto ce l’annuncia, siccome Dio è fedele, già ci chiama. Quindi: “Se vuoi vivere, recupera il Principio, perché il principio della tua vita sta lì, nel Verbo di Dio, nella Parola di Dio; quindi non scostarti di lì”.

Ma nel momento in cui c’è questa disponibilità di recuperare, sorge questo problema: “Ma io mi trovo in un mondo che è tutt’altro che regno di Dio, io mi trovo con parole che sono tutt’altro che parole del Signore”. È qui che tutto ciò che non è parola del Signore lo devi scartare: se non è parola del Signore e tu sai che la vita è nella parola del Signore,  butta a mare”! Tutto quello che non è parola del Signore è tutto veleno. Quindi butta tutto via in quanto ti avvelena la vita. Certo, tu non puoi chiudere gli occhi, ma puoi chiudere la porta dell’anima. E come la chiudi? La chiudi dicendo: “Sono tutte storie”, “A valu niante”, “Mi avvelenano, non m’interessano”.

È importante fare questo giudizio interiore, perché ciò che apre e ciò che chiude il nostro mondo interiore è l’interesse per-. Per cui, se io dico: “Quella cosa mi interessa”, già apro la mia anima e quella cosa entra in me.

A questo punto dobbiamo dire: “Il mio interesse è per il Verbo di Dio, perché mi è stato annunciato che la Vita sta lì, la mia vita è lì”. Dicendo che il mio interesse è lì, chiudo la mia anima ad ogni altro interesse. Ora, se io invece ritengo interessante qualcos’altro che non sia il Verbo di Dio, praticamente preferisco le tenebre alla Luce per cui aumentano le tenebre in me.

Fintanto che non mi convinco che il vero mio interesse è il Verbo di Dio, e solo il Verbo di Dio (quindi esclusi tutti gli altri verbi), niente da fare. Invece se mi convinco che la sorgente della mia vita è nel Verbo di Dio, allora potrò concentrare il mio interesse lì.

Concentrare l’interesse vuol dire far fuori gli altri interessi; quindi incomincio a dire a tutte le cose che mi giungono: “Questo non m’interessa, quest’altro non m’interessa, ecc.”, per cui queste non entrano più. Perché le cose entrano in noi nella misura in cui dentro di noi diciamo: “Questo m’interessa”. Ma se entrano, fanno poi da padrone, e quando vogliamo metterle fuori casa non possiamo più.

E allora dici: “Ma come mai non riesco a liberarmi?”. Ecco, non riesci a liberarti perché tu hai detto a quella cosa: «Tu sei il mio padrone». La chiave di volta sta lì, nell’interesse per-. La chiave di volta per poter ascoltare la voce del Maestro interiore è quindi mettere Dio al centro.

Eligio: Ecco, bisogna allora mettere Dio al centro per reintegrare questo stato del “In principio…”.

Luigi: Sì, perché l’annuncio del Principio è un invito a recuperare il Principio.

Eligio: Ed è un fatto personale e interiore.

Luigi: È essenzialmente personale, perché senza di noi non avviene.

Eligio: Quindi è dentro di me che devo ricostituire questo “principio”.

Luigi: Certo, ma come lo ricostituisci? Siccome è un problema di interesse, non c’è nessuno che te lo possa ricostituire. Indubbiamente è un problema di amore, di passione. Ora, siccome è un problema personale, diventa un problema interiore. Ecco come si interiorizza la cosa!

Eligio: Delle volte ci sono dei problemi personali di natura anche solo intellettuale, culturale; invece questi sono di natura vitale, di natura essenziale. Ecco perché parlavo prima di quella coessenzialità del Verbo con l’anima nostra.

Luigi: Sì, ma la coessenzialità si forma in noi non senza di noi. Dio esiste indipendentemente da noi, per cui se tu lo rifiuti, certamente esperimenterai la morte, perché Lui è la vita, e lo è sia che tu dica: “Sì, Tu sei la mia vita”, sia che tu dica: “No, non ci credo”.

Quindi non è il nostro credere o no che smobiliti Dio, perché la Verità è tale sia che noi diciamo: “È così”, sia che noi diciamo: “Non è così”. Noi possiamo dire mille volte ad una penna rossa che è nera, ma quella continua ad essere rossa. Ora, in un primo momento Dio ci fa toccare con mano che la Verità è indipendente da noi; però se io aderisco alla Verità, partecipo e divento coessenziale ad Essa; se io invece non aderisco, mi metto fuori. Quindi siamo noi che ci mettiamo fuori.

Eligio: Questa coessenzialità deve diventare come una  simbiosi...

Luigi: Certo, però la coessenzialità chiede a noi la partecipazione, che è questo andare oltre il pensiero del nostro io. Avendo presente il Principio, bisogna per forza rientrare in esso. L’annuncio del Principio è per noi personalmente un Principio da recuperare, perché quello è il principio della nostra vita spirituale. Però è un Principio che non entra nella nostra vita se noi stessi, personalmente non lo mettiamo come principio...

Eligio: …e se non lo riteniamo valido.

Luigi: Cioè, se non lo vediamo interessante, perché fintanto che non lo vediamo interessante, “quello” non entra; però eternamente ci sarà annunciato: “Il Principio era quello!”, anche se andassimo all’inferno. Per cui: “Come mai sono all’inferno?” Perché il Principio era quello, e tu non l’hai accolto, non l’hai fatto entrare come principio!

Trascurando il Principio si hanno tutti problemi di non-principio, che sono tutti problemi successivi, fasulli, perché “Il Principio era Quello…”. Per cui fintanto che tu non metti il Principio come principio, non c’è niente che si risolva in te, perché il Principio è Quello.

Ecco l’importanza di recuperare il Principio!

Quindi se ci viene detto che il principio della vita sta lì, vuol dire che il punto di partenza della nostra vita è lì; e allora portiamoci lì se vogliamo incominciare a vivere. E ce lo dirà un miliardo di volte. E anche se lo  rifiutiamo, il Principio resta sempre là, eternamente là. Il Signore dice: “Passeranno i cieli e la terra, ma le mie parole non passeranno” (Mt 23,45). Per cui ci verrà detto: “Tu eri stato informato: il principio della tua vita era là”, ed eternamente ci verrà detto: “Il principio della tua vita era là”.

Eligio: Quindi è necessario riportarsi in quella situazione di giustizia rappresentata dal Battista per poter  recuperare il Principio?!

Luigi: Sì, perché accogliendo l’annuncio del Principio poco per volta si arriverà all’ascolto del Verbo interiore, al sogno della vita con Dio e quindi alla scoperta del Verbo Incarnato. Infatti si può trovare “fuori” solo ciò che si porta “dentro”; quindi solo se abbiamo messo in alto il Verbo interiore, scopriamo il Verbo esteriore.

Quindi il Maestro interiore ci porta ad ascoltare il Maestro esteriore, il quale ci  farà realizzare il sogno, cioè quella vita che intimamente desideravamo. 

Quindi non si tratta di modificare qualche cosa fuori, ma si tratta di modificare l’interesse dentro. Bisogna partire da un fatto interessante spirituale, intellettuale, ma interiore, dentro di noi, quindi personale. E anche se esteriormente continuiamo la vita di prima, non importa, perché sarà poi il Cristo esteriore che poco per volta ci recupererà anche la vita esteriore.

Infatti il Verbo Incarnato ci trasforma man mano che noi Lo ascoltiamo e conosciamo: siccome Lui ha attuato una certa vita, vivendo con Lui, il suo modo di vivere si trasferisce nella nostra vita e poco per volta ci modifica. Vivendo con Lui cominciamo a dire: “Questa cosa non la posso fare perché Cristo mi ha insegnato quest’altra”, e così per ogni cosa: “Questa cosa non la posso dire, perché Gesù dice il contrario”, ecc. Avviene così tutta una sostituzione nella mia costruzione: mattone su mattone costruiamo la nostra abitazione eterna.

Eligio: La fedeltà nel poco (mattone su mattone) mi darà la possibilità di essere fedele nel molto.

Luigi: Esatto. Quindi è il Cristo che, attraverso la vita con Lui, ci porta a questa grande Realtà del Padre che abita dentro di noi, e dal Quale noi possiamo contemplare la sua Gloria, giungere cioè alla Pentecoste, ma attraverso di Lui.

Emma D.: Quindi bisogna sempre ritornare al nostro Principio.

Luigi: Sì, dobbiamo sempre aver presente che:

·il Principio che ci è annunciato,

·è un Principio da recuperare nella nostra vita personale,

·perché lì è il Principio della nostra vita,

·quindi la nostra vita non si realizza finché non lo recuperiamo.

In quanto il Principio ci è annunciato, è da recuperare.

Eligio: Direi che bisognerebbe proprio partire dal fatto che noi attualmente ci troviamo in uno stato di confusione di ideali di vita, proprio perché abbiamo smarrito il Principio della vita. Quindi ecco la necessità di recuperarlo.

Luigi: Ora, è proprio in questa confusione che noi riceviamo l’annuncio dall’esterno: “Il tuo Principio è quello!”, e che ci invita ad una partecipazione.

Eligio: Sì, e ci fa desiderare di uscire da questo stato confusionale.

Luigi: Perché in qualunque stato di confusione e tribolazione Dio non ci lascia mai mancare la sua Parola; e allora ce l’annuncia. Ma ce l’annuncia anche se noi non vogliamo sentire.

Se invece noi accogliamo l’annuncio dal Principio e lo facciamo nostro, lo rendiamo interessante.

Questo rendere interessante Dio vuol dire chiudere la porta a tutti gli altri interessi; e questo è possibile proprio grazie al fatto che abbiamo toccato con mano che gli altri interessi che autorizzano poi le cose del mondo a spadroneggiare in casa nostra, sono motivo di morte. Quindi, una volta fatte queste esperienze di morte, abbiamo la grazia, cioè la convinzione di chiudere la porta, di non lasciare più entrare tutto ciò che non è  Verità, dicendo dentro di noi: “No, questo non mi interessa… queste sono storie…”.

È molto importante chiudere la porta a tutto ciò che non è Dio, perché per poco che la socchiudiamo, questa si spalanca ed entra in noi il mondo; e poi dobbiamo tribolare da matti per cercare nuovamente di recuperare; e chissà con quanta fatica...

Eligio: L’annuncio del Principio, proprio perché è annuncio, ci lascia nell’esercizio della nostra libertà, nonostante tutti i nostri legami di schiavitù.

Luigi: Dio opera sempre nella fedeltà, quindi rispetta sempre la nostra coscienza, la nostra partecipazione. Non è che basti l’annuncio per possedere il Principio, no: ora devi faticare per recuperarlo. Egli ce lo propone, non ci costringe. È nel momento della proposta che abbiamo il dono della libertà di rispondere sì o no. Se aderiamo facciamo un passo verso la libertà che deriva dalla conoscenza della Verità; altrimenti, se non aderiamo, ricadiamo più schiavi di prima.

Eligio: Dio ci annuncia che nel suo Verbo è il nostro Principio, la nostra vita.

Luigi: Si capisce, però senza di noi, quello non diventa vita, resta esterno alla nostra vita. Non basta che ci venga annunciato il Principio: bisogna aderire ad esso, altrimenti, siccome Lui è la vita, se escludiamo il Principio, la nostra vita diventa una morte. Se invece noi vogliamo essere coessenziali, cioè con-partecipi, dobbiamo aderire a quel Principio che ci è stato annunciato; dobbiamo farlo nostro.

Il Principio di vita deve diventare nostro principio di vita, non dobbiamo muoverci da lì. Per cui il Signore dice: “L’uomo vive di ogni parola che procede dalla bocca di Dio”. Hai sentito questa parola?! Questa parola è un principio di vita; allora incomincia ad agganciarti ad essa!.

Eligio: Ed è così che inizia la purificazione, la liberazione.

Luigi: Certo, è la Parola che purifica. Infatti all’ultimo Gesù dice: “Voi siete puri a motivo delle parole che vi ho detto” (Gv 15,3). Ecco un’altra cosa molto importante: sono le Parole di Dio che ci lavano, che ci purificano, che ci liberano; ma questo solo nella misura in cui noi le ascoltiamo. Egli infatti dice questo ai suoi discepoli, cioè a coloro che hanno ascoltato le sue Parole. Quando lava loro i piedi  dice: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi a motivo delle parole che vi ho detto e che voi avete ascoltato” .

Si è suoi discepoli se si resta nelle sue parole. Quindi è la parola ascoltata che ci purifica.

Eligio: E già! La parola deve essere ascoltata; non basta sentirla, perché Lui la dice a tutti.

Luigi: Certamente, Lui la dice a tutti; Egli parlava anche a chi l’ha messo in Croce, parlava anche a coloro che Lo bestemmiavano. Ma non basta udire le sue parole per essere puri: bisogna ascoltarle! Egli dice: “Sarete veri miei discepoli se ascolterete le mie parole” (Gv 8,31): è questo ascolto che ci fa discepoli del Cristo. E dice ancora: “…Se ascolterete le mie parole (e quindi se resterete in esse), giungerete a conoscere la Verità, e la Verità vi farà liberi” (Gv 8,32): è uno sviluppo.

Quindi Dio parla; se noi ascoltiamo, la parola entra dentro di noi, diventa intima, ed è questa parola che ci conduce a vedere la Verità. Per cui, quella Verità, che è poi la Gloria, noi non la vediamo se non attraverso la Parola, ma la Parola ricevuta, custodita, meditata, capita; e una volta capita si trasforma in Luce.

Infatti Gesù dice: “Chi raccoglie riceve mercede di Vita Eterna” (cf Gv 4,36); e precisa: “La Vita Eterna sta nella conoscenza di Dio” (cf Gv 17,3). Allora chi raccoglie la parola di Dio riceve un compenso, riceve la Luce, perché la parola porta alla Luce. Ed è la Luce di Vita Eterna, la conoscenza di Dio: è qui che si realizzano le parole: “…Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi”.

Quindi chi è fedele non cerca la sua liberazione prima della conoscenza della Verità, perché la liberazione è una conseguenza della conoscenza della Verità. Quindi, se io non tengo presente la Parola di Dio, dico: “cerco di liberarmi”, e inizio a vivere in funzione di questa utopica libertà, accumulando denaro, facendomi una pensione, magari dicendo: “Quando sarò libero mi occuperò di Dio”. È una beata illusione. No, la libertà è una conseguenza della conoscenza della Verità. Quindi bisogna prima cercare di conoscere la Verità e sarà la Verità che ci farà liberi.

Ecco che se noi accogliamo la Parola di Dio, modifichiamo l’atteggiamento, perché non mettiamo prima quello che deve venire dopo, perché il Signore fa dipendere la libertà dalla conoscenza della Verità. Aggrappati alla Luce e vivrai; come il filo d’erba. Il filo d’erba  non ricorre ad altro: si aggrappa alla luce e vive. Allora, anche se sei schiavo a causa dei tuoi errori precedenti, pazienza! Cerca però la Verità attraverso le parole del Cristo. Se ascolti le parole di Dio, modifichi le tue scelte e poco per volta ti troverai libero. È la Verità che ci libera, quindi diamo la precedenza alla ricerca della Verità. Ma come fare per cercare la Verità?

“Se custodirete le mie parole conoscerete la Verità”, dice Gesù, quindi bisogna custodire; ma come fare a custodire le sue parole? “Se ascolterete…”, e allora ascoltiamo; ma come fare ad ascoltare se Lui non parla? Ma Lui parla sempre; siamo noi che anziché ascoltare Lui, ascoltiamo gli altri o noi stessi. Dobbiamo avere sempre il pensiero rivolto a Lui, perché Lui ci conduce, la sua parola c’è ovunque; e se noi ci afferriamo alla sua parola, poco per volta si forma questa trafila che ci purifica, che ci conduce a vedere la Verità, cioè la sua Gloria e che quindi  ci libera.

Pinuccia B.: Per arrivare al Fine bisogna tener presente il Principio, metterlo in alto.

Luigi: Dire: “Tener presente…”, è generico, perché quando si annuncia un Principio si esclude tutto il resto. Il Principio è uno solo, altrimenti non è il Principio. Il concetto di “principio” implica il concetto di esclusione di ogni altro principio. Bisogna sapere che è nel Principio il principio della nostra vita. Dobbiamo saperlo, perché  se noi sappiamo che il principio della nostra vita sta lì, non ci rivolgiamo più altrove. Ci deve essere un’esclusione di tutto il resto, perché il Principio è esclusivo, proprio perché è Principio.

Ciò che è principio di-, esclude qualunque altra cosa. Ora, è questa esclusività che diventa importante. Se invece noi diciamo “tener presente”, o soltanto “tenere alto…”, non dichiariamo questa esclusività. È proprio questa esclusività che diventa importante; infatti quando si dice che una cosa è il principio di un’altra, la prima è la base della seconda, il fondamento, per cui la prima diventa esclusiva per la seconda.

Pinuccia B.: Il nostro principio è il Verbo di Dio o il Padre stesso?

Luigi:In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio con Dio”. Allora il Principio è il Verbo, ma il Verbo è il Pensiero del Padre, è il Pensiero da cui viene la Vita. Il Pensiero di Dio è il Verbo del Padre!  La nostra vita sta nella Parola di Dio, che è uguale al Pensiero di Dio, che procede dalla Bocca di Dio, cioè dal Pensiero di Dio.

La Parola va intesa con Dio: “Il Verbo era con Dio”, quindi non disunirlo, perché forma una sola cosa con Dio. Corriamo il rischio di disunirlo, perché la Parola di Dio, essendo segno in me, può essere rivestita del mio io.

La Vita viene dalla Parola che viene dalla Bocca di Dio, non dalla tua bocca. Questa Parola va sempre intesa in Dio, perché Dio non è mai il nostro io. L’intelligenza della Parola di Dio va chiesta a Dio stesso, perché è Dio che illumina ed è Lui che forma l’orecchio. Per cui:

·Per prima cosa bisogna chiedere a Lui che ce lo formi.

·Poi bisogna chiedere a Dio che ci faccia giungere la Parola.

·Chiedere, infine, che ce la faccia capire.

Ma bisogna riferire sempre tutto a Dio, per capirlo in Lui. È questo il cammino che ci conduce, attraverso tappe successive, a vedere la Gloria del Verbo.

Lettura riassunto:          

Dicendoci: “In principio era il Verbo”, il Prologo ci dice la necessità di recuperare il nostro Principio, perché “…in Lui era la vita”: la vita era quella! Quello che nel Prologo ci è annunciato come “principio” dobbiamo intenderlo come “principio” da recuperare.

Quindi il Prologo ci insegna il Principio della vera Vita, ci invita a recuperare in noi il Principio della vera Vita che abbiamo smarrito; recupero che si conclude nel “…abbiamo visto la sua Gloria”.

Attualmente la nostra vita è una morte crescente. S. Paolo ci dice: “Lontani dal Signore vi disperdete”, Luca dice nel Benedictus: “Dio viene a visitare coloro che giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte”(Lc 2,78-79). Infatti viviamo sotto l’ossessione della vita che se ne va e non nell’amore della “vita che viene”. Finché uno teme la malattia e la morte non vive.

La vera vita è conoscenza di Dio: dalla conoscenza ci viene la vita, la libertà, la pace, ecc..

Per questo Dio ci annuncia: “In principio era il Verbo; in Lui era la vita”.

“L’uomo vive di ogni parola che procede dalla bocca di Dio": ci fa capire il principio che abbiamo smarrito. Recuperando quel principio, cioè incominciando a vivere nella Parola di Dio, cioè se ci preoccupiamo di non staccarci dalla Parola di Dio, concluderemo anche noi nel vedere la Gloria.

Se ho ricevuto in me questo principio, escludo tutto ciò che non è Parola di Dio, dicendo: “Non mi interessa, sono storie”.

La vera vita sta nella Parola di Dio: questo è il Principio; ma questo recupero del Principio non viene mai automaticamente; viene solo con la partecipazione nostra. Finché non aderiamo personalmente, il Principio ci viene solo annunciato, ma rimane fuori di noi.

Giovanni Battista rappresenta la coscienza dell’umanità. È l’uomo giusto che parla. “Chi viene dopo di me…” (Gv 1,30). Inteso esteriormente il “dopo” indica il tempo; inteso spiritualmente significa: “Colui che viene dopo che io mi sono superato”.

Il “dopo” di Giovanni rappresenta il “dopo” di ogni uomo che si è superato. Quindi questo “dopo” può anche non esserci, perché nessuno mi obbliga a superare me stesso: questo “viene” è la scoperta di questo “dopo”. Infatti Gesù dice: “Nessuno può venire a me se non rinnega se stesso”. La parola rimane incarnata fuori di me, se non la vivo.

Il Maestro interiore parla indipendentemente da noi  (voce della coscienza, ecc.).  Mi dice le stesse cose che mi dice il Cristo esterno, quando metto Dio al centro. Ma mettere Dio al centro richiede un superamento di noi stessi: è la giustizia prima.

Superarmi vuol dire non fermarmi a ciò che arriva a me come impressione, come sentito dire, ma andare oltre. Questo vuol dire “rinnegare se stessi”: non fermarci cioè al pensiero dell’io (“questo mi interessa, questo non mi interessa; questo mi piace, questo non mi piace), ma cercare la giustificazione in Dio: “Cosa dice Dio in questo fatto che mi è arrivato?”. Cioè bisogna cercare se piace o no al Signore. E questo richiede fatica. Questo è il superamento di sé.

Non si tratta di prendere come regola di fare ciò che non mi piace (perché anche nella flagellazione e nel sadismo c’è ancora il nostro io e il nostro orgoglio), perché si può arrivare ad amare ciò che non piace: e qui c’è ancora l’io.

Neppure si tratta di chiederci se ciò che facciamo piace a Dio oppure no, perché in tal caso prima decidiamo noi cosa fare e poi interroghiamo Dio per sapere se gli piace o no. Si tratta invece di non volere fare niente se non lo vediamo gradito a Dio. Dobbiamo fare solo ciò che Dio vuole: “Non fare niente, non ti muovere, fa’ solo ciò che Dio dice”.

Ma anche se non ci muoviamo arrivano tante cose: notizie, richieste, informazioni, ecc. Ma queste cose non dobbiamo fermarle al nostro io, perché apparentemente può essere una seccatura, ma cerca ciò che Dio ne pensa.

Dio non è mai il nostro io, il suo pensiero non è mai il nostro pensiero. La sua Volontà non è mai la nostra volontà. Se facciamo questa fatica di andare oltre il nostro io, per cercare la ragione in Dio, l’avvenimento si modifica molto. Lo vediamo diverso da come ci era apparso.

Possiamo certamente sbagliare interpretazione, perciò dobbiamo sempre lasciare spazio all’illusione, dicendo a noi stessi: “Per principio posso sbagliare”.

Dobbiamo sempre ritenerci dalla parte dell’errore. Quindi dobbiamo diventare una continua interrogazione verso Dio: “Mi mantengo aperto perché Dio sta dialogando con me”. Egli capisce, per cui opera nell’ambiente con una notizia, ecc. perché Egli  vede se prendo una cantonata.

Quindi non devo mai irrigidirmi, nemmeno nella volontà di Dio, perché anche se ho visto la cosa in Dio, siccome Dio ci supera continuamente, Egli opera continuamente per migliorare la nostra conoscenza di Lui, che è progressiva.

L’importante è sempre essere aperti, mai essere sicuri. Dio vede la tua buona fede, anche se sbagli. Egli ti corregge operando; per cui non puoi prendere a calci niente, perché tutto è sacro, in tutto c’è la mano di Dio, tutto è Parola di Dio. Se mi mantengo aperto, mi arriva un altro avvenimento, magari contrario: devo assimilare anche questo, perché è Dio che me lo manda; non lo devo respingere, ma considerare.

Non dobbiamo accontentarci di capire qualche parola, ma dobbiamo penetrare tutte le parole di Gesù, anche le più difficili; dobbiamo essere aperti verso tutte. Così esse diventano la nostra strada chilometrata che ci conduce alla meta. Queste parole vanno tutte raccolte. Ci fanno camminare nella misura in cui le penetriamo e le capiamo. Se trascuro qualcosa mi blocco in questo tratto di strada. Se non la capisco, la conservo come la Madonna, perché quando si ama, si custodisce anche ciò che non si capisce; e poi magari si trovano altre parole che la illuminano.

Tutto dipende da questa attenzione riverenziale, perché è il Maestro che parla: “Capirò dopo, per intanto me la scrivo e la conservo” (così si fa nella scuola). Anzi, presterò attenzione proprio a quelle più difficili e che non capisco, perché sono in un livello superiore e quindi mi sollecitano ad avanzare. Se Dio ci fa arrivare questa parola, vuol dire che già ci invita a questo livello superiore, perché Dio è fedele, non inganna.

Se mi chiama, se mi fa arrivare l’annuncio di qualche cosa vuol dire che già me lo vuole comunicare, e mi dà la possibilità di arrivare.

Per portare l’anima a recuperare questo “Principio”, per accogliere il Verbo, ci vuole la “penitenza”. Penitenza vuol dire rinnovare dentro di me i miei giudizi: questo vale, questa è una storia.

Devo sapere che la Vita vera comincia là. Devo recuperare quella posizione là. La sintesi del Prologo è questa: annunciare un Principio da recuperare. Il lavoro di recupero è un lavoro di selezione: “Questo è zavorra, questo no!”.  La funzione del Prologo è quella di annunciare a dei morti, a coloro che esperimentano le tenebre il Principio della vita: “Voi sperimentate la morte perché la luce era quella, la liberazione era quella, la vita era quella...”.

Ma  se Dio ce l’annuncia, ci chiama già là, perché Dio è fedele: “La tua vita è lì, non spostarti di lì”.

Mi trovo in un mondo che non è Parola del Signore. Lui mi dice: “Ora sai che la vita è lì”; ciò che non è parola del Signore, buttalo via, è veleno; chiudi la porta dell’anima: sono storie, è veleno!

Ciò che apre o chiude il nostro mondo interiore è l’interesse per. Se mi interessa questo, già gli apro il cuore. Devo solo avere interesse per il Verbo di Dio, perché so che la mia vita è lì. Se ho questo interesse, già chiudo il cuore e l’anima ad ogni altro interesse. Se ritengo interessante qualche cosa che non sia il Verbo di Dio, resto nelle tenebre.

Finché non mi convinco che la sorgente della mia vita è lì, solo nel Verbo di Dio, non posso far a meno di avere ancora  interesse  per altro. Allora devo concentrare il mio interesse lì: mi deve interessare solo il Verbo di Dio, non gli altri verbi. Le cose entrano in me nella misura in cui dentro di me dico: “Questo mi interessa”. E tutto ciò che entra mi fa da padrone, e poi non me ne posso liberare.

La chiave di volta per ascoltare questa voce interiore, è mettere Dio al centro, per reintegrare questo stato del “Principio” che è da recuperare. È un fatto personale e interiore. Ricostituisco questo principio con l’interesse e nessuno lo può fare per me. Se lo rifiuto certamente esperimenterò la morte, perché Lui è la Vita. Lui però continua a essere vita anche se io non ci credo. La Verità è indipendente da noi. Se aderisco alla Verità, partecipo ad Essa e mi diventa coessenziale. Se no vengo messo fuori. Dio chiede a noi questa partecipazione che è andare oltre al pensiero dell’io.

L’annuncio del Principio è l’annuncio di un “principio” da recuperare, perché è il principio della nostra vita spirituale. Ma è un Principio che non entra nella nostra vita se noi stessi personalmente non Lo troviamo interessante.

Anche se fossimo all’inferno e ci domandassimo: “Come mai sono all’inferno?”, ci verrà detto: “Il Principio era quello! Te l’avevo annunciato. Finché non torni al Principio non c’è niente che si risolva in te. Il punto di partenza della tua vita è là, portati lì se vuoi vivere. Anche se stai per morire, portati lì”. Il Principio sarà sempre lì, eternamente, anche se vai all’inferno. Tu eri stato informato: il principio della tua vita era lì.

Dal recupero di  questo “Principio” si arriva al Verbo incarnato.

Si tratta di maturare l’interesse dentro; scoprendo il Maestro interiore Lo ritrovo fuori incarnato.

 Bisogna partire da un fatto interiore, personale: sarà il Cristo esteriore che mi recupera la vita esterna, perché mi trasforma, trasferendo la sua vita nella mia, ricostruendo l’edificio (è una sostituzione di mattoni), fino a portarmi alla grande Realtà: il Padre che è dentro di noi: la Pentecoste.   Quindi, riassumendo:

·il Principio che ci è annunciato,

·è un  Principio da recuperare;

·perché lì è il Principio della nostra vita;

·quindi la nostra vita non si realizza finché non lo recuperiamo.

Attualmente ci troviamo in uno stato di confusione, di caos, ma Dio ci parla ancora, ci annuncia il nostro Principio. Se noi vi aderiamo, lo facciamo nostro e lo facciamo interessante, e quindi chiudiamo la porta agli altri interessi che sono motivo di morte. Abbiamo già sperimentato che sono motivo di morte, e avendolo sperimentato abbiamo la grazia di chiudere ad essi la porta, perché per poco che noi la socchiudiamo, essa si spalanca, come si spalanca la porta di una baita in montagna, se la socchiudiamo quando fuori soffia un grande vento.

Dio opera sempre nella fedeltà, rispettando la nostra coscienza. Se noi non partecipiamo, il Principio (la Parola di Dio) rimane esterno, non vita. “L’uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Se incomincio ad agganciarmi a questa Parola (“L’uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”)  che mi interessa, incomincio a ricevere vita e a cambiare modo di pensare. Infatti Gesù dice:  “Voi siete puri a motivo delle parole che avete ascoltato”. È la parola ascoltata che ci purifica, è l’ascolto che ci fa discepoli del Cristo.

Dio parla; se la creatura ascolta, la parola entra, diventa intima, e ci conduce a vedere la Verità, la Gloria. La Verità la vediamo soltanto attraverso la Parola ricevuta, custodita, ascoltata, meditata, capita. La Vita Eterna sta nel raccogliere le Parole di Dio: “Chi raccoglie con Me avrà mercede di vita eterna”, chi ascolta le sue parole riceve un compenso di vita eterna: la Luce, la conoscenza di Dio e quindi fa un passo verso la libertà.

Chi è fedele non cerca la sua liberazione prima della conoscenza della Verità, perché la liberazione è una conseguenza della conoscenza della Verità. Quindi non devo cercarla prima dicendo: “Per ora mi cerco un capitale, una pensione, e quando sarò libero cercherò Dio". Cerca la Verità e la Verità ti farà libero. Aggrappati alla Luce e vivrai; come il filo d’erba. Il filo d’erba non ricorre ad altro, si aggrappa alla luce e vive.

Anche se sono schiavo a causa dei miei errori, devo cercare la Verità attraverso le sue parole.

Se ascolto le parole di Dio, modifico le mie scelte. Quindi non devo mettere prima ciò che devo mettere dopo.

L’ascolto delle parole di Dio mi conduce a vedere la Verità che mi libera. Lo dice Gesù: “Conoscerete la Verità se ascolterete le mie parole e se resterete nelle mie parole”.

Il “Principio”  implica il concetto di esclusione di ogni altro principio: se so che il Principio della Vita è lì, non lo cerco più altrove.

Non basta tenere alto questo pensiero del Principio: è questa esclusività che è importante. La vita è solo lì. Sbagli se la cerchi altrove.

Conclusione: Il Principio è il Verbo, il Verbo è il Pensiero del Padre. È il Pensiero da cui viene la Vita. Il Pensiero è il Verbo del Padre.

La nostra vita sta nella Parola (che è uguale a “Pensiero”), che procede dalla bocca  (cioè dal Pensiero) di Dio.

Va intesa con Dio: “Il Verbo era con Dio”. Non disunirla, perché forma una sola cosa con Dio. C’è il rischio di disunirla, perché la Parola di Dio, essendo segno in me, può essere rivestita del mio io.

La vita viene dalla Parola che viene dalla bocca di Dio, non dalla tua bocca. Questa Parola va sempre intesa in Dio, perché Dio non è mai il nostro io. L’intelligenza della parola di Dio va chiesta a Dio stesso, perché è Dio che illumina ed è Lui che ci forma l’orecchio. Per cui:

per prima cosa bisogna chiedere a Lui che ce lo formi,

 secondo, bisogna chiedere a Dio che ci faccia giungere la Parola,

infine chiedergli che ce la faccia capire.

Ma bisogna sempre riferire tutto a Dio per capirlo in Lui. Ed è così che si cammina e si diventa capaci di vedere la Gloria del Verbo.    



Prologo Capitolo uno Vangelo di San Giovanni Secondo Tema


Titolo: Le cinque scene del prologo.


Argomenti: Recuperare il Principio. L’opera di Dio nel mondo esterno. Invito a passare dall’esterno all’interno. Il Verbo fatto carne. L’incontro col Padre. Le voce delle tenebre. Il peccato e le tenebre. Il peccato è solo interiore.


 

9/Gennaio/1976


(Appunti della parte introduttiva non registrata).

Riflessioni su una esperienza di un ritiro Zen con metodo buddista, letta da una rivista, per scoprire l’importanza del silenzio e imparare ad ascoltare:

Il parlare di Dio è rivelazione di presenza.

Dio dice un’unica Parola, suo Figlio.

Ma è necessario che ci sia l’ascolto.

Bisogna fare il vuoto: togliendo tutto ciò che non è Dio, lì troviamo Dio.

Nel silenzio si rivela la sua Presenza, dandoci così la possibilità di pensarlo.

E se Lo pensiamo è lì che ci suggerisce: fa’ questo o fa’ quello. Più Lo pensiamo e più abbiamo ispirazioni; per questo Lui ci dice: “Non preoccupatevi di ciò che risponderete” (Lc 12,11). Ma bisogna avere presente il Padre.                       

Dall’esposizione di Luigi Bracco.

Possiamo vedere nel Prologo cinque grandi scene che ci danno una panoramica generale sul cammino che dobbiamo percorrere per giungere a conoscere Dio: cammino che va dal recupero del Principio alla contemplazione della Gloria.

·La prima scena è la presentazione di quello che era in Principio: “In principio era il Verbo”, e si conclude con: “…la Luce brilla nelle tenebre, ma le tenebre non la compresero” (Gv 1,1-5), …o meglio: “non comprendono”.

Ciò che era in principio ci viene annunciato affinché noi lo recuperiamo, perché “In principio il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio…, in Lui era la vita”. Ci è annunciato che  in principio la vita era nel Verbo di Dio”, è nella Parola di Dio.

Dio ce lo annuncia perché evidentemente parla a delle creature che si sono allontanate dalla vita, che si sono disperse, che si trovano magari a lottare con la morte; e proprio in questa situazione la voce dice: “In principio la Vita era nel Verbo…”, voi l’avete dimenticato… e così adesso vi trovate in conflitto con le forze contrarie, avverse alla vita, vi trovate a lottare con la morte, con le forze demolitrici (il caos, la confusione, ecc.); ma in principio non era così.

Però, in quanto ce lo annuncia, ce lo annuncia perché noi lo recuperiamo.

Ma recuperare “quello che era in principio”, vuol dire abbandonare e trascurare tutto il resto, perché il principio della vita sta lì, e in quanto sta lì, bisogna recuperare la vita lì, quindi lasciare di cercare la nostra vita in altre cose. Se il principio della vita è lì, bisogna andare “lì” (ma per  andare in un posto nuovo è necessario lasciare quello in cui si è).

Purtroppo la prima scena si conclude con “le tenebre non comprendono”. Sembra tutto finito. E invece no: si apre una seconda scena di speranza:

·La seconda scena: “Ci fu un uomo mandato da Dio il cui nome era Giovanni. Egli venne per rendere testimonianza alla Luce” (Gv 1, 6-8).

In questa seconda scena, siccome noi ci siamo allontanati dal Verbo di Dio, dalla Luce iniziale, ci viene presentata l’azione di recupero da parte di Dio. Allontanandoci (“perché le tenebre non hanno compreso”), ci siamo dispersi nel mondo materiale, cioè siamo stati presi dalle tenebre esteriori, portati via dalle tenebre.

Ora, nel mondo esteriore, che non è luce, Dio opera per rendere testimonianza alla Luce.

In Giovanni c’è la sintesi di tutta l’opera di Dio nel mondo esterno, nel mondo delle creature, quindi la sintesi di  tutte le lezioni della vita, le lezioni dell’Antico Testamento (l’Antico Testamento  si ripete nella vita di ognuno di noi), attraverso le quali Dio ci fa toccare con mano che quel mondo per cui noi viviamo non è vita, che quelle creature per le quali viviamo non sono luce; per cui attraverso queste esperienze, Dio ci convince a desistere dal cercare la Vita, la Luce e la Verità nel nostro mondo esterno.

Ecco la testimonianza di Giovanni Battista: “Io non sono la Luce” (cf Gv 1,20); e l’Evangelista stesso dice:  Non era lui la luce”; per cui  tutte le creature,  raccolte, sintetizzate in Giovanni Battista, testimoniano anch’esse, in un modo o nell’altro, di non essere luce.

Gesù stesso dice che Giovanni Battista è il massimo tra tutte le creature, “tra tutti i nati di donna” (Mt 11,11); quindi è colui che ricapitola  la coscienza dell’uomo e ricapitola tutta l’opera esterna di Dio nel mondo per far dire dalle creature: “Noi non siamo la Luce”.

Tutte le creature infatti con il loro mutare e morire, ci  dicono: “Noi non siamo Dio, noi non siamo la Verità, noi non siamo la Vita; cerca altrove”. Dove? Ce lo dice la terza scena.

·La terza scena ci presenta qual è e dov’è  la Luce vera: “Luce vera è quella che illumina ogni uomo che viene in questo mondo” (Gv 1,9).

La Luce vera è quella che è dentro di te, è la Luce che illumina ogni uomo. Quindi è necessario, per scoprirla, un processo di passaggio dal mondo esterno al mondo interno.

Ora, fintanto che noi non ci convinciamo che dobbiamo desistere dal cercare la vita nelle creature, dal cercare la Luce nel mondo esterno, dal cercare la pace o dall’aspettarcela dal mondo esterno, e non ci orientiamo a cercare queste cose dentro di noi, nello spirito, noi non abbiamo accettato il battesimo di Giovanni Battista, cioè non abbiamo accettato il battesimo di giustizia.

Questa è la lezione principale che Dio dà a tutti gli uomini che sono dispersi nel mondo: cioè è un invito a passare dall’esterno all’interno, perché la Luce vera è dentro ogni uomo.

Questa è la giustizia: “Cerca Dio che è dentro di te, metti Dio al centro dei tuoi interessi, ecc”. Per cui Gesù dice: “Quando vuoi pregare chiudi la porta, entra nel segreto della tua anima, e lì prega il Padre che ti ascolta nel segreto” (Mt 6,6).

Dio è presente dentro di te.

È la lezione di s. Agostino: “Rientra in te stesso, passa dalle cose esterne alle cose interne e poi supera il tuo stesso mondo interiore e raccogliti nel Pensiero di Dio.” Il processo non sta nel passare dalle cose esterne alle cose interne per pensare alle cose nostre, no! Bisogna entrare nel mondo interiore per poi trascendere i nostri pensieri e inoltrarci nel mondo del Pensiero di Dio.

Questo guardare dentro di noi naturalmente esige il “distacco da-”, dal mondo esterno. Guardando dentro di noi, cioè prendendo contatto con questa Luce interna che parla dentro di noi, cosa succede? Succede che si forma il sogno della vita secondo Dio e la constatazione dell’impossibilità della sua realizzazione. Allora lì si forma la fame.

Quindi fintanto che noi non ci separiamo dal mondo esterno, cioè fintanto che noi cerchiamo la vita o aspettiamo la pace e la giustizia nel mondo esterno, fintanto che cerchiamo la comprensione dalle creature, certamente non si forma in noi la fame di Dio, il desiderio di Dio, che è poi ciò che ci conduce ad individuare il Verbo di Dio fatto carne. Infatti  è la fame che ci fa scoprire il pane: soltanto in quanto noi abbiamo fame di Dio, possiamo scoprire il pane di Dio.

In caso diverso andiamo sempre alla ricerca di quel pane che ci possono dare le creature, il mondo, la ricchezza, ecc., confondendo la nostra vita, la nostra pace, la nostra realizzazione con la realizzazione nel mondo esterno di certe carriere, di certi luoghi, di certi posti, ecc.

Ora, fintanto che noi siamo in questa situazione, è segno che non abbiamo ancora accettato il battesimo del Battista, cioè non abbiamo ancora capito la lezione antica che Dio scrive in tutte le cose. In tal caso noi conosciamo soltanto la nostra passione, siamo cioè in situazione di peccato; perché il peccato è distrazione da Dio, ed è conversione alla creatura.

Quindi, fintanto che siamo lì, non soltanto non possiamo incontrare il Cristo, anche se ci diciamo cristiani, anche se facciamo la Comunione tutti i giorni, ma siamo ancora proiettati sul mondo esterno.

D’altronde è il Vangelo stesso che ci insegna che per incontrare il Cristo bisogna aver ricevuto il battesimo del Battista (“Tutto il popolo Lo ha ascoltato, anche i pubblicani, ed hanno reso giustizia a Dio ricevendo il battesimo di Giovanni. Ma i Farisei e i dottori della legge, rifiutandosi di farsi battezzare da lui, hanno reso vano il disegno di Dio verso di loro” {Lc 7,29-30}).

La condizione per poter riconoscere il Pane di Dio, il Verbo di Dio fatto carne, è quella di aver la fame di Dio. Ma la condizione per aver questa fame di Dio, che è poi l’attrazione del Padre, è quella di passare dal mondo esterno al mondo interno. La risposta a questa fame, l’abbiamo nella quarta scena.

·La quarta scena: è il Verbo di Dio fatto carne: “Il Verbo si è fatto carne…” (Gv 1,14). Questo è il Pane per la fame di Dio.

La creatura che, avendo ascoltato la Luce vera che illumina questo mondo, ha formato in sé la fame di Dio, l’attrazione per il Padre, Lo individua, e può dire: “Il Verbo di Dio si è fatto carne”, quindi Lo riconosce. E riconoscendolo Lo segue.

Seguendolo, si ha quella trafila di passaggi di cui si è parlato diverse volte e attraverso cui Cristo ci prepara all’incontro con il Padre, cioè ci porta su quella Vetta da cui si vede la gloria del Verbo. Cioè su questa Vetta si apre la quinta scena.

·La quinta scena: “...noi abbiamo visto la sua gloria, gloria che gli viene come Figlio Unigenito del Padre”.

Quando ci conduce alla Vetta che è l’incontro col Padre, il Cristo, il Verbo di Dio fatto carne, ci lascia e dice: “Me ne vado” (Gv 16,7), perché questa è la condizione per ricevere lo Spirito Santo. È necessario il distacco fisico, perché ci deve dare la possibilità  dell’incontro col Padre, perché la gloria sua viene dal Padre, dall’incontro col Padre. Cristo è il Maestro che ci conduce alla Sorgente, ce la fa vedere e poi dice: “Adesso bevi”.

Ma siamo noi che dobbiamo bere, perché soltanto in quanto direttamente ci impegniamo, arriviamo. È una scoperta nettamente personale, addirittura incomunicabile; è un nome personale che ognuno riceve, che ci fa poi fratelli del Cristo, figli del Padre. Ecco l’adozione! perché noi non siamo figli naturali, ma adottivi:  riceviamo lo stesso nome di figlio, ma questo nome di figlio lo riceviamo dal Padre attraverso il Figlio .

Queste sono le cinque scene del Prologo. Ogni scena contiene poi diversi elementi (es.: la prima scena: … “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio…;  tutto è stato fatto per mezzo di Lui, …in Lui era la vita ecc.”) sui quali bisogna fermarsi personalmente con Dio per comprendere bene ogni scena.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Ines: Più si ripetono questi argomenti e meglio si capiscono. A me però non è tanto chiara la seconda scena.

Luigi: È la presentazione dell’azione di recupero dell’uomo da parte di Dio: cioè la funzione di Giovanni Battista che ci invita alla giustizia essenziale, a mettere  Dio al centro dei nostri pensieri, accogliendo tutto da Dio e riportando tutto a Dio.

Noi oggi però, nel mondo, non vediamo il Verbo di Dio. Noi vediamo le creature. Per noi sono gli uomini che parlano. Infatti l’articolo zen che abbiamo letto testimonia tutta la difficoltà di separarci dal mondo, di far tacere le voci degli uomini, ma non soltanto le voci degli altri, anche le voci nostre, perché anche noi siamo creature; cioè in noi parla la creatura, ma la creatura staccata da Dio. Per cui noi ci accorgiamo che queste parole che ci rintronano dentro, ci distolgono dal Pensiero di Dio, ci confondono, ci creano dei dubbi, ci lasciano incerti, soprattutto ci impediscono il raccoglimento in Dio.

Ora, come mai questa situazione? La situazione è causata dal fatto che fin dall’inizio noi non siamo rimasti nell’ascolto del Verbo di Dio. Cioè il Verbo di Dio parla in tutto, perché tutto è opera di Dio. Infatti  in quanto tutto è opera di Dio, Dio parla in tutto. Quindi la Luce splende. Però è necessario che la creatura raccolga la parola di Dio nel Pensiero di Dio. Cioè non bisogna staccare la parola che giunge a noi da Colui che la pronuncia. Per far questo è necessario il superamento del pensiero del nostro io.

Infatti se noi ascoltiamo le parole, ma ci fermiamo al pensiero del nostro io, non accogliamo la Luce di Dio, ci fermiamo al nostro io. Invece è necessario andare oltre, al di là del nostro io, rapportarlo a Dio, ma questo non avviene naturalmente. Naturalmente la parola di Dio arriva a noi, ma naturalmente non si collega con Dio.

Per cui è detto che “…in principio il Verbo era presso Dio”, era con Dio. Questa unione è fatta da Dio. Ma il Signore ha anche detto: “L’uomo non separi ciò che Dio ha unito” (Mt 19,6), soprattutto non separi la parola da Colui che la dice; non separi la parola di Dio da Dio.

Ma per far sì che la parola di Dio non si separi da Dio, si richiede da noi un certo sforzo, altrimenti la parola si ferma al nostro io.

Quindi, come riceviamo la parola, non dobbiamo pensare a noi. Se, per esempio, uno mi pesta un piede, in quanto mi pesta un piede è parola di Dio, perché è Dio che muove quel tale a pestarmi il piede. Tutto è voluto da Dio, non si muove foglia senza che Dio  voglia; quindi anche il tale che mi pesta un piede è Dio che l’ha mandato a pestarmi il piede. Il sentire il piede schiacciato, l’impressione di dolore, è una cosa naturale: mi arriva. Ciò che non è più naturale è riferire il mio piede schiacciato al Pensiero di Dio. Se ciò non avviene, è perché mi sono fermato al mio io offeso, al mio io che reagisce, al mio io che urla contro quell’altro, proprio perché attribuisco a quest’altro l’episodio.

Ecco, fermandomi al mio io, il mio io non fa altro che proliferare tanti altri io attorno a sé, e allora  vede l’altro come iniziatore. Chi è nel pensiero dell’io, non vede più Dio, ma vede l’altro come un altro io, come un altro uomo.

Quindi nell’io, se subisco una pestata di piede, non dico: “È Dio che mi ha pestato il piede”, perché per poter dire “è Dio”, devo passare al di là, superare l’io.

Quando Gesù ci dice di rinnegare noi stessi che cosa ci chiede? Non si tratta di fare della ginnastica ripetendo: “Adesso rinnego me stesso”, come non si tratta nemmeno di lottare contro i nostri pensieri, come si dice ad esempio nel ritiro Zen; perché in quanto uno lotta, pensa a se stesso. Ma si tratta di attraversare il pensiero del nostro io, di andare al di là del pensiero del nostro io, quindi di non fermarci ad esso, ma dire: “Un momento, questa cosa in quanto avviene non sono io che l’ho fatta o non è l’altro io che l’ha fatta; è un altro Essere che l’ha fatta: quindi devo cercare la ragione di questo avvenimento in Colui che l’ha fatta”, che non è un altro io, un altro uomo, ma che è Dio.

Allora, se io cerco la ragione di questo fatto, di questo segno (piede pestato), in Dio, ecco che avviene una modificazione dentro di me.

Fermandoci al nostro io, noi ci arrabbiamo contro il nostro fratello, oppure ci scontriamo, abbiamo la giornata sconvolta, con sentimenti contro la società, ecc. Se invece accogliamo il fatto da Dio, diciamo: “un momento, è Dio che l’ha mandato a pestarmi un piede; sarà per umiliarmi, ecc.”. Comunque cerchiamo la ragione di questo fatto presso Dio: allora qui si accende una luce, quella luce che mi libera prima di tutto dall’offesa verso il fratello; anzi uno è condotto addirittura ad amarlo, perché è un mezzo attraverso cui Dio opera in noi.

Un esempio toccante è quello di quell’uomo innocente condannato all’ergastolo, nel libro “Ecco la notte”, che ad un certo momento piange di gioia perché Dio l’ha condannato all’ergastolo. Lui non ha visto l’errore del tribunale e non vede negli aguzzini, nelle guardie, gli uomini, ma vede sempre e soltanto Dio. E lui è felicissimo, perché ha mancato prima, con colpe che magari il mondo non conosce, però sentendosi punito da Dio, si sente pensato da Dio: “Dio è intervenuto nella mia vita, Dio sta operando su di me e anche se mi fa soffrire poco importa…”.

Sentirsi pensati è la massima gioia della creatura, perché se essa si sente pensata, si sente amata. Per cui è meglio soffrire, ma amati, piuttosto che essere nell’agio, ecc., ma non pensati. E allora ecco che si piange di gioia quando si trova Dio, perché si trova Uno che non smette mai di pensarci.

Quindi la cosa veramente importante è non fermarci al nostro io, ma in tutte le cose il Verbo va sempre mantenuto unito ad esse. Le opere di Dio vanno sempre collegate con Dio, vanno sempre riferite a Dio, vanno sempre riportate a Dio.

È poi quello che sempre si dice: “Bisogna accogliere tutto dalla mano di Dio e riportare tutto a Lui” .

Altrimenti noi ci confondiamo, o meglio ci avvolgiamo in una matassa da cui non  usciamo più, perché scambiamo i segni per sostanze, l’Operatore, che è Dio, con le creature, con le opere e allora ci allontaniamo dalla Luce, cadendo inevitabilmente nelle tenebre.

Ines: Quindi non solo non entriamo, ma ci allontaniamo sempre più dal nostro Principio.

Luigi: Ci allontaniamo sempre di più. Infatti s.Paolo dice che fintanto che noi viviamo nel corpo, cioè secondo la vita naturale, ci allontaniamo sempre di più da Dio, dalla nostra Salvezza.

Però, in queste tenebre c’è una lezione, perché Dio opera anche nei nostri errori. Dio si fa sentire anche nei nostri mali, nei nostri peccati, nelle nostre colpe, nelle nostre distrazioni. Quindi non è che Dio stia lontano per vederci così. Dio opera anche nelle nostre confusioni e fa rendere testimonianza alle tenebre stesse in cui noi siamo avvolti, che  esse non sono la vita, che esse non sono la nostra liberazione, che in esse non c’è la Luce.

Quindi quella delle creature  è una testimonianza negativa che ci richiama a quella Sorgente che noi abbiamo trascurato.

Questa è la voce di Giovanni Battista, il quale dice che viene a rendere testimonianza alla Luce. Egli dice: “Io non sono la Luce”. Quindi se in Giovanni Battista c’è la sintesi della voce di tutte le creature, tutte le creature devono dire a noi: “Io non sono la tua luce, io non sono la tua pace, io non sono la tua vita.

Eligio: È la voce di tutte le creature, non però in quanto tenebra.

Luigi: Sì, in quanto tenebra.

Eligio: Ma allora anche le tenebre sono sintetizzate in Giovanni Battista?

Luigi: Giovanni Battista non è Luce, è tenebra. Lui stesso dice: “Io non sono la Luce”. È la testimonianza del mondo delle tenebre.

Eligio: Ma la tenebra non è ciò che si oppone alla Luce di Dio?

Luigi: No, chiariamolo bene: la tenebra di per sé non è opposizione alla Luce, ma bisogno di luce, quindi testimonianza alla luce. Giovanni Battista è la sintesi, quindi è la voce delle tenebre che dicono: “Io non sono la luce”.

Ines: Perché allora Gesù lo chiama “il più grande dei Profeti”?

Luigi: Gesù dice di lui: “È il più grande dei profeti tra i nati di donna, ma il più piccolo nel Regno di Dio è più grande di lui” (Mt 11,11). Allora dobbiamo chiederci: che differenza passa tra un figlio di donna e il più piccolo nel Regno di Dio? Il figlio di donna, cioè la voce di tutti i profeti, è la creatura che testimonia il bisogno di Dio, cioè è la creatura che sospira, che denuncia la sua povertà, che dichiara la sua insufficienza, la sua incapacità a vivere, ad attuare la pace, a trovare la Luce, la Verità: è la testimonianza della nostra morte. L’uomo che muore testimonia che la vita è altrove.

Quindi questa testimonianza di “figlio di donna” è la sintesi di tutti i profeti. I profeti sono coloro che annunciano di non essere la Verità, ma che la Verità è un Altro; per cui essi invitano: “Preparatevi, andate incontro, cercate Dio, sospiratelo…”.

Ines: E queste sono tenebre?

Luigi: Questa è voce di tenebre,  non è voce di Luce. Al contrario il  più piccolo nel Regno di Dio è nella Luce: allora egli parla di Dio, glorifica Dio, vede Dio, cioè ha incontrato Dio, perché nel Regno di Dio si gode della presenza di Dio.

Quindi nelle tenebre si invoca il mattino: è la sentinella che invoca l’alba.

Invece il  più piccolo nel Regno di Dio è quello che ha incontrato il mattino e quindi ha incontrato la Luce; segue la Luce, e quindi non parla più del bisogno, ma parla della Luce, parla di Dio, perché il più piccolo nel Regno di Dio è la creatura che vive con Dio, è un figlio di Dio.

Là invece è la creatura assente da Dio, che denuncia però l’assenza, soffre nell’assenza, che piange perché ha perso il suo bene. Abbiamo i Salmi e le profezie antiche che sono tutto un piangere il bene perduto, sono un invocare, un pregare.

Nelle tenebre si piange perché non si vede la Luce, ma con questo pianto si testimonia quindi che c’è la Luce, perché non si piangerebbe se non ci fosse la Luce.

In quanto uno denuncia una privazione è positivo: è la testimonianza della notte, è la testimonianza delle tenebre: nella privazione la creatura testimonia che esiste la Luce, che esiste il giorno, e lo sospira, lo invoca, però non può fare niente, perché il giorno dipende da Dio. Se Dio non viene incontro, l’alba non sorge.

Per cui i figli del Regno nascono da Dio,  non nascono più dalla creatura; e qui abbiamo la creatura nuova. Infatti ad un certo punto nel Prologo è detto: “Non per opera di sangue, non per opera di carne, ma i figli di Dio nascono da Dio” : ecco, abbiamo una creatura nuova.

Il giorno, l’alba è opera di Dio, mentre invece la notte, le tenebre testimoniano la privazione di Dio; testimoniano, quindi annunciano che la Luce, Dio, esiste, perché in quanto uno denuncia la privazione di un bene, denuncia che quel bene esiste, lo sospira, lo invoca, però non può fare niente.

Nella notte non possiamo fare niente; basta spegnere la luce e ci rendiamo conto: non vediamo più e non sappiamo più dove andare. Ed è proprio questo non saper dove andare, questo non poter più né camminare, né leggere, ecc., che denunciano il bisogno della luce.

Però la luce non dipende da noi.

Pinuccia B.: Gesù però quando dice: “Il più piccolo del Regno di Dio è più grande di lui”, non è che escluda che  il Battista sia entrato  nel Regno di Dio, vero?

Luigi: Ah, no! Giovanni Battista aveva una sua funzione. Qui non giudichiamo le anime, ma le funzioni, i segni, il compito che essi ebbero. Gesù parlando del Battista, ne parla per la funzione di precursore; egli è l’ultimo dei profeti, il più grande perché arriva a contatto col Cristo. Invece tutti gli altri, da lontano, Lo invocano, Lo sospirano. Il Battista Lo segnala, Lo prepara (= è la sintesi), concludendo la voce di tutte le creature, dicendo: “Fate penitenza”.

Ora, questa penitenza vuol dire: “Mettete Dio al centro, al disopra di tutto; spostate il vostro io dal centro”. E questa è la giustizia essenziale, che è la condizione per poter incominciare ad intendere la vita secondo Dio e quindi a nutrire la fame, il bisogno di Dio che ci farà poi individuare il Pane (perché senza questa fame non si può individuare il Pane). Abbiamo tutta una preparazione determinata da una situazione negativa, dalla situazione della privazione di Dio, la situazione della notte, delle tenebre.

Nella notte, nelle tenebre, ci può essere l’errore della creatura che si appassiona alle tenebre. Allora qui non abbiamo il profeta, ma abbiamo il peccato.

Eligio: Ma le tenebre non sono l’espressione dell’io che nega Dio? Non rappresentano sempre il peccato?

Luigi: Il peccato è sempre una cosa personale. Invece qui, nelle tenebre, abbiamo il volto, la conseguenza  del peccato (conseguenza che non è più personale e che testimonia una privazione di luce). Cioè bisogna distinguere:

·quando uno si distoglie da Dio e preferisce la creatura, qui abbiamo la situazione di peccato personale, perché uno si rifiuta di riconoscere Dio: queste sono le tenebre che non hanno riconosciuto la Luce, Dio.

·Ma poi nelle tenebre c’è una testimonianza negativa; cioè colui che rifiuta Dio, ad esempio viene a trovarsi nel dubbio. Il dubbio è voce delle tenebre. Colui che rifiuta Dio viene a trovarsi nell’inquietudine, viene a trovarsi nella mancanza di vita, viene a trovarsi a sfiorare la morte, viene a morire, ma tutte queste cose non sono volute dalla creatura:  la creatura le subisce in conseguenza di un distacco da Dio. E questa è testimonianza negativa delle tenebre.

Quando la creatura dice: “La mia volontà non conosce ostacoli” (ed è subito smentita), è testimonianza negativa delle tenebre; ma non  che la creatura voglia positivamente dire: “Voglio glorificare Dio”, però Lo confessa, Lo testimonia per le conseguenze che subisce e che sono voce delle tenebre.

Giovanni Battista rappresenta non solo la voce delle tenebre che sospirano e cercano Dio, ma anche questa voce, la voce di queste tenebre che rifiutano Dio e che testimoniano anch’esse la privazione di Dio.

Facciamo un esempio: Niestche diceva: “Dio è morto”, e affermava il super-uomo, l’uomo come centro di tutto. Ad un certo momento impazzisce e muore pazzo. Abbiamo in lui l’uomo che dice: “Dio non esiste” (anche se abbiamo testimonianze che l’hanno sentito dire invece che Dio esiste) e che dice: “L’uomo è il centro di tutto”.

Quindi qui noi dovremmo vedere la massima espressività dell’uomo grande, del super-uomo, e invece vediamo l’uomo che impazzisce. La pazzia non è più lui che l’ha voluta, però è la testimonianza delle tenebre. Quali tenebre? Dell’uomo che dice: “Dio non esiste”. Le sue tenebre, la sua pazzia glorificano Dio.

Ecco, l’uomo che cerca la vita, ma non la cerca dove la vita è (cioè non la cerca nel Verbo) e che muore nonostante non voglia morire, con la sua morte glorifica Dio. L’uomo con il suo errore glorifica ancora il Signore, perché Dio trae gloria “anche là dove non ha seminato” (Mt 25,24-26), anche dalle testimonianze negative.

Per cui tutto è positivo per il Signore. Lui trae gloria da tutto; trae gloria da coloro che Lo conoscono, da coloro che Lo cercano e da coloro che si rifiutano di conoscerlo. Per cui chi ha messo Dio al centro, riceve testimonianza non soltanto dai buoni, ma anche dai cattivi, perché tutti glorificano e testimoniano Dio. In coloro che Lo conoscono abbiamo la testimonianza positiva; in coloro che Lo cercano o Lo rifiutano abbiamo la testimonianza negativa.

Allora la voce di tutta questa parte negativa sia di chi cerca Dio e sia di chi nega Dio è sintetizzata in Giovanni Battista.

Pinuccia B.: Ma c’è differenza tra la gloria che riceve Dio da uno che Lo conosce e da uno che Lo cerca o lo nega?

Luigi: Certo, è molto diverso.

Pinuccia B.: Però tanto uno come l’altro, essendo creature, sono tenebra, per cui anche  chi conosce Dio rende una testimonianza negativa, perché anche lui, come Giovanni Battista dice: “Io non sono Dio, io non sono la luce”.

Luigi: No, perché il più piccolo del Regno di Dio parla di Dio e glorifica Dio, non parla di sé. È testimonianza positiva. È la creatura che è ancora nelle tenebre che dice: “Io non sono Dio” e che è quindi testimonianza negativa.

Pinuccia B.: Però anche chi afferma Dio, muore o può impazzire.

Luigi: Certo, è come Gesù, Figlio di Dio, che muore sulla Croce; ma c’è un messaggio tutto particolare di questa innocenza che soffre, di questo Uomo che si mette nelle mani di coloro che lo mandano a morte:  muore per salvarci, e morendo glorifica Dio compiendo la sua Volontà. Così è per la creatura che è figlia di Dio, cioè che nasce da Dio, che appartiene al Regno di Dio: essa  parla di Dio, dà la possibilità di conoscere Dio, glorifica Dio.

La creatura invece che è figlia di donna, cioè che appartiene al mondo naturale, sospira Dio. Ecco la diversità: per cui le tenebre sospirano il sole, il giorno; quelle che ormai appartengono al giorno, parlano del giorno, glorificano il giorno.

Eligio: Chi appartiene al mondo naturale non mi pare che sospiri Dio, bensì il mondo che ha per centro il suo io.

Luigi: Sì, perché lì abbiamo la situazione di peccato…. Però in questa creatura che sbaglia, che è presa dal peccato, che segue il “principe di questo mondo”, si verificano certe situazioni non volute dalla creatura; la creatura stessa, sbagliando, prende una cantonata, ma la cantonata glorifica Dio.

Eligio: Pensavo che  la creatura che glorifica Dio nella sua esperienza negativa, non fosse  più la creatura che rifiuta Dio e mette il suo io al centro, ma quella che, pur volendo mettere Dio al centro, sbaglia, per cui  è il suo stato di debolezza che conferma la gloria di Dio.

Luigi: Ma anche la creatura che mette il suo io al centro, che fa il peccato, glorifica Dio. Facendo peccato (cerca, ad esempio, la sua felicità nella ricchezza), cercando la ricchezza, viene a trovarsi in una situazione tale di conflittualità, di agitazione, per cui rende gloria a Dio anche se non lo sa. Non lo sa, perché per vederlo dovrebbe essere nella Luce.

Eligio: Diversa però è la situazione del Battista, che tu dici essere nelle tenebre, cosa che stento a capire…

Luigi: Giovanni Battista è nelle tenebre, perché appartiene all’Antico Testamento e l’Antico Testamento è immerso nelle tenebre. Egli  sospira la Luce e dice: “Io non sono la Luce”. Egli viene a rendere testimonianza che la Luce è un Altro. Ora se non è la Luce, vuol dire che è tenebra. In lui però non abbiamo l’uomo orgoglioso che rifiuta.

Essendo tenebra, Giovanni Battista raccoglie:

·la voce delle tenebre che sospirano la luce (e dà voce a questa voce)

·e anche la voce delle tenebre che rifiutano la luce e che rendono anch’esse testimonianza alla luce.

Questa duplice testimonianza negativa è raccolta dai profeti. Ma i profeti non raccolgono  quella positiva, perché quella positiva è data solo dai figli di Dio, da coloro che hanno trovato Dio.

Pinuccia B.: Ma Giovanni Battista è colui che cerca Dio…

Luigi: Chi cerca Dio è ancora nelle tenebre e quindi è testimonianza negativa. Chi invece non cerca Dio, non è lui che dà testimonianza negativa, perché è nel peccato. Cioè qui non abbiamo la creatura che rende testimonianza negativa, ma abbiamo Dio che prende testimonianza anche dal peccato, anche dal demonio; perché l’uomo peccatore che viene a trovarsi in situazione stressante, in situazione di morte o di vuoto interiore, glorifica Dio; non vuole glorificare Dio, ma Lo glorifica, perché Dio trae gloria da tutto e da tutti.

Ora, Giovanni Battista, essendo tenebra e non luce, raccoglie  la voce, la testimonianza di costoro e anche quella di chi sospira Dio (perché è lui stesso che sospira Dio).

Angelo B.: Quindi tra situazione di tenebre e peccato c’è differenza?

Luigi: La situazione di tenebra di per sé non è peccato. Diventa peccato quando le tenebre non sospirano più la luce, ma affermano di vedere, di essere loro stesse la luce.

Il peccato è personale ed è tenebra perché è opposizione a Dio. Ma le conseguenze di questo (dubbi, inquietudini, ecc.) sono opera di Dio, per cui abbiamo  la testimonianza anche di queste tenebre che rifiutano Dio, che  sono nel peccato. Cioè, se dico: “Non voglio saperne di Dio”, la mia situazione di tenebra è  una situazione di peccato, per cui dicendo questo, ad esempio, mi rovino; però la mia rovina glorifica Dio, e questa è la testimonianza delle tenebre che rifiutano Dio: cioè testimoniano che la vita è solo in Dio.

Un altro esempio: ho fame, mi si offre un pezzo di pane; rifiuto il pane: muoio di fame. La mia morte di fame rende testimonianza che quello era il pane che avrei dovuto mangiare.

Il peccato sta nel rifiuto. La morte che ne consegue, testimonia la validità del pane. Ecco la distinzione tra il peccato e la testimonianza che Dio trae dalle conseguenze del peccato.

La morte è la conseguenza del peccato. Nelle conseguenze del peccato Dio opera ancora per cercare di recuperarci alla salvezza (ad esempio facendoci morire). All’inizio “Dio non creò la morte, la morte entrò in conseguenza del peccato” (Sap 2,23-24). Noi possiamo dire: “Dio ci ha puniti”. No! La morte che Dio ha mandato in conseguenza del peccato è atto di misericordia di Dio per salvare l’uomo attraverso il suo peccato.

Ines: Ma se muore, è finito…

Luigi: Non è finito, perché l’uomo si accorge di morire. Attraverso il processo della morte Dio, sotto un certo aspetto, fa violenza sull’uomo per cercare di salvarlo (quindi è un atto di misericordia). Ora, sotto l’aspetto morte noi mettiamo tante cose: il vuoto dell’anima, i dubbi, la confusione, le incertezze, i problemi del mondo, la testa che fuma, ecc.; tutte queste cose assieme sono sotto il segno della morte.

Ines: E queste esperienze denunciano il bisogno di Dio, quindi testimoniano Dio.

Luigi: Certo, perché il peccato è solo interiore. Tutto quello che viene in conseguenza di questo peccato è opera di Dio. S. Agostino chiede perdono al Signore per tutte le colpe non fatte, perché Dio gliele ha impedite di fare, ma lui è colpevole di tutte. Perché dal momento in cui ci stacchiamo da Dio, in potenza abbiamo già commesso tutti i peccati del mondo, tutti i delitti, perché staccandoci da Dio noi diventiamo delitto, e se Dio ci mette nell’occasione, noi facciamo il delitto.

Staccati da Dio, implicitamente noi abbiamo già fatto tutti i mali e dobbiamo arrivare a riconoscerlo. Non possiamo dire: “Io non l’ho fatto”, perché è solo Dio che ti ha impedito di farlo, se no tu l’avresti fatto.

Quindi non dobbiamo mai vantarci, perché noi implicitamente, in quanto mettiamo il nostro io al centro e quindi trascuriamo Dio, immediatamente ci carichiamo di tutti i peccati del mondo:

·se non li facciamo è solo perché Dio ce lo impedisce, evitandoci certe occasioni;

·se li facciamo è Dio che ce li fa fare, e ce li fa fare per atto di misericordia, per farci toccare con mano: “Vedi a che punto sei?”. A che punto sei interiormente!

Quindi il peccato è interiore, è il distacco da Dio, ma l’azione esterna è atto di misericordia di Dio, opera di Dio, quindi parola di Dio. Ad esempio: Mi distacco da Dio, e ad un certo momento Dio mi fa uccidere una persona. Chi lo avrebbe mai pensato? Eppure ho ucciso! Questo fatto è parola di Dio per dire a me: “Vedi quello che portavi dentro e non ti rendevi conto? Adesso hai toccato con mano”. Ecco, questo farci toccare con mano è un atto di misericordia di Dio. Ed è la sintesi della crocifissione del Cristo. L’uomo ha già ucciso Dio dentro di sé, ma non lo sa.

Infatti quando Gesù dice ai Farisei: “Voi cercate di uccidermi”,  essi risposero: “Tu hai un demonio. Chi cerca di ucciderti?” (Gv 7, 20). E Gesù spiega: “Voi cercate di uccidermi, perché le mie parole non penetrano in voi” (Gv 8,37); “Voi avete un altro padre, il demonio, il delitto” (Gv 8,44). All’ultimo chi ha avuto ragione è stato Gesù: L’hanno ucciso. Ma quando aveva detto: “Voi cercate di uccidermi”, non lo pensavano nemmeno, inizialmente non era intenzione loro di ucciderlo; non si rendevano conto che già L’avevano ucciso dentro di sé.

Ma Gesù che vede il loro animo, dice: “In quanto non potete sopportare il mio parlare, non accogliete le mie parole, voi  mi avete già ucciso dentro”. L’uomo però non si rende conto, perché fintanto che il fatto avviene soltanto spiritualmente l’uomo non lo percepisce; l’uomo non percepisce i fatti dell’anima. Per percepirli, ha bisogno di esteriorizzarli. Ma l’esteriorizzazione è opera di Dio, opera della misericordia di Dio che gli fa toccare con mano questo delitto e gli fa mettere  in Croce suo Figlio (ecco il Figlio dell’uomo!), affinché l’uomo tocchi con mano il delitto che porta dentro.

Quindi bisogna distinguere:

·il peccato è dentro;

·la testimonianza delle tenebre, il fatto che avviene nell’esterno, è la significazione di questo peccato interiore, di quello che è. E qui allora abbiamo la creatura che, anche a sua insaputa, testimonia, e quindi glorifica il Signore attraverso le conseguenze esterne.

Pinuccia B.: Hai detto che io non devo giudicare la creatura che uccide, perché magari è un angelo che Dio adopera per dare una lezione a me. Ma allora, se è un angelo, posso ancora pensare che Dio gli ha fatto compiere l’uccisione esterna come opera di misericordia per dirgli: “Guarda, tocca con mano quello che hai dentro”?

Luigi: Noi non possiamo mai giudicare, ma dobbiamo solo cercare di capire la lezione che Dio ci vuol dare. Infatti  dobbiamo sempre distinguere tra quello che si presenta a noi e quello che facciamo noi. SEMPRE! Tutto quello che si presenta a noi, quindi che non dipende da noi, è opera di Dio; è opera angelica. Non possiamo giudicare. Anche Giuda può essere un angelo, non possiamo giudicarlo, ma possiamo e dobbiamo dire: “È opera di Dio, opera angelica, perché in quanto è avvenuto, non è opera mia, è avvenuto per mano di Dio”. È scena, è lezione di Dio che Dio ci presenta per dirci: “Guarda che tu puoi essere un Giuda, tu puoi essere un assassino…”. Quindi non possiamo giudicare la persona (neppure la Chiesa può dire che Giuda è all’inferno: non può giudicare! Perché il giudizio è del Signore). Quello è lezione di Dio.

Dobbiamo sempre distinguere, mai confondere; altrimenti noi vediamo solo più il nostro io, l’io dell’altro e allora diciamo: “È mio fratello che mi pesta il piede”, non dico più: “È Dio che mi pesta il piede”. Tutto ciò che non dipende da noi, anche se noi siamo i più grandi delinquenti di questo mondo, è opera di Dio per noi; quindi tutto ciò che accade è scena per noi personalmente, e anche se è avvenuta cinque miliardi di anni fa, non importa. Quindi in quanto mi arriva è opera di Dio, è scena per me; mi arriva, quindi è Dio che me la fa giungere. In quanto me la fa giungere, do una risposta.

Anche l’indifferenza è una risposta, per cui anche se diciamo: “È avvenuta un miliardo di anni fa, non mi interessa”, abbiamo dato un giudizio e lì diventiamo responsabili: non abbiamo tenuto conto che era Dio che ce la faceva giungere da distanze lontanissime, con un suo messaggio “per me”.

Se invece teniamo presente Dio, diciamo: “Guarda Dio come è grande: da una distanza lontanissima mi fa giungere questo messaggio: lo devo tenere molto prezioso”.

Quindi se siamo indifferenti è perché abbiamo già trascurato Dio.

Se teniamo presente Dio consideriamo seriamente quello che ci giunge, anche se proviene da distanze immense di tempo e di spazio. In quanto ci giunge, è Dio che ce lo fa giungere e va considerato seriamente: lì sta la fede, ciò che caratterizza la fede.

Chi ha fede considera seriamente ciò che Dio gli presenta, gli fa giungere, perché è Dio che parla! (ed è ancora  Dio che ci dà la capacità di percepire quel fatto che arriva a noi). Chi non ha fede invece prende a calci le cose... o sbuffa e butta via.

Dobbiamo dunque sempre stare attenti a distinguere tutto quello che non dipende da noi da ciò che dipende da noi:

-1) Quello che non dipende da noi reca sempre con sé la mano di Dio, ed è segno “per me” : è opera di Dio, è opera angelica. Quindi in sé può benissimo essere un angelo. È un annuncio, una parola di Dio che giunge a noi. Allora noi non dobbiamo mai giudicare, ma dobbiamo cercare:

·prima di tutto di accogliere il fatto da Dio,

·quindi non attribuirlo al fratello, non urtarci col fratello o entrare in lite, perché è Dio che ci ha fatto arrivare questo;

·poi desiderare di  cercare di capire il significato, la lezione che Dio ci ha voluto dare in quell’episodio; perché in quanto Dio fa giungere a noi un messaggio, questo ha un significato personale, sempre! perché Dio ci tratta personalmente.

Quindi la prima lezione è accettare da Dio, perché se non accettiamo da Dio l’attribuiamo agli altri, al caso, alle cause naturali, agli uomini, ecc., e questo naturalmente ci involge nella matassa e ci porta lontano da Dio.

Quello che non dipende da noi, anche se provocato da altri, è lezione di Dio per noi. Per esempio, se uno è condannato ai lavori forzati, in carcere, ecc., non possiamo dire: “È colpa sua, gli sta bene”. No, ma dobbiamo dire: “È colpa mia, lui sta soffrendo ciò che merito io”.

Invece in quello che dipende da noi, dobbiamo stare molto attenti in modo che parta dal Pensiero di Dio e non dall’io.

Eligio: Mi è più facile capire l’opera di Dio per me se uno mi pesta un piede che non in ciò che succede lontano da me. Stasera, ad esempio, ho letto qualcosa sugli atti del processo di Norimberga, ma come si fa a dire con sincerità: “Sono anch’io colpevole di quello”? Come possiamo considerarci colpevoli dei grandi delitti lontani, di ciò che leggiamo sui giornali?

Luigi: Eppure se noi  teniamo presente Dio, lo possiamo dire con sincerità. Anche perché se stasera leggo una notizia, ad esempio di un omicidio, non sono io che l’ho letta, ma è Dio che mi ha guidato e mi ha fatto leggere quella notizia, è Lui che me l’ha messa davanti. E se me l’ha messa davanti, aveva un messaggio tutto particolare da farmi considerare.

Eligio: Rispetto a ciò che si diceva prima, è proprio vero che non posso dire che in quelle condizioni io quello non l’avrei fatto. No, anzi devo dire: io avrei fatto  peggio.

Luigi: Ecco perché Gesù ci dice: “Quand’anche aveste fatto tutto quanto dovevate, dite sempre: siamo servi inutili. Mettiti sempre all’ultimo posto. E quando sei invitato a nozze, non metterti mai al primo posto” (Lc 17,10; Lc 14,10). Quindi la condizione nostra onesta, giusta, è sempre quella dell’ultimo peccatore: “Signore, io non sono degno” (Lc 7,7), anche se non hai fatto niente, anche se sei invitato a nozze; perché il Signore ti può sempre dire: “Guarda che se Io ti avessi messo in quell’occasione avresti fatto questo e quell’altro…, perché eri nel pensiero del tuo io”.

Quindi la posizione vera è quella dell’ultimo posto. Sarà il Signore che magari ti dirà: “Sali più su…”, ma tu mettiti all’ultimo posto, sempre. Quindi è la posizione del dubbio, come dicevamo la volta scorsa: non bisogna mai essere troppo sicuri, perché il giudizio deve essere di Dio.

Eligio: Quello che è difficile è sentirmi colpevole di questa programmazione di delitti, così come è emersa da quanto ho letto stasera.

Luigi: Eppure ogni cosa che accade, accade personalmente per ognuno di noi; chi soffre, soffre per noi, per ognuno di noi. È  Dio che ci sta parlando e che ci vuole comunicare qualche cosa. Tutta la sofferenza del mondo per capirla bene bisogna sempre sintetizzarla nella Croce di Cristo. Allora dobbiamo chiederci: perché Dio  ci presenta Cristo in  Croce? Per quale motivo? Non è soltanto per dirci: “ Ti presento la Croce perché tu puoi fare quella fine lì, o sei degno di fare quella fine lì”, ma: “Lui soffre per te”. Ecco, Lui sta soffrendo per te! Così ci dice quando ci presenta qualcuno che soffre.

Dio ci presenta la Croce perché c’è “qualche cosa” da capire, un “qualche cosa” che oltre a rivelarci le nostre responsabilità, ci propone la soluzione al problema dell’esistenza: il superamento dell’io per iniziare a vivere per Dio.

Quindi chi ha sofferto e chi soffre, ha sofferto e soffre per te! La colpa è sempre nostra; in quanto Dio ci presenta una scena non possiamo mai attribuire la colpa all’attore.

Eligio: Ma potrei astenermi  dal giudizio.

Luigi: Ma non basta astenersi dal giudizio, perché se Dio te lo presenta tu devi intenderlo. Ha una funzione pedagogica.

Eligio: Come dicevo prima: stento enormemente  a capire la complicità in un fatto lontano come spazio e tempo.

Luigi: La complicità passa soltanto attraverso Dio; perché se Dio mi presenta uno che soffre, proprio in quanto me lo presenta c’è una relazione di colpa in me: è per me che soffre! perché Dio non mi presenta uno che soffre per colpe sue, io non posso dirlo, perché  alle estreme conseguenze Dio ci presenta Cristo; certamente Cristo non soffre per colpe sue, questo è certo. Più lontano, ad esempio, un Hitler che muore,  ci confonde, perché ha delle colpe sue, cioè ha delle apparenze negative: in lui  non si vede quella purezza che si trova in Cristo. Invece in Cristo si trova quella purezza tale per cui  nessuno può dire: “Se lo meritava!”. È qui la bellezza del Vangelo! Perché il Vangelo è netto, per cui più ci scostiamo dal Vangelo e più la luce si confonde con le ombre.

Però tutto quello che è scena noi non possiamo mai giudicarlo, perché ogni creatura è un   attore. Quindi in quanto è attore io devo ricevere la scena su di me, perché è Dio che me la presenta. Ora, in quanto è Dio che me la presenta, Dio non è colpevole.

Se Dio mi pesta un piede e io ritengo che sia un uomo ad avermelo pestato, posso inveire contro l’uomo, perché ritengo sia difettoso e zotico. Ma con Dio no. Per cui  se  dico: “Signore, sei Tu che mi hai pestato un piede”, non posso dire: “Tu sei colpevole”, ma: “La colpa è tutta mia”. Infatti se ritengo sia Dio ad avermi pestato un piede, sono costretto ad ammettere: “Se Tu mi hai pestato un piede, certamente una colpa è in me, certamente c’è qualche cosa in me che deve essere modificato, per cui Tu mi richiami”.

Quindi noi abbiamo:

·Dio che è tutta purezza, tutta Verità, tutta giustizia, tutta Luce,

·noi che siamo tutta notte

·e poi c’è l’opera di questo Essere tutto luminoso che sta interferendo con la notte per cercare di liberarci.

Allora, se noi riteniamo che tutto quello che non dipende da noi è Dio che ce lo fa giungere (perché in quanto è opera di Dio è Dio che ce la fa giungere),  riteniamo che certamente non ce lo fa giungere per farci giudicare il fatto o la creatura. E allora?  Dio è innocente, senz’altro, e allora se ci presenta una situazione che ci scandalizza, che ci urta, ci sconvolge, è perché vuol farci capire qualcosa.

Eligio: Può essere un modo per dirci: “Guarda dove puoi arrivare se sei staccato da Dio”, e fin qui tutto fila liscio.

Luigi: Certo. Però c’è una lezione ulteriore. È già buono essere convinti di questo, perché in quanto uno accetta la lezione pedagogica di Dio, fa già un primo passo perché accetta Dio. Altrimenti se uno non accetta Dio, nel vedere, ad esempio,  uno in carcere, dice: “Gli sta bene” (come mia mamma che dopo aver ucciso il topo ha detto: “Stavolta l’ho ammazzato! mi mangiava le mele…”. ). Ma chi dice: “Gli sta bene, è colpa sua”, in fondo si ritiene giusto; però un giorno scoprirà di essere anche lui colpevole.

Quindi è già un primo passo accettare l’azione pedagogica di Dio. Ma andiamo più a fondo. Dio ci dice: “Guarda che tu hai fatto quel delitto”. E il Signore domani potrebbe dimostrare perfettamente che tutti noi abbiamo fatto ogni genere di delitto (e nota che la creatura non può dire niente su ciò che Dio dimostra).

Pinuccia B.: Come si può arrivare a dire con sincerità: “Io l’ho fatto”? È abbastanza facile cogliere la prima lezione e dire: “Guarda dove posso arrivare se mi stacco da Dio”, oppure: “Se mi fossi trovato  nelle stesse  condizioni anch’io avrei fatto  lo stesso..., quindi non devo giudicare”. Ma come si può arrivare a capire con certezza che io ho fatto quel delitto?

Luigi: È perché l’io staccato da Dio è tutto delitto. Nota bene: se tu non fai fuori,  è soltanto perché Dio te lo impedisce, ma tu l’hai fatto dentro di te, e questo Dio te lo può dimostrare, e in quanto te lo può dimostrare, sei servita! Non possiamo opporre niente alle ragioni di Dio.

Pinuccia B.: Se io non lo faccio è perché Dio…

Luigi: …ti impedisce di farlo. Ora, le occasioni è Lui che le crea e ce le presenta, per cui  se noi non abbiamo fatto, è soltanto perché Lui ce l’ha impedito. E quindi, di che cosa ti vanti, o uomo?

Pinuccia B.: Cioè Lui vuole accentrare la nostra attenzione sull’interno.

Luigi: Abbiamo detto che la giustizia sta nel  passaggio  dall’esterno all’interno, per riconoscere che tutto è opera di Dio.

Pinuccia B.: È estremamente liberante questo.

Luigi: Perché l’esterno che noi chiamiamo “male” è tutto opera di Dio. Ognuno di noi è in dialogo con Dio: è questo ciò che noi dimentichiamo! Noi siamo sempre di fronte a questo Maestro che continuamente, tutti i giorni, parla personalmente con noi, e che  personalmente, per ognuno di noi, fa tutto l’universo, tutti gli avvenimenti, per farci giungere quella parolina, quella notizia di cronaca, quell’episodio particolare, ecc., come lezione di vita, e questo tutti i giorni sempre per correggere qualche nostro pensiero, una certa  nostra mentalità, ecc.; ma è sempre Dio che parla personalmente con ognuno di noi. È questo che noi dimentichiamo!

È quella posizione che era in principio, per cui tutto è Verbo di Dio, tutto è Parola di Dio; ma questo Verbo è presso Dio, è con Dio, quindi va sempre collegato con Dio, non bisogna mai staccarlo da Dio.

Invece noi, anziché capire le lezioni di Dio, pensiamo a noi stessi, e ci fermiamo al nostro io. E allora cosa succede? Le conseguenze sono queste: il nostro io è prolifico, per cui non fa altro che moltiplicarsi in tutti gli esseri, in tutte le creature. Per cui tutti gli altri sono altrettanti nostri io. Ci siamo fermati lì! Per cui diciamo:  “La verità sono io, la verità sono gli altri che fanno, mentre Dio è lontanissimo” (se siamo invece nel Pensiero di Dio vediamo che gli altri sono un riflesso di Dio), ed è finita, perché ormai siamo nel groviglio di tanti “dèi” che operano, ognuno autonomamente; per cui diciamo: “Questo è un delinquente, quell’altro è un ladro, questo è un orgoglioso, ecc.”. Li classifichiamo, ma sono tutti soltanto volti del nostro io.

Quando saremo di fronte alla Verità ci sentiremo dire: “Cos’hai fatto tu? Non hai fatto altro che moltiplicare gli specchi intorno a te! Tu credevi che fossero gli uomini, ma ero Io…”. E come mai vedevi gli uomini? Perché vedevi te stesso!”. È tutto lì! Era il nostro io che si rifletteva negli specchi. Ma noi non dobbiamo riflettere noi stessi sulle creature, noi dobbiamo riflettere Dio! Ecco l’errore! Per cui noi facciamo un errore madornale credendo che siano gli uomini, perché invece è Dio che opera. E l’errore madornale deriva dal fatto che noi riflettiamo il nostro io negli specchi. Succede questo perché pensiamo a noi. 

Pinuccia B.: Tenendo presente che è Dio che opera tutto, allora non dobbiamo più permetterci neppure una parola di critica, ecc., neppure un giudizio, neppure interiormente, quindi non dobbiamo più dire niente? …nemmeno correggere?

Luigi: Gesù dice: “Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia, tu porgigli l’altra; non litigare per l’abito, cedigli la tunica…” (Lc 6,29). E come lo giustifica questo? Appunto soltanto perché è lezione di Dio! Ma guardate che liberazione è quella!

Ti ricordi, Eligio,  nel ’48 – ’49, quindi nei primi anni, quando volevamo iniziare una specie di piccola comunità religiosa? Uno dei voti era il voto di assenza di critica: perché bisognava accettare tutto dalle mani di Dio.

Pinuccia B.: Ma se si accetta tutto da Dio, allora anche quando uno ci offende od offende un’altra persona, non si deve dire niente?

Luigi: Soltanto nel caso di un’offesa, ma di “vera offesa” (l’unica che è considerata da Gesù come offesa: il distogliere dal fine), allora è contemplato il “riprendere il fratello”.

Infatti Dio può mandarmi un fratello a scandalizzarmi e a dirmi: “Cosa stai lì a cercare Dio!”. È Dio che lo manda, ma mandandomelo, se sto attento, mi mette anche in tasca il consiglio da dare per orientare il fratello al vero fine: questa è la vera e unica correzione da farsi.

Ma se invece ti offende nell’orgoglio, questo non è peccato da correggere, anzi, se il fratello ti pesta un piede, quello è una gioia, è un atto liberatore, perché il vero peccato, la vera offesa è deviarmi dal fine. Infatti Gesù dice di correggere solo se tuo fratello ha peccato contro di te (“Se il tuo fratello commette una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello” - Mt 18,15).

Noi in genere intendiamo il peccato contro noi stessi, per esempio, il furto: se il fratello mi ha rubato qualcosa. E invece no, perché Gesù dice: “Se tuo fratello vuole portarti via qualche cosa, tu lasciagli portare via più di quello che egli vuole; se  tuo fratello vuol costringerti a fare 100 miglia, tu fanne con lui 200; se tuo fratello ti dà uno schiaffo su una guancia, tu porgigli l’altra”. Quindi non sono queste le offese che Lui contempla quando dice: “Se tuo fratello ha peccato contro di te, riprendilo”. Queste offese non sono peccato contro di te, ma sono grazia che manda il Signore.

Il peccato contro il fratello c’è quando lo si vuole deviare dal fine. È lo scandalo perché l’uomo è stato creato per Dio, la sua vita è Dio. Quindi se un fratello ti dice: “No, la tua vita sta nei soldi, la tua vita sta nella gloria, ecc., ciò che tu cerchi è un’illusione, un sogno…”, ecco qui abbiamo il peccato, la deviazione. Se ubbidisci, ad un certo momento troverai la morte, ti troverai soffocato, involto nelle crisi, nelle lotte… ti  mancherà Dio, ti mancherà la vita. E allora quando poi ti accorgerai che l’anima è morta, allora dirai: “Maledetto quell’incontro in cui… perché ho ubbidito al peccato”.

Ma se  non gli ubbidisci, devi però riprenderlo, perché se non lo riprendi, lo confermi nella sua posizione. Ecco, è in questo senso che Gesù ci dice: “Se tuo fratello ha peccato contro di te, riprendilo”.

E invece quando Gesù dice: “Se tuo fratello ti dà uno schiaffo…”,  non dice: “Va’ e riprendilo”, ma dice: “…porgi l’altra guancia”. E ancora: “Non richiedere il tuo a chi te lo toglie”. È per dirci che non dobbiamo mettere nella classe dei peccati chi ci toglie qualcosa, perché anzi, in quanto ce lo toglie, ci libera. Dobbiamo vedere in lui  la mano di Dio che ci porta via magari qualcosa a cui siamo attaccati, che ci invita a superarci; quindi è grazia di Dio.

Ma se invece tuo fratello pecca contro la tua vita, in quanto ti vuol deviare, allora lì aiutalo.

L’importante è intendere qual è la vera offesa, il vero peccato contro l’uomo, per capire quale deve essere la nostra risposta.

Se invece uno ti porta via il portafoglio, e tu inveisci contro di lui dicendogli: “Sei un ladrone”, questo ti dimostra che sei nel pensiero dell’io e quanto sei lontano dal vero insegnamento di Dio. Infatti il peccato è uno solo: distoglierci o distogliere da Dio, perché la vita è Dio.

S. Agostino afferma: “L’essenza del peccato sta nell’allontanamento da Dio e nella conversione alla creatura”. Ecco la deviazione dal fine! Quindi il peccato è nettamente interiore, personale; ed è l’unico caso in cui non solo possiamo, ma dobbiamo dare un consiglio. È nostro dovere orientare il fratello verso il vero fine, perché è la vera carità, è un atto d’amore, ma non ci deve essere il nostro io.

Pinuccia B.: Questo modo di vedere le cose rivoluziona veramente la vita.

Luigi: Magari fosse una rivoluzione!

Angelo B.: Da soli non ce la facciamo. Abbiamo bisogno della grazia di Dio.

Luigi: Per accogliere la grazia di Dio bisogna farci piccoli e far conto su di Lui. È la condizione. Il Signore dice: “Se non diventerete piccoli, non potrete entrare nel Regno dei Cieli” (Mt 18,3). Diventar piccoli: è lì il punto di entrata; ed entrare nel Regno è entrare in un mondo nuovo: cieli nuovi e terra nuova.

Pinuccia B.: La porta però è veramente stretta.

Luigi: Se ci costa è perché amiamo il “mondo antico”, ed è segno che ci sta ancora a cuore il pensiero dell’io.

Angelo B.: Quindi per vivere come ci dice il Signore, se uno ci deruba noi non dobbiamo reagire.

Luigi: Certo, perché reagendo, confermiamo l’altro, gli diamo ragione. Infatti se per esempio mi derubano e io reclamo i soldi, confermo il mio fratello nel suo errore: ritenere che il denaro è una cosa importante.

Pinuccia B.: Se una persona compie un atto di maleducazione e provoca un’umiliazione, se io reagisco, non mi sembra di  confermarla in qualche errore.

Luigi: Sì, la confermi, per esempio, nell’importanza del nostro io, del nostro orgoglio. Invece se lo accettiamo da Dio, lo aiutiamo.  Guarda che le più grandi lezioni di amore verso i fratelli sono proprio quelle di  accettare di seguire il Vangelo. È il più grande atto di amore che possiamo fare per noi e anche per gli altri. Altrimenti li confermiamo nel loro errore. Infatti  il più delle volte, quando riprendiamo il fratello, crediamo di correggerlo, in realtà noi, reagendo secondo il nostro io,  lo induciamo a pensare a se stesso, confermando l’importanza dell’io.

Eligio: Proprio perché il suo atto di scortesia viene fatto nel pensiero del suo io; quindi, io reagendo col mio io, lo confermo nel suo io. Se discuto o  litigo per motivi banali, non solo devio io, ma  esalto anche la passione sbagliata dell’altro, perché il mio modo di vedere le cose entra in conflitto con quello dell’altro… e allora…

Luigi: …è finita. Ma per superarsi, tacere e capire la lezione, bisogna tener presente Dio Creatore, accogliendo la cosa da Lui.

Ines: Ma quando si tratta di figli, se un figlio fa un atto di maleducazione, un padre o una madre dovrà pur correggerlo, no?

Luigi: Nell’educazione dei figli l’importante è sempre tener presente Dio e allora se io sono convinto che mi lascio guidare dall’amore di Dio, allora posso agire come mi suggerisce lo Spirito. Per esempio: se il figlio risponde male di fronte ad altri, il padre lo deve correggere, ma con carità; cioè non perché così facendo ha offeso il papà, ma perché non fa una cosa secondo Dio.

Un padre per non sbagliare nel correggere il proprio figlio che, per esempio, ha preso di nascosto del denaro,  deve essere ben convinto che il figlio capisca che parla non perché lui è avido di denaro o perché è orgoglioso, ma per un atto d’amore.

Infatti se il figlio ruba del denaro, testimonia che gli sta a cuore il denaro, quindi dietro questo furto c’è una denuncia di un aspetto deviante da Dio: rivela che non ha messo Dio prima di tutto e prima del denaro perché se  arriva a rubare del denaro è perché lo ritiene molto importante. Ecco, qui il padre deve stare molto attento, in modo che non si riveli la passione per il denaro, ma che si riveli l’amore per Dio. Se uno parla secondo lo Spirito di Dio può dire tutto quello che vuole, ma deve essere lo Spirito di Dio che parla. Ecco, se uno parla secondo lo Spirito di Dio, allora aiuta l’altro a convertirsi. Ci sono stati santi che sotto la minaccia di essere uccisi hanno convertito il loro assassino abbracciandolo. Se l’altro non vede una resistenza dovuta al timore di essere ucciso, ma vede l’amore di Dio, da delinquente diventa un amante, un fratello.

Eligio: Se io vedo il mio io offeso da una cattiva risposta, se è il mio che reagisce, do una cattiva testimonianza al figlio: testimonio l’io.

Luigi: In tal caso la reazione del figlio sarà questa: dirà: “Se mio padre reagisce così, perché è padre ed ha autorità, farò così anch’io quando sarò grande o quando sarò offeso”.

Pinuccia B.: Ma si può arrivare a fare delle osservazioni senza che ci sia niente dell’io; se non si è in grado, è doveroso tacere.

Luigi: Certo, se non siamo sicuri che è lo Spirito di Dio e quindi lo Spirito d’Amore che ci guida, non dobbiamo muoverci. Non dobbiamo muoverci quando avvertiamo che c’è il nostro io che parla. Dobbiamo tacere, perché i figli di Dio non possono far niente se non sono mossi da Dio. Per cui, anche se si ha solo il sospetto che ci sia il proprio io in mezzo, bisogna tacere. È molto meglio che l’altro comandi…

Eligio: In certi casi  è molto più efficace il silenzio, però non è facile dominare le reazioni immediate.

Angelo B.: Eh già, come per esempio, quando il registratore non funziona, non è facile non arrabbiarsi… e possono uscire delle parolacce…

Luigi: Questo succede se non vedi che è Dio che non ti fa andare avanti il registratore. Ma  se tutto quello che accade lo accogliamo dalle mani di Dio, sono lezioni meravigliose… (perfino le bestemmie sono lezioni stupende che Dio ci fa arrivare se noi le accogliamo nel Suo Spirito; infatti il male non sta nella parola che uno dice: il male era già dentro, in quanto uno non pensava al Signore).

Angelo B.: A volte mi capita di dire parole non secondo lo Spirito…

Luigi: Eppure il male non è nella parola che tu hai detto, ma il male era già dentro di te, in quanto non pensavi al Signore. Tu pensa che come ti ha fatto dire quella parola, Lui domani può farti compiere un delitto. È per questo che noi dobbiamo sempre ritenerci colpevoli di tutti i delitti…

Ines: È vero che se si accoglie tutto da Dio si ricevono delle belle lezioni. Ad esempio, mi viene in mente quella bambina che dice alla mamma che sgridava lei e il fratello perché chiacchieravano in Chiesa: “Tu, mamma, continui a richiamarci perché la gente dica: guarda che brava mamma…”. E la mamma ha taciuto e incassato.

Luigi: Certo, chi ha presente Dio ascolta ed impara la lezione che Dio gli dà attraverso i figli.  Dai bambini escono fuori certe verità… Se abbiamo presente Dio diciamo: “È Dio che ce li ha mandati a dire questo”. Ecco, qui arriviamo a vedere l’opera angelica, perché tra i bambini e gli angeli non c’è differenza. Ma tutto è opera di Dio, opera angelica. Dobbiamo prendere su di noi queste lezioni e  ringraziare ancora il Signore perché si interessa ancora di noi, perché guai al giorno in cui Lui non ci mandasse più i suoi richiami! Sarebbe un guaio, perché saremmo dimenticati.



Prologo Capitolo uno Vangelo di San Giovanni. Terzo Tema.


Titolo: I primi tre punti fermi del prologo.


Argomenti: Tutto è opera di Dio. La luce rifiuta la Luce.  La nientificazione. Mantenere unita l’opera di Dio con Dio. La nostra vita è nella Luce. La fede è desiderio.


 

16/Gennaio/1976


Pensieri del pre – incontro.:

Emma D.: Le tappe del cammino verso Dio, che abbiamo visto la volta scorsa nelle cinque scene del Prologo, è Dio che ce le fa percorrere, se siamo attenti a Lui, vero? Altrimenti  a noi non sarebbe possibile.

Luigi:  Sì, certo, da soli non possiamo, ma con Dio sì. Tutte queste tappe si percorrono assimilando le parole del Cristo.

Emma D.: Sì, ma proprio riguardo a questo volevo chiedere una cosa (anche se forse è una sciocchezza, non so): volevo sapere se anche le altre religioni possono aiutare a raggiungere la meta e, per chi è già cristiano, se basta  ascoltare il Sacerdote dal momento che Gesù ha detto: “Chi ascolta voi, ascolta Me”.

Luigi: Tutto è opera di Dio, quindi tutto e tutti sono di aiuto per portare l’anima  a fare la giustizia essenziale, cioè a mettere Dio al centro dei suoi pensieri (ed è un po’ l’argomento su cui la volta scorsa ci siamo soffermati in  particolare), per cui tutto e tutti ci convogliano al Cristo, perché solo Lui, il Verbo Incarnato, conosce il Padre e può quindi farci conoscere il Padre, attraverso le sue parole.

Infatti è assimilando le parole del Cristo, soprattutto certe sue parole che solo Lui può dire, che si percorre il cammino fino alla conoscenza di Dio;  soltanto se le raccogliamo e le capiamo, queste parole ci fanno fare quel tratto di strada fino a quel termine che é caratterizzato da questa luce: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30).

Tutte le parole del Cristo, e anche tutti gli avvenimenti, fanno tutta la strada che ci porta alla Pentecoste,  alla vita vera. Tutte! Se ne raccogliamo poche, facciamo solo un tratto di strada (ciò che noi trascuriamo resta un tratto di strada saltato e non possiamo più proseguire). È necessario che le raccogliamo tutte.

Ci sono parole che tanti altri possono dire e ci sono parole che Lui solo può dire (perché entra in gioco il suo Io, la coscienza di ciò che Egli è), parole che Lui dice a noi e che noi dobbiamo raccogliere da Lui e con Lui, perché solo raccogliendole  facciamo quel tratto di strada che ci conduce al Padre.

Quando Gesù dice: "Adesso vado a prepararvi un posto, ma ci rivedremo di nuovo” (Gv 14,2-3), solo Lui lo può dire; nessuna creatura può dire questo. Tutte le creature ci possono dire: “Beati i poveri…” (Mt 5,3), ed entrano nel processo del Cristo e ci convogliano al Cristo; cioè tutte le creature ci possono invitare alla semplicità, all'umiltà; ma noi non troveremo nessuna creatura che  ad un certo momento dica: “Vi vedrò di nuovo, …Io vado a prepararvi un posto”, “Io e il Padre siamo una cosa sola”, e ancora: "Quando ci rivedremo la vostra gioia sarà completa…” (cf Gv 15,11). Solo Lui può dire queste parole!

Quindi tutte le cose ci conducono a Lui, però  è necessario che noi troviamo Lui e che troviamo in Lui quella realtà sensibile che ci sostenga e ci porti a Dio, cioè è necessario che noi ci appoggiamo su di Lui, su ciò che Egli dice.

Non importa che Lui sia vissuto duemila anni fa, perché il nostro spirito, la nostra anima, supera i limiti di spazio e di tempo, non é condizionato. Due persone vicinissime come tempo e come spazio possono essere lontanissime come spirito; questo ci dimostra che due persone lontanissime come spazio e come tempo, possono essere vicinissime quando hanno affinità di pensiero.

Per cui noi e il Cristo storico possiamo essere vicinissimi, ma solo se c’è in noi lo stesso interesse che è in Lui.

Quindi l’importante è che in noi si formi quella sintonia d'onda, quella affinità di pensiero, quello stesso spirito che c'è nel Cristo, in modo da poter dire anche noi con le guardie: "Nessun uomo ha mai parlato come Lui" (Gv 7,46), perché solo se c’è affinità di pensiero si coglie la singolarità del suo parlare.

Le sue parole sono caratteristiche al punto tale che non c'è nessuna creatura che le possa ripetere. Tante parole le possono dire: ma certe parole (ad es.: Io e il Padre siano Uno) no,  solo Lui le può dire, perché si identifica col Padre.

Ora, non c'è nessuna creatura che possa usare un certo linguaggio, come ad esempio quando dice: "Io sono la Verità!" (Gv 14,6).  Non troveremo nessuna creatura, a meno che non sia pazza, che dica: “Io sono la Verità”; perché il giorno dopo sarebbe subito smentita. Cristo invece non é smentito, ecco la sua importanza!

Per cui tutte le creature ci devono aiutare ad avvicinarci a Lui, a scoprire Lui, ecc., ma poi noi ci dobbiamo appoggiare su di Lui: quella é realtà sensibile che ci sgancia e ci libera dalle altre presenze e realtà sensibili.

La Sua é una realtà sensibile per cui dobbiamo sempre, tutti i giorni, trovare il tempo per raccoglierci in Lui, per meditare su qualche sua parola, sapendo che ogni sua parola meditata e capita è un tratto di strada fatto con Lui verso la meta alla quale Lui ci vuole condurre, e questo avviene perché le sue parole ci purificano, ci liberano da tutti i condizionamenti del mondo e ci fanno camminare verso la Verità “Sarete veri miei discepoli, se resterete nelle mie parole; restando nelle mie parole giungerete alla Verità e la Verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32). 

Come vedi c'è un linguaggio che nessuna creatura può ripetere, o meglio lo può ripetere ma in nome Suo, precisando: “È Lui che ha detto quello!”. Non si può mettere sull'altare nessuno al posto di Lui. Infatti Egli dice: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”: ecco,  è quel Me al quale noi ci dobbiamo riferire e unire, perché è per mezzo di Gesù che si può arrivare a conoscere Dio. Nessun’altra creatura ci può dire queste parole perché in effetti: "Nessuno conosce il Padre se non il Figlio”(Mt 11,27).

Ecco perché si può andare al Padre solo per mezzo del Figlio: perché  solo il Figlio ce Lo può rivelare. E noi dobbiamo trovare questo Figlio che ci conduce a conoscere il Padre.

 È vero che Lui ha detto: "Chi ascolta voi, ascolta Me” (Lc 10,16), ma ci deve essere però sempre la “tra-duzione”, cioè il trasferimento, per cui ulteriormente  Gesù precisa: "Chi ascolta Me, non ascolta Me, ma ascolta il Padre che mi ha mandato" (Gv 12,49).

     Quindi abbiamo sempre questa fedeltà che va rispettata: si arriva al Padre attraverso il

     Figlio. Allora:

          -    tutte le creature ci devono convogliare al Figlio;

·il Figlio ci conduce al Padre,

·e ad un certo momento il Figlio ci consegna al Padre,

·per cui  a questo  punto Lui  si ritira, affinché noi stessi abbiamo a diventare figli del Padre, quindi fratelli suoi.

È molto importante conoscere questi passaggi. Vedi allora che non era una sciocchezza quanto hai chiesto.

Emma D.: Allora chiedo ancora un’altra cosa: in che senso dobbiamo passare anche attraverso tutte le prove dell'Antico Testamento...

Luigi: Non è un dovere passare, come fosse un dovere, ma ci passiamo, anche se non vogliamo...!  L'Antico Testamento è un insieme di lezioni che ci fanno scoprire quello che attraversiamo nella nostra vita. Non è che lo dobbiamo passare dicendo: “Adesso passo attraverso la liberazione degli ebrei dall'Egitto” oppure: “Adesso vivo la tappa di Mosè sul Monte Sinai, ecc.”. No, sono fatti che avvengono nella nostra vita e che noi non capiamo e che si illumineranno leggendo la Bibbia.

Quindi ciò che troviamo scritto nell’Antico Testamento sono lezioni che ci aiutano ad individuare questi fatti. Per cui:

·c'è un periodo nella nostra vita in cui passiamo attraverso il primo peccato, il peccato originale che poi ci domina; per cui in quella lezione capiamo che il vero peccato  sta nel ritenerci autonomi;

·un altro momento della vita di ognuno è quello in cui pecchiamo fidandoci troppo della legge, delle regole, dei comandamenti e quindi esperimentiamo tutta la nostra incapacità. Infatti Dio conduce tutti, prima o dopo, a constatare che non basta la legge, che non bastano le regole per realizzare la vera vita;

·c'è poi la fase in cui siamo come i profeti perché invochiamo, sospiriamo il Messia, perché abbiamo toccato con mano che la nostra buona volontà, né la legge, né i comandamenti ci possono salvare.

Ecco, questo è tutto Antico Testamento. Fintanto che in noi non si forma la coscienza della nostra povertà, del nostro nulla, apparteniamo ancora all'Antico Testamento.

Infatti la volta scorsa abbiamo precisato che il battesimo di Giovanni Battista (che è ancora, anche questa, una lezione dell’Antico Testamento da capire e attraverso cui passare), ci prepara al passaggio al Nuovo Testamento, perché consiste nel farci passare dall'esteriorità all'interiorità, perché si tratta di mettere in noi Dio al centro.  Allora finché non cessiamo di cercare la nostra pace, la nostra vita nel mondo esterno, noi non abbiamo ancora accettato il battesimo di Giovanni Battista.

Il non cessare di cercare la nostra pace, la nostra vita nel mondo esterno, testimonia che non abbiamo ancora accettato il battesimo di Giovanni Battista: è un test,  perché il battesimo di Giovanni Battista consiste nel cessare di cercare la vita all’esterno,  nel convincerci cioè  che non dobbiamo più cercare la salvezza nelle cose esteriori, perché da lì non ci può venire. La salvezza viene dall'interno, da dentro di noi, perché Dio è in noi.

Eligio: Se Giovanni Battista ci porta a questo passaggio così positivo, stento ancora a capire quello che hai detto la volta scorsa, quando ci siamo soffermati ad approfondire la seconda scena, cioè mi è difficile capire come Giovanni Battista rappresenti la voce delle tenebre. Il concetto di tenebre nel Vangelo di S. Giovanni lo vedo legato al concetto di opposizione alla luce.

Luigi: No, le tenebre di per sé non sono opposizione alla luce ma bisogno di luce. Le tenebre non sono peccato, il peccato è opposizione alla luce. Le tenebre che si oppongono alla luce, queste sì sono peccato. Nell’incontro precedente avevamo detto che Giovanni Battista è la voce delle tenebre, ma avevamo anche precisato che le tenebre possono opporsi alla luce, ma non necessariamente. Le tenebre sono prima dell’opposizione.

Eligio: Le tenebre non sono un sinonimo di mondo?

Luigi: Giusto, ma del mondo creato da Dio.

Eligio: Ma il mondo non va visto come opposizione a Dio?

Luigi: No! Il mondo è creato da Dio e il mondo è tenebra, bisogno di luce e  “la Luce brilla nelle

        tenebre …”.

Eligio: “…e le tenebre non l’accolgono” (Gv 1,5): è un atto di rifiuto, e io non vedo il Battista in questo atto di rifiuto.

Luigi: No! Il Battista non è rifiuto. Le tenebre non sono necessariamente rifiuto. Giovanni Battista rappresenta la voce delle tenebre, ma le tenebre sono state create prima del peccato.

Eligio: Ma le tenebre non sono una conseguenza del peccato?

Luigi: No, le tenebre sono già prima del peccato. Infatti nel primo giorno della creazione “le tenebre coprivano la faccia dell'abisso”. Poi Dio disse: “Sia fatta la luce, e la luce fu”(Gen 1,3). Cioè la Luce é Parola di Dio che illumina le tenebre.

Le tenebre sono la creazione che attende la Parola di Dio, ma che, come attende la parola di Dio, può anche rifiutarla.

Allora qui capiamo che le tenebre che rifiutano rappresentano l'uomo in opposizione, ma di per sé le tenebre sono soltanto tutta la creazione in attesa della parola di Dio. La parola di Dio è luce che illumina.

La Bibbia dice: “Dio creò il cielo e la terra, e le tenebre coprivano l'abisso”: lì non c’era ancora l'uomo, quindi non c'era ancora il peccato, ma le tenebre coprivano la faccia dell'abisso. Poi Dio disse: “Sia fatta la luce e la luce fu”. E poi continua tutta l'opera creativa, ecc.  Al sesto giorno fa l’uomo. Evidentemente le tenebre rappresentano il mondo esteriore, tutta la creazione, tutto l'universo, quindi anche l'uomo, al quale Dio parla.

L'uomo, come tenebra, ha la possibilità di accogliere la luce, ma ha anche la possibilità di rifiutarla.  Constatazione: l'uomo ha rifiutato la luce, le tenebre hanno rifiutato la luce.

Ma è constatazione, cioè un fatto che è avvenuto; ma le tenebre invece sono prima del rifiuto, l'opposizione é venuta dopo.

Quindi non possiamo identificare la tenebre con il peccato.  Gesù dice: "Se foste ciechi (quindi tenebre), non sareste in peccato, non sareste in colpa” (Gv 9,41). La cecità (quindi la tenebra) di per sé non è colpa. La colpa sta in questo: “Essendo ciechi, dite di vedere”.

Qui allora veniamo a capire una cosa: che l'opposizione non è data dal rapporto tenebra-luce, ma l'opposizione é data dal rapporto luce-luce, cioè due cose uguali si respingono: quindi é la luce, il credersi luce, che respinge la Luce.

Eligio: Direi allora che l’opposizione è data dal rapporto tra Luce e presunzione di luce…

Luigi: Certo. Gesù dice: "Io non sono venuto per i giusti, per i sani" (Mt 9,13). Se Lui é venuto a salvare tutti, a maggior ragione si dovrebbe dire che è venuto anche per i giusti; ma invece perché dice: “Io sono venuto per i peccatori; Io non sono venuto per i sani ma per i malati, per i peccatori”?

Siccome tutti siamo nel peccato, se, essendo peccatori, diciamo di essere giusti o se essendo ciechi, diciamo di vedere, ecco allora che abbiamo la luce nostra che respinge la luce vera. Abbiamo due cose “uguali” che si respingono: la nostra luce che respinge la Luce di Dio,  la nostra giustizia che respinge la giustizia di Dio. Infatti il Vangelo ci mette bene in evidenza questo: chi sono coloro che respingono la Luce, chi sono coloro che hanno rifiutato il Cristo?

Sono tutti coloro che si ritengono maestri, giusti, che possiedono la luce. Quindi credendoci salvi, noi rifiutiamo la salvezza. Quindi  l'opposizione viene dal ritenerci uguali a-; mentre invece le tenebre, la notte, sono di segno contrario, ma proprio perché sono di segno contrario, sono accessibili, complementari alla Luce.

Eligio: Quindi noi nasciamo in condizione di tenebre, ma dobbiamo riconoscere di essere in questo stato per poter desiderare la luce.

Luigi: Certo, ed ecco la funzione dell'Antico Testamento, che si conclude in Giovanni Battista.  Ecco perché dico che la voce di Giovanni Battista sintetizza la voce delle tenebre. Le tenebre di per sé sono ancora l'opera della luce, sono una mancanza di luce che invoca. Cioè  la nostra cecità  è ancora opera di Dio, opera della Verità.

L'uomo che è cieco, che è povero, é un uomo nella Verità, che confessa e riconosce la Verità, quindi è invocazione, cioè è il vaso aperto ad accogliere la grazia di Dio.

Eligio: Come il cieco di Gerico: "Signore fa’ che Io veda" (Mc 10,51).

Luigi: Ecco, la notte é questo: "Signore, fa’ che io veda". La notte che invoca la luce é un fatto, positivo, è opera di Dio. Invece le tenebre diventano opposizione quando respingono la Luce, quando sono orgogliose, per cui non sanno cosa farsene dello Spirito.

Pinuccia B.: Ma perché l’invocazione di luce sia autentica e non solo di parole, che cosa dobbiamo fare?

Luigi: Per conoscere la Volontà di Dio si richiede sempre un superamento del proprio io, poiché Dio non è mai il nostro io. Anzi direi:  c'è sempre bisogno di una attualità di superamento di noi stessi, poiché Dio é novità continua. Per poco che noi ci fermiamo alle nostre abitudini o ai nostri sentimenti, immediatamente scivoliamo nella schiavitù dell’io.

Cioè la presenza dello Spirito di Dio richiede sempre un tratto di strada oltre l'impressione che riceviamo o la reazione che siamo portati a fare, anche quando siamo abituati a vivere spiritualmente. C’è sempre bisogno poco o tanto di un superamento dell’io.

Anche parlando noi dovremmo sempre essere in condizione di ascolto. Come Santa Teresina del Bambino Gesù che quando é stata nominata maestra delle novizie dichiarò che voleva essere soltanto trasmettitrice della parola che ascoltava da Dio.

Questo ci insegna a non essere mai noi autonomi. Ci vuole sempre questa attenzione a Dio, questo superamento di noi stessi.

E il rinnegamento di noi stessi è un andare oltre il pensiero di noi stessi; quindi è non fermarci alle impressioni che riceviamo, ai sentimenti, alle nozioni stesse che abbiamo acquisito, ma è andare oltre per cercare di rapportare a Dio quell’avvenimento, quella richiesta, quel fatto che sollecita un nostro intervento, e quindi di riportarlo a Dio, per vederlo secondo Dio.

E c’è sempre una differenza tra come lo vediamo noi e come lo vede Dio. Fossimo anche sulla vetta della santità c’è sempre una differenza tra come lo vediamo noi e come lo vede Dio.

Pinuccia B.: Ma noi abbiamo la luce per vederlo come lo vede Dio?

Luigi: Può darsi che noi non abbiamo luce sufficiente per vedere le cose come le vede Dio, però lo sforzo che dobbiamo fare per chiedere di vedere le cose come le vede Dio,  è già un  apporto di umiltà, un’espressione di umiltà che ci prepara a ricevere la luce,  per cui possiamo agire così: "Signore, non capisco niente, ma attendo la Tua Luce”. Possiamo anche sbagliare, ma  se abbiamo fatto quello sforzo di capire qual è la volontà di Dio, di vedere la cosa in Dio, di riferirla a Dio, siamo in buona fede.

È possibile che Dio ci lasci nelle tenebre, che non ci faccia vedere la luce del suo Spirito e allora andiamo a tentoni; però é Lui che ci lascia andare a tentoni perché vede che per noi é necessaria anche questa prova; da parte nostra però dobbiamo sempre interrogarlo, perché  é sempre molto utile, spiritualmente utile e necessario, questo superamento del nostro punto di vista, impressioni, sentimenti, ecc.

Non dobbiamo perciò mai affidarci all'intuizione, all'impressione, alla reazione nostra, del nostro io, altrimenti ci è precluso il cammino verso la Luce.


 

16/Gennaio/1976


Dall’esposizione di Luigi Bracco e dalla conversazione.

Le cinque scene del Prologo, su cui ci siamo soffermati  la volta scorsa, ci hanno offerto una visione d’insieme di tutta l’opera svolta da Dio per la nostra salvezza e del cammino che dobbiamo percorrere per giungere a conoscerlo, perché è nel conoscere il nostro Creatore che sta la nostra salvezza, la vera nostra vita, la vita eterna.

Abbiamo visto che la funzione del Prologo è appunto quella di presentarci tutto il cammino verso la Vita Eterna dall’inizio alla fine: dal recupero del Principio all’incontro col Cristo, fino alla contemplazione della sua Gloria. Vi sono indicate, cioè, in sintesi, tutte le tappe per farci passare dalle tenebre alla Luce.

È necessario però un ulteriore approfondimento di tutto questo cammino, evidenziandone ora non tanto le tappe, quanto i “punti fermi”, cioè le convinzioni che ci debbono sostenere in esso, per poterlo percorrere fino alla fine.

Ne possiamo individuare dieci. Stasera ci soffermeremo sui primi tre che costituiscono il fondamento, la base, della vera fede e che costituiscono quindi il principio del nostro ordine interiore:

            -1°) “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui”: cioè tutto è opera di Dio.

            -2°) “Senza di Lui niente è fatto di tutto ciò che è fatto”:  cioè senza di Lui tutto è ridotto

                   a niente.

            -3°) “In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”: cioè la vita sta nella Luce.

1° punto: Tutto é stato fatto per mezzo di Lui”, cioè: tutto è opera di Dio.  Tutto.  Questo lo troviamo confermato parecchie volte nei Vangeli: “Anche i vostri capelli sono tutti contati…, nemmeno un passero cade senza che il Padre lo voglia” (Mt 10,29-30)… E nel “Credo” diciamo: “Credo in Dio Padre Onnipotente, Creatore di tutte le cose visibili ed invisibili…”. Ma noi ne siamo convinti? Perché qui si dice: “Tutto è  stato fatto per mezzo di Lui”, ma perché questo sia per noi veramente  uno dei primi punti fermi non ci devono essere dei dubbi. Quindi dobbiamo chiederci: noi siamo veramente convinti che tutto é opera di Dio? Questo è un punto fermo per noi o abbiamo dei dubbi?

Luigi: Tu, Emma, cosa ne dici? Sei convinta che tutto è fatto per mezzo di Dio? Che tutto quello che accade è per opera di Dio?

Emma: Non so, penso di sì, ma ci possono essere dei momenti in cui...

Luigi: Per debolezza ci possono essere dei momenti in cui uno dubita, però, in tutto quello che accade, anche se non lo capisce, ritiene che ci sia la mano di Dio che opera.

Angelo B.: Anche il “male”?!

Luigi: Tutto, anche quello che esteriormente è male (la guerra, i delitti), ma non il male interiore. Il male inteso come distacco da Dio, quello non é opera di Dio, perché Dio non lo vuole.  La volontà di Dio e che noi pensiamo Lui, che raccogliamo tutto in Lui, perché Lui é la Verità. Se noi diciamo: “Io sono la Verità”, operiamo un distacco interiore da Dio e questo è il vero male, il peccato, ma  tutto quello che accade o che facciamo in conseguenza di questo errore, è Dio che ce lo fa fare. Tutto quello che accade intorno a noi, in quanto accade, in quanto esiste, è opera di Dio.

Ne sei convinto tu Angelo?

Angelo B.: Sì, sì, ma non sempre uno è attento...

Luigi: Allora lì abbiamo la debolezza; infatti può capitare che ad un certo momento uno ti pesta un piede e di conseguenza inveisci, ma dopo pensi e ti ravvedi. Tempo fa hanno spaccato i vetri di casa ad un nostro amico; egli in un primo tempo ha inveito, ma poi, senza che nessuno gli dicesse niente,  ha capito che in quanto era accaduto era Dio che l'aveva voluto e che quindi doveva accettarlo. Quindi in un primo tempo c’è stata la debolezza, ma poi riflettendo ha ammesso: “No, è Dio che…”.

Se c'è effettivamente la fede (e per fede s'intende: “Credo che in tutto c'è la mano di Dio che opera”), allora ci può essere la debolezza nelle nostre reazioni, ma poi dopo riflettendo ci si ricrede, perché  la riflessione ci porta sempre a dire: “No, un momento, io qui sto sbagliando, perché la verità è un'altra”.

È permesso l'errore; noi possiamo sapere che 2 + 2 fa 4, e  lo crediamo fermamente, però possiamo sbagliare, ed é una debolezza; ma abbiamo la possibilità di riconoscere l’errore perché sappiamo che la verità è quella. Ma anche in questo nostro sbaglio dobbiamo vedere la mano di Dio.

Emma D.: Anche ad esempio la sofferenza della settimana scorsa, per non aver potuto partecipare all’incontro …

Luigi: Anche quello devi accettarlo dalle mani di Dio …

Emma D.: Sì, ma ho sofferto molto...

Luigi: Se c’è la sofferenza non vuol dire che ci sia il rifiuto. Ci sono tante sofferenze, perché la volontà di Dio non é sempre una carezza, la volontà di Dio non è sempre un cioccolatino, anzi Dio ci sospinge su dei cammini che Lui stesso definisce impegnativi: "La mia strada é stretta”. La porta é stretta: richiede quindi della fatica, Lui richiede sempre alla creatura un certo superamento e questo superamento molte volte richiede fatica. 

Gesù sulla Croce non ride! Ora, questa Croce c’è, non bisogna dimenticarlo.

Emma D.: Accetto la sofferenza, ma sono stata costretta  per motivi di salute a rinunciare a questo...! 

Luigi: Anche nella nostra debolezza dobbiamo vedere la mano di Dio! Per cui non dobbiamo tendere troppo la corda, pretendere troppo dal nostro corpo. Ad un certo momento dobbiamo dire: “Vado a dormire perché non ce la faccio!”. Non dobbiamo insistere e pretendere. Così anche per il digiuno: il digiuno se posso lo faccio, ma se non posso non lo faccio. Così è per la povertà, perché la vita non sta né nell'essere poveri, né nel digiunare, né nel fare dei sacrifici. Sono dei mezzi che possono aiutare, ma guai se noi facessimo consistere la vita in queste cose! Allora diventerebbero “virtù”, esposizione, vanagloria, e sarebbe un errore gravissimo.

Bisogna anche essere disposti ad accettare la debolezza, le rinunce, e vedere la mano di Dio anche in questo. È Dio che ci fa toccare con mano la nostra debolezza, la nostra incapacità.

Emma: È talmente intenso il desiderio di capire, di conoscere che mi sembrava impossibile dover rinunciarvi!  Tutto lì!

Eligio: Anche le pause sono volute da Dio e hanno la loro utilità.

Luigi: Pensa all'importanza delle pause nella musica; se non ci fossero le pause sentiremmo solo rumore …; oppure pensa all'importanza delle pause nella parola: a uno che parlasse sempre, gli diresti: “Per favore, un attimo di sosta!". E questo perché è proprio attraverso la pausa che le cose si assimilano.

Allora su questo primo punto siamo tutti d’accordo?

Pinuccia B.: È facile scivolare! Anche se uno è convinto, può avvenire una frattura tra la convinzione e la pratica. Soprattutto quando la forza dell'abitudine nel considerare le cose dal punto di vista umano o delle leggi naturali ci fa errare. Certo,  se qualcuno ce lo fa notare, ci accorgiamo di essere incoerenti...

Luigi: Bisogna vedere la mano di Dio in tutte le cose. Se noi non la vediamo, vuol dire che non siamo convinti, oppure non la vediamo per debolezza. Tutto va riportato in Dio, perché soltanto in Dio si illumina la cosa.

Pinuccia B.: Allora anche i determinismi visti nella luce di Dio non sono più tali.

Luigi: Si capisce! Anzi sono carichi di significato.

Eligio: Mons. Borra in un  suo libro sottolinea la capacità del popolo ebreo di riferire tutte le cose a Dio, anche gli avvenimenti naturali. Anche quello, ad esempio, che per noi sarebbe diplomazia, politica o passione di Salomone lo si attribuisce a Dio, il quale magari fa succedere delle catastrofi legate a trame impercettibili, partite da non so dove nel campo politico, per cui il popolo di Israele viene bastonato, viene portato in esilio. Poi quando il popolo è pentito e si apre nuovamente a Dio ecco che avviene il ritorno nella propria terra: tutto questo viene riferito a Dio. La storia, la psicologia, la diplomazia, la politica, tutto viene letto dalla Bibbia alla luce di Dio. 

Luigi: Sì, gli Ebrei avevano molto presente Dio; anche, per esempio,  nell'attribuire i nomi alle persone sempre lo riferivano a Dio: “Dio sorride”, “Dio è buono”, “Dio è misericordioso”, “Dio è compassionevole”.  Cioè quello che per noi sono nomi, per loro erano sempre attributi di Dio.  Quindi in tutto per loro c'è sempre il rapporto con Dio.

Eligio: Vedevano la mano di Dio nel re della Siria che  tramava con il re egiziano, per dare una legnata al regno di Giuda … I profeti coglievano la lezione di Dio anche in questi fatti.

Luigi: Se uno è molto abituato a pensare a Dio, allora gli viene molto facile riferire tutto a Dio. Se uno non é abituato, soprattutto in un primo tempo, farà molta fatica e sbaglierà molto. Ma l'importante è prima di tutto convincerci, attraverso la riflessione, che Dio è il Creatore di tutto; perché quando uno si é convinto, incomincia pian piano a riferire tutte le cose a Dio.

All'inizio incomincerà male, andando adagio e sbaglierà molte volte, poi andrà sempre adagio e comincerà a fare qualcosa di giusto, poi comincerà magari a fare in fretta,  sbagliando ancora ma sempre meno; infine andrà in fretta e farà bene. Ecco, è  tutto un processo di maturazione attraverso cui poco per volta impariamo a riferire tutte le cose a Dio. Ho fatto questo esempio perché ricordo che quando ero militare, l'istruttore nelle prime lezioni di tiro diceva che all’inizio si va adagio e si sbaglia, poi si va adagio e si fa centro, poi si va in fretta e si sbaglia; infine si va in fretta e si fa centro! Così in tutto: si impara sempre lentamente.

Quindi uno prima si convince; allora, convinto, incomincia: va adagio e sbaglia; poi va adagio e incomincia a centrare; allora incomincia ad andare in fretta e sbaglia, ad un certo momento va in fretta e fa centro!  A questo punto è lo Spirito che guida in tutto.

In ogni cosa (tutto è segno), quindi anche nello Spirito, c’è una fatica iniziale; il Signore dice: “Sforzatevi di entrare!” (Lc 13,24), perché c'è tutta la fatica, e dice anche: “Attraverso la pazienza arriverete a possedere le vostre anime!” (Lc 21,19).

Quando noi siamo convinti di una cosa, così come in qualsiasi lavoro, in un primo tempo sbagliamo, stentiamo, poi poco per volta siamo velocissimi e facciamo bene. È così in tutte le cose, perché tutto è significazione. Per cui anche quello che avviene nel  campo materiale (come, per esempio, nello scrivere a macchina o nel suonare il pianoforte), uno va adagio e sbaglia, poi va adagio e fa bene, va in fretta e sbaglia e poi va in fretta e fa bene. Ecco tutto è sempre significazione del campo dello spirito.

“Dovete sforzarvi di entrare, e con la pazienza giungerete a possedere l'anima”: possedere l'anima vuol proprio dire poter riferire tutte le cose a Dio capendo cosa Egli vuole dirci; perché attualmente la nostra anima è in balìa del mondo, degli avvenimenti, degli errori, delle debolezze. Quanto più ci affatichiamo nel riferire le cose al Signore, tanto più a poco a poco acquistiamo possesso della nostra anima; per cui possedendo la nostra anima, quando vogliamo pensare solo a Dio, ci accorgiamo di poter pensare a Dio, non siamo più portati via da nulla, non siamo più distratti dalle cose. Ecco, qui l'anima comincia ad essere in possesso delle nostre mani, prima invece no. Infatti possedere l’anima è non lasciarla più in balìa del mondo.

Comunque l’importante è essere convinti che tutto è opera di Dio, perché solo così l’anima raccoglie tutto in Dio e si raccoglie.

Eligio: Non bisogna lasciarci impressionare dalle emozioni o dai sentimenti, anche perché  quello che esteriormente è male viene usato da Dio per il nostro bene; bisogna fare sempre questo esercizio di fede.

Luigi: Quindi anche il re Siro è un mezzo per bastonare, un mezzo che il  Signore muove. Il Signore muove la sua superbia, oppure lo fa diventare superbo per bastonare il suo popolo che si è dimenticato di Lui.

Pinuccia B.: Farlo diventare superbo no...

Luigi: Il Signore fa diventare anche superbo!!!

Pinuccia B.: Ma la superbia non è un distacco interiore?!  Dio non vuole questo distacco.

Luigi: Certo, Dio non vuole quello,  ma può benissimo prendere e usare l'uomo superbo per dare delle lezioni; oppure Lui stesso lo  costruisce superbo a tal punto da poter avere certe passioni per poi fargli fare ciò che è necessario che accada per salvare altre anime.

Pinuccia B.: Non capisco …

Luigi: Tu devi pensare sempre che tutti sono angeli di Dio!!! Per cui non puoi mai giudicare, perché sono lezioni da capire:  è necessario che avvenga questo!

Pinuccia B.: Questo lo posso solo credere per fede, perché non so smentirlo.

Luigi: Non bisogna crederlo soltanto per fede! Bisogna esserne convinti. Un momento fa tu hai detto di credere che tutto quello che accade è voluto da Dio. Quindi anche un Hitler, un Mussolini, un Napoleone, senza volerli approvare, però va detto che sono bastoni che Egli usa per noi, sono  lezioni di Dio per castigare la nostra durezza di cuore, il nostro distacco da Lui.

Poiché viviamo come se Lui non ci fosse, ecco allora é necessario che Dio ci muova, che prenda un bastone. Ma dice ancora: “Quando però questo bastone qui si insuperbirà della funzione che gli ho dato, sarò io il bastone su quel bastone lì”. Ecco, è Dio che opera.

Eligio: Perché in Dio non può esserci frattura, in Dio non ci sono determinismi, in Dio c'è una trama tessuta sapientemente, tutta legata, tutta ben finalizzata...

Luigi: Soprattutto tutta finalizzata, perché Dio essendo pura intelligenza non fa niente di non finalizzato. Infatti in che cosa si caratterizza l’intelligenza? L'intelligenza si caratterizza in questo: tutto predispone per il fine. Invece quand'è che noi sbagliamo? Quando non ci lasciamo guidare dall'intelligenza; allora non predisponiamo le cose per il fine, ma le ordiniamo a casaccio: ecco l'errore!!

Eligio: È questo uno dei primi argomenti di cui mi hai parlato quando ci siamo conosciuti nel 1948 e che mi ha molto convinto: Dio, essendo Somma Intelligenza, non può operare senza una finalità. Ecco perché è assurdo e stona parlare di determinismi in una visione religiosa della vita.

Luigi: Certo, perché Egli adopera tutto, anche le leggi naturali da Lui fatte, per il suo fine.

Eligio: Perfino i nostri sbagli. A distanza di tempo posso constatare come anche le sciocchezze, anche le “gavade” si sono poi volte in bene.

Luigi: Certo, è Dio che ci conduce e fa maturare l’anima attraverso ogni cosa. L'importante è che ci sia da parte nostra questo continuo dialogo con Dio e non con le cause seconde: "Signore, io non capisco, ma so che c'è la tua mano". Bisogna avere sempre questo punto di riferimento, questa attenzione a riferire tutto a Lui; bisogna cioè sempre dire: “Qui c'è la mano di Dio, questo é opera di Dio”.

Eligio: Per tanti la guerra, i campi di concentramento, sono stati motivo di salvezza! Nel libro "Il Cuore di Gesù al mondo", Gesù dice a Suor Consolata Betrone durante la seconda guerra mondiale: “La guerra sono Io che la mando e salvo più anime quando c’è la guerra che quando c’è la pace”. 

Luigi: Certo, per quanti queste calamità sono state motivo di salvezza!.

Passiamo ora a un altro punto fermo che vediamo subito dopo nello stesso versetto 3:

2° punto: “Senza di Lui niente è fatto di tutto ciò che è fatto”.

Una cosa è ritenere che tutto è opera di Dio, una  cosa ancora  è ritenere che senza di Lui tutto ciò che esiste diventa niente.

Cioè  Dio non è soltanto il Creatore, l'Operatore, ma é anche il Mantenitore: Colui che mantiene l'esistenza. Per cui senza di Lui le cose che sono, diventano niente. Ora, ovviamente il diventare niente non va inteso oggettivamente, ma diventano niente nella persona umana, nell'uomo. Perché siccome tutto é opera sua, il “senza di Lui” si verifica soltanto nel cuore dell'uomo. Quindi é solo in seno all'uomo, nel cuore dell'uomo che si verifica la vanifìcazione, la nientificazione di tutte le opere di Dio.

Per cui non solo dobbiamo accogliere tutto dalle mani di Dio, ma dobbiamo sempre tenere presente Dio, cioè riferire a Lui, dialogare con Lui, perché altrimenti le cose che arrivano a noi si annientano, diventano niente.

Possiamo anche accogliere da Lui tutte le cose e poi vivere senza riferirle a Lui, senza mantenerle unite a Lui, allora ci accorgiamo che le cose che facciamo ad un certo momento servono a niente, diventano niente. Il niente si verifica in noi, nella nostra vita, ed é l'annullamento dei valori; ma questo annullamento avviene in quanto non teniamo presente Dio.

Quindi per mantenere valida l'opera di Dio in noi, dobbiamo sempre riferirla a Dio, cioè mantenerla presente a Dio; senza Dio le cose si perdono, si annullano, diventano niente nell'animo dell'uomo.

Ma questo niente è una realtà nell'anima dell'uomo; non é che posso dire: “Beh, è solo un fatto soggettivo, ma la cosa di per sé c’è!” No! quello che avviene per te, realmente per te, é questa vanificazione. Per cui il danno l'uomo lo subisce realmente. Cioè l'uomo che vive senza tener conto di Dio, senza mantenersi unito a Dio, effettivamente fa niente, cioè riduce a niente tutto ciò che fa! “Senza di Me non potete fare niente” (Gv 15,5). Per cui alla fine della vita si accorge di restare con un pugno di mosche, di aver lavorato per niente; e tutto coopera per dimostrargli che lui ha fatto niente.

Eligio: Cioè distrugge la creazione…

Luigi: Sì, in se stesso. L’uomo trascurando Dio, distrugge in se stesso, la creazione, annulla tutto; in termini estremi annulla anche il sacrificio del Cristo, rende vana la morte del Cristo.

Eligio: Ecco quindi la funzione esteriore della Crocifissione e della morte del Cristo: è per farci vedere come interiormente senza di Lui abbiamo ridotto a niente l’espressione massima dell’opera di Dio.

Luigi: Sì, per farci toccare con mano che senza di Lui riduciamo tutto a niente.

Per cui tutta l'opera di Dio che è finalizzata, perché è opera di un Essere intelligente (e il fine sta nel portare la creatura alla salvezza, cioè alla conoscenza di Dio come vero Dio e quindi alla vita eterna), può essere dalla creatura stessa annientata, annullata.

Dio ha incominciato a creare l'universo quindici miliardi di anni fa, ha creato la luna, le stelle, il sole, tutti i fatti storici, l’Antico Testamento, il Cristo, ecc., ma tutta quest'opera immensa che Dio ha fatto e fa per ognuno di noi, se non viene mantenuta unita a Lui, viene da noi completamente annullata, perché senza di Lui tutto diventa niente: tutto! Tutto ciò che è fatto diventa niente senza di Lui.

Ora però il “senza di Lui” non c'è mai in realtà, perché tutto é opera sua; quindi il “senza di Lui” é soltanto nel cuore dell'uomo; allora se il cuore dell'uomo non considera Dio, non si mantiene unito a Dio, tutta l'opera di Dio in lui si annulla, serve a niente, e l'uomo tocca con mano il niente: il niente di tutto, che è poi la tragedia dell'uomo che si accorge ad un certo momento che tutto é servito a niente, tutto é valso a niente.

Quindi questo é il secondo punto fermo che mi sembra molto importante: “Senza di Lui tutto diventa niente”.

Angelo B.: Ma con Lui invece tutto è valido.

Luigi: Certo, ma con Lui, poiché tutto è opera di Dio. Tutta l'opera di Dio è buona, quindi è valida. Infatti Dio dopo aver creato, considerando tutta l'opera che aveva fatto, riconobbe al sesto giorno che “tutto era  fatto molto bene” (Gen 1,31). Cosa vuol dire quel “bene”? Bene é bene in quanto serve per una cosa; quindi tutta l’opera di Dio, Dio stesso la riconosce molto buona per quale fine? Il fine della creazione è quello di portare l’uomo alla conoscenza della Verità, alla Vita Eterna, a renderlo partecipe della vita con Dio.

Quindi tutto è buono, non c’è niente di male nell’opera di Dio, però questa opera di Dio va mantenuta unita a Dio nell’uomo, perché se l’uomo non tiene conto di Dio, tutto si annulla.

Ecco perché dico che in noi c’è sempre un lavoro da fare! Perché l’unione con Dio non è una cosa naturale. Le cose arrivano a noi, e questa è tutta opera di Dio, magari da miliardi di anni luce, da distanze enormi, ma come arrivano a noi, chiedono a noi un’opera supplementare, che è l’opera di unione a Dio.

Non dobbiamo quindi fermarci al nostro io, non dobbiamo dire: “Questa cosa l’ho conosciuta”, “Questa cosa mi piace”, ma bisogna andare oltre la nostra impressione. Devi cioè tenere le cose unite a Dio in quanto sono opere di Dio, perché senza l’unione con Dio (cioè se non tieni conto di Dio) questa cosa si annulla, ti crea la vanità, ti esalta, fino a portarti ad un certo momento ad accorgerti che tutto è valso a niente, è servito a niente.

L’opera, dunque, va sempre mantenuta unita a Dio perché “…in principio il Verbo era presso Dio, e il Verbo era con Dio”. L’annuncio di ciò che era in principio è un invito a recuperare il Principio e a mantenere sempre l’unione con-, per valorizzare le cose, altrimenti i valori decadono, da soli non stanno su. Non basta che io mangi un pezzo di pane tutti i giorni per mantenermi in vita, perché ad un certo momento il pane non mi dà più vita; per cui il pane è buono, ma mi deve aiutare a collegarmi con Dio.

Non basta che uno si rassegni ad una vita naturale per il fatto che attualmente sta bene, perché domani non starà bene.

Quindi la vita di oggi è soltanto una sollecitazione a raccoglierti, a camminare in fretta verso Dio, a cercare Dio. Allora, se tu cerchi Dio, anche il pane di oggi, anche la vita naturale di oggi, è servita a qualche cosa, perché è stata la predella di lancio per portarti a Dio.  Per cui, quando raggiungerai il fine, costaterai che tutto è stato valido. Quindi anche le “gavade”  che hai fatto un tempo sono valide, perché ti hanno sospinto. È come s. Agostino e s.Paolo che ringraziano il Signore anche per i nemici, perché tutti sono serviti a compiere l'opera di Dio (Rm 8,28).

Effettivamente, siccome tutto è opera di Dio, tutto ci sollecita a camminare verso Dio, Quindi  tutto è buono e valido, ma solo  se noi camminiamo verso Dio; ma se noi non camminiamo verso Dio, tutto viene frustrato, tutto si annulla.

Quindi tutta l'opera di Dio arriva a noi, non perché noi godiamo di essa, ma perché noi proseguiamo il cammino che l'opera stessa ha iniziato in noi: quindi per farci fare un ulteriore tratto di strada, un tratto di strada che non si fa senza di noi. Per cui tutte le cose ci sollecitano a cercare il Signore.

Se noi cerchiamo il Signore, allora tutte le creature godono con noi, perché tutte quante hanno collaborato, sono servite a farci raggiungere la meta, ma se noi non raggiungiamo la meta, tutte le creature piangono in noi il nostro fallimento, perché, in effetti, senza tener presente Dio, tutto fallisce, non è servito. Non é servito, perché tutta l'opera di Dio serviva per portarci là, ma se là non si arriva, tutto finisce!

Magari noi rinunciamo a cercare il Signore per godere di una creatura, o delle creature, o del benessere materiale o della ricchezza, ma ad un certo momento noi perderemo quello e perderemo queste creature, perché queste ci erano state date per sollecitarci ad arrivare là! Per cui noi, in nome della creatura, falliamo il fine, ma perdiamo anche la creatura stessa, perché la creatura ci era stata data per quel motivo lì. Ecco perché  il Signore dice: “Sarà tolto a voi il Regno” e quindi anche le creature!

Angelo B.: Quindi perdiamo Dio e anche le creature.

Luigi: Sì, perché tutte le creature, se la nostra anima cerca Dio, servono la nostra anima e non le perdiamo, poiché in Dio si ritroverà tutto ciò che passa. S. Agostino dice che tutto l'universo, tutta la creazione è stata data a servizio nostro affinché noi cerchiamo Dio. Se noi cerchiamo Dio, tutto è valorizzato e tutto quindi gioisce e tutto diventa bene in noi; ma se noi non cerchiamo Dio, tutto fallisce.

Eligio: Siccome tutti siamo responsabili della morte di Cristo, questa distruzione totale dell'opera di Dio avviene da parte di tutti?

Luigi: Sì, di tutti! Quante volte si sente dire: "La mia vita é servita a niente!": all'ultimo se ne constata l’inutilità!

Eligio: Mi sembra impossibile che anche i santi non siano esenti dal vanificare l'opera di Dio!

Luigi: Non c'è nessuno senza peccato!  “Se qualcuno dicesse che é senza peccato è menzognero!” (1 Gv 1,7). Un peccato ognuno ce l'ha, se lo porta dentro. Meno la Madonna!

Ognuno di noi porta un peccato, per cui ne subisce le conseguenze. Ma  anche questa vanificazione, questo pensare, questo sapere che tutto si annulla in noi se noi non raccogliamo in Dio, è opera di misericordia di Dio per salvarci! Perché ci fa vedere che annulliamo tutto senza di Lui, ci convince della grande importanza di accogliere sempre tutto da Dio e di riportare tutto a Dio! Perché soltanto riportando in Dio la cosa, essa si mantiene in vita, non si perde.

Non si perde niente riportando in Dio! Tutto é un cammino positivo, tutto si recupera in Dio, mentre invece senza Dio, se noi possedessimo anche tutto l'universo, se avessimo tutto l'universo in possesso nelle mani nostre, noi renderemmo vano, inutile, tutto quanto! Perderemmo tutto!

Pinuccia B.: Questa vanificazione in noi dell’opera di Dio è rappresentata dalla morte di Cristo?

Luigi: Sì, dalla sua morte.

Pinuccia B.: Perché pensavo che la morte di Cristo in Croce rappresentasse l’uccisione di Dio in noi, ma non ancora la distruzione di tutto.

Luigi: È la stessa cosa! Perché è proprio l’uccisione di Dio in noi che priva di significato le cose, per cui noi assistiamo alla distruzione di tutto in noi.

In quanto noi non raccogliamo in Dio, riveliamo che noi non teniamo conto di Dio e quindi facciamo fuori Dio, per cui l’opera resta vanificata in noi.

L’opera è “parola” e la parola di Dio va sempre riportata a Dio, vista in Dio; se non la raccogliamo in Dio, ciò vuol dire che noi non teniamo conto di Dio.

Non basta accogliere tutto da Dio: dobbiamo tener conto della Sua intenzione! Per cui  se noi accogliamo da Dio un fatto, ma non lo riportiamo a Dio, ciò significa che non teniamo conto di Dio! In questo fatto non ne teniamo conto perché non ci interessa conoscere il pensiero, l’intenzione di Dio su di esso. Non tener conto spiritualmente, è mettere fuori, quindi è uccidere.

La morte del Cristo è quindi la sintesi di tutta la vanificazione nostra dell'opera di Dio. Cristo é la pienezza dei tempi, in Cristo si ricapitola tutta l'opera di Dio.

Cristo è la sintesi di tutta l'opera di salvezza di Dio, l'opera di salvezza per l’uomo che inizia dal primo giorno della creazione, per cui nell'uomo non si annulla solo la sua vita fatta di pochi anni, ma si annulla tutta l'opera creatrice di Dio che raccoglie un universo immenso. E tutte le creature ci accusano se noi non corriamo verso il Signore; ci accusano perché noi le rendiamo inutili in noi con tutti i loro sacrifici e tutto quello che hanno sopportato.

Quante creature soffrono per noi, per colpa nostra, e tutte queste creature che soffrono per noi (i poveri che piangono lungo la nostra strada), che sopportano tutto per noi, un giorno ci accuseranno dicendoci: “Io ho sofferto la fame, il freddo, la solitudine, l’ingiustizia,  per te, perché tu cercassi il Signore (Mt 23,35); io ho sofferto la croce per te perché tu camminassi verso il Signore! Io sono stato un mendicante, io sono stato vestito di stracci per te, perché tu corressi verso il Signore e tu hai reso inutili tutti i nostri sacrifici, tutta la nostra fame!”.

E per questo Gesù dice: “Vi sarà richiesto conto di tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che avete ucciso tra il santuario e l’altare. In verità vi dico: di tutte queste cose sarà richiesto conto a questa generazione” (Lc 12,50-51).

Tutto quello che é avvenuto, anche i delinquenti, anche i delitti, ecc., tutto, in quanto é avvenuto, in quanto si presenta ai nostri occhi, è opera di Dio, è  messaggio di Dio, per quale fine? Perché noi corriamo verso Dio, per sollecitarci a correre verso Dio.

Se noi non corriamo verso Dio, cioè se non intendiamo l'anima, il significato dell'opera di Dio, noi rendiamo inutile tutta l'opera di Dio. Per cui tutti coloro che hanno sofferto per noi, e in cima a tutti c'è il Cristo, nel giudizio saranno contro di noi e ci diranno: "Io ho sofferto questo per te, e tu non ne hai tenuto conto; io ho patito questo per te e tu non ne hai tenuto conto! Io davanti al mondo sono stato il più grosso delinquente e tu non ne hai tenuto conto!".

Ecco, tutta la creazione si leverà contro di noi, anche i delinquenti, ed è logico, perché tutto è opera di Dio per la nostra salvezza.

Allora lì capiremo e piangeremo perché capiremo che tutto era per il bene nostro, per darci vita e noi non ne abbiamo tenuto conto.

Siamo convinti di questo?

Eligio: Certo, anche perché questo secondo punto fermo è ben collegato al primo punto fermo.

Luigi: Passiamo ora ad un altro punto che bisogna fermare bene.

3° punto: “In Lui era la vita e la vita era la Luce degli uomini”: cioè la vita degli uomini è nella Luce. Se noi ci convinciamo che la nostra vita é nella luce, noi cerchiamo la luce prima di tutto; e noi viviamo in quanto cerchiamo la luce.

Se noi ne siamo veramente convinti, questo ci evita di cercare la vita nel mondo, di cercare la vita nelle creature, nelle ricchezze, ecc.  Questa convinzione ci libera da questi errori. Ma dobbiamo averla ben presente: “La vita é nella luce”; quindi non nel denaro, non nelle creature, non nella gloria, non nel mondo ecc..

Ci viene detto questo perché noi cerchiamo la vita in tante altre cose e valorizziamo la nostra giornata dicendo: “Oggi ho vissuto perché ho guadagnato molto, perché ho trovato della gente che mi ha battuto le mani”. No! La vita non sta lì! La vita sta nella Luce, nel cercare la Luce. 

In principio la vita era nella luce, nella luce del Verbo di Dio. Se noi teniamo presente questo, allora confermiamo che tutte le cose (proprio perché non sono luce) arrivano a noi  per sollecitarci a cercare la luce di Dio, cioè per farci camminare verso Dio (ed è ciò che dicevamo prima), per unirci a Dio. In Dio, unite a Dio, mandano luce.

Quindi la luce deriva dal nostro raccoglimento in Dio.

Allora:

·se tutta la creazione (le cose, i fatti che avvengono), nel nostro animo, è tenuta disunita da Dio, resta nelle tenebre e diventa niente;

·se invece le cose sono, nel nostro animo, unite a Dio, danno luce. La luce sorge da una unione, cioè dall’avvicinamento dei poli, e dall’avvicinamento dei poli scatta la scintilla!

Per cui la parola di Dio, l'opera stessa di Dio, ricevuta, giunta a noi, rapportata, raccolta in Dio viene illuminata, si illumina. Ma si illumina soltanto in quanto é unita a Dio, nel momento in cui è unita allo Spirito di Dio.

Eligio: Direi che questo è il risvolto positivo di quanto abbiamo visto nel punto precedente, quasi una conseguenza logica per non ridurre al nulla quello che dovrebbe essere accolto come segno di Dio.

Luigi: E già! Ma direi che è di più: questo è  un approfondimento ulteriore in questo senso: perché non basta riconoscere che tutto è segno di Dio, non basta accogliere tutto da Lui per evitare la vanificazione delle cose. Non basta, perché la vita sta nella luce.

Cioè noi possiamo ritenere che questo tratto di raccoglimento in Dio per non annullare le cose sia quello di offrirle (alcune volte si dice: “Offrilo al Signore!”), cioè di collegarle semplicemente con Dio, anziché quello di riportarle a Dio per capirne il pensiero, l’intenzione, cioè per avere questa luce.

Il riportare a Dio può essere frainteso in molti modi, anche magari come un fatto di sentimento, un fatto di sacrificio; oppure come ritenere che basti pensare le cose in Dio  (ci si può accontentare: “lo penso questa cosa in ”Dio") e credere con questo che  c'è la luce. No! La luce va cercata, desiderata, perché è da essa che ricevi vita. La vita sta nella luce, quindi cerca la luce! E la luce é in Dio! 

Però la luce in Dio non scatta, non si accende fintanto che non si è arrivati a questa vicinanza, a quest'unione dell'opera con il Creatore.

Eligio: Questo salto dall'opera al Creatore può essere fatto per fede?

Luigi: No, non basta la fede. Bisogna arrivare alla luce. La fede è quella che ci sollecita a fare questo cammino, perché se noi crediamo, raccogliamo in Dio. La fede quindi ci sollecita a raccogliere in Dio, ma la fede si deve trasformare in luce, si deve trasformare in conoscenza, quindi in carità.

Eligio: Intendevo chiedere questo: se mi trovo di fronte a del male morale (ad esempio, un omicidio), come faccio a fare questa operazione che dici tu? Posso vederlo in Dio e accettarlo da Dio, per fede, anche se non ne capisco la ragione. Ma qui c’è solo la fede.

Luigi: Sì, tu per fede accetti, in quanto tu dici che credi fermamente che tutto é voluto da Dio, anche se non capisci. Questo è fede. Però questa fede qui ti sollecita a cercarne il significato, perché in quanto Dio te lo presenta ha una lezione da darti.

Soltanto quando arriverai al significato nello Spirito di Dio, quello diventa luce, prima non é luce! La fede non é luce. La fede, certo,  bisogna averla, ma la fede é quella che ti mantiene presente i due poli distanti: credo in Dio e quindi accetto questo. Perché senza fede non posso accettare questi mali da Dio, ma li attribuisco alla creatura, all’uomo malvagio, e quindi prendo a calci l’opera di Dio, per cui da quel momento io esco dalla fede ed entro nel peccato, perché non tengo conto di Dio.

Quindi la fede é quella che mi fa tenere presente i due estremi e mi sollecita ad avvicinarli, ma soltanto quando si sono avvicinati, scatta la scintilla, la luce che diventa carità, che diventa conoscenza, che diventa amore!

Quindi prima accolgo per fede, ma la fede non basta; non dev'essere solo un dire: “Io credo e accetto, Signore!”, perché se tu credi veramente, devi desiderare la luce. La fede é desiderio con la speranza di arrivarci!

Eligio: La fede è sostanza. S. Paolo dice che la fede è sostanza di cose sperate.

Luigi: Appunto, perché la fede  é desiderio e il desiderio è sostanza.

Eligio: La sostanza però è una realtà. Invece il desiderio non è realtà.

Luigi: Ma la Realtà è sperata, per cui il  desiderio in noi è la sostanza, è ciò che ci muove verso una realtà  sperata. Cioè: “Spero di arrivare a vedere il Volto del Signore, a conoscerlo in questo fatto, in questo avvenimento che mi ha fatto arrivare”.

Allora la fede è quella che mi mantiene orientato con la speranza di poter arrivare, perché se io non ho la speranza non cerco.

Eligio: La fede però mi assicura che c’è questa Realtà che non vedo.

Luigi: Se io non credo che ci sia questa Realtà, perdo un estremo e non mi preoccupo di collegare l’altro estremo. Perché in quanto io dico: “Un momento, qui c'è Dio, questo avvenimento è per opera di Dio”, se non Lo vedo, ma credo che ci sia, questa fede mi sollecita a cercare, non mi lascia indifferente. Se invece mi lascia indifferente, vuol dire che la mia fede è fasulla, anche se dico di credere, perché credo solo per sentito dire, ma la cosa non mi tocca, per cui non faccio difficoltà a credere.

C'è dunque il rischio di credere per sentito dire, senza preoccuparci di capire.

Noi non facciamo difficoltà a credere fintanto che la cosa non ci tocca, e rimaniamo nella fede per sentito dire, ma se la cosa ci tocca da vicino, rimaniamo bruciati dalla cosa stessa e quindi desideriamo, abbiamo bisogno di vedere: allora lì scatta la vera fede!

La caratteristica della vera fede è che ci sollecita a cercare; quante volte nella contraddizione diciamo: “Ma perché?”, tanto che certe volte si crea uno stato angosciante, ma è sempre la fede che ci fa interrogare, perché  è sufficiente che io molli un estremo e non mi pongo più il “perché?” e dico: “È il destino, è una fatalità!”. Chiuso!  Invece in quanto ho questo tormento è perché ho i due estremi che non riesco a collegare.

Allora la fede sollecita il nostro animo a cercare la luce e ci lascia inquieti fintanto che non giungiamo a questa luce. Ecco la fede! La fede vera ci fa sospirare il Volto del Signore.

La vera fede è fede che cerca, che cerca e mantiene la speranza di poter arrivare, non per opera nostra, ma per opera di Dio, perché Dio stesso ci fa sentire il bisogno (quindi questo bisogno é una promessa) e Dio stesso ci porterà al compimento dell'opera.

Quindi Colui che ci ha dato una caparra con la fede, ci vorrà anche dare il compimento di tutta l'opera, se noi ci manteniamo uniti a Lui. Però noi dobbiamo mantenerci in questa tensione sapendo che dobbiamo arrivare là, perché la nostra vita sta lì.

Ecco allora: la nostra vita sta in questa luce sospirata, desiderata, invocata, amata, cercata, sapendo che fintanto che non scatta questa Luce non siamo giunti al compimento, cioè alla vita eterna, perché la vita eterna è conoscenza, e la conoscenza è luce! La vita sta lì!

Eligio: Come potrebbe operarsi la saldatura tra la fede, che per noi, per la nostra condizione umana, è indispensabile, e la Realtà di Dio, la Luce nella quale noi troviamo la vita? Perché la prima adesione é per fede, la scoperta della luce come vita mi pare sia un ulteriore passo…

Luigi: La saldatura avviene attraverso quello che Gesù chiama: “raccoglimento con Lui”: “Chi con Me raccoglie riceve mercede di vita eterna” (Mt 12,30). Ecco, è importante quel “con Me”.

Eligio: Allora il primo atto di fede lo faccio con il Cristo, il quale mi invita a raccogliere?

Luigi: Il primo atto di fede lo faccio verso Dio che opera in tutto: questo é l'elemento fondamentale! Tutto è opera di Dio; nella creazione è Dio che opera, non sono io che opero: questo riconoscimento é l'atto fondamentale che é chiesto ad ogni creatura. “Non sei tu che hai creato il filo d'erba: un Altro l’ha fatto! Accogli l'Altro!”

È l'Altro che ci presenta le cose; noi nasciamo in un “già fatto”. Ci viene detto: “Tutto è stato fatto”, quindi noi nasciamo in un già fatto, meglio: noi nasciamo in un “pensato”, ma non in quanto é stato pensato e fatto da un Altro, senza di noi, ma in quanto è stato fatto in vista di noi, quindi per noi. Quindi noi siamo in un “pensato per noi”.

Quindi quando Dio all'inizio della creazione dice: “Sia fatta la luce”, oppure: “Facciamo il sole, le stelle, la luna”,  Lui aveva già presente noi, perché tutto è stato fatto per noi. Quindi da miliardi di anni Dio ha creato tutte le cose e continua a crearle per noi. Quindi noi nasciamo in un "pensato per noi" precedentemente! Pensato per noi!

Allora l'elemento fondamentale innanzi tutto é questo: “Io entro in casa d'altri”; è doveroso allora riconoscere il Proprietario.  Questo è l'atto di fede fondamentale, basilare. Ed è su questo atto fondamentale che s'innesta la problematica dell'incontro col Cristo che presuppone in noi la fame di Dio, il toccare con mano la nostra miseria, la nostra incapacità, e quindi il bisogno di incontrare un dato sensibile che ci dia una mano. Perché noi siamo convinti di Dio, siamo convinti della vita come dovrebbe essere secondo Dio, ma non siamo capaci a realizzarla perché c'è un mondo diverso che ci porta via, che ci distoglie.

Ecco allora che invochiamo l'incontro col Cristo, una Realtà sensibile che ci prenda, che ci unifichi a Sé, che ci incentri su di Sé, che ci faccia suoi discepoli, che ci guidi , che ci raccolga da tutte le nostre dispersioni e ci conduca al Padre.

Gesù viene per raccoglierci nel Padre, cioè nel punto estremo in cui c'è la Luce. “Il Padre della Luce  vuol dare la Luce a tutti coloro che la cercano, che la domandano”, dice S. Giacomo.

Egli dice: "Chi con Me raccoglie, riceve mercede di vita eterna" (cf Gv 4,36), riceve la luce, perché la Vita Eterna é conoscenza. “Chi con Me…”: allora i problemi arrivano a noi, qui noi dobbiamo con Cristo raccoglierli nel Padre, ma con Cristo! Infatti  Egli dice: “Senza di Me non potete fare niente”, “Nessuno può venire al Padre (Padre della luce) senza di Me” (Gv 14,6); “Nessuno può salire al Cielo se non Colui che discende dal Cielo” (Gv 3,13). Quindi é “con Lui”, con Cristo che i problemi vanno visti; ogni cosa va unita alle lezioni del Cristo. Ecco l'importanza di conoscere le sue Parole!

Eligio: Prima di vederli da Dio, per fede li accettiamo da Dio, no?

Luigi: Sì, per fede li accetti da Dio: sempre per fede  desideri arrivare a vedere la luce di Dio, a conoscere la Verità, sapendo che la vita nostra sta lì.

Dobbiamo convincerci che la vita sta nella luce, perché fintanto che riteniamo che la ricerca di Dio è una cosa bella, ma che è roba da salotto, che è una distensione dello spirito, ma intanto viviamo per guadagnare denaro, o per altro da Dio, ciò significa che in realtà non abbiamo la vera fede. Noi dobbiamo convincerci che la nostra vita sta nella luce.

Allora se noi siamo convinti di questo, noi cerchiamo la luce di Dio con quella stessa fame con cui cercavamo il denaro, anzi più ancora. Ho letto di un maestro indiano che per far capire ai suoi discepoli come dovevano sentire il bisogno della luce, come dovevano desiderarla, ne prese uno per il collo e lo immerse nell'acqua...; questi incominciò ad urlare perché gli mancava il respiro. Quando lo tirò su gli disse: “Soltanto quando tu incomincerai a sentire il bisogno di Dio come senti il bisogno dell'ossigeno quando ti immergo la testa nell'acqua, soltanto allora incomincerai ad essere vero discepolo della Verità”. Diversamente no! Perché noi molte volte la ricerca di Dio la riteniamo un lusso.

Allora se io so che la mia vita sta lì, ad un certo momento la devo cercare con quella stessa intensità come chi cerca l'ossigeno quando non riesce più a respirare! Ecco, la fede ci deve portare lì!

È questa fede che ci fa valorizzare terribilmente il Cristo. Senza questa  fede non si arriva al Cristo e rimaniamo nell'Antico Testamento.

Eligio: Il passaggio successivo, cioè dopo la ricerca  della vita nella luce, é l’entrata nel Nuovo Testamento: cioè l’incontro con Cristo, e quindi l’inserimento nel Padre.

Luigi: "Con Cristo", ed avviene tutto interiormente e progressivamente, perché anche con Cristo i problemi li assimiliamo in un primo tempo adagio e male, poi adagio e bene, poi in fretta e male, e poi in fretta e bene; è tutto un lavoro lento, che richiede pazienza, poiché tutti i problemi che portiamo in noi, Cristo li raccoglie nel Padre; ed è essenziale che Lui ce li raccolga nel Padre, perché senza di Lui noi siamo soltanto questa accolta, questa somma di tanti avvenimenti (di tutto un mondo, di tutto un ambiente intorno a noi), che portiamo in noi sospesi e che ci portano via se noi non li raccogliamo in Dio.

Tutti gli avvenimenti arrivano a noi e costituiscono noi; costituiscono quindi una fame, un bisogno, ma se non troviamo il Verbo, la Parola di Dio, il Cristo che li raccoglie, noi rimaniamo dispersi.

Quindi dobbiamo trovare questi nostri argomenti, questa vita nostra, questi nostri problemi, raccolti da Lui nel Padre. Allora Lui diventa la funzione complementare di quello che difetta a noi; per cui i problemi sono in noi con un punto interrogativo, bisognosi di una risposta.

Eligio: Perché dici che diventa una funzione complementare? Direi essenziale…

Luigi: Sì, ma Cristo è complementare in quanto complementa un cammino che in noi si è fermato ad un certo livello. Facciamo un esempio: io ho un problema; questo problema si é trasformato in me in un punto interrogativo non risolto. Cristo viene, prende questo punto interrogativo e lo porta al Padre e lo risolve nel Padre: quindi completa il cammino che è iniziato in me con l’interrogazione. Quindi Cristo è complementare in questo senso.

Si capisce che Egli è essenziale, perché senza di Lui non si fa nulla, ma Cristo è complementare nel senso che completa tutto ciò che in noi è a metà strada. Senza Cristo tutto resta a metà strada, non soddisfatto, tutto in noi diventa mistero...

Eligio: Tutto però si presenta a noi per essere giudicato, cioè valutato.

Luigi: Sì, si presenta a noi per essere giudicato. Però noi non possiamo, da soli non sappiamo giudicare, valutare…

Eligio: Ecco, noi possiamo vanificarlo o raccoglierlo in Cristo..

Luigi: Ecco, se lo raccogliamo in Cristo, con Cristo, Lui ce lo porta a vedere nel Padre.

Eligio: Raccoglierlo con Cristo e in Cristo vuol dire riconoscere tutto come opera del Padre?!

Luigi: Si capisce, però questa è solo la premessa; invece  Cristo ci porta a vedere il significato, ci porta nella luce, ci porta a capire nel Padre il significato del segno; lì la cosa si illumina e diventa vita. Ecco perché dice: “Chi raccoglie con Me riceve mercede di vita eterna”. Dicendo “vita eterna”, dice che riceve una ricompensa, una mercede, di luce e quindi di vita vera, di vita che non viene più meno, che non cambia più.

Per cui quella luce che Lui ci ha condotto a vedere nel Padre, diventa in noi una luce vera che non é più soggetta a mutazioni, proprio perché é vera. Lui la chiama eterna, perché ciò che è vero, non si modifica più; e questa Luce eterna diventa vita eterna.

Eligio: Mi sembra che questi primi tre punti siano ben collegati tra loro.

Luigi: Certo, e costituiscono il fondamento della vera fede. Ed è poi su questo atto fondamentale di fede che si innesta la problematica dell’incontro con Cristo; il quale poi raccoglie tutti gli avvenimenti e noi stessi nel Padre.



Prologo Capitolo uno Vangelo di San Giovanni. Quarto tema.


Titolo: Raccogliere verbo essenziale della vita.


Argomenti: Dio parla personalmente. Raccogliere è il verbo della Vita. Dio è l’essere che ha in Sé la ragione di tutto. Toccare con mano il nostro nulla e il nostro Tutto. Il destino dell’uomo. Intendere il significato nella persona che parla. Il vero male è interiore. Figli delle nostre opere.


 

18/Gennaio/1976


Dall’esposizione di Luigi Bracco:

 

(Dagli appunti): Abbiamo considerato come i primi tre punti fermi del Prologo abbiano un’importanza determinante, poiché ci evidenziano il fondamento della fede (Dio è il Creatore e senza di Lui nulla è fatto) e la meta a cui la fede, se è fede vera,  deve tendere: la Luce (perché la vita vera sta nella Luce). Siamo stati infatti creati per la Luce, per conoscere la Verità, Dio.

Il primo punto fermo: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui” e il secondo punto fermo: “e senza di Lui nulla è fatto di ciò che è fatto”, formano dunque i capisaldi della fede vera: quella che riconosce che Dio è il Creatore di tutto, per cui tutto va attribuito a Lui, pena l’esperienza di annullamento di tutto e di morte.

Costruire su questo fondamento è costruire sulla Realtà, perché la Realtà è Dio Creatore ed è quindi  costruire nella Luce, poiché cercando la giustificazione di ogni cosa in Lui, si cerca la vita nella Luce (ed è il terzo punto fermo: “la vita sta nella luce”). Infatti la vera fede in Dio Creatore ci porta a raccogliere tutto in Dio per capire tutto in Dio e da Dio, ricevendo così la luce e quindi mercede di vita eterna, come dice Gesù: “Chi con Me raccoglie, riceve mercede di vita eterna”. La nostra fede, se non ci porta ad interrogare, a cercare il significato in Dio delle cose, non è vera fede, per cui, pur  credendo in Dio, si arriva a fare esperienza del niente, poiché la vita sta solo nella Luce.

Ma anche dall’esperienza della vanificazione di tutto ciò che noi facciamo quando trascuriamo di raccogliere in Dio, Dio trae una lezione positiva per la nostra anima, perché anche questa esperienza negativa contribuisce a rafforzare in noi la convinzione che la vita sta nella Luce. A chi trascurando Dio, e quindi trascurando la ricerca della Luce, fa esperienza di morte, Dio dice: “Non lo sapevi? La vita era quella! La vita stava nella luce, cioè nel raccogliere in Dio”.

Da questo comprendiamo come il raccogliere ogni cosa in Dio sia il vero lavoro che Dio ci chiede, perché Egli vuole che noi viviamo. Raccogliere è dunque il verbo della vita, perché è il verbo che ci porta nella Luce e quindi nella vita, perché : “la vita sta nella Luce”.

Raccogliere è perciò il primo dovere dell’uomo e lo deduciamo appunto dai primi tre punti fermi del Prologo, sui quali, data la loro importanza, dobbiamo ancora soffermarci.

Poiché tutto è stato fatto per mezzo del Verbo, del Pensiero di Dio, tutto va accolto, visto e contemplato in questo Pensiero. Questo è raccogliere e questa è la vera vita interiore. Fintanto che non siamo ben convinti di questo e non facciamo questo lavoro di raccolta, troveremo sempre la strada interrotta verso la Luce, per quanti sforzi facciamo, e non potremo mai giungere alla meta, anzi, faremo esperienza  di vuoto e di morte.

È essenziale quindi, innanzitutto, convincerci che veramente “tutto è stato fatto, ed è ancora fatto, per mezzo di Lui”, perché Dio solo è il Creatore di tutto. Ci fosse anche solo un piccolo granello di sabbia non fatto da Lui, o un piccolissimo avvenimento non voluto da Lui, Dio non sarebbe più Dio. Dio è Dio proprio perché è il Principio Creatore di tutte le cose visibili e invisibili. Dio è Dio perché è l’Essere che ha in Sé la ragione di tutto ciò che esiste e di tutto ciò che accade, ed è proprio per questo che dobbiamo non solo accogliere ogni cosa da Lui, ma dobbiamo anche riportarla, raccoglierla in Lui perché ce ne riveli Lui la ragione.

(Dalla registrazione):  C’è da precisare una cosa molto importante: non solo “tutto è stato fatto per mezzo di Lui”, ma anche “tutto è stato fatto ed è ancora fatto personalmente per ciascuno di noi. Tutto Dio lo ha voluto per noi ed in vista di noi. Anche le cose che ci giungono da distanze infinite, e che sono state create molto prima di noi,  sono state fatte personalmente per ognuno di noi, perché noi ora le vedessimo: sono state quindi volute per noi, in vista di noi. Ognuno di noi può con certezza affermare: “La prima stella che il Signore ha creato miliardi di anni fa, l’ha creata per me. Quella luce che arriva a me, è partita miliardi di anni fa per il mio occhio che, adesso, doveva accoglierla”.

Questo perché accade? Perché avviene senza di me? Perché questo universo immenso?

·innanzitutto per farci toccare con mano il nostro nulla, perché ci fa capire che quel fatto lontanissimo nello spazio e nel tempo è avvenuto senza di noi;

·e poi per farci toccare con mano anche il nostro tutto, cioè la nostra preziosità, poiché quel raggio è partito tanti anni fa da distanze immense con il nostro nome e indirizzo, personalmente: come una lettera chiusa che arriva al nostro indirizzo.

Ecco allora, è questo che va sottolineato: tutto ciò che è fatto prima che noi nascessimo è stato fatto in vista di noi, per ognuno di noi personalmente, perché Dio parlando a tutti, parla a ciascuno in particolare. Noi invece quando parliamo ad un gruppo, parliamo in modo impersonale. Ma il parlare impersonale, alla massa, è effetto di grossolanità, perché noi non riusciamo a tenere presente tutto di ognuno. Invece Dio, che è intelligenza infinita, quando opera e parla, riesce a tener presente tutto di ciascuno di noi, quindi anche le cose minime di noi, anche un minimo pensiero, uno stato d’animo. E questo tener presente tutto di ognuno di noi  vuol dire parlare personalmente a ciascuno di noi. Ognuno di noi allora si sente compreso, si sente tenuto presente, perché non c’è nulla che sfugga a Lui. Quando invece qualcuno parla a noi, ma parla anonimamente, come se fossimo uno qualunque, noi ci sentiamo non compresi, ma considerati grossolanamente. D’altronde la creatura non può  tener presente tutto di noi perché non ci conosce in tutto e non può conoscerci in tutto (solo Dio ci conosce in tutto), per cui da lei non possiamo sentirci compresi. Dunque, soltanto Dio, che conosce tutto di noi e che quindi tiene presente tutto di noi, in tutte le sue opere parla personalmente a ciascuno di noi, per cui anche le cose create in un tempo lontanissimo, che ci giungono da distanze infinite, e che quindi sono state create infinitamente prima di noi, sono state fatte per ciascuno di noi in particolare.

Allora:

·sono state fatte molto prima di noi innanzitutto perché noi potessimo toccare con mano che certamente non siamo noi che le abbiamo fatte. Ecco perché abbiamo delle distanze enormi, nello spazio e nel  tempo, di fatti che sono totalmente indipendenti da noi: appunto, come dicevo prima, per farci toccare con mano il nostro niente e non ritenerci noi capaci di fare..;

·Però, dicevo, nello stesso tempo Dio ci fa capire che quel fatto lontanissimo che è avvenuto senza di noi, è avvenuto per noi, per ciascuno di noi, e questo ci fa capire anche la preziosità del nostro destino e di quello che noi riceviamo; per cui io non posso trascurare quell'avvenimento, quella notizia, quel raggio di luce che mi arriva da lontano, poiché porta un messaggio per me; è una lettera  sigillata che arriva a casa mia a me, col mio nome e indirizzo, e va letta. Solo se la raccolgo in Dio ne potrò leggere il contenuto e riceverne una carica di vita. Ma se la trascuro o la metto sotto i piedi, sono superbo e ne subirò le conseguenze.

Ogni cosa quindi che ci arriva e che è stata creata senza di noi (e questo ce lo dimostra la lontananza da noi di spazio e tempo)  è molto preziosa per noi, perché ci arriva con scritto il nostro nome e porta un messaggio personale per noi.

Quindi ci invita a raccoglierlo in Dio per  intenderne il significato: che cosa Dio mi vuole dire in questa lettera?

Per imparare a raccogliere è molto importante quindi mantenere in noi questo atteggiamento di fondo: tutto ciò che arriva a noi è una lettera personale con il nostro nome scritto; va quindi accolta, aperta, letta, riportata a Dio, per poter intendere ciò che Dio vuole dirci. Questa è l’opera di raccolta che dobbiamo fare.

Se non la facciamo, vanifichiamo ogni cosa perché “senza di Lui tutto è ridotto a niente”. Se la facciamo, avanziamo di luce in luce e aumenta in noi la vita, perché “la vita sta nella Luce”.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Eligio: Sì, in questi primi tre punti fermi ai quali hai accennato vediamo il dovere che la creatura ha di raccogliere tutto in Dio (se vuole giungere alla Luce e vivere) poiché tutto è opera di Dio che va capita, e come sia indispensabile per la creatura questo lavoro di raccogliere se non vuole esperimentare la morte.

Luigi: Tutto però parte dal primo punto: Tutto è stato fatto per mezzo di Lui ed è fatto per ciascuno di noi.

Eligio: Hai detto che tutto ciò che è fatto senza di noi, prima di noi, è una lettera per ciascuno di noi. Volevo chiederti se dobbiamo considerare come “lettera personale” anche ciò che è stato fatto dalle persone vissute prima di noi?

Luigi: Certo, tutto ciò che è fatto senza di noi è Dio che l’ha fatto. Tutto viene da Dio: è Dio che lo fa.

Eligio: Quindi anche quello che facciamo noi vale per quelli che ci seguiranno.

Luigi: Si capisce.

Eligio: Ecco quindi  la responsabilità del male che io faccio adesso.

Luigi: Certo. Comunque è lezione di Dio, tutto, non solo per quelli che seguiranno, ma anche per quelli di adesso. Infatti noi siamo ricevitori di tutto ciò che non dipende da noi, e quindi siamo spettatori. In tutto ciò che non dipende da noi, è tutto  lezione di Dio, personale, per ciascuno di noi, per cui Dio ci chiede di interrogare Lui per sapere e per capire.

Dio un giorno ci dirà: “Ero Io che parlavo con te, e tu credevi fossero gli uomini, la natura, il caso. Perché ti sei interessato più  degli uomini o delle notizie degli uomini che di Me?”.

Eligio: Però la creatura mi parla a nome suo.

Luigi: Certo, ma in qualunque modo la creatura parli, non è la creatura che parla, ma è Dio: è Dio che parla! La lezione è sua. La creatura è un mezzo attraverso cui Dio si fa pensare mandandomi un messaggio; è la busta, la carta attraverso cui mi fa giungere il suo messaggio. Noi non dobbiamo attribuire alla carta il messaggio, ma a Dio che ha usato la carta (la creatura) per farmelo giungere.

Noi dobbiamo tenere presente non la creatura, ma il Creatore: e questa è la condizione per intendere il significato, perché solo tenendo presente la persona che parla (quindi Dio e non la creatura) noi abbiamo la possibilità di intendere il significato, se no attribuiamo quello che abbiamo dentro di noi alla parola (al segno), e quindi la travisiamo, perché noi la parola abbiamo bisogno di rivestirla di un significato. Se  teniamo presente chi parla, cerchiamo l’intenzione con cui ha detto una cosa. Ma se non teniamo presente chi parla, allora non cerchiamo l’intenzione con cui ha detto quella parola, per cui la rivestiamo con quello che già portiamo dentro di noi, e quindi  la travisiamo. Ciascuno di noi interpreta  i fatti a seconda di ciò che porta nel cuore.

Dio ci chiederà conto: “Era il tuo Dio che ti parlava. La creatura era solo la carta, la busta e tu ti sei fermato ad essa”.

Ines: E questo anche quando la creatura faceva il male?

Luigi: Il male lo facciamo noi quando non riferiamo le cose a Dio. Il nostro male è proprio quello: trascurare questa verità; ed allora ecco che si verifica quanto ci è annunciato nel secondo punto fermo: “Senza di Lui tutto ciò che è fatto diventa niente”. E questa vanificazione di tutto, questo “male” che esperimentiamo è opera di misericordia di Dio per richiamarci al lavoro essenziale che abbiamo trascurato: raccogliere tutto in Dio.

Ines: Quindi è anche Dio che fa quello che noi riteniamo male.

Luigi: Il  male vero è solo interiore: è non riferire a Dio ciò che è di Dio, è non riferire a Dio la lettera che ricevo da Dio. Questo è il peccato. È l’unico peccato che origina tutti gli altri mali. È il distacco da Dio, è l’attenzione, la conversione alla creatura. È il non tener conto di Dio per tener conto della creatura: lì è il peccato; quindi è un fatto intimo, un’intenzione, per cui non riferisco a Dio quello che è di Dio. Tutto è di Dio; non riferendolo a Dio, faccio peccato. Se non tengo conto di Dio, non posso attribuire a Dio ciò che è di Dio, per cui faccio peccato.

In conseguenza di questo errore di attribuzione, determino un comportamento che è deviante dalla vita, che mi porta molto lontano dalla vita; mi porta a morire molto lontano da Dio, perché incomincia ad involvermi nella schiavitù, nelle creature, nei compromessi, ecc. E qui non vedo più Dio, ma incomincio a ragionare solo più con le creature, perché divento figlio della mia opera sbagliata, di un distacco. Il mio distacco da Dio infatti dà conseguenza ad una certa opera che è sbagliata.

Noi siamo figli delle nostre opere, perché essendo stati creati per diventare figli di Dio, se facciamo le opere di Dio, cioè se raccogliamo in Dio, diventiamo figli di Dio, ma se facciamo le altre opere vedendo le cose dal punto di vista del nostro io o di altri, diventiamo figli di altre opere, perché siamo destinati a diventare figli. Comunque sia noi diventiamo figli di ciò che facciamo: se “facciamo” Dio, cioè se facciamo trionfare lo Spirito di Dio su ogni cosa, raccogliendola in Dio, diventiamo figli di Dio; ma se “facciamo” il nostro io, diventiamo figli del nostro io staccato da Dio, e non c'è più nessuna creatura che ci possa  tirar fuori perché diventiamo figli delle nostre opere.

Da questo comprendiamo l’importanza del raccogliere in Dio. Non raccogliere significa diventare schiavi, dipendenti, figli di questa omissione. Lo dice Gesù: “ Chi fa il peccato resta schiavo di esso” (Gv 3,20); ma dice anche: “Chi fa la Verità (cioè chi raccoglie in Dio) giunge alla Luce” (Gv 3,21).

Ines: Se noi curiamo questa attenzione a Dio Creatore, incominciamo poi a dialogare con Lui.

Luigi: Il dialogo con Dio è una conseguenza della convinzione che tutto è opera sua. Cioè noi entriamo in dialogo con Colui che sappiamo che sta parlando con noi. Solo se sono convinto che Dio parla con me dialogo con Lui, se no non entro in dialogo.

Ines: Se tengo conto di Dio, rispetto l’iniziativa di Dio, per cui non faccio partire più nulla da me.

Luigi: Certo, però c’è questo fatto: che comunque sia le cose partono da te, anche se tieni conto di Dio, perché comunque noi diamo sempre una risposta all’iniziativa di Dio. Ma la  nostra risposta all'iniziativa di Dio è molto diversa a seconda se teniamo presente Lui o no. Se qualcuno mi pesta un piede, parte sempre da me una certa reazione, sia che tenga  conto di Dio, sia che non ne tenga conto: se tengo conto di Dio, parte una certa reazione che è motivata dallo Spirito di Dio, e che quindi, sostanzialmente parte da Dio; se non  tengo conto di Dio, ne parte un'altra che è motivata dal mio io o dall’io di altri; ma a seconda della reazione che parte, divento figlio di essa. 

Quante conseguenze ci cadono addosso a seconda della risposta che diamo! Da una risposta che non avremmo dovuto dare se avessimo tenuto presente Dio, quante conseguenze negative! Se avessimo tenuto presente Dio e quindi se non avessimo data quella rispostaccia, tutto un mondo magari sarebbe cambiato attorno a noi.

Quindi è determinante il fatto di tener presente Dio o di non tenerlo presente. L’elemento fondamentale è sempre quello di essere convinti che tutto è opera di Dio. Se siamo convinti di questo, allora tutto ci sollecita a dialogare con Dio, e il dialogo con Dio inizia noi alla vita spirituale, alla vita vera, che è una continua novità di vita, un continuo cambiare la nostra mentalità, un continuo modificare la nostra coscienza, le nostre conoscenze, un continuo superamento, una continua revisione.

Il dialogo con Dio ci porta ad  un continuo superamento di ciò che abbiamo conosciuto, di quello di cui siamo convinti, perché Dio ci supera sempre e, attraverso i suoi messaggi, Lui ci invita ad andare oltre, a una revisione continua.

Quindi la vita spirituale è una novità continua ed è un impegno sempre personale perché noi per natura non ci colleghiamo con Dio,  né colleghiamo a Dio i fatti che ci arrivano (ad es. il piede pestato). Per collegarci con Dio bisogna sempre fare un certo sforzo.

Infatti ci arrivano naturalmente e li riceviamo naturalmente, anche se non li vogliamo, ma non  naturalmente li colleghiamo con il Pensiero di Dio: per collegarli è richiesto l’impegno personale e si richiede sempre uno sforzo: "Affaticatevi, sforzatevi di  entrare", dice Gesù (Lc 13,24). Se personalmente non ci impegniamo a farlo, ogni cosa rimane in noi staccata da Dio,  e allora la attribuiamo ad altre cause, e qui cominciano tutti gli  errori.

Ad esempio: uno che mi pesta un piede lo ricevo naturalmente, ma non naturalmente io riferisco il mio piede pestato a Dio; quindi se personalmente non mi impegno a collegare il piede pestato con il Pensiero di Dio, questo fatto resta in me staccato da Dio, per cui lo attribuisco alla creatura, con tutte le conseguenze sbagliate che ne derivano. 

Raccogliere in Dio è quindi sempre un lavoro personale, perché c’è sempre un tratto di strada da percorrere tra i fatti che arrivano e Dio; e solo noi possiamo percorrerlo, unendo il fatto che ci arriva con il Pensiero di Dio, per cercarne presso Dio il significato.

Ines: Nessuno può sostituirci a fare questo lavoro di raccogliere le cose in Dio.

Luigi: E già! Ecco dove comincia la nostra vita personale! per cui, se non lo facciamo, se personalmente non ci impegniamo in questo lavoro di raccogliere in Dio, non viviamo; il nostro vivere diventa un vivere anonimo, di reazione, un vivere animale sotto un certo aspetto, perché la parte spirituale non interviene.

Pinuccia B.: Come è possibile collegare sempre tutto con Dio, per raccogliere tutto in Lui?

Luigi: Ci dice Gesù: Con la pazienza guadagnerete, arriverete al possesso della vostra anima (Lc 21,19):

·In un primo tempo si fa adagio e si sbaglia,

·poi si va adagio e si fa centro,

·poi in fretta e si sbaglia,

·poi in fretta e si fa centro.

Sono le quattro tappe, i quattro tempi per apprendere un lavoro o un’arte.

Quindi in un primo momento Gesù dice: “Sforzatevi di entrare”. Noi ci sforziamo e sbagliamo ed è  logico, perché Dio è  infinitamente grande e ci trascende. Ma a forza di sbagliare e ritentando sempre, poco per volta cominciamo a intendere come Dio parla, a capire il significato delle cose (adagio e si fa centro). Poi si arriva ad intendere non appena Dio ci parla, fino a giungere al punto in cui lo Spirito che è in noi addirittura precede l'avvenimento, poiché è lo Spirito che illumina dato che è lo Spirito che opera. Infatti Gesù dice: "Parlo prima che i fatti avvengano, affinché quando avverranno intendiate" (Gv 16,4). Cioè uno ha in sé lo Spirito che precede l'avvenimento perché, in realtà, è lo Spirito che determina l'avvenimento.

Ma generalmente, in un primo tempo, ci vuole tanto tempo, magari degli anni, per arrivare a capire cosa voleva dirci quella “lettera” (così come ci vuol tempo per imparare una lingua straniera). Ecco: lo faccio adagio e sbaglio; adagio e poi capisco…per imparare poi a farlo in tempo reale… anzi addirittura in anticipo, ma l’importante è sempre tener presente il Creatore e le parole di Cristo.

Eligio: È legittimo porci la domanda: che risposta io debbo dare?

Luigi: La risposta ad un fatto dipende dall’intelligenza del fatto; comunque anche se sbagliamo l’importante è essere in buona fede.

Eligio: E quando non sappiamo la risposta da dare?

Luigi: Ci sono degli elementi chiari: prima cosa l'adesione e poi interrogare Dio. È Dio che mi fa capire la risposta che devo dare. Ma la prima risposta che Dio chiede a noi è quella di accettare tutto dalle Sue mani, anche se non capiamo (l'intelligenza del significato non dipende da noi, ma dipende da Dio), e poi di riportare in Dio perché Lui ci riveli il suo Pensiero: questo vuol dire raccogliere in Dio.

Accettare è già difficilissimo per la creatura, perché la creatura è abituata a reagire naturalmente, ma è il primo passo necessario, senza il quale non si può riportare a Dio, per giungere all’intelligenza del fatto. Questa accettazione e questa attesa della Luce già cambia il nostro comportamento.

Quindi devo accettare perché quando una cosa non dipende da me, dipende da Dio: “Signore, non ci capisco niente, ma so che c’è la mano tua: siccome è opera tua, io l’accetto. Non mi fa comodo, mi è antipatico, è una disgrazia, è un dolore, mi fa male (anche se viene da Te), non capisco, ma accetto; è opera tua. Quando capirò, Ti ringrazierò”.

La condizione fondamentale (per adesso che non capisco) per entrare in dialogo con Dio è accettare tutto come opera di Dio. Quindi la prima risposta, quando ancora non c’è l’intelligenza del fatto, è accettare. Ma non dobbiamo fermarci all’accettazione, se vogliamo giungere al significato: bisogna riportare la cosa in Dio. La cosa raccolta in Dio ci raccoglie.

Pinuccia B.: Questa è la risposta interiore, ma esteriormente posso dare una risposta o un’altra, dire quella parola o dirne un’altra. E allora?

Luigi: Le nostre risposte sono determinate dall'accettazione o dalla non accettazione delle cose da Dio. Se il piede pestato lo accolgo dalla mano di Dio, questo determina già un certo comportamento. Non posso più  prendermela con il fratello, come non posso prendermela con Dio che mi pesta un piede (posso però chiedere a Dio: “Perché mi hai pestato un piede?”).

Se credo in Dio Creatore capisco che  il fratello é il pezzo di carta usato da Dio per mandarmi un messaggio, è il bastone usato da Dio per bastonarmi. Ecco perché se accetto (prima risposta) da Dio ogni avvenimento, questa prima risposta interiore determina la mia risposta esterna, il mio comportamento. Non posso prendermela col fratello. Tutt'al più posso avere riconoscenza e amore verso di lui; anzi devo avere amore, perché Dio lo ha usato per fare una parte sgradita a favore mio. Quindi in quanto è stato usato per fare una parte sgradita per comunicarmi qualcosa, deve avere da parte mia tutta la riconoscenza.  

Pinuccia B.: E questo anche nei confronti di un Hitler, ad esempio?

Luigi: Certamente, noi non possiamo mica giudicare! Dio usa Assur per bastonare il suo popolo. Così Hitler... È il Signore che lo ha costruito così, non per lui ma perché noi abbiamo abbandonato e dimenticato Lui. Quindi la lezione dobbiamo prenderla sempre su di noi. Dio ci ha mandato un Hitler non perché giudicassimo un Hitler, ma perché giudicassimo noi stessi.

Così ci ha dato i Comandamenti, non perché noi sedessimo in tribunale per giudicare le azioni degli altri, ma perché giudicassimo noi stessi. Tutti gli altri sono soltanto dei mezzi attraverso  cui Dio ci continua a dire: "Giudica te stesso, cambia te stesso”.

Dio opera per cambiare noi, non per darci in mano un'arma per giudicare gli altri e considerarci migliori (guarda, quel tale è un delinquente, io per lo meno non sono un delinquente; guarda quell’Hitler, io non sono un Hitler; guarda Mussolini, io non faccio come Mussolini, ecc.), perché se così facciamo, certamente sfasiamo tutta l’opera di Dio. Cioè, noi rivestiamo le opere di Dio delle nostre intenzioni, delle nostre vanità, ma non leggiamo l’intenzione di Dio, cioè non teniamo presente la Persona di Dio.

Allora è come sentire una parola di uno riferita da un altro e attribuire a quella parola una nostra intenzione. Però quando andiamo da quella persona, capiamo che abbiamo sbagliato tutto, perché scopriamo che lei aveva un’altra intenzione, per cui voleva dire tutt’altro. E noi magari ci siamo costruiti un castello, ci siamo chiusi dentro, siamo entrati in guerra col fratello, e poi scopriamo che lui non aveva affatto quell'intenzione, neppure nell'anticamera del cervello. Ecco l'errore che facciamo tutte le volte che non ci colleghiamo con Dio! Per cui attribuiamo alle opere di Dio, o meglio, a Dio stesso, delle intenzioni che Lui non aveva nemmeno lontanamente.

Quelle intenzioni sono dentro di noi. Siamo noi che rivestiamo con esse tutto. Gli avvenimenti, le parole, non sono altro che dei corpi nudi che noi rivestiamo con i nostri abiti. E Dio ci dice: “No, mettici i miei abiti e non i tuoi”.

Eligio: Pur cercando di raccogliere le cose in Dio, non è detto che capiamo l’intenzione di Dio, per cui è facile che sbagliamo nelle nostre risposte.

Luigi: Certo, non sempre comprendiamo l'intenzione di Dio e quindi nemmeno la risposta che dobbiamo dare, per cui sbagliamo; però è facile capire la prima risposta che dobbiamo dare: l’accettazione; ma ci sono altre risposte da dare che richiedono l’intelligenza: l’intelligenza del significato e alcune richiedono degli anni di attesa. Ma finché la creatura è cieca, è nelle tenebre,  è nel disegno di Dio, per cui  c'è la buona fede e Lui la corregge. È quando, nelle tenebre, incomincia a dire: “Io sono luce… io capisco… io vedo”, che esce dal disegno di Dio.

Eligio:  Ci vuole però umiltà.

Luigi: Certo, bisogna riconoscerci ciechi e avere desiderio di conoscere l’intenzione di Dio. Le tenebre non possono credersi luce. Un cieco non può dire: "Io vedo". La creatura ha sempre bisogno per avere la luce, di interrogare Dio, di dialogare con Dio, perché è sempre povera, è sempre cieca. Ha sempre bisogno, per vivere,  di vivere in unione con Dio, perché la Luce è Dio. Per questo Dio dice: "Restate sempre uniti a Me" (Gv 15,4), perché “Senza di Me non potete fare niente”. Quindi bisogna cercare sempre questa unione con Dio.

Però l'unione con Dio non sta nel dire: “Adesso penso a Dio”; ma sta nel riferire tutto a Dio, nel dialogare con Dio, nel cercare di capire in Dio, nel tenere presente Dio, in una parola: nel raccogliere in Dio. 

Eligio: Quindi l’unione con Dio richiede anche  un atteggiamento attivo, non solo passivo.

Luigi: Certo, anzi questo lavoro di raccogliere in Dio è  la massima attività. Nella nostra vita di ogni giorno noi diamo  molte risposte nelle quali non facciamo nemmeno intervenire il pensiero, ma agiamo o reagiamo per istinto così, automaticamente.  Ma invece là dove dobbiamo applicarci facciamo intervenire il pensiero. Tanto più nel dialogo con Dio: infatti il collegare con Dio, richiede il massimo sforzo della nostra persona; la parte spirituale nostra è tutta impegnata perché senza di noi questo lavoro non si compie e in noi c’è un distacco da sanare: le cose tutte arrivano a noi e dicono a noi: “Portaci a Dio”.

Ma senza di noi certamente non arrivano a Dio in noi e in noi restano staccate da Dio. Cioè il distacco avviene e rimane in noi, non nelle cose, e questo perché portiamo in noi due cose staccate: il Pensiero di Dio (che non se ne va, e, anche se Lo bestemmiamo, resta sempre in noi) e la cosa non collegata con Dio dentro di noi, per cui non unendo le cose a Dio seminiamo in noi una frattura.

È un principio di schizofrenia, è proprio una divisione interiore che si instaura in noi. Per cui quella insoddisfazione di fondo che portiamo in noi, è sempre una divisione che portiamo in noi. Ne consegue tutto il problema di una mancanza  di identità, ecc.: perché siamo divisi, portiamo una frattura in noi: il nostro io è diviso tra il Pensiero di Dio (cosciente o no, perché anche se Lo bestemmiamo o non crediamo, non Lo possiamo cancellare né cacciare) e gli avvenimenti e i fatti che arrivano a noi.

Tutte le cose, tutti i fatti chiedono a noi di essere collegati, uniti al Pensiero di Dio. Se li colleghiamo restiamo uniti a Dio e possiamo essere illuminati. Ma se invece tali fatti (cose o persone) restano in noi disuniti da Dio, noi stessi restiamo disuniti da Dio, cioè seminiamo la frattura. Gesù infatti dice: “Chi con Me non raccoglie, disperde” e rimane disperso. Ora, se noi teniamo presente che la morte è divisione, noi seminiamo  la morte così dentro di noi: non unendo le cose a Dio che  è Vita. Infatti il terzo punto fermo del Prologo è: "In Lui era la vita: la vita è In Lui".

Dimenticando Lui, noi seminiamo la morte dentro di noi. Per cui quando non uniamo le cose a Dio, noi diventiamo delitto, noi seminiamo in noi il delitto, anzi facciamo già il delitto, per cui se Dio non ci impedisce di farlo, noi facciamo tutti i delitti di questo mondo, perché già noi stessi siamo delitto, quindi li abbiamo già fatti in noi; abbiamo già la morte in noi, per cui non possiamo far altro che la morte.

Ed ecco allora che siamo passati già  al secondo punto fermo che ci presenta il risvolto negativo del primo, cioè le conseguenze del non raccogliere in Dio: Senza di Lui è fatto niente tutto ciò che è fatto, cioè  “senza di Lui  diventa niente tutto ciò che è fatto”: diventa niente in noi. Il “senza" è in noi, non fuori, perché fuori di noi tutto è opera di Dio: "Tutto ciò che è fatto, è fatto per mezzo di Lui”, il “senza di Lui”  è solo in noi, perché il collegamento di tutta l’opera con Dio non avviene senza di noi. Per cui il “senza”, cioè il distacco, è soltanto dentro di noi che avviene. Infatti noi possiamo pensare a noi stessi e trascurare Dio, non attribuendo le cose a Lui. Quindi questo “senza” è solo un'opera intima, interiore: è il peccato.

Allora se noi non colleghiamo con Dio le opere di Dio, i fatti che avvengono, in noi tutto viene vanificato, tutto diventa inutile. Quindi tutta quell'opera immensa fatta da Dio, tutto l'universo, tutti i fatti che avvengono, tutte le creature che il Signore ci mette attorno e, in conclusione, anche la vita del Cristo, la sua morte, ecc., tutto diventa inutile: sangue sparso per niente, sparso invano. Per cui “verrà chiesto conto a questa generazione” di tutto quello che è stato sprecato; perché: “Tutto è stato fatto per te; guarda che opera immensa! E tu cosa ne hai fatto?”. Tutto quell'immenso lavoro di Dio per portare noi alla salvezza, alla conoscenza della Verità, è stato da noi sciupato, è diventato niente.

Per cui avessimo anche tutto il mondo già nelle mani, avessimo le più grandi virtù, la più grande intelligenza, possedessimo anche la fede, la speranza e la carità, tutto ciò che possiamo immaginare, se noi non viviamo con Dio, non colleghiamo con Dio, tutto resta sprecato, perdiamo tutto, tutto diventa inutile.

Non c'è nulla che noi possiamo possedere nel vero senso, è solo in Dio che possediamo, perché è solo in Dio che le cose valgono. Altrimenti, siccome tutte le cose sono state fatte da Dio perché noi si vada a Lui, affinché noi ci si ritrovi in Lui, se noi non ci ritroviamo in Lui, tutta l'opera di Dio diventa inutile per noi, solo in noi.

Ecco: "senza di Lui, tutto ciò che è fatto diventa niente", è niente tutto ciò che è fatto. Ecco    perché Gesù ha detto: “Chi non raccoglie con Me, disperde”!

Noi abbiamo in noi questa potenza terribile: di annientare in noi tutta l’opera di Dio e il Pensiero stesso di Dio. Abbiamo il potere di fare la nostra dannazione.

Nel pensiero del nostro io noi possiamo tenere disunite le opere di Dio da Dio. Per questo il Signore ci ammonisce: “Date a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21); questa è la giustizia fondamentale. “Voi vi preoccupate di tante giustizia, anche nel mondo, nella società, ecc. e non vi accorgete che ingoiate un cammello di ben altre dimensioni” (cf Mt 23,23-24).

Quindi non basta accettare da Dio, ma bisogna dare a Dio ciò che è di Dio. Quindi: riportate a Dio quello che è di Dio, perché tutto è di Dio. Riferite tutto a Lui.

È soltanto riferendo a Lui che la cosa si illumina, rimane raccolta in Lui.

Pinuccia B.: Quindi  il "senza di Lui" vuol dire non riportare a Lui tutte le cose, non raccogliere; quindi è un fatto interiore, di pensiero.

Luigi: Ed è il vero peccato. Il lavoro di riportare a Lui è un lavoro di pensiero e quindi di scelta (nelle nostre risposte ad ogni pestata di piede). Questa è la giustizia fondamentale che presuppone questa convinzione: “tutto è opera di Dio”. Se sei convinto che tutto è fatto da Dio, riporta tutto a Lui. L’Autore di quella cosa o creatura è Dio, quindi non appropriartene. Il pensiero è di Dio, l'opera è di  Dio, quindi non attribuirlo alla creatura o a te stesso, ma a lui. Rispetta l'autore. È di Dio! Se noi rispettiamo l’Autore, allora la cosa si illumina in noi, diventa luce per cui aumenta in noi la vita, poiché “la vita sta nella Luce”.

E sfociamo così nel 3° punto fermo del Prologo: “In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”: cioè gli uomini vivono nella misura in cui raccolgono tutto in Lui, perché solo la cosa raccolta in Dio diventa luce e quindi vita.

La luce non sorge prima, cioè non sorge quando le cose arrivano a noi e nemmeno quando le accettiamo da Dio, ma sorge solo nel momento in cui noi riportiamo le cose a Dio. Ciò che non riportiamo a Lui resta tenebre in noi. Ciò che riportiamo a Lui, Lui che è la Luce, resta illuminato e capiamo: "Ah, volevi dire quello!”, per cui diventa dono di Vita Eterna. Infatti Gesù dice: Chi con Me raccoglie riceve mercede di Vita Eterna ”, perché avviene una conoscenza vera in noi. E in quanto è vera, è eterna, non muta più. Quindi la mercede, cioè la ricompensa, è una conseguenza di quest’opera di unione a Dio, di quest’opera di raccolta in Dio.  Per cui:

·le cose arrivano a noi,

·chiedono a noi di essere riportate a Dio;

·se noi le riportiamo a Dio, unite a Dio, si illuminano e noi riceviamo  la conoscenza.

·questa conoscenza è la mercede di vita eterna.

Quando noi avremo raccolto tutto in Dio, noi saremo nella vita eterna. Se noi raccogliamo poco, entriamo poco nella vita eterna. Se non raccogliamo niente, non entriamo nella vita eterna e siamo lacerati da tutto il mondo esterno: “Legatelo e gettatelo nelle tenebre esteriori(Mt 22,13). Allora il nostro mondo interiore è invaso solo dalle cose esteriori che non sono luce, ma tenebre.

Ecco, il mondo, se noi non lo uniamo a Dio, entra dentro di noi e ci porta via, per cui non siamo più padroni di niente, perché chi diventa padrone della nostra anima è il mondo esterno, che non è Verità, non è Luce, per cui siamo lacerati continuamente da tutti i fatti esterni, da tutte le creature:  chiunque arrivi  può portare via qualcosa da noi. A questo punto noi siamo in balia degli altri. Abbiamo messo il banco in piazza: tutti passano, prendono e portano via, e noi non possiamo resistere (questa è la caratteristica di chi è nelle tenebre esteriori).  Non possiamo opporci al latrocinio, perché non siamo con Dio.

Ines: Non possiamo, perché fintanto che continuiamo in quell’andazzo lì accumuliamo rovina su rovina.

Luigi: Sì, per cui si è alla mercè di tutti. Qui si arriva a toccare con mano il niente. Ecco: “senza di Lui tutto è ridotto a niente”.

Ines: A questo punto solo il Signore ci può liberare.

Luigi: Ma non senza di noi. È la strada: chiunque passa, pesta, ruba e porta via. È la prostituzione. Siamo a disposizione degli altri. La creatura che non è unita a Dio necessariamente si prostituisce. Se noi uniamo tutto a Dio, rimaniamo uniti a Dio, allora Dio ci libera da tutte le cose che diversamente ci lacerano.

Dio è il liberatore, ma ci libera in quanto noi facciano conto su di Lui, e quindi riferiamo a Lui.

Eligio: È la conoscenza della Verità che ci libera. Ora però quando riferiamo le cose a Dio e le raccogliamo in Lui possiamo giungere a cogliere una verità, ma non la Verità Assoluta e tanto sospirata, la quale però per noi resta un miraggio. Ora vorrei chiederti: quando e come la creatura giunge a coglierla? In che relazione sta il “raccogliere” e la conoscenza vera di cui hai parlato?

Luigi: Il collegare le cose a Dio, il raccoglierle in Lui ci porta alla conoscenza vera del significato di esse, cioè della volontà di Dio su di noi, ad esempio dopo il pestaggio del piede. Ma questa non è ancora la conoscenza della Verità Assoluta. La conoscenza della Verità Assoluta è la conclusione del processo della nostra vita con Cristo, di tutto questo riferimento a Dio; raccogliendo le sue parole, perché sono queste che ci conducono (perché preparano in noi la capacità di riceverla) alla conoscenza di questa Verità Assoluta: Verità personale, conoscenza intima, che si caratterizza nella conoscenza della  Trinità di Dio e quindi nella  scoperta della sua Presenza in noi.

Eligio: È possibile stabilire un rapporto tra questa conoscenza vera e la conoscenza della sua volontà?

Luigi: Una cosa è la conoscenza della Volontà di Dio su di noi, ad esempio la conoscenza del significato che Dio ha messo nel farmi pestare il piede, e una cosa è la conoscenza delle Persone Divine e della loro Presenza in noi. Là abbiamo un'azione esterna, pedagogica di Dio per convertire noi. Ad esempio, quando Dio dice: “Se non diventerete come bambini” (Mt 18,3): è un'azione esterna, pedagogica. Così pure quando dice: "Non appassionatevi delle cose del mondo. Cercate prima di tutto il Regno di Dio…” (Mt 6,31-33): questa è un’azione esterna di Dio  verso di noi.

Se noi accogliamo queste parole, se le intendiamo, cosa facciamo? Non ci appassioniamo più per le cose del mondo, ma per le cose di Dio. Ma con ciò non abbiamo ancora una conoscenza personale di Dio.

Eligio: Quindi non è sufficiente staccarsi dal mondo e rinnegare noi stessi.

Luigi: No, perché la conoscenza personale di Dio non ci viene automaticamente dal rinnegamento del nostro io (perché questo rinnegamento è ancora un fatto esterno), ma dall’impegnarci con Dio, raccogliendo le parole del Cristo, perché la conoscenza di Dio ci viene da Dio: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me” (Gv 14,6).

Raccogliendo le sue Parole (anche e specialmente quelle che ci parlano della sua vita intima con il Padre, dei rapporti tra il Padre e il Figlio e queste parole sono molto diverse da quelle che hanno una funzione pedagogica esterna), siamo condotti da Cristo al Padre. È il Figlio che parlando, ci conduce a vedere il Padre, forma in noi questa capacità. Sono parole che magari non capiamo, ma che vanno tenute preziose, vanno custodite, raccolte tutte, perché alla conoscenza di Dio arriviamo in quanto raccogliamo tutte le sue parole.

In Cristo diventiamo dei raccoglitori delle Sue parole nella misura in cui siamo sensibili a Dio, in cui accogliamo tutto da Dio. Se ne rifiutiamo qualcuna perché magari non ci fa comodo, diventiamo incapaci di raccogliere le altre. Solo Cristo, nella misura in cui raccolgo tutte le sue Parole, mi porta alla conoscenza intima di Dio: è la Pentecoste.

È una conoscenza intima che "nessuno vi potrà portare via" (cf Gv 14,16; Gv 10,29). Lui parla di questa conoscenza intima per cui gli Apostoli, che pensano ad una manifestazione esterna, gli chiedono: “Cosa succede che ti manifesti a noi e non al mondo?”. E Gesù dice: “Chi mi ama, osserva le mie parole, allora il Padre mio lo amerà e noi verremo in lui e prenderemo in lui la nostra dimora” (Gv 14,22-23). Quindi è una conoscenza nettamente personale, intima ma reale, più reale e più vera di ogni altra.

È una Verità talmente pesante in noi che non c'è nessuna verità esterna che la possa infirmare. Anzi, tutte le cose del mondo ce la confermano sempre più. Ed essa, naturalmente, interessa il pensiero, l’anima, la coscienza. È più realtà di questi corpi con cui noi siamo presenti qui tra noi, come dice s. Agostino, il quale era più convinto dell'esistenza e della presenza di Dio che della sua propria esistenza. Infatti il corpo arriva a noi per mezzo della testimonianza dei sensi, Dio no, perché se così fosse, ci sarebbe da dubitare (infatti le visioni, le apparizioni, suscitano ad un certo momento dei dubbi, mettono in crisi).

La conoscenza dei corpi è una conoscenza mediata, perché avviene attraverso i sensi, mentre la conoscenza di Dio è una conoscenza immediata, senza nessuna creatura in mezzo.

Eligio: Quindi quando si è formata in noi la capacità di ricevere la conoscenza di Dio, Dio comunica Se stesso a noi senza interposta nessuna creatura.

Luigi: Certo, ed è solo Dio che può comunicarsi con questa “immediatezza”, direttamente e questa conoscenza non è modificabile da niente e da nessuno. Per quel che riguarda la conoscenza di Dio siamo nel campo della singolarità: qui i sentimenti, l’intelletto,  ecc., non possono né dare, né modificare questa conoscenza.

La conoscenza di Dio è il dono che Dio ci fa di Sé e della sua Presenza. Tale conoscenza è singolare perché è immediata e immutabile. Ecco la singolarità del dono di Dio che si distingue nettamente da tutti gli altri doni delle creature! Non c’è nessuna creatura che può fare questo dono della presenza nel modo con cui Dio si dona. Egli si dona in una immediatezza con cui nessuna creatura si può donare a noi. Le creature per arrivare a noi, devono spostarsi, fare un tratto di strada, cercare la nostra casa, ecc. Tutte le creature non possono donarsi reciprocamente come si dona Dio, cioè nell’immediatezza. Per cui tutte le creature possono passare solo attraverso Dio nel dono di sé.

Eligio: Però questo dono di Sé Dio lo fa solo quando la creatura è capace di riceverlo, perché prima la creatura non è capace a restare con Dio.

Luigi: Lui si dona a noi fin dall’inizio, anche se la creatura non è ancora capace di conoscere questa sua Presenza e non è capace di stare presente a Lui.

Qui sta la differenza e qui si rivela l'onnipotenza di Dio: Dio è presente nella creatura anche se  la creatura non è presente a Lui; noi invece non possiamo essere presenti a Lui senza di Lui. È solo pensando Dio e quindi solo con Dio che noi percepiamo la presenza di Dio, solo con Dio, non pensando a noi, ma guardando a Lui. Lui non ha bisogno di noi per essere presente a noi, perché è presente a noi anche senza di noi. Noi invece, per essergli presenti, abbiamo bisogno di Lui.

Ines: Comunque allora abbiamo bisogno di Lui: sia per essere presente a Lui e sia per scoprire la sua presenza in noi.

Luigi: Certamente, perché tutto è dono Suo.

Se scopriamo I’immediatezza della sua presenza in noi è grazia sua, è dono suo, non è opera nostra. Ma se non ci arriviamo la colpa è nostra.

Per cui quand'anche fossimo all'apice della conoscenza, della santità, ecc., dobbiamo avere la consapevolezza che  noi siamo sempre niente, perché tutto è opera e dono di Dio (ma nello stesso tempo godiamo di tutto). Per cui la creatura deve  sempre essere all’ultimo posto, ed è questo il suo vero posto, perché nell’ultimo posto gode di tutto.

Più invece ci riteniamo qualcosa, più ci priviamo, cioè diventiamo incapaci di contenere.

Ma più noi ci riteniamo niente, più stiamo cioè al nostro posto, più diventiamo capaci di ricevere l’Infinito, di contenere tutto; e questo è bellissimo!

Ma anche la capacità di stare al nostro posto, cioè all’ultimo posto, deriva da Dio, dall’essere uniti a Dio.   

Per poco che noi dimentichiamo Dio, usciamo immediatamente dal nostro posto senza rendercene conto.

Solo con Dio le cose stanno al loro posto, perché  è solo Dio che le mantiene a posto.

Pinuccia B.: Quindi è necessario il pensiero costante a Dio per non andare fuori posto.

Luigi: Certamente. È Gesù che lo dice: “È necessario pregare sempre (Lc 18,1). Pregare è elevare il pensiero a Dio, è raccogliere le cose, i fatti, le creature in Lui, per vederle illuminate in Lui e da Lui. 

Eligio: Però anche se uno lo desidera è molto  difficile restare in questo pensiero, in questa  presenza.

Luigi: La nostra fedeltà viene da Lui. Restare è una conseguenza infatti del raccogliere in Lui.

In un primo tempo bisogna imparare a collegare tutto con Dio, poi collegando si resta. Noi abbiamo il dovere della giustizia fondamentale, il dovere di raccogliere in Dio: nella misura in cui raccogliamo, abbiamo la capacità di restare raccolti.

Quindi la capacità di restare raccolti deriva da quanto abbiamo raccolto in Dio. Per cui se noi non raccogliamo niente in Dio, possiamo fare tutti gli atti di buona volontà di questo mondo senza però restare un attimo in Dio. Quindi se noi siamo molto inquieti e dispersi è perché abbiamo raccolto poco.

Stiamo attenti allora alla fedeltà alle cose piccole! (“Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto”, dice Gesù). Quindi quando hai cinque minuti a disposizione, Dio  ti osserva lì, perché in quei cinque minuti liberi tu puoi raccogliere.

Se lo fai, avrai la possibilità di restare raccolto per quei cinque minuti lì, quindi avrai un raccoglimento successivo per quel che raccogli in quei cinque minuti. Allora il tempo si allarga, per cui più uno raccoglie e più può restare.

Eligio: Il problema è sempre quello di trovare il tempo e il luogo adatto al raccoglimento.

Luigi: No, non è questione del tempo e dello spazio esteriori, ma di tempo e disponibilità interiori. Gesù dice: “Vi diranno: “Eccolo qui, eccolo là”. No, non credeteci: non crediate che andando qui o là, mi possiate trovare perché il Figlio dell’uomo verrà come il lampo che guizza da oriente a occidente…”. Non si tratta né di andare in un luogo, né di trovare del tempo. Sarebbe un’illusione nostra proporci di trovare noi del tempo o di sforzarci per andare là, e credere con ciò di trovare Dio, perché non è questione di tempo e non è spostandoti di luogo che tu puoi restare in Dio, perché la capacità di permanere è grazia di Dio, che deriva dal raccoglimento interiore in Dio. Per questo Gesù dice: Chi raccoglie riceve mercede”, cioè riceve capacità di raccoglimento. Quindi la possibilità di restare è una conseguenza del raccoglimento in Dio.

Pinuccia B.: Però chi raccoglie non è ancora capace di vedere tutto in un solo Pensiero, per cui è ancora portato via da tante cose.

Luigi: Raccogliere vuol dire unificare tutto in un solo Pensiero e più uno raccoglie, più rimane raccolto.

Eligio: Mentre ne parliamo ci sembra facile, ma nella realtà di ogni giorno non lo è più.

Luigi: Dio però considera la nostra buona volontà di raccoglierci. Per esempio, potevamo andare altrove invece di raccoglierci qui oggi per considerare queste cose: però qui non siamo ancora in un lavoro personale. Dio considera molto il lavoro personale quando siamo soli. Cosa pensi quando sei solo? Perché è lì, quando siamo soli, liberi e disponibili, che si rivela il nostro cuore, ciò che amiamo di più. Se noi amiamo veramente Dio, quando siamo soli pensiamo a queste cose se veramente ci interessano.

Dio ci guarda in particolare nel segreto della nostra stanza, nel tempo libero, perché è qui che riveliamo il nostro cuore, quello che ci sta veramente a cuore: nel tempo libero! Perché nell’altro tempo non possiamo disporre del nostro pensiero.

Magari noi attendiamo di poterci liberare da tanti nostri impegni, ma Dio non ci aspetta lì, perché intanto se Dio mi blocca o mi chiude, posso fare tutti i salti di questo mondo, ma non mi muovo da quegli impegni, perché è solo Lui che me ne può liberare. Ma Lui potrà dirti: “Ti ho bloccato per ventitré ore, ma per un’ora ti ho lasciato libero e tu, in quell’ora libera, che cosa hai pensato?

È lì il tuo cuore, è lì il tuo amore principale, è lì la tua fede.

Allora, se a noi interessa veramente Dio, appena abbiamo del tempo per noi, ci raccogliamo molto con Lui, per raccogliere con Lui,  perché quello ci sta veramente a cuore; altrimenti noi facciamo altro.

Ines: Raccogliere vuol dire pensare le cose in Dio?

Luigi: Raccogliere vuol dire unificare, come facciamo adesso, quella parola, quell’avvenimento, quello che mi arriva, ecc., con il Pensiero di Dio. Vuol dire fare questo tratto di strada per non tenere disunita questa cosa da Dio.

Eligio: Cioè non tener disunito da Dio tutto ciò che non dipende da me.

Luigi: Nulla va disunito da Dio, perché in realtà è tutto opera di Dio. Quindi tutto va collegato a Dio.

Collego a Dio ciò che mi arriva in quanto lo attribuisco a Lui: “Mi è arrivato, quindi è opera Tua, o Signore: per questo lo accetto”. Poi possibilmente cerco di capire quale lezione mi ha voluto dare, cerco di intenderne il significato, ricordando qualche frase del Vangelo, qualche spiegazione di Gesù, perché Lui è il Maestro che mi aiuta a capire. Infatti, siccome tutto è opera di Dio, quello che Dio ha fatto e detto nel Vangelo (e me lo ha spiegato, ad esempio con una parabola), me lo ripete continuamente negli avvenimenti di cronaca, negli avvenimenti della mia vita, perché è sempre lo stesso Spirito che opera.

Quello Spirito che parlava in Cristo, è quello Spirito che parla adesso, per cui oggi le parabole sono sempre quelle: si capisce che allora c'erano tanti greggi, invece delle automobili, però il significato è sempre lo stesso, per cui la parabola è sempre uguale.  Ecco l'importanza di rapportare la nostra vita al Vangelo: perché è sempre lo stesso Spirito che parla.

Per questo noi possiamo sentirci vicino a un s. Agostino, se abbiamo lo stesso spirito, perché lo stesso spirito parla sempre uno stesso linguaggio, fa sempre le stesse opere, perciò  diventa facile intendere se noi abbiamo presente lo Spirito.

Per cui, se noi per esempio abbiamo assimilato molto il Vangelo, ad un certo momento vediamo le parole di Gesù ripetute attorno a noi, negli avvenimenti, nei fatti, nelle cose magari più insignificanti e banali delle nostra giornata; in ogni cosa possiamo vedere una lezione del Vangelo, una parabola, quel fatto, una determinata frase che ha detto Gesù, perché il Vangelo assimilato ci fa  cogliere l’anima di tutto; e anche se si riveste con parole moderne, noi ne cogliamo l'anima, perché l’anima di ogni cosa è quella del Vangelo .

Lo Spirito di Dio è fuori del tempo e quello che Gesù disse duemila anni fa, lo dice ancora adesso; quello che disse agli Apostoli o agli uomini di allora, lo dice agli uomini di adesso che siamo noi: oggi siamo noi sulla scena, allora erano gli altri.

Dio parla uguale a tutti: “Le mie parole non passeranno” (Mt 24,35). Quindi non dire: “È vero che ci parla di Dio, però quella parola là era legata a quell’ambiente là e quindi  per noi non serve più”. No, perché in realtà siamo noi che dobbiamo modificare, perché lo Spirito è sempre uguale: dobbiamo cogliere il significato degli avvenimenti del Vangelo per poterlo cogliere negli  avvenimenti di oggi e quindi cogliere i fatti di oggi in quelli di allora, perché lo spirito è uguale, parla le stesse cose, insegna le stesse cose.

Quindi la responsabilità nostra è uguale a quella degli apostoli di allora, perché lo stesso Verbo che parlava allora è lo stesso Verbo che parla adesso, è presente adesso come era presente allora; la difficoltà  di riconoscerlo che ebbero quelli è ancora la difficoltà che abbiamo noi: infatti non bastò loro averlo fisicamente visto così com’era, con quella barba e capelli, per identificare il Cristo. La possibilità o la difficoltà nell’individuarlo non sta lì, ma sta nello spirito, cioè nell’aver o non aver interiorizzato in noi lo Spirito perché solo lo Spirito vede lo Spirito.   

Pinuccia B.: Vorrei riprendere la domanda che Eligio ha fatto prima. Se collego con Dio, arrivo ad una conoscenza vera della Volontà di Dio, ma questo non è ancora la conoscenza della Verità. Come si rapportano queste due conoscenze?

Luigi: Nella prima, come avevo detto prima, abbiamo la pedagogia di Dio: abbiamo Dio che si abbassa al livello della creatura e le dice: “Non fare così, fa’ così”, per esempio: “Se non diventerete come bambini non entrerete”. Cioè ti dice che per entrare, devi fare così, cioè ti spiega la condizione per entrare, per poter poi conoscere Dio. Se ho la passione per il denaro o lotto per la politica, ecc., non sono disponibile per accogliere la Verità, allora il Signore viene e mi dice: "Fa’ penitenza, distaccati, cambia vita, ecc. perché questa è la condizione per ascoltare la lezione di Dio; non attribuire le cose a te o ad altri, ma a Dio”: la giustizia fondamentale implica questo rinnegamento dell'io.

Qui abbiamo una lettera imperativa: se io accolgo queste lezioni dalle mani di Dio, ubbidisco, e quindi  mi comporto secondo il suo volere; e comportandomi così mi preparo, divento allievo. Quando sono diventato allievo, c’è ancora una distanza enorme per arrivare a conoscere quello che Lui mi vuole comunicare. Però siamo entrati in scuola, quindi incomincia il processo di istruzione. Prima siamo fuori dalla scuola. Finché siamo fuori dalla scuola, il Signore ci dice: “Finché rimani fuori, non puoi sentire il maestro. Entra!”. Entrando noi cominciamo ad essere disponibili, incominciamo a raccogliere. Essendo disponibili, Lui ci parla di Sé. Parlandoci di Sé, Lui ci porta a poco a poco a scoprire la sua Presenza in noi.

La maggior parte della nostra vita purtroppo noi la passiamo a giocare fuori classe, la sprechiamo in cose che non sono di Dio, prendendo a calci tutte quelle cose con cui Lui ci invita ad entrare in classe. Se noi invece ubbidiamo ed entriamo in classe, cominciamo a partecipare alla Sua vita.

La condizione per entrare in classe è unificare l’avvenimento, la creatura, il fatto, ecc., con Dio. Questa è la volontà di Dio. Se unifico tutto in Dio, entro in classe e mi rendo disponibile all’ascolto e quindi a raccogliere. Perché unificare vuol dire distogliermi da tutto ciò che non è Dio.

Per cui, per esempio, se mi pestano il piede, non mi irrito con il fratello, se no, non lo prendo da Dio. Siamo ancora nelle lezioni dell’Antico Testamento, fuori classe, con il Maestro che ci manda il bidello (ecco la funzione di Giovanni Battista!) per farci entrare. Comunque è già la voce della Verità: la Verità che manda le sue ancelle sulle piazze, sulle vie (le opere, i suoi servi) per chiamare tutti noi ad entrare e a dirci di non appassionarci per le cose del mondo perché fintanto che siamo fuori non possiamo ascoltare e non abbiamo quindi la possibilità di conoscere Dio.

Pinuccia B.: Ora mi è più chiaro: accettare le cose da Dio, attribuirle a Dio, ha la funzione di creare in me  la condizione per l’ascolto.

Luigi: Certamente. E l’ascolto è la condizione per giungere a conoscere Dio. Ma fintanto che non unifichi, fintanto che non ti impegni a raccogliere, non sei in ascolto e quindi non puoi giungere a conoscere la Verità Assoluta.      



Prologo Capitolo uno Vangelo di San Giovanni. Quinto Tema.


Titolo: I dieci punti fermi del prologo.


Argomenti: Tutto è opera di Dio – Senza la Luce di Dio tutto è tenebra – La vita dell’uomo è nella Parola di Dio – La vita viene dal capire – La risposta dell’uomo alla Luce – La testimonianza di Giovanni Battista – La voce delle creature – La possibilità di diventare figli di Dio – La Luce tra di noi – Siamo chiamati a contemplare la Luce - Breviario di vita interiore -


23/Gennaio/1976


Dall’esposizione di Luigi Bracco e dalla conversazione:

(appunti): Le volte scorse abbiamo visto come il Prologo ci presenti una visione completa dell’opera di Dio,  “il quale vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità” (1 Tm 2,4). Versetto per  versetto abbiamo osservato che gli argomenti di esso si aprono in cinque grandi scene che ci offrono una visione dinamica del cammino della nostra salvezza nelle sue tappe principali fino alla nostra Pentecoste, cioè fino alla visione della Gloria del Verbo.

·La prima  scena è la presentazione di quello che “era” in Principio e che si conclude con il rifiuto dell’uomo (versetti 1-5).

·La seconda scena è la presentazione dell’inizio dell’opera di recupero svolta da Dio nel mondo esterno, in cui tutte le creature ci testimoniano di non essere loro la Luce, invitandoci a cercarla altrove (giustizia essenziale) (versetti 6-8).

·La terza scena è la presentazione della Luce vera, quella che illumina ogni uomo e che è dentro di noi: se l’accogliamo si forma in noi  la fame di Dio (versetti 9-13).

·La quarta scena è la presentazione del Pane che risponde alla nostra fame: il Verbo fatto carne (versetto 14 - 1° parte).

·La quinta scena è la presentazione della Meta:  vedere la Gloria del Verbo (versetto 14 - 2° parte).

All’interno di queste cinque scene,  stiamo cercando di  stabilire dei punti fermi per il nostro pensiero, cioè quei punti–luce che debbono diventare delle ferme convinzioni in noi: convinzioni basilari che ci sostengono  nel nostro cammino e ci sollecitano ad avanzare verso la Meta.

Le volte scorse  abbiamo già osservati i primi tre, ma in  tutto ne possiamo evidenziare dieci:

I primi quattro punti fermi  tendono a formare in noi la convinzione di “ciò che è”:

·1°) Tutto è opera di Dio (versetto 3 - 1° parte);

·2°) senza di Lui tutto è ridotto a niente (versetto 3 - 2° parte);

·3°) in Lui è la Vita (versetto 4 – 1° parte),

·4°) la vita degli uomini sta nella Luce (versetto 4 – 2° parte).

C’è da far notare che le volte scorse il 3° e il 4° punto li abbiamo unificati in un punto solo. La conclusione che abbiamo tratto da questi primi quattro versetti, e che è poi la sintesi di essi,  è la necessità di adeguarci a “ciò che è” e quindi di imparare a “raccogliere  le cose in Dio per partecipare della vera Vita ed evitare la morte.

Nel 5° punto fermo (versetto 5), che ora vedremo, ci è annunciato che “la Luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non La compresero”.  “Ciò che è” risplende davanti a noi, nessuno lo può ignorare, ma per comprenderlo bisogna riconoscere che siamo tenebre, cioè bisogno di luce; ed è importante che si formi in noi questa convinzione.

In conseguenza del rifiuto dell’uomo, vedremo ora  negli altri cinque punti fermi del Prologo l’annuncio e la proposta di tutta la grandiosa opera che Dio ha fatto e fa per recuperare l’uomo, formando in lui queste convinzioni:

·6°) le creature e tutto il mondo esterno non sono luce, ed è ciò che dice Giovanni Battista (versetti 6-8);

·7°) la Luce vera è dentro di noi, ed è qui che va cercata e scoperta (versetto 9);

·8°) è essenziale mettere in alto questa Luce per avere la possibilità di incontrare il Cristo e quindi di diventare figli di Dio (versetti 10-13);

·9°) è necessario incontrare, riconoscere  e seguire il Verbo che si è fatto carne e che abita tra noi (versetto 14 – l° parte);

·10°) siamo chiamati tutti a contemplare la Gloria del Figlio Unigenito (versetto 14 – 2° parte).

(parte registrata): Allora, adesso, ci soffermeremo su  ciascuno di questi dieci punti fermi.

1° PUNTO: tutto è opera di Dio. Questo lo traiamo dal versetto che dice: “Tutto è fatto per mezzo di Lui”: credere in Dio Creatore di tutto è il primo punto luce.

Ci siamo allora interrogati se siamo realmente convinti che tutto ciò che esiste e tutto ciò che accade sia opera di Dio. Tutti coloro che erano presenti, hanno dichiarato di  esserne convinti, meno uno che ha detto di non esserlo ancora…. Vero, Pinuccia?

Pinuccia B.: No io non ho detto questo; ho detto che ho sempre paura di dire: sì ne sono convinta. Perché è facile essere convinti in teoria, però mi spaventa la mia incoerenza nella pratica. Allora come faccio a dire che sono convinta quando vedo che sono molto lontana dal vivere coerentemente a questa convinzione? Perché se questo è vero come è vero, allora devono cambiare tutte le mie risposte ad ogni situazione...

Nino: Anch’io tante volte, pur essendo convinto di questa verità, mi pongo il problema del perché delle mie incoerenze…

Luigi: Noi non abbiamo chiesto la situazione di responsabilità o di moralità di ognuno: questo è un problema personale e a noi non  interessa. Noi abbiamo chiesto se uno è convinto. Che poi dopo uno sia coerente o incoerente, quello è affare suo, è un problema personale e a noi non deve interessare! E nessuno di noi si deve preoccupare di sapere se l’altro è coerente o no!

Il problema dell'incoerenza non è il problema che adesso interessa. Non stiamo facendo un problema di coerenza, ma di convinzione, di adesione dello spirito nostro, poi di coerenza se ne potrà eventualmente parlare, per cercare quali sono i  mezzi più' efficaci per realizzare l'adesione della nostra vita pratica a questi principi che ci hanno convinto. Però adesso desideriamo vedere se siamo convinti, perché possiamo anche non essere convinti. Infatti quante volte  parlando delle guerre, dei mali esteriori, dei delitti veniva fuori che non si era convinti che tutto fosse opera di Dio, che tutto fosse voluto da Dio. E allora  rimaneva l’interrogativo: è voluto da Dio tutto quello che accade?

Ecco è questo che vorrei sapere: se siamo veramente convinti di questo, perché questa é la base fondamentale sulla quale poi si può edificare per la vita dello spirito. Se invece noi non siamo convinti di questo, non si può edificare perché dobbiamo sempre distruggere continuamente e ricadiamo sempre nello stesso punto.

Pinuccia B.: Allora per verificare se ne siamo veramente  convinti bisogna vedere se sappiamo accettare con pace e con comprensione certe affermazioni, certe verità, che se invece ci urtano, possono farci venire il dubbio se siamo convinti o no che tutto è voluto da Dio. Ad esempio, frasi come questa: “Dio ha fatto un Hitler appositamente per me!”, le posso accettare tutte con serenità, con convinzione? Se mi urtano ancora è perché non  sono ancora convinta che tutto quanto accade è voluto da Dio.

Luigi: No, non ci siamo! Quello che ti urta è sentimento! E noi non stiamo adesso facendo un problema di sentimento, perché tu puoi essere urtata per il fatto che sei abituata ancora a pensare in un certo modo. Adesso stiamo soltanto osservando se, intellettualmente, noi siamo veramente convinti che tutto ciò che accade è opera di Dio.

Intanto è frase del Vangelo, non solo, ma è anche frase della Bibbia, dell’Antico Testamento che già fin dall’inizio, nella Genesi afferma che  tutta la creazione è stata fatta per mezzo della Parola di Dio: “...e Dio disse...; ... e Dio Disse...; e Dio disse…”: tutto è Parola di Dio. Poi abbiamo l'Ecclesiastico e Isaia che quasi ad ogni pagina sostanzialmente dicono: “C'è  forse qualche cosa che può accadere che non sia voluta da Me?” (es.: Is 22,5). E abbiamo Giobbe che dice: “Lo so bene che tutto ciò che mi è accaduto è stato voluto dal Signore”, ed é proprio per questo che lui discute col Signore: perché sa che è stato voluto dal Signore! Tutta la problematica di Giobbe non ci sarebbe se lui dimenticasse che ciò che gli é accaduto gli è stato mandato dal Signore, é stato voluto dal Signore! Ma è proprio perché gli è stato mandato dal Signore che lui vuole sapere perché il Signore gli ha mandato questo, in quanto lui si reputa innocente. Nasce la conflittualità perché non riesce a capire. Il capire è un'altra cosa, però accetta, riconosce che tutto ciò che esiste, in quanto esiste é voluto da Dio.

Tutti gli avvenimenti in quanto accadono, sono voluti da Dio. È il Signore che suscita Assur come  bastone tra le Sue mani per bastonare il suo popolo, come suscita un Hitler, un Mussolini, uno Stalin ecc.: non vedo nessuna differenza tra questi; è il Signore che suscita queste persone per bastonare, ed è il Signore l’Autore del piede pestato: sono lezioni di Dio per ciascuno di noi.

Tutto ciò che accade “… é stato fatto per mezzo di Lui”.

Ora noi abbiamo visto che quel “...è stato fatto...”, va inteso come “tutto è ancora fatto”, non solo perché Dio è fuori del tempo, ma anche perché, siccome ci annuncia una cosa in cui noi veniamo a trovarci (noi nasciamo, noi esistiamo in casa d'altri, per cui ci troviamo in un “già fatto”), ci fa capire che anche tutto ciò che accade oggi “ è fatto per mezzo di Lui”.

Adesso noi ci chiediamo se siamo convinti su questo primo punto, cioè che tutto sia opera di Dio, che tutto ciò che accade, accada per opera Sua. Questa convinzione è la condizione per entrare in dialogo con Dio, perché se io non riconosco che tutto ciò che accade è voluto da Dio, la parte che io ritengo non  voluta da Dio, la escludo dal dialogo con Dio, per cui quella non m'interessa e non mi mette in dialogo con Dio; ma forse, o senza forse, è proprio quella la parte attraverso cui Dio  maggiormente apporterebbe in me  una trasformazione di vita, un superamento, un rinnegamento di me  stesso se io l’accogliessi da Lui.

Noi siamo portati ad escludere dal “voluto da Dio” quello che non ci aggrada, quello che non ci fa piacere, per cui quando Dio ci dà la caramella diciamo: "Oh, Dio com’è buono!”; ma il pestaggio del piede lo vediamo da parte della creatura e non più da parte del Signore, per cui diciamo: “Questo è avvenuto perché è la creatura che é malvagia!”.

Dal momento in cui io dico che il pestaggio del piede è avvenuto perché è l'uomo che è cattivo, volgare, disattento, già mi metto fuori dal dialogo con Dio, lo attribuisco all'uomo e non a Dio. Se invece dico: “Sei Tu, Signore, che hai mandato uno a pestarmi un piede”, questo mi fa entrare in discussione con Dio, cioè mi fa entrare nel problema di Giobbe: “Perché Dio mi ha mandato uno a pestarmi un piede?”. Dio certamente non Lo possiamo accusare di difetto o di cattiveria, come possiamo accusare un uomo; e allora? Evidentemente l'azione da parte di Dio é sempre giustificata ed é buona,  positiva; quindi evidentemente la  trasformazione è in noi che deve avvenire: ecco allora  che l'opera diventa positiva per me! Per questo dico: é importantissimo riconoscere, vedere se effettivamente siamo convinti che tutto ciò che accade é voluto da Dio.

Questo è un annuncio, un messaggio, perché la Parola di Dio non è cultura. Quando io so che nel Vangelo di s. Giovanni cap. 1,3 é scritto: Tutto è stato fatto per mezzo di Lui…”, questo é un messaggio personale che giunge a me per chiedere a me un atto di adesione: è Parola di Dio!

Pinuccia B.: La convinzione può esserci anche se uno non capisce?

Luigi: No, devi capire! Devi capire quello che Dio ti dice. Tu non puoi convincerti di  una cosa che non capisci!

Pinuccia: Tu prima hai detto che non era una questione di capire (ad esempio, perché Dio fa quella cosa per me), ma di essere convinti che tutto è voluto da Dio.

Luigi: Questa è un’altra cosa. Pensavo che tu mi ponessi un altro problema, cioè se uno può essere convinto di ciò che gli è annunciato, anche se non lo capisce, e allora ti ho risposto di no, perché la Parola di Dio che ci dice che tutto è opera sua, è un annuncio che è comprensibile. L'uomo deve capire quello che gli viene annunciato, cioè deve capire che questa frase: “tutto é stato fatto per mezzo di Lui”, vuol dire che tutto è opera di Dio.

Capire poi il significato di quello che accade è invece un'altra cosa e possiamo anche non capirlo per molto tempo.

Nino: Il significato può essere capito anche dopo dieci anni... 

Angelo B.: Il problema piuttosto è il fatto che noi crediamo, sì, ma crediamo  superficialmente. Se noi forse avessimo una fede profonda saremmo coerenti. Invece…

Nino: Per essere coerenti dovremmo essere perfetti,  invece non lo siamo e ci modifichiamo pian pianino.

Pinuccia B.: Se però siamo veramente convinti di una Verità, essa deve prendere tutto di noi.

Nino: Deve!? È una parola!

Luigi: A volte ci vuole tutta una vita per “entrare” in ciò di cui noi siamo convinti. Il problema è che siamo convinti, ma non entriamo! Ad esempio, tu sei convinta che Dio esiste?

Pinuccia B.: Sì.

Luigi:  Convintissima?

Pinuccia B.: Certo, è la prima Verità di cui dobbiamo essere convinti…

Luigi: Eppure guarda lungo la giornata tutte le cose che tu dici e fai senza tenere presente che Dio esiste. Vedi che per entrare in ciò di cui si è convinti non basta la convinzione: ci vuole sforzo e attenzione per tenere presente ciò di cui si è convinti. Pensa a tutta la fatica che bisogna fare per “entrare” nella convinzione che  Dio esiste! Per cui uno è convinto ma… Comunque l’importante è essere convinti, perché se uno è convinto di una cosa, ha la possibilità di accorgersi della propria incoerenza e correggersi.

Ritorniamo ora al primo punto fermo del Prologo: “Tutto è opera di Dio”. Ne siamo tutti convinti? Tu, Nino, cosa dici? Sei convinto che tutto ciò che accade è voluto da Dio?

Nino: Sì, ne sono convinto anche se anch’io nella pratica…, però ne sono convinto.

Luigi: Intendo chiedere solo quello. E tu, Ines, sei convinta che tutto è voluto da Dio? Tutto?

Ines: Mi sta aiutando il libro: “Ecco la notte!” Certo che arrivare a convincerci che tutto, proprio tutto è voluto da Dio… non è facile.

Luigi: Ma bisogna arrivarci, poiché in realtà tutto ciò che accade, in quanto accade è voluto da Dio. Tutto!

Anche i delitti, le guerre, anche le cose più infamanti…

Pinuccia B.: Anche i bambini che muoiono di fame…, tutte le ingiustizie sociali…

Nino: Ma se non ci fossero queste cose, noi ci riterremmo giusti! E non penseremmo di doverci convertire…

Luigi: E già! Ma invece Dio proprio attraverso questi fatti che ci scandalizzano, ci dà delle lezioni di conversione, ci fa riflettere, ci urta e apporta nella nostra vita una maturazione della fede in Lui. Infatti in un primo tempo crediamo che siano gli uomini ad operare, oppure il caso, il destino…; poi  poco per volta, man mano che il tempo passa, attraverso questa riflessione che Dio  crea dentro di noi, per mezzo di notizie di cronaca, fatti politici, storia, avvenimenti spiccioli o gravi della nostra giornata, provoca dentro di noi un’interrogazione. Infatti  tutto entra nella nostra anima, nella nostra coscienza e lì  senza che noi ce ne accorgiamo, i fatti  poco per volta entrano in discussione con Dio! Perché noi siamo abitati da Dio. S.Paolo dice: “La nostra conversazione è nei Cieli! È con Dio!”. Noi senza rendercene conto, discutiamo sempre con Dio. Noi non siamo coscienti della sua Presenza in noi, ma tutti i fatti che entrano in noi, li portiamo a confronto col Signore, con la fede; e la discussione é sempre su quel punto lì: “Ma se Dio esiste, perché succede questo?  Perché Dio mi ha mandato questa disgrazia? Io non ho mai fatto niente di male!”.  Anche l'ateo ad un certo momento salta fuori con questo problema: “Ma se il Signore ci fosse...non succederebbe questo…” Ma come mai? È perché noi siamo sempre in dialogo con Dio, anche senza rendercene conto.

Nino: Noi purtroppo, quando non accettiamo da Dio le cose, cerchiamo sempre delle ragioni per giustificarci...

Luigi: Noi crediamo di mettere a tacere il Signore, ma inganniamo noi stessi, truffiamo noi stessi. Sappiamo benissimo che non possiamo ingannare il Signore, poiché “Egli scruta i cuori e i desideri”.

Nino: Eppure si cerca di mettere a tacere la coscienza; lo si fa per un po’, ma poi…

Luigi: È perché  il Signore aspetta magari degli anni, ma poi  ci riconduce davanti a problemi non limpidamente risolti per farceli risolvere con Lui. Noi crediamo di scantonare, facciamo un lungo giro, ma poi Lui attraverso il tempo ci riconduce lì.

Cina, sei convinta che tutto ciò che accade è voluto dal Signore?

Cina: Sono lì, lì… Se prendo la Parola di Dio…

Luigi: La Parola di Dio dice: “Tutto è fatto per mezzo di Lui”.

Cina: E allora in quel momento che leggo la Parola di Dio, dico di sì, ma il momento dopo non arrivo già più… E non riesco a restare sempre su quella parola.

Luigi: Ma non si tratta di restare sempre su quella parola; si tratta di essere convinti di quello che essa ci dice.

Non si tratta nemmeno di riuscire a capire il significato di quello che accade, ma di essere convinti che tutto ciò che accade è voluto dal Signore. Secondo te, quello che accade è voluto dal Signore o dagli uomini?

Cina: Non arrivo ancora a capirlo bene in certe cose.

Nino: Vediamo nei giornali quali pasticci e confusione sanno fare gli uomini…!

Luigi: Anche queste sono lezioni di Dio e ci confermano il secondo punto fermo del Prologo: “Senza di Lui nulla è fatto ciò che è fatto”. 

Pinuccia B.: Capire che tutto è voluto da Dio e che quindi tutto è lezione di Dio è scoprire un principio di liberazione enorme ed é la base fondamentale per iniziare e proseguire il cammino. La difficoltà di Cina io l’ho provata moltissimo, ed è data forse anche dal  fatto che non  si è mai sentito dire così esplicitamente che tutto é opera di Dio. Anzi sempre ci è stato detto che di fronte a certe situazioni di povertà e di bisogno, dobbiamo darci da fare per aiutare Dio...

Luigi: In quanto queste situazioni sono volute dal Signore, con questo non vuol dire che noi ci dobbiamo tirare indietro, perché è Dio che le ha fatte. Le ha fatte Lui, ma Dio le ha fatte per me, in quanto le presenta a me! E quindi m'impegna personalmente in quel fatto.

Come quel tale che di fronte ad uno che  è stato condannato, dice: “Sta subendo quello che dovrei subire io; lui é stato condannato al posto mio!”: il  ragionamento giusto è sempre questo, perché quello che accade fuori é sempre una lezione personale per ognuno di noi. Infatti in quanto mi arriva, mi arriva da Dio. Dio parla personalmente con noi, quindi quella lezione la dobbiamo prendere su di noi.

Presa su di noi, dobbiamo cercare di interpretarla in Dio, secondo lo Spirito di Dio: “Cosa Dio mi chiede presentandomi questo?”. Può darsi che Lui mi chieda un atto d'amore verso il fratello, magari per farmi uscire dal mio pensiero egoistico. Può darsi invece che Lui mi impegni in un atto di umiliazione, nel farmi scoprire che io sono quello che Lui mi sta rappresentando esteriormente attraverso quel fratello, quindi per farmi prendere coscienza della mia miseria, della mia povertà, della mia ubriacatura, della mia schiavitù.

Comunque sono lezioni di Dio, e in quanto sono lezioni di Dio, siccome Dio parla personalmente per ognuno di noi, dobbiamo assumerci personalmente la responsabilità e mai scaricarle su altri, mai scaricarle sulla società, sugli uomini, sul caso, sulla natura ecc. No! Perché queste sarebbero evasioni con cui noi facciamo scivolare  le lezioni al di fuori della nostra vita. Invece le lezioni dobbiamo prenderle su di noi: Dio“Dio sta parlando personalmente a me, per me!”.

Noi dobbiamo sempre tenerci in questo pensiero: quando saremo di fronte a Lui, Lui potrà sempre dirci: “In quel fatto, in quell'avvenimento ero Io che ti parlavo”.

Se non abbiamo tenuto conto che era Lui che ci parlava, che era una lezione sua per noi, noi, di fronte a Lui che ci dirà: “ero Io”,  non potremo dire assolutamente niente! Lui ha ragione! Lui potrà sempre dire: “In quel fatto, in quella persona, ero Io”. Noi cosa avremo da obiettare?

Allora, se noi, pensando a quel rapporto diretto con Lui in cui ci verremo a trovare, capiamo già fin d’ora che non avremo niente da obiettare; anche adesso non dobbiamo aver niente da obiettare, perché in tutte le cose Lui può e potrà dirci: "Ero Io!".  Se ce lo potrà dire, ce lo dice perché Dio è fuori del tempo!

 Quindi se noi, pensando al momento dell’incontro con Dio, trasferendoci a tu per tu con Lui, capiamo che se Lui ci dirà: “Ero Io!”, noi non potremo dire niente, ecco che allora anche adesso, onestamente, in coscienza non possiamo dire niente. Quindi dobbiamo essere convinti che tutto quanto accade è opera di Dio.

Tu, Emma, sei convinta che tutto quello che accade è opera di Dio?

Emma D.: Certo, anche se purtroppo nella pratica…

Luigi: Non chiedo se uno è coerente o no, la coerenza è un problema di coscienza, personale.

Emma D.: Io ci credo, perché la Parola di Dio, anche se non la capisco, non la discuto e l’accetto.

Luigi: Accettare la Parola è una cosa, ma anche tutti gli avvenimenti sono parole di Dio; questi li  accetti come parola di Dio?

Emma D.: Certo! E se non li accettassi, che cosa risolvo?

Luigi: Quindi sei convinta che tutti gli avvenimenti sono voluti da Dio?

Emma D.: Sì, penso proprio di sì.

Luigi: E tu, Angelo, ne sei convinto?

Angelo B.: Quando ci penso, sì, ma quando mi distraggo, me lo dimentico.

Luigi: Ma vedi, noi  siamo convinti che 2+2=4; ma se tu dici che 2+2=5, questo é affar tuo! Sbaglierai mille volte, ma un bel giorno ti accorgerai che inganni solo te stesso, sbagli solo su di te, cioè l'errore ricade solo su di te. Allora ad un certo momento sarà tua preoccupazione cercare di non sbagliare, ma questa possibilità ce l’hai perché sei convinto che 2+2=4. L'importante è questo, perché quando noi siamo convinti, abbiamo in noi la possibilità di scoprire l'errore, la devianza e correggerci.

Quindi “tutto è voluto da Dio”: se ne siamo convinti, abbiamo un punto di riferimento in noi per scoprire le nostre deviazioni, per cui possiamo dire: “Qui sto deviando… perché tutto è voluto da Dio: non posso allora comportarmi così”. Se invece non siamo convinti, non abbiamo in noi la possibilità, un punto di riferimento, la bussola per individuare quando deviamo.

Concludendo, l’insegnamento che deriva da questo 1° punto è: tutto ciò che arriva a me senza di me devo accettarlo da Dio, perché viene da Dio.

2° PUNTO: "Senza di Lui nulla è fatto  tutto ciò che é fatto”. Senza la luce di Dio Creatore tutto è tenebra.

La volta scorsa abbiamo detto che questo: “senza di Lui…”, in realtà, oggettivamente, non esiste perché: “tutto é fatto per mezzo di Lui”. Quindi questa affermazione non è la contrapposizione, non è una ripetizione che conferma l’affermazione precedente, no! ma ci annuncia qualcosa di nuovo. Questo “senza” avviene e può avvenire soltanto nel cuore dell'uomo. È soltanto nel cuore dell'uomo che avviene il “senza di Lui...”, perché se noi escludiamo l'uomo, escludiamo il nostro io, tutto é “con Lui”. Quindi obiettivamente il “senza” non esiste, il “senza” esiste soltanto nel cuore dell'uomo, il quale proprio perché pensa a se stesso, si può fermare al suo io e quindi escludere nel suo pensare, nel suo parlare, nelle sue scelte e decisioni, il Pensiero di Dio, cioè può non tener conto di Dio. 

Qui ci é detto che tutto ciò che noi facciamo senza tener conto di Dio si riduce a niente, per cui anche tutto il nostro vivere diventa niente: cioè abbiamo l'annullamento dei valori. Per valori intendo anche fede, speranza, carità, l'intelligenza, la volontà, tutti i doni di Dio. Ora,  tutto ciò che è fatto da Dio non si mantiene senza di Lui.

Siccome però noi possiamo pensare, ragionare, agire, scegliere senza di Lui, facendo così perdiamo tutto, o per lo meno, svalutiamo tutto e arriviamo al termine della vita con niente di fatto e diciamo: “Tutta la mia vita è servita a niente”.

Come mai c'è questo annullamento? Magari in  tutta la mia vita ho faticato, ho lavorato ecc., ed è servito a niente. Come mai il risultato è niente? Questo processo di vanificazione, di azzeramento, noi lo esperimentiamo: giornate che sono servite a niente, passate a vuoto! Abbiamo incontrato tanti semafori rossi, per cui abbiamo girato a vuoto, non riusciamo, non possiamo andare avanti.

E come mai giriamo a vuoto? Attraverso questi semafori rossi, il Signore dice: “Fermati! Riconosci che Io sono il Signore!” (Sal 46,11). L'errore sta tutto lì: noi giriamo a vuoto perché stiamo agendo di iniziativa nostra senza di Lui, per cui il Signore ci fa toccare con mano la verità di questa affermazione: “senza di Me non potete fare niente!”. E noi facciamo niente!

A proposito di questo Gesù ha narrato la parabola dei lavoratori dell’ultima ora, e proprio a questi  viene chiesto: “Come mai state tutto il giorno a fare niente?”. Possiamo arrivare magari all'ultima sera della nostra vita e sentirci dire: “Come mai tu stai passando tutta la vita a fare niente?". Magari lavoriamo, sudiamo e ci affatichiamo da mattina a sera, eppure il Signore ci può dire: “Stai facendo niente!”. Noi magari gli diremo: “Ma come mai? Ma io, Signore, ho faticato tanto!” e Lui: “Ma Io te lo avevo detto: senza di Me tutto ciò che hai fatto diventa niente!”. 

Allora, anche su questo punto dobbiamo chiederci se siamo convinti. Abbiamo capito cosa vuol dire pensare, parlare, agire senza di Lui? E cosa vuol dire pensare, parlare, agire con Lui? Abbiamo capito cosa vuol dire “con Lui” e “senza di Lui”? Cioè, noi possiamo pensare senza di Lui, cioè senza tener conto di Dio, come invece possiamo pensare con Dio.

Allora se noi pensiamo “con Dio”, le cose sono ispirate da Dio, è Lui che guida, è Lui che opera, per cui  le cose che facciamo sono valide.

Se noi Invece pensiamo, parliamo o facciamo “senza di Lui” le cose valgono niente; non solo, ma ci rendono schiavi di esse e ci riducono a niente, e Dio ce lo fa toccare con mano!

Ora chiedo: di questo siamo convinti?

(Ognuno dei presenti interpellato personalmente, risponde di sì).

Nino: Mi sto chiedendo come mai l’accettazione di questo 2° punto è stato più facile che non quella del 1°. Forse perché è più normale constatare il niente che facciamo senza Dio, che non constatare che tutto è opera di Dio.

Luigi: A me sembra tanto normale che tutto sia voluto da Dio!

Angelo B.: Forse è l’espressione “è voluto” che ci scandalizza…

Pinuccia B.: Invece il dire “tutto è parola di Dio, lezione di Dio” non ci scandalizza e ci urta di meno; eppure si dice la stessa cosa.

Nino: Ma per capire che si dice la stessa cosa, bisogna sviscerare, andare a fondo di ciò che si afferma.

Luigi: Bisogna arrivare alla convinzione.

Comunque, concludendo, l’insegnamento che ci viene da questo 2° punto è questo: tutto ciò che parte da me deve partire da Dio: cioè l’intenzione, la motivazione deve essere Dio.  

3° PUNTO: “In Lui era la vita”. Questo versetto ci afferma che la vita dell'uomo è nella Parola di Dio: è la Parola di Dio che ci dà vita! Gesù lo conferma nel momento della tentazione, quando risponde al demonio, dicendo: “L'uomo vive di ogni parola che procede dalla bocca di Dio” (Mt 4,4): l'uomo vive di questo!

Dicendoci però che in Lui “era” la vita, usando cioè il tempo passato, ci fa capire che noi ci siamo scostati e abbiamo cercato la vita altrove: Egli parla a delle creature che ormai vivono per altro.

Allora naturalmente, siccome vivendo per altro ci si trova a toccare con mano l'angoscia, la privazione, la mancanza di vita, ecco che Dio ci dice: “Avete sbagliato strada, in Lui era la vita; voi l’avete cercata altrove!”. E ce lo dice per invitarci a recuperare il principio della nostra vita, a rimetterci sulla strada che abbiamo smarrito, a imparare che la vita è nel Verbo, nella Parola di Dio. Quindi l'annuncio è questo: “In Lui è la vita”; quindi non cercare più la tua vita altrove.

Ecco, tu hai sbagliato strada, ad un certo punto ti arriva il messaggio: “Guarda che la strada giusta é quell'altra; torna indietro, recupera il principio e impara che la tua vita é in Lui”.

Se noi allora siamo convinti che la nostra vita é nella Parola di Dio, noi dobbiamo far consistere la sostanza della nostra giornata, la sostanza del nostro vivere nell’approfondire la Parola di Dio, perché più avanziamo nella Parola di Dio, più avanziamo nella vita.

Come chi è convinto che la sua vita stia nel guadagnare denaro, riterrà che la sua giornata è tanto più valida quanto più sarà riuscito a guadagnare denaro, poiché la sua vita consiste in questo, così chi è convinto che la vita stia nella Parola di Dio, riterrà la sua giornata tanto più valida quanto più sarà riuscito ad approfondire, a raccogliere in Dio, a camminare nella Parola di Dio.

Il Vangelo ci annuncia che la nostra vita sta nella Parola di Dio. Ne siamo convinti?

4° PUNTO: “E la vita era la Luce degli uomini”. Qui precisa che la vita ci viene dal capire, cioè dalla Luce.

Quante volte diciamo che siamo convinti che la vita sta nella Parola di Dio; ma bisogna intendere bene cosa il Signore intende per “Parola di Dio”. Gesù stesso dice che “l'uomo vive di ogni parola”, ma non dice soltanto “di ogni parola”, ma dice “di ogni parola che procede dalla bocca di Dio”! Quindi ci fa pensare che la parola che dà vita a noi, non è soltanto la parola ascoltata, ma la parola raccolta in Dio. Infatti noi possiamo ascoltare parole di Vangelo, ma non raccoglierle in Dio, possiamo fare del Vangelo un motivo di cultura, possiamo ricordare il Vangelo come registrato su nastro, possiamo ripeterlo mille volte a memoria: non serve, perché la Parola va presa dalla bocca di Dio, cioè la Parola va mantenuta unita al Pensiero di Dio!

Non basta soltanto ricordare le parole del Vangelo, perché noi  possiamo ricordare le parole  come un disco, e allora siamo noi che non facciamo altro che registrare le nostre parole, siamo noi che registriamo sul registratore. E anche se diciamo: “Mi sento da mattina a sera il registratore”: questo non serve se non raccogliamo in Dio ciò che ascoltiamo.

Possiamo correre da mattina a sera, sentire adunanze, sentir parlare del Vangelo: non serve! Invece basta sentire una sola parola, ma questa parola raccoglierla nel Pensiero di Dio per ricevere vita! Cioè la Parola va unita a Colui che la dice.

Ecco perché  dice che la Vita è la Luce degli uomini! Perché soltanto se la Parola è unita a Colui che la dice diventa Luce!

Noi abbiamo due poli:

·abbiamo Colui che parla (il Pensiero di Dio in noi, il Verbo)

·e la sua parola.

Allora, a noi giunge la sua parola, e in noi c'è anche il Pensiero di Dio.

Se noi uniamo i due poli, dall'avvicinarsi dei due poli, scatta la scintilla e diventa Luce e quindi Vita.

Se noi li manteniamo disuniti, non scatta la Luce. Allora noi facciamo esercitare la nostra memoria, le nostre regole, i nostri impegni, ecc.: però siamo sempre noi!

La Parola va unita a Colui che la dice, altrimenti l’iniziativa ricade in mano nostra, per cui non percepiamo più l’Altro che parla, e allora le parole che udiamo rimangono tenebre e non ci danno vita.

Ora, noi questo lo possiamo capire abbastanza bene tenendo presente questo fatto: tutte le parole che giungono a noi, generalmente, anche se le accettiamo da Dio,  vengono da noi rivestite della nostra intenzione, per cui ci troviamo sempre di fronte al nostro io, per cui esperimentiamo le tenebre e la solitudine.

Cioè le parole sono creature nude che arrivano a noi e che noi  possiamo rivestire con gli abiti nostri. Ma fintanto che noi rivestiamo delle nostre intenzioni tutti i fatti o tutte le parole che giungono a noi, anche se sono le Parole del Vangelo, queste non sono luce. Perché? Perché per  intendere la vera intenzione di un essere, noi dobbiamo sempre raccogliere la parola che egli dice, alla presenza di quell'essere, altrimenti travisiamo la parola. Es.: mi giunge la parola di un amico, ed io penso: “Ah, voleva dire quello!”. Io non me ne accorgo, ma  rivesto la parola della mia intenzione e quindi la traviso.

Soltanto se vado da quella persona che mi ha detto quello, soltanto se mantengo unita la parola alla presenza di quella persona, scoprirò quello che mi voleva dire, quello che mi voleva comunicare. Perché altrimenti quando magari arriverò alla sua presenza, lei mi dirà: “Io avevo detto quella parola, ma avevo tutta un'altra intenzione!”.

Così anche nei riguardi del Vangelo: soltanto se noi uniamo le Parole di Dio a Dio che le dice (ecco, devono uscire dalla bocca di Dio), in noi si forma quella luce che è poi la nostra vita. Ma se noi non le uniamo a Dio, le rivestiamo del pensiero del nostro io, dell'intenzione nostra, e attribuiamo magari a Dio questa intenzione, ma non entriamo in quello che é lo Spirito di Dio!

Ecco perché noi restiamo sempre staccati! Ricordiamo magari tante Parole di Dio, facciamo fatica, lo sforzo per ripetere, e ci sentiamo sempre alla stessa distanza da Dio! Come mai? Perché non uniamo le parole di Dio a Dio.

Cina: Possiamo unirle senza che ce ne accorgiamo?

Luigi: No, non possiamo unire senza accorgerci! Questo lavoro, questa unione non avviene mai automaticamente, senza di noi. Tutte le cose arrivano a noi anche senza di noi: chi ci pesta un piede ce lo pesta anche senza di noi, e noi lo sentiamo. Ecco, questo arriva a noi naturalmente: ci troviamo il piede pestato senza di noi. Però questo fatto si ferma al nostro io: magari provoca una reazione: rabbia, dolore, ecc. Ma  il  fatto che é avvenuto e che giunge a noi senza di noi,  non è collegato con Dio senza di noi.

Quindi il fatto avviene su di noi, giunge a noi senza di noi, ma non arriva a Dio senza di noi! Per cui noi non possiamo unire la parola al Pensiero di Dio, se noi personalmente non ci impegniamo a raccoglierla in Dio.

Tutte le cose arrivano a noi nelle nostre mani e ci dicono: “Siamo parole, raccoglici in Colui che ci ha dette”. Raccogliendole in Lui, noi raccogliamo noi stessi. Ma se noi non le raccogliamo, restano soltanto parole staccate da Lui, e anche il nostro io resta staccato: è il “senza” che si provoca in noi; per cui senza di noi questo raccoglimento non avviene.

Dio crea tutte le cose, opera tutte le cose senza di noi, le fa giungere a noi e poi aspetta da noi che le raccogliamo in Lui. Per questo Gesù dice: “Date a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21); questa è la giustizia fondamentale: quella di  riportare a Dio ciò che è Suo, perché soltanto riportandolo in Lui, s'illumina. In caso diverso resta tenebra in noi: allora noi nelle nostre risposte ai segni agiamo per istinto, agiamo per abitudine, agiamo perché tutti gli altri fanno così, ma non agiamo secondo lo Spirito di Dio.

Per questo il Signore dice: “Chi con Me raccoglie, riceve mercede di vita eterna” (Mt 12,30, Gv 4,36): cioè se noi raccogliamo nel Padre, in Colui che parla, riceviamo luce, riceviamo vita eterna, riceviamo la conoscenza della Verità dello Spirito di Dio. E questa conoscenza diventa vita  in noi: ecco perché  la vita “è” nella luce, perché nella luce diventa vita vera.

Ma la vita vera viene in noi nella misura in cui raccogliamo le cose in Dio. E questo raccoglimento non avviene senza di noi. Tutto ci stimola, tutto ci invita a raccogliere in Dio, ma senza di noi tutto resta non raccolto e in quanto non é raccolto, ci disperde, diventa motivo di dispersione, per cui  tutto si vanifica e quindi ci diminuisce la vita. 

Ines: Quindi tutto ci invita a dialogare con il Signore.

Luigi: Con questo dialogo alla Presenza del Signore  noi cerchiamo di raccogliere in Lui. Noi teniamo presente che una parola detta anche da una persona, se ci viene riferita, questa parola in quanto giunge a noi, viene rivestita da una nostra intenzione; ma noi non sappiamo se veramente quella sia l'intenzione della parola. Il pericolo è lì, perché noi rivestiamo le cose della nostra intenzione!

Quand’è che noi capiremo veramente qual è stata l'intenzione di colui che ha detto quella parola? Quando noi andremo da chi ha detto quella parola, e per “parola” intendiamo anche i fatti, e ce la faremo spiegare da lui.

In caso diverso vi proiettiamo la nostra intenzione, e allora se ci viene detto che un tale ha detto o ha fatto una cosa, noi immediatamente diciamo: "Aveva quella intenzione!", cioè noi rivestiamo, attribuiamo un’intenzione a seconda di quello che portiamo dentro di noi.

Soltanto quando andremo dal tale e gli diremo: “Tu hai detto questo. Qual é la tua intenzione?”, ecco allora capiremo, perché lui ce la dice, qual’era la sua intenzione. Così anche nei fatti, nelle opere: “Tu hai fatto questo. Qual’era la tua intenzione?”.

Così dobbiamo fare con il Signore. Ecco perché tutte le opere del Signore vanno intese nello Spirito del Signore! Ma senza lo Spirito del Signore anche tutte le parole della Bibbia vengono da noi fraintese, non possono essere intese.

Soltanto raccogliendole nello Spirito, possiamo coglierne lo Spirito. Ed è un lavoro personale; nessuno può farlo al posto nostro; tutti ci possono ammonire, tutti ci possono invitare a farlo, ma se noi personalmente non lo facciamo, non approdiamo a niente, perché é un problema interiore. E quando scatta la luce, quando la scintilla parte, noi personalmente ce ne accorgiamo perché la cosa si illumina, diventa chiara nella nostra anima e noi capiamo.

Ines: Quindi bisogna sempre avere la disposizione a chiedere “perché?”.

Luigi: Certo, perché ogni cosa è parola di Dio e dobbiamo quindi cercare di vederla in Dio, perché senza Dio noi fraintendiamo. Quindi ogni cosa va sempre riportata in Dio.

C'è perciò un tratto di strada nella nostra vita con Dio che nessuno può fare al posto nostro e che non si compie senza di noi. E siccome non si compie senza di noi, non avviene automaticamente.

Noi possiamo anche far pregare tutto l'universo, tutte le creature possono pregare per noi, ma se noi non facciamo questo, non serve: questo tratto di strada non si compie!  “Chi con Me non raccoglie disperde, chi invece raccoglie riceve mercede di vita…”.

Per cui il verbo essenziale della vita è questo: “raccogliere”! Questo é il verbo principale. Se io dovessi esprimere in che cosa consiste la vita direi che la vita è raccogliere in Dio! Raccogliere è vivere.

Su questo punto dobbiamo essere ben convinti, perché se non si raccoglie in Dio, non si fa un passo nella vita dello spirito, anzi… Infatti Gesù dice: “Chi non è con Me, è contro di Me; e chi non raccoglie con Me disperde” (Lc 11,23). Convinti?

Ines: Non si può dire in un altro modo la parola “raccogliere”?

Luigi: È parola di Gesù, è Lui che usa questa parola quando dice: “Chi con Me raccoglie riceve mercede di vita eterna”.  Comunque la si può ritradurre con “unificare”.

Angelo B.: Non è molto chiaro...

Nino: Non si potrebbe ritradurre in questo modo, cioè che su ogni cosa che mi arriva devo chiedere a Dio che me ne spieghi il significato?

Luigi: È un qualcosa di più: la parola (l’avvenimento, la creatura,  la stessa Parola di Dio) va unita a Colui che la dice, ed è un fatto determinante che avviene in noi, dentro di noi; non è soltanto un interrogare Dio, un chiedere luce a Dio, ma  è qualcosa di più profondo: ecco perché si usa la parola raccogliere! Perché noi possiamo chiedere al Signore, ma con parole, così: “Guarda, Signore, che io Ti chiedo questo...”. Noi chiediamo a Lui, ma il Signore ci dice: “lo ti chiedo questo: che tu faccia questo raccoglimento!”. È Dio che ci chiede di fare questo lavoro, questo raccoglimento, questa unificazione delle cose in Lui. E questa è la vera preghiera. Molte volte noi preghiamo e crediamo di pregare perché chiediamo qualcosa a Dio, ma parliamo sempre noi e parliamo di noi: il vero pregare deve essere un ascolto!

Nino: A volte, se resti nel suo Pensiero, Dio ti lascia parlare nella preghiera, ma ti fa dire le cose che vuole lui!

Luigi: Certo, é il Suo Pensiero che te le suggerisce; come nei Salmi il Signore mette in bocca nostra quello che Lui stesso dice e vuole.

Nino: Quindi non si tratta di cercare un metodo per raccogliere, ma di cercare un rapporto sincero con Dio.

Luigi: Comunque il metro per capire se raccogliamo é questo: quando la cosa è raccolta s'illumina, e si illumina di vita eterna, di luce eterna! E poi, non si tratta di cercare un metodo, ma certamente c’è sempre da tener presente questo: tutte le cose che arrivano, in quanto arrivano, e possono arrivare anche da distanze lontanissime, in quanto si presentano a noi sono mandate da Dio a noi personalmente  con l’indirizzo preciso: nome – cognome –  città - codice postale. Tutto arriva personalmente per noi come una lettera  e arriva in busta chiusa. Ma tutto quello che arriva a noi, cioè ogni lettera che arriva a noi,  chiede a noi di essere aperta. Noi possiamo anche non aprirla, perché “prima di tutto mangio, faccio questo e quest’altro...”, poi magari quando andiamo a cercare la lettera non la troviamo più. Però abbiamo fatto una scelta! E una scelta la facciamo sempre di fronte ad ogni cosa che ci arriva, proprio perché tutto quello che arriva è una lettera che arriva a noi personalmente in busta chiusa: noi possiamo aprirla e possiamo non aprirla, giustificandoci con il fatto che abbiamo altro da fare: “Non posso, ci sono i buoi, la campagna, la moglie, i figli…” e allora quando andremo a cercare la lettera per aprirla, ci sentiremo dire: “Non assaggeranno la mia cena” (Lc 19,24).

Se invece noi la apriamo subito, aprendola troviamo il Signore che dice: “Portala a Me, perché soltanto Io te la posso spiegare!”, perché in essa ci sono le parole, ma sono parole in codice che soltanto Lui te le può spiegare. Quindi  quello che noi troviamo scritto è un invito a cercare Lui!

Tutte le cose che arrivano a noi, se sono da noi aperte e ascoltate, ci dicono una parola sola: “portaci a Lui, raccoglici in Lui!” . Tutte le cose!

Direi che questo è il linguaggio universale; poi c'è  anche quello dei significati più personali. Però il linguaggio universale in tutti gli avvenimenti è questo: “pensa a Me!”; per cui il comune denominatore di tutti gli avvenimenti è questo messaggio: “pensa a Me”. Noi non sbagliamo se in tutti gli avvenimenti diciamo: “devo pensare al Signore!”, “devo cercare presso il Signore!”.

Tutto mi invita a questo, ad elevare la mia vita a Lui, la mia mente a Lui, per cui beni, mali, rovine, disgrazie, gioie, ecc., tutto quanto è una sollecitazione a pensare Dio, a unificare in Dio, a cercare il Pensiero di Dio. Ne siamo convinti?

Questo messaggio delle cose è “la luce che splende nelle tenebre”. Da qui il 5° punto.

5° PUNTO: “La Luce  splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’accolsero”.

In tutte le cose Dio ci dice: “Io sono il Creatore di tutto: pensa a Me, cerca Me, raccogli tutto in Me”. Questa è la Luce che splende nelle nostre tenebre. È una Luce che splende per tutti, poiché nessuno può ignorare il Creatore.

Ma in questo versetto ci viene annunciata anche la risposta dell’uomo: ma le tenebre non L’accolsero”. Ci viene rivelato questo rifiuto da parte di tutti gli uomini, per invitarci a non più rifiutare questa Luce. Dopo il rifiuto dell’uomo inizia l’opera di recupero da parte di Dio e anche questa parola, in quanto ci arriva, è per recuperarci, per invitarci ad accogliere questa Luce.

Se noi pensiamo a Lui, se noi andiamo a Lui, allora accogliamo la luce e le nostre tenebre spariscono; ma se noi non pensiamo a Lui, se noi non andiamo a Lui, allora rifiutiamo questa Luce e le nostre tenebre rimangono.

Abbiamo visto che le tenebre di per sé non sono opposizione alla luce, ma sono bisogno della luce. Le tenebre sono create da Dio: tutto ciò che è uomo, natura, è tenebra che ha bisogno di Dio, che ha fame di Dio!

“La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non L'hanno accolta”. Ci sono invece le tenebre che accolgono in tutto il messaggio, cioè la parola che dice: “portami a Colui che mi ha creata, a Colui che mi ha mandato a te”; in tal caso le tenebre accolgono la luce che splende nelle tenebre.

Pinuccia B.: Questa  luce che splende nelle tenebre è il Verbo o è il messaggio che arriva a me in ogni cosa,  dicendomi di portarla a Dio?

Luigi: È la Parola di Dio che giunge a noi: essa splende nelle tenebre.

Pinuccia B.: Ma allora ogni cosa, essendo parola, è luce?

Luigi: Ogni cosa arriva a noi come luce in quanto arriva con un messaggio: chiede a noi, che siamo tenebre, di essere portata a Dio, per essere illuminata da Lui.

Pinuccia B.: Allora diventa luce solo quando é portata a Lui; quindi quando arriva a me non è quella luce che splende nelle tenebre!

Luigi: No, è luce in questo senso: in quanto ci invita a portarla a Lui, ad andare a Lui.

Pinuccia B.: Io pensavo che è il Verbo la Luce che splende nelle tenebre, ma non ogni avvenimento, ogni cosa…

Luigi: Certo, è il Verbo la Luce che splende, ma il  Verbo é in ogni avvenimento, perché Lui parla in tutto; quindi è Lui la Luce che splende nelle nostre tenebre attraverso ogni avvenimento, perché è Lui che ci dice in ogni avvenimento, in ogni cosa: “Pensa a Me”.

Quindi l'avvenimento di per sé non è luce: è il Verbo di Dio che parla in tutto che é luce!  È il Verbo di Dio che in ogni avvenimento chiede a noi di  portare a Lui l’avvenimento! Noi siamo le tenebre, noi siamo la notte, cioè noi siamo bisogno di Dio. Se noi accogliamo l’invito, la segnalazione di Dio ad andare a Dio, allora le tenebre accolgono la luce; se invece non accogliamo l’invito, le tenebre rifiutano la luce. Allora diventano opposizione, peccato.

La tenebra di per sé non è peccato, perché Gesù stesso dice: “Se foste ciechi non sareste in colpa, ma dato che, essendo ciechi, dite di vedere, lì sta la colpa” (Gv 9,41). Quindi il non capire, il non conoscere, di per sé non é colpa; la colpa è quando, essendo cieco, credo di vedere, dico di vedere, pretendo di vedere. Allora mi oppongo: sono due cose uguali (due luci) che entrano in conflitto: è  la luce che rifiuta la Luce. Se mi ritengo maestro, rifiuto l'Altro Maestro, e allora c’è opposizione. Ma se io mi considero allievo, attendo il Maestro e godo se Lo incontro: “Ah, meno male che mi arriva il Maestro!”. Ecco, la tenebra é l'allievo che cerca il Maestro.

Quindi il peccato sta nella tenebra che pretende di essere luce: difatti sono i maestri di Israele che hanno crocifisso Cristo, perché non sopportavano il suo parlare.

Invece i poveri, i ciechi, questi Lo hanno accolto. Gesù  infatti dice: “Sono venuto per i ciechi, i poveri, i malati, ecc., non sono venuto per i giusti, per chi si ritiene giusto, perché chi si ritiene giusto non ha bisogno di essere salvato, chi si ritiene sano non ha bisogno di essere guarito; è il malato che ha bisogno del medico” (Cfr. Mt 9,12-13). Ma tutti siamo malati; quindi tutti abbiamo bisogno del Medico; tutti siamo ciechi e quindi tutti abbiamo bisogno della Luce.

Pinuccia B.: Quindi la Luce che splende nelle tenebre è il Verbo.

Luigi: Certo: “…Lui era la Luce”.

Ines: Come mai c’è tutta una sequenza di “era”, fino a “la vita era la luce…” e poi invece usa il presente “la luce splende”?

Luigi: Perché la Luce splende sempre indipendentemente dalla risposta degli uomini; invece nelle prime espressioni usa l’“era”, perché ora, per gli uomini che hanno rifiutato la Luce non è più così.

Quando il Signore ci dice “era” ci annuncia come le cose erano stabilite da Lui in principio per noi, ma che ora non lo sono più, avendo noi smarrito il nostro Principio e  lo annuncia ad ognuno di noi affinché noi le abbiamo a recuperare; tutti dobbiamo recuperare le cose come le aveva stabilite Lui in principio. per cui ci dice: “Guarda, la vita sta in questo, quindi non cercarla altrove! La vita è nel Verbo, cercala nel Verbo, lì troverai la vita! Se ti senti morire è perché hai cercato la vita altrove; cercala nel Verbo, troverai la vera vita, perché in principio era così”.

Quindi annunciandoci la cosa come era in principio, cioè come era stata stabilita da Lui, ci annuncia la cosa veramente come è, affinché abbiamo a recuperarla; perché quando uno mi dice: “Il principio di questo sta lì”,  è come se mi dicesse: “Se tu vuoi trovare questo, guarda che il principio è lì”. Quando si dice: “Il  principio di questa scienza sta lì”, è come dire: “Se vuoi acquisire questa scienza, guarda che il principio é lì…”, mi invita a-… Quindi l’indicazione del principio di- è un invito a-. Quando ti si dice: “Il principio della vita é lì!”, se tu vuoi trovare la vita, ecco che sai dove trovarla, ti viene  indicata la strada della salvezza. Il messaggio c’è, l'avviso c’è: “il principio della vita è lì, cercala lì e troverai la vita!”, ma è necessario accogliere il messaggio. Se invece noi non accogliamo questa parola, allora abbiamo le tenebre che rifiutano.

Quindi la parola che ci giunge, ci annuncia dove possiamo trovare la vita, ci indica cioè la strada della salvezza, ma è necessario accogliere questo messaggio.

Noi però possiamo anche rifiutare, non tenerne conto, ma allora questo diventa peccato, perché il  Signore ci dice: “Se non avessi parlato non sareste in colpa, ma siccome ho parlato (ecco la luce che splende nelle tenebre!), qui nasce la vostra colpa!”. 

Quindi la Parola é vita, giunge a noi come vita, non giunge a noi per metterci in colpa. La Parola giunge a noi per salvarci, per sovrabbondare di vita verso di noi, per colmarci di gioia; quindi da parte di Dio il proposito è questo. Se invece noi rifiutiamo, allora qui siamo in colpa.

È come se uno ti dicesse: “Perché tu vai a Torino mentre devi andare a Cuneo?”. Ti sorprenderebbe e tu risponderesti: “Ah, non sapevo! Credevo di andare a Cuneo invece andavo a Torino! Ho sbagliato strada e non me ne accorgevo!”. Ma ora, anche se ti è stato detto: “No, guarda che la strada giusta é questa!”, tu puoi continuare a percorrere la strada sbagliata, ma allora sei in colpa, perché sei stata avvisata.

Così è nel cammino dello spirito: noi possiamo sbagliare, ma ad un certo momento arriva la Parola che ti sorprende: “Guarda che tu sei stato creato per conoscere Dio, per cercare Lui, occupati di Lui, la vita sta lì! Dove stai andando? Cosa stai facendo?”. La Parola é arrivata e la luce è scattata: da quel momento lì noi siamo responsabili.

Quindi é la Parola che ci costituisce in responsabilità. Se Dio non parla, noi non viviamo nemmeno perché non scegliamo. Chi ci fa scegliere, ci rende responsabili, ma chi ci rende responsabili ci fa persone. È Dio che parlando costruisce la nostra vita, costruisce la nostra personalità, se noi aderiamo: ma é la Sua Parola!

È la Sua Parola che ci fa uomini,  perché ci fa essere, ci impegna responsabilmente ad una scelta. Così pure ci impegna ad una scelta questa parola: “In principio la vita é lì”, che ci insegna quello che noi dobbiamo recuperare: cercare la vita nel nostro Principio.

Ines: Però dice “era”

Luigi: Dice “era” perché lo dice a noi che stiamo cercando la vita altrove e allora ci dice: “la strada era quella!”. Quando volendo andare a Cuneo, tu sbagli strada, se  uno ti arriva accanto e ti chiede: “Ma dove stai andando?”, tu rispondi:  “Sto andando a Cuneo”; ma lui ti dirà: “Guarda che tu stai sbagliando strada! La strada giusta era quella!”. Perché dice: “era”? Perché era quella che dovevi infilare!

Quindi questo “era” equivale a dire: Hai sbagliato strada” e lo si dice a delle persone che hanno già camminato su una strada sbagliata! Infatti  Dio parla a delle persone che stanno ascoltando parole di uomini: “Ma no! Guarda che devi ascoltare Parole di Dio se vuoi vivere!”; parla a delle persone che stanno cercando la vita nel denaro, nel mondo, nella carriera, negli affari, nella scienza: “Ma no, guarda che la vita era là!”. Ecco sta parlando a delle persone che stanno camminando sulla via sbagliata. Per questo dice “era”!

Nino: Guai se non ci fosse la Parola di Dio che ci indica la strada giusta! Senza di essa niente resterebbe su e tutto ci deluderebbe.

Luigi: Infatti senza di Lui tutto diventa niente. Perché ci sono i suicidi? È il senso di vanità, è il senso di vuoto (che troviamo ad esempio nelle poesie del Leopardi)…: basta guardarci attorno! Ecco,  La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non L’accolgono!”.

Angelo B.: Oggi giorno c’è tanta gente che rifiuta Dio e la pratica religiosa, e sembra che questo avvenga più oggi  che nel passato!

Nino: Ma è perché la gente di oggi non ha ancora maturato la capacità di ascoltare la Parola di Dio.

Luigi: No, guarda che il rifiuto è molto a monte, non nel momento attuale; non si vedeva, ma era precedente. Noi il più delle volte abbiamo fatto consistere la vita con Dio, la vita religiosa, in funzioni, regole, processioni, ma ognuno di noi credeva nello stesso tempo nel denaro, amava il denaro, viveva per la carriera, pensava a se stesso, ai propri affari.

E noi chiamiamo tutto questo vita religiosa?! Ora Dio sta buttando all'aria tutta un'impalcatura, perché sta mettendo in evidenza l'essenziale, dicendo: “La vita é lì! Voi invece avete creato tante di quelle sovrastrutture: quindi avete confuso l'essenziale. L'essenziale è cercare Dio prima di tutto!”. Ma chi è che cerca l’essenziale? Rifiutando “la Luce che splende nelle tenebre”, di conseguenza non si può accettare nemmeno il Vangelo, o per lo meno certe parole di Cristo, anche se ci si crede religiosi. Infatti se noi a tanta gente che va in Chiesa dicessimo che nel Vangelo c’è scritto: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire, cerca prima di tutto il Regno di Dio” (Mt 6,33), risponderebbe: “Ah, ma quelle parole bisogna prenderle con buon senso! quelle sono tutte storie!”, e sono persone religiosissime, famiglie religiosissime, ma che si scandalizzano davanti a queste parole! Come mai?

Ho sentito venti o venticinque  anni fa un Sacerdote che diceva: “Ma quelle parole non si possono più dire ormai!”. Ma come non si possono più dire? Sono parole del Vangelo! e non si possono più dire? Considerava che si potesse predicare  i comandamenti, ecc. ma non quelle parole lì! Trovava talmente assurdo predicare, come ha detto Gesù: “Non preoccuparti del mangiare e del vestire: cerca prima di tutto il Regno di Dio e tutto il resto ti sarà dato in soprappiù; lo trovava talmente lontano e non più adatto ai nostri tempi, da concludere che ormai la ricerca di Dio nel superamento del problema del mangiare e del vestire non si potesse più predicare. Eppure la vita sta lì!

Nino: Anch’io ho sentito dire che chi si propone di vivere queste parole  fa del perfezionismo,  esagera!

Luigi: Eppure Gesù quella parola, “non preoccuparti del mangiare…”, l'ha detta a tutti e all'inizio della sua vita pubblica; non alla fine! Accettare “la Luce che splende” e cercarla prima di tutto è solo l’attacco del cammino. È quando Gesù dice: “Padre, Io non prego per il mondo...”: che siamo nel  perfezionismo! Quando porta i suoi sulla cima della montagna e li affida al Padre e dice: “Adesso Io me ne vado”, lì sì, siamo nel perfezionismo, perché siamo con creature che sono ormai alla vigilia della Pentecoste! Ma quando invece Gesù dice: “Non preoccupatevi del mangiare e vestire, ma cercate prima di tutto il Regno di Dio”, lo dice nel discorso della montagna che è il primo messaggio che Cristo lancia a tutti: è una lezione universale!

Per cui se noi non mettiamo nella nostra vita questa ricerca di Dio prima di tutto, siamo lontanissimi dal Cristo! Se non cerchiamo Dio prima di tutto, anche se facessimo penitenza e sacrifici da mattina a sera, ma noi siamo lontanissimi dall’essenziale, dal rapporto essenziale con Dio! Stiamo rifiutando la luce che splende nelle nostre tenebre, e allora di conseguenza non possiamo ascoltare il Cristo. Il problema del rapporto con Dio, cioè l'anima di tutto sta in questo: metti Dio prima di tutto, tu sei stato creato per conoscere Dio. Cerca prima di tutto il Regno di Dio, anche  a costo (diceva S. Agostino) di morire di fame! Solo se abbiamo questo coraggio, Lo possiamo trovare. Così come diceva un maestro indù (di cui già abbiamo parlato la volta scorsa) ad un suo discepolo dopo avergli immerso la testa nell’acqua: “Soltanto quando tu cercherai il Signore con la stessa intensità con cui tu adesso cerchi l’ossigeno per non soffocare, potrai cominciare la vita dello spirito”.

Ecco,  solo quando sentiremo il bisogno di Dio come dell'aria che respiriamo mentre stiamo annegando, potremo incominciare la vita dello Spirito! Solo quando Lo cerchiamo con questa intensità qui! Qui allora abbiamo le tenebre che accolgono “la Luce che risplende…”

Angelo B.: Penso che abbiamo anche noi una responsabilità enorme sull'incredulità degli altri e sui mali sociali.

Luigi: Infatti la responsabilità dei fatti sociali è sempre personale, di ognuno di noi, tanto nel bene come nel male.

Infatti uno dei principi affermato nella vita dello spirito, è: “Chi eleva sé, eleva il mondo”. Quindi il mondo si trasforma quanto più personalmente noi cerchiamo Dio. Per cui se tu elevi te stesso verso Dio e ti superi ecc., non solo apporti del beneficio alla tua famiglia, ma anche se tu non vedi nulla, anche se tu non lo sai, quanto bene quest’onda può apportare all’intera umanità!

Questo però vale anche nel male! Per cui se io penso male, a causa di questo pensiero magari  un tale compie un delitto a IOO Km di distanza da me; per cui Dio mi dirà: “Ho fatto fare questo a quel tale perché tu portavi quel pensiero là staccato da Me”, e non potremo dire niente! Per questo sta scritto: “Piangeranno davanti a Lui tutte le genti!” (Ap 15,4).

Pinuccia B.: È perché Dio ci ha legati gli uni agli altri e ci ha messo in comunione che accade questo?

Luigi: È perché Dio fa tutte le cose per salvare ognuno di noi, e allora muove tutte le cose per questo fine.

Pinuccia B.: Allora lì c'è la così detta “comunione dei santi”...?

Luigi: Certo! Cioè formiamo tutti una cosa sola.

Pinuccia B.: Sarebbe “tutti per uno, uno per tutti?”

Luigi: No, la cosa è diversa. Tale frase può essere ambigua. Invece il problema è sempre di “Dio che parla”.

Pinuccia B.: È Dio che parla a ciascuno attraverso tutti, ed è questo che fa l’unità tra di noi.

Luigi: Sì, Dio è Dio che unisce. Se noi ci teniamo uniti a Dio, siamo uniti a tutto e a tutti, perché tutto è Parola di Dio. Dio parla a ciascuno attraverso tutti. Tutto è fatto da Dio per ciascuno di noi ed è questa la comunione tra noi, per cui a nostra volta saremo attori verso altri: ma questo a noi non interessa perché è  Dio che fa, e gli altri devono vedere l’opera di Dio attraverso di noi. Ciò che invece ci deve interessare è questo:  dobbiamo vedere in tutto la mano di Dio e non vedere l'uomo perché è poi da questo mio rapporto o con Dio o con gli uomini che dipende la parte di attore che Dio mi farà fare per gli altri.

Quindi in tutto dobbiamo vedere Dio, non l’uomo. L'uomo é la carta che Dio adopera per farci arrivare la sua lettera, ma noi non dobbiamo fermarci alla carta: noi dobbiamo leggere le parole! Il messaggio, le parole di Dio sono molto più importanti della carta; gli uomini sono la carta attraverso cui Dio fa giungere a noi le Sue parole, le Sue opere, la Sua lettera. La lettera non consiste nella carta, la lettera consiste nelle parole... Ma noi ci fermiamo alla carta, mentre invece quello che importa é il pensiero che Dio ci vuole comunicare.

Ines: Se è Dio che fa tutto; allora non c’è da preoccuparci di fare noi. 

Luigi: Certo, dobbiamo solo preoccuparci di pensare a Lui (ecco, accogliere “la luce che splende nelle tenebre”). È la lezione di  S. Francesco che dice a Frate Leone: “Andiamo a predicare”. Vanno, fanno un lungo giro e poi tornano al convento. Frate Leone chiede: “Non dovevamo fare la predica?” “L’abbiamo fatta - risponde Francesco - : camminando e parlando del Signore e pensando al Signore, abbiamo predicato a tutti”.

Ecco se uno vive nel Pensiero di Dio, sia che dorma, sia che mangi, sia che corra, sia che faccia niente, predica sempre, testimonia sempre il Signore. Perché ognuno di noi testimonia ciò che ha nel cuore. Se noi abbiamo nel cuore Dio e pensiamo Dio,  qualunque cosa che noi facciamo, anche se non diciamo assolutamente niente, glorifichiamo il Signore, testimoniamo il Signore.  Ma se noi parlassimo da mattina a sera di Dio, ma non Lo avessimo dentro di noi, tutte le nostre parole servirebbero proprio a niente, sarebbero soltanto rumore e recitazione; per cui le nostre tenebre restano tenebre e comunicano tenebre e non luce.

Angelo B.:  Anzi è proprio quando vogliamo dare il buon esempio che… allontaniamo gli altri.

Luigi: Sì, perché recitiamo! Il vero esempio lo diamo vivendo per qualcosa; ma allora non ci accorgiamo nemmeno di darlo! Così come la vera preghiera in noi avviene quando non ci accorgiamo di pregare; perché noi quando ci accorgiamo di pregare, in fondo in fondo, recitiamo. Veramente preghiamo quando non ci accorgiamo di pregare, perché siamo talmente presi da un pensiero forte che abbiamo tutto l'animo teso lì. È come quando siamo talmente presi da un lavoro che non ci ricordiamo nemmeno di mangiare, proprio perché siamo tutti presi da-.

La vera testimonianza noi la diamo in quello che più ci appassiona, dove noi abbiamo il nostro vero interesse. Ora, se il nostro interesse è il denaro, anche se noi parlassimo tutto il giorno di Dio, testimoniamo il denaro, non altro! Là dove manca l’impegno a pensare a Dio, cioè là dove si rifiuta “la luce che splende”, le tenebre restano tenebre e non comunicano luce.

Quindi il vero esempio che diamo è effettivamente quello che noi cerchiamo. Per questo Gesù dice: “Cercate prima di tutto il Regno di Dio”, perché se onestamente, sinceramente noi ci occupiamo di Dio, questo è ciò che testimoniamo senza bisogno di parlare.

S.Paolo dice: “Noi siamo spettacolo al mondo” (1 Cor 4,9): spettacolo di che cosa? Ma di ciò che amiamo prima di tutto! Questa è la vera fede! Perché ognuno di noi si occupa di ciò in cui veramente crede.

Per cui solo se noi crediamo veramente in Dio, cerchiamo Dio. Se noi siamo veramente convinti che la vita é Lui, allora ci appassioniamo molto per conoscere tanto di Lui, per realizzare la vita con Lui. Ora tutto questo lavoro che si fa per avvicinarci a Lui, per cercare Lui, per occuparci di Lui, per lasciarci guidare dal suo Spirito, questo  è l'esempio che si dà, perché é la testimonianza di ciò per cui si vive! Se invece uno dicesse: “Adesso io parto per dare il buon esempio...”, farebbe un buco nell’acqua.

Ecco, “la luce che splende nelle tenebre” va accolta, pensata, cercata appassionatamente. Solo così la si testimonia. La condizione è riconoscerci tenebre che hanno bisogno della Luce, altrimenti rimaniamo nel rifiuto (“…le tenebre non l’accolsero o non la compresero”).

Anche su questo punto, siamo convinti?

6° PUNTO: è la testimonianza di Giovanni il Battista: “Non sono io la luce,  un’altra è la Luce!

Attraverso tale testimonianza Dio inizia l’opera di recupero dell’uomo che non ha accolto “la luce che splende nelle tenebre”, invitandolo a fare la giustizia essenziale: cercare Dio prima di tutto, cercandolo dove è.

Giovanni è la voce delle tenebre. Lui stesso dice: “Io non sono la luce, la Luce è un'altra”.  Ora, siccome la Luce è un'altra, lui “venne per rendere testimonianza alla vera Luce”.

Siccome siamo creature che hanno fatto un tratto di strada sbagliata, allora Dio opera nelle nostre strade sbagliate,Dio nei nostri errori, per ammonirci, per renderci testimonianza di dove é la vera luce: “Tu stai cercando la luce tra le creature esterne, ebbene attraverso le stesse creature esterne,  io ti dico, anzi ti faccio dire da loro: non siamo noi la vita, non siamo noi la luce; la luce è un'altra; noi siamo soltanto qui per renderti testimonianza che la luce è un'altra, che non siamo noi: cercala dov’è”. Questo è quello che ci dice Giovanni il Battista che riassume la voce di tutte le creature.

Giovanni, che in sostanza ci predica  il battesimo di giustizia, ci invita a passare  dall'amore per il mondo, dalla vita  vissuta per le cose esteriori alla vita vissuta per le cose interiori: la luce é dentro di noi!

Soltanto se noi passiamo dalle cose esteriori alle cose interiori, accettiamo il battesimo di giustizia, il battesimo di Giovanni Battista. Cioè lo accettiamo se facciamo questa conversione. Infatti il messaggio di Giovanni Battista è un invito alla conversione e il suo “battesimo di giustizia” viene anche chiamato “battesimo di penitenza!”: “Convertitevi, fate penitenza!”. Cioè: “Cessa di cercare la vita, la Verità, la Luce, la gioia,  la pace nel mondo esteriore  (che non te le può dare, e non te le darà mai!) e incomincia a cercare la Luce, la Verità, la Vita, ecc., nelle cose interne, perché Dio abita dentro di te. Metti Dio prima di tutto!”.

Questa è la voce, la testimonianza di Giovanni Battista, che raccoglie, sintetizza la voce di tutto l'universo, di tutte le creature che sono fuori di noi, che sono esterne. Ne siamo convinti o ancora non abbiamo captato questa voce delle cose? Siamo convinti della necessità della giustizia essenziale?

Se noi non mettiamo Dio prima dì tutto, tutto il mondo è tenebra; ma in queste tenebre abbiamo ancora una testimonianza, che è la testimonianza di Dio che cerca di recuperarci attraverso il nostro errore. Noi che cerchiamo la vita, la nostra gioia, la nostra pace nelle creature, troviamo le creature stesse che ci dicono (e ce lo dicono in mille modi: anche con il loro morire, con il loro mutare, con il loro deluderci): "Noi non siamo quello che tu cerchi; tu cerchi in noi la vita, noi non siamo la vita; tu cerchi in noi la Verità, noi non siamo la Verità; tu cerchi in noi la gioia, noi non siamo la gioia; tu cerchi in noi  l’Assoluto, noi non siamo l’Assoluto; noi moriamo! Oggi ci siamo, domani non ci siamo più. Noi siamo solo qui per dirti: Cerca queste cose altrove! Ma dove? Ecco, allora che arriviamo al  punto successivo che dice:

7° PUNTO: "Luce vera è quella che illumina ogni uomo”.

Quindi tutte le creature ci dicono: “Noi non siamo la Luce vera, ma testimoniamo la luce vera!”.

Ecco dicendo: “Noi non siamo la Luce vera”, abbiamo la voce di Giovanni Battista!

Quindi tutto il mondo esterno, la cui voce è sintetizzata appunto da Giovanni Battista,  ammonisce noi a non cercare la luce, la vita, la gioia, la pace, la giustizia nelle cose esteriori, a non aspettarcele dalle cose esterne, e ci ammonisce invece  a cercarle nelle cose interiori, dentro di noi, in Dio che è in noi. Ecco perché ci vien detto:  “la Luce Vera è quella che illumina ogni uomo”.

Quindi se noi facciamo questo passaggio (che è un po’ l'anima dell’insegnamento di  S. Agostino: “Passa dalle cose esterne, rientra in te stesso, perché la Verità, Dio abita dentro di te!”), allora scopriamo in noi il Verbo interiore, la Luce vera.

Il Verbo interiore parla dentro di noi, e soltanto se ascoltiamo questo Verbo interiore noi avremo la possibilità di incontrare il Verbo esteriore, il Cristo, Colui che viene a rispondere alla nostra fame; ma se noi non ascoltiamo questo Verbo interiore, anche vedessimo tutti i giorni il Cristo intorno a noi, fuori di noi, non Lo riconosceremmo, anzi Lo fraintenderemmo, Lo crocifiggeremmo, ma assolutamente noi non Lo riconosceremmo, perché soltanto chi ha ascoltato il Verbo interiore, la Luce Vera che illumina ogni uomo dentro di noi, solo chi L’ha ascoltato é rimasto attratto da Dio ed ha quindi la possibilità di riconoscerlo. È questa attrazione che ci porta  ad individuare in Cristo, Colui che attendevamo: "Ah, era questo che aspettavo, il Maestro, il Cristo!” e a riconoscere in Lui il Verbo che si è fatto carne.

Ora, siamo convinti su questo punto? cioè che il messaggio di Giovanni Battista conclude in questo passaggio dall'esterno all’interno per scoprire ed ascoltare il Verbo interiore, la Luce che illumina ogni uomo?

Si tratta cioè di essere convinti che il problema della giustizia (che sostanzialmente sta  nel cercare Dio prima di tutto, nel dare a Dio quello che è di Dio) consiste poi praticamente  nel passare dalla ricerca della nostra vita nelle cose esteriori, alla ricerca della nostra vita in Dio che abita dentro di noi e quindi all’ascolto di Lui.

Quindi, se sei convinto di questo, rientra in te stesso e lì, in questo silenzio ascolta il Verbo interiore. Gesù dice: “Quando vuoi pregare entra nella tua stanza e lì chiudi l'uscio, e nel nascondimento rivolgiti al Padre” (Mt 6,6). Gesù  si collega con Giovanni Battista, assume il suo messaggio.

Infatti Gesù si sottomette al battesimo di Giovanni Battista. E perché si sottomette? Perché lo conferma: è valido. Non si ferma lì, ma lo conferma: “Questo è valido, è necessario”, Perché? Perché tale battesimo ci invita a passare dall’esterno all’interno. Ed è per questo che Gesù, collegandosi con questo messaggio del Battista, dice: "Quando vuoi pregare... (e in un altro punto dice: “È necessario pregare sempre...” (Lc 18,1), perché l'uomo si forma attraverso la preghiera) … entra nella tua stanza interiore, chiudi l’uscio, dimentica tutto e lì, in quel silenzio, prega il Padre tuo”: cioè cessa di  guardare fuori, perché tutte le cose ormai non fanno che ripeterti: “non siamo noi quello che tu cerchi”. E cos’è che noi cerchiamo? 

Ecco, noi cerchiamo la vita, la Verità, l'Assoluto; ma se noi le cose le interrogassimo anche per tutta l'eternità (e potrebbe essere l'inferno), tutte le creature non farebbero che ripeterci: “noi non siamo il tuo Dio, non siamo noi quello che tu cerchi”. Quindi ci deluderebbero sempre!  Ecco perché c'è la delusione! Ecco perché siamo delusi! Siamo delusi perché tutte le creature ci dicono, ci testimoniano: “Non siamo noi la luce che tu cerchi, quindi cerca altrove”. 

Quando noi ci lamentiamo che la creatura ci delude: “speravo che...”, è segno che non abbiamo capito il messaggio delle creature. Quando esse ci deludono, hanno fatto la loro parte. Loro non fanno altro che ripetere quello che devono dire! Anche se a parole  la creatura ci dice: "Io sono tutto per te!… io sono questo… io sono quello…", oppure: "la mia volontà non conosce ostacoli", in realtà invece ci dice tutt’altro, perché magari il giorno dopo muore:  questa  è la realtà. Quando una creatura dice: “Io sono Dio, sono io che faccio tutte le cose; Dio non esiste...”  e il giorno dopo muore, che cosa ci sta dicendo e testimoniando  in realtà?

Questa è la voce delle creature! Questo è  quello che dicono le creature! La volubilità stessa delle creature ci testimonia questo, per cui non conta quello che dicono le creature a parole. Quando esse ci deludono, non fanno che la loro parte, non fanno altro che dirci e ridirci quello che devono dire. Per cui tutta la creazione ti dice: “No, tu non puoi fondare la tua vita su quella creatura, perché oggi c'è e domani è mutata; quindi la tua vita deve essere fondata altrove”. E dove? Ecco allora il Vangelo che ci dice: “Non era lui (Giovanni Battista, la creatura, ecc.) la luce…Luce vera è quella che illumina ogni uomo”: Luce che ogni uomo porta dentro di sé e che ogni uomo deve ascoltare.

Convinti? Questa luce è il Maestro interiore, per cui l’uomo deve dare spazio, tempo, disponibilità per quest’ascolto. L’uomo quindi deve pregare sempre, perché la Luce illumina e le tenebre, che siamo noi,  devono accoglierla.

E allora ecco un altro punto:

8° PUNTO: “Quanti accolgono la Luce vera,  ricevono la possibilità, di diventare figli di Dio”.

Ecco che a quanti accolgono la Luce vera, quella che illumina ogni uomo, viene data la possibilità, la potenza, di diventare figli di Dio, cioè vengono attratti da Dio.

Avevamo visto che accogliere vuol dire “mettere in alto” e sottomettere tutto a questa Luce, altrimenti ci illudiamo di accoglierla, o L’accogliamo solo per un momento e poi ricadiamo nelle tenebre esteriori. Ed è proprio questo continuo mettere in alto, cioè questo continuo ascolto del Verbo interiore che forma in noi il desiderio di conoscere Dio e ci fa esperimentare la nostra incapacità e povertà, per cui nasce il bisogno di un Aiuto dal Cielo per realizzare il nostro sogno.

Questo bisogno, questa fame di Dio, è possibilità di diventare figli di Dio. Infatti diventare “figli di-”  vuol dire sentire la fame, il bisogno di-, essere attratti da-.

Pinuccia B.: Ma non siamo già attratti prima?

Luigi: L’attrazione è una conseguenza della giustizia essenziale e di questo mettere in alto la Luce che è in noi. L’attrazione è fame per-.

Coloro che  rientrano nella propria interiorità e si pongono in ascolto del Verbo interiore, della voce del  Padre che parla dentro di loro, allora hanno la possibilità di diventare  figli; non sono fatti figli, ricevono la possibilità di diventare figli di Dio.

Ora, questa possibilità è  la possibilità di mangiare il Pane divino. Ma qual è  la possibilità di mangiare il Pane divino? È di aver fame di esso! cioè, essere attratti da-. Soltanto quando uno ha appetito per-, può mangiare.

Allora, ascoltando Dio, si forma in noi l'appetito per il Pane divino; allora quando il Pane divino verrà: ah, ma io ho tanta fame! Avendone la fame, avremo la possibilità di mangiarlo e di assimilarlo. Ecco la preparazione!

E anche su questo punto, sulla necessità di questa preparazione, cioè della formazione in noi di questa fame, dobbiamo essere ben convinti, perché è la condizione per riconoscere e seguire il Cristo, il Verbo incarnato. Convinti?

Pinuccia B.: Pensavo che per accogliere, cioè mettere in alto questa Luce, fosse necessario essere già attratti da essa.

Luigi: No, prima si è distratti! Tu metti in alto questa Luce per giustizia e l’attrazione, la fame, è una conseguenza. Prima non sei attratta, ma distratta. Quando l'uomo è proiettato fuori, è distratto. Infatti il Prologo é tutto uno sviluppo: perché le tenebre hanno rifiutato la luce, allora c'è tutta l'opera esterna di Giovanni Battista che riassume tutta l'opera esterna di Dio (per cui c'è l'opera di Dio interna e c'è l'opera di Dio esterna), la quale ci delude (ecco la testimonianza che un’altra è la Luce!) e ci ammonisce: “Rientra in te, perché la Luce vera è dentro di te”. Se noi rientriamo in noi e ascoltiamo il Verbo interiore, cioè la voce del Padre (perché dentro di noi è il Padre che parla, è il Padre che dice il Verbo, la Parola), allora siamo attratti da Lui.

Gesù dice: Chi ha ascoltato il Padre viene a Mee dice anche: “Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre” (Gv 6,45.44). Quindi ascoltando il Padre si è attratti e quando si è attratti, cioè quando si ha fame di Dio, si desidera conoscere Dio, si desidera sentir parlare di Dio, ecc..

Per cui la nostra anima incomincia a supplicare: “Parlateci di Dio, abbiamo bisogno di incontrare Qualcuno che ci faccia conoscere Dio!”. E allora quando la nostra anima incontra il Cristo Lo può identificare, proprio grazie alla fame che abbiamo di Dio: riconosciamo che Lui è il Pane che risponde alla nostra fame. Infatti non tutti quelli che incontrarono il Cristo riconobbero in Lui Colui che parlava a loro; non tutti riconobbero in Lui che Lui era il Pane che rispondeva alla loro fame! Non tutti! Come mai? Alcuni invece L'hanno crocifisso.

Lo poterono riconoscere soltanto coloro che erano attratti dal Padre. E come mai erano attratti dal Padre questi e non gli altri? Ecco l’importanza della preparazione interiore, della formazione di questa fame! Fame di- è attrazione per-.  Ecco la fame!

Pinuccia B.: Quindi ci vuole l'ascolto per essere attratti!

Luigi: Certo, ci vuole l’ascolto del Verbo interiore per essere attratti; bisogna metterlo in alto dentro di noi. Coloro che hanno ascoltato il Padre, quindi coloro che hanno fatto la giustizia principale dentro il loro cuore, dentro la loro anima, che hanno messo Dio prima di tutto, vengono a Gesù e possono seguirlo. “Quanti hanno ascoltato il Padre, vengono a Me e Io non respingo nessuno di coloro che il Padre mi manda” (Gv 6,37). Non respinge nessuno, perché Lui è venuto per raccogliere!

Se siamo convinti della necessità di questa preparazione interiore, possiamo allora capire gli  ultimi due punti.

9° PUNTO: "E il Verbo si è fatto carne”: ecco la Luce tra noi!

Quando c'è la fame, Dio manda il Pane; il Verbo Dio si è fatto carne, é venuto tra noi. È il Padre che ci dà il Verbo. Quando siamo attratti da Dio, abbiamo la possibilità di riconoscere il Verbo di Dio fatto carne: la salvezza di Dio, la Via per giungere a conoscere il Padre. Infatti Egli stesso dice: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me”. E anche di questo dobbiamo essere ben convinti, per non girare a vuoto! Solo Lui ci può far conoscere il Padre e quindi condurci alla Meta. E giungiamo allora all’ultimo punto:

10° PUNTO: "E noi abbiamo contemplato la sua gloria”. Siamo chiamati a contemplare la Luce.

Tutti siamo chiamati a contemplare la Gloria del Verbo: “…e il Verbo si fatto carne e abitò fra noi”, proprio per condurci a questa Meta. È Lui che ci conduce a vedere la Sua Gloria di Unigenito del Padre. È Lui che ci conduce, cioè, alla nostra Pentecoste, a ricevere lo Spirito Santo, Spirito di Presenza del Padre e del Figlio, conoscenza del loro rapporto.

È solo Cristo, il Verbo Incarnato che ci conduce a questa Meta. Come? Facendoci conoscere il Padre, perché é solo nel Padre e dal Padre che la possiamo vedere.

Vedere la Gloria di Gesù è conoscere chi è Gesù: “la Gloria che Io ebbi presso di Te prima che il mondo fosse” (Gv 17,5).

Siamo tutti convinti della Meta a cui siamo chiamati?

È la convinzione sulla Meta che sostiene e sprona il nostro cammino, soprattutto nei momenti più difficili. Ma questa convinzione è Cristo che ce la forma nella misura in cui noi ci fermiamo con Lui per assimilare le sue Parole.

E così, partendo dall’annuncio della prima luce (Dio Creatore di tutto) fino all’annuncio della nostra chiamata a contemplare la Luce eterna (contemplazione della Gloria del Verbo) questi 10 punti fermi del Prologo ci hanno evidenziato le tappe essenziali per il pensiero che cerca Dio, cioè le convinzioni che Dio  vuole formare nell'anima che vuole conoscere la Verità. 

Sono punti luce che compendiano in modo incisivo tutto il messaggio del Prologo, offrendocene una visione d’insieme. Debbono però diventare delle ferme convinzioni in noi, di modo che il Principio diventi nostro Fine, perché solo così ci sarà dato dal Signore di sintetizzarle e unificarle a poco a poco in una sola, che diventerà in noi desiderio consapevole di ciò che vuole: ricevere lo Spirito Santo! 

Una strada aperta

Cristo è risorto: questo annuncio che ogni anno si ripete nel mondo per noi fino all'ultimo giorno della nostra vita, vuole dirci che vi è una Pasqua attraverso la quale ognuno di noi deve passare, poiché quello che avvenne allora, quello che nella nostra vita è annunciato ogni anno, avviene ogni giorno, è sempre avvenuto dal primo giorno della creazione. Né può essere altrimenti, perché tutto è opera di Dio.

In Cristo, primogenito fra tutte le creature, si rivela ciò che è scritto in tutte le cose affinché ogni uomo intenda il mistero nascosto nel mondo.

Così in tutte le cose che furono, che sono e che saranno, essendo scritta la nostra Pasqua, è scritta la Sua risurrezione.

Che Cristo sia risorto, ce lo dicono non solo coloro che Lo videro e Gli parlarono e Lo toccarono (e la loro testimonianza è vincolante per la nostra coscienza perché nel regno della Verità la testimonianza di uno vale la testimonianza di tutti), ma ce lo dice la sua tomba vuota; un vuoto che nessuno più è riuscito a colmare, che anzi si dilata sempre più col passare della nostra vita; ce lo dicono tutte le cose: anche la stessa nostra anima. Da ultimo, riservata per il nostro secolo così pieno di terra, ce lo dice la Sua Sindone.

Ma gli uomini non credono a ciò che si dice: vorrebbero toccare con le loro mani, misurare con i loro metri, scrutare con le loro lanterne le opere di Dio. Non è possibile. Non siamo noi la misura della Verità; piuttosto siamo noi che dobbiamo sottoporci alla Verità.

E perché dovremmo rifiutare ciò che non entra nei nostri schemi? Perché rifiutare ciò che non comprendiamo? È solo accogliendo ciò che non si comprende che si può giungere a comprendere ciò che non si comprende. «Per ora lascia fare, accetta; capirai poi dopo».

O forse perché Dio ha sottoposto a noi qualcosa, per darci la possibilità di fare qualche passo, il nostro orgoglio vorrebbe ora estrapolare su tutto sottoponendo tutto a sé e rifiutando ciò che non può sottoporsi? In questo modo non è possibile giungere alla Verità; non possiamo nemmeno capire il mistero di Pasqua.

Se prima di Pasqua la Realtà si è sottoposta all’uomo, fu per salvare l'uomo; ma dopo Pasqua è l'uomo che si deve sottoporre alla Realtà.

Se prima di Pasqua la Verità di Dio si offriva all'uomo, dopo è l'uomo che si deve offrire alla Verità di Dio: condizione questa essenziale per giungere a vederla.

Con Pasqua avviene quindi un capovolgimento: ma il cammino della nostra vita non è ancora concluso. Esso giunge infatti con Pasqua sugli estremi orizzonti del mondo materiale e si lancia al di là di porte invisibili: si disancora dal mondo che non è vita per orientare la ricerca delle nostre anime a ciò che è vita vera; per dirci: “Non cercate più la vostra vita fra cose che sono morte, perché la vostra vita è presso Dio e dovete cercarla là se volete trovarla”.

Così la strada che conduce alla sorgente della Vita ed alla Verità, con Pasqua prosegue al di là delle cose che si vedono; e quando crediamo che tutto sia finito, concluso, proprio allora scopriamo con sorpresa che un nuovo e più meraviglioso tratto di strada si offre ai nostri occhi e ci impegna a camminare ancora dietro una Presenza che il mondo non può più vedere, ma ogni uomo sì.

Il cammino diventa cioè personale: una strada d'amore; un colloquio sempre più intimo e diretto.

Se la Verità di Dio è annunciata a tutti, ad essa però non si giunge se non attraverso questo impegno personale su questa strada che va dalle cose della vita alle parole di Dio, dalle parole di Dio a Cristo e da Cristo al Padre: né ci si deve fermare fino a tanto che non si sia giunti qui.

L'uomo è fatto per camminare su tali sentieri e solo su di questi la sua vita acquista senso, valore, gioia.

Nessuno dica che per lui ormai è troppo tardi, perché l'amore, quando c'è, sa fare miracoli. Ce l'ha confermato Cristo stesso nell'ultimo atto della sua vita terrena, facendo entrare nel suo Cielo quel pover’uomo ch'era crocifisso con Lui sul Calvario e che all'ultimo L'aveva guardato affidandosi a Lui: “Ricordati di me quando sarai nel tuo Regno!”. Oh! è sufficiente uno sguardo per cancellare abissi di tenebre e di colpe e trasformarli in un mare di luce e d'amore che tutto abbraccia.

Ma non si può giungere alla Verità di Dio se non attraverso questo sguardo di fede, questa dedizione, questo amore; un amore che la croce del mondo rende maturo e forte tanto da comprendere l'Amore di Dio. Così il linguaggio del Dio che si rivela (il tempo della nostra vita è l'avvicinarsi della Sua Verità che scende in noi giorno per giorno) diventa il linguaggio dell'amore e Dio è amore. Un amore esigente, implacabile, perché è Verità.

Il linguaggio dell'amore è un linguaggio di un'esigenza crescente e lo intende solo chi ama. Chi non ama non può intenderlo e lo scambia per dovere, sacrificio, umiliazione e peso sempre più insopportabile, mentre è costretto a vagare tra una cosa e l'altra sempre alla ricerca di un amore facile, sempre più sospinto e sempre più respinto da una contraddizione all'altra, perché Dio non è dovere, non è legge: è amore. L'insopportabilità è il segno che Dio ci dà per dirci che siamo fuori dell'amore.

Dopo Pasqua si vive qui, in queste esigenze, in cui intendono qualcosa solo coloro che hanno imparato con Cristo ad amare Dio più di se stessi e dei loro interessi e del loro mondo: uomini giunti ad un amore maturo, coscienti del loro destino ed impegnati a viverlo pienamente. Per tutti gli altri il mistero di Cristo nel mondo si ferma alla sua morte, cosa che essi tendono e si sforzano di far rientrare nella loro scienza, nella loro mentalità, nella loro psicologia.

Ma il mistero di Dio non può entrare nella mentalità del mondo, come il mare non può entrare nel secchiello di un bambino che giochi sulla spiaggia.

Per questo il Verbo di Dio incarnandosi ha rivelato tra noi l'amore di Dio prima della Sua Verità, ed era necessario. Ma dopo la sua Risurrezione incomincia a rivelare la Sua Verità e quindi ad affermare le esigenze del suo amore: ed è necessario, per salvare l'uomo.

Ora quanti seguono Cristo con tutta la loro attenzione anche e soprattutto al di là delle cose che comprendono, vengono da Lui strappati al ciclo della morte eterna, che è schiavitù alle cose esteriori del mondo ed alla mentalità che ivi regna, e liberi se ne vanno, seguendo il loro amore, verso il Regno della luce che non conosce tramonto.

Verso la meta

Il tempo dopo Pasqua incentra tutti i nostri pensieri sulla grande meta per la quale la vita ci è stata data e nella quale tutti i nostri problemi si sciolgono in luce: lo Spirito Santo di Dio; Spirito di Verità, Spirito d'Amore, il quale è principio di un uomo nuovo in noi, il vero. Un uomo, questo, che nasce dallo Spirito, Lo intende, Lo vede e Lo conosce e cammina nella sua luce.

Lo Spirito Santo di Dio, è questa la grande promessa, è conoscenza di Dio come Verità: una conoscenza che il mondo non può dare né intendere (ed è per questo che è necessario un certo distacco dal mondo, il passaggio); una conoscenza che è amore ed è fonte di quella gioia e di quella pace tanto sospirate da tutti gli uomini e che invano sono cercate altrove.

Non è in mano degli uomini ciò che è in mano di Dio e invano si parla di pace, di unione, di gioia se non si cerca Dio.

Non sono le molte parole od il rumore che possono cambiare il mondo; ma chi sinceramente ama il mondo deve portarsi in alto presso il Padre della luce, perché è solo salendo in alto e facendo luce in noi che possiamo recare doni di pace agli uomini.

Sorgente di pace e d'amore è lo Spirito di Verità, questo Regno di luce che non tramonta; dono riserbato da Dio per coloro che Lo cercano e che nessuno al mondo potrà togliere a chi l'ha ricevuto; principio di bellezza eterna.

Quando c'è il sole nell’anima, tutto dentro e fuori di noi diventa bello: anche i vecchi ruderi ed i cocci inutili mandano luce.

 

Grandi cose quindi Dio ha riserbato agli uomini e non dobbiamo stupirci se talvolta sembra ch'Egli forzi un po’ troppo la mano su di noi e ci stringa troppo da vicino.

Il tempo della nostra vita passa molto in fretta e le nostre azioni secondo lo spirito del mondo aumentano rapidamente in progressione geometrica il loro peso ed erigono muri di prigione attorno alla nostra anima, sì che presto essa non potrà più vedere il cielo, né respirare.

Proprio per questo Dio talvolta forza la sua mano e fa pesante il suo richiamo: ha molto a cuore la nostra vita, e vuole la nostra salvezza Egli che vede la marea di pietre e di tenebre che sale verso di noi, ignari del rischio grave in cui ci troviamo, e sa come il vento del tempo scavi nel nostro cuore solchi profondi tra la materia e lo spirito.

Ogni uomo infatti è posto tra due attrazioni: Dio e il mondo. Quanto più seguiamo il mondo, tanto più questo aumenta il peso della sua attrazione fino al punto in cui Dio non attrae più. L'anima resta soffocata e l'uomo diventa una pura espressione del mondo materiale. A forza di guardare la terra, perde l'uso delle ali e da aquila ch'era, fatto per contemplare le azzurre distese dei cieli e le nevi eterne di monti altissimi, diventa una gallina da cortile.

È per sfuggire a questo declassamento che apre abissi in cui sprofonda sempre più, che l'uomo deve far tesoro di Cristo e del suo Vangelo: lezioni che insegnano a camminare fino alla Verità di Dio.

Ma il dubbio ch'è in ognuno di noi dice: e non poteva Dio crearci nella sola sua attrazione?

Le due attrazioni in cui Dio ha posto l'uomo sono la condizione necessaria per dare a questi la possibilità di essere preso dall'amore di Dio e conoscerlo.

Fintanto che l'uomo ha qualcosa da sacrificare, ha possibilità di unirsi e fintanto che prova l'attrazione del mondo, ha un dono posto da Dio stesso nelle sue mani per entrare nell'amore, testimoniarlo e conoscere Dio.

Verrà un giorno in cui dappertutto, dentro e fuori di noi, vi sarà una sola attrazione; ma allora non potremo più accrescere la nostra conoscenza di Dio.

Fintanto quindi che in noi sentiamo le due attrazioni, il mondo e Dio, abbiamo la possibilità di aumentare il nostro amore e la nostra conoscenza. Esse sono una cosa molto buona, ma rappresentano anche un grave rischio: quello cui abbiamo accennato.

Il posto per l'uomo

Gesù disse: «Io me ne vado». Se ne andava al Padre. 

Era la sua ultima tappa di viandante nel mondo per raccogliere i figli della luce nell'unità di Dio, affinché potessero essere tutti una cosa sola.

Se ne andava oltre i confini del comprensibile, là dove le luci eterne assorbono, trasformano, trasfigurano le luci terrene.

Se ne andava affinché lo Spirito di Verità potesse venire in coloro che avevano creduto in Lui, L'avevano accolto e seguito, e portare a compimento l'opera di Dio.

«È necessario che Io me ne vada». Tale necessità non è riferita a Lui, ma a noi. «Se non vado, non può venire in voi lo Spirito di Verità».

E poneva così una condizione di necessità per giungere alla Verità, quella Verità senza la quale l'uomo non può essere uomo.

Se Cristo ha posto tale condizione, dobbiamo fare molta attenzione noi a non sopprimerla con tanta facilità, come si tende a fare oggi dicendo non essere necessario il distacco, il silenzio, il raccoglimento nella preghiera e nella contemplazione di Dio, perché potremmo precluderci l'accesso alla Luce e precluderlo ad altri.

Non c'è né azione sociale, né azione nel mondo, né scienza della materia che possano supplire alla ricerca di Dio cui ogni uomo è tenuto.

Il mondo dello spirito non è curvo come il mondo materiale e non dobbiamo illuderci ed illudere di giungere all'Oriente camminando verso Occidente.

Gesù se ne andava affinché noi ce ne andassimo dagli schemi e dalla mentalità di questo nostro vecchio mondo fatto di esteriorità, mode, egoismi, interessi, ambizioni, culto del benessere e della figura, un mondo che purtroppo i nostri padri ci hanno presentato come degno di ogni rispetto e che i giovani oggi stanno buttando in aria perché, entrati in esso, hanno scoperto che non c'era niente.

Si allontanava dal nostro mondo, affinché noi ci allontanassimo con Lui da quel luogo in cui Egli non è, e non può esserci, e Lo cercassimo là dove veramente è: presso il Padre. Preparava a noi un posto: «Vado a prepararvi un posto».

L'uomo si forma «uomo» cercando Dio là dove Dio è, e Cristo si allontanava per trasformare tutto l'uomo in questa ricerca, per farlo più uomo.

Preparava a noi un posto, «affinché dove sono Io siate anche voi» e «possiate essere tutti una cosa sola con Dio e tra voi».

Il Signore sta operando con noi un immenso lavoro di amore, di sapienza e di pazienza di cui noi non riusciamo a vedere che minime tracce (un lavoro ben più importante e faticoso della sua creazione dal nulla), per portarci a partecipare alla vera vita.

Noi di tutta la sua opera intendiamo niente, né vi facciamo caso; continuiamo a discutere tra noi sugli andamenti delle Borse Valori o sul crescente numero del parco macchine che restringe sempre più il parco umano (a forza di mettere benessere nelle nostre case non è rimasto spazio nemmeno più per i vecchi genitori!) e non ci accorgiamo che lo scenario dell’universo si sta aprendo e nella nostra vita sta per apparire Dio.

Dio, questo Essere che ci ha dato l'esistenza e tutto perché imparassimo a vivere da uomini liberi e ad amare; questo Essere che ci ha amati e continua ad amarci nonostante tutto; questo Dio che è nostro Padre anche se da noi volutamente ignorato e calpestato per avere quattro soldi in più, questo Dio sta per apparire nella nostra vita e farci vedere la sua Verità totale che convincerà il nostro mondo di errore e di peccato.

Ma prima che la notte termini e giunga quest'ora di luce che può essere un'ora di addio, insegnaci ad amare, Signore!

Insegnaci a partire portando un dono, oh! anche un semplice povero dono qualunque, tra le nostre mani, per Te.

Insegnaci a non ripiegarci su noi stessi, sul nostro dolore, sulla nostra paura, sulle nostre cose passate, ma a guardare avanti verso di Te che stai venendo.

Già il Cielo della nostra anima accenna alle luci di Pentecoste, e Tu, Signore, ci inviti a seguirti con la nostra stessa povertà là dove incomincia la Vita.

Ascensione

«Venni dal Padre, disse Gesù, e sono sceso nel mondo; adesso lascio il mondo e vado al Padre».

Perché venire per poi lasciare?

Perché nascere se poi si deve morire?

Perché tanti incontri se poi ci si deve dire addio?

Le cose vengono a noi per annunciarci Dio, per ricordarcelo, per parlarci di Lui, per aiutarci a conoscerlo. Le cose visibili si presentano a noi per suscitare in noi il desiderio e la ricerca di quelle invisibili.

Così Gesù venne tra noi per parlarci del Padre che non vediamo, che non possiamo vedere da soli, ma che pur è l'unica cosa necessaria vedere perché è la vera fonte dell'unità e della conoscenza, la Sorgente di ogni luce.

Dapprima ci parlò di Lui per mezzo di parabole: infatti i nostri orecchi non erano capaci d'intendere altro linguaggio ed i nostri occhi erano malati tanto da non poter vedere altro che le cose materiali e corporee.

Ma parlandoci in parabole curava i nostri occhi e guariva i nostri orecchi e li preparava a vedere e ad intendere apertamente il Padre.

Per questo, quando i suoi apostoli, in cui è rappresentata tutta l'umanità e quindi ognuno di noi, furono maturi per intendere, disse: «Viene l'ora in cui vi parlerò apertamente del Padre».

Terminava così la sua missione terrestre ed iniziava quella celeste, interiore. Era giunta la sua ora di salire al Cielo, non per Lui, ma per noi.

Salendo in alto portava con Sé il cuore del mondo e nella sua Ascensione vi era già la nostra.

Aveva lasciato nei cuori una promessa e seminato una speranza: «Mi vedrete di nuovo. Vedrete Dio!».

Una promessa ed una speranza che sono scritte in tutte le cose e anche dentro di noi stessi, perché il Verbo di Dio che si è rivelato in Cristo, è lo stesso che opera in tutto. Per cui rifiutare Cristo è non solo rifiutare Lui, ma tutte le creature, tutto l'universo e la nostra stessa vita.

Tutto ci annuncia con Cristo che viene un'ora nella nostra vita in cui Dio si manifesta. Quella è un'ora in cui tutto in noi fa silenzio; più nessuno parla e noi siamo, soli, di fronte a Dio. Oh! Non è necessario morire per giungere a questo! È un'ora che dobbiamo aspettare e preparare in noi.

Così la vita si svela come ascensione di cosa in cosa, di parabola in parabola, fino a quell'estremo orizzonte oltre il quale c'è solo più il Pensiero puro di Dio. Vi è una Pentecoste interiore che attende ognuno di noi. «Viene l'ora - dice Gesù - in cui non vi parlerò più in parabole, ma apertamente vi parlerò del Padre e ve Lo farò conoscere».

Dio ha fatto e fa ogni cosa per farci giungere qui, in questo luogo, e creandoci ha predisposto ogni cosa, anche il nostro cuore e la nostra mente, per tale ascensione.

Così salendo in alto portiamo in tutto l'universo la gioia dell'incontro in noi con Dio e il compimento dell'aspirazione di tutte le cose.

È solo salendo in alto che percorriamo tutte le regioni della terra, questa opera di Dio disposta per i nostri passi verso di Lui, questa scala di Giacobbe che sale verso il Cielo e che noi dobbiamo imparare a salire se vogliamo giungere al nostro fine.

Salendo di gradino in gradino su questa, facciamo progredire in noi tutte le cose fino al loro compimento in Dio; per cui nella nostra ascensione vi è il canto di gioia di tutte le creature, e della nostra stessa vita, che vengono condotte in noi al loro fine.

Più saliamo in alto presso Dio e più l'universo con tutte le sue creature canta in noi la gioia di esistere e di vivere.

(Dal libro “PENSIERI SU Dio”  -  Ed.  T.E.C. - di Luigi Bracco, dalla pag. 112  alla pag. 126)

LA CAPACITA’ DI RACCOGLIERE DIPENDE DA CIO’ CHE SI È RACCOLTO

Vivere è avere la possibilità di assimilare. La possibilità di assimilare viene dall'essere dentro. Si è dentro in quanto si è trovato il Principio che giustifica ciò che siamo.

Tutto viene a noi da Dio e tutto quindi giunge a noi per darci la possibilità di raccogliere in Dio, di comunicare con Lui e di vivere. Per questo dobbiamo cercare in tutto il Pensiero di Dio. Questo Pensiero è in noi, ma non raccoglie in noi senza di noi: richiede la nostra partecipazione personale. Non è opera nostra, ma non si rivela a noi senza di noi.

Il cercare in tutto ciò che giunge a noi il Pensiero di Dio, il Verbo, è vita interiore. Questo è interiorizzare, è pregare, è partecipare a ciò che Dio è. È un fiume di vita. Un fiume, quanto più ha acqua, tanto più feconda le regioni; così, quanto più abbiamo raccolto nel Pensiero di Dio, tanto più la nostra vita diventa feconda, cioè noi diventiamo capaci di assimilare.

«Dal seno dì chi crede in Me - dice Gesù – scaturiranno fiumi di acqua viva»

PENSARE È COLLEGARE

Come pensare è collegare ogni cosa con un principio, una causa, così vivere interiormente è collegare ogni cosa con il Principio, con il Verbo, il Pensiero di Dio. «In principio era il Verbo». Senza questo collegamento non vi è interiorizzazione di ciò che giunge a noi; e senza questa interiorizzazione si perde il contatto con la Sorgente: allora tutto in noi necessariamente va verso l'inaridimento, l'esaurimento. Nessun fiume può mantenere le sue acque se viene separato dalla sua sorgente. Anche la nostra vita è un fiume.

I fiumi dello Spirito sgorgano dal «seno di chi crede», cioè dalla vita interiore. Questa sta nel rapportare ogni cosa, ogni Parola al Pensiero di Dio presente in noi; sta nel sottomettere tutto al Pensiero di Dio.

Ciò che noi non riportiamo a Dio, ci disunisce da Dio: ciò che nascondiamo a Dio, nasconde Dio a noi e rimaniamo soli: per questo esperimentiamo la solitudine. È un effetto di ciò che in noi è rimasto incompiuto rispetto a Dio.

Si vive interiormente in quanto si cerca il Pensiero di Dio in tutto ciò che arriva a noi. È qui che si glorifica Dio.

LA PACE INTERIORE

«Vi lascio la pace, vi dò la mia pace, non come la dà il mondo», dice Gesù, il quale oppone la sua pace alla pace del mondo. La sua pace sta nella grazia di poter vedere la mano del Padre in tutti gli avvenimenti, anche nei più sconcertanti, e nel non essere costretti dai nostri sentimenti e dalla povertà delle nostre conoscenze a vedere in tutto l'opera del caso, della natura, degli uomini, attribuendo a questi ciò che invece è di Dio. In realtà Dio è il Creatore di tutte le cose, quindi è il Protagonista di tutto ciò che esiste e di tutto ciò che accade.

Trovare Dio è trovare la Verità, e trovare la Verità è trovare la sicurezza, la libertà, la pace. Mentre nella vita esteriore si glorifica l'uomo, poiché l’uomo è posto come centro e tutto si riferisce a lui, nella vita interiore si glorifica Dio in modo autentico in quanto si riporta tutto a Dio come al suo vero principio. L'autenticità si trova solo nella vita interiore.

Vivendo interiormente avviene quindi un capovolgimento, una ritraduzione: riportando tutto a Dio come centro, si annullano in noi tutti i valori del mondo che hanno l'uomo come centro: si capovolge la nostra mentalità. Qui si evidenzia ciò cui dobbiamo rivolgere tutto il nostro impegno.

Nella vita c'è una cosa sola in cui bisogna avere fretta e per cui bisogna trovare tempo, disponibilità, sottomettendo ogni cosa: conoscere Dio. Tutto il resto si può lasciar correre. «Ancora per poco la luce è con voi. - dice Gesù - Camminate fintanto che la luce è con voi, affinché le tenebre non vi sorprendano». Vi è questa transitorietà, vi è questo rischio, e vi è questa urgenza. È l'urgenza di dare una certezza e una stabilità interiori ai nostri pensieri e quindi alla nostra vita. Ogni giorno che passa senza vita interiore, senza glorificare Dio dentro di noi, aggrava in noi il peso della notte.

IMPEGNO PERSONALE

L'uomo ha bisogno della luce dello Spirito per pensare, per parlare, per vivere. «Chi cammina nella notte inciampa e cade», dice Gesù.  L'uomo ha bisogno della conoscenza della Verità. Tutto in lui, la stessa libertà di pensiero e di scelta, è condizionato dalla conoscenza. Non gli basta l'istinto, il sentimento, l'intuizione.

È un gran giorno per noi quando scopriamo che Dio è veramente presente in noi, poiché questo segna l'inizio della vita interiore, quella vera.

La conoscenza della Verità viene dalla glorificazione di Dio in noi, e quindi non avviene senza di noi. Essa è promessa a tutti, ma richiede dedizione, impegno. «Sforzatevi di entrare»,  dice Gesù.

Vi sono cose che arrivano a noi senza di noi, e vi sono cose che non arrivano a noi senza di noi. L'annuncio di Dio e del suo Regno è per tutti e giunge a tutti, buoni e cattivi, umili e superbi, poveri e ricchi, ignoranti e scienziati, poiché Dio fa splendere il suo sole sui buoni e sui cattivi e manda la sua pioggia sui giusti e sugli ingiusti.  L'annuncio di Dio arriva a noi senza di noi; e in quanto arriva a noi senza di noi non può essere smentito da noi.

Ma ciò che è annunciato, viene dato solo a chi lo sa apprezzare per ciò che esso vale. Agli altri rimane il segno, la lettera, il velo, non lo Spirito.

Tutto è opera di Dio perché uno solo è il Creatore che opera tutto in tutti, e tutto è misericordia e amore perché l'opera di Dio è rivolta pazientemente a salvare ogni uomo ed a condurlo a cercare ed a conoscere la Verità.

Ma se l'annuncio della Verità arriva a noi senza di noi, ed è opera della creazione di Dio, la conoscenza della Verità non viene in noi senza di noi, senza la dedizione da parte nostra a conoscere quel Dio che si annuncia a noi in tutto.

Qui, in questa dedizione personale a ciò che ci viene annunciato perché venga inteso nel suo Principio, sta la vita interiore.

IL SENSO IN NOI DELLA IRREVERSIBILITA’ DEL TEMPO

Si cammina a senso unico: il tempo passa a senso unico, la vita passa a senso unico e non si può tornare indietro; anche gli annunci e le proposte di Dio che giungono a noi, giungono a senso unico. Tutto ciò che giunge a noi è soggetto al tempo, e il tempo è irreversibile.  Come ogni cosa giunge a noi, subito è già passata e non può essere trattenuta. Non si può trattenere l'istante che passa.

Eppure proprio in quell'istante in cui una parola, una cosa giunge a noi e passa, succede un fatto di una portata immensa per noi: il nostro giudizio, la nostra valutazione. Tutto viene da noi stimato, valutato, pesato. Succede comunque e per qualunque cosa.

Questo è un fatto di una portata enorme poiché saremo giudicati dai nostri giudizi, saremo valutati dalle valutazioni che avremo fatto di ciò che giungeva a noi. Già oggi siamo giudicati dai nostri giudizi, siamo valutati dalle valutazioni e dalle scelte che facciamo. Diventiamo infatti figli delle nostre opere. Gesù dice: «Sarete giudicati secondo lo stesso giudizio col quale avrete giudicato; sarete misurati con la stessa misura con la quale avrete misurato».

Poiché ciò che giunge a noi giunge a senso unico, niente è indifferente, niente è rinviabile. Tutto ciò che giunge a noi provoca comunque da noi e in noi una valutazione e una scelta: ci chiede un posto nella nostra vita. Noi scegliamo anche quando rifiutiamo di scegliere.

Creato per nutrirsi della Verità, l'uomo invece rivolge tutto il suo interesse e le sue scelte ai cibi terreni e trascura di occuparsi di Dio: per questo è profondamente infelice: non trova il cibo per la sua vita e la sua vita ne soffre. La sua infelicità rivela il suo errore nella valutazione di ciò che gli è stato proposto per essere felice.

URGENZA DELLA VITA INTERIORE

Tutto giunge a noi per sollecitarci a dare a Dio ciò che è di Dio, a conoscere la sua Verità e quindi a glorificarlo.

Riconoscere la Verità di Dio, cercare il suo Pensiero, il suo Verbo in tutto, cercare di conoscere Dio perché questa è la sua volontà e perché questo è un atto di giustizia, è glorificare Dio nei nostri cuori.  E siccome tutto dipende dalla valutazione che diamo in noi a ciò che giunge a noi, ne deriva che ogni giorno segna o un nostro avvicinamento alla Verità di Dio o un nostro allontanamento, e questo avviene anche se non ne siamo consapevoli.

Ciò che non è da noi raccolto in Dio - e non può essere raccolto senza di noi, senza la dedizione del nostro pensiero a Dio - diventa in noi e per noi motivo di allontanamento da Dio. Ciò che non è raccolto, ci disperde. Niente di ciò che arriva a noi lascia indifferente la nostra anima: o la aggrava o la alleggerisce, o l'aiuta a guarire o peggiora la sua malattia, o la libera o la rende più schiava. Si va verso situazioni di irreversibilità: o tutta luce o tutta notte, o tutta inquietudine o tutta pace, o diventa in noi eterno Colui che è, o diventa in noi eterno solo ciò che è stato e che non è più. Ogni giorno che passa ci fa crescere in questa eternità in un senso o nell'altro. Di qui l'urgenza di glorificare Dio in noi.

Nella transitorietà delle cose a senso unico vi è la grazia per glorificare Dio nei nostri cuori, ma vi è anche l'urgenza di tale glorificazione, poiché se non glorifichiamo Dio, necessariamente glorifichiamo il mondo, gli uomini, il nostro io. «Affrettatevi a conoscere il Signore!». È l'urgenza di glorificare Dio dentro di noi, di raccogliere ogni cosa con il Pensiero di Dio, nel Pensiero di Dio, di conoscere Dio. «Gesù, - pregava suor Faustina Kowalska, l'apostola polacca della Divina Misericordia - dammi intelligenza e intelligenza grande, unicamente perché possa meglio conoscerti, perché più Ti conoscerò e più ardentemente Ti amerò. Ti chiedo un'intelligenza capace di comprendere le cose di Dio, anche quelle più sublimi. Dammi un'intelligenza grande per mezzo della quale possa conoscere la tua Essenza Divina e tua Triplice Vita».

La ricerca e la conoscenza di Dio è un fatto che non si può rinviare senza un danno attuale per noi. «Chi con Me non raccoglie, disperde», dice Gesù, quel Verbo di Dio che è con noi per raccoglierci in Dio.  Ciò che non raccogliamo, ci disperde. Ciò che non portiamo in Dio, ci porta lontano da Dio, molto lontano, poiché ci priva sempre più della capacità di portare le cose di Dio: ci priva della fede, dell'amore, della disponibilità di tempo interiore per Dio, della memoria di Dio. Allora, al posto della fede in Dio subentra crescente la fede negli uomini, nella natura, nella cultura, fino alla delusione finale.

Ma ciò che non raccolto in Dio è di ostacolo, raccolto nella luce di Dio diventa trampolino e sostegno. Se tutto ciò che giunge a noi viene in noi riportato in Dio, nessuna cosa esteriore impedisce di vivere con Dio. Allora tutto, anche le cose passate, diventa motivo di dialogo in noi con Dio, motivo di preghiera, e ci sollecita ad una più profonda conoscenza della Verità. Qui possiamo capire come il perdono di Dio sia più grande dei nostri peccati.

(Dal libro “BREVIARIO DI VITA INTERIORE” ed Gribaudi, di Luigi Bracco dalla pag. 34 a pag. 42)

Riassunto incontro 19, Gv 1,1-14-II (Domenica 17.10.1999)  Le cinque scene del Prologo

Nel Prologo di Giovanni ci viene presentato il cammino da percorrere, se vogliamo giungere a conoscere Dio. Possiamo suddividere il Prologo in cinque grandi scene:  

- Prima scena: vv. 1-5: “In principio era il Verbo… In Lui era la vita e la vita era la Luce degli uomini. La luce risplende nelle tenebre, ma le tenebre non la compresero”. Qui abbiamo la presentazione  di ciò che era in Principio: il Verbo. Ci viene annunciato che in Lui è tutta la nostra vita affinché recuperiamo quel Principio che è a fondamento del nostro esistere, quel Principio che parlando con noi in tutto fa essere il nostro io e ci fa prendere coscienza di esistere (infatti noi siamo fatti in coppia con Dio). L’autonomia da Dio è effetto di ignoranza del Principio creatore e generatore del suo Pensiero in noi.

Dio parla a creature che si sono allontanate dal loro Principio, per cui esperimentano la morte. È per questo dice “era”, perché per noi il Principio non è più il Verbo. Il nostro principio è ciò per cui viviamo, e quindi è ciò che determina il nostro pensare, il nostro parlare, il nostro vivere; sicuramente oggi per noi non è più Dio, per cui se la vera vita è in Dio, è normale che i fini per cui viviamo ci conducano a morire; ma in principio non era così. Ci viene annunciato il principio di vita  (“in Lui era la Vita…”) affinché lo recuperiamo. Se la nostra vita sta lì, bisogna trascurare tutto il resto e smettere di cercare la vita altrove. Ecco l’annuncio di questa prima scena del Prologo ci invita a far ritorno alla Luce che splende nelle nostre tenebre.

Evidentemente a noi creature non fu sufficiente che la Verità si annunciasse. Infatti successe che: “le tenebre non compresero”. Sarà necessario quindi una lunga opera di recupero da parte di Dio, opera che si concluderà con il  Cristo che ci recupererà là dove ci siamo dispersi.

- Seconda scena: vv. 6-8: “Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Non era Lui la Luce… ma venne per rendere testimonianza alla Luce”. Incomincia così l’azione di recupero da parte di Dio: Dio opera nel mondo esteriore per rendere testimonianza alla Luce: in Giovanni Battista che dice: “io non sono la Luce”, ed è la testimonianza di ogni creatura, c’è la sintesi di tutte le lezioni attraverso cui Dio ci fa toccare con mano che il mondo esterno per il quale  noi viviamo non ci può dare vita, non soddisfa il nostro bisogno di Assoluto.

Attraverso le esperienze della vita, Dio ci convince a desistere dal cercare la vita, la luce, la verità nel mondo esterno. Infatti tutte le creature in un modo o nell’altro, con il loro mutare e morire ci dicono: “Noi non siamo Dio, un Altro è Dio e quindi è giusto cercarlo e metterlo al centro della tua vita, dei tuoi pensieri e interessi”.

 - Terza scena: vv. 9-13: “Luce vera è quella che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. A tutti quelli che L’accolgono diede potere di divenire figli di Dio…”. Qui ci viene detto dov’è e qual è la Luce vera: è dentro di te. Ma per scoprirla, è necessario ascoltare il messaggio delle cose che, passando, ti sollecitano a mettere al centro Colui che non passa, a fare cioè la giustizia essenziale e quindi a fare il passaggio dal mondo esterno al mondo interno. Dio è presente dentro di te, ma nel suo Pensiero. Quindi non basta entrare nel campo del pensiero e pensare alle cose nostre; bisogna entrare nel mondo interiore, trascendere i nostri pensieri ed inoltrarci nel mondo del Pensiero di Dio. Tutto questo esige il distacco dal mondo esterno per prendere contatto con questa Luce di Dio, il Verbo interiore, il Pensiero di Dio che parla dentro di noi. Dio dice un’unica Parola: Suo Figlio, rivelazione del Padre.

Quindi fintanto che non abbiamo capito la lezione del Battista, noi non ci separiamo dal mondo esterno e cerchiamo la vita e la comprensione dalle creature, per cui non possiamo scoprire ed accogliere la Luce vera che splende in noi. Sarà poi questa Luce che, se è da noi accolta, formerà in noi l’attrazione per Dio, la convinzione che i figli di Dio nascono solo da Dio e quindi il bisogno di un Aiuto dal Cielo, e sarà questa dimensione interiore che ci farà riconoscere il Verbo incarnato che ci darà la possibilità di diventare figli di Dio.

- Quarta scena: v. 14/a: “Il Verbo si è fatto carne, e abitò tra noi”. È il Pane, la risposta alla fame che si è formata in noi. La condizione per riconoscerlo è quella di aver fame; ma la fame  è conseguenza di aver fatto la giustizia essenziale e di aver accolto la Luce vera che splende in noi, passando cioè dal mondo esterno al mondo interno. La creatura che, avendo ascoltato questa Luce, ha formato in sé la fame di Dio, può individuare il Verbo di Dio fatto carne e quindi può seguirlo. Seguendolo siamo condotti da Lui all’incontro con il Padre, cioè su quella Vetta da cui si vede la gloria di Dio.

E si apre così la quinta ed ultima scena.

- Quinta scena: v. 14/b: “e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che un tale Figlio riceve da un tale Padre…”.Seguendo il Verbo incarnato siamo condotti a contemplare la Verità del Padre presente in noi come Principio, Principio che ci era annunciato già  all’inizio del Prologo ma che noi non vedevamo più, avendo in noi altri principi. Per condurci a questa Meta è necessario che Cristo formi in noi la capacità di sostare nel Pensiero del Padre, poiché è il Padre che ci rivela la Gloria del Figlio.

Cristo è il Maestro che ci conduce alla Sorgente e poi se ne va, affinché possiamo bere direttamente alla Fonte da cui anche il Figlio beve. Ci porta cioè ad un rapporto personale con il Padre, perché  soltanto se ci impegniamo personalmente in esso possiamo ricevere quello che il Figlio riceve dal Padre: l’Essere del Padre. È una scoperta personale ed incomunicabile, tant’è vero che nemmeno Cristo ce la può dare, anzi è necessario che la sua presenza fisica se ne vada, altrimenti non possiamo ricevere lo Spirito, non possiamo giungere a vedere la sua Gloria. Questa scoperta è un nome personale che ci fa fratelli del Cristo, figli del Padre: figli adottivi, perché  il Figlio naturale è Uno solo. Noi siamo creature chiamate a ricevere il nome di figli dal Padre, attraverso il Figlio.

Queste sono le cinque scene del Prologo che rappresentano le tappe di un lungo cammino che non si realizza senza di noi. Siamo chiamati  alla Vita eterna, a fare una cosa sola con il Figlio, a diventare figli del Padre come il Figlio, a contemplare cioè  la sua Gloria. Ma noi in che cosa ci impegniamo, a cosa ci dedichiamo?

 Riassunto incontro 20, Gv 1,1-14-III (Domenica 31.10.1998) I primi 3 punti fermi del Prologo

Dopo aver visto le tappe del cammino verso la conoscenza di Dio, tappe rappresentate in quelle  cinque grandi scene di cui si è parlato la volta scorsa, vediamo ora i “punti fermi” cioè le convinzioni che ci debbono sostenere per camminare fino alla meta.

Ne individuiamo dieci, ma per ora  ne vediamo i primi tre che costituiscono il fondamento e la verifica della vera fede:

·“Tutto è stato fatto per mezzo di Lui”.

·“Senza di Lui è fatto niente tutto ciò che è fatto”.

·“In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”.

1° punto: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui”:  la prima convinzione sulla quale deve poggiare il nostro cammino spirituale è che tutto è opera di Dio. Per essere un punto fermo su cui sostenerci dobbiamo esserne convinti, senza ombra di dubbio.

Tutto ciò che esiste e tutto ciò che accade è opera di Dio: Egli è il Creatore di tutto, fuori e dentro di noi, ieri, oggi, sempre. È opera Sua anche quello che esteriormente è male (delitti, la guerra, terremoti, ecc.),  ma non il male interiore, cioè il distacco da Dio: questo Dio non lo vuole; anzi, tutti gli altri mali esteriori  sono opera Sua  per recuperarci  e liberarci dal vero male.

Nella creazione è Dio che opera, non siamo noi: “Il filo d’erba è un Altro che l’ha fatto! Accogli l’Altro!”. Noi nasciamo in un “già fatto”, in un “pensato per noi”, in quanto tutto è stato fatto in vista di noi. Noi siamo in casa d’altri: dobbiamo allora riconoscere il Proprietario. Questo è l’atto di fede fondamentale, basilare. Se siamo convinti di questo, allora anche se per debolezza avviene una frattura tra la convinzione e la pratica, si ha la possibilità, riflettendo, di ricrederci. Ma anche nella nostra debolezza dobbiamo vedere la mano di Dio, perché anche questa ha un  significato per la nostra formazione spirituale. Il popolo ebreo riferiva sempre tutto a Dio, anche le catastrofi legate a fatti naturali, politici, ecc.: e vedevano queste come richiami di Dio alla conversione.

 Se tutto è opera di Dio, la prima conseguenza logica è questa: tutto va riportato in Dio, perché soltanto in Dio  la cosa si illumina.

Se non facciamo questo lavoro di riferire tutto a Dio, la nostra anima rimane in balìa del mondo, degli avvenimenti, degli errori o debolezze nostre e degli altri; invece quanto più ci sforziamo nel riferire le cose a Dio, tanto più acquistiamo possesso del nostro pensiero, della nostra anima:  ci accorgiamo di poter pensare a Dio e che il nostro pensiero non è più portato via dalle cose che succedono intorno a noi, perché raccogliendo tutto in Dio, la nostra anima resta raccolta. Come in tutte le cose, anche nello spirito c’è una fatica iniziale, perché non si è abituati a riferire tutto a Dio. Ma se uno è convinto, incomincia andando  adagio e sbagliando fino a riuscire ad andare in fretta senza più sbagliare.

Da parte nostra deve esserci questo continuo dialogo con Dio e non con le cause seconde, sapendo che tutto, essendo Dio pura intelligenza,  è  finalizzato da Lui alla maturazione e alla salvezza della nostra anima,  cioè alla conoscenza di Lui, e quindi alla vita eterna.

2° punto: “Senza di Lui è fatto niente tutto ciò che è fatto”. Una cosa è essere convinti che tutto è opera di Dio, una cosa ancora è essere convinti che senza di Lui la sua opera diventa niente in noi. Infatti   Dio non è soltanto il Creatore, ma è anche il Mantenitore,  Colui che mantiene l’esistenza, per cui senza di Lui tutto è ridotto a niente e noi esperimentiamo la vanificazione di tutto.  Ma siccome tutto è opera Sua, il “senza di Lui” non si verifica oggettivamente, ma soltanto dentro di noi quando non teniamo conto di Lui; quindi è solo in noi che riduciamo tutto a niente ed è in noi che si verifica l’annullamento dei valori.

Per evitare questa nientificazione in noi di tutte le opere di Dio, non basta accogliere ogni cosa da Lui come Creatore, ma dobbiamo anche riferire tutto a Lui, per cercare il suo pensiero e quindi per imparare a pensare,  a parlare, a fare ogni cosa con Lui, poiché è Dio che mantiene valida e ricca di significato la Sua opera in noi; altrimenti alla fine della vita ci si accorge di aver lavorato per niente e tutto coopera per dimostrarci che abbiamo fatto niente.

L’uomo che trascura Dio, distrugge in se stesso la creazione, annulla e vanifica tutto, anche le sofferenza dei poveri, dei malati, e,  in termini estremi, annulla anche il sacrificio del Cristo, rende vana la Sua morte. Poiché Cristo è la sintesi di tutta l’opera di salvezza di Dio, la Sua morte è la sintesi di tutta la vanificazione  che noi facciamo dell’opera di Dio. La Sua morte ci rivela che è proprio l’uccisione di Dio in noi che priva di significato le cose, per cui noi assistiamo alla distruzione di tutto in noi. Quindi tutta l’opera immensa che Dio ha fatto e fa per ognuno di noi (la creazione dell’universo iniziata quindici miliardi di anni fa, tutti i fatti storici, l’Antico Testamento, il Cristo, ecc.), che è finalizzata alla nostra salvezza, se non viene mantenuta unita a Lui,  cioè se il nostro cuore non si mantiene unito a Lui, viene da noi completamente annullata, perché senza di Lui tutto ciò che è fatto diventa niente., e noi tocchiamo con mano il niente, ci accorgiamo che tutto è servito a niente.

È il Pensiero di Dio che dà significato ad ogni cosa, perché tutto è fatto nel suo Pensiero, per comunicare a noi il suo Pensiero, ma solo Dio può rivelarci il suo Pensiero se ogni cosa la leggiamo con Lui, in Lui e da Lui; altrimenti il nostro pensiero disunito da Dio ha la capacità di annullare  tutta l’opera di Dio, perché se ciò che è fatto non è mantenuto unito a Dio diventa niente, viene da noi vanificato.

Se la Parola di Dio ci annuncia questa Verità è per formare in noi la convinzione che è necessario non disunire niente da Lui, per evitare l’annullamento e la vanificazione di tutto e quindi la morte. Anche Gesù lo dice: “Senza di Me non potete fare niente”.

Perciò in noi c’è sempre un lavoro da fare, perché l’unione con Dio non è una cosa naturale. Le cose arrivano a noi senza di noi, ma richiedono da noi un’opera supplementare che è l’opera di unione a Dio; quindi non dobbiamo mai fermarle al nostro io, alle nostre impressioni o sentimenti, ma riportarle sempre a Dio, mantenerle unite  a Dio, perché “…in principio il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Bisogna cioè recuperare sempre il Principio, se è che vogliamo valorizzare le cose e mantenerle valide; altrimenti i valori decadono, da soli non stanno su.

Siccome tutto è opera di Dio, tutto ci sollecita a camminare verso Dio. Quindi tutto è buono e valido, se camminiamo verso Dio, addirittura  anche gli sbagli servono a sospingerci a cercare il Signore, a fare cioè quel tratto di strada che non si fa senza di noi.

Quindi se la nostra anima cerca Dio, tutte le creature servono la nostra anima e non le perdiamo, poiché in Dio si ritroverà tutto ciò che passa, e tutte godono con noi; ma se noi non raggiungiamo la meta, tutte le creature, che dovevano servire per portarci là, piangono in noi il nostro fallimento. Allora, se noi non cerchiamo il Signore, tutte le creature che hanno sofferto per noi, per colpa nostra, e in cima a tutti c’è il Cristo, nel giudizio ci accuseranno, perché noi le abbiamo reso inutili in noi con tutti i loro sacrifici  Allora lì capiremo e piangeremo, perché capiremo che tutto era per il bene nostro, per darci vita e noi, non raccogliendolo in Dio, non ne abbiamo tenuto conto e l’abbiamo vanificato.

3° punto: “In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”: cioè la nostra vita è nella Luce, perché in principio la vita era nella luce del Verbo di Dio.. Se si forma in noi questa convinzione, allora noi cerchiamo la Luce prima di tutto e noi esperimentiamo che viviamo in quanto e per quanto cerchiamo la Luce. Se ne siamo veramente convinti, questo ci evita di cercare la vita nel mondo, nel denaro, nelle creature, perché sappiamo che la vita sta nella luce.   Tutte le cose, proprio perché non sono luce, ci sollecitano a cercare la luce di Dio, il suo Pensiero. Unite a Dio, mandano luce. La luce quindi scatta nell’avvicinamento dei due poli:  il segno (la parola) e Dio; la parola di Dio va unita a Dio, altrimenti la cosa resta nelle tenebre e diventa niente in noi. Solo se la cosa è raccolta in Dio viene illuminata,

Questo punto non è solo il risvolto positivo di quello precedente, ma è un approfondimento ulteriore, perché ci fa capire che per evitare l’annullamento delle cose non basta accogliere da Dio, ma, poiché la vita sta nella luce,  bisogna cercare la luce, e la luce è in Dio. Però la luce non scatta fintanto che non si è arrivati a questa unione dell’opera con il Creatore.

Soltanto quando arriviamo al significato della cosa nello Spirito di Dio, giungiamo alla luce; prima no! La fede non è luce, ma se è vera ci porta a desiderare la luce e quindi a tenere presenti i due poli, il segno e Dio, e mi sollecita ad avvicinarli; ma soltanto quando si sono avvicinati scatta la scintilla, cioè la luce che diventa conoscenza, carità, amore.  Allora la fede vera ci mantiene orientati alla luce, ma con la speranza di poter arrivare (non per opera nostra, ma per opera di Dio), perché se non abbiamo la speranza, non cerchiamo la luce. La fede vera ci fa sospirare di vedere il Volto del Signore. È Dio stesso che ci fa sentire il bisogno (quindi questo bisogno è una promessa) e Dio stesso ci porterà al compimento dell’opera.

La nostra vita sta in questa Luce sospirata, desiderata, invocata, amata, cercata (con la stessa intensità con cui cerca l’ossigeno chi ha la testa sott’acqua),  perché la vita eterna è conoscenza. Ecco perché Gesù dice: “Chi raccoglie con Me riceve mercede di vita eterna”: per farci capire che solo raccogliendo con Lui le cose nel Padre riceviamo la vita che è luce. Cristo è venuto a portare a compimento ciò che in noi è a metà strada, ma il primo atto di fede, basilare lo dobbiamo fare verso Dio che opera in tutto. Egli ci porta a capire  nel Padre il significato di ogni cosa, di ogni nostro problema: lì la cosa si illumina e diventa vita e vita eterna. Ogni cosa perciò va unita ad una parola, ad una lezione del  Cristo, se vogliamo che sia illuminata dal Pensiero di Dio. Ecco l’importanza di conoscere le sue Parole! È il desiderio di conoscere Dio che ci fa valorizzare terribilmente il Cristo, perché Egli viene appunto per raccoglierci nel Padre, cioè nel punto estremo in cui c’è la pienezza di Luce.

 

Approfondimento della seconda scena

Ci siamo fermati in particolare sulla seconda scena, perché senza la giustizia essenziale non si inizia il cammino spirituale, né lo si può proseguire. In questa seconda scena  vediamo l’opera di recupero da parte di Dio che, attraverso le lezioni della vita, tende a convincerci che è giusto mettere Lui al centro e riferire tutto a Lui, facendoci così passare dall’esterno all’interno. Tutte queste lezioni, che sono voci delle tenebre, si sintetizzano nel messaggio di Giovanni Battista: sono tenebre che invocano un mattino. Tutti i Salmi, l’Antico Testamento, le profezie antiche sono un piangere un bene perduto, un invocare; è la testimonianza delle tenebre. Ogni creatura denuncia la sua povertà, la sua incapacità a vivere, a capire, a trovare la sua felicità perché si trova di fronte al muro della morte. L’uomo morendo testimonia la sua impotenza e che la vita non è a sua disposizione: gli è data, ma gli viene tolta anche molto presto.  Nelle tenebre si piange perché non si vede la luce, ma l’invocazione della luce testimonia che esiste la Luce.

Il Battista è il più grande di tutti i profeti perché arriva a contatto con Cristo che è la Luce del mondo immerso nelle tenebre (invece il più piccolo nel Regno di Dio è più grande del Battista perché avendo incontrato il mattino, non parla più del suo bisogno, ma parla di Dio, vive con Dio, è nato da Dio). Giovanni Battista rappresenta la voce delle tenebre.  Le tenebre non sono peccato.

Il peccato c’è quando le tenebre  ritengono di essere luce e quindi rifiutano di seguire la Luce cercando di  possedere la creatura anziché cercare in essa il pensiero in Dio. Ma anche in questa situazione di peccato, c’è ancora una testimonianza alla Luce, perché  colui che rifiuta la Luce viene a fare esperienza di morte e quindi testimonia che la vita è nella Luce. Giovanni Battista rappresenta anche questa testimonianza, poiché tutto è testimonianza alla Verità, perché Dio trae gloria da tutto e da tutti: da quelli che non conoscendolo, confessano: “io non sono Dio” e cercano Dio  e da coloro che si rifiutano di conoscerlo.

Quindi Giovanni Battista raccoglie la duplice testimonianza negativa delle tenebre (non raccoglie la testimonianza positiva, perché questa è data solo dai figli di Dio, da coloro cioè che hanno conosciuto e trovato Dio):

- quella  delle tenebre che cercano Dio

- e quella delle tenebre che non cercano Dio e che pertanto, venendosi a trovare nel caos e nella morte, testimoniano che la vita sta nella Luce.

Le due testimonianze negative  che le tenebre  ci danno, ci indicano dove sta la Luce vera, sollecitandoci a metterla al centro. Se compiamo questa giustizia essenziale, accogliendo tutto da Dio e riportando tutto a Dio,  si forma in noi l’attrazione per Dio, scopriamo in noi la Luce vera la quale, se è messa da noi in alto, ci dà la capacità di riconoscere il Cristo.

Dobbiamo accogliere e riportare in Dio anche ciò che noi chiamiamo “male”, come la morte e i delitti, poiché tutto è opera di misericordia di Dio che esteriorizza le colpe dell’uomo per recuperarlo a Sé. Per questo non bisogna giudicare nessuno, ma bisogna cercare di capire qual è il peccato che sta a fondamento di tutti i delitti: l’autonomia da Dio. L’uomo staccato da Dio ha già commesso interiormente tutti i mali del mondo: basta che Dio lo metta nella situazione di compierli e lui li farà anche esteriormente.

Comunque tutta la sofferenza, tutti i delitti del mondo, per capirli bene, bisogna vederli nella luce  della croce di Cristo innocente che ha preso su di Sé il nostro peccato. La Croce è il punto luce per tutto ciò che di ingiusto avviene nel mondo, perché ci fa capire che l’io staccato da Dio uccide, è delitto, è deicida.

Punto di partenza per giungere a capire questa grande lezione del Cristo in Croce in cui si sintetizzano e si illuminano tutte le lezioni della vita è l’aver messo Dio al centro, è aver fatto la giustizia essenziale. E se restiamo in questa giustizia, allora tutta la creazione rientra in quel messaggio del Battista che sulla vetta dell’Antico Testamento ci indica l’Agnello di Dio affinché possiamo seguirlo ed essere condotti a trovare la Vita.