Prologo Capitolo uno Vangelo di San Giovanni. Sesto tema.
Titolo: Intinerario
verso la gloria dell’Unigenito.
Argomenti: Tutto è stato fatto
per mezzo di Lui – Senza di Lui nulla è fatto di ciò che è fatto – In Lui era la vita – La vita era la luce
degli uomini – Il Verbo Persona - Vento di Pentecoste – La luce dall’alto – Il silenzio che
procede lo Spirito -
25/Gennaio/1976
Dall’esposizione di Luigi Bracco e dalla
conversazione.
(Dagli appunti): Abbiamo visto che le cinque scene, sulle quali si
apre il Prologo, ci indicano le tappe principali del nostro cammino
verso la visione della Gloria del Verbo, e che i dieci punti fermi che
emergono dal Prologo ci indicano le convinzioni che si debbono formare
in noi per poter percorrere personalmente le tappe indicate dalle cinque
scene.
Da tutto questo comprendiamo come il Prologo
ci presenti il fondamento e la sintesi
di tutto il Vangelo, poiché vi è tracciato
tutto il cammino finalizzato alla meta ultima, alla quale tutti siamo
chiamati, per farci giungere alla quale il Verbo si è incarnato: ricevere lo
Spirito Santo, contemplare cioè dal Padre la gloria del Figlio Unigenito. È qui
che diventiamo figli di Dio come il Figlio di Dio, formando una cosa sola con
Lui (figli nel Figlio), pur nella distinzione delle persone. Infatti il Figlio
di Dio è tale per natura, quindi è Unigenito. Noi saremo figli come Lui per
adozione.
È una meta alla quale dobbiamo tendere con
tutte le nostre forze, con tutto il nostro desiderio, perché i “doni maggiori”
non ci vengono dati senza di noi. A noi è richiesto di coltivarne il desiderio, che è già dono di
Dio, e di far conto su Dio, sapendo che la realizzazione del nostro desiderio è
tutta grazia Sua.
L’approfondimento del Prologo tende dunque a
formare in noi delle solide convinzioni, veri punti luce, su quella che
è l’opera di Dio per salvare l’uomo e su quella che deve essere la risposta
dell’uomo all’opera di Dio (perché “Colui che ti ha creato senza di te, non ti
salva senza di te”).
Dobbiamo ancora fermarci sui dieci punti fermi
che abbiamo già evidenziato (ho detto che dovevamo andare otto giorni in
montagna per pensare solo a questo!), perché è utile approfondirli ancora
(soffermandoci particolarmente sugli ultimi per i quali ci mancò il tempo la
volta scorsa), per imprimerli bene nel nostro animo: essi sono le colonne, i
pilastri che sostengono tutta la costruzione della nostra vita spirituale,
punti essenziali di supporto, di appoggio e di orientamento per il nostro
pensiero e, nello stesso tempo, quasi “pietre miliari” sul cammino dell’anima
verso la conoscenza della gloria di Dio.
(parte registrata):
1° punto: “TUTTO È STATO FATTO PER MEZZO DI LUI” (v. 3/a).
Tutto é opera di Dio, tutto è voluto da Lui.
Tutto ciò che esiste e tutto ciò che accade, beni e mali, vita e morte, pace e
guerra, tutto è voluto da Dio. Tutto è stato fatto e tutto ancora è fatto per
mezzo del Verbo di Dio.
L’essere convinti di questo è la base
fondamentale su cui si può edificare
la vita spirituale. Qui sta l’inizio di ogni vita spirituale, è la condizione
per entrare in dialogo con Lui. Infatti se l’anima crede che tutto è voluto
da Dio, che tutto è segno di Dio, dialoga con Dio, chiedendogli qual è la Sua
intenzione nel presentargli i segni che le manda e qual è la risposta che Dio
attende da lei. Quindi il fondamento, la base, l’inizio della vita spirituale è
questo: anche se non capiamo, anche se non ne intendiamo il significato,
dobbiamo riconoscere che tutto è opera di Dio e accettare tutto dalle Sue mani.
Questo
versetto é ben collegato con i primi due: “In principio era il Verbo, il
Verbo era presso Dio ecc..”: cioè,
in tutto è Dio che parla, tutto è Parola di Dio. Essendo tutto parola di
Dio, tutto è opera di Dio, e quindi tutto è voluto da Lui.
2° Punto: “SENZA DI LUI NIENTE È FATTO DI CIO’ CHE È FATTO” (v.
3/b).
Questo “senza” non c'è nella realtà (il
niente non esiste oggettivamente, è solo privazione, ricordo di ciò che era),
ma esiste solo nel cuore dell'uomo che, in quanto è un essere cosciente, può
pensare a sé, staccarsi da Dio e affermare se stesso, può quindi pensare,
operare e parlare senza Dio. Operando, pensando, parlando senza Dio, vanifica
tutta l’opera di Dio.
Siccome tutto ciò che Dio ha fatto o fa, l’ha
fatto e lo fa affinché l’uomo si unisca a Lui, cerchi Lui, perché Lui è la
Verità, e quindi divenga partecipe della vita eterna (perché la vita eterna è
questa conoscenza di Dio), se l’uomo non fa questo passo di ricerca di Dio,
cioè se non supera se stesso, annulla in sé tutta l’opera che Dio ha fatto e
fa, perché Dio ha fatto tutto non perché l’uomo si fermi ai doni e quindi a se
stesso, ma perché l’uomo Lo cerchi. Se l’uomo non cerca Dio, annulla tutta
l’opera di Dio. Per cui il Signore gli dirà: “Guarda che Io ho creato le
stelle, ho creato il sole, ho creato i mari, ho fatto tutta la storia, ho
mandato mio Figlio, ecc., per risvegliarti, per farti uscire dal pensiero di
te, dal tuo orgoglio, dal tuo egoismo, dalla tua ambizione, e ti aprissi a
cercare Me. Perché soltanto cercando Me tu trovi la vita, perché Io sono la vita”.
Se noi non ci apriamo, se non facciamo questo
passo verso di Lui, annulliamo in noi tutta la Sua opera; per cui “a questa
generazione (cioè a “quest’uomo”) sarà chiesto conto di tutto il sangue
sparso”: infatti tutta l’opera di Dio è tutto “sangue sparso” inutilmente
per l’uomo che non si apre a questa ricerca del Signore.
Se siamo convinti di questo, allora sarà
nostra preoccupazione fare tutto con Lui, cioè motivati da Lui.
3° punto: “IN LUI ERA LA VITA” (v. 4/a):
È annunciato a creature che hanno smarrito la
strada: “La vita era in Lui”! Cioè la vita dell’uomo è nella Parola di
Dio: in Lui, nel Verbo di Dio; e non in altri o in altro! “L’uomo vive di
ogni parola che esce dalla bocca di Dio": cioè tu vivi se unisci a Dio la parola che giunge a te. La
parola che giunge a te deve richiamarti la Persona, il Verbo; deve riportarti
alla sua Presenza, deve farti pensare a Dio. La parola che giunge a te, devi
prenderla dalla bocca di Dio, cioè devi unirla al Pensiero di Dio perché “in
Lui è la vita”; altrimenti resta parola vuota e non ti dà vita.
Il collegare le parole che giungono a noi con
Dio, con il Pensiero di Dio, richiede attenzione interiore, ed è un atto
personale, intimo e segreto, che nessuno può fare al posto nostro.
Ci viene detto “era” (“la vita era
in Lui”), per richiamarci, per dirci che bisognava cercare la vita in Lui,
unificando ogni parola con il Pensiero di Dio. Dice “era” perché lo dice
a creature che non hanno più cercato la vita nella parola di Dio, perché non
hanno più collegato la “parola” con il Pensiero di Dio, non hanno più ascoltato
la “parola” dalla bocca di Dio. Cioè viene detto questo “era” a creature
che hanno smarrito la strada che porta
alla Vita, per cui esperimentano la non vita, esperimentano il vuoto,
l’angoscia e la morte. Questo annuncio ci invita a cercare la vita dove essa è,
cioè nella Parola di Dio, nel Verbo. Tale annuncio è un invito a convincerci che la vita sta nel
prendere ogni “parola” dalla bocca di Dio, cioè nell’unire ogni parola che
giunge a noi al Pensiero di Dio, appunto perché “in Lui è la vita”: è,
perché se ci viene indicato che “era” lì, lo è ancora.
4° punto: “LA VITA ERA LA LUCE DEGLI UOMINI” (v. 4/b):
È un approfondimento, una precisazione di
quanto detto prima: la vita sta nella luce. Cioè ci conferma come va inteso il
punto precedente, per evitarci di fraintenderlo: la vita sta nel raccogliere,
nell’unire ogni cosa a Dio per giungere alla Luce, cioè per conoscere Dio.
Infatti unendo le parole che arrivano a noi con il Pensiero di Dio (prendendole
cioè dalla bocca di Dio), si giunge alla Luce, cioè conosciamo qualcosa di Dio.
La luce scatta nell’avvicinamento dei due poli: il segno e Dio.
Quindi in questo 4° punto ci viene precisato
che è da questa luce, da questa conoscenza di Dio, che ci viene la vita. Cioè
bisogna collegare le parole con Dio, però con il desiderio di capirle da Dio,
per conoscere Dio.
Quindi la “parola” per essere capita va presa
dalla bocca di Dio, cioè va unita al Pensiero di Dio, raccolta in Dio, però
dobbiamo tener presente che questo collegamento della Parola con Dio non
avviene senza di noi. Se la manteniamo disunita, se noi non ci impegniamo a
riportarla a Dio, rimaniamo nelle tenebre, non scatta la Luce. Per cui, per
essere costanti in questo impegno di raccogliere le cose in Dio, dobbiamo avere
molto presente che la vita sta nella luce, cioè nel conoscere Dio.
Dobbiamo tenerlo molto presente, perché
siccome nella prima parte del versetto ci viene detto che la vita è nel Verbo, noi corriamo il
rischio di fermarci lì, cioè di
interpretare le parole con il
sentimento; possiamo cioè fraintendere. Ad esempio: sentendo dire che “la vita
sta nel Verbo”, quindi nella Parola di Dio, possiamo dire: “Bene, io ricordo
tanto le parole di Dio e sono a posto”; ma se io mi preoccupo solo di
ricordarle o se ripeto soltanto le parole, come un disco, e anche se leggo
sempre soltanto le parole di Dio senza
cercare di approfondirle, senza cercare di arrivare a conoscere Dio, senza
cercare un rapporto personale con Dio,
lì non trovo la vita. Allora, per precisarci che la Vita sta nella
conoscenza di Dio, ci vien detto: “la vita è nella Luce”,
cioè “la vita era la Luce”.
Dice “era” perché parla a delle
creature che stanno camminando su altre strade; infatti attualmente noi
cerchiamo la vita nel denaro, nel mondo, nella figura, nel benessere. A queste
creature che camminano su strade sbagliate, viene detto: “Ma la strada era
quella!”. Cioè la vita degli uomini era la Luce! All’inizio le cose sono state
fatte in quest’ordine qui: la vita era nella luce, quindi se tu vuoi trovare la
vita, devi recuperare quello che ha fatto Dio nel principio, cioè devi
recuperare la tua vita nella conoscenza di Dio e non farla consistere in altro.
Naturalmente dicendo “la vita era nella
luce”, ci viene segnalato ciò che è: quindi
quell’“era” è un è, perché è come quell’“era” che si dice a colui
che sta camminando su una strada sbagliata. Dicendogli: “la strada
giusta era quella”, gli stiamo dicendo che
è ancora quella la strada giusta. “Era”, perché dovevi infilare
quella!
Quindi questo annuncio “la vita è la Luce”
è un principio da recuperare per la creatura che cerca la vita altrove e non
più nella luce, nel capire, nel conoscere Dio. Quindi è un invito a
lasciare tutto, perché dicendo che il principio della tua vita sta in quello,
ti invita a non cercare più la vita in
altro e quindi a lasciare tutto quest’altro come ricerca di vita, e a far
consistere la tua vita soltanto lì. Infatti affermando che il principio della
vita sta lì, ti esclude che la vita stia altrove.
Eligio: La vita e la luce stanno nel Padre. Però abbiamo Gesù
che dice: “Io sono la Vita” e “Io sono la Luce” Gesù allora…?
Luigi: Sì, ma Gesù dice: "Io sono la Via, la Vita,
la Verità" (Gv 14,6) e “Io
sono la Luce del mondo”, in quanto seguendo Lui, Lui ci conduce alla Vita,
alla Luce, cioè al Padre.
Eligio: Allora Gesù lo
dice impropriamente?
Luigi: No, quello che Gesù dice lo dice per noi, e tutto ciò
che il Vangelo ci dice è per noi. Per cui se nel Prologo è detto (e l’abbiamo
visto nel punto precedente) che “In Lui era la Vita” (cioè nel Verbo e
non direttamente, per noi, nel Padre), è detto per noi, affinché sappiamo che è
in Lui (il Verbo) che sta la nostra vita, perché è Lui che ci porta al Padre,
Sorgente della Vita.
Comunque il 4° punto fermo (“e la vita era
la Luce"), è un approfondimento del 3° punto fermo, cioè del concetto “In
Lui era la Vita": perché noi potremmo intendere il Verbo come
"parola", "volontà" e potremmo ritenere quindi, come dicevo
prima, che la vita stia ad esempio nel ricordare le parole, oppure nel metterle
in pratica come regole, oppure nell’intendere materialmente certe parole e
credere di trovare così la vita (ad esempio: “Se il tuo braccio ti è di
scandalo, taglialo”: ma se lo
taglio, non trovo la vita!). Ecco allora che è necessario l'approfondimento: sì
la vita è nel Verbo di Dio, ma la Vita è la Luce, cioè la conoscenza di Dio
attraverso il Verbo e nel Verbo di Dio. Il Verbo di Dio va assunto come via
alla Luce, alla conoscenza; quindi la meta deve essere la conoscenza del
Padre. Per cui in noi ci deve essere il proposito di ascoltare la “parola di
Dio" per arrivare alla conoscenza di Dio, non per ricordare la parola;
la parola é un mezzo, una via che ci conduce a conoscere. Noi invece possiamo fermarci soltanto a ricordare o a
praticare la parola.
Eligio: Per “parola” solitamente intendiamo il fatto vocale, il
vocabolo; ma nel Prologo la “Parola” è Persona.
Luigi: Certo, è Persona.
Eligio: Così pure quando qui diciamo “Verbo”, non è il “verbo”
come lo intendiamo noi grammaticalmente, ma è Persona.
Luigi: Certamente! Infatti nel 3° punto fermo ci è detto: “In
Lui era la Vita”: ecco, in Lui, cioè “Persona”. Per cui tutte le “parole”
(vocaboli) debbono essere riferite alla Persona che parla, cioè debbono uscire
dalla Sua bocca, debbono richiamarci la Persona. Quindi non basta ricordarle,
memorizzarle, praticarle, perché la vita dell’uomo è nella “parola” che esce
dalla bocca di Dio.
Però, dicevo, il 4° punto approfondisce il
3°, e lo precisa, perché ci fa capire che per trovare la vita in questa Persona
(“in Lui…”), bisogna tendere alla Luce, giungere alla Luce, alla
conoscenza (“la vita è la luce…”).
In termini estremi si tratta di arrivare alla conoscenza del Verbo, del Verbo
di Dio, quindi del Figlio di Dio. Ma questa conoscenza richiede a noi la
conoscenza del Padre, perché la conoscenza del Verbo viene soltanto dal Padre,
per cui solo conoscendo il Padre potremo conoscere il Verbo.
Noi invece possiamo farci l’illusione di
conoscere il Verbo tra noi, il Cristo, come tanti allora credevano di
conoscerlo. Ma a questi poi all’ultimo Gesù disse: “Finora non mi avete
conosciuto” (Gv 14,9). Infatti quando disse: “Io e il Padre siamo una
cosa sola”(Gv 10,30), gli dissero: “Ma dov’è tuo Padre?”. Non Lo
conoscevano, ma credevano di conoscerlo. Per cui nel pensiero del nostro io c’è
molta confusione.
Quindi è solo il Padre che ci farà conoscere
il Figlio, per cui bisogna prima conoscere il Padre. Ma chi ce Lo farà
conoscere? Ecco, giungeremo a conoscere il Padre attraverso le “parole” del
Verbo, della “Parola che giunge a noi”: parole che vanno approfondite,
capite, perché “la vita sta nella luce”.
La parola che giunge a noi ci parla solo del Padre, ma nel pensiero del
nostro io può essere presa soltanto superficialmente, travisata, trascurata o
semplicemente ricordata così... E allora ecco perché ci viene precisato, e questo
deve diventare in noi una ferma convinzione, che la Vita sta nella luce, nella
conoscenza di Dio.
Però chi ci conduce alla conoscenza di Dio,
che è vita, è il Verbo (“in Lui è la Vita”). Allora noi dobbiamo
ascoltare il Verbo con il fine di conoscere Dio (“la vita è la Luce”).
Il fine deve essere ben chiaro, deve essere il
nostro proposito, poiché noi siamo guidati dal fine, per cui se noi leggiamo il Vangelo o ascoltiamo
qualcosa, dobbiamo avere ben chiaro in noi ciò che vogliamo; perché se non
vogliamo arrivare a conoscere Dio, anche se leggiamo il Vangelo, lo leggiamo
comunque per altri scopi. Infatti ciascuno di noi utilizza i mezzi (tutto è
mezzo) per un suo scopo. E avendo sempre
in tutto ciò che facciamo uno scopo, utilizziamo tutte le cose che
arrivano a noi sotto quel punto di vista lì.
Eligio: Quindi Cristo è un mezzo e Lui stesso dice: “Io sono
la Via”, ma noi corriamo il rischio di fermarci al mezzo; però siccome Egli
dice anche: “Io sono la Vita”, quale collegamento c’è tra la “Vita” che
Lui dice di essere, e la “Vita” che è nel Padre?
Luigi: Ma, come ti ho detto prima, c’è questo fatto: che se noi
restiamo con Lui, Lui ci conduce al Padre che è la Vita, perché Egli in tutto e
sempre ci parla del Padre e ad un certo momento, dice: "È necessario
che Io me ne vada" e ci affida al Padre stesso. Quindi Egli dice: “Io
sono la Vita”, ma poi ad un certo momento dice: “Io me ne vado…”. Ma dicendo questo, non ci toglie la vita,
anzi Lui se ne va per aumentare in noi la Vita. Infatti dice: “Io me ne vado affinché abbiate in voi
sovrabbondanza di vita”. Ecco, Lui se ne va per darci più vita, non per
toglierci la vita.
Quindi Lui dice: “Io sono la Vita” , ma
nello stesso tempo dice: “Io me ne vado”. Ma se noi seguiamo Lui, Lui ci
conduce, attraverso il suo parlare, ad un’ascesa verso il Padre; ci costringe,
se noi restiamo con Lui.
Noi però possiamo fare l’errore di imitare Lui
soltanto in una certa fase o di seguirlo solo per un certo tratto di strada e
di non seguirlo più quando Lui parla di
argomenti che a noi sono ostici, o sono troppo difficili, o troppo impegnativi.
Ma in quanto Lui ci dice: “Io sono la Via, sono la Vita…”, ci impegna, se Lo ascoltiamo, a restare sempre
con Lui, quindi ad accogliere da Lui anche quelle cose che sono o ci sembrano
molto difficili, che ci obbligano cioè a fare dei salti mortali. Invece, nel
pensiero del nostro io, noi possiamo anche dire: “Certe cose le ho capite,
adesso mi fermo qui; certi sacrifici li ho fatti, ecc.”, e allora non Lo
seguiamo più e ci stacchiamo da Lui.
Oppure noi possiamo fare anche l’errore di
separare la Parola, il Verbo di Dio da Dio; possiamo separare il Figlio dal
Padre, cioè la parola dalla Persona e allora la
rivestiamo delle nostre intenzioni e dei nostri fini, cioè del pensiero
del nostro io. E allora in questo caso non cerchiamo più la conoscenza, perché
la conoscenza ormai l’abbiamo già, crediamo già di conoscere. A questo punto
qui noi siamo già luce, o meglio, crediamo di esserlo, perché: “ormai ho
capito, a me basta questo, non chiedo altro”. Dicendo questo, noi ci stacchiamo
dalla Vita e ci affermiamo già come luce e allora qui abbiamo l’opposizione:
luce che si contrappone alla Sua Luce, luce che rifiuta la Sua Luce; non
vogliamo andare oltre, e qui, cioè sul
livello al quale crediamo di essere arrivati (e non ci accorgiamo che invece
stiamo precipitando velocemente), cerchiamo di realizzare una nostra vita.
Non dobbiamo accontentarci di ciò che abbiamo
capito, mai crederci “luce”; anzi, dobbiamo sempre partire dal nostro niente.
Il Signore ci dice: “Quand’anche aveste fatto tutto ciò che dovevate fare,
dite sempre: «siamo servi inutili»” (Lc 17,10). La condizione essenziale
è sempre quella di partire da zero, cioè di mantenerci sempre in ascolto di Lui.
Mai dire: “Adesso ormai ho acquisito, ormai posso realizzare una mia vita”. NO!
la Vita è Lui che te la fa, è Lui che te la realizza. Resta sempre in
ascolto di Lui, perché Lui ti ha da portare a delle mete che non immagini
nemmeno; perché la grandezza, la bellezza della vita con Dio è questa: che è
sorprendente!
Dio ci sorprende sempre. Ora il giorno in cui noi diciamo: “'Adesso
basta, ho capito”, lì rifiutiamo ad
essere sorpresi. La fede di per sé è questa apertura al sorprendente
perché presso Dio nulla è impossibile. La fede allora è l'adesione a questa
sorpresa che domani ci può giungere da Dio, se noi siamo con Dio. Se invece non
siamo con Dio, rifiutiamo la sorpresa, perché diciamo: "Questo l’ho già
visto" e non ci impegniamo più. Non impegnandoci, c'è una chiusura verso
la novità di Dio. Ma noi chiudendoci alla novità di Dio, ci separiamo dalla
vita, perché la vita è Lui. Quindi anche se noi fossimo arrivati a capire
tutto di Dio, se ci separiamo da Lui, ci
separiamo dalla vita, precipitiamo di nuovo nel nulla, perché la vita è Lui.
Eligio: Nel Prologo ci vien detto: “In Lui era la vita”,
ma naturalmente non è lo stesso Lui che storicamente ha parlato, ma è il Lui
mistico, è Lui nel Padre… vero?
Luigi: Lui è il Verbo di Dio. Però storicamente il Verbo di Dio
si è fatto carne; quindi è lo stesso “Lui”, perché in Cristo c’è una sola
Persona, il Verbo (mentre invece le nature sono due: umana e divina). Quindi,
direi, la diminuzione avviene soltanto in noi, perché noi Lo vediamo come corpo, come carne. Ma se restiamo con Lui ad un certo punto Lui ci
dice: “La carne non giova a niente…(quindi non fermarti alla carne), le mie
parole sono spirito e vita” (Gv 6,63). Quindi, vedi, è Lui stesso che
ci chiede di trascendere il suo corpo per cogliere lo Spirito. Noi invece
possiamo confonderci, perché Lui assumendo una carne, un corpo, uno spazio e un
tempo nel nostro mondo, Lui che è eterno, crea un'antitesi con Dio stesso,
perché si limita.
Nino: È per questo che ad un certo punto Lui dice: "Adesso me ne vado".
Luigi: Certo, quando dice: “Adesso me ne vado” è perché
se ne va proprio da quella dimensione che Lo limita.
Nino: Per lasciare solo più lo Spirito.
Luigi: Certo, per lasciare solo più lo Spirito, “affinché la
vita venga in voi, perché altrimenti se Io non me ne vado, lo Spirito, che è
vita, non può venire in voi”.
Nino: Lui se ne va via come carne e se ne resta in noi con il
Padre e con lo Spirito.
Luigi: Certamente. Ma prima di andarsene ha formato in noi, se
L’abbiamo ascoltato, la capacità di restare col Padre, e di ritrovarlo nel
Padre. Tutto il parlare e l’operare del Cristo tende a formare in noi questa
capacità di conoscere il Padre, la capacità di ricevere lo Spirito, e quindi di
diventare figli di Dio, di ricevere cioè la pienezza della vita.
La condizione essenziale per non scostarci dal
cammino che ci porta a questa meta, è quella di non staccarci dall’ascolto del
Verbo, perché in Lui è la vita, Lui stesso è la Parola di Dio che dà vita
(Sant’Agostino dice: “Se già tanta vita ricevo nel cercarTi, che cosa sarà
quando Ti avrò trovato?”) e che ci porta alla Vita, cioè alla Luce, perché ci
fa conoscere il Padre. Infatti conoscere Dio è vivere.
Pinuccia B.: Quindi
la parte che dipende da noi è l’ascolto.
Luigi: Ma è una parte che non puoi fare se non per opera di
Dio, cioè se non pensi a Dio. Pensare a Dio è la vera attività dell’uomo, non è
il lavoro la vera attività. O meglio, è questo il vero lavoro. La vera
attività dell’uomo è quella di pensare Dio: è il più grande dono che l’uomo
abbia potuto ricevere da Dio, è il più grande tesoro; tutto il resto è niente.
Il più grande dono è soltanto la
possibilità di fermarsi a pensare Dio. Questo è il vero tesoro che Dio ha dato
all’uomo. L’uomo ha la possibilità di pensare Dio!
Nota che ha la possibilità di pensare Dio in
qualunque situazione si trovi, anche nel delitto più grave. È questo il vero
dono. Anche se fosse l’uomo più carico di mali del mondo, o nell’abisso più
nero, Dio gli dà sempre la possibilità di pensarlo. E perché gli dà sempre
questa possibilità di pensarlo? Perché Dio è presente all’uomo anche senza
l’uomo. La grandezza del dono sta lì: Dio è presente all’uomo anche senza
l’uomo. Ora questa grazia, questo dono della presenza di Dio anche senza
l’uomo (il che vuol dire anche quando l’uomo è contrario, nemico), ci rivela
l’Onnipotenza di Dio e ci rivela anche la caratteristica con cui Dio si
distingue dalla creatura: perché Dio è presente all’uomo anche senza l’uomo;
l’uomo invece non può essere presente a Dio senza Dio.
Allora se Dio è presente all’uomo anche senza
l’uomo, l’uomo in qualunque situazione si trovi, ha la possibilità di pensare
Dio, perché Dio gli è presente. E se l’uomo ha la possibilità di pensare
Dio, ha la possibilità, pensando Dio, di recuperare tutta la vita. Se si
ferma a pensarlo!
Ecco perché Gesù dice: “Una cosa sola è
necessaria: cercate prima di tutto il Regno di Dio”! perché chi recupera tutto è Lui, perché Dio è
la vita! Quindi non importa se fai della
miseria nera, non importano i tuoi peccati, ecc.: pensa a Lui e Lui
ti recupera tutto. Ma se tu anche fossi con Dio e trascurassi Dio, anche se
tu fossi sulla vetta della santità e perfezione, ma trascurassi Dio, tu
precipiteresti nella morte, perché Lui è la vita.
Ora, dicendo “vita” non si dice un atto: Lui
è una continuità, perché Lui è eternità e quindi è un’attualità, è una vita attuale che richiede quindi sempre e
continuamente questa attualità di pensiero.
Allora, l’elemento che caratterizza l’uomo, ed
è il più grande dono, il più grande tesoro, è la possibilità di pensare a Dio.
Ecco perché i più grandi santi scappavano da tutte le cose per poter restare
con Dio, per poter pensare a Dio! Perché avevano trovato un tesoro enorme,
immenso di vita! San Paolo dice: “Chi pensa a Dio, forma una sola cosa
con Dio”(1 Cor 6,17). Ed è in quel momento, cioè quando Lo
pensiamo, che noi prendiamo coscienza di essere quello che noi siamo e di
quello che Dio è: Dio è l’Essere di quello che noi siamo, la sostanza di
ciò che noi siamo. È Lui la pienezza di vita!
Pinuccia B.: Quindi
il quarto punto non è che un approfondimento del terzo: “In Lui è la vita”,
ma “La vita sta nella Luce”, nella conoscenza, per cui avevamo concluso
che la vita consiste nel raccogliere tutto in Dio, perché solo
raccogliendo scatta la luce.
Luigi: Certo. È importante averlo come convinzione, altrimenti…
5° punto: “LA LUCE SPLENDE TRA LE TENEBRE, MA LE TENEBRE NON LA
COMPRESERO” (v.5): Se noi pensiamo a Lui, le nostre tenebre accolgono la luce;
se non pensiamo a Lui la rifiutano. La Luce c’è: Dio è il Creatore di
tutto e parla in tutto. Essa splende: nessuno la può ignorare! Ma per
accoglierla, per comprenderla è importante prendere coscienza, convincerci
che siamo tenebre bisognose di luce e di vita; in caso diverso, credendoci
noi luce, rifiutiamo la Luce ed esperimentiamo la morte. Di per sé, lo avevamo
distinto bene, le tenebre non sono opposizione alla Luce, ma sono bisogno di
Luce, fame di Dio. Per cui le tenebre sono ancora opera di Dio; le tenebre è la
creatura fatta per-, cioè la negatività fatta per la positività: è il vaso
fatto per il ricevere. Quindi Dio non ha fatto l’opposizione, ma Dio ha creato
l’orecchio che ascolta, ha creato l’anima che è desiderio; quindi l’anima di
per sé è tenebra, ma è desiderio della Luce, desiderio di Verità, quindi fatta per-. La Luce splende, perché il
Verbo parla. Se il Verbo non parlasse, niente…! non ci sarebbe la luce e le
tenebre rimarrebbero tenebre. Infatti prima che Dio, nella creazione, dicesse: “Sia
fatta la luce”, c’erano le “tenebre che coprivano il volto dell’abisso”
(Gen 1,2); era tutta la creazione in attesa della Parola. Dio parlò: “Sia
fatta la luce e la luce fu” (Gen 1,3); ma è la Parola di Dio, è Dio che
parla che forma la Luce, per cui se Dio non parla, c’è la notte, ci sono le
tenebre, ed è tutta la creazione: creazione che è preparata per ricevere la
Parola, che è in attesa di questo seme, che è cioè il terreno preparato per
ricevere il seme. Ma bisogna che il seme scenda; quando il seme scende, allora
la luce si fa sulla creatura. Ma la creatura cosciente può rifiutare
(ecco “le tenebre non la compresero”), perché si ferma al pensiero
dell’io. Per cui abbiamo il 6° punto: l’inizio dell’opera che Dio fa per
recuperare l’uomo.
6 punto: IL MONDO ESTERNO NON È LA LUCE: È LA TESTIMONIANZA DI
GIOVANNI (vv. 6-7-8) che sintetizza la voce delle tenebre, le quali, dicendoci
con il loro morire di non essere loro la luce e la vita, ci invitano a cercare
la luce e la vita altrove, a fare cioè la giustizia essenziale, passando dal
mondo esterno al mondo interno. È l’inizio dell’opera di recupero da parte di
Dio che attraverso tutte le lezioni della vita, sintetizzate dalla predicazione
di Giovanni Battista, tende a salvare l’uomo.
Giovanni Battista infatti ci ammonisce a non
cercare la vita nelle cose esteriori e ci invita a fare questo passaggio
dall’esterno all’interno, a compiere cioè la giustizia prima, che è mettere Dio
al centro della nostra vita.
Siccome Dio non appartiene alle cose esterne,
tutte le cose esterne con Giovanni Battista dicono a noi: “Noi non siamo la
Luce, noi non siamo la Vita, noi non siamo la Verità, quindi cerca queste cose
altrove”. Allora, se tutte le cose esterne dicono a noi: “Cerca altrove!”, dove possiamo cercare?
Nell’interno.
Quindi fintanto che noi siamo proiettati
nell’esterno, troveremo sempre le creature che ci dicono in un modo o
nell’altro, o perché ci deludono, o perché mutano, o perché muoiono: “Noi non siamo il tuo Dio, noi non siamo la
tua vita, noi non siamo la tua pace; quindi non cercare la pace, la sicurezza,
la Verità, la giustizia, nelle cose esterne, perché non le avrai mai; non
cercarle in noi, perché noi non siamo Dio”. Infatti se noi cerchiamo Dio
analizzando la materia, la materia continuamente ci dirà: “Io non sono Dio,
cerca altrove!”. Ma dove altrove?
Ecco perché ad un certo momento dobbiamo
lanciarci nel pensiero, cioè nell’interno, nello Spirito, perché “Dio è Spirito – dice Gesù – e
vuole adoratori in Spirito e Verità” (Gv 4,24). Quindi buttati nello
Spirito! Fuori non trovi lo Spirito, allora rientra in te, lo Spirito è in te.
Quindi se noi abbiamo accettato il battesimo
di Giovanni Battista, cioè se abbiamo accolto questo messaggio, questo invito
alla giustizia che c’è in tutta la creazione (la voce di Giovanni Battista
sintetizza tutto l’Antico Testamento, quindi anche la creazione), allora
abbiamo fatto questo passaggio dalle cose esterne all’interno.
Se invece noi non ci siamo ancora orientati a
cercare la nostra vita, la nostra pace, la nostra sicurezza nell’interno, nello
Spirito, è segno che noi non abbiamo ancora accettato il battesimo di Giovanni
Battista, il battesimo della vera giustizia, la giustizia fondamentale. Noi siamo ancora “ante”,
cioè prima.
Eligio: Dice molto il concetto della ricerca interiore, dal
momento che tutte le cose esterne ci dicono: “No, non siamo noi Dio”. Se non Lo
troviamo esteriormente, Lo troveremo solo interiormente.
Luigi: Ecco, quello è il concetto fondamentale, perché tutte le
cose esterne ci invitano a passare alla ricerca interiore. Quindi fintanto che
noi non facciamo questo passaggio, non abbiamo accolto il battesimo della
giustizia, perché la ricerca interiore di Dio, questo mettere Dio prima di
tutto, è la vera giustizia fondamentale.
Giovanni M.: Il battesimo di per sé non significa ricevere un nome?
Luigi: Sì, però il nome che si riceve non è solo il nome come
lo intendiamo noi: il vero nome nostro è
l’oggetto del nostro desiderio, è ciò che noi amiamo prima di tutto. Quindi
quando uno è battezzato riceve il desiderio di una cosa, si orienta verso-,
riceve un amore. Quindi battezzare uno è orientarlo verso-.
Il battesimo di Giovanni Battista è per la
creatura che è ancora proiettata fuori. Infatti noi inizialmente cerchiamo la
vita, la giustizia, la verità, fuori, cioè nel mondo, nelle strutture, nella
politica, nella società ecc.. Qui arriva Giovanni Battista che ci dice: “Non
cercare fuori, sbagli strada (ecco il battesimo: l’orientamento a-!), perché la
giustizia non è lì , la vita non è lì, la verità non è lì, la pace non è lì, la
sicurezza non è lì”.
Allora se noi accettiamo questo battesimo,
passiamo dalla ricerca della verità, della vita fuori, alla ricerca dentro,
nello Spirito, perché Dio è Spirito.
Giovanni M.: Quando invece siamo su un’altra strada, siamo battezzati
male.
Luigi: Ah, certo! Abbiamo il battesimo del mondo, siamo figli
del mondo.
Ora, siamo convinti della necessità di questo
passaggio all’interno, cioè alla vera giustizia che mette Dio prima di tutto? È
il primo passo sul cammino dello spirito che ci porta a scoprire la Luce vera
che portiamo in noi (e che è il 7° punto).
7° punto: “LUCE VERA È QUELLA CHE ILLUMINA OGNI UOMO” (v. 9):
È l’annuncio di una verità che si scopre
passando dal mondo esterno a quello interno. L’annuncio è: “Dio è in te, la
Luce vera è in te: cercala, scoprila!”. Siccome s. Giovanni Battista dice: “Io non sono la luce”,
ecco allora che l’evangelista ci precisa: “Luce vera è quella che illumina
ogni uomo”, cioè è quella che ogni
uomo porta dentro di sé: il Maestro interiore. Tale annuncio si contrappone a
quello delle creature che dicono: “Noi non siamo Dio”, perché dice: “Dio è questo:
Dio è Spirito, ed è in te, ed è la luce vera”.
In contrapposizione a Giovanni Battista che
dice: "io non sono la luce", ci viene detto: “La Luce vera è
quella che illumina ogni uomo”, ed è la risposta alla ricerca interiore
alla quale tutto il mondo esterno ci invita dicendoci: “Cerca la Luce dentro di
te: è in te!”.
Quindi ogni uomo ha in sé questa Luce, ha
questo Maestro dentro di sé. Certo, non Lo conosciamo ancora, ma per intanto ci
viene annunciato che Dio è in noi, è con noi, parla a noi. La stessa
passione di assoluto che tutti subiamo è una conseguenza (ed è quindi una
testimonianza) di questa presenza di Dio in noi. È questa Sua Presenza non
conosciuta che ci pone molti interrogativi e molti problemi. La scoperta di
questa Luce in noi è frutto della giustizia essenziale.
L’annuncio di questa Presenza è già un seme,
quel famoso seme che poi ad un certo momento, quando il Cristo se ne andrà
dall’esterno (dopo essere stati condotti da Lui stesso a scoprire l’oggettività
di questa Sua presenza in noi),
acquisterà un valore immenso, perché è dentro di te. Quindi la luce vera
è dentro di te, scoprila, trovala! Ma già prima ancora di incontrare il Cristo,
questo “seme”, cioè questo annuncio, ci mette in movimento e, come vedremo nel
passo successivo, crea in noi le condizioni per incontrare il Cristo stesso.
Comunque, questa scoperta e quindi la
convinzione, di questa presenza di Dio in noi ci porta ad un
passaggio molto importante che vediamo adesso nell’8° punto.
8° punto: “COLORO CHE ACCOLGONO QUESTA LUCE RICEVONO IL POTERE, LA
POTENZA (LA POSSIBILITA’) DI DIVENTARE FIGLI DI Dio” (VV. 10-11-12-13). È un
punto che dobbiamo tenere molto presente. La Luce c’è (“Luce vera è quella…”)
ed è annunciata: ma bisogna accoglierla. A coloro che La accolgono è data la
possibilità (la potenza) di diventare figli di Dio.
Eligio: Coloro che La accolgono vuol dire coloro che La
ascoltano?
Luigi: Sì, accogliere, spiritualmente, vuol dire ascoltare,
mettere in alto, fare attenzione a questa Luce, cioè al Verbo interiore.
Eligio: Se qui si parla di accogliere il Verbo interiore, com’è
che Lo possiamo accogliere se c’è già in noi?!
Luigi: Certo che c’è! Ma sono io che non ci sono! Lui c’è anche
senza di noi, ma siamo noi che non ci siamo! Ecco accoglierlo vuol dire rivolgere la nostra attenzione a
Lui, perché noi possiamo non esserci. Dio c’è sempre: è dentro di noi, ma possiamo non accoglierlo: “Egli era nel
mondo e il mondo era stato fatto per mezzo di Lui e il mondo non Lo conobbe.
Venne nella sua casa e i suoi non L'accolsero”(vv. 10-11). Quand’è che noi
non Lo accogliamo? (Vedi quindi che siamo noi difettosi, non è mica Lui!). Noi non
Lo accogliamo quando non facciamo attenzione a Lui. Il Maestro interiore
parla, ma come mai non Lo ascoltiamo?
Quindi la Luce è dentro di noi. E qual è
questa luce? È il Verbo che parla in noi, è Dio che parla in noi. Se Dio parla,
presuppone da parte nostra l'ascolto, il silenzio. Se parliamo noi, non
ascoltiamo Lui e quindi non Lo accogliamo. Allora qui ci viene detto che “Coloro
che Lo accolgono…” : Lo accolgono, perché Lui c’è; infatti quando dice: “Verremo
a lui” (Gv 14,23), non è che il Padre e il Figlio si spostino! E aggiunge:
“…e faremo abitazione in lui”: ma vi abitano già! Ci sono già! È una
scoperta che fa fare a noi di quello che Egli già è in noi: non è che Lui si
sposti da un luogo all’altro!
Quindi coloro che accolgono questa Luce vera
che illumina ogni uomo, ricevono la possibilità, la potenza di diventare figli
di Dio.
Allora in che consiste questa possibilità?
Facciamo un esempio: qual è la
possibilità per mangiare un pane?
È la fame. Ecco, coloro che ascoltano la Luce
vera che splende in loro, acquistano il desiderio di Dio, vengono attratti da
Dio, sentono la fame di Dio; questa attrazione, questa fame li condurrà poi a
riconoscere il Verbo fatto carne che li condurrà ad essere figli di Dio.
Quindi questa potenza, questa possibilità
di diventare figli di Dio è la fame di Dio! E la fame nasce in coloro che
ascoltano questa Luce interiore segnalata dal Battista. Infatti Gesù (qui è molto chiaro)dice: “Coloro
che hanno ascoltato il Padre vengono a Me. Nessuno può venire a Me se non è
attratto dal Padre” (Gv 6,45-44). Ecco allora che l’incontro con Cristo
presuppone quest’ascolto, questo accoglimento della luce vera che parla dentro
di noi e quindi questa giustizia.
Dobbiamo essere ben convinti della necessità di accogliere, di ascoltare questa
Luce interiore per non arenarci nel cammino verso la Vita.
Eligio: Volevo chiedere: chi non avesse la minima nozione di
Dio, come può intendere il linguaggio del Battista e delle cose esterne che ci
dicono: “Noi non siamo Dio”?
Luigi: Lo può intendere perché lui porta Dio in sé e quindi Lo
può pensare. Noi non potremmo pensare a Dio, se Dio non abitasse già dentro di
noi. Dio é già in noi (l’abbiamo visto nel punto precedente), ed essendo in
noi, dà a noi la possibilità di intendere, ad esempio, che Lui esiste, di
intendere che Lui non si confonde con le creature esterne e che quindi è
Spirito, e che quindi è in noi che Lo dobbiamo cercare. Ma tutto questo
presuppone sempre la sua Presenza: se Lui non fosse presente in noi, noi, tutto
questo non potremmo minimamente pensarlo, e se anche ne sentissimo parlare, non
ne capiremmo niente, saremmo come scemi, come stranieri di fronte ad una lingua
straniera sconosciuta, non capiremmo né il linguaggio delle creature, né quello
di Cristo. Se capiamo, è perché Lui c’è e ci illumina: ecco la Luce vera che
portiamo in noi! Per cui se la parola “Dio” mi dice qualcosa, è perché il Verbo
me la dice dentro, perché Lo porto in me.
Quindi distinguiamo sempre quello che è segno.
Le creature che con il loro mutare e morire ci dicono: “Noi non siamo Dio”,
quello è segno! Però noi capiamo quello che in realtà noi cerchiamo, quello che
abbiamo nell’animo, quello che cerchiamo nelle creature. Noi cerchiamo nelle
creature l’Assoluto, e lo sappiamo! Ma le creature ci dicono: “Noi non siamo
l'assoluto” e ci deludono. Ci deludono perché ci stanno dicendo che non sono
assolute. Ma questo allora vuol dire che il concetto di assoluto ce
l’abbiamo in noi. E chi c’è l’ha dato? È la presenza stessa di Dio,
dell’Assoluto in noi. Dio è presente in noi.
La sua Presenza in noi forma già in noi il
desiderio di Lui e ci fa subire la passione dell’Assoluto. Quindi non è che noi
siamo dinanzi al vuoto, anzi! “Tu non mi cercheresti se non mi avessi già
trovato”, disse il Signore a s. Agostino. E anche Pascal dice la stessa cosa.
Quindi, vedi, c’è sempre la Presenza che ci
precede e che ci fa desiderare. Più noi L'ascoltiamo e più in noi si forma
la tanta fame di-, il tanto bisogno di-. È poi questa tanta fame, questo
tanto bisogno che forma in noi il sogno della vita con Dio, sogno che diventa
irrealizzabile, perché siamo dispersi da tutta la realtà esterna che ci complica
le cose e ci impedisce di dedicarci soltanto a quello, e che quindi, ad un
certo momento, ci fa invocare il Cristo e ci dà la possibilità di individuarlo
il giorno in cui Lui si presenterà a noi.
Ma ciò che ci
dà la possibilità di individuarlo tra tutti i miliardi di uomini che ci
sono e che parlano nel mondo, è la fame di Dio, il sogno di una vita secondo
Dio.
Se in noi non c’è questa fame di Dio, noi non
possiamo individuare il Cristo, anche se Lo incontrassimo tutti i giorni. Senza
la fame di Dio, Lo crocifiggeremmo, perché Lui parla un linguaggio che noi non
possiamo accogliere, che ci è sconosciuto. Per cui Lo mettiamo in Croce, Lo
facciamo morire, Lo escludiamo dal nostro mondo.
Allora, per poter individuare il Cristo tra
tutti i milioni di uomini che parlano è necessario:
·che in noi ci sia questa fame di vita, questa fame di
luce, questo sogno, che con le nostre forze è irrealizzabile perché c’è
il conflitto con il mondo esterno;
·perché si formi questa fame in noi bisogna che in noi ci
sia stato l’accoglimento, l’ascolto di Dio dentro di noi, di questa Luce vera
che è in noi e che illumina ogni uomo;
·ma perché ci sia l’accoglimento di questa luce bisogna
aver accolto il linguaggio di Giovanni
Battista, cioè il linguaggio di tutte le creature che ci dicono: "Non
cercare la vita, la luce fuori, cercala
dentro di te".
Pinuccia B.: Quindi
è un passaggio determinante quello di accogliere, ascoltare il Verbo interiore,
la Luce vera.
Luigi: E dobbiamo esserne ben convinti.
Pinuccia B.: Perché
è quello che ci dà la possibilità di incontrare e seguire il Cristo e di
diventare figli di Dio.
Luigi: Però bisogna precisare questa “possibilità, questa "potenza"
che consiste nel desiderio, nella fame di Dio. Questa “potenza” è intesa come
possibilità, perché non si è ancora figli di Dio. Ricevere la possibilità
non è ancora essere. Chi ci farà diventare figli di Dio è il Verbo fatto
carne. Qui invece, cioè quando si accoglie la Luce, si riceve la possibilità,
cioè si riceve la possibilità di riconoscere e di mangiare il Pane, il Cristo.
Ma non basta avere la fame; bisogna che il
pane arrivi. Quindi uno può aver fame e morire di fame se non trova il pane: il
pane è dono di Dio, è un esistente; ora tutto ciò che esiste è opera di Dio e non è opera nostra; uno può
avere la fame, ma morire di fame.
Però avere la fame è la condizione per
mangiare, per assimilare il pane, anzi, prima ancora, per vedere il pane;
perché altrimenti, se non abbiamo fame non vediamo nemmeno il pane. Se non c’è
in noi il desiderio, non lo vediamo.
Allora questa è la possibilità, la “potenza”
di incontrare il Cristo che ci farà diventare figli di Dio. È una possibilità
che ci viene data dalla fame di-; però è opera di Dio.
Nino: È difficile vedere fin dove arriva la nostra
disposizione di ascolto e dove è il dono di Dio.
Luigi: Anche la nostra disposizione è dono di Dio.
Nino: Ma quando la coltiviamo, quello è un’azione nostra.
Luigi: No, è dono di Dio! Anche il coltivarla è opera di Dio.
Quello che in noi è veramente nostro è soltanto l’arresto, il non coltivare più
l’ascolto di Dio, è la diminuzione, il
rifiuto: quello è veramente nostro.
Nino: Il rifiuto delle cose del mondo è nostro, perché abbiamo
capito che sono relative.
Luigi: No, no! Il rifiuto delle cose del mondo è grazia di Dio,
perché noi le rifiutiamo e cerchiamo Dio
solo in quanto siamo aperti alla giustizia e all’ascolto della Verità.
Perché le cose del mondo sono notte, sono tenebre, ma le tenebre ci rendono
testimonianza e dicono: “Noi non siamo la luce”. Se noi amiamo e cerchiamo
la Verità, e questo è grazia della Verità (perché se noi amiamo, siamo attratti
da-), allora ubbidiamo al linguaggio delle creature che dicono a noi: "Noi
non siamo il tuo Dio, cerca altrove". Se tu ubbidisci e cerchi
altrove, la grazia è della Verità. Se invece non ubbidisci, la colpa è tua: è
il rifiuto, la negazione.
Nino: Quindi non c’è mai niente di attivo da parte mia, tranne
il rifiuto…
Pinuccia B.: …che
è poi una negatività. Noi siamo solo capaci del negativo, non del positivo.
Giovanni M.: Cioè noi possiamo accettare o non accettare.
Luigi: Ma se noi accettiamo, è grazia di Dio: non possiamo
accettare se non per opera di Dio. Infatti noi non possiamo pensare Dio se non
per grazia di Dio e questo è logico. Noi non possiamo essere con Dio senza
Dio! È come se mi chiedessi se posso essere con Dio senza Dio. No, è
assurdo! Per accettare Dio, per essere con Dio devo essere con Dio; io però posso non essere con Dio per colpa mia.
È chiaro, no?
Eligio: Quando il Battista ci dice di raddrizzare le vie del
Signore, quindi di cercare la vita non più nelle cose esteriori, ma nel mondo interiore, senz’altro sarà grazia
di Dio il poterlo fare, ma indubbiamente l’ubbidire è un po’ anche nostra
iniziativa.
Luigi: Tutto, e quindi anche già la voce del Battista, è grazia
di Dio. Il poter ubbidire a Giovanni Battista che ci invita a non cercare Dio
nelle cose esteriori è grazia di Dio. L’iniziativa
non è mai nostra. È già opera Sua la voce di Giovanni Battista, ed è già grazia
di Dio perché è voce delle tenebre. Tutto è grazia di Dio, perché noi siamo
chiamati a diventare tutto opera di Dio, e quindi con esclusione di ogni altra
opera. Questo vuol dire diventare figli!
Eligio: Cos’è allora che dobbiamo fare?
Luigi: Non “fare niente!”
Nino: Non opporci.
Eligio: Ma qualcosa ci è pur richiesto!
Luigi: A noi sembra che sia molto facile e comodo questo “dover
fare niente”…, perché pensiamo sia una inattività. Invece è impegno a pensare
Dio, ad ascoltare, a fare attenzione al Verbo interiore che parla con ognuno di
noi in ogni cosa.
Eligio: Ah, certamente, questa è la più grande attività, la più
grande opera dell’uomo.
Luigi: Non è facile "fare niente", perché questo
“fare niente” non è sedersi in poltrona:
se così facessi, mi rifiuterei a tutto, perché
Dio ci sollecita e ci impegna continuamente a seguire Lui, ad ascoltare
Lui, a pensare a Lui: "Come mai tu non pensi a Me?”, Egli ci dice. Noi
quindi siamo impegnati a
"pensare" Lui!
Infatti tutti i passaggi che sembrano
iniziativa nostra, invece sono grazia sua, dipendono dal fatto che noi abbiamo
presente Lui.
·Quindi se noi abbiamo presente Lui, ubbidiamo al
battesimo di Giovanni Battista;
·se noi abbiamo presente Lui, scopriamo e accogliamo la
luce vera che illumina ogni uomo;
·se noi abbiamo presente Lui, ci formiamo
all’attrazione..., formiamo in noi il sogno, la fame, il bisogno;
·se noi abbiamo presente Lui, scopriamo il Cristo.
Tutto questo sempre se abbiamo presente
Lui, perché tutto passa attraverso Lui.
Pinuccia B.: Ma
questo impegno a tener presente Lui è già grazia di Dio.
Luigi: Certo, è grazia Sua perché senza di Lui noi non possiamo
avere questo impegno a pensare a Lui.
Eligio: Tutto ciò che facciamo è già una derivazione di una
grazia iniziale, quella della Sua Presenza. Anche l’impegno è già grazia.
Pinuccia B.: Quindi
non è che dobbiamo far niente! Dobbiamo assecondare la sua grazia.
Luigi: Ma certamente! Perché Lui parla! Quando uno parla,
l’altro cosa deve fare? Deve ascoltare.
Pinuccia B.: Quindi
devo ascoltare e questo non è poco!
Luigi: Certo, devi ascoltare Dio, ma l'ascolto è grazia sua. Quindi:
·se mi rifiuto di ascoltare, la colpa è mia;
·se io ascolto, la grazia è Sua, perché Lui parla!
Infatti se
Lui non parlasse, io non potrei ascoltare, ma proprio perché parla sono
in colpa se non ascolto.
Quindi se dico: “Signore, ho capito”, devo
anche dire: “La grazia è tua, perché hai parlato e mi hai illuminato. Il giorno
in cui potessi dire: “è merito mio”, è
finito tutto, perché noi siamo chiamati a diventare tutta opera di Dio, per cui
noi dobbiamo poter dire in coscienza, non in modo recitato o fasullo: “Signore,
è stato tutto opera tua!”. Ecco la purezza di pensiero! Si entra in Cielo così!
Noi entreremo in Cielo solo il giorno in cui potremo dire: “Signore, tutto ciò
che è stato, ciò che è avvenuto, è stato tutto opera tua e niente di mio”. E
allora ecco, si entra in Cielo, perché si entra nel Regno di Dio, si entra
nella Volontà di Dio, si entra nel Regno in cui Dio è al centro: tutto viene da Lui! Ma fintanto che noi possiamo dire:
“qui ci sono io”, noi siamo fuori.
Eligio: Il guaio è che noi in buona o cattiva fede ci siamo
talmente montati la testa che crediamo di essere noi a fare, pensare, ecc.,
senza pensare che tutto ha come presupposto una grazia iniziale di Dio che è la
sua Presenza. Tutto quello che noi possiamo fare si collega a questa grazia
iniziale.
Luigi: Certo, tutto è opera Sua, niente escluso. Ecco perché il
primo punto fermo (“Tutto è fatto per mezzo di Lui”) è quello
fondamentale.
Nino: Rimane difficile capire come mai noi possiamo essere
rifiuto e non possiamo essere
accettazione.
Luigi: La difficoltà deriva dal fatto che il nostro io è ancora
troppo grosso. Il nostro io, proprio per l’arretrato, ha acquistato
un'attitudine tale, per cui “sono io che
decido, sono io che faccio, io.., io…” e ad un certo punto diventa difficilissimo
per noi svestirci dell’io.
Eligio: Bisogna pensare che questa presenza di Dio è
all'origine di tutto quello che possiamo fare.
Luigi: Certo, ma se non pensiamo Dio, diventa “naturale”
affermare il nostro io, diventa “naturale” il rifiuto.
Pinuccia B.: Quindi
quando prendiamo una decisione, senza ascoltare Dio, lì è il nostro io che decide?
Luigi: Il nostro io non decide nulla: è solo rifiuto! La
decisione che prendiamo senza ascoltare Dio, crediamo di essere noi a
prenderla, ma in realtà è Dio che decide e ci fa fare certe cose per darci
certe lezioni e richiamarci a Sé, perché quando non ascoltiamo Dio, noi siamo rifiuto di Dio. Quando non
ascoltiamo Dio, c'è il nostro io e il nostro io è solo rifiuto.
Nino: Lo accetto, ma faccio difficoltà a capirlo.
Luigi: Noi qui facciamo molta difficoltà ad attribuire tutto a
Dio, invece nel Regno di Dio, nel Regno della Verità, si farebbe molta
difficoltà a pensare a noi stessi. Nel Regno della Verità diventa una cosa
naturale attribuire e riferire tutto a Dio, e un peso enorme il dover semplicemente
considerare l’io o fermarsi all'io o pensare all’io; perché nel Regno di Dio
l’io diventa figlio di Dio.
Eligio: È molto bello questo: che quando si vede il Regno di Dio
diventa naturale pensare a Dio, attribuire tutto a Dio e diventa pesante
pensare a noi.
Luigi: E già! E diventa una cosa bellissima pensare sempre a
Dio, per cui uno non vorrebbe mai staccarsi da Dio, perché vede che la cosa
oltre che vera diventa anche molto bella e buona. Per cui anche se ti
inondassero di miliardi, tu non scendi a pensare a te. E chi te lo fa fare a
pensare a te quando puoi pensare a Lui? Nessuno ti può distogliere dal pensare a Lui!
È come se, avendo trovata una sorgente d’acqua pura, fresca, ti
invitassero a bere ad una sorgente d’acqua inquinata. Non potresti che dire:
“Chi me lo fa fare?”. Con Dio è lo stesso: trovando Dio trovi una felicità
enorme dove tutto ti conferma nel pensare Lui, nel riferire a Lui, nel cercare
Lui; e chi te lo fa fare di scendere a dissetarti a queste pozzanghere?
Ebbene, noi siamo chiamati a questa purezza di
pensiero per diventare figli di Dio. Noi saremo figli di Dio quando avremo la
consapevolezza che tutto di noi è opera del Padre. Chi ci dà la possibilità di
giungere a questa consapevolezza è il Cristo, perché ci dà la possibilità di
superare il pensiero dell’io.
Teniamo presente ciò che dice Gesù: “Il
Figlio da solo non può fare niente, se non lo vede fare dal Padre”(Gv 5,19): questa è la
caratteristica del Figlio. Pensiamo a noi, a tutto quello che facciamo senza
vederlo fare dal Padre! Di lì capiamo l’enormità del nostro io! Mentre invece
se il nostro io fosse veramente figlio di Dio, non farebbe niente, non si
muoverebbe, se non lo vedesse fare dal Padre; perché il figlio di Dio è sempre
mosso dal Padre: quindi in lui è il Padre che inizia l’opera. Il figlio è
figlio in tutto e si caratterizza in questo: non si muove per niente se il
Motore non muove.
Pinuccia B.: La
difficoltà a capire che di nostro c’è solo il rifiuto viene forse dal fatto che
tante volte si è detto che noi dobbiamo mettere il desiderio. E invece di
nostro noi non mettiamo nemmeno il desiderio.
Luigi: Certo, è logico. Infatti abbiamo visto come si forma il
desiderio: il desiderio si forma dall’ascolto di Dio ed è quindi anch’esso
opera di Dio, perché è Lui che parla.
Nino: Allora possiamo dire che noi mettiamo solo il non
rifiuto.
Luigi: Nemmeno quello!
Noi possiamo mettere solo il rifiuto; il mettere il non rifiuto è già
grazia di Dio.
Nino: Quindi il non rifiuto è già accettazione.
Luigi: E anche questa accettazione si attribuisce a Dio. La
creatura deve attribuirla a Dio, perché viene da Dio, per cui dice: “Signore, se ho un orecchio, l’opera è tua;
se ascolto la tua Parola, la grazia è tua; se intendo ciò che dici, la grazia è
tua”. In tutto è sempre così! A partire dall’orecchio, tutto, tutto, fino alla
Meta, è tutto opera di Dio, grazia Sua.
Pinuccia B.: Basta pensare che una volta eravamo nulla.
Luigi: Certo. L’opera è Sua.
Pinuccia B.: Quindi tutto quello che ho, che faccio, tutto
quello che c’è è opera Sua.
Luigi: È logico! Se tu senti è perché hai le orecchie e le tue
orecchie chi te le ha fatte?
Pinuccia B.: Tutto è implicito in quel nulla che eravamo.
Luigi: Ah, certo!
Nino: Quindi l’unica possibilità che abbiamo è quella di
uccidere…
Luigi: Infatti il nostro rifiuto fa fuori Dio dalla nostra
vita. Far fuori è uccidere. Quindi il rifiuto è nostro, l’accoglienza è opera
di Dio; per cui tutti i passaggi che abbiamo visto (giustizia essenziale,
scoperta della Luce vera in noi, l’attrazione, la fame, il bisogno, l’incontro
con il Cristo, ecc.), sono tutti opera di Dio. Anche la formazione in noi della
convinzione che tutto è opera di Dio, che senza di Lui tutto è ridotto a
niente, della necessità di raccogliere, ecc., ecc. è tutto opera di Dio. Così
pure la convinzione che è necessario accogliere la Luce interiore per ricevere
la possibilità di diventare figli di Dio, la convinzione che i figli di Dio
nascono da Dio, è tutto opera di Dio.
Allora passiamo al 9° punto fermo: se accolgo questa Luce vera, ecco che
allora:
9° punto: “IL VERBO SI FECE CARNE” (v. 14 1° parte), cioè ho la
possibilità di incontrare, riconoscere e seguire il Verbo fatto carne. Infatti
quando c’è la fame, il Padre ci dà il Pane, e allora “il Verbo si fa carne”.
Cioè la nostra fame ci fa individuare il Verbo fatto carne e noi possiamo dire:
“Il Verbo si è fatto carne”. All’uomo che ha accolto e ascoltato la Luce
vera che illumina ogni uomo e ha ricevuto la possibilità di diventare figlio di
Dio, allora per quest’uomo il Verbo si è fatto carne; cioè ora Lo scopre; prima
non poteva scoprirlo. Scoprendolo, dice: “Il Verbo si è fatto carne: ecco il
Pane di cui avevo bisogno!”, perché in effetti Dio non lascia mai mancare
l’aiuto a colui che Lo invoca, mai! Anzi Lui stesso ci precede, ci sollecita,
affinché noi invochiamo. Per cui immediatamente, come in noi si forma la fame,
Lui ci fa trovare il Pane, e allora diciamo: “Ecco il Pane: il Verbo si è fatto
carne!”
E allora, una volta scoperto, non Lo molliamo
più, perché abbiamo capito che solo Lui può portarci alla Meta.
Si deve quindi formare in noi questa
convinzione, questo punto fermo: solo per mezzo del Verbo incarnato, il Cristo,
potrò conoscere Dio.
L’importante è non staccarci dall’ascolto del
Cristo, perché è sull’ascolto nostro che Lui prepara in noi la capacità di
ricevere la rivelazione del Padre.
Il Cristo è il Verbo che si è fatto
carne per recuperarci al Principio,
all’ascolto del Verbo, perché noi, nella nostra dispersione, siamo
diventati incapaci di ascoltarlo, abbiamo smarrito il Principio. Il Verbo ha
assunto un corpo per incentrarci su di Sé e liberarci così dalle altre presenze
fisiche che ci portano via. Egli ci parla però come Dio. In Cristo è il Verbo
del Padre che parla, ma per seguirlo dobbiamo essere attratti dal Padre e
cogliere lo Spirito delle sue Parole, per cui non dobbiamo fermarci alla sua
presenza fisica.
Egli è solo e unicamente Pensiero del Padre,
per cui in tutto ciò che ci dice, ci parla del Padre. Se non ci stacchiamo
dalle sue parole, o meglio da Lui che parla, Egli poco per volta forma in noi la capacità di
guardare il Padre, facendoci tutto
pensiero del Padre come Lui (anche se questo noi non lo sappiamo, perché
dobbiamo arrivare a non pensare più a noi).
Ad un certo punto Egli ci affida al Padre e se
ne va fisicamente, perché per ricevere lo Spirito di Verità è necessario
superare tutto il mondo relativo al nostro io e quindi anche la presenza fisica
di Cristo. Egli però rimane spiritualmente in noi.
Ma anche questa presenza spirituale va
ricevuta nuova dal Padre, perché “solo il Padre conosce il Figlio”. Per cui è chiaro che ad un certo momento deve avvenire il passaggio dal
Cristo storico al Padre, per ricevere dal Padre la luce sul Figlio, sul Verbo,
per conoscere cioè dal Padre la gloria dell’Unigenito Figlio, ed essere anche
noi fatti figli del Padre come Lui è Figlio.
Eligio: Penso che la difficoltà stia nel passare dal Cristo
fisico, storico, così come noi Lo raffiguriamo, a questa sua realtà Divina.
Luigi: Noi non possiamo passare. Questo passaggio dal Cristo
Storico a questa Realtà Divina non dipende da noi. Se crediamo di essere
noi a fare questo passaggio, noi non lo facciamo. Gesù lo dice chiaro: “Dove
Io sono, voi non potete venire” (Gv 7,34). È Lui che può portarci. Quindi
se noi restiamo con Lui, Lui ci porta.
Apparentemente sembra in contraddizione, perché mentre dice: "Dove sono
Io, voi non potete ventre”, dice anche: “Io vado a prepararvi un
posto" (Gv 14,2) e prega il Padre “affinché dove sono Io, siano
anche loro” (Gv 17,24).
Nino: Cioè Egli vuole dirci che non possiamo andarvi con le
nostre forze.
Luigi: E già! Quindi non dobbiamo fare conto su di noi. Cioè noi dobbiamo diventare tutto
opera di Dio. Quando potessi dire: "Qui sono arrivato per impegno mio, per
iniziativa mia”, è finita! Perché noi dobbiamo poter dire: “È stato tutto per
opera di Dio!”. Il nostro deve essere solo un impegno di ascolto.
Eligio: Quando Cristo se ne va esteriormente, come si trova
l'anima?
Luigi: Si trova con tutte le Parole che il Verbo ha posto in essa, perché Lui parlando,
già ci fa intravedere il luogo dove Lui va. Non ce ne rendiamo conto perché
fintanto che Lui è “fuori”, riceviamo le sue parole, ma non le intendiamo.
Quando però Lui se ne va, le sue Parole
restano. Noi non ci rendiamo conto, ma Lui parlando con noi già ci fa vedere il
luogo in cui Lui va: infatti Lui dice a
chi gli chiede di mostragli il Padre: “L’avete visto”. Non avevano visto
niente, però Lui dice: “L’avete visto”. Lui dopo, andandosene via, ci dà la
possibilità di essere in quel luogo dove Lui se ne va.
Eligio: Ma che cosa ci fa vedere? Quale scoperta interiore
l’anima avverte quando Lui ci fa vedere il Padre?
Luigi: Ci fa vedere Dio, cioè il Padre in noi, il Padre dei
nostri pensieri. È un’esperienza personale.
Nino: È Lui però che decide il momento di andarsene, quando ci
vede maturi per questa sua partenza.
Luigi: È lì l’importanza del restare con Lui, del seguire Lui!
Perché non decidiamo noi questo momento, dicendo: “Beh, adesso io ritengo di
essere giunto a quel punto in cui posso fare quel passo”. No! È Lui che ti deve condurre, se tu però resti
con Lui.
Eligio: Quindi l’unica iniziativa della creatura è quella di
aderire al Verbo fatto carne, a Cristo.
Luigi: Certo; tu la chiami iniziativa, ma se la creatura ha
questa iniziativa, la grazia è di Dio, l’opera è di Dio, per cui dice: “Questa
iniziativa non potrei averla se non per grazia Sua”. Infatti nessun passo
l’anima può fare se non pensa a Dio.
E allora, se seguiamo e ascoltiamo il Cristo, Lui ci porta alla
realizzazione del 10° e ultimo punto. E così arriviamo al:
10° punto: “E NOI ABBIAMO CONTEMPLATO LA SUA GLORIA” (v. 14/B).
È Cristo che ci porta a vederla, portandoci a
conoscere il Padre; dal Padre conosceremo la gloria del Figlio, cioè ciò che il
Figlio è. Vedere la gloria del Verbo è vedere la manifestazione di ciò che il
Verbo è nel Padre. Qui avviene la seconda nostra nascita.
Per formare in noi la convinzione
dell’importanza che ha per la nostra vita giungere a vedere la gloria del
Figlio, ne avevamo visto le motivazioni; cioè avevamo visto che è
importantissimo giungervi perché il vederla è condizione:
·per la nostra liberazione da tutto;
·per la nostra trasformazione in figli,
·e per realizzare una unione stabile ed eterna con Dio.
Avevamo anche visto che le condizioni per
giungervi sono:
·morire a noi stessi,
·e superare tutto il mondo creato, compreso la presenza
fisica del Verbo, poiché Lui stesso dice: “Se Io non me ne vado, non può venire
a voi Lo Spirito di Verità” (Gv 16,7).
Prima di andarsene al Padre, Egli ci affida al
Padre. Andandosene al Padre Egli ci prepara il posto; lo prepara dentro di noi;
per cui si tratta ovviamente di preparare una capacità.
La capacità di sostare nel Pensiero del Padre
è il posto da cui potremo vedere la sua
gloria.
Per
vedere la sua gloria bisogna trovarci infatti nello stesso luogo in cui
è il Figlio, perché Gesù stesso fa dipendere la visione della sua gloria dal
trovarci noi dove Lui è.
Il Figlio è nel Padre, per cui noi saremo dove
Lui è quando saremo diventati, per opera sua, tutto pensiero del Padre come
Lui. Allora, a questo punto, e soltanto a questo punto, il Padre potrà rivelare
a noi Se stesso e rivelarci la generazione del suo Unigenito Pensiero e il loro
rapporto, lo Spirito Santo.
Eligio: I mistici parlano della notte dello Spirito, del
silenzio di Dio: sarebbe questo il
momento in cui Gesù se ne va?
Luigi: C’è sempre un passaggio da fare. La creatura, prima di
arrivare a scoprire la presenza di Dio, il Volto del Padre, passa in questa
situazione di smarrimento, perché è costretta a passare da tutto un mondo di
pensieri e idee, che sotto sotto sono di sentimento e che quindi sono relativi,
ad una conoscenza nuova che non presuppone più il mondo, niente di mondo. Il
mondo a quel punto è tutto superato, tutto annullato; continua ad esserci, ma
l'anima non fa più conto su nessuna nozione di mondo, perché la creatura nuova
nasce da Dio, in “quella gloria che il Figlio ebbe prima che il mondo fosse”:
ecco, c’è da recuperare quella gloria “che Egli ebbe prima che il mondo
fosse”, ed è il Figlio che ci porta a recuperarla.
Ora, quel “prima che il mondo fosse”,
non è come tempo, ma è un superamento di tutto quello che è il mondo relativo
(relativo al pensiero del nostro io), perché si tratta di scoprire un io nuovo
che nasce da Dio.
Finché siamo in questo mondo, tutte le nostre
conoscenze sono relative al nostro io, ma questa non è vera conoscenza; la
vera conoscenza è quella che viene da Dio. Ma allora c’è un punto
critico in cui siamo chiamati a dimenticare tutto quello che conosciamo,
tutto quello che siamo e sappiamo e che è relativo al nostro io, cioè tutte
queste conoscenze di mondo, per scoprire un io nuovo. Cioè siamo chiamati a
dimenticare l’io vecchio che ci lega al mondo esterno, affinché nasca l’io
nuovo.
Quindi noi abbiamo due nascite:
·La nascita in questo mondo, che ci è imposta perché é la
condizione per poter intendere, per poter superare il pensiero del nostro io;
in questa nascita in questa vita naturale il nostro io è sempre al centro di un
mondo naturale, per cui c’è l’orizzonte come un cerchio di cui siamo il centro,
ci sono le creature che ci guardano e parlano a noi, ci chiamano per nome, e tutte
le cose ci fanno essere: cioè noi riceviamo l'essere dalle cose. Ma le cose non
sono Dio.
·E poi c’è la vera nascita, ed è quella che noi riceviamo da Dio.
Allora, abbiamo prima la nascita naturale che
ci viene dalle creature e dalle cose relative; qui le nostre conoscenze sono
sempre relative e sono sempre relative perché fanno centro sul nostro io: l’io
che ha visto questo e quell’altro, che è andato in questo e in quel posto, che
ha conosciuto o capito questo o quello, ecc. Ma tutte queste conoscenze sono
sempre relative ai nostri occhi, alle nostre orecchie, ai nostri sensi, e anche
alle nostre esperienze e ai nostri sentimenti (“questo l'ho visto, questo
brucia, quello mi fa piacere, questo è
antipatico”); sono quindi sempre relative all’io, perché al centro di tutto
questo mondo c’è il nostro io. Ma il nostro io non è la Verità, il nostro io
non è Dio; il che vuol dire che tutte queste conoscenze sono tutte apparenze,
sono tutte relative, non sono assolute, non sono vere.
Noi per arrivare alla conoscenza vera,
dobbiamo ad un certo momento superare tutto questo mondo di conoscenze che
hanno come centro di riferimento il nostro io; ecco, qui abbiamo un salto di
qualità, perché c’è una dimenticanza di tutte queste conoscenze, per iniziare
una nuova conoscenza, una nuova conoscenza che parte da Dio: qui incomincia un
punto di vita eterna.
Nino: Ma lì si è arrivati ad un punto di purezza tale che è già purezza spirituale?!
Luigi: Certo, ed è logico perché niente di impuro può entrare
in Dio.
Eligio: Dobbiamo arrivare a vedere tutto come opera di Dio.
Nino: Noi attualmente ci troviamo tagliati fuori perché
abbiamo ancora delle cose che ci pesano. E i momenti in cui ci sembra di aver
fatto chissà che cosa e ci sentiamo felici sono quei rari momenti in cui ci
sentiamo in unione con Dio.
Luigi: E che sono tutta grazia di Dio: è Dio che ci manda un
raggio di luce e di gioia per farci vedere che c’è qualche cosa, che c’è una
vita nuova, una vita da scoprire. Però dobbiamo avere ben chiaro questo:
attualmente tutte le nostre conoscenze sono sempre riferite al nostro io.
Ora, il nostro io non è Dio (questo è poco ma sicuro!), quindi tutte le
conoscenze che sono riferite al nostro io sono tutte conoscenze relative, non
sono le vere. Ecco perché trovandoci in un mondo di segni, dobbiamo passare ai
significati. Allora è proprio per questo
che ad un certo momento dobbiamo aspettarci la crisi, per cui ad un certo
momento c’è la morte. Ecco, nella nostra vita c’è un punto critico, il punto di
crisi, un salto di qualità, perché dobbiamo dimenticare, superare queste nostre
conoscenze e aspettarci una conoscenza nuova, una vita nuova che viene da un
qualche cosa che non appartiene al mondo, perché non ha per centro il nostro
io. Dio non appartiene a quel punto di riferimento che è il nostro io, perché
Dio supera tutto. Ecco perché si dice che Dio è trascendente.
Ma per arrivare qui, a questa vita nuova, noi dobbiamo andare oltre al
nostro io, noi dobbiamo superare il nostro io. Superando il nostro io e
fermandoci in Dio, abbiamo la seconda nascita, che è poi la vera nascita
nostra, una nascita in cui non si nasce più per imposizione, ma si nasce
solo più per elezione. Per cui noi non nasciamo in quella nascita se noi
stessi non vogliamo. Se noi non vogliamo, non c’è nessuno che ci possa far
nascere lì.
Nino: Si nasce per desiderio ed elezione!?
Luigi: Certamente! Ma anche questo desiderio è grazia di Dio,
come è grazia di Dio esserci soffermati su queste cose, perché è soltanto attraverso l’opera di Dio
che noi, ad esempio, siamo stati condotti a constatare certe cose. È tutta
opera di Dio. Constatandole, capiamo che c’è questo lavoro da fare. Però se
un giorno nasceremo da Dio e scopriremo il nostro “io vero” secondo Dio, che è
poi figlio di Dio (ecco l’adozione!), noi diremo: “È grazia di Dio!”, perché senza Dio noi non
possiamo nemmeno pensarlo.
Noi non possiamo essere presenti a Dio senza
Dio; vedi che tutto è grazia di Dio? Noi non possiamo essere presenti a Dio
senza Dio, è logico! Ma proprio questo
fatto ci fa toccare con mano che tutte le volte che non pensiamo Dio, noi andiamo lontano da Dio,
ed ecco allora che diventa niente tutto: riduciamo tutto a niente!
Eligio: Se non pensiamo Dio, pensiamo a noi stessi.
Luigi: Non possiamo non
pensare a noi, certamente!
Eligio: Perché non abbiamo un altro polo. Nel momento in cui
dimentichiamo Dio…
Luigi: …automaticamente pensiamo a noi. Sì, perché il nostro io è naturale, quindi ci è
imposto: ad esempio, quel tale che mi pesta il piede, me lo pesta anche se io non
voglio: cioè mi arriva la cosa, mi è
imposta. Invece la vita con Dio non mi è più imposta, ma mi è proposta.
Se io non voglio, cioè se non supero il mio io, non mi è data, perché siccome
la vita con Dio presuppone da parte nostra il superamento dell’io, l’andare
oltre il pensiero del nostro io, questo non c’è nessuno che ce lo possa far
fare, nemmeno Dio, se noi non vogliamo. Per cui la vera vita ci è data soltanto
se è eletta personalmente da ognuno di noi, in quanto ognuno di noi si supera,
altrimenti non ci può essere data. Si nasce da Dio per elezione, attraverso
l’opera del Figlio.
Eligio: Partendo dal presupposto che siamo chiamati a diventare
tutti figli di Dio, volevo chiedere: che rapporto c’è tra la gloria
dell’Unigenito Figlio e la gloria dell’anima che riesce a corrispondere al
massimo alla chiamata ad essere figlio di Dio? Cioè qual è la differenza tra
l’Unigenito e tutti gli altri figli?
Luigi: Noi formeremo una cosa sola con il Cristo, ma quando
saremo rinati dal Padre per opera di Cristo, noi non saremo unigeniti come Lui.
Ma siccome Lui ci affida al Padre e ci fa rinascere dal Padre, noi nasciamo
uguali a Lui. Sia chiaro: non ci confonderemo con Lui, perché:
·in noi ci sarà sempre la coscienza di essere creature,
quindi di aver avuto un inizio. Il Verbo, il Figlio di Dio invece non ha avuto
un inizio.
·però ci sarà la coscienza di essere rinati dal Padre per
mezzo del Figlio, non per opera nostra.
·L‘essere rinati dal Padre vuol dire fare una cosa sola
col Figlio, ma in Lui c’è la nascita eterna, in noi c’è la venuta dal nulla.
Eligio: Parlando della contemplazione della gloria di Dio,
avevamo visto il concetto della contemplazione della gloria come manifestazione
di ciò che Cristo è nel Padre. Noi abbiamo la possibilità di conoscere il Padre,
ma come creature non potremo mai avere
una gloria simile a quella del Verbo.
Luigi: No, ma Lui ci porta a conoscere la sua Gloria e,
conoscendo la sua Gloria, siamo partecipi di questa Gloria; cioè, conoscendo
la Gloria, noi veniamo a conoscere che tutto ciò che è in noi e fuori di noi è
tutto opera di Dio. Perché attualmente noi siamo lontani dalla Gloria?
Perché in noi consideriamo alcune cose come opera di Dio ed altre come opere
nostre, opere del mondo o dell’ambiente, ecc..
Eligio: Qui il Figlio di
Dio è definito Unigenito. Però noi non saremo unigeniti!
Luigi: Certo, però attraverso il Figlio Unigenito possiamo
diventare anche noi figli.
Pinuccia B.: Bisognerebbe
qui approfondire il concetto di “Unigenicità”.
Eligio: Cioè il concetto che avevi sorvolato (dopo avercelo
annunciato) perché qualcuno di noi trovava forse un po’ astratti questi
argomenti sulla Gloria, che in realtà però non sono tali, anzi…
Luigi: E lo sorvoliamo ancora.
Nino: Non capisco qual è il problema, perché io non c’ero.
Luigi: In quest’ultimo versetto del Prologo avevamo visto
diversi argomenti:
·“Il Verbo si è fatto carne”,
·la sua abitazione tra noi
·e “noi abbiamo contemplato la sua gloria”:
E qui, in quest’ultimo argomento, avevamo visto:
·che cos’è la Gloria,
·l’importanza di vederla,
·le condizioni per giungervi,
·il “luogo” da cui si può vedere;
·e avevamo anche
annunciato il tema dell’Unigenicità: “gloria che un tale Figlio Unigenito
riceve dal Padre”: ecco, l’Unigenicità che riceve dal Padre, cioè la gloria
di Figlio unico, era un tema da trattare, però non l’abbiamo fatto e lo
rimandiamo ancora. Adesso però mi sembra che tu Eligio chiedessi soltanto la
differenza che passa tra noi creature e Lui, Figlio unico di Dio. Ecco, faremo
una cosa sola con Lui pur nella distinzione delle persone. Ed è Lui che ci
prepara a questo e nell’ultima preghiera
chiede al Padre che dove Egli è, anche noi possiamo essere (se noi siamo
con Lui, è logico) affinché conosciamo la sua Gloria, e conoscendo la sua
Gloria possiamo fare una cosa sola con Lui, così “come noi siamo uno”,
cioè come il Padre e il Figlio sono uno.
Ecco, questo è quanto il Figlio unico del
Padre chiede per noi al Padre. Per cui attraverso quest’opera del Figlio, noi
siamo chiamati a formare una cosa sola con Lui come Lui fa una cosa sola col
Padre.
Quindi da parte del Figlio non c’è nessun
limite, perché dice: “affinché siano una cosa sola come noi siamo” (Gv
17,22), per cui non mette dei limiti al disotto di noi. Quindi noi avremo
sempre la consapevolezza che questa
unità col Figlio e con il Padre come loro sono uniti e quindi direi questa uguaglianza, l’abbiamo
ricevuta per opera del Figlio; quindi, avendola ricevuta da Lui ci
distinguiamo da Lui: è dono suo, è grazia sua. Ora, questo non lo potremo mai
dimenticare, come non potremo mai dimenticare che noi siamo niente e che tutto
quello che abbiamo ricevuto è tutto opera del Padre. Questo vederci tutto
opera del Padre è la caratteristica del Figlio.
In che cosa si distingue il Figlio da noi? In
questo: il Figlio è tutto opera del Padre, quindi è Figlio; noi non siamo
attualmente tutto opera del Padre. Però per mezzo del Figlio, che è tutto opera
del Padre, noi siamo chiamati a diventare tutto opera del Padre.
Quando noi in coscienza potremo dire che tutto
quello che noi siamo, quindi che tutto quello che abbiamo di pensiero, di
scelte, di conoscenze, ecc. è tutto opera di Dio, noi saremo figli di Dio e
faremo una cosa sola col Figlio: figli nel Figlio, per opera del Figlio.
Però a questa meta noi giungiamo attraverso
tutto questo lavoro di raccolta col Figlio, di unificazione, cioè di riporto di
tutto al Padre, perché “Nessuno può salire al Cielo se non Colui che
discende dal Cielo” (Gv 3,13). Ora, siccome noi abbiamo scoperto in noi
stessi questa incapacità, questa impossibilità a conoscere il Signore, per cui
giungiamo a constatare che “Nessuno mai ha visto Dio: è il Figlio Unico di
Dio che Lo ha rivelato” (Gv 1,18), allora avendo toccato con mano che
assolutamente non possiamo giungere a conoscere Dio, quando giungeremo a
conoscere Dio, riconosceremo che è opera
del Figlio. E lì, a quel punto, tutto quello che noi abbiamo, poco per volta lo scopriamo come tutto dono
del Padre; e allora prendiamo coscienza di essere anche noi figli di Dio, per
mezzo di quest’opera del Figlio. Ma veniamo a formare una cosa sola con Lui, il
Cristo, il Verbo di Dio, appunto perché noi siamo chiamati a formare una cosa
sola come il Padre e il Figlio sono una cosa sola. Infatti dice Gesù
all’ultimo: “…affinché siano una cosa sola come noi siamo” .
Quindi da parte di Dio c’è questa opera: portarci a formare una cosa sola con
Dio. Siamo chiamati a questo! Naturalmente rimane la distinzione delle persone.
Nino: D’altra parte una distinzione c’è anche in Dio.
Luigi: Cioè in Dio c’è una distinzione di Persone, e così per
noi: ci sarà sempre la distinzione tra noi e le Persone Divine, però si formerà
una cosa sola.
Nino: Che in Dio ci siano tre Persone e un Essere unico, è un bel
mistero…
Luigi: Va bene, però noi siamo chiamati a parteciparvi. Ora, noi
siamo chiamati a diventare tutto opera di Dio; ma il tutto opera di Dio è il
Figlio. Noi attualmente ci distinguiamo dal Figlio per il fatto che noi ora
non siamo tutto opera di Dio, e tutta la grande fatica della nostra vita sta
nel poter vedere che tutto è opera di Dio e nel poter essere tutto opera di Dio.
Eligio: Comunque non siamo chiamati a diventare unigeniti perché
quello che abbiamo, l’abbiamo per adozione.
Luigi: Certo, per adozione; direi, è per partecipazione del Figlio che
formiamo una cosa sola col Figlio. Per cui il nostro parlare non è più un
nostro parlare. Non parleremo più come “il nostro parlare”, ma il nostro
parlare sarà tutto e solo “parola di Dio”, e anche tutto di noi sarà tutta
parola di Dio. Per cui, anche il nostro parlare tra creature, sarà sempre solo
attraverso il Padre; come l’intelligenza l’avremo attraverso il Padre, così la
parola sarà attraverso il Padre. Non ci sarà più la creatura che parla come
attualmente noi parliamo a tu per tu, autonomamente. In Paradiso sarà così:
tu hai presente il Padre, io ho presente il Padre e, attraverso il Padre,
comunichiamo tra noi.
Eligio: Qui dice: “Noi abbiamo contemplato la gloria come
Unigenito”; questo vuol dire che Lui come Unigenito è diverso da noi, anche
se noi siamo chiamati a fare una cosa sola con Lui?
Luigi: Noi diventiamo figli per opera del Figlio; invece il
Figlio è Figlio per opera del Padre, per cui Lui è l’unico Figlio naturale;
noi, figli adottivi.
Eligio: Comunque anche noi siamo chiamati a diventare figli del
Padre.
Luigi: Sì, noi siamo chiamati a diventare figli, e diventiamo
figli del Padre, però attraverso il Figlio (“figli nel Figlio”).
Eligio: Ma diventiamo figli come l’Unigenito?
Luigi: Certo, diventeremo figli come l’Unigenito e grazie
all’Unigenito.
Pinuccia B.: Ma
se siamo tanti come facciamo a diventare come l’Unigenito? L’Unigenito è uno
solo.
Luigi: È una cosa
diversa: è un recupero di noi da parte dell’Unigenito (non importa che siamo
tanti), per cui veniamo a formare una
cosa sola con l’Unigenito, anche se sapremo sempre che veniamo dal nulla.
Pinuccia B.: Quindi
l’annuncio dell’Unigenicità sarebbe come una chiamata a fare una cosa sola con
Lui?
Luigi: Certo, ma è il Figlio che ci recupera come figli,
portandoci a formare una cosa sola con Lui. È un recupero del Figlio.
Pinuccia B.: Quindi
se ogni cosa ci è annunciata, perché noi la viviamo personalmente, allora anche
l’Unigenicità del Figlio di Dio, la sua gloria, mi è annunciata, per me
personalmente, per rivelarmi che sono chiamata a diventare una cosa sola con
Lui. È questo l’argomento dell’Unigenicità annunciato?
Luigi: No, questo non è parlare dell’Unigenicità. Annunciando
questo tema intendevo trattare il carattere specifico dell’Unigenicità, cioè
l’approfondimento di questa parola, di questo concetto, non per quello che
riguarda noi, ma nell’in Sé di Dio.
Pinuccia B.: Sarebbe
il Pensiero Unico del Padre?
Luigi: Sì.
Pinuccia B.: A
cui però anche noi dovremmo arrivare; cioè siamo chiamati a diventare anche noi
“pensiero unico” del Padre e quindi ad essere una cosa sola con il Figlio.
Luigi: Se ci lasciamo guidare dal Figlio, arriveremo anche noi
ad avere un pensiero unico, anzi, ad essere “pensiero unico del Padre” , perché
il Verbo parla soltanto del Padre, altrimenti non sarebbe più Verbo del Padre. Tu
capisci che il concetto “Verbo del Padre” vuol dire che ci parla solo del Padre!
Se noi diventiamo tutto ascolto del Verbo del Padre, Lui ci fa diventare tutto
verbo del Padre. È come se tu diventassi discepola di Nino che è medico: lui ti
riempirebbe talmente tanto di medicina che tu diventeresti tutta medicina.
Nino: Hai detto che il Verbo del Padre ci parla solo del
Padre.
Luigi: Certo, altrimenti non sarebbe più Verbo del Padre.
Pinuccia B.: E
hai detto che se siamo in ascolto del Padre Lui ci fa diventare…
Luigi: Se siamo in ascolto del Verbo, del Padre, Lui ci fa
diventare verbo del Padre. Diventiamo tutto “verbo del Padre”, tutto parola
di Dio, tutto pensiero di Dio, perché come dico, diventiamo tutto ascolto di
Dio, perché nient’altro ci riempie. Infatti noi ascoltando altro parliamo altro
e diventiamo altro; il giorno in cui ascoltassimo solo più il Verbo di Dio,
noi diventiamo “verbo di Dio". Come persone ci distingueremo sempre,
come il Verbo si distingue dal Padre. Ci distingueremo perché dovremo sempre
riconoscere che quello che siamo diventati, lo siamo diventati per opera di
questo Figlio unico di Dio, che ha parlato, che è disceso verso di noi, che ci
ha preso dal nostro niente, dalla nostra dispersione: il nostro niente era poi
dispersione, era creatura con tanti nomi. Infatti noi attualmente abbiamo tanti
volti, abbiamo tante facce. Perché siamo incostanti? Perché abbiamo tanti nomi!
Quando Gesù chiese all’indemoniato: “Qual è il tuo nome?”, egli rispose:
“Il mio nome è Legione” (Lc 8,30). Direi che questa è la definizione
dell’uomo: “legione”. L’uomo ha tanti
volti, a seconda dell’ambiente in cui si trova, per cui è come l’acqua che
prende la forma del recipiente in cui la si mette.
Quindi noi dobbiamo passare da questa creatura
che ha tanti nomi, tanti volti (cioè da questa molteplicità), ad una creatura
che ha un solo nome (ecco l’unità): allora qui
siamo riconosciuti come figli del Padre. Ma come diventiamo creature
di un solo nome, che è poi il nome comunicatoci da Dio? Ascoltando
soltanto Colui che ci parla di una cosa sola. Se noi ascoltiamo soltanto il
Verbo del Padre, ci riempiamo talmente di tutto ciò che Egli ci dice del Padre,
che diventiamo noi stessi, come mente, come parola, come vita, figli del Padre:
ecco perché ascoltiamo uno solo, il Figlio! Se noi invece ascoltiamo tanti,
diventiamo figli di tanti. Noi diventiamo figli di coloro che ascoltiamo.
Noi abbiamo tanti padri; si tratta di diventare figli di un solo Padre.
Soltanto che se noi ascoltiamo tanti, cioè se
diventiamo discepoli di tanti (Gesù ad un certo momento dice: “Il vostro
padre è il demonio e
il demonio è legione, molteplicità:
ecco perché non mi potete accogliere” - Gv 8,44), allora succede che
se noi abbiamo tanti padri, non possiamo accogliere quell’opera universale che
è di Dio; perché dove l’opera di Dio non coincide, non è in armonia con l’opera
di altri, noi siamo fratturati, e non possiamo più accogliere tutto come
opera di Dio; e allora lì ci troviamo a disagio, siamo infelici, abbiamo i
dubbi, ecc. Ma perché? Perché noi siamo figli di altri padri! E allora non
entriamo nell’armonia. Ma quando il nostro tutto che portiamo in noi fosse
tutto opera di Dio, allora noi saremmo in perfetta armonia; cioè in noi
potremmo riconoscere che tutto quello che abbiamo è tutto ciò che ci ha dato il
Padre, è tutto opera di Dio. Quando noi in coscienza potessimo dire: “tutto di
me è opera di Dio” noi saremmo figli di Dio. Il Figlio di Dio si
caratterizza in questo: che è tutto opera di Dio. Noi invece non siamo
tutto opera di Dio.
Eligio: E qual è il rapporto fra noi e questo Unigenito come
Unigenito?
Luigi: l’Unigenito deriva dal Padre, noi invece diventiamo
uguali a Lui, facciamo una cosa sola con Lui per opera sua, non per opera
del Padre. Ascoltando Lui, il Figlio, Lui ci porta a diventare figli del
Padre, ma per mezzo suo. Cioè, noi diventiamo figli del Figlio, ma il Figlio
ad un certo momento ci fa figli del Padre, ma è sempre per opera sua. Per
cui noi ci sentiremo sì uguali a Lui, fratelli suoi (perché siamo chiamati ad
essere una cosa sola con Lui, tutto opera del Padre), ma in coscienza dovremo
dire: “questo è grazia sua”.
Se andiamo oltre il Prologo, il Vangelo dice: “Noi
abbiamo ricevuto tutto, e grazia su grazia, da Lui”. Ecco: “abbiamo
ricevuto tutto...”. Quindi il giorno in cui noi possiamo dire: “Noi abbiamo
ricevuto tutto, siamo tutta opera del Verbo di Dio che si è fatto carne”,
allora noi formiamo una cosa sola con Lui, allora ci riconosciamo figli del
Padre; ma, giunti qui, non possiamo
dimenticare quello che un tempo siamo stati. Per cui l’azione di recupero,
di adozione, è avvenuta tutta attraverso questo ascolto del Figlio, del Verbo
di Dio; mentre invece il Verbo di Dio non ha avuto un altro che L’ha fatto
diventare Verbo di Dio. Lui è generato dal Padre, quindi è Figlio naturale.
Eligio: E già, c’è un rapporto di natura.
Luigi: Noi però siamo portati ad essere generati dal Padre per
mezzo del Figlio.
Eligio: Cioè, adottati.
Luigi: Ecco, adottati. L’adozione consiste in questo: c’è un
Altro che ci prende e ci fa diventare uguali a Sé; per cui noi come persona ci
distingueremo, ma per quello che saremo, saremo uguali al Figlio.
Nino: Hai detto che nel Verbo è il Padre che parla di Sé?
Luigi: Ho detto che il Verbo parla sempre del Padre perché è il
Verbo del Padre; altrimenti, se non parlasse del Padre, non sarebbe Figlio del
Padre.
Nino: Sì, comunque il Padre parla sempre di Sé; non riesco
però a capire come una Persona, pur essendo divina, possa parlare sempre di Sé.
Tu non parli mai di te, lei nemmeno…
Luigi: Ma noi non siamo la Verità, Dio è la Verità. Noi quando
parliamo di noi, diciamo delle falsità. Ma Dio invece è Verità; per questo non
può parlare che di Sé. Dio quando parla di Sé, parla la Verità. La differenza è
tutta lì. Infatti se noi fossimo la Verità potremmo tranquillamente parlare di
noi. Nella vita eterna, quando saremo una cosa sola con il Figlio, sarà nostra
gioia parlare solo di Dio che è la Verità. Concludiamo così il Prologo che,
nelle sue 5 scene e nei suoi 10 punti fermi, ci ha presentato una visione
d’insieme di quello che è il fondamento e la sintesi di tutto il Vangelo: la
“buona Notizia” del Verbo di Dio che si fa carne per recuperarci al Principio
che abbiamo smarrito (il Verbo interiore) e portarci quindi a vedere la Sua
Gloria.
Il silenzio che precede lo Spirito
L'universale presenza di Dio esige
l'universale silenzio di tutto ciò che non è Dio.
Giungiamo così alla vigilia del più grande
giorno per il quale tutte le cose furono create e per il quale noi stessi
abbiamo avuto l'esistenza e la vita: il giorno di Pentecoste, giorno di luce e
di conoscenza di Dio, possesso di Verità.
Poiché
tutto è stato fatto per portarci a questa meta, noi, come immersi nelle acque
di un fiume, stiamo comunque andando verso la Verità di Dio e la sua Verità
piena.
Ognuno di noi nascendo in questo mondo riceve
una promessa che porta scritta nel suo stesso essere e che l'accompagna per
tutta la vita: conoscerai Dio. È la promessa dello Spirito di Verità fatta ad
ogni uomo, annuncio della sua Pentecoste.
Tutto è fatto per portarci a questo giorno e
Cristo è venuto per questo. Ma che cosa ci ha rivelato Cristo? Egli dice: «Lo
Spirito di Verità procede dal Padre, il quale Lo darà a quanti glielo chiedono».
Con Lui sappiamo il luogo in cui possiamo
trovarlo. È necessario cioè raccoglimento, preghiera e silenzio nel Pensiero
del Padre.
Per questo il giorno di Pentecoste è preceduto
da dieci giorni di silenzio: preparazione di raccoglimento in Dio. «Aspettate
in Gerusalemme - dice Gesù - fino a tanto che non siate investiti
dall'Alto».
Aspettare in Gerusalemme è non disperderci nel
mondo, è non vendere il nostro diritto alla luce per un po' di rumore e di
vanità o di benessere o di piacere nel mondo. Aspettare in Gerusalemme è saper
vegliare, perché Dio è degno di questa veglia; è saper attendere, perché
l'amore è degno anche di una lunga attesa; è saper far silenzio in noi, perché
la presenza di Dio esige il silenzio di tutto ciò che non è Dio. Ma: «Il mio
popolo non intende, il mio popolo non mi conosce», dice il Signore. Gli
uomini si rifiutano di vegliare, di far silenzio, di pensare a Dio: non hanno
tempo per fermarsi. Rifiutano la Verità, la Vita, l'Amore e muoiono
tristemente. Muoiono perché non amano; non amano perché non conoscono; non
conoscono perché non cercano; e non cercano perché non ubbidiscono alla Parola
di Dio che in tutto il mondo ed in tutti i fatti dice: “Venite, cercatemi,
affrettatevi perché il vostro tempo è breve: Io sono la Vita!”. Ce lo dice
insistentemente, ce lo ordina non per Sé, ma per noi, per non lasciarci morire.
La Parola di Dio propone a tutti gli uomini
una strada e promette un grande dono: la Luce! «Conoscerete la Verità»,
essa dice.
È un dono che tutto ci preannuncia e di cui
tutto parla, ma che nessuno può darci all'infuori di Dio, perché lo Spirito di
Verità procede dal Padre. Per questo è necessario ad un certo momento lasciare
la nostra mentalità del mondo, del gruppo o della massa: paraventi dietro cui
nascondiamo la nostra paura ad assumerci la responsabilità di un pensiero, di
un amore, di una fede, ad elevarci personalmente a Dio.
Il pensare e l'amare sono sempre atti
personali e solo chi sa portarli in sé può resistere alle sollecitazioni del
mondo. Invece la soggezione agli altri ed il mito del benessere ci hanno tolto
ciò che di più prezioso avevamo: la libertà personale ed il tempo interiore per
queste cose. Stiamo perdendo il meglio
di noi: estranei sempre più gli uni agli altri; incapaci di dialogare, di
amare, di riposare, di pensare e di contemplare; incapaci di fermarci e di
giungere alla nostra Pentecoste.
Mai l'uomo si è trovato con tanto mondo in
casa e fuori; mai si è trovato in mezzo ad una massa tanto grande di uomini e
mai si è sentito tanto solo e tanto vuoto!
Inginocchiatici davanti all'altare del
benessere, abbiamo ridotto tutti i rapporti umani all'utilità. Abbiamo così
inaridito le sorgenti del pensiero, del dialogo su cose vere e dell'amicizia.
Ciò che dà vita e ricchezza di sentimento e
umanità a tutto ciò che ci circonda, è lo Spirito che sta dentro di noi. Se
dentro ci svuotiamo, è impossibile ed assurdo credere di ottenere vita da ciò
che ci circonda.
Così oggi stiamo sperimentando in noi stessi
il bisogno dello Spirito: Dio sta diventando ciò che veramente è: l'unica cosa
necessaria. Manca però il silenzio necessario per accoglierlo.
La luce dall'Alto
Pentecoste è il giorno dell'incontro con lo
Spirito di Dio in noi, Luce che si dona dopo una lunga veglia di ricerca, di
silenzio, di preghiera: premio all'amore e rivelazione d'amore. «Chi mi ama -
dice il Signore - osserva le mie parole e noi verremo a lui»: parole
queste in cui si raccoglie il mistero di tutta la nostra vita. L'amore che noi
abbiamo alla Verità si rivela nell'osservare le parole di Dio. Osservare è
custodire, è vegliare, è fare silenzio. Per questo alla vigilia del mistero di
Pentecoste vi è un mistero di silenzio. Il vero amore è fatto di silenzio che
veglia, ed è questo che introduce alla Luce. Quando al silenzio corrisponde
l'amore, che è ansia, desiderio, ricerca, dedizione, allora si compie la cosa
più bella: l'unione.
Pentecoste è il fatto meraviglioso che sgorga
dal silenzio di chi attende Dio e dall'offerta di chi ama. Amore e silenzio. «E
noi verremo a lui e faremo la nostra dimora in lui», dice il Signore.
È l'inizio di una conoscenza nuova.
È una vita nuova: mentre prima conoscevamo
procedendo dal basso verso l'alto, ora incominciamo a conoscere procedendo
dall'alto verso il basso. Mentre prima avanzavamo saltando di cosa in cosa, per
separazione, ora avanziamo restando uniti: avanziamo nell'unità con vincoli
sempre più stretti.
Infatti lo Spirito di Verità è unione. Come
tale è il vero principio d'amore per noi e tra noi. Qui si cammina nell'unità.
Non vi è amore vero nell'uomo, non vi è unità possibile nel mondo, né dentro,
né fuori dell'uomo, senza questo Spirito di Dio.
È principio d'amore, di sapienza, di forza; è
principio di vita eterna.
Pentecoste: giorno in cui l'uomo trova la via
per soddisfare il suo anelito all'infinito e constata il senso della sua
esistenza e della sua vita. Questo giorno non è fuori di noi, ma dentro. E quel
vento non spira nell'aria, ma dentro i nostri cuori e fa di noi uomini nuovi:
uomini che vedono il Verbo di Dio ovunque, Lo ascoltano e Lo intendono;
capiscono La luce.
Quanti sono giunti a questa novità hanno la
luce nell'anima per sé e per il mondo: recano vita.
L'uomo nella società odierna è obbligato a
recitare più che a vivere; ma basta un soffio dello Spirito di Dio per portare
via tutte queste sovrastrutture di tradizione, di benessere, di figura che ci
soffocano l'anima, per spezzare le nostre catene e lasciarci andare liberi in
un mare di luce.
È lo Spirito di Dio che ci trasforma in uomini
nuovi, in uomini che non si preoccupano più di avere per essere, ma che non
vogliono avere per essere, perché sanno che l'uomo povero è molto più vero
dell'uomo che ha ricchezze.
Lo Spirito di Dio è il costruttore degli
uomini veri. Ma è anche la Verità verso cui tutto sta andando e che già lavora
dentro di noi, perché lo Spirito Santo di Dio gli uomini ce L'hanno nel cuore,
anche se si dicono atei, anche se Lo disprezzano, forti delle loro scienze e
non Lo degnano nemmeno di un loro pensiero. Ce L'hanno dentro, spaventosamente,
come qualcosa che cresce, che già cresce, e se Lo sentono e non se ne possono
liberare per quanto premano sul loro acceleratore. Poi un giorno saranno
portati di prepotenza di fronte alla Realtà. Per questo verrà un giorno in cui
saremo costretti a contare solo su Dio per rifare tutto, quando ci accorgeremo
che tutto ciò che abbiamo edificato non può stare su. Ma allora non vi sarà
altro che la nostra miseria e la Tua misericordia, o Dio; il nostro niente e il
tuo Tutto.
Vento di Pentecoste
È lo Spirito di Dio che forma l'uomo e lo fa
crescere, sempre che questi non si ripieghi su se stesso, fino alla sua
dimensione perfetta, fino cioè a quella pienezza in cui la Verità si fa Persona
presente e viva, fino a quella sovrabbondanza d'amore in cui la creatura canta
la gioia di vedere la gloria di Dio.
È lo Spirito di Dio che in noi ci fa
desiderare di penetrare tutte le cose, anche i segreti di Dio, perché Esso è
Amore e l'amore non può soddisfarsi di nozioni superficiali e lontane. Infatti
chi ama veramente, vive più nell'essere amato che in se stesso e non può durare
senza voler conoscere tutto di lui, tanto che ciò che gli rimane ignoto si muta
in sofferenza.
Lo Spirito del Signore riempie tutte le cose
dell'universo; dalle più piccole ed insignificanti (ma tutto è carico di
messaggi preziosi per l'uomo) alle più grandiose ed impressionanti. Tutto è
fatto da Lui, in Lui e per Lui.
La sua Presenza è la Realtà che più «pesa»
sull'uomo, anche se questi non la riconosce e la rifiuta. Ed è in questa realtà
che bisogna guardare le nostre realtà ed i nostri problemi se vogliamo
intendervi qualcosa, perché le parole, i segni, i messaggi per essere capiti
hanno bisogno della presenza dello Spirito.
Il mondo è essenzialmente «messaggio» di Dio
all'uomo e la nostra vita è tutta un'accolta di messaggi. Ma noi ci siamo
dimenticati troppo presto di guardare, di ascoltare, di riflettere, di
imparare.
Troppo
presto abbiamo creduto di essere sapienti ed abbiamo incominciato a fare, a
produrre, a guadagnare, e il mondo ha mutato per noi il suo volto. «Hanno
creduto che la vita fosse data loro per arricchire», dice la Bibbia (Sap.
15. 12).
Troppo presto ci siamo dimenticati di essere
spettatori, piccoli allievi di una scuola in cui bisogna essere molto pronti ad
ascoltare, ma molto lenti a parlare e ad agire, perché tante sono le cose da
imparare. «Se non accogliete il Regno di Dio come bambini, non entrerete in
esso».
Le nostre parole e le nostre azioni ci
disorientano e non ci lasciano più ascoltare lo Spirito di Dio. Se lo Spirito
di Dio non è ascoltato nei nostri cuori, noi siamo invasi da tutte le cose del
mondo e preda di tutte le vanità che ci lacerano e disperdono.
Non ci si può tuffare nel mare se non si sa
nuotare, così non si può pensare di lasciarci portare dal mondo e dagli
avvenimenti, se non si è ancorati al Pensiero di Dio. Senza di Lui nulla vi è
che non faccia male all'uomo; ma con Lui nulla vi è che possa far male.
È momento della massima importanza nella vita
dell'uomo incontrare lo Spirito di Dio, prendere coscienza della sua Verità e
della sua Presenza. Tanto importante che proprio per questo incontro furono
creati cielo e terra e tutte quelle cose meravigliose cosi ricche di sapienza e
di mistero in cui abbiamo anche noi incominciato ad esistere. Tutto è stato
fatto in vista di tale momento.
Per questo il giorno di Pentecoste, che
rappresenta tale incontro, è il più grande giorno dell'anno. Qui ritroviamo il
punto finale di tutta l'opera di Dio e di tutta la fatica dell'uomo: giorno in
cui la luce della Verità di Dio si fa, in noi; scoperta della Presenza di Colui
che è presente.
È
l'alba della Luce che si dona dopo una lunga notte di ricerca, di silenzio, di
preghiera; premio dell'amore che non ha mai voluto venir meno alla fedeltà ed
alla speranza durante tutte le prove e le tentazioni incontrate nella sua lunga
notte. Con questo giorno si inaugura una nuova era, una nuova vita. Entriamo in
una nuova terra ed in un nuovo Cielo, poiché tale Spirito fa nuove per noi
tutte le cose. È un centro, un vertice, una linea di spartiacque.
Ogni anno esso si ripete davanti ai nostri
occhi per dirci e rivelarci il fine, la ragione, il senso della nostra
esistenza: un colpo d'ala che ci porta nettamente in alto a farci vivere in una
dimensione nuova. È ciò che soprattutto manca agli uomini oggi, ai quali non
mancano certamente i mezzi per vivere, ma le ragioni di vita. E quando mancano
tali ragioni, nessun edificio può stare su, per quanto puntellato sia dal
benessere o dalle assicurazioni degli uomini. E che non possa stare su lo
gridano i giovani oggi con la loro protesta e le loro contestazioni. Essi
sentono quello che gli uomini adulti, ormai privi di vita, non possono sentire;
sentono che l'aria si è fatta irrespirabile e che il culto del benessere ha
privato l'uomo delle cose migliori: il pensiero e la libertà; sentono che la
società alla quale hanno incominciato a partecipare è vuota, senza ideali,
incapace di quelle grandi mete per cui vale vivere; sentono che bisogna fuggire
lontano, magari in un deserto dove si soffrono fatiche e disagi, ma si vive e
si pensa e ci si sente uomini e non ruote costrette a girare, anche se ben
lubrificate, negli ingranaggi di una macchina fino al giorno in cui verranno
gettate tra i rottami.
Gli uomini hanno voluto porre i valori
economici sull'altare della loro vita ed hanno sacrificato loro tutto di sé,
anche i figli, ed oggi stanno tristemente esperimentando cosa significhi
togliere la ricerca di Dio dalla vita dell'uomo, togliere il rischio di essere
vivi e liberi.
Lo Spirito di Pentecoste si rivela l'unica
cosa necessaria per la nostra vita, l'unica cosa in cui ogni uomo, comunque e
dovunque sia, deve impegnarsi, essendo stato creato per questo. Lo Spirito di
Pentecoste ripropone all'uomo questa ricerca di Dio «prima di tutto», perché
gli ripresenta il fine, lo scopo per cui esiste e deve vivere. È in questo
«prima di tutto» l'amore che libera l'uomo da ogni catena e lo redime e
disintossica e purifica rendendolo capace di doni migliori e di grandi cose; è
qui che si prova la serietà di un amore e di una ricerca e di una fede; è qui
che l'uomo, non più avvilito, ed incatenato al mito del benessere materiale,
ritrova il senso e la bellezza e l'avventura della vita, quella che Dio ha
voluto per lui.
Quando un giorno anche per noi apparirà la
Gloria divina e vedremo l'unità in cui tutto si raccoglie e ricompone, e
comprenderemo come tutto fu fatto e tutto accadde per opera di Colui che è
presente in noi e che rimase sempre con noi ogni giorno per impedirci di
precipitare negli abissi che affiancano le sue opere; quando vedremo e capiremo
di essere stati sempre pensati e compresi e conosciuti da Colui che volle fare
con noi una cosa sola anche quando più eravamo indegni di Lui; quando ognuno
personalmente conoscerà come sarà conosciuto, amerà come sarà amato,
comprenderà come sarà compreso: allora, se tutte le acque del mondo non saranno
state sufficienti a spegnere in noi quella sete di Verità che lo Spirito di Dio
ogni giorno rinnovava per liberarci dalle passioni inutili e farci uscire
liberi negli ampi orizzonti pieni di luce, grande sarà l'amore che ci unirà a
Dio ed a tutte le sue creature!
(Dal libro
“PENSIERI SU Dio” di Luigi Bracco, Ed. T.E.C., dalla pag.127 alla
pag.139)