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“L’indomani Giovanni vide Gesù che veniva a lui e disse: Ecco l'Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato dal mondo! Questi è Colui di cui ho detto: Dietro di me viene Uno che è più grande di me, perché esisteva prima di me; ed io non Lo conoscevo, ma per questo io sono venuto a battezzare con acqua, affinché fosse manifesto in Israele.”.Gv 1 Vs 29-31 Primo tema.


Titolo: Le tappe verso l’individuazione dell’Agnello di Dio


Argomenti: Il punto di contatto tra l’antico e il nuovo testamento. Tutti i giorni riceviamo le lezioni dell’antico testamento. L’individuazione di una cosa (“ecco”) richiede un fattore interno (desiderio) e un fattore esterno (presenza). La sofferenza di Giobbe. La vita personale con Cristo.


 

20/Giugno/1976


Introduzione

Eligio: Mi collegherei con un’affermazione che tu hai fatto non nell’ultimo incontro, ma nel penultimo, per farti una domanda. Hai detto che noi storicamente siamo a duemila anni dopo la venuta di Cristo, ma spiritualmente possiamo essere a cinquecentomila anni prima della venuta di Cristo, se non abbiamo ancora capito il senso dell'Antico Testamento che è tutto una preparazione a riconoscere e ad accogliere il Messia. Ma allora mi chiedo: noi ci fermiamo tanto sul Nuovo Testamento, sulle parole di Gesù; non sarebbe invece opportuno fermarci di più sui libri dell’Antico Testamento dal momento che non abbiamo ancora compreso a fondo il loro messaggio, la loro finalità, al fine di poter incontrare veramente Cristo e di avere la possibilità di intenderLo?

Luigi: Sì, si può anche fare...

Eligio: Si può o piuttosto si dovrebbe? Infatti ci sono ancora, almeno in me, molte infedeltà e incoerenze….Per cui vien da chiedermi: come mai avviene questo nonostante aver già sentito la parola del Cristo?

Luigi: È perché non siamo ancora maturi, non siamo ancora arrivati a quel punto di convinzione al quale dovrebbe condurci la meditazione su tutte le lezioni dell’Antico Testamento: la convinzione che Dio va messo prima di tutto e che la nostra salvezza, la possibilità di conoscere Dio,  ci può venire solo da Dio.

Eligio: Se la sintesi dell’Antico Testamento è il Battista, noi per saldarci al Cristo dovremmo realizzare quella situazione spirituale che ha realizzato il Battista, ma invece… Anzi, noi parliamo del Cristo, parliamo addirittura di Pentecoste, ecc., anche se siamo a …cinquecentomila anni prima del Battista. E allora cosa dovremmo fare?

Luigi: È per questo che soventi volte, anzi quasi sempre facciamo dei richiami all'Antico Testamento e al suo messaggio.

Eligio: Non sarebbe opportuno approfondirlo di più, senza limitarci a dei richiami?

Luigi: Siccome mi avevate chiesto di approfondire il Vangelo di S. Giovanni, ho accettato la vostra proposta perché avete insistito, anche se vi avevo avvertiti che era "duro". Adesso però ci troviamo con il bisogno di tornare indietro…

Eligio: Ma penso che lo stesso problema ci sarebbe anche se ti avessimo chiesto di approfondire gli altri Vangeli di s. Matteo, di s. Luca e di s. Marco….

Angelo B. : Perché tu, Eligio, pensi che il Vangelo da solo non basti, non sia sufficiente per incontrare il Cristo?

Eligio: No, anzi! Non solo penso che basti, ma che sia il compimento di tutta un’attesa; però per essere inteso bene, esso presuppone una preparazione precedente, un approfondimento dell’Antico Testamento…

Luigi: Però c’è da tener presente questo: che l'Antico Testamento si riassume nelle lezioni di vita che riceviamo ogni giorno dalla natura, dalla società, dal mondo. Tutti gli avvenimenti, tutte le nasate che prendiamo, ecc., sono tutte lezioni dell'Antico Testamento attraverso le quali Dio opera per formare in noi certe convinzioni e prepararci così all’incontro con Cristo.

Infatti quando parliamo dell'Antico Testamento, cosa intendiamo? Intendiamo la creazione, e quindi la natura, gli avvenimenti, ecc., tutta l'opera che Dio ha fatto e fa ancora oggi, per gli uomini che non sono ancora nati nuovi nello Spirito, per prepararli, perché è Dio che li prepara, all’incontro con il Cristo, facendo maturare in essi il bisogno di conoscere Dio.

Questa precisazione è necessaria per farci capire che se anche noi siamo storicamente a 2000 anni dopo Cristo, questo non vuol dire che spiritualmente siamo a 2000 anni dopo Cristo, perché se non abbiamo capito e realizzato questa preparazione, siamo ancora personalmente nell'Antico Testamento.

Quindi l'Antico Testamento è ancora oggi. Cioè le lezioni che Dio ci dà oggi sono le “lezioni antiche” dell'Antico Testamento per uomini che spiritualmente sono ancora nell'Antico Testamento, per uomini che non sono ancora maturi per quell'incontro con Cristo. Per cui Dio opera continuamente per convincerli a mettere Lui al centro della loro vita.

Però è anche vero che la lettura approfondita dell’Antico Testamento ci è di grande aiuto per capire l’operare di Dio, perché meditando sui libri dell'Antico Testamento noi acquistiamo quella coscienza, quella capacità di lettura necessaria per interpretare le lezioni che ci vengono date oggi attraverso tutte le cose, tutte le persone e tutti gli avvenimenti.

Eligio: Infatti nei libri dell'Antico Testamento, c'è una parola diretta di Dio che non c'è invece nella natura...

Luigi: Proprio per questo vanno meditati, perché i libri dell'Antico Testamento ci interpretano le lezioni che Dio ci dà oggi. Infatti anche quelle di oggi sono ancora sempre lezioni sue, “lezioni antiche” come quelle che leggiamo nella Bibbia e sono illuminate da essa.

Ecco perché il soffermarci sui libri dell'Antico Testamento ci aiuta: essi ci danno infatti la chiave per capire le “lezioni antiche” che Dio ci dà oggi, nella vita di oggi e che tendono a prepararci all’incontro con Cristo, alla vita con Cristo, la quale è una vita personale, una vita a tu per tu; mentre invece tutta la vita a livello di società, di natura, di relazione con il mondo (mondo commerciale, politico, ecc.), è solo preparazione, pedagogia a questo incontro.

Quindi, società, natura, politica, affari economici, incontri con le creature, ecc., sono tutte “lezioni antiche”, lezioni dell'Antico Testamento, attraverso le quali Dio ci vuol convincere della sua Verità, della sua Presenza in tutto, dei suoi ammonimenti a mettere sempre Lui al centro.

Ci vuol convincere, per cui Lui tiene presente la nostra fede o la nostra mancanza di fede, tiene presente la nostra mentalità e i nostri errori e naturalmente opera per cercare di farci maturare e farci approdare all’incontro con il Messia promesso, il quale poi dopo ci condurrà personalmente a conoscere Dio, cioè alla nostra Pentecoste.

 

Dall'esposizione di Luigi Bracco:

 

L'argomento di stasera è proprio questo: quand'è che noi arriviamo a questo incontro con il Messia? Cioè a dire quello che Giovanni qui dice: “Ecco l'Agnello di Dio!”?

In questa parola ”Ecco!” abbiamo il punto di sutura, abbiamo il punto di collegamento tra l'Antico Testamento e il Nuovo Testamento.

Abbiamo cioè il punto di contatto con il Messia: “Ecco! E’ Lui!”.

Perché prima si annunciava, si sospirava il Messia; qui abbiamo Giovanni che, dicendo: “Ecco!”, Lo individua e Lo indica. Ecco il punto di contatto!

Per cui con queste parole Giovanni Battista consegna al Cristo le creature che arrivano dall'Antico Testamento. Le consegna, le affida al Messia che finalmente è venuto.

Infatti, appena Giovanni Battista dice “Ecco!”, alcuni dei suoi discepoli (Andrea, Giovanni, ecc.) si staccano da lui e incominciano ad andare dietro al Messia: ecco la consegna!

E’ in quella parola “Ecco!” che avviene la consegna al Cristo.

Ora però, siccome Giovanni Battista interpreta per ognuno di noi quello che deve avvenire nella nostra vita, qui interpreta per noi quel momento in cui anche noi scopriamo, individuiamo, segnaliamo con il nostro dito il Messia e diciamo: “Ecco! E’ Lui!”.

Chiediamoci: quand'è che anche noi possiamo dire questo “Ecco!”?

Questo “Ecco!” è l'individuazione, la scoperta del Messia, scoperta che è poi il frutto di tutto l'Antico Testamento, cioè il frutto di tutte le lezioni di Dio, di tutte quelle lezioni che iniziano con la creazione e ci vengono date via via attraverso la natura, l'universo e tutto quello che vediamo, attraverso tutti gli avvenimenti e i fatti; frutto quindi di tutte quelle lezioni sul peccato, sui comandamenti, sulla legge, anche di quelle dateci attraverso i cosiddetti “castighi” dell'Antico Testamento e le minacce, attraverso i sospiri e le aspirazioni del popolo eletto, i Salmi, il profetismo, per cui i desideri dell'anima ad un certo momento maturano, maturano…, fino a quel giorno in cui la creatura diventa capace di poter individuare il “suo” Messia.

Il "suo" Messia, poiché tale incontro è una cosa personale e il rapporto con Lui è personale: è l’incontro con Colui che risponde alla mia attesa, con "Colui che mi salva", ed è solo Lui che “mi” salva.

Ecco perché Giovanni, l’uomo giusto, dice: "Non sono io il Messia, non sono io Colui che risponde alla tua attesa."!

E quand'è che anche noi possiamo dire: "Ecco Colui che risponde alla mia attesa! Ecco Colui che la mia anima desidera!"?

Che cosa deve essersi formato in noi per poter individuare questo?

Abbiamo già detto tante volte che per poter scoprire, individuare una cosa esteriore a noi si suppone sempre in noi una certa dimensione interiore; quindi se quella cosa non è desiderata da noi, noi non la vediamo fuori, anche se c’è.

Per cui il dire “Ecco!”, cioè l'individuazione di una cosa, presuppone due fattori:

-                            un fattore interiore: il desiderio di essa, quindi la formulazione in noi del bisogno di essa  (è necessario cioè che la creatura prenda coscienza di quello che vuole),

 

-                            e poi il fattore esterno: la presenza o la venuta della cosa stessa.

Infatti noi partiamo da una situazione in cui magari viviamo senza sapere che cosa vogliamo. Attraverso tante lezioni, poco per volta, matura in noi il desiderio principale, matura in noi la consapevolezza di quello che vogliamo prima di tutto, sopra tutto, e questa dimensione interiore è la prima “grazia”, perché soltanto quando noi sappiamo quello che vogliamo, abbiamo in noi la capacità di individuarlo fuori.

Però non basta l’elemento interiore. È necessario, ma non è sufficiente, perché aver in noi la fame, aver la sete, avere il desiderio di trovare ciò di cui si ha bisogno, e avere quindi la capacità di individuarlo, non vuol ancora dire trovarlo, perché la presenza di ciò che si desidera (il fattore esterno) è puro dono di Dio. Il trovare ciò che si desidera sarà quel "grazia su grazia" di cui abbiamo già parlato negli argomenti precedenti (“…e dalla sua pienezza noi abbiamo ricevuto tutto, e grazia su grazia”) e che risponde al bisogno che si è formato in noi, così come saranno “grazia su grazia” tutte quelle lezioni che riceveremo nel rapporto a tu per tu con Cristo, dopo averLo trovato ed individuato.

Allora diciamo la fame, il desiderio, è “grazia” di Dio che ci prepara al “grazia su grazia”.

La fame matura, si forma, attraverso tutte le lezioni dell'Antico Testamento.

Ma quando diciamo “lezioni dell’Antico Testamento”, noi intendiamo lezioni che non sono ancora quelle a tu per tu con il Maestro Divino (sì, Dio parla sempre personalmente, però prima di incontrare il Cristo, non c'è ancora da parte nostra questo rapporto diretto con il Maestro Divino), perché queste saranno quel “grazia su grazia”; ma sono quelle che riceviamo continuamente, tutti i giorni, e che, se le interpretiamo attraverso l’approfondimento dei libri dell’Antico Testamento, formano in noi la fame del Cristo.

Infatti è la meditazione sull’Antico Testamento che forma in noi la capacità di leggere e di capire (per fede, si capisce!) le lezioni che Dio sta dando oggi per formare in noi il desiderio dell’incontro personale con il Maestro Divino, perché lì troviamo la spiegazione dell’operare Divino.

Vediamo, ad esempio, che continuamente il Signore quando riprende il suo popolo, gli spiega il motivo per cui gli ha mandato i cosiddetti “castighi”, come quando dice: “Io ho suscitato questo nemico contro il mio popolo (quindi contro di te), poiché tu Mi hai dimenticato...”

E così incominciamo a capire che tante cose intorno a noi Dio le fa, Dio ce le manda, perché noi ci siamo dimenticati di Lui. Quindi continuamente Dio ci ripete, attraverso gli avvenimenti: “Ricordati…! Ricordati…! Ricordati di Me...! Rapelle…! Rapelle…!”.

Tutti gli avvenimenti sono cartelli indicatori. Ora come facciamo noi a capirli, a leggerli? Attingendo all'Antico Testamento. Ad esempio, nel Libro dei Giudici (e non parliamo poi del Libro di Isaia e degli altri Profeti) continuamente abbiamo questa interpretazione degli avvenimenti: "Ti è accaduto questo, perché tu ti eri allontanato da Me", …"Ti è successo questo, perché tu ti eri dimenticato di Me".

Però vediamo anche che quando il popolo ritorna a Dio, ecco che il Signore fa allontanare il nemico, riporta la pace.

E così anche in tutti gli altri libri della Bibbia abbiamo continuamente tale interpretazione dei fatti.

Ecco quindi la validità della Bibbia! Per questo, se la meditiamo, poco per volta essa ci convince del “perché” Dio ci manda certe lezioni, per cui ci dà la capacità di leggere gli avvenimenti “antichi” che avvengono oggi (chiamati “antichi” perché svolgono in noi la funzione dell’Antico Testamento) alla luce degli avvenimenti narrati ed interpretati dalla Scrittura.

In tal modo ci dà la capacità di maturare in questa convinzione: sul “perché” di certe lezioni e su ciò che dobbiamo volere prima di tutto.

Tale convinzione poco per volta ci deve poi portare a questa fame di Dio che è “grazia”, il fattore interiore che ci dà la possibilità di individuare fuori di noi il Messia (cioè il fattore esteriore) quando si presenta a noi. 

Infatti, abbiamo detto, l'individuazione del Messia, il poter dire: "Ecco!", suppone ancora un secondo elemento, quello esteriore, che non dipende più da noi, e che è la venuta dell’Altro, la Presenza dell'Altro, l'incontro con l'Altro.

La Presenza dell'Altro è dono di Dio, puro dono di Dio. Per cui, avendo fame, noi sospiriamo, invochiamo: "Signore, mandaci il Pane!", ma non basta tutta la nostra fame per far esistere il Pane o perché il Pane venga a noi.

Il giorno però in cui Dio ci manda il Pane, allora la nostra fame Lo individua: "Ah, ecco Colui che io aspettavo! Questo è il "mio" Messia! Questa è la mia salvezza!".

E allora, naturalmente, con tutta la preparazione che Dio ha realizzato in noi, quindi con la coscienza di quello che volevamo e vogliamo, incontrandoLo, gli andiamo dietro. Ormai abbiamo la disponibilità di accoglierLo e di seguirLo; per cui l'incontro con Lui è “grazia su grazia”.

Alllora, nell’opera di Dio ci sono questi due tempi, per cui possiamo dire che:

-                            la prima grazia di Dio (il primo tempo) tende a formare in noi il desiderio, la fame, quindi la coscienza di quello che vogliamo;

-                            la seconda grazia (il secondo tempo dell’opera di DIO) che si aggiunge alla prima, quindi “grazia su grazia” (perché se in noi non matura la prima grazia non si arriva alla seconda), è la presenza dell’Altro.

Quindi, anche se è da duemila anni che è venuto il Messia, se in noi non matura la fame, noi Lo possiamo anche esteriormente incontrare o possiamo già averLo incontrato, ma a noi non dice niente e quindi naturalmente non vediamo in Lui la nostra salvezza.

È per questo che Cristo stesso viene presentato come Colui che è motivo di salvezza, ma anche motivo di rovina, perché ci evidenzia se abbiamo maturato o no interesse per Dio, e soprattutto perché, se Lo trascuriamo, noi trascuriamo l'unico Pane, l’unica Salvezza.

Eligio: Quindi (scusa se ti interrompo) quanto stai dicendo mi riconferma la necessità di fermarci di più a meditare sui libri dell’Antico Testamento, perché se è pur vero, come hai detto, che l'Antico Testamento si riassume nelle lezioni di vita che riceviamo ogni giorno, però se noi non ci fermiamo ad approfondire le lezioni che sono state scritte sulla Bibbia, rischiamo di non capire le lezioni che Lui ci manda oggi, con la conseguenza che non si forma in noi il desiderio del Cristo e quindi la capacità di riconoscerLo, cioè di incontrarLo personalmente, quando Lui si presenta a noi...

Luigi: Sì, è vero, perché “tutto quello che è stato scritto, dice S. Paolo, è stato scritto per la nostra salvezza, per la nostra istruzione”; quindi trascurando la Scrittura, che è Scrittura sacra (è lettera di Dio!), noi praticamente rifiutiamo di aprire una lettera che Dio ci manda. Dio ci ha mandato una lettera e noi la lasciamo sigillata, non ci degniamo nemmeno di aprirla!

Invece noi dovremmo avere molto tempo per studiarla, per meditarla molto, perché è lettera di Dio, è parola di Dio!

Però, se noi non abbiamo fatto questo prima dell’incontro con Cristo, siccome Cristo, venendo, si collega all’Antico Testamento, anzi riassume in sé tutto l'Antico Testamento, Lui stesso ne svolge la funzione, se noi però ci fermiamo molto con Lui.

È Lui stesso che ci fa meditare sulle lezioni dell’Antico Testamento, appunto perché Egli lo riassume in Sé: prende l'Antico e lo porta a conclusione.

Quindi Lui prende la nostra situazione: ci prende così come ci troviamo, anche magari impreparati e ci fa rivivere le tappe antiche, se noi però Lo seguiamo e siamo attenti alle sue parole e lezioni.

Comunque sia, non penso che quando si giunga al Cristo e si cammini con Lui, si trascuri poi l’approfondimento della Scrittura. Anzi, anche dopo l’incontro con Cristo, proprio perché si ama Dio, si va alla ricerca di tutto quello che è opera di Dio, di tutto quello che è lezione di Dio, per cui uno finisce di amare molto la Scrittura, perché trova lì una miniera da cui continuamente si estrae la sapienza, ed è una sapienza infinita!

Nei Salmi, nei Profeti, in tutti i Libri della Sapienza, se uno ha molto amore per Dio e va alla ricerca di tutte le opere di Dio, trova delle lezioni immense, perché scruta tutte le parole e le penetra, poiché sa che sono parole di Dio.

L’incontro stesso con il Cristo ti riconduce a questo amore per la Bibbia, anche perché Lui stesso ti sollecita: "Scrutate le Scritture, parlano di Me!" (Gv 5, 39) …“Non avete letto nelle Scritture…” (Mt 21, 42) …”Hanno Mosè e i Profeti: ascoltino loro!” (Lc 16, 29) …”E non avete letto che il Creatore dell’uomo fin dal principio….” (Mt 19, 4) …”Che cosa è scritto nella Legge? Che vi leggi tu?” (Lc 10, 26), ecc. ecc.

Ecco: ”Scrutate le Scritture: esse parlano di Me!”. Quindi se stai con Cristo, Lui stesso ti invita a questo approfondimento: "Scruta le Scritture! Scrutale e troverai la conferma di Me! ".

E con queste parole, non solo ti invita a meditare sulla Bibbia, ma su tutte le opere di Dio, come se ti dicesse: "Scruta anche le stelle, scruta anche l'universo, scruta la natura, scruta gli uomini: parlano di Me!", poiché tutto è Scrittura di Dio.

Guarda quindi ciò che ti circonda! Ad un certo punto Lui te lo dice espressamente: "Scruta la natura…, guarda gli uccelli dell'aria…, guarda i gigli del campo...".

E questo che cos’è? È “lezione antica”. E' la lezione che ci dà la natura.

Ma la lezione che ci dà la natura è la lezione che ci dà la creazione. La creazione è il primo libro che Dio ci mette davanti.

È Gesù che ce lo fa capire quando ci dice: "Guarda gli uccelli del cielo…: gli uccelli non seminano, non mietono, non raccolgono nei magazzini: eppure il Padre vostro celeste li nutre…; guarda i gigli del campo: essi non lavorano e non filano…: è il Padre vostro che li riveste così…" (cf Mt 6, 26), e ne trae una lezione per noi, quella che noi dovremmo sempre tirar fuori quando osserviamo la natura: cioè questa enorme fiducia in Dio e un impegno a cercare Lui prima di tutto, perché “tutto il resto vi sarà dato in soprappiù!”.

Per cui Gesù ci dice: "Perché temete, uomini di poca fede? …Sono Io!" (Mt 6, 30): cioè Lui è in tutto, Lui è presente in tutto! E’ Lui che fa tutto! “In tutto sono Io…”. Se noi ne siamo convinti, allora dobbiamo avere questa grande fiducia in Dio!

E questa è la prima lezione che Dio ci dà attraverso la natura, attraverso la creazione.

Poi la Scrittura si aggiunge alla natura: è Parola di Dio sulla parola di Dio, Parola che illumina la parola.

Allora, la prima lezione quindi che ci dà la natura è proprio questa: “Ma fai conto su Dio! Abbi fiducia! Non aver paura!”. Perché in effetti noi abbiamo paura di tante cose. Come mai?

Siccome noi non siamo capaci ad intendere le cose secondo lo Spirito o a vivere secondo lo Spirito, per cui continuamente scivoliamo dallo Spirito, ecco allora che subito Dio ci manda un richiamo. Questo richiamo cosa crea in noi? Crea in noi una situazione di paura, di sgomento, perché non capiamo.

E' la paura che uno avverte quando si accorge di essere su una strada sbagliata, di aver sbagliato strada. Però il Signore ci dice: "Non temere, sono Io!".

Quindi, richiamandoci, rimproverandoci, ci dà, sì, la lezione di paura, “perché – dice - ti sei allontanato da Me!", ma nello stesso tempo ci dice: "Non temere: sono Io!", cioè: "Sono Io che ti sto correggendo dai tuoi sbagli, quindi ti do la possibilità di rientrare sulla strada buona, di ritrovarla!".

Non dobbiamo dunque avere mai paura! Perché, lo vediamo nel Vangelo, in tutte le cose o situazioni difficili, quando il Signore si presenta, dice: "Non temete!". Anche nella burrasca Lui rassicura: "Sono Io, non temete!". Oppure rimprovera: "Perché temete?" . È sempre quel richiamo, quel rimprovero continuo, per dire a noi, ed è la “lezione antica”, che dobbiamo far conto su Dio, che dobbiamo aver fiducia in Dio: questa è la lezione fondamentale e che continuamente anche il Cristo nel Vangelo ci ripete.

Tutto il Vangelo infatti è un continuo rimando alla Scrittura antica.

Anche questa stessa pagina di Vangelo che stiamo meditando ci rimanda ad essa: infatti ci presenta il Battista che riassume tutte le lezioni dell'Antico Testamento e le conclude perché giunge all’individuazione e alla segnalazione del Cristo. Per cui il Vangelo stesso, presentandoci Giovanni Battista, ci invita a seguire anche noi il cammino da lui percorso.

Perciò adesso, riprendendo l’argomento di stasera, sarebbe interessante, se ne abbiamo il tempo, rivedere le diverse tappe di Giovanni Battista, attraverso le quali egli arriva a dire: "Ecco!", cioè all'individuazione del Messia.

Infatti in questo primo capitolo del Vangelo di s. Giovanni, abbiamo trovato, se avete fatto attenzione, diverse presentazioni del Battista. L’Evangelista cioè ce lo presenta in diversi quadri che evidenziano le tappe che anche noi dobbiamo interiormente percorrere. Vediamoli:

1.       Il primo quadro che abbiamo visto è questo: " Non era lui la Luce” (“Vi fu un uomo mandato da Dio il cui nome era Giovanni; egli venne quale testimone per rendere testimonianza alla Luce, affinché per mezzo di lui tutti credessero. Non era lui la Luce, ma…”- Gv 1, 6-8).

Ecco, il primo quadro rappresenta il primo passo, la prima lezione dell'Antico Testamento:

Giovanni Battista non era la Luce.

E poiché egli significa e ricapitola in sé la lezione di tutte le cose, siccome lui non è la Luce, anche tutte le cose non sono la Luce, noi non siamo la Luce.

Il capire questo annuncio è la prima grazia. Ma lo capiamo se aderiamo ad esso, cioè se non pretendiamo di vedere, cioè se non presumiamo di essere capaci di vedere. Allora si forma in noi questa consapevolezza: noi non siamo la Luce, le cose non sono la Luce.

La Luce è invece la Parola di Dio: «In principio Dio disse: "Sia fatta la luce"» (Gen 1, 3).

Quindi noi abbiamo la situazione iniziale, che è la situazione di fede e di giustizia essenziale, costituita dalla convinzione che:

-                                                        noi non siamo la Luce;

-                                                        tutte le creature non sono la Luce;

-                                                        la Luce è la Parola di Dio.

Se noi abbiamo questa fede qui, abbiamo il primo dono della grazia. Se noi aderiamo a questa, facciamo il primo passo e ci prepariamo al passo successivo, cioè alla domanda: che cosa sono allora le creature? Che cosa era Giovanni Battista?

2.                               E qui si apre il secondo quadro: “…venne per rendere testimonianza alla Luce…”  (Gv 1, 8). Ecco ciò che è Giovanni Battista: una testimonianza della Luce!

Siccome in Giovanni Battista si sintetizza tutto, ciò significa che anche tutte le creature sono testimonianze della Luce e che anche noi siamo una testimonianza della Luce.

Quindi in Giovanni capiamo cosa sono le creature e cosa siamo noi:

-                                                        tutte le cose non sono la Luce, ma sono testimonianza della Luce,

-                                                        noi non siamo la Luce, ma siamo una testimonianza della Luce,

Ma quello che noi siamo è anche quello che dobbiamo essere; cioè noi siamo testimonianza della luce, perché comunque siamo e comunque viviamo siamo una testimonianza di Dio, ma dobbiamo anche consapevolmente essere testimonianza a Dio, alla Luce.

Allora, se noi ci preoccupiamo di essere testimonianza alla Luce, qui avviene in noi qualche cosa di nuovo, avviene già una trasformazione, un inizio di trasformazione di vita, di identificazione tra quello che siamo e quello che dobbiamo essere: non parliamo più autonomamente, ma rendiamo gloria a Dio in tutto, sia in quello che diciamo e sia in quello che facciamo verso le altre creature.

Ecco, dobbiamo preoccuparci di essere testimonianza alla Luce, non di parlare di noi stessi!

Questo è il secondo passo. E allora poco per volta, passo dopo passo, abbiamo quel “grazia su grazia” che matura la creatura fino a quell’”Ecco”, cioè fino all’individuazione del Messia.

3.     Il terzo passo lo troviamo subito dopo il Prologo nel v. 15, quando Giovanni parla di “Colui che viene dopo di me…”.

Abbiamo cioè la terza presentazione di Giovanni Battista, il terzo nostro incontro con lui, quando egli rende testimonianza a Gesù esclamando: “Questi è Colui che io vi ho annunciato così: “Colui che viene dopo di me è più grande di me, perché era prima di me”.

Con queste parole, il Battista ci fa pensare alla necessità di superare noi stessi. Infatti qui lui parla del superamento di se stesso. È come se dicesse: "Colui che troverò dopo di me… (cioè dopo aver superato il pensiero del mio io)… è più grande di me, perché era prima di me".

Giovanni Battista sintetizza, e quindi rivela, la vera voce di tutte le creature e la vocazione di ogni uomo. Quindi invita noi (e tutte le creature invitano noi) al superamento di noi stessi per trovare "Colui che viene dopo di me...", cioè Colui che troverò dopo aver superato me stesso.

Quindi con queste sue parole il Battista pone già in noi il pensiero del superamento di noi stessi.

Lo stesso concetto l’abbiamo trovato anche la volta scorsa, al v. 27, quando disse che vi è Uno che sta in mezzo a noi e che noi non conosciamo: “In mezzo a voi sta Uno che voi non conoscete, il quale verrà dopo di me, pur essendo prima di me e di cui non sono degno di sciogliere il legaccio dei calzari”.

Ed è richiamato anche qui, su questi versetti sui quali stiamo riflettendo, dove, dopo aver segnalato il Cristo (“Ecco l'Agnello di Dio!”), il Battista precisa: ”Questi è Colui di cui ho detto: Dopo di me viene Uno che è più grande di me, perché esisteva prima di me”(Gv 1, 30).

E anche in seguito Giovanni Battista ci richiamerà ancora a questa necessità di superare noi stessi, dicendo: “È necessario che Lui cresca ed io diminuisca”(Gv 3, 30).

Allora:

-                            noi non siamo la luce,

-                            siamo testimonianza della luce,

-                            dobbiamo superare noi stessi.

4.     Nel quadro successivo, la risposta di Giovanni ai Farisei rappresenta il quarto passo: “Io sono una voce…”.

In questo nuovo episodio i Farisei gli avevano chiesto: "Chi sei tu?" e lui risponde loro: "Non sono io il Messia! Non sono io il Cristo…Io sono la voce di colui che grida nel deserto: raddrizzate le vie del Signore!”. (Gv 1, 19-23)

Qui Giovanni Battista afferma di non essere lui Colui che tutti attendono, ma di essere solo una voce che orienta a fare diritta la strada verso Colui che risponderà all’attesa delle creature. Dicendo: “Raddrizzate le vie del Signore!", egli fa maturare nelle anime il desiderio di un rapporto diretto con Dio.

Quando si percorre questa quarta tappa?

-                            quando si è formata anche in noi questa consapevolezza: “Non sono io il Messia, non sono io che posso rispondere all’attesa delle creature e non sono le creature che possono rispondere alla mia attesa”; e quindi quando abbiamo la consapevolezza di essere solo una voce che invita a far diritta la via verso il Messia;

-                            e, di conseguenza, quando in noi si è formato questo bisogno, questo desiderio di stabilire un rapporto diretto con Dio.

Certamente le creature non possono rispondere all’attesa delle creature. Ma anche l'uomo che confessa la propria cecità, che riconosce di non sapere e che dice: "io non sono la Luce!", e che è quindi un uomo giusto ed onesto (penso, ad esempio, alla grandezza di Socrate che confessava di non sapere), nemmeno lui è colui che risponde all'attesa delle creature. Perché?

Perché le creature hanno bisogno di incontrare la Luce! A loro non basta incontrare uno che dica loro: "io non sono la Luce!". Non è quella la loro salvezza!

Certamente è già una gran cosa incontrare un uomo che dica: "io non sono la Luce! Io non sono la Verità, io non La conosco!", perché là dove si riconosce di non sapere, per lo meno abbiamo l'uomo giusto, abbiamo l'uomo onesto (perché purtroppo abbiamo invece degli uomini che dicono: "Io sono la Verità, io sono tutto!"); però non basta questo a soddisfare la fame delle creature, perché le creature hanno bisogno di incontrare la Luce.

Quindi le creature possono incontrare segnalazioni che dicono: "io non sono la Luce!", e sono segnalazioni giuste, ma questo non risponde alla loro attesa.

Ecco perché Giovanni Battista non parla di sé, ma ci invita a raddrizzare le vie del Signore, cioè a prendere diretto contatto con Colui che è la Luce!

Per questo dice, ed insegna a noi cosa dobbiamo dire: "Io non sono il Profeta…, io non sono il Messia…, io non debbo parlare di me stesso! Non dovete guardare a me! Io sono semplicemente una voce!…".

E che cosa dice questa voce? È la voce di tutte le cose, ed è la voce di tutte le creature.

Ma che cosa dice? Dice: "Raddrizzate le vie del Signore, raddrizzate i sentieri di Dio!".

Ed ecco allora che poco per volta questa voce, se l’ascoltiamo, ci fa maturare, cioè ci mette in diretto rapporto con Dio, perché abbiamo detto che raddrizzare la via di Dio vuol dire:

-                                             ricevere tutto da Dio direttamente,

-                                             dialogare direttamente con Dio, riportando tutto a Lui,

-                                             entrare quindi in rapporto diretto con Dio.

Giovanni Battista, dicendoci: "Raddrizzate le vie del Signore!”, ci invita dunque a prendere diretto contatto con Dio. 

Allora qui capiamo che:

-                                      tutte le cose, che sono sintetizzate nell'Antico Testamento, il quale a sua volta è sintetizzato in questo grande Profeta che è il Battista, ci invitano a prendere diretto contatto con Dio, ad alzare direttamente i nostri occhi a Dio;

-                                      noi stessi dobbiamo invitarci ed invitare le creature a prendere diretto contatto con Dio, ammonirci ed ammonire le creature ad evitare di prendere diretto contatto con noi e di credere soltanto quello che diciamo noi, perché ogni creatura è fatta per Dio e deve prendere contatto con Dio. È Lui che risponde alla loro attesa! Per cui anche noi, come il Battista, dobbiamo dire loro che non siamo noi Colui che esse attendono.

Ma allora succede che, invitata da tutte le cose a prendere diretto contatto con Dio, la creatura viene a trovarsi nella situazione di sgomento e smarrimento. Perché sorge il problema: come e dove la creatura può trovare Dio per mettersi in contatto diretto con Lui? Dice S. Paolo: "Chi salirà fino al Cielo per incontrare il Signore?".

5.     Ed allora ecco nel quadro successivo la segnalazione di Giovanni Battista: “…vi è tra voi, in mezzo a voi, dentro di voi, Uno che voi non conoscete".

Ed è per farci capire questo che il Battista dice di essere venuto a battezzare: "Io battezzo (battezzare vuol dire illuminare) per dirvi che vi è tra voi, in mezzo a voi, dentro di voi, Uno che voi non conoscete" (Gv 1, 26).

Ecco, Dio non è quindi nei cieli lontani, ma è in voi, è dentro di voi!

Vedete che ormai il rapporto è vicinissimo?

Quindi tutte queste “lezioni antiche” hanno portato la creatura, ognuno di noi, a desiderare il rapporto diretto con Dio, a prendere diretto contatto con Dio e a scoprire che Egli abita in noi.

Per cui vedete che è tutta un'educazione a volere, a prendere coscienza di quello che dobbiamo veramente volere e dove dobbiamo cercarlo?

Quando infatti abbiamo ricevuto questa lezione: “Sappi che Colui che tutte le cose ti sollecitano, ti invitano a guardare, a cercare prima di tutto, facendo diritti, immediati, questi rapporti con Lui, ecco, abita in te”, allora abbiamo capito Chi dobbiamo cercare e dove dobbiamo cercarLo.

“Egli è più vicino a te del tuo stesso desiderio, della tua stessa gola!", dicono gli Arabi. È intimo a te, vicino a te. Dire che è vicino vuol dire che è trovabile, che è accessibile. Vicino vuol dire questo. Quindi non va inteso “vicino” come tempo, ma vicino come accessibilità: è accessibile a te, è prossimo a te, è in te.

Dicendoti: "E' in te!", vedi che ti rende accessibile la cosa?

6.     Per cui noi a questo punto arriviamo alla conclusione di tutti questi passi, cioè all'“Ecco!”: “Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo!” (Gv 1, 29).

Cosa troviamo qui? Si arriva finalmente all’individuazione del Cristo!

Ecco, in Giovanni Battista è sintetizzata tutta l'opera dell'Antico Testamento per portarci ad individuare il Cristo; per cui se noi ci avviciniamo a lui meditando le sue parole, noi troviamo che egli ci fa rivivere tutte le tappe che abbiamo visto: è un cammino che ci purifica fino a portarci a prendere coscienza di quello che dobbiamo veramente volere per poter individuare il Cristo come "mia” salvezza, come "mio” Messia, perché deve essere il “nostro” Messia personale, il “nostro” Salvatore. Infatti è qui che scatta poi il rapporto personale: "Ecco! È Colui che io aspettavo!".

Il rapporto con Lui diventa qui un rapporto personale! Prima invece no!

Prima di fare il cammino del Battista, noi riceviamo le lezioni, ma siamo come dei numeri... Invece qui, alla conclusione del cammino segnalato da lui, incomincia la vita personale con Dio, perché incomincia questa volontà che sa quel che vuole: "Io voglio Lui!".

Quindi fintanto che in noi non è maturata questa volontà qui, questa consapevolezza che la nostra salvezza è solo in Dio, noi non siamo maturi per l'incontro con il Cristo, anche se sentiamo parlare di Lui, anche se Lui è stato nel nostro mondo duemila anni fa, anche se tutto ci richiama a Lui: noi non siamo maturi per individuarLo, perché non sappiamo quello che vogliamo!

Ad una persona che non sa ancora quello che vuole tu non puoi dire o indicare qualcosa, né fargli trovare qualcosa o qualcuno, perché, come ho detto, una delle condizioni principali per poter individuare fuori un bene o incontrare qualche cosa, è il desiderio di essa, cioè sapere quello che si vuole.

Ma è proprio a questo punto qui, quando si è formata in noi la consapevolezza di ciò che vogliamo, cioè dopo aver percorso le varie tappe indicateci dal Battista, che noi scopriamo il peccato che c'è in noi e nel mondo, la nostra incapacità, l'impossibilità nostra di liberarci dalle nostre schiavitù.

Ed è proprio questa scoperta che ci dà poi la possibilità di scoprire in Cristo "l'Agnello che toglie il peccato dal mondo". Perché?

Siccome diventiamo figli delle nostre opere, pur desiderando Dio e pur essendo ammoniti da tutte le cose che Dio è con noi, che Dio è in noi, ecc., noi siamo schiavi: schiavi del nostro peccato, schiavi delle nostre opere, le quali ci hanno reso schiavi delle persone, del mondo e di noi stessi.

Abbiamo bisogno di essere liberati.

Ma fintanto che noi non incontriamo "quella" Persona che risponda alle nostre attese (e qui, essendosi formato in noi questo bisogno specifico, siamo ormai vicini a quella segnalazione, a quell'individuazione, a quell’“Ecco l’Agnello che toglie il peccato dal mondo!”), fintanto cioè che noi non incontriamo una Persona tra noi, Persona Divina, che risponda alla nostra fame di Dio e che prenda su di Sé il nostro peccato, non possiamo essere liberati dalle nostre schiavitù.

Pensieri  tratti dalla conversazione:

 

Eligio: Quell'"Ecco!" è pronunciato dal Battista solo per fede o ne aveva una visione chiara nel suo pensiero e quindi una coscienza certa?

Luigi: Sì, ne aveva la coscienza certa, però non è che l’abbia capito con il suo pensiero, ma con lo Spirito. Infatti era lo Spirito che nel deserto, quando lo mandò a battezzare, gli aveva annunciato un segno: “Colui sul quale tu vedrai lo Spirito scendere e fermarsi, quegli è Colui che devi segnalare: quegli è Colui che battezza nello Spirito Santo”.

Aveva bisogno di un segno, perché prima di battezzare Gesù, il Battista non Lo conosceva ancora come l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo, pur avendo già parlato di Gesù come Colui che tutti attendevano, Uno che veniva dopo di lui e che era più grande di lui, perché era prima di lui.

È il Battista stesso che lo dice qui, nel v. 31: ”Ed io non Lo conoscevo, ma per questo io sono venuto a battezzare con acqua, affinché fosse manifesto in Israele…”.

E lo ripeterà anche nel v. 33: ”Ed io non Lo conoscevo, ma lo Spirito che nel deserto mi ha mandato a battezzare, Egli stesso mi ha detto…”.

BattezzandoLo, ha visto il segno che lo Spirito nel deserto gli aveva preannunciato, per cui Lo ha potuto segnalare con certezza. “Ecco! È Lui!”

Il Battista quindi è venuto a battezzare proprio per questo: affinché fosse noto, affinché fosse conosciuto. È lui stesso che lo dice: “Per questo sono venuto a battezzare, affinché fosse manifesto in Israele".

Infatti solo dopo aver battezzato Gesù, può dire con certezza: "Ed è ben ciò che io ho visto e io rendo testimonianza che questi è il Figlio di Dio, il Messia" (Gv 1, 34).

Quindi il Battista Lo individua perché aveva avuto una segnalazione dallo Spirito che gli aveva detto che Colui sul quale avesse visto lo Spirito scendere e fermarsi era Colui che doveva segnalare.

E, in quanto ha visto quel segno corrispondente a quanto lo Spirito gli aveva detto, L’ha potuto individuare e segnalare.

Però notiamo questo: che quello che è avvenuto in Giovanni Battista, illumina, interpreta per ognuno di noi quello che deve avvenire nella nostra vita, nella nostra coscienza, quello che deve maturare in noi, perché siamo noi stessi, cioè è la nostra coscienza che ad un certo momento deve dire: "Ecco! È Lui! Era quello che aspettavo!".

Eligio: Però a noi come è possibile realizzare quello che Giovanni Battista ha realizzato, per poter giungere a dire come lui: “Ecco! È Lui!”?

Pensiamo alla sua vita nel deserto, alla sua austerità, a tutta la preparazione che ha avuto…! C’è di che scoraggiarci…! Come potremo anche noi giungere ad avere la sua chiarezza di visione e la sua certezza su Cristo come Salvatore dell'umanità?

Luigi: Certo, noi siamo sempre in difetto rispetto a quelle che sono le grandi opere di Dio, le grandi grazie di Dio, è vero.

Eligio: Ma siccome tu dicevi che c’è e ci deve essere un’analogia tra noi e il Battista, perché quello che è avvenuto in lui deve avvenire anche nella nostra vita, allora…

Luigi: Certo, ma il Signore ci mette un grande esempio appunto per sollecitarci; ma se anche solo facessimo un piccolo passo così, per lo meno sarebbe sempre un piccolo passo positivo nel vero senso: verso la meta.

Quello che è importante è avere chiara la meta, perché avendo davanti la meta, ogni piccolo passo che facciamo è verso la meta! La meta è altissima, e Dio ce la fa vedere altissima, ed è logico che sia altissima! Ma vi si arriva passo dopo passo.

Da parte di Dio, possiamo essere sicuri che Lui non mette dei limiti.

I limiti, i difetti sono solo da parte nostra: la nostra miseria, la nostra povertà! Ma, come si diceva la volta scorsa, tutte le nostre speranze sono sulla misericordia di Dio. Bisogna far conto su Dio!

Quello che però veramente importa, e che è grande, è questo: avere la coscienza del fine, della meta, la coscienza del nostro destino, la coscienza di questi veri valori. È questo che è molto importante!

Perché poi questa coscienza del fine poco per volta macera dentro di noi, ci fa maturare, ci distacca da tante vanità, perché avendo presente la meta, non possiamo più entusiasmarci per tante vanità.

Sono convinto che dopo aver meditato su certe lezioni di Dio, se qualcuno ci invitasse ad andare ad una festa da ballo, ci metteremmo a sorridere. Come mai? Per quale motivo ci metteremmo a sorridere?

Perché si è già formata in noi una certa convinzione, una valutazione di certi beni, al confronto dei quali è logico che il resto ci faccia sorridere.

Mentre invece se non avessimo meditato su certe lezioni di Dio e fossimo quindi ad un altro livello, ci entusiasmeremmo e accetteremmo di andare ad una cena o ad una festa da ballo.

Ecco, vedi, il riflettere su certe lezioni di Dio, tenendo presente la meta, forma in noi certe convinzioni che ci cambiano.

Infatti non c'è nulla che noi ascoltiamo che vada perduto, anche se noi siamo lontanissimi, perché in quanto ascoltiamo vuol dire che ci mettiamo un po’ di buona volontà, un po' di dedizione, un po' di fede, un po’ d’amore. Tutto è positivo!

Il semplice fatto che Dio ci faccia valutare la grande distanza, è già grazia, perché ci fa sentire questa povertà, ci rende umili, e questo è positivo, è un bene.

Quindi non c’è nulla che noi ascoltiamo da Dio che sia inutile. Il vero guaio è solo quando noi ci rifiutiamo di ascoltare o di aprirci a certe sue lezioni.

Eligio: Resta però una profonda tristezza per il fatto di sapere che c’è il cibo che potrebbe saziare la nostra fame e di non potercene cibare a motivo delle cose usuali di ogni giorno che ci portano lontano. 

Luigi: Si, però vedi, più si forma in te questa carica di fame, e più sfrutti il tempo libero che il Signore ti offre. Se hai cinque minuti di tempo, vai subito ad attingere lì! Ecco, hai già un criterio di scelta: allora non ti diverti più a leggere un rotocalco; ma se hai cinque minuti di tempo vai subito ad attingere al Vangelo, a quel cibo che è veramente sostanzioso (il vero “pane di montagna” di cui si parlava prima dell’incontro).

Insomma, non sprechiamo più tempo a mangiare delle… bignole che ci fanno solo del male!

Angelo B.: Con l’espressione “vero pane di montagna” quel Sacerdote di cui si parlava prima dell’incontro aveva voluto però indicare le tue Meditazioni domenicali. Parlando di esse, aveva detto che sono “vero pane di montagna”, tanto sono nutrienti e…gustose.

Luigi: È sempre e solo il Vangelo il vero pane sostanzioso; le Meditazioni domenicali attingono ad esso.

Pinuccia B.: Il segno che Giovanni Battista ha avuto, come va interpretato? Anche noi abbiamo un segno come lui ha avuto?

Luigi: Giovanni Battista ha avuto una missione storica per individuare e per segnalare il Cristo. La sua è una missione tutta particolare.

Certo, lo Spirito parla e dà dei segni ad ogni uomo, per cui prepara ogni uomo per questa individuazione, cioè per formare in ognuno questa maturazione qui, però il compito di Giovanni Battista non è il compito di ogni uomo: egli ha avuto una missione storica ed ha interpretato sulla scena esterna quello che avviene nella coscienza dell'uomo, cioè questa maturazione che dà la capacità di individuare il Cristo.

Infatti dopo che Giovanni ha detto “Ecco!”, sparisce, viene imprigionato ed è destinato alla morte: ormai la sua missione è compiuta!

Invece per ognuno di noi non c'è la missione di dire: “Ecco!” e poi… basta.

Pinuccia B.: … però di dire : “Ecco!” a noi stessi, sì.

Luigi: Certo, per noi c'è la missione di dire: “Ecco!”, ma poi di seguire, di andare oltre, di continuare con Cristo fino alla morte.

Pinuccia B.: Ma noi non abbiamo bisogno di un segno come ne ha avuto bisogno il Battista?

Luigi: Ma certo, noi abbiamo bisogno di tutto, e poi… tutto è segno. Ma, dico, Giovanni Battista non appena ha detto: “Ecco!”, è morto, perché ha finito la sua missione ed incomincia la missione di Cristo.

Già questo fatto ci rivela che è un uomo del tutto particolare che ha la funzione di cartello indicatore sulla via dell'umanità per indicare la strada verso il Cristo.

Ma l'umanità cammina e, come ha ricevuto l'indicazione, continua, non si ferma a Giovanni Battista, non muore con Giovanni Battista. I suoi stessi discepoli non muoiono con lui, ma vanno dietro il Cristo.

E andare dietro il Cristo vuol dire vivere per anni con Lui, maturare con Lui, ricevere tutte le sue lezioni, arrivare alla Croce, arrivare alla sua Morte, alla sua Resurrezione, alla sua Ascensione, fino alla Pentecoste.

A Pentecoste diventeranno poi “altri Cristi” che vivono nel mondo, perché ne ripetono la missione.

Eligio: Quindi il compito di Giovanni Battista, come hai detto, non è il compito di ogni uomo, perché lui ha avuto una missione storica particolare, che è un servizio per tutta l’umanità. Ma penso che è proprio per questo che noi dobbiamo cercare di essere quello che è stato lui, nel senso che anche noi non dobbiamo metterci al centro; quindi, come lui, confessare di non essere noi Colui che tutti attendono, di essere solo “una voce” che segnala Colui che deve venire, ecc. ecc., cioè percorrere tutte le tappe da lui indicate per giungere anche noi, come lui, a dire quell’”Ecco!”, ad individuare cioè il Messia come l’Agnello di Dio.

Luigi: Certo.

Eligio: Quindi penso che noi dovremmo guardare al Battista come uno da imitare per poterci incontrare anche noi con il Cristo, vero?

Luigi: Direi più che da imitare, perché certe cose non si possono imitare, è da interpretare, perché Giovanni Battista rappresenta la coscienza di ogni uomo…

Eligio: È da interpretare però personalmente, per rivivere personalmente…

Luigi: È da interpretare personalmente, senz’altro! Perché, tu capisci, ad esempio, che non è che noi possiamo vivere la missione di Giovanni sul piano esterno come l'ha vissuta lui, perché per noi, ad esempio, non ci fu uno Zaccaria tra i nostri padri, e non ci fu un incontro della nostra madre con la Madonna come avvenne per la madre del Battista, e per lei non ci fu il sussulto di gioia del bambino nel suo ventre come vi fu per Elisabetta (“ed avvenne che appena Elisabetta sentì il saluto di Maria, il bambino trasalì nel suo seno ed Elisabetta fu piena dello Spirito Santo”- Lc 1, 41).

Invece per Giovanni Battista ci sono stati questi e altri segni! Così come ci sono stati dei Santi che sono nati già…”santi”, diciamo così, perché hanno avuto una missione storica da svolgere.

Quindi non è l'imitazione di per sé che conta; ciò che conta è piuttosto la lezione che dobbiamo assumere su di noi…

Eligio: Certo, non un’imitazione pedestre, però …

Luigi: Perché se noi dicessimo: “Allora io adesso mi vesto di pelli di cammello, mi nutro di locuste, vado nel deserto…e sono come il Battista”, tu capisci che non è questo che…

Eligio: No, certamente! Questa sarebbe un’imitazione pedestre che non servirebbe a nulla… Però dobbiamo pur guardare a lui per capire ciò che ha detto e fatto…

Luigi: È appunto la lezione che dobbiamo ricevere che conta e non l’imitazione, proprio perché Giovanni Battista interpreta la vita e la vocazione di ogni uomo! Infatti egli è l'uomo giusto: è l'uomo che sfocia dal grande fiume dell'Antico Testamento nel mare del Cristo.

Eligio: Quindi, siccome interpreta per ognuno di noi la lezione dell’uomo giusto, ci fa capire che anche a noi le creature, come a lui, pongono tante domande, come ad esempio: “Chi sei?”, e noi dobbiamo essere molto attenti alle risposte che Giovanni Battista ha dato per imparare a darle anche noi ed evitare di dire di essere qualcuno o di metterci al centro dell’attenzione degli altri.

Luigi: Certo! Infatti qui, nei diversi quadri che abbiamo evidenziato e che ci hanno presentato il Battista in diversi momenti, abbiamo visto le varie tappe di un lungo cammino di maturazione…

Esse rappresentano le tappe che la nostra coscienza deve percorrere per arrivare a quella foce in cui essa riesce ad individuare il Messia, a riconoscerLo: "E' questo il mio Messia…! Ecco, è questo l'Agnello che toglie il mio peccato!... che toglie il peccato dal mondo!".

Perché è di questa liberazione dal peccato che noi abbiamo bisogno!

Infatti noi, siccome siamo schiavi delle nostre opere, ad un certo momento scopriamo, tocchiamo con mano che nel mondo che ci sta attorno è il peccato che opera, il “principe di questo mondo”, cioè il pensiero del nostro io autonomo da Dio, per cui ognuno di noi resta schiavizzato da questo peccato.

Non è che il peccato sia nel mondo, perché il mondo è fatto da Dio, ma è il peccato che è in me, ciò che io ho fatto autonomamente nel pensiero del mio io, che ha creato dei legami di peccato col mondo (appunto perché diventiamo figli delle nostre opere); per cui, anche se la mia coscienza è arrivata ad individuare che la mia salvezza sta in Dio, io non posso più decidere di camminare verso la meta: io non sono libero fintanto che non incontro personalmente il “DIO-con-noi”.

Ecco l'importanza di incontrare la Persona del Cristo, di poter seguire Cristo! Perché sarà il Cristo che mi libererà dai legami di peccato; ma io da solo, anche se ho la coscienza matura, e capisco qual è la meta, non posso liberarmi.

Per cui come s. Paolo, anche ognuno di noi dice: "Chi mi libererà da questo corpo di morte?” (Rm 7, 24). Cioè: “Chi mi libererà dal pensiero dell’io?”

Ora, questo “corpo di morte” non è costituito soltanto dal mio corpo fisico, ma è tutto il mio corpo ambientale, tutto l'ambiente che ho attorno a me, che è costituito anche da tante persone, da tanti rapporti, da tanti doveri, che mi imprigionano. "Chi mi libererà?”. Chi mi darà la possibilità, la disponibilità per il Regno di Dio, la disponibilità per questo Dio che io sento come unico rispondente ai bisogni della mia anima? Perché ormai sono in questo “corpo di morte” che mi stringe. Chi mi libererà?

Ecco allora la segnalazione che ci viene data: “Ecco l'Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo!”.

Quindi il Battista ha questo compito qui: segnalarci il Cristo. Poi, seguendo il Cristo, abbiamo un rapporto personale con Lui, e quindi con Lui inizia una vita nuova (però è solo l’inizio!).

Giovanni M.: Quindi possiamo incontrare il Cristo solo se abbiamo prima seguito le tappe del Battista.

Luigi; Sì, perché percorrendo interiormente tutte le tappe indicateci dal Battista, abbiamo ormai ricevuto e imparato la “lezione antica”.

Avendola imparata, ci siamo fatti discepoli del Cristo.

Giovanni M.: Per grazia sua.

Luigi: Certamente! Non siamo noi che ci siamo fatti discepoli del Cristo, perché Cristo ci dirà: "Non siete voi che avete scelto Me, ma sono Io che ho scelto voi!" (Gv 15, 16); per cui anche lì noi capiremo che se siamo approdati a quell'"Ecco!", a quel trovare il Messia e a seguire Lui, anche questo è stata opera di Dio.

Era già Dio che operava su di noi quando ancora noi non eravamo nati; era già Dio che lavorava per formarci prima ancora che ce ne accorgessimo.

Per cui se siamo approdati ad individuare il Cristo, è Lui che ci ha scelti, non siamo noi! Dobbiamo cioè attribuire sempre tutto a Lui.

Ed è quella la grazia che opera su di noi, cioè l’essere consapevoli che è stato ed è tutto opera sua, per cui questa consapevolezza ci lega in un grande amore, perché sappiamo che è Lui che fa, che ci conduce con le sue lezioni e ci fa maturare di tappa in tappa, di cosa in cosa fino alla meta. È chiaro?

Angelo B.: Non è facile giungere ad avere una visione chiara del cammino che Dio ci vuol far fare fino a poter dire anche noi "Ecco!", cioè fino all’individuazione del Cristo e poi ancora oltre. Anzi, certe cose proprio non le capisco…, nel senso che non so come vederle e realizzarle nella mia vita. Però resto in ascolto nella speranza di giungere a capire.

Luigi: Anche se ora non capisci, "capirai poi!" (Gv 15, 7), ci dice Gesù. L’importante è rimanere in ascolto: ogni minuto dato all’ascolto di Dio ha sempre una sua utilità, perché il semplice fatto di mantenerci in ascolto è già una dedizione, è già un atto d'amore, è già un uscire dal pensiero del nostro io.

Angelo B.: Anche se non capisco?

Luigi: Anche se non capisci. Capirai poi… Ma in quanto uno ascolta, già ama, già rivela un interesse.

Ad esempio, anziché essere qui, in questo nostro incontro sul Vangelo, potresti essere al cinema o a divertirti. Che cos'è invece che ti ha fatto venire a sentire qualcosa sulla Parola di DIO? Ora è questo che conta! Agli occhi di Dio è quello che conta!

Il capire poi è grazia di Dio, e magari richiede ancora tante cose, tante lezioni!

Il fatto però che uno si renda disponibile è già un passo; sarà un piccolo passo, ma è già un passo, è già qualcosa! Chi potenzia poi è Dio. È tutto Dio che fa!

Perché, vedi, tutta l'opera di Dio si svolge in modo successivo e progressivo: è grazia che si offre a noi.

Se viene ricevuta, questa ci prepara a ricevere un'ulteriore grazia: abbiamo allora "grazia su grazia" in modo progressivo; per cui se noi, sollecitati da Dio stesso, dal Pensiero di Dio, accogliamo la grazia che ci manda, allora ne restiamo fortificati, potenziati.

Ma non è detto che l’accogliamo, perché quando la grazia arriva, noi ne sentiamo magari il richiamo, sentiamo il desiderio di accoglierla, però facciamo una valutazione critica dentro di noi e magari preferiamo altro.

Ecco, nella scelta, nel modo con cui noi scegliamo, riveliamo già il nostro interesse principale.

Per cui se diciamo: "Io preferisco fermarmi un momento a leggere il Vangelo o a sentire qualcosa di esso”, abbiamo fatto una scelta, ed è una scelta secondo Dio: abbiamo dato più valore a Dio, e allora questo ci apre ad una grazia successiva.

Ma se invece diciamo: "Io preferisco divertirmi”, la nostra scelta non è più secondo Dio, perché rifiutiamo il richiamo della grazia, e qui allora abbiamo una chiusura. La grazia è arrivata perché noi abbiamo avvertito il desiderio…, ma abbiamo preferito altro.

Allora qui la grazia si ferma: noi restiamo ancora nella grazia antica, o meglio, …nella “disgrazia” antica. Abbiamo quindi bisogno di altre lezioni per far arrivare la nostra anima a quel livello tale di carica interiore da farci scegliere ciò che va scelto, cioè Dio e la sua Parola.

E fintanto che non scatta la scelta giusta, per cui finalmente io preferisco Dio ad altro, le lezioni continuano sempre a ripetersi e a ridarmi delle batoste, per dirmi: "Guarda quello che hai fatto!".

Per cui ad un certo momento si forma in me un rimorso per quel rifiuto.

Ecco, questo rimorso è grazia di Dio: è la grazia che lavora lì sopra per dirmi che ho sbagliato! E allora poco per volta si carica questo aspetto qui, questa disposizione interiore, fintanto che ad un certo momento, quando mi si ripresenta la stessa situazione, mi fermo e scelgo bene.

Ecco allora, qui ho fatto un passo successivo verso Dio; qui allora il Signore mi forma per farmi capace di ricevere un'ulteriore grazia.

E così di grazia in grazia si arriva ad un punto tale in cui uno lascia tutto il mondo per quello! Ecco allora che ci avviciniamo alla situazione della Vergine che è tutta-ascolto di Dio e non fa più conto sull'uomo!

Allora qui abbiamo l'anima che è disposta all'ascolto, è disposta a ricevere il Verbo di Dio, disposta ad incarnare il Verbo.

L’anima disponibile a Dio matura infatti verso questa situazione qui della Vergine che è tutta-ascolto di Dio e solo di Dio.

Ma l’anima diventa tutta-ascolto di Dio solo in quanto compie una scelta totale, per cui può dire come la Vergine: "Non conosco uomo!" (Lc 1, 34), cioè "non mi interessano le ragioni umane…non voglio far conto su niente che non sia Dio, faccio conto solo su Dio!".

Ecco, qui allora abbiamo la creatura totalmente libera che dipende tutta da Dio e solo da Dio.

Angelo B.: Sì. tu dici che è già un atto d’amore, anche se non capisco o capisco poco, fermarmi a sentir parlare di Dio, come adesso qui, in questo incontro sul Vangelo, e va bene. Però la difficoltà a capire di cui parlavo, la trovo anche quando mi metto personalmente a leggere la Bibbia o anche solo il Vangelo stesso. Stasera hai parlato più volte sull’importanza di meditare la Scrittura, ma…

Giovanni M: Anch’io trovo questa difficoltà: nella Messa di stamattina, ad esempio, quando si è letto la prima lettura sull’Antico Testamento, non ho capito niente.

Angelo B.: Questo a me capita sovente: quante volte leggo dei brani della Bibbia e non ci capisco niente. Allora mi chiedo: faccio bene a continuare a leggere il brano scelto, anche se il mio pensiero va altrove, oppure devo passare ad un’altra pagina?

Luigi: Se uno ha la pazienza, la pazienza viene premiata in questo senso: siccome Dio si commenta da solo, se continui a leggere, ad un certo momento trovi un passo che ti illumina quello precedente.

Cina: È proprio così. Quante volte mi succede che solo andando avanti capisco quello che ho letto prima.

Angelo B: Però è l'attenzione che scappa, perché se tu leggi un romanzo, sei attratto dalla trama, ma invece leggere la Bibbia richiede più sforzo.

Luigi: Però Dio parla, e in quanto parla, devi continuare a leggere, ad ascoltare, a meditare.

Giovanni M.: A me succede che quando una pagina si riferisce ad una cosa, ad una persona o ad un fatto che non conosco, mi viene proprio da lasciare perdere… Come ho già detto, nella prima lettura di stamattina non ho proprio capito cosa Dio volesse dire a Giobbe…Non ho capito perché gli ha parlato così…

Luigi: Sì, ma tu capisci che le letture della Messa sono dei pezzettini che devono essere inseriti in un "tutto"? Esse dovrebbero sollecitarci ad andare a prendere la Bibbia per leggere il "tutto", cioè il testo integrale da cui è stato tratto il brano letto, per cercare di capire il singolo passo. La Parola di Dio infatti ci invita sempre di più a fermarci sulla Parola di Dio e a scavare.

Certo, capisco la tua difficoltà e l’obiezione che mi puoi fare per la mancanza di tempo. Eppure, come già ho detto più volte stasera, bisogna cercare di dare tanto tempo a questo approfondimento della Scrittura e per trovare questo tempo, bisogna lasciare tante altre cose…

E allora vedi che lì vengono fuori i conflitti? Per cui noi dobbiamo fare delle scelte, e queste sono scelte d'amore!

Certo, noi corriamo il rischio di dire: "Preferisco quell’altro anziché questo”, oppure: “Ecco, so che dovrei fermarmi molto sulla Parola di Dio, ma ho tante altre cose che premono…”. Quindi è una maturazione lenta, è logico.

L’importante però è ricominciare sempre e continuare a meditare sulla Scrittura, anche se non capiamo, perché anche quello che non capiamo ha il suo valore, in quanto, ad esempio, ci fa sentire la nostra povertà, la nostra lontananza, la nostra incapacità ad intendere, per cui giungiamo a confessare: "Io mi trovo davanti a tante parole di Dio, Lui le dice personalmente per me ed io non le capisco, non ci capisco niente!". Questo mi fa sentire tanto povero…

È come trovarmi in una nazione straniera e non capire niente di tutto quello che gli altri mi dicono, per cui mi sento povero e straniero. Ecco, il non capire le Parole di Dio mi dimostra che sono uno straniero nel Regno di Dio. E' Dio che mi dice: “Vedi, ti sei avvicinato a Me ed Io ti dico: guarda come sei lontano! Guarda che sei fuori!”, e questo richiamo è una grazia!

Magari invece a qualcun altro che legge la Bibbia Dio dice: "Guarda che sei vicino al Regno di Dio!", mentre ad un altro dice addirittura: "Guarda che tu sei già dentro al Regno di Dio!".

Ecco, Dio parla sempre e dice una parola personale, a seconda della situazione in cui uno si trova.

Ma, come dico, ad ogni piccola attenzione che noi facciamo alle cose di Dio, immediatamente Dio già ci inonda della Sua grazia; e anche quando ci inonda …di ignoranza, cioè ci rende ciechi, è grazia di Dio, perché c'è molta più grazia nell'essere ciechi che nel credere di vedere.

Anzi, molte volte noi crediamo di vedere, di essere sapienti secondo il mondo, mentre invece Dio ci dice: “Sei molto lontano!”.

Leggiamo infatti nell’Apocalisse: "Guai a te che credi di essere ricco, di essere sapiente…, mentre invece sei  povero e cieco…”.

Emma D: Mentre invece chi è spiritualmente povero, semplice ed umile, è veramente ricco di valori. Io sono stata stupita, ad esempio, della bontà di quella gente semplice che mi ha soccorso nell’incidente che ho avuto: magari è analfabeta, non sa parlare, ma ha veramente un grande cuore... È stata proprio una bella lezione! È proprio vero che Dio ci istruisce in tutto.

Luigi: Sì, se noi stiamo attenti, Dio ci dà delle lezioni dappertutto, attraverso tutte le creature e tutte le cose, negli avvenimenti e circostanze, negli incontri belli e brutti.

Anche attraverso le disgrazie, gli incidenti e addirittura attraverso i delitti, attraverso i delinquenti, ecc., Dio ci dà delle lezioni, sempre! Perché parla personalmente e continuamente in tutte le cose: Lui è Dio, il Creatore di tutto!

Quando noi diciamo: "Io credo in Dio, Padre onnipotente!", cosa diciamo? Credo che è Lui che fa tutte le cose! Altrimenti se non ci credo, non devo più dire il “Credo!”, perché sarei un ipocrita!

Credere in Dio vuol proprio dire questo: credere che tutto è opera sua!

Emma D.: Però quando dico il "Credo" a volte mi viene il dubbio se credo veramente o se lo dico perché lo devo dire perché mi hanno insegnato a dirlo.

Luigi: Avere il dubbio è già grazia di Dio! E, se dicendo il “Credo”, ti viene il dubbio se credi veramente o no, è già Dio che ti sollecita a maturare, a impegnarti di più, a crescere nella conoscenza di Lui! Per cui ti dice: "Guarda che tu dici di credere, ma non credi mica!".

E questo richiamo è grazia. É Dio che opera, è Dio che sollecita.

Quindi tutto è grazia: non c’è niente che non sia positivo per noi, se lo accogliamo da Dio!

Anzi Dio ci manda le grazie prima ancora che noi siamo capaci di ricevere le sue grazie. Quindi pensa un po' se Lui non sovrabbonda quando noi facciamo un piccolo passo verso di Lui!

Lui sovrabbonda sempre (vedi la sovrabbondanza nella moltiplicazione dei pani). La sua grazia è sempre sovrabbondante!

Cina: In riferimento alla difficoltà di capire la Bibbia di cui si è parlato prima, volevo dire che per comprenderne i passi difficili è sempre di grande aiuto per me cercare quei passi che si riferiscono allo stesso argomento, e che, ad esempio, nella Bibbia di Gerusalemme sono citati al fianco.

Angelo B.: Però nonostante questi riferimenti, devo dire che ci sono certe pagine, a volte anche gli stessi Salmi, che sono proprio difficili a capirsi.

Luigi: Ma il Signore dice: “Con la pazienza giungerete a possedere le vostre anime”.

Sostanzialmente, possedere l’anima significa arrivare a capire il parlare di Dio, vuol dire arrivare al concetto della Parola che leggi, arrivare alla Verità.

Quando Gesù racconta la parabola del seme e del seminatore, qual è il terreno "buono" che produce il frutto, chi il trenta, chi il sessanta, chi il cento? Questo terreno rappresenta coloro che con pazienza meditano sulla parola di Dio, perché il seme è la parola di Dio; e allora attraverso la pazienza giungono al frutto, che è poi la conoscenza.

Quindi la conoscenza è frutto di pazienza; ma la pazienza richiede tempo.

E il tempo naturalmente è un problema d'amore...

Emma D.: Sì, ci vuole proprio tanta pazienza…

Luigi: Ma è logico che ci voglia la pazienza! La pazienza ci vuole per qualunque materia di studio! Se apriamo un libro di scienza, per approfondirlo ci vuole pazienza, perché se noi siamo lontani dall’argomento, non ci capiamo nulla; ma se invece incominciamo a macinare poco per volta le nozioni che vi troviamo, ad un certo momento, ecco, ci troviamo dentro l’argomento. Ma anche qui si richiede sempre della pazienza, vedi?

Tanto più per le cose di Dio che ci trascendono!

Ma questa pazienza naturalmente è un problema di valori: ti richiede una certa scelta e quindi un certo prezzo, tanto che ti vien da chiedere: "Ma chi me lo fa fare ad impegnarmi lì?”.

Però, se hai questa pazienza, Dio poco per volta ti convince, per cui ad un certo momento te lo fa capire chiaro: "Guarda che tu ti devi proprio impegnare lì! Quindi trascura il resto e impegnati in quello che è più importante!".

Eligio: D’altronde è un problema di giustizia, alla quale ci richiama appunto il Battista.

Pinuccia B.: Ma il richiamo alla giustizia, si è detto, è solo il punto di attacco… Perché poi bisogna percorrere interiormente tutte quelle tappe che abbiamo visto stasera, se è che vogliamo giungere anche noi a quell’“Ecco!”, cioè all’individuazione del Cristo come Agnello di Dio.

Luigi: Allora, se puoi, ti chiederei di preparare il riassunto di queste diverse tappe segnalate da Giovanni Battista che ci conducono a questo “Ecco!”. Servirà per richiamarle alla nostra attenzione la prossima volta.

Pinuccia B.: Ci proverò…

Eligio: Sarebbe una cosa bella e molto utile.

 

Appendice:

 

Giovanni M.: Se ci fosse ancora tempo, vorrei tanto capire qualcosa della lettura su Giobbe della Messa di stamattina.

Luigi: Parliamone pure, ma prima leggiamo questa pagina.

Cina: Lettura dal Libro di Giobbe 38, 8-11:

“Il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine:

chi ha chiuso tra due porte il mare,

quando erompeva uscendo dal seno materno,

quando lo circondavo di nubi per veste

 e per fasce di caligine folta?

Poi gli ho fissato un limite

e gli ho messo chiavistello e porte

e ho detto: "Fin qui giungerai e non oltre,

e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde”.

Luigi: Questo libro di Giobbe è bellissimo, ma ci vorrebbe molto tempo per parlarne…

Giovanni M.: Giobbe era molto sofferente e tormentato, vero?

Luigi: Sì, però qui siamo già alla conclusione della sua vicenda: qui è già il Signore che appare a Giobbe dopo la lunga discussione con i suoi amici che lo accusavano di avere qualche colpa nascosta, mentre lui si considerava innocente.

Ma prima di questa apparizione del Signore, vediamo che Giobbe si lamenta del suo dolore e vuole una ragione. Egli si chiede perché è tormentato così, perché Dio l'ha colpito così.

Purtroppo non possiamo ora inoltrarci nella problematica di Giobbe, perché ci vorrebbe molto tempo… È però un argomento molto bello!

Comunque in poche parole: mentre Giobbe si lamenta, ecco che arrivano degli amici che discutono con lui e cercano di convincerlo che, se Dio gli ha mandato quel dolore, qualche colpa c’è stata: ecco perché Dio l’ha colpito! E portano anche dei passi della Scrittura per cercare di convincerlo di questo.

Ma Giobbe ad ogni loro argomento continuamente risponde: "No! io non ho mancato! io non ho fatto del male! io non ho offeso il Signore! Però non capisco perché il Signore mi ha colpito!".

Insomma la problematica è tutta incentrata lì! E gli altri naturalmente continuano ad obiettare e ad incolparlo, per cui abbiamo tutto un ciclo di conversazioni tra Giobbe e questi tre amici, in cui Giobbe risponde ai loro argomenti che tendevano a dimostrargli che se Dio gli ha mandato queste disgrazie, c'era una ragione, e questa ragione evidentemente stava nel fatto che lui aveva da rimediare a qualche cosa, aveva qualche colpa da scontare, ecc. Ma Giobbe sempre risponde di no, di non aver offeso il Signore. 

All'ultimo appare il Signore che dà torto ai tre amici e dà ragione a Giobbe.

Però adesso Dio confonde Giobbe a motivo delle sue pretese, perché Giobbe pretende di capire la ragione di quanto gli è arrivato.

Per questo Dio gli dice: "C'eri tu quando Io creavo tutte le cose? Sono Io che ho creato il mare e la potenza del mare…, sono Io che ho creato dei limiti al mare, di modo che il suo orgoglio fosse limitato e potesse giungere solo fino ad un certo punto, ecc.....".

In questo mare, a cui Dio ha posto dei limiti, è simboleggiato l’uomo, per dire che l'uomo è limitato, non può capire tutto; per cui deve accogliere tutte le opere di Dio, anche se non le capisce; e non deve pretendere di capire subito, ma attendere con fiducia la luce, perché ci sono delle lezioni profonde nell’operare Divino.

Anche lì, ad esempio, c’era una lezione profonda in quell’intervento del demonio, che non era certamente per punire Giobbe, ma era per dimostrare a Giobbe che tutto è opera di Dio per condurlo ad una fede più grande. 

Quindi gli amici sbagliavano, perché dicevano a Giobbe: “Dio ti ha punito!”.

Per cui Dio ora li confonde, dicendo loro che non è vero: "Io non ho voluto punire Giobbe, ma è perché satana mi ha sollecitato a tentarlo!".

Infatti satana, che rappresenta il nostro io autonomo, diceva che Giobbe credeva in Dio solo perché Dio aveva sovrabbondato di doni con lui, inondandolo di ricchezze, di beni, di figli, ecc.…

È per questo che un giorno il demonio aveva detto a Dio: “Prova un po' a togliergli tutto quello e vediamo un po' se crederà ancora!”.

Tutto questo sta a significare un dubbio interiore di Giobbe: “Credo veramente in Dio o credo in Lui solo perché mi dà tante cose?”.

Qui c’era il problema della fede che doveva maturare.

Cioè era Giobbe che doveva prendere coscienza della fede che aveva: se credeva in Dio soltanto per le “caramelle” che Dio gli aveva dato o se credeva in Dio per la Verità di Dio, per quello che Dio è.

Quindi non era un problema di punizione, ma un problema di maturazione: maturazione nella fede.

Però, nello stesso tempo, siccome Giobbe pretendeva di giudicare, di conoscere la ragione di questo operare di Dio nei suoi confronti, Dio gli risponde che l'uomo è limitato, mentre invece Dio è infinito; per cui l'uomo tante cose non le può capire, non le può sapere, però le deve accogliere da Dio: capirà poi…. 

Ecco perché in questo brano che abbiamo letto Dio dice: “Ho messo i limiti al mare: quindi non puoi nel tuo piccolo pretendere di capire tutto ora, ma “capirai poi!”, perché, ecco, la maturazione dell'uomo è una maturazione lenta.

Dio ci invita alla vita eterna che è conoscenza: quando conosceremo Dio, allora sarà lo Spirito di Dio che ci condurrà a vedere la Verità totale; ma prima di arrivare a ricevere questo Spirito di Dio, dobbiamo certamente desiderare di capire, ma non dobbiamo pretendere di giudicare, di sentenziare, di capire, perché siamo limitati, non ne abbiamo la capacità.

È quindi per riportare Giobbe alla dimensione di povertà e di umile desiderio di luce che Dio gli chiede dov’era quando Lui creava tutte le cose: “C’eri tu quando Io creavo il mondo? C’eri tu quando…, ecc., ecc..”.

E all’ultimo gli chiede: “Da quando tu vivi hai mai tu comandato alla luce di sorgere al mattino?…Sai tu forse qual è la via per la quale si giunge dove abita la luce?”.

Ecco, Dio solo conosce la via attraverso cui l’uomo può essere condotto “là dove abita la luce”!

Quindi l’uomo ora non capisce, ma capirà poi!

Infatti se io sono ai piedi di un monte, non posso pretendere di giudicare tutto il sentiero che porta alla vetta. Quando sarò in vetta, allora capirò il perché di quei giri del sentiero; ma per giungere alla vetta, mi devo lasciar guidare da chi è già stato sul monte, anche se ora non capisco il perché di tutti quei giri.

Allora, chi è già stato sul monte mi guida, ma io non devo pretendere di giudicare o di mettere ostacoli o obiezioni a colui che mi guida dicendo: “Ma perché passiamo di qua? Perché dobbiamo passare di là? Non dovremmo invece passare dall'altra parte? E perché non passiamo da quell’altra?”, cioè suggerendo o addirittura imponendo la mia visione delle cose. Ecco, no!

Solo quando sarò in alto capirò il senso del sentiero che ho fatto.

Ma allora bisogna portarci in alto, cioè bisogna cercare prima di tutto Dio: allora in Dio giudicheremo e capiremo, non prima!

Quindi lungo la strada, non dobbiamo giudicare, non dobbiamo pretendere di giudicare, ma desiderare di capire, senza pretendere di capire.

Ecco perché bisogna accogliere tutte le opere di Dio, tutte le lezioni che Dio ci dà e cercare di intendere l'anima di esse, il significato di esse; ma non dobbiamo giudicarle, perché il nostro giudizio è limitato al nostro punto di vista.

Per cui se penso “naturalmente”, cioè se io parto dal mio punto di vista, come vita qui in questo mondo e vedo che Dio mi manda una disgrazia, giudico e dico: "Dio non esiste”, oppure dico che Dio non è buono.

Ed è il giudizio che facciamo tutti quando siamo nel pensiero del nostro io. Invece no! Dio dice: “Aspetta a giudicare quando conoscerai, quando arriverai alla meta. Allora capirai perché Io mando tanti dolori, tante disgrazie, tante rovine nel mondo. Ma prima no, non puoi capire! Prima accogli le lezioni su di te”.

Giovanni M.: Ora questa pagina è diventata più chiara.

Luigi: È diventata più chiara perché l’abbiamo inserita nel contesto. Un passo della Bibbia, se non lo si capisce, dovrebbe sempre sollecitarci a cercare il contesto da cui è tratto.

Nel nostro caso, il passo che abbiamo letto dovrebbe sollecitarci a leggere tutto il libro di Giobbe. E allora, leggendolo, poco per volta si arriverebbe a capire anche le singole pagine.


 


“L'indomani Giovanni vide Gesù che veniva a lui e disse: “Ecco l'Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato dal mondo! Questi è Colui di cui ho detto: Dietro di me viene Uno che è più grande di me, perché esisteva prima di me; ed io non Lo conoscevo, ma per questo io sono venuto a battezzare con acqua, affinché fosse manifesto in Israele.”.Gv 1 Vs 29-31 Secondo tema.


Titolo: Quand’è che noi vediamo Gesù venire a noi?


Argomenti: Nella vita naturale Cristo si allontana da noi. Scoprendo il valore di Cristo si inizia a vedere la sua venuta. Vicinanza e lontananza sono determinate dal pensiero. Il pensiero dell’io nasce dal passato, il Pensiero di Dio dal futuro. “L’indomani” è dopo il superamento dell’io. Giovanni Battista rappresenta ogni uomo. Il venire di Gesù a noi. Il mondo ci allontana da Dio. Il capovolgimento di direzione. Recuperare il tempo. Scoprire il valore di Gesù. Vicinanza d’interesse.


 

27/Giugno/1976


Dall'esposizione di Luigi Bracco:

La volta scorsa avevamo commentato quell’“Ecco!”, detto da Giovanni quando vide Gesù che veniva a lui; questa sera, andando a ritroso nel versetto 29, ci soffermeremo su quell’“indomani”. Cioè dovremmo approfondire questa prima frase qui: “L'indomani Giovanni vide Gesù che veniva a lui”.

Innanzitutto mettiamo sempre ben a posto i rapporti, in questo senso: Giovanni rappresenta l'umanità, perché è il più grande dei profeti, quindi colui nel quale si sintetizza tutto l'Antico Testamento, tutta l'opera di Dio nell'Antico Testamento.

Ora, tutto l'Antico Testamento rappresenta la vita dell'uomo naturale che sta maturando per l'incontro con il Messia, quindi per il passaggio alla vita spirituale, all'uomo nuovo; rappresenta quindi tutta la preparazione necessaria a tale incontro.

La nostra vita naturale infatti è tutta uno stadio di preparazione all'incontro con il Messia, cioè con la salvezza di Dio, perché noi siamo salvati da Dio; la quale salvezza presuppone in noi quel superamento del pensiero del nostro io e quindi quell'orientamento a Dio di cui abbiamo parlato le volte scorse.

Qui l’Evangelista dice: “L'indomani Giovanni vide Gesù che veniva a lui…”. Allora, siccome Giovanni rappresenta l'umanità e quindi ogni uomo, dobbiamo chiederci cosa significhi per ognuno di noi questo “suo” momento, questo “indomani”, in cui Giovanni vide Gesù venire a lui.

Cioè, quand'è che nella nostra vita noi vediamo Gesù che viene a noi?

Infatti proprio perché Giovanni rappresenta ogni uomo, se ad un certo momento egli ha visto Gesù che veniva a lui, anche nella nostra vita ci dev'essere un momento in cui noi vediamo Gesù che viene a noi.

Teniamo presente questo: nella nostra vita naturale, noi non vediamo Gesù che viene a noi, ma vediamo Gesù che si allontana da noi, non fosse altro che per il problema della distanza di tempo e soprattutto per la nostra vita così travagliata, così immersa in tante preoccupazioni, per cui Gesù noi Lo vediamo molto lontano da noi, sempre più lontano.

Infatti più noi viviamo nel mondo, più Lo vediamo lontano, tanto da arrivare addirittura al capovolgimento, per cui mentre Giovanni vede Gesù che si avvicina, che viene a lui, noi invece vediamo Gesù che si allontana.

Allora quand'è che per noi avviene quel ricapovolgimento di tempi, o meglio di direzione, in modo da poter anche noi vedere Gesù che si avvicina? Anzi, notiamo che vedere Gesù che si avvicina vuol dire ricuperare addirittura il tempo, perché il tempo di per sé ci allontana da Lui. Anche la nostra vita nel mondo ci allontana da Lui.

Eppure, se Giovanni rappresenta l'umanità, ci dev'essere nella vita di ogni uomo un tempo in cui ognuno vede Gesù che viene incontro a lui.

Ricordiamo ancora un'altra frase che troviamo nel Vangelo quando Gesù, parlando della fine dei tempi, dice: "Le genti vedranno il Figlio dell'uomo venire tra le nubi con gran potenza e Maestà" (Mt 24, 30): cioè ne vedranno l’importanza!

Ecco, lì, alla fine dei tempi, uno scopre l’importanza di Gesù ed è lì allora che Lo si vede venire…

C’è infatti un momento in cui noi abbiamo la possibilità di scoprire il valore e l’importanza di Gesù perché capiamo che in Lui c’è la nostra salvezza, la “mia” salvezza.

E allora è lì che noi incominciamo a vederLo “venire tra le nubi”, cioè ancora in modo incerto e confuso, ma “con grande potenza e con grande Maestà”.

Mentre invece adesso, Gesù dice forse ancora poco a noi, perché indubbiamente, fintanto che noi siamo immersi in tanti valori terrestri, è logico che il Cristo dica poco a noi, ed è per questo che Lo sentiamo in lontananza: perché abbiamo ancora tanti altri interessi!

Quindi la vicinanza e la lontananza di una persona derivano molto da una dimensione interiore; per cui noi sentiamo una persona vicina o lontana a seconda degli interessi che portiamo.

Infatti se vediamo una persona che condivide i nostri interessi, ce la sentiamo vicina, anche se lontana come tempo: ad un certo momento, l’abbiamo già detto altre volte, magari un s. Agostino noi ce lo sentiamo molto vicino, perché ci accorgiamo di condividere i suoi stessi problemi, lo stesso spirito, mentre invece una persona di famiglia, quindi molto vicina, la sentiamo molto lontana, perché ha magari una mentalità diversa dalla nostra.

Ora, è qui che salta fuori la questione: quando possiamo parlare di vicinanza nei confronti di Gesù? Quand’è che anche noi vediamo Gesù che si fa vicino, Gesù che viene a noi? Qui ci viene detto: ”all’indomani”.

Ecco allora che si pone il problema dell’”indomani”! Questo ”indomani”, di cui il Vangelo qui ci parla, acquista molta importanza proprio perché rappresenta il momento in cui vediamo Gesù venire a noi e perché, approfondendolo, si viene a definire cos’è che prepara questo momento.

Infatti, come ho detto, vivendo “naturalmente”, noi ci accorgiamo che Gesù non è che si avvicini, ma si allontana da noi: è questa l’esperienza che noi facciamo! 

Eppure qui ci viene testimoniato che Giovanni vide Gesù venire a lui, e siccome Giovanni rappresenta l’umanità, quindi ogni uomo, questa scena significa che c’è un momento, un tempo, in cui anche noi vediamo Gesù venire a noi; per cui sorge il problema: quando? E qui ci viene precisato: “all’indomani”. 

Dobbiamo dunque approfondire il problema dell’”indomani” per capire cos’è che lo determina e quindi quand’è che esso si realizza per noi.

Questo “indomani” è un tempo determinato che logicamente presuppone dei tempi precedenti, per cui c'è un “prima” e un “dopo ”.

Allora, a questo punto, noi dobbiamo chiederci che cosa può rappresentare il tempo secondo Dio, che cosa può rappresentare questo “prima” e questo “dopo”, perché se c'è il tempo, cioè se c'è un “prima” e un “poi” nella nostra vita, questo è voluto da Dio (anche il tempo in cui noi oggi siamo è voluto da Dio) e quindi ha un significato. Quindi questo “indomani”, come il “prima” e il “poi”, ci deve dire spiritualmente qualcosa.

Ora, noi abbiamo già visto che quel ”dopo” detto da Giovanni quando parlava di "Colui che viene dopo di me", significava un passaggio spirituale e precisamente il superamento del pensiero del nostro io; per cui il "prima" e il "dopo" che esperimentiamo nel tempo, rappresentano nella dimensione spirituale dei passaggi interiori, per cui maturando certi pensieri noi passiamo spiritualmente da un "prima" ad un "poi". Però quello che nel tempo materiale (il passaggio dal “ieri” all’”oggi”, da un "prima" ad un "poi") avviene automaticamente, nel campo dello spirito, non avviene senza di noi.

Allora questo “indomani” evidentemente, è una situazione interiore che si verifica “dopo” certe tappe, dopo certi passaggi, dopo certe condizioni spirituali.

Però tali tappe, che sono poi quelle che abbiamo visto nell’argomento precedente, non avvengono automaticamente, perché in quanto sono delle lezioni, lezioni che Dio ci dà attraverso il Battista, sono sempre delle proposte: proposte che vengono fatte a noi, affinché noi le facciamo interiormente.

Ora cerchiamo di precisare bene questo “indomani” in modo da poterlo vedere nella nostra vita. Quindi chiediamoci: qual è quel “precedente”, quel “prima”, quel “ieri”, che dà luogo a questo “indomani”? Infatti l’“indomani”, siccome è sempre un giorno che viene dopo, ci fa pensare a un “ieri” che lo precede, che lo prepara.

Però c’è da tener presente che nella dimensione spirituale questo “ieri” non avviene automaticamente, poiché è costituito da tutti quei passaggi interiori che richiedono il superamento del pensiero del nostro io e che ci aprono al “dopo”. Per cui anche il “dopo”, il “domani” non avviene senza di noi.

Invece sul piano del tempo materiale, storico, “ieri” e “domani” avvengono automaticamente, senza richiedere il superamento del pensiero del nostro io. Però allora qui c’è da rilevare questo: che nel pensiero del nostro io noi siamo sempre rivolti all’“ieri”. Cioè noi, pensando a noi stessi, tendiamo sempre soltanto a ricuperare il passato, perché il nostro io è fatto di cose passate, di esperienze passate, per cui ci voltiamo sempre indietro, cercando di recuperarle, anche se inutilmente, perché facciamo come il cane che gira su se stesso a prendersi la coda.

Nel pensiero di noi stessi, direi, noi troviamo la vecchiaia, perché noi siamo fatti di ricordi, in quanto abbiamo constatato…, abbiamo visto…, abbiamo partecipato…, per cui cerchiamo di ritrovare quelle persone, quei momenti, quegli avvenimenti particolari, perché lì abbiamo vissuto determinate esperienze.

Direi che Il pensiero del nostro io sorge da un fatto che è passato. Ad esempio, anche in questo momento qui il pensiero del nostro io è “una riflessione” su un incontro: ora abbiamo l’incontro, poi, riflettendo sull’incontro, scopriamo il pensiero del nostro io. Per cui il nostro io è fatto proprio di cose che passano, e più noi pensiamo a noi stessi e più ci carichiamo di vecchiaia.

E questo ci conferma che quel "dopo" di cui parla Giovanni e che gli permette di guardare a Colui che viene (”dopo di me viene Uno che è più grande di me, perché era prima di me”) va inteso spiritualmente ed è il superamento dell'io: soltanto superando l'io noi passiamo alla dimensione spirituale del tempo e ci proiettiamo in avanti, verso questo “indomani”, in cui si vede venire a noi Uno che è più grande di noi, perché era prima di noi.

S. Paolo dice che la vita sta davanti a noi, non sta dietro di noi. Se noi invece ci voltiamo indietro per cercare di recuperare il passato, facciamo il gioco del cane che cerca di prendersi la coda, e più cerca di prendersela e più questa gli scappa.

Quindi solo superando il pensiero dell’io passiamo al piano spirituale: cioè ci proiettiamo in avanti, verso quel Dio che è davanti a noi, che viene a noi e che era già prima che nascesse il pensiero del nostro io.

Questo allora già ci fa capire che quel “dopo di me” è l’anima di quel “prima”, cioè di quell’”ieri” che precede quell’“indomani”.

Infatti questo “ieri” che prepara quell’“indomani”, in cui vediamo venire Gesù a noi, consiste sostanzialmente nel superamento del pensiero di noi stessi. Senza questo superamento dell’io si resta invece fermi al passato, nell’inutile tentativo di ricuperarlo, senza mai aprirci al futuro e quindi senza mai giungere all’“indomani”.

Dobbiamo quindi approfondire “come” avviene tale superamento, attraverso quali tappe esso maturi, per delineare bene quell’“ieri” che prepara questo “indomani”.

Riprendendo l’argomento iniziale, per poter precisare questo “indomani” e vederlo nella nostra vita, dobbiamo cercare di capire in che cosa consiste quell’“ieri” che dà luogo a questo “indomani”, qual è il “giorno prima” che dà luogo al “giorno dopo”.

Noi qui vediamo che il Vangelo parla di questo “indomani” dopo che:

- 1°) di Giovanni Battista fu detto che “non era lui la Luce”,

- 2°) e “che venne per testimoniare la Luce”;

- 3°) dopo che lui parlò della necessità del superamento del nostro io, dicendo: “dopo di me viene Uno che è più grande di me e che era prima di me…”;

- 4°) dopo che lui dichiarò di non essere il Messia atteso, ma precisò di essere solo “una voce” che grida nel deserto: "Raddrizzate le vie del Signore, come disse il profeta Isaia…”,

- 5°) e dopo che dicendo: “Io battezzo, perché in mezzo a voi sta Uno che voi non conoscete”, ha richiamato la nostra attenzione su Colui che abita in noi.

Ora teniamo presente che questi fatti e queste parole, sono fatti e parole che si devono ripercuotere in ognuno di noi, che devono essere interiormente vissuti, perché sono tappe dell'Antico Testamento, quelle che abbiamo già visto nell’argomento precedente: solo se sono vissute interiormente ci portano a questo “indomani” in cui si vede Gesù venire a noi e in cui scatta quell’”Ecco!” detto dal Battista quando individua Gesù come l’“Agnello di Dio”.

Sono tappe che devono essere rivissute, cioè vissute a livello di coscienza, altrimenti non sorge per noi questo “indomani”.

Allora, se matura in noi la consapevolezza di non essere noi la Luce, ma di doverla testimoniare superando il pensiero del nostro io, come arriva il momento in cui le creature interrogano noi: "Sei tu quello che deve venire, Colui che noi aspettiamo?", allora anche noi in coscienza potremo dire: “No! (e guai se diciamo: "Sì, sono io"!) No! Non sono io il Messia! Io non sono il Profeta! Io sono una semplice voce che invita me, che invita voi, a fare diritte le strade di Dio”.

Ecco, se noi incominciamo a prendere coscienza di essere solo una voce, stiamo maturando per questo "indomani".

E se poi ancora noi testimoniamo che "in mezzo a noi c'è Uno che noi non conosciamo" , per cui mettiamo in primo piano, al centro, questo “Uno”, allora siamo finalmente pronti per questo “indomani”, poiché a questo punto tutta la nostra attenzione è rivolta lì.

Infatti annunciando che c'è in mezzo a noi "Uno", è come se ci venisse detto che in questa casa c'è uno che noi non conosciamo: immediatamente noi appunteremmo lo sguardo, la nostra attenzione, su colui che ci è annunciato e che noi non conosciamo ancora, per cercarlo e poterlo individuare.

Cioè a questo punto noi abbiamo messo al centro la scoperta in noi della presenza di Dio; ed ecco quindi che siamo pronti al passaggio all'"indomani".

Ora, le prime quattro tappe si possono riassumere nella presa di coscienza che non siamo noi i salvatori degli altri, ma solo “voci” che testimoniano la Luce. Allora, sintetizzando, direi che l'anima di questo trapasso all'"indomani" matura in noi attraverso queste due grandi tappe spirituali e cioè:

-I) quando in coscienza usciamo dall'essere centro degli altri perché ci convinciamo di non essere noi il centro degli altri, di non essere noi la salvezza degli altri (per cui in coscienza possiamo dire: "Io non sono il Messia di nessuno!"); quando cioè ci convinciamo che noi siamo soltanto delle ”voci” che testimoniano Dio, delle “voci” che dicono: "Noi non siamo Dio; noi siamo soltanto voci che dicono: raddrizzate le vie del Signore, cioè mettetevi in rapporto diretto con Dio! Uno solo è il Maestro!".

Questo è ciò che, a questo punto di maturazione spirituale, diciamo a noi stessi e agli altri, ciò che dobbiamo dire a noi e agli altri: "La tua salvezza è in Dio, accogli tutte le cose direttamente da Dio, cerca di interrogare Dio, mettiti in rapporto diretto con Dio, perché è soltanto da Dio che ti viene la salvezza!".

Quindi già a partire da questo punto noi ci mettiamo fuori, la smettiamo di rappresentare la parte di “salvatori”, di essere noi il centro, di essere di quelli che parlano autonomamente.

-II) E poi ancora rivelando e testimoniando che questo Dio che segnaliamo è vicinissimo a noi, abita in noi, con noi (”…in mezzo a voi sta Uno che voi non conoscete”), ecco che mettiamo a fuoco la nostra attenzione e anche l'attenzione degli altri sul Maestro interiore che ogni uomo porta in sé.

Infatti queste, del Battista, sono parole, ma deve diventare vita pratica nel nostro vivere comune questo mettere a fuoco il Dio che è presente nell'uomo, che è presente in noi e che è presente negli altri e quindi questo massimo rispetto del Maestro Interiore che ognuno porta dentro di sé, in modo da mai metterci in mezzo a questo colloquio, mai interrompere questo colloquio che ogni anima ha col suo Dio: perché ogni anima porta in sé questo Maestro interiore! Ogni anima è in ascolto di Lui, deve essere in ascolto di Lui!

Quindi:

-                     se il Battista è una “voce” che dice: "Raddrizza le vie del Signore...!", cioè: " Collega tutto con Dio, mettiti in ascolto del Dio che parla a te...!”,

-                     e se dice: “guarda che questo Dio che parla con te è dentro di te, abita in te, quindi è vicinissimo a te (“…in te c’è Uno che non conosci…”), quindi puoi entrare in contatto con Lui",

noi allora immediatamente ci mettiamo fuori da questo dialogo che c’è tra ogni anima e Dio! Dobbiamo rispettare questo dialogo, e non dobbiamo mai metterci in mezzo, mai rompere quel dialogo, mai sostituirci!

A questo punto qui, ecco che la creatura scopre il suo nulla, il suo niente (ecco il “dopo di me…”!) perché è cosciente di essere solo una voce che annuncia a se stessa e agli altri la presenza di Dio nell’uomo.

Ed è allora a questo punto che si scopre che Dio viene a noi! (“L'indomani Giovanni vide Gesù che veniva a lui…”), perché non siamo più noi che facciamo, ma è Lui in tutte le cose che viene a noi.

Perché è logico: se tutta l'attenzione l'ho rivolta a Colui che è presente in me e che parla a me, e tutte le cose sono operate da Lui e le vedo operate da Lui, è Lui allora che sta venendo! Il tempo è Lui che viene. Allora ecco che il mio sguardo è rivolto a Colui che viene, cioè al domani, per cui si attua questo "indomani".

 

Pensieri tratti dalla conversazione:

 

Eligio: Hai detto che soltanto superando il pensiero dell’io noi ci proiettiamo in avanti, altrimenti ci volgiamo indietro cercando invano di ricuperare il passato. Penso però che anche nel pensiero dell'io possiamo avere uno sguardo al domani: in questo caso però proiettiamo nel futuro quello che sono le ambizioni o le frustrazioni del passato, per cui restiamo sempre nel piano dell’io.

Invece se in questo sguardo al domani c’è il superamento dell’io, passiamo ad un piano diverso, che è il piano di Dio.

Luigi: Se c’è il superamento dell’io, certo! Perché allora questo superamento ci porta a far attenzione a questo Dio che viene davanti a noi, che troviamo davanti a noi.

Eligio: Sì, e che era già prima di noi, come dice il Battista. Era prima e Lo troviamo dopo aver superato il pensiero dell’io (cf :“Colui che viene dopo di me, è più grande di me perché era prima di me”).  

Luigi: Certo! Perché quando superiamo il pensiero dell'io, noi ci applichiamo a Colui che deve venire. E quando Lo incontriamo, scopriamo che era Colui che era già prima, prima che nascesse il pensiero del nostro io.

Perché il pensiero del nostro io nasce sempre da una riflessione su di un incontro: cioè ho fatto un'esperienza, poi la rivivo e penso a questa.

Ed è questo che mi determina anche il domani, però come proiezione dell'io, e quindi sempre in funzione dell'antico, di un fatto passato.

Infatti, se prendiamo i due estremi dell'umanità, il bambino e il vecchio, noi possiamo osservare che il bambino è tutto proiettato verso il futuro e che invece l'uomo vecchio è tutto ripiegato su se stesso: è tutto ricordi e non è niente futuro. Quindi lì abbiamo una significazione per la nostra vita spirituale. Cioè:

-                     il bambino è tutto rivolto al “domani”,

-                     il vecchio è tutto rivolto al “ieri”, ai “bei tempi passati”.

Ora questo avviene evidentemente sul piano naturale, ma è un segno da capire sul piano dello spirito. E quando Gesù dice: "Se non ritornate come bambini...." (Mt 18, 3), probabilmente ci vuole riportare in questa specifica dimensione del bambino, per cui ci invita a dimenticare tutto il nostro passato ed a proiettarci tutto verso il domani, verso Colui che sta per venire, perché Dio è davanti a noi.

Quando invece ci stacchiamo da Colui che è davanti a noi e pensiamo a noi stessi, noi allora incominciamo a seminare la vecchiaia nella nostra vita, ad esperimentare la tristezza, perché le cose passate non si ricuperano più, e più noi le cerchiamo e più le perdiamo.

Mentre invece, se noi guardiamo in avanti, in avanti ricuperiamo tutto il passato.

Oltre tutto, anche qui il significato del cane è stupendo, perché se il cane cerca di prendersi la coda, questa gli scappa sempre; ma se invece dimentica la coda e cammina avanti, la coda gli va dietro! Come lezione, come simbolo, è verissimo: se il cane la vuol prendere, quella gli scappa; se invece la dimentica e se ne va per conto suo, cioè se va avanti, la coda gli va dietro.

Come a dire che se noi guardiamo davanti a noi, se noi guardiamo a Dio, in Dio si ricupera tutto, perché vediamo che tutto è stato opera di Dio per noi; ma se noi cerchiamo di ricuperare qualche cosa di ciò che abbiamo perduto, facciamo esperienza di niente e di morte.

Eppure, se ben guardiamo, tutta la nostra fatica praticamente è poi sempre quella di cercare di mantenere su il nostro corpo, mentre invece esso giorno dopo giorno si disfa; tutta la nostra fatica è per cercare di tenerlo su, ma inutilmente, perché cerchiamo di tenere su una cosa che si sta disfacendo, ed è una fatica enorme!

E così anche per tante altre cose! Nel pensiero dell’io noi corriamo sempre a puntellare delle cose che stanno passando, e invece il Signore dice: "Guarda avanti! Non pensare alle creature! Perché le creature ti seguiranno, se tu guardi avanti". Quindi è vero quello che dice Gesù: "A cosa vale possedere tutto il mondo se si perde l'anima?" (Mt 16, 26), cioè se tu perdi il tuo futuro?

Invece se tu guardi Dio, cerchi Dio, in Dio ritroverai tutto: tutto! perché scopri che Dio ti ha pensato da sempre! In Dio noi diventiamo eterni! Perché in Dio noi scopriamo che Lui ci ha pensati da sempre!

Quindi non soltanto troviamo un'immortalità da un punto in avanti, ma in Dio ricuperiamo addirittura tutto il passato. Perché in Dio noi scopriamo che Lui ci ha voluti da sempre! E che quindi tutto quello che è avvenuto nel passato, era già avvenuto per noi, nel pensiero nostro, per cui ricuperiamo una presenza eterna con Dio, in Dio, quindi in questo futuro qui.

Da questo comprendiamo la necessità del superamento del pensiero dell’io per passare al piano spirituale, per proiettarci in avanti, verso quel Dio che viene a noi, e che era già prima del nostro io. E comprendiamo come senza tale superamento (che è l’anima di quell’"ieri” che precede l’“indomani”), si resti fermi al passato e non si realizzi per noi quell’“indomani” in cui si vede Gesù venire a noi.

Poi, camminando con il Cristo, vedremo che avremo altri “indomani” che ci porteranno progressivamente all’“indomani” eterno. Comunque, questo primo “indomani” segna l’inizio di una vita personale con Dio. Per questo è importante capire che cosa significhi, come si realizzi e quando. È chiaro?

Eligio: E' chiaro. Hai detto che l'“indomani” si realizza quando diventiamo consapevoli di essere soltanto una “voce” che invita noi stessi e gli altri ad entrare in rapporto diretto con quel Dio che abita in noi.

Luigi: Cioè quando diventiamo semplicemente un flato, un soffio, un niente che è tutto soltanto rivolto all’Altro, a Colui che è. Cioè l'Essere è l'Altro, è Colui che viene. 

Eligio: Si realizza l’“indomani” perché a quel punto lì, come hai detto, scopriamo il nostro nulla, poiché avendo tutta la nostra attenzione incentrata su Colui che abita in noi, vediamo tutto come opera sua, per cui rispettiamo il dialogo che c’è tra ogni anima e Dio evitando di metterci in mezzo. Hai precisato che è a questo punto qui che scopriamo che Dio viene a noi.

Luigi: Sì, perché non siamo più noi che facciamo, ma è Lui in tutte le cose che viene a noi. Se tutta l'attenzione l'ho rivolta a Colui che è presente in me e che parla a me, se tutte le cose sono operate da Lui, le vedo operate da Lui, allora ecco, è Lui che sta venendo! Il tempo è Lui che viene.

Eligio: L’“indomani” allora è il momento successivo a questa presa d consapevolezza di essere solo una voce.

Luigi: E già, perché quando parliamo di “indomani” dobbiamo tener presente quanto ho già detto, e cioè questo: noi nel tempo abbiamo “ieri” e “oggi” che avvengono automaticamente, ma quello che nel tempo materiale avviene così naturalmente, matematicamente, automaticamente, invece nel campo dello spirito, non avviene senza di noi; per cui se noi non maturiamo, se noi in coscienza non arriviamo a quel livello da dire: "Io sono solo questo: sono soltanto una voce, io non sono niente...", quell’“indomani” lì per noi non arriverà mai, cioè non vedremo mai il Gesù che viene a noi.

Cina: In sostanza, noi arriviamo a vedere che Lui viene quando si cessa di impedire che venga!

Luigi: E sì, perché noi parlando di noi, pensando a noi, praticamente impediamo che Lui venga. Lui in realtà viene, però teniamo presente, come ho detto all’inizio, che nella nostra vita apparente, nella nostra vita naturale, Lui va via; va via nel senso che noi ce Lo sentiamo sempre più lontano.

Infatti quante volte dobbiamo raccoglierci, metterci in silenzio, fare delle fatiche per cercare di ricuperare un pochino l'attenzione a Lui. Perché? Ma perché tutto ce Lo porta via! E come mai nella nostra vita naturale tutto ce Lo porta via, mentre in realtà Lui viene? E' perché noi viviamo nel pensiero del nostro io!

Cina: Quindi è il pensiero del nostro io che ci impedisce di vedere Lui che viene.

Luigi: Sì. “Sono le vostre colpe - dice il Signore nell'Antico Testamento - che mettono le distanze tra Me e voi” (Is 59, 2). Perché Lui non è distante. La distanza è soggettiva. Come dico, io posso essere vicinissimo ad un'altra persona, ma se questa persona ha una mentalità tutta diversa dalla mia, me la sento lontanissima.

Per cui, vedi che la vicinanza presuppone una certa dimensione interiore, uno stesso interesse, una stessa mentalità? E vedi quindi che la distanza è soggettiva, è dentro di noi? Mentre invece un’altra persona, anche se è lontanissima come spazio e anche come tempo, ce la sentiamo vicinissima se abbiamo lo stesso suo interesse, lo stesso suo pensiero.

Quindi l’essere “vicino” o l’essere “lontano”, da che cosa è determinato? Dall’avere un pensiero, un interesse in comune.

Allora se noi viviamo nel pensiero del nostro io, pensando a noi, questo crea delle distanze enormi, immense, nei confronti di Dio e quindi noi ce Lo sentiamo sempre più lontano. Lui viene, ma noi ce Lo sentiamo lontano!

Eligio: Questo sentire Dio lontano avviene quando noi non siamo nello spirito del Battista, perché non abbiamo percorso le tappe indicate da lui. È per questo che non si realizza per noi l’“indomani” in cui si vede Gesù venire a noi.

Luigi: Certo. Infatti il Battista è l'uomo giusto, è l'uomo che ci prepara. Rappresenta l'umanità, ma rappresenta l'umanità giusta; quindi rappresenta l'ideale dell'uomo giusto, cioè dell'uomo che fa la giustizia sul piano naturale, perché invece sul piano soprannaturale abbiamo la Madonna come figura ideale.

Lui praticamente insegna a noi la giustizia che dobbiamo fare. Ad esempio, quando dice: "Compi la giustizia, fai diritte le strade, metti Dio al centro", ci dice cose che sul piano naturale noi capiamo perfettamente, perché, ad esempio, tutti quanti sappiamo che noi non siamo Dio; per cui se noi ci facciamo centro anche di un piccolissimo mondo, anche soltanto di una persona, noi certamente facciamo un errore, e sappiamo di farlo, perché il centro è Dio, il Creatore è Dio.

Ora, come dico, basta un filo d'erba per confonderci, per dirci: "Tu non sei il Creatore, non sei tu che mi hai fatto!". E siamo sul piano naturale.

Quindi noi abbiamo delle lezioni su questo piano naturale, in questo mondo apparente, e sono lezioni di giustizia. Se noi non le ascoltiamo, certamente queste stesse lezioni ci impediscono di realizzare quell’“indomani”, ci impediscono cioè di entrare in quel ”domani” in cui vediamo il Messia che viene incontro a noi, che si avvicina a noi, che ci porge la mano.

Non vediamo Gesù venire a noi, perché non abbiamo fatto quelle premesse necessarie, non abbiamo fatto la giustizia interiore, cioè non abbiamo ascoltato le lezioni che, opera stessa di Dio, riceviamo sul piano naturale.

È per questo che ai Farisei il Signore dice: "Se voi non siete fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi si fiderà a dare a voi la ricchezza giusta?" (Lc 16, 11), e la ricchezza giusta è il Cristo.

Cioè se noi non siamo fedeli nelle “ricchezze ingiuste” (“ingiuste” nel senso che non ci sono dovute, ma sono di Dio), se non siamo fedeli a riconoscere quello che è “ingiusto” (e che possiamo naturalmente riconoscere che è “ingiusto”, perché sappiamo che è di Dio), è segno che non siamo pronti per questo “indomani”, quindi non possiamo vedere Gesù venire a noi: cioè non possiamo ricevere la ”ricchezza giusta” (“giusta” nel senso che è ciò per cui siamo stati creati: la conoscenza di Dio, alla quale Cristo ci vuole portare).

Però se non siamo fedeli nelle ricchezze ingiuste, ne siamo responsabili, perché noi sappiamo che certamente questo mondo non l'abbiamo fatto noi e che certamente non ne siamo noi il centro.  

Quindi l'uomo naturale in qualunque ambiente si trovi, sia in campo religioso che in campo non religioso, se è orgoglioso, se è egoista, certamente è nel peccato e sa di essere peccatore, perché è sconfessato da tutte le cose, poiché tutte le cose continuamente gli dicono: "Non sei tu che mi hai fatto! E allora perché tu dai luogo a dei rapporti in cui ti metti al centro e che quindi sono sbagliati?“. E che siano rapporti sbagliati, noi ne prendiamo coscienza già solo sul piano naturale!

Per cui se non siamo fedeli in questa ricchezza che è ingiusta, perché è palesemente di un Altro (siamo in casa d’Altri!), come faremo ad esser fedeli in quella giusta? Se entrando in casa d'altri non so rispettare il proprietario di quella casa lì, chi si fiderà a darmi una casa in mano mia? Perché certamente non sarò capace di rispettare lo “spirito“ di chi me l’ha donata!

Eligio: Possiamo dire che questo “indomani” è il punto di saldatura tra l’Antico e il Nuovo Testamento, vero?

Luigi: Certo. Infatti nell’”indomani” scatta l’“Ecco!”, che, abbiamo osservato la volta scorsa, è la saldatura tra l'Antico e il Nuovo Testamento, perché in quell’“Ecco!”, c’è l’individuazione del Cristo. Ma per arrivare a questo "Ecco!" ci vuole la partecipazione personale.

Eligio: Individuando il Cristo, si entra poi in un rapporto personale con Lui...

Luigi: Sì, certo. Infatti come dice: "Ecco...!", Giovanni Battista scompare, muore, perché ha finito la sua missione: ora i suoi discepoli devono passare al Cristo.

Anche questo ci fa capire che tutti gli avvenimenti sono disposti da Dio, perché nessuno l'ha imprigionato prima che dicesse quell'"Ecco...!" (in realtà, tutti gli avvenimenti sono disposti da Dio, quindi anche la nostra morte, la morte di ogni uomo). Compiuta la sua missione, ecco che si muovono le guardie, Erode lo mette in prigione e succede quello che succede; sembrano tutti movimenti umani e invece è tutto disposto da Dio: Giovanni aveva ormai compiuto la sua missione!

Così fu anche per il Cristo: quando ha terminato di dire ai suoi discepoli tutto quello che doveva dire, avendo compiuto la sua missione, si scatena l'ira che Lo manderà a morte.

Quindi tutto è predisposto da Dio, niente arriva a stroncare una missione.

Così per ognuno di noi, a meno che noi non maturiamo, per cui ad un certo punto il Signore dice: ”Quest’uomo non è maturato…”, come a dire, in sostanza: non maturerà mai.

Ma altrimenti, se uno cammina verso lo Spirito, non arriva nulla ad impedire questo cammino, anzi, Dio fa cooperare tutte le creature ed avvenimenti per portare a compimento la sua opera.

Infatti Elisabetta saluta la Madonna dicendo: "Beata te che hai creduto, perché si compiranno in te tutte le promesse del Signore".

Il che vuol dire che se l'uomo crede, le promesse si compiono, per cui si realizza per lui l’”indomani” in cui vede Gesù venire a lui.

È quando l'uomo non crede, che le promesse non si compiono; ma se l'uomo crede, cioè se mette Dio prima di tutto, la promessa si compie, perché è Dio che la porta a compimento. 

Pinuccia B.: Il versetto 29, conclude con la segnalazione dell’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo (”L'indomani Giovanni vide Gesù che veniva a lui e disse: “Ecco l'Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato dal mondo!”). Per “peccato del mondo” s'intende il nostro peccato personale?

Luigi: Il “peccato del mondo” è il peccato che c’è nel mondo e che è una conseguenza del nostro peccato personale. Infatti a causa del nostro peccato, il mondo si carica di peccato, per cui noi restiamo schiavi. Gesù dice: "Chi fa il male, resta schiavo di esso" (Gv 8, 34).

Il male, il peccato è l’autonomia da Dio, l’avere l’io al centro dei nostri pensieri, per cui noi, pensando a noi, nel pensiero di noi stessi, creiamo, facciamo delle cose (ed è Dio che ce le fa fare per farci prendere coscienza di questo nostro peccato di autonomia) che restano scritte nel mondo e ci rendono schiavi, perché noi restiamo dipendenti da esse.

Con Cristo, ecco, abbiamo ”l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo”. Cristo cancella questo peccato del mondo e vedremo, a Dio piacendo, nei prossimi incontri come lo cancella.

Pinuccia B.: Ci dà la libertà?

Luigi: Ci porta nella possibilità di essere liberati dalle nostre schiavitù. Cristo non è che cancelli il nostro peccato, così, magicamente, automaticamente. Cancella il nostro peccato se noi partecipiamo, se noi ci uniamo a Lui, se noi camminiamo con Lui. Venendo tra noi, ci dà la possibilità di esserne liberati.

Ma senza di Lui il peccato nostro interiore e anche quello scritto nel mondo, non si cancella, perché noi restiamo schiavi delle persone, degli uomini, schiavi di tutto ciò in cui noi vediamo l’opera nostra, il nostro io.

Teniamo presente che quello che noi parliamo, diciamo non motivati da Dio, ci rende schiavi: la parola detta non soltanto ci viene dietro, ma ci precede, ci condiziona. Quando noi diciamo una parola non motivata da Dio, questa parola qui ci condiziona il giorno dopo.

Pensiamo anche a tutte le azioni che facciamo: quando noi iniziamo un'opera, questa ci determina tutta una serie di interessi. Per cui se io faccio un lavoro, immediatamente mi sensibilizzo a tutta una particolare sfera di interessi e allora quando sento parlare di qualche argomento che si riferisce a questo lavoro, immediatamente sono più sensibile, perché riguarda me: ecco come si crea il legame!

E' questo legame qui che mi rende schiavo e che (pur riconoscendo idealmente la giustizia di Dio, la Verità di Dio, per cui diciamo: "Sarebbe bello, ma…!"), mi impedisce di realizzare ciò che riconosco giusto e bello.

Per cui è soltanto l'incontro col Cristo, che è una Realtà in questo mondo, in questo “mondo di peccato”, che ci può liberare da questi legami!

Quindi noi diciamo "mondo di peccato" non perché il mondo sia peccato, poiché il mondo è fatto da Dio, ma per i rapporti e legami che noi abbiamo creato pensando a noi stessi e per i quali noi siamo schiavi di tutto un mondo che ci blocca e ci impedisce di rivolgerci liberamente a quello che riconosciamo vero, giusto e buono.

La venuta del Cristo in questo ambiente di peccato in cui ci troviamo, ci dà la possibilità di superare questi legami.

Pinuccia B.: Quindi questo “toglie il peccato dal mondo…” vuol dire che ci dà la possibilità di essere liberati…

Luigi: Ci dà la possibilità di scavalcare quello che ci incatena, quello che ci rende schiavi.

Infatti il Signore dice: "Va’, vendi quello che hai…, lascia tutto…, vieni dietro di Me e troverai la liberazione, la vita eterna..." (cf Mt 19, 21).

Da qui la necessità di incontrare Cristo e di seguirLo, e quindi l’importanza di questo “indomani” in cui Lo vediamo venire a noi come “l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo”.

Pinuccia B.: Giovanni nel versetto successivo, cioè nel v. 30 ("Questi è Colui di cui ho detto: dopo di me viene Uno che mi precede, perché esisteva prima di me.. "), ripete quanto già aveva detto prima nel v. 15 (”Questi è Colui che io vi ho annunciato così: Colui che viene dopo di me è più grande di me, perché era prima di me”) e nel v. 27 (”…sta in mezzo a voi Uno… che verrà dopo di me e di cui non sono degno di sciogliere il legaccio dei calzari”).

Luigi: Ora che vede Gesù venire a lui, il Battista conferma quanto aveva detto prima, dicendo che quanto aveva annunciato (“…dopo di me viene Uno che….”) ora si è realizzato. Infatti dice: "Questi è Colui di cui ho detto: ecc. ecc. …”.

Cioè prima Lo annunciava e Lo attendeva , ora Lo vede venire. In mezzo c’è il ”dopo di me”. Commentando il v. 15, ci eravamo soffermati su quel "dopo" di cui parlava il Battista e avevamo detto che quel ”dopo di me” significa il superamento del pensiero dell’io, che è la condizione per vedere Colui che viene e che quando verrà scopriremo essere Colui che era già prima di noi (“Colui che viene dopo di me è più grande di me, perché era prima di me”).

Stasera approfondendo quell’“indomani” in cui si vede Gesù venire a noi, ne abbiamo avuto la conferma, perché abbiamo visto che questo superamento dell’io è l’anima di quell’”ieri” che prepara quest’“indomani”.

Pinuccia B.: E riguardo a ciò che il Battista dice nel versetto seguente, il v. 31 ("… ed io non Lo conoscevo; per questo sono venuto a battezzare con acqua, affinché fosse manifesto ad Israele"), volevo chiedere: qual è il collegamento di queste sue parole: ”per questo sono venuto a battezzare con acqua…” con l’argomento di oggi?

Luigi: Anche queste sue parole: ”per questo sono venuto a battezzare con acqua…”, confermano che quell’”ieri”, che precede quell’“indomani”, in cui si vede Gesù venire a noi, cioè in cui Gesù si rende manifesto, consiste essenzialmente nel battesimo di giustizia: “per questo sono venuto a battezzare con acqua, affinché fosse manifesto…”.

Infatti è la giustizia essenziale (il battesimo di giustizia) che ci rende consapevoli di essere solo una “voce” che invita noi stessi e gli altri al rapporto diretto con il Maestro interiore che è presente in noi e che ci fa scoprire il nostro nulla. E noi stasera abbiamo visto che sono queste le condizioni che ci preparano a quell’“indomani” in cui vediamo che Cristo viene a noi, cioè si rende manifesto.

Il Battista dice queste parole proprio all’“indomani”, cioè quando vede Gesù venire a lui, per cui esse sono una conferma che è proprio attraverso il battesimo di giustizia (che implica quel “dopo di me”, cioè il superamento dell’io) che si giunge a quell’“indomani” in cui Gesù si rende manifesto, cioè Lo si vede venire a noi e noi Lo possiamo individuare.

Quindi è come se il Battista dicesse: sono venuto a battezzare, affinché si realizzi per ogni uomo questo “indomani” in cui può vedere Gesù venire a lui, può individuarLo e dire anche lui “Ecco!”.

Lo stesso concetto l'avevamo già visto prima nel v. 26 quando Giovanni diceva: "Io battezzo nell’acqua, ma… sta in mezzo a voi Uno che voi non conoscete”. Qui è scritto “ma”, però avevamo ritradotto quel “ma” in “perché”; quindi il versetto andava letto così: “io battezzo nell’acqua, perché sta in mezzo a voi Uno che voi non conoscete".

E si era osservato che potevamo intendere questo “perché” non solo come un “perché causale”, ma anche come un “perché finale” che indicava il fine per cui Giovanni battezzava: per far conoscere quell’Uno che sta in mezzo a noi, in noi e che noi non conosciamo, per renderLo cioè manifesto, perché, avevamo detto, quel battezzare è un illuminare.

Prima infatti il Battista aveva detto: "io sono una voce"; quindi, essendo “voce” parla. Il battesimo è soltanto il segno di un'illuminazione, di un insegnamento, di una lezione. Quindi è come se dicesse: "Io parlo (= battezzo) per dire che in mezzo a voi c'è Uno che voi non conoscete".

E adesso in questo versetto 31 dice più esplicitamente lo scopo per cui battezza: ”Per questo io sono venuto a battezzare con acqua, affinché fosse manifesto…”, cioè “io sono venuto a battezzare per rendere evidente, perché sia manifesto Colui che è in mezzo a voi, in voi”, perché cioè sorga per ogni uomo questo “indomani”.

Comunque, la consapevolezza di essere solo una voce che invita a raddrizzare le vie del Signore (che invita cioè al battesimo di giustizia) e il richiamo al Dio che è tra noi, che abita in noi, sono le condizioni, l’abbiamo visto stasera, che ci aprono a quell’“indomani”, in cui vediamo Gesù venire a noi.

Questo è ciò che dice e fa l’uomo giusto: infatti, l’abbiamo visto, Giovanni Battista “non era lui la Luce, ma venne per rendere testimonianza alla Luce”. Quindi tutto quello che lui fa, lo fa per rendere evidente a noi quell'“Uno che è in mezzo a voi e che voi non conoscete": affinché sia manifesto! Ecco la testimonianza alla Luce!

E intanto dicendo questo, dice ad ognuno di noi “come” dobbiamo comportarci gli uni verso gli altri: testimoniando la Luce, “affinché Lui sia manifesto…”, cioè affinché "Vedendo le vostre opere - dice il Signore - lodino il Padre" (Mt 5, 16).

Quindi non dobbiamo mai metterci in vetrina, mai presentare noi, mai incentrare l’attenzione su di noi, perché altrimenti non si vede il Padre. È come il vetro che deve essere pulito: allora si vede il sole, perché lascia passare la luce. Se il vetro è sporco, la luce viene filtrata e si vede male.

Quindi anche le opere, tutto quello che facciamo e diciamo, tutto deve essere fatto e detto in modo da evidenziare Colui che è presente, il Maestro interiore.

Ogni creatura è in diretto rapporto con Dio, per cui non dobbiamo mai metterci in mezzo tra l'anima e il suo Maestro. S. Agostino dice che tra l'anima e il Signore non c'è interposta nessuna creatura, nessuna cosa creata.

Allora noi dobbiamo sempre tener presente che anche il bambino, il malato, il vecchio, il delinquente, cioè ogni creatura, ha la sua anima che è in diretto rapporto con il suo Maestro interiore, con Dio, e non dobbiamo quindi scavalcare o rompere questo rapporto.

Quindi noi dobbiamo sempre stare attenti che chiunque a cui noi parliamo è un essere che è in diretto rapporto con Dio, che è in ascolto di Dio, anche se lui non lo sa, per cui noi dobbiamo sempre rispettare questo rapporto.

Noi praticamente, incontrando una persona, entriamo in un colloquio a due, tra quella persona e l'Altro, e quindi ci deve sempre essere questo massimo rispetto.

Ora soltanto se noi abbiamo molta attenzione al Dio che è presente in ogni uomo, allora il nostro comportamento è molto diverso, perché rispettiamo sempre la coscienza dell'altro, non violentiamo l'altra persona, ma rispettiamo sempre il dialogo che l'altra persona ha con il suo Signore.

Ecco allora che il nostro parlare, il nostro operare è soltanto un contorno che deve confermare quello che l'altro già porta dentro di sé e non portarlo via, quindi non dobbiamo renderci più attraenti di Dio.

E questo è semplicemente giustizia: giustizia essenziale. Tale giustizia, l’abbiamo visto, matura e cresce in noi man mano che si percorrono quelle tappe indicateci dal Battista, per cui essa diventa in noi consapevolezza di non essere noi la Luce, né il Messia né il Profeta, ma di essere solo “una voce” che testimonia la Luce e che invita noi stessi e gli altri a stabilire il rapporto diretto con Colui che abita in noi ed a rispettarlo negli altri.

La giustizia essenziale è quindi la sostanza di quell’“ieri” che prepara quell’“indomani” in cui si vede il Cristo venire a noi.

Eligio: La vita del Battista è la più alta testimonianza di giustizia che viene resa sul piano naturale a Dio e siccome lui rappresenta l’uomo giusto, anche noi dovremmo ripetere su questo stesso piano naturale quello che lui dice o fa. Mi è difficile però capire come sia possibile per noi sul piano naturale dire ad altri, per esempio, queste sue parole: “In mezzo a voi sta Uno che voi non conoscete…e che è più grande di me…ecc.". Come possiamo avere questa intuizione o conoscenza al livello naturale?

Luigi: Non solo possiamo, ma dobbiamo testimoniare a noi e agli altri che c’è Uno tra noi, in noi, che è più grande di noi…. Ma noi dobbiamo avere questa conoscenza prima di tutto per noi: cioè dobbiamo sapere che noi non siamo Dio. E questo lo sappiamo e lo sappiamo a livello naturale! Perché? Ma perché tutte le cose, anche le creature più infime, me lo dicono; e in quanto mi dicono: "Tu non sei Dio! Non sei tu che ci hai fatte!", immediatamente mi impongono (sì, direi proprio: “mi impongono!”) di togliere il mio io dal centro e di riferire tutto a Dio, quindi di mettere Dio al centro.

Quindi ecco, già solo sul piano naturale posso capire che al centro del mio cuore, al centro della mia vita, al centro del mio pensare io devo mettere Dio, non devo cioè riferire le cose a me, perché riferendole a me, immediatamente metto il mio io come centro.

Allora le cose mi dicono: "Tu non ci hai fatti", e questo tutti, anche coloro che non hanno mai sentito parlare di Dio, immediatamente lo sanno, perché, come ho detto, tutte le cose mi dicono (e per capirlo basta un filo d'erba!): "Tu non ci hai fatti!".

Per cui ogni rapporto con il nostro io, cioè riferito al nostro io come centro, è un rapporto innaturale, non è un rapporto naturale, perché le cose naturalmente ci dicono: "Non sei tu che mi hai fatto", quindi “naturalmente” ci invitano a mettere Dio al centro, a rapportare tutto a Lui.

Allora mettendo Dio al centro, io rapporto le cose a Dio non più a me, e anche nei riguardi degli altri io devo sempre rapportare ciò che dicono o fanno a Dio, mai riportarlo al mio io, mai all'uomo, ma sempre riferire tutto a Dio.

Eligio: Questo è chiaro. Ma si direbbe da altre parole del Battista che egli abbia una conoscenza del Cristo ad un livello superiore rispetto al livello naturale, per esempio quando dice: "Io battezzo con acqua, ma tra di voi c'è Uno che battezza in Spirito!". Come si può fare una tale affermazione, se non si ha una conoscenza che mi pare sia molto al di sopra di una conoscenza puramente naturale?

Luigi: Innanzitutto diciamo che il Battista, l’abbiamo visto l'altra volta, per una funzione storica che ha avuto, in quanto ha rappresentato l’umanità, è stato un attore, quindi ha recitato una parte. Ora, lui per recitare quella parte ha avuto delle grazie particolari: lo Spirito nel deserto gli aveva detto che “Colui sul quale vedrai scendere lo Spirito e rimanere è quello che battezza nello Spirito Santo ..." (Gv 1, 33), ma questo gli è stato concesso in quanto è stato un attore.

Così, come il povero Giuda: per recitare la parte che doveva recitare, ha avuto delle, diciamo, …"disgrazie", ha avuto dei "meno-doni" o dei carichi ereditari che Dio stesso gli ha dato; cioè Dio l’ha costruito apposta affinché potesse recitare quella parte, poiché egli doveva recitare quella parte che doveva servire per ognuno di noi, che deve servire per ognuno di noi.

Quindi Giovanni ha avuto dei doni particolari per fare e dire tutto quello che ha fatto e detto; però quello che lui ha fatto e quello che lui ha detto, deve trovare applicazione personale in ognuno di noi. Ad esempio, quando dice: "Io battezzo nell’acqua…", questo "battezzare nell'acqua" deve trovare riscontro in ognuno di noi.

Eligio: Cioè noi dobbiamo battezzare in acqua!

Luigi: Certo! Quindi dobbiamo capire cosa vuol significare questo battesimo di acqua. Ogni creatura può e deve battezzare in acqua, cioè vivere e predicare la giustizia essenziale. Invece il battesimo dello Spirito è solo Dio che lo dà, è solo il Cristo che lo dà ad ogni uomo: ad ogni uomo che Lo segua!

Allora con il Battista noi abbiamo il battesimo di acqua che è un invito alla giustizia, secondo quello che l'uomo naturalmente già intende; con il Cristo abbiamo il battesimo dello Spirito, perché è Lui che ci porterà alla Pentecoste.

Il battesimo di acqua è poi questo pulirsi i piedi l'un l'altro, perché noi naturalmente scivoliamo, naturalmente ci lasciamo portare via dalle creature e allora ecco il "battezzare nell'acqua", questo pulire, questo lavare i piedi, il che è poi un ammonimento: "Non attaccarti a questo o a quello…, non è quello lo scopo della vita!".

Ecco, questo battesimo di giustizia è sempre questo continuo aiuto che dobbiamo dare a noi stessi, alla nostra anima che tende a scivolare, a caricarsi, perché tutte le creature che noi incontriamo, tutte le cose che noi facciamo, lasciano una traccia in noi e ci caricano, perché ci distaccano un po' dall’essenziale.

Allora, ecco, questa revisione continua è un "battezzare nell'acqua" noi stessi, e nello stesso tempo è anche verso gli altri che dobbiamo dare questo aiuto, perché gli altri si caricano di legami e schiavitù come ci carichiamo noi, e si possono caricare anche verso di noi.

E allora naturalmente ci dev’essere un’autocritica continua: autocritica che noi dobbiamo fare e che dobbiamo aiutare gli altri a fare, dicendo loro: "Guarda che quella non è la cosa più importante da fare, non metterla al centro, non pensare a te stesso, perché non è il tuo io che va messo al centro, non è al tuo io che devi riferire le cose…; anzi il tuo io deve essere messo in periferia…, ecc.". 

Allora questa lezione, in questi termini qui, è un “lavarci i piedi” per cercare di sgombrare tutto ciò che ci carica e ci distoglie dall’essenziale; questo è battezzare nell'acqua, in modo da rendere evidente (cioè “perché sia manifesto”: ecco qui dice proprio “perché sia manifesto”) Colui che deve venire.

Ora, se non avviene questo, non sarà manifesto Colui che deve venire.

Quindi, siccome “l’essere manifesto” è l’”indomani”, se in noi non avviene questo, cioè se noi non accettiamo questo battesimo di acqua, non è manifesto per noi il "Gesù che viene a noi”, cioè per noi l’“indomani” non arriva. Non arriva, perché per noi non è manifesto Colui che viene a noi. 

Per questo Giovanni qui dice (v. 31): "Io non Lo conoscevo, ma per questo sono venuto a battezzare con acqua, affinché fosse manifestato in Israele": manifestato, cioè manifesto. Ora, Israele è ogni uomo…

Eligio:… cioè ogni anima che fa questa giustizia, che mette Dio al centro, vero?

Luigi: Certo! Quindi “ battezzo, predico la giustizia, affinché ad ogni uomo sia manifesto il Maestro interiore che porta dentro di sé, e Lo possa ascoltare direttamente”.

Allora, Giovanni battezza nell'acqua… (”io battezzo nell'acqua…”, egli dice), noi pure battezziamo nell’acqua; cioè dobbiamo aiutarci l'un l'altro sempre a "lavarci" da questa polvere che si carica su di noi camminando nel mondo. È chiaro?

Eligio: Chiarissimo!  Sono tutte parole e lezioni da capire nel loro significato spirituale e da vivere.

Luigi: E sono sempre lezioni dell'Antico Testamento, che sono sintetizzate dal Battista e che sono premesse all’incontro con Cristo.

Eligio: Qui siamo molto vicini al Nuovo Testamento.

Luigi: Ecco, qui abbiamo il punto di saldatura con il Nuovo Testamento, cioè il passaggio: il possaggio al Cristo.

Cina: Questo “indomani” va desiderato, preparato. La vita è tutta lì!

Luigi: No. Direi: quel “lì” è una preparazione alla vita, perché la vera vita è Cristo.

Angelo  B.: La vita comincia dopo l'“Ecco!”.

Luigi: Certo! Qui, con l’”Ecco!”, arriviamo soltanto a segnalare il Cristo. È quindi soltanto un'introduzione. Qui siamo nell'introduzione! Ma è con Cristo che troviamo la vera vita. Infatti Gesù dice: "Io sono la Vita!" (Gv 14, 6), perché Lui ci porta al Padre e allora lì abbiamo la vera vita, una vita tutta personale.

Qui stiamo passando dall'uomo-numero, dall'uomo-massa, dall'uomo-sociale, dall'uomo-gruppo, all'uomo-personale; ma la vita personale scatta nel momento in cui l'uomo supera se stesso. E non c'è nessuno che lo possa far superare se egli stesso non si supera, perché deve togliere il pensiero del suo io dal centro e mettervi Dio.

Come mette Dio al centro, lì abbiamo già tutto un inizio, un seme di vita personale, perché è un lavoro personale che la creatura fa. Prima invece andava avanti così, per quello che le arrivava.

Infatti prima di mettere Dio al centro, la creatura è soltanto una reazione a fatti esterni, per cui è in balìa a quelle che Gesù chiama: "le tenebre esteriori" (Mt 8, 12).

A questo livello la creatura vive in quanto reagisce a degli stimoli esterni: per cui se sente il bisogno di mangiare, mangia; se l'altro lo offende, si rammarica; se legge le notizie sul giornale, ne deve parlare; ma sono tutte soltanto proiezioni di un mondo attorno a noi, cioè soltanto proiezione di fatti esterni. Non c'è la vita personale!

Cina: E per quanto tempo, purtroppo, si vive così!

Luigi: Si muore così! Perché così non si vive! Ed è tutto un tempo da ricuperare!

Angelo B.: Poi si ricupera e si incomincia a vivere.

Luigi: Si ricupera se…

Eligio: Si ricupera più o meno, perché pensavo a Giuseppe e a Maria che hanno impiegato tre giorni per ritrovare Gesù, a causa della disattenzione di un momento...

Luigi: Sì, per una giornata di cammino senza Gesù hanno impiegato il triplo del tempo per ritrovarLo, e hanno dovuto penare e come hanno penato! Per tre giorni, ma tre giorni di sofferenza, di ansia! Quasi a dirci che ogni passo sbagliato che noi facciamo, poi ce lo dobbiamo rimangiare per tre giorni, e con pena!

Eligio: Se faccio il calcolo cronologico,…se ci vuole triplo tempo per ricuperare tutto il tempo di disattenzione a Dio, non posso più arrivarci…Devo quindi trovare un’altra dimensione di tempo!

Luigi: C'è il fatto del buon ladrone: tu vedi che in cinque minuti…

Angelo B.: …ha ricuperato tutto!

Luigi: Perché è un problema di intensità, di dedizione, di amore. Quindi non possiamo misurare il tempo su un piano lineare!

Però questi sono fatti veri, e come sono veri!


 


“L'indomani Giovanni vide Gesù che veniva a lui e disse: “Ecco l'Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato dal mondo! Questi è Colui di cui ho detto: Dietro di me viene Uno che è più grande di me, perché esisteva prima di me; ed io non Lo conoscevo, ma per questo io sono venuto a battezzare con acqua, affinché fosse manifesto in Israele.”.Gv 1 Vs 29-31 Terzo tema.


Titolo: Il peccato come omissione.


Argomenti: Il male non esiste esteriormente, è solo interno all’uomo. Preferire il pensiero dell’io al pensiero di Dio: giudizi sbagliati. Il battesimo come interrogazione. Lontananza e vicinanza. Togliere il peccato dal mondo.  Il peccato non è esterno. Preferire la creatura al Creatore. L’iniziativa dell’uomo. Il deserto. La comprensione. Il concetto di Agnello. Senza Dio tutto è male. Isaia. Peccato veniale e mortale.


 

4/Luglio/1976


Dall'esposizione di Luigi Bracco

Fermiamoci su questa frase di Giovanni: "Ecco l'Agnello di Dio, Colui che toglie il peccato dal mondo!".

La volta scorsa avevamo considerato questa parola: "l'indomani", e ci eravamo chiesti quand'è che anche per noi si verifica questo "indomani", quell'indomani in cui l'anima nostra vede Gesù che viene a noi, che viene incontro a noi, perché abbiamo detto che tutto quello che accade nelle pagine del Vangelo è sempre una lezione personale di quello che deve accadere nella vita di ognuno di noi. Quindi più noi ci soffermiamo a meditare sul significato delle parole di Gesù, delle pagine del Vangelo, tanto più noi scopriamo l'anima della nostra vita, l'anima dei fatti che avvengono nella nostra vita, non solo, ma anche quello che deve avvenire nella nostra vita e che può anche non avvenire, perché ci sono delle cose che non avvengono in noi senza di noi.

Ci sono delle cose che avvengono senza di noi, ma ci sono delle cose che non avvengono senza di noi, ad esempio la Resurrezione del Cristo, ad esempio la Pentecoste.

Cristo muore anche senza di noi (la sua morte fisica è concessione di Dio per rivelarci quello che avviene in noi), ma non risorge senza di noi; la Pentecoste non avviene nella nostra vita personale senza di noi, cioè senza questa partecipazione personale.

Per cui se noi non mettiamo nella nostra vita certe cose, tante cose che dipendono da queste, non avvengono in noi, non si verificano. E allora ecco che le lezioni del Vangelo sono per insegnare a noi quello che dobbiamo mettere personalmente nella nostra vita e che se noi stessi non mettiamo, certamente quelle cose lì non avvengono, non si realizzano in noi. Però ne siamo responsabili, perché noi siamo stati ammoniti, abbiamo ricevuto la lezione da parte di Dio, per cui Lui ci dirà: "Io ti avevo annunciato la cosa principale da mettere nella tua vita, e perché tu non l'hai messa? perché tu non l'hai fatta? Ecco allora che ti sei privato di tutte quelle "grazie su grazie", di tutte quelle grazie che vengono dopo la prima grazia”.

La prima grazia infatti Dio la fa giungere anche senza di noi, per prepararci a ricevere quelle grazie che non possono però giungere a noi senza di noi.

Cioè se, ad esempio, in noi non matura la fame di Dio, noi non arriviamo a quell'”indomani”, in cui Giovanni Battista (che rappresenta la nostra coscienza, la nostra anima) vede Gesù venire a lui.

Perché noi possiamo anche sentir parlare di Gesù, noi possiamo anche conoscere magari tutto di Gesù, ma non vedere Gesù che viene incontro a noi, che viene nella nostra vita personale.

Ora questa frase che troviamo scritta qui: "...l’indomani Giovanni vide Gesù che veniva a lui...", è una frase per dirci che anche per noi c'è un momento nella nostra vita, (Giovanni rappresenta l'uomo, ognuno di noi), in cui si vede Gesù che viene.

Anche Gesù, parlando della fine del mondo, che è poi la fine di tutto un nostro mondo, la fine di tante cose nella nostra vita, ci dice che man mano che questo mondo nostro (sul quale noi magari sostenevamo la nostra vita, sul quale noi facevamo conto) crolla, noi vediamo venire Gesù con grande maestà; però ”tra le nubi”. Tra le nubi, perché magari è ancora incerto, confuso, non Lo vediamo con chiarezza, però incominciamo a vedere la sua grandezza.

Ecco, vediamo la sua grandezza che si avvicina a noi: da una lontananza magari di duemila anni nella nostra vita, a poco a poco ce Lo sentiamo vicino.

La volta scorsa già abbiamo detto che la lontananza e la vicinanza è sempre un rapporto personale: noi possiamo essere molto vicini fisicamente, abitare magari nella stessa casa, ed essere molto lontani se abbiamo diversità di mente, diversità di pensiero; possiamo essere molto lontani fisicamente ed essere invece molto vicini spiritualmente se abbiamo identità di mentalità, identità di pensiero, identità di desiderio, d’ispirazione.

Ed allora ecco che c'è nella nostra vita un giorno, un momento, in cui vediamo venire Gesù: è quell’ “indomani”, a cui abbiamo accennato la volta scorsa, che presuppone però tutta una preparazione, la preparazione stessa di Giovanni Battista attraverso la quale egli incomincia a dire: "Non sono io la Luce, non sono io il centro del mondo, non sono io la salvezza degli altri, non sono io il Messia, non sono io il Profeta…, io sono soltanto una voce..." (ecco, la sua povertà e la sua umiltà!), "...è necessario che Lui cresca e che io diminuisca", e arriva ad annunciare che Colui che è la salvezza dell'uomo, la salvezza di ognuno di noi, abita dentro di noi, è tra noi, "...in mezzo a voi, in voi, sta Uno che voi non conoscete...". Ecco!

E quando in noi si forma questa attenzione verso quest'Uno che ci è annunciato (“Guarda che è presente in te, ma che tu ancora non conosci!”, ci vien detto), ecco che si forma in noi quella fame che ci prepara già a quell'”indomani”, in cui si vede Gesù venire incontro a  noi.

Allora è a quel punto lì che Giovanni dice: "Ecco...!", cioè Lo segnala.

Poi, detto questo, Lui scompare perché la sua missione è finita. Ed è finita tutta la preparazione, cioè tutta la missione dell'Antico Testamento e quindi tutta la preparazione di tutte quelle lezioni che avvengono nella nostra vita, nella natura, nel nostro mondo, nella nostra storia, ecc.

Il giorno in cui noi possiamo dire, la nostra coscienza, la nostra anima può dire: "Ecco, è Lui! Qui è la mia salvezza! Questo è il bene che io mi aspettavo!", tutto ha svolto, ha compiuto la sua missione: il mondo a questo punto qui ha detto quello che doveva dire, quindi è inutile che noi continuiamo ad interrogare le creature. Le creature ormai hanno detto quello che ci dovevano dire.

Ed è a questo punto qui che noi incominciamo a seguire la novità, l'Evangelo, la Novella, la Buona Notizia nella vita dell'uomo, poiché abbiamo incontrato Colui che ci salverà, L’abbiamo individuato!

Giovanni Lo presenta come “l'Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo”.

È la frase su cui, abbiamo detto, vogliamo fermarci un pochino stasera a meditare.

Prima di tutto allora dobbiamo cercare di capire cosa vuol dire questo “togliere il peccato dal mondo”.

Se noi lo consideriamo sul piano storico, subito ci viene l'impressione che questa sia un po’ un'utopia, perché dopo duemila anni dov’è che è stato tolto il peccato dal mondo? Quante volte si sente dire: " Sono duemila anni che Cristo è venuto, che ha annunciato il Regno di Dio e questo Regno non si vede ancora. E' venuto ed ha annunciato che avrebbe tolto il peccato dal mondo, ma possiamo dire che il mondo è quanto mai preso dal peccato, immerso nel peccato, nel male!".

Quanti si fermano a questa interpretazione superficiale delle parole di Giovanni Battista, certo, non possono sfuggire al dubbio circa la veridicità e quindi anche circa la verità del messaggio evangelico. Infatti:

-                             si è annunciata una liberazione, ...e dov'è che siamo liberi?

-                             Si è annunciato una cancellazione, una eliminazione del peccato, e dov'è che il peccato è sparito? Basta girarci attorno e ovunque guardiamo, noi troviamo questo pesantore del peccato, questo peso del male in tutte le cose.

-                             Si è annunciato vicino il Regno di Dio: "Fate penitenza: il Regno di Dio è vicino!". Sembrava imminente, e dov'è questo Regno di Dio? Si vede il regno della violenza, si vede il regno della ricchezza, si vede il regno degli uomini. Dov'è dunque questo Regno di Dio?

Per cui nell'animo nascono i dubbi, nascono le incertezze e quando uno è nei dubbi, nelle incertezze, resta preda delle forze del mondo, delle forze che sono apparenti: la ricchezza, il lavoro, la forza, la bellezza, le sicurezze terrene, e si vive per quello.

Invece in tutte le cose noi abbiamo visto che bisogna sempre andare più a fondo, perché il parlare di Gesù, e tutto quello che si dice nel Vangelo, ha un valore spirituale e in quanto ha un valore spirituale, tutto quello che ci annuncia, va sempre cercato nello spirito.

Ora, dobbiamo innanzitutto capire che il peccato non è nel mondo esterno.

Teniamo presente quello che dice Gesù: "Chi fa il male resta schiavo di esso!".

Ora, “chi” fa il male, ecco,  è sempre la persona singola: "chi” fa il male. 

Quindi se c'è un male che opera attorno a noi e che crea delle dipendenze, che crea delle catene, non è il male fuori che operi su di noi, non è il male del mondo che operi su di noi, perché Gesù dice che resta schiavo del male “chi fa il male”; e questo ci fa pensare che se noi non facciamo il male, non c’è nessun male che ci renda schiavo: cioè, per noi, se non facciamo il male, il male fuori non ci tocca.

A questo punto capiamo già che questo “Agnello che toglie il peccato dal mondo” acquista tutta una dimensione personale: si riferisce cioè al peccato interiore personale, che è poi il vero male. Quindi non c’è il male nel mondo esterno (tutto ciò che arriva a noi senza di noi è opera di Dio), perché Gesù dice che resta schiavo del male chi lo fa: chi non lo fa, non resta schiavo!

C’è anche un'altra frase di Gesù che dice: “Non c’è  nulla dall'esterno che possa far male all'uomo… tutti i mali partono dal cuore dell'uomo”: ciò che fa male all'uomo non è quello che arriva all'uomo, ma è quello che parte dall'uomo.

Quindi non c’è nulla di quello che arriva a noi che possa farci del male se noi stessi non abbiamo fatto il male; e anche questo ci fa capire che attorno a noi non c’è questo male, o per lo meno su di noi nulla dall’esterno può far male, se noi stessi non ci siamo sensibilizzati ad esso, cioè se noi stessi non abbiamo fatto il male dentro di noi.

E il male si fa in quanto si preferisce la creatura al Creatore, in quanto si mette al centro della nostra vita il pensiero del nostro io, anziché il Pensiero di Dio: è questo che scatena il male!

Perché “tutti i mali che ci sono nel mondo, dice Gesù, partono dal cuore dell'uomo”; ma dal cuore di ogni singolo uomo, perché tutto quello che non dipende dall'uomo, tutto quello che arriva all'uomo, in quanto arriva all'uomo, è opera di Dio. In quanto arriva! Quindi non dobbiamo aver paura di niente di quello che arriva a noi, perché tutto quello che arriva, arriva per mano di Dio. Dobbiamo aver paura di quello che parte da noi: è questo che ci può mandare all'inferno! È questo che ci può rendere schiavi! La fabbrica delle catene è nel nostro cuore; quindi è da quello che noi desideriamo, è da quello che noi mettiamo come centro dei nostri pensieri, come anima del nostro vivere, come punto di riferimento, che nascono le catene!

Mentre invece se noi facciamo la giustizia essenziale, cioè  la giustizia di mettere al centro del nostro pensare e al centro del nostro vivere il Pensiero di Dio, perché è giusto riferire le cose a Dio, poiché le cose sono di Dio (“Dai a Dio quello che è di Dio!”, ci dice Gesù), quindi se noi mettiamo al centro dei nostri pensieri, dei nostri giudizi, se mettiamo al centro della nostra vita il Pensiero di Dio, quindi se facciamo questa giustizia essenziale, questo ci libera dal male, perché da noi non parte il male  (poiché, abbiamo detto, il male sta nel preferire il pensiero di noi stessi al Pensiero di Dio), ma il bene, perché ciò che parte da noi parte dal Pensiero di Dio.

Ora invece, quando noi preferiamo il pensiero di noi stessi al Pensiero di Dio, cosa succede dentro di noi?

Succede questo: che tutte le cose noi le fermiamo al pensiero del nostro io anziché riferirle a Dio, e quando le riferiamo al pensiero del nostro io, i giudizi sono sempre sbagliati e quindi le scelte sono sempre sbagliate. Perché?

Perché noi facciamo le scelte e compiamo dei giudizi in funzione del pensiero del nostro io e quindi in base a : "Questo mi piace…, questo mi conviene…, questo per me è bene…, quello per me non vale...., ecc.".

Ora, tutte queste scelte in funzione del "questo mi piace…, quello non mi piace…; questo mi è simpatico…, quello è antipatico…; questo per me è bene..., quello non è bene…; questo per me vale…, quello non vale…, ecc.", sono tutti giudizi sbagliati, perché sono rapportati al nostro io.

Invece la giustizia sta non nel fermarci al "mi piace o non mi piace…”, a quello che mi conviene o non mi conviene, a quello che mi fa bene o non mi fa bene, riferito al mio io, ma nell’interrogare sempre Dio, nel riferire sempre a Dio, nel dialogare con Dio: "Questo non mi piace, ma Dio cosa ne dice?…Gli uomini dicono questo, ma Dio cosa ne dice?…". Ecco, questa è la giustizia essenziale: questo interrogare Dio.

Il battesimo, all'inizio del cristianesimo, era una introduzione, una educazione a interrogare Dio, cioè si insegnava all'anima a interrogare Dio.

E cosa vuol dire interrogare Dio? Vuol dire chiedere a Dio il giudizio, chiedere a Dio la luce su -, e non accontentarci di quello che dicono gli uomini, e non accontentarci di quello che piace a noi  o non piace a noi, ma sempre cercare il giudizio di Dio.

Difatti Gesù arriva a dire che Uno solo è il Maestro: "Non chiamate nessuno col nome di Maestro, perché Uno solo è il vostro Maestro..."; questo è come dire: "Non accontentatevi di quello che dicono gli uomini, non abbiate nessuno come maestro!".

Gesù arriva a dire che nemmeno dobbiamo dare il nome di "padre" a nessuno “perché Uno solo è il Padre, quello che è nei Cieli”, cioè dobbiamo essere figli di Uno solo. Quindi dobbiamo essere sempre motivati da Dio, discendere da Dio e non accontentarci di altre motivazioni, ad esempio: "Questo lo faccio perché l'ha detto mio padre!", no! Non basta per essere giustificati dire: "L'ha detto mio padre…, l'ha detto mia madre…, oppure lo dicono gli altri…!".  Non ci giustifica nessun’altra autorità. L'Autorità è Una sola: Dio!

Quindi dobbiamo sempre riferirci a Dio, sempre interrogare Dio, sempre discendere da Dio, altrimenti entriamo nel peccato, altrimenti si scatena in noi questo peccato qui che è il vero male, quello che poi dopo ci rende schiavi, succubi di tutte le cose del mondo. E allora è qui che noi troviamo il peccato attorno a noi, dappertutto, perché è questo nostro peccato interiore, questo non discendere da Dio, che ci rende schiavi.

Ecco, questo ci fa capire che il vero peccato, l'essenza del peccato, non è come generalmente noi intendiamo: “quello che facciamo”. No, non sta nel fare; il peccato è un-non-fare.

Cioè il peccato è sostanzialmente un'omissione, questo non fare (omettere vuol dire non-fare), questo non fare il rapporto con Dio, non riferire a Dio, non cercare il Pensiero di Dio.  E questo vuol dire che non ci interessa Dio, non ci sta a cuore Dio, come se, ad esempio, a me non interessasse il pensiero, quello che pensa una certa persona: questo rivelerebbe che a me non sta a cuore quella persona. Ma se invece mi sta molto a cuore quello che pensa quella persona, in tutte le cose, anche se non ho la possibilità di andare personalmente a chiedere consiglio o ad interrogarla, dentro di me mi chiedo: "Ma quella persona lì cosa ne dirà? Cosa ne penserà?"

 Ecco cosa vuol dire riferire a-.  Il riferire a- sta lì!

Ora, se noi non facciamo questo (non facciamo, cioè “omettiamo”), questo è omissione, e lì sta il vero peccato: il non fare quel tratto di strada tra il pensiero del nostro io e Dio.

Se invece noi facciamo questo tratto di strada e ci riferiamo a Dio, ecco, allora in noi si forma una luce nuova: scatta il giudizio secondo Dio, perché come noi riferiamo la cosa a Dio, capiamo subito quello che Dio vuole, poiché la volontà di Dio non si confonde con nessun'altra volontà: "Le mie parole non sono le vostre, i miei giudizi non sono i vostri".

E allora se noi cerchiamo presso Dio quello che vale e quello che non vale, cioè cerchiamo il giudizio di Dio, in noi si forma una luce nuova, una luce diversa: che è diversa da tutti i giudizi degli uomini, che è diversa da tutte le parole degli uomini, ed è questa luce qui che poi dopo ci guida, che ci fa fare delle scelte, che orienta la nostra vita in un modo piuttosto che nell’ altro. 

Allora Gesù, che viene proprio ad insegnare a noi a fare questo lavoro qui con il Padre,   continuamente ci richiama (“Non date a nessuno il nome di Padre, poiché Uno solo è il vostro Padre!”, sempre ci ripete), perché noi continuamente tendiamo a dimenticare questo lavoro che dobbiamo fare, tendiamo a scivolare a lasciarci guidare dalla mentalità del mondo, dai giudizi del mondo, dalle nostre stesse abitudini: siamo abituati a fare così o a fare cosà e non ci interroghiamo più.

Ora, non c’è niente che rovini di più la nostra vita spirituale, che è poi la vita essenziale, quanto l'abitudine, il fare le cose per abitudine, perché ormai siamo abituati a fare così…Con Dio invece c’è una novità continua, c’è una riforma continua, c’è un rinnovamento continuo, perché Dio è sempre una novità continua; per cui se ieri anche nel bene abbiamo fatto così, se noi interroghiamo Dio, Dio ci impegna sempre a superarci, ed è un superamento continuo, anche nel pensiero.

Per cui tante cose che magari ieri abbiamo conosciuto così, se noi interroghiamo il Signore, il Signore ce le cambia o ce le fa più profonde, ci fa vedere un aspetto nuovo e questo spiritualizza la vita e questo crea maggior libertà: ecco, è la sublimazione! Ma tutto deriva da questo interrogare Dio.

Allora, dico, Gesù è venuto proprio per portarci in questo diretto colloquio col Padre, a questa intimità col Padre, per insegnarci a portare tutto a Lui; infatti una delle prime parole è: "Date a Dio quello che è di Dio!", "Cercate prima di tutto il Regno di Dio!": ecco, questo riferire subito tutte le cose a Dio e mai ad altro o al nostro io! Infatti Lui continuamente smonta tutto quello che è abitudine, regole, anche regole sacre, anche tutto quello che è autorità nel mondo, tutte le concessioni di sentimenti, regole paterne, ecc., Lui continuamente smonta. Perché? Perché bisogna sempre far centro su Dio, riferire tutto a Dio, rapportare tutto a Dio. Ecco, la grande lezione, il grande messaggio di Cristo che è venuto per raccoglierci nel Padre, è questo: "Dio è con te, mettilo al centro della tua vita, riferisci tutto a Lui!”. Cristo ci dà la possibilità di fare questo.

Riferendo a Lui la tua vita si rinnova. Se invece non riferisci a Lui generi in te il peccato.

Quindi il peccato sorge dal cuore dell'uomo, dal cuore dell'uomo che omette, che non fa questo lavoro interiore di riporto a Dio.

Allora in conseguenza di questo non fare, l'uomo fa tante cose che sono male, o meglio, tante cose che noi chiamiamo “male”; ma queste tante cose che sono “male”, è Dio stesso che le fa fare (perché un giorno nemmeno quelle le potremo fare) per farci toccare con mano che ci siamo dimenticati di Lui, per cui dice: "Vedi? Se ti dimentichi di me cosa fai? Uccidi, offendi, ti distruggi!, ecc. Perché? Ma non perché non dovevi fare quello, non perché tu devi "non uccidere"! Tu uccidi perché ti sei dimenticato di Me!".

E già, perché Lui è la vita: se noi ci dimentichiamo di Lui che è la vita, non possiamo trovare altro che la morte; ma la morte ancora ci dice: “Ti  sei dimenticato della Vita: hai ucciso l'Autore della vita in te!: ecco perché non hai la vita!”

Quindi sono tutte lezioni di Dio per insegnare a noi a riferire sempre tutto a Dio, a interrogare sempre Dio.

Allora se noi facciamo questo, capiamo che tutto quello che noi diciamo peccato o che è male nel mondo, in quanto arriva a noi, è lezione di Dio, per aiutarci, per richiamarci, per ammonirci, e tutto allora diventa bene: ecco che allora il peccato viene tolto dal mondo, perché tutto viene trasformato, se…,  se cambia il nostro interno.

Ecco, Cristo, l'Agnello di Dio, Colui che appartiene tutto a Dio, cioè la “creatura” che è figlia di Dio, la prediletta di Dio, “la creatura che è tutta di Dio”, viene e modifica in noi il cuore, perché ci rende possibile questo lavoro interiore, ci insegna, ci aiuta, ci porta a fare questo lavoro qui; allora modificando il nostro interno, immediatamente cancella, elimina tutto il male intorno a noi, perché ha eliminato la fonte, la sorgente del male. In questo senso è “l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo”.

Se invece noi non facciamo questo, anche se facessimo tutte le opere più virtuose di questo mondo, la nostra sorgente interiore è avvelenata.

E quando la sorgente è avvelenata non può che avvelenare tutte le acque che ci sono nel mondo, appunto perché tutto quello che è nel mondo, che è esterno a noi, procede dall'interno dell'uomo.

 

Pensieri  tratti dalla conversazione:

 

Giovanni M.: Non c’è anche un'altra possibilità di liberazione dell'uomo? Per esempio attraverso le malattie, la morte, ecc.? Perché quando l’uomo sta bene si sente sicuro di sé, ma quando il Signore gli toglie la salute o la vita, allora l’uomo incomincia a riflettere, ad essere più umile e a pensare di più a Dio.

Luigi: Sì, tutto quello che avviene è opera di Dio per liberare l’uomo…, ma quello non basta, quello non libera; quello è soltanto un ammonimento, una lezione, cioè è un ammonimento a ricuperare qualcosa che abbiamo perduto dentro.

Una malattia, per esempio, è per farci capire che il denaro non è tutto, è un invito alla conversione, alla penitenza, un invito a cambiare strada.

Una volta si andava nel deserto per rivedere la nostra vita; adesso non siamo più capaci ad andare nel deserto, ma Dio ci manda in ospedale, e l'ospedale diventa un deserto,  cioè una sosta: "Medita, rifletti su per che cosa stai vivendo, su come stai spendendo la tua vita!", perché noi possiamo arrivare alla fine della  vita sprecando il tempo in niente.

Nella Bibbia Dio dice: “Il Signore conduce a vecchiaia i superbi, i ricchi, coloro che cercano la gloria, senza che se ne accorgano”: e la grande tristezza sta lì! Cioè Lui ci fa passare la vita senza che noi ci accorgiamo che la vita passa, per cui arriviamo all'ultimo con niente di fatto! Ecco!

Invece quando il Signore ci manda magari una malattia che ci ferma, ecco che ci arresta sulla strada che stiamo percorrendo. È come se stessimo, ad esempio, correndo su una strada al termine della quale c’è un abisso: Lui potrebbe lasciarci correre fino all'ultimo o ci può invece mandare uno scontro, può arrestare la nostra macchina, ci può far uscire di strada prima di arrivare all'ultimo. E' vero che magari ci facciamo male, scassiamo la macchina, ma certamente la lezione è sempre positiva. Tu, Emma, ad esempio, sei andata fuori strada, però hai trovato delle persone buone che ti hanno tirata fuori, per cui hai potuto dire: "Le persone che ho trovato mi hanno dato tanta gioia, per cui ho sentito più felicità che male: ecco la grande lezione che ho ricevuto”.

Così è in tutto. Cioè il Signore ci manda una malattia o una disgrazia, ma il bene che troviamo in questa malattia, se noi riceviamo le cose da Dio, è molto maggiore del male che riceviamo magari fisicamente, perché questo è tutto aiuto.

Ecco il motivo per cui dico: "Tutto diventa bene!".

Ma se noi non riferiamo le cose a Dio, queste le lezioni non bastano di per sé a liberarci.   Non è perché io sono venuto malato che sia libero; non è perché quell'altro ha avuto un incidente in macchina che sia libero; non è perché quell'altro ha trovato una disgrazia o perché gli sono andati male gli affari, che sia libero. No! Quello può anche essere una tristezza; addirittura lo si può anche vedere come una maledizione. Quindi bisogna sempre collegare tutto con Dio.

Quelli sono ammonimenti di Dio, richiami che ci invitano, ci ammoniscono a rivedere la nostra vita, dicendoci: "Guarda, stai camminando su una strada che ti conduce alla distruzione di te stesso, ti conduce alla rovina, ti fa sprecare il tempo in niente, ti fa sprecare soprattutto i tuoi pensieri;  guarda dove vanno i tuoi pensieri! Mentre invece Dio ti ha dato questa vita qui perché tu possa entrare nella vita eterna, perché tu possa ampliare il tuo cuore, allargare la tua mente fino a quelle dimensioni da poter capire, da poter conoscere la Verità”.

Perché Dio ci ha creati per conoscere la Verità, e la Verità ci farà liberi. È la Verità conosciuta che ci fa liberi, non è la malattia, non è la disgrazia.

La disgrazia, la malattia, è come il semaforo rosso che ti ammonisce, che ti dice: "Non proseguire! Non puoi, perché la strada è sbagliata…, oppure perché c’è un intoppo....". È un semaforo rosso che ti dice: “Stop!”. Il semaforo rosso di per sé può farti dispiacere e farti dire: “Oh, ci voleva ancora questo!” e crearti quindi un turbamento, e invece va dialogato con Dio, perché bisogna capire il significato delle lezioni che Dio ci manda.

Tutte le lezioni che Dio ci manda, ce le manda sempre per convertirci o per incentrarci maggiormente in Lui.

Quindi Dio ce le manda o per farci cambiare strada, o perché dobbiamo raccogliere di più le nostre energie, tutte le nostre facoltà in una cosa sola.

Quindi tutte le cose, tutti i fatti, ecc., vanno visti come lezioni di Dio, perché Dio lavora con noi, insieme a noi, per portarci verso la Sua salvezza. Lui non è lo spettatore che da lontano dice: "Ah, vediamo un po' come se la tolgono e poi dopo li giudicherò!". No, Lui lavora con noi, anzi è quello che fa la parte principale, per insegnare a noi ad aprirci a Lui e liberarci.

Giovanni M.: Sarebbe quel “Dio che viene  a noi”?

Luigi: Certamente. È il Dio che viene! È “l’Agnello di Dio che prende su di Sé il nostro peccato, l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo”. È Lui che viene a noi. Però per vederLo…! Perché Dio viene tutti i giorni e come mai non Lo vediamo?

Dio è con noi e viene a noi attraverso tutti gli avvenimenti, perché ogni fatto è Lui che viene. Il tempo stesso che passa è Lui che viene;  ma addirittura ogni minuto che passa è Lui che viene! In ogni notizia è Lui che viene, in ogni persona che incontro è Lui che viene…. Però noi non Lo vediamo.

Cos'è che ci impedisce di vederLo?

Ecco, è perché non siamo ancora arrivati a quell' “indomani” del Giovanni Battista che vede Gesù venire a lui.

Gesù veniva a lui magari tutti i giorni, era sempre in mezzo alla gente che veniva a lui, ma il Battista prima non Lo vedeva. Ecco che invece  in quell’“indomani” Lo vede venire.

Qual è quel giorno, quell' “indomani” in cui  anche noi vediamo Gesù, “l’Agnello di Dio”, venire  a noi?

Abbiamo detto la volta scorsa che noi passiamo magari cinquanta volte dinanzi ad un'insegna, ad un albero, ad un fiore e non lo vediamo; poi un bel momento lo vediamo. Come mai? Era sempre lì! Ma non l'abbiamo mai visto, non l’abbiamo mai notato. Ecco, è mutato qualcosa dentro di noi, per cui ora l’abbiamo visto.

Questo ci fa capire che quello che ci fa vedere è la dimensione interiore: è qualcosa dentro di noi che cambia, per cui ecco…il mio occhio diventa sensibile e vede quella cosa; prima invece non la vedeva. Eppure passavo tutti i giorni davanti e non la vedevo! Come mai? Avevo altro nel cuore.

Così anche nei confronti di Gesù: per vederLo venire a noi bisogna avere qualche cosa dentro il cuore che sia in rapporto, che sia in sintonia con Lui, allora Lo vediamo; ma fintanto che dentro al cuore c’è altro, Lui non Lo vediamo.

Giovanni M.: Perché c’è in noi un altro amore.

Luigi: C’è un altro amore! Bisogna quindi che in noi si formi quella fame di …: è la fame che ci fa vedere il pane, è la sete che ci fa scoprire la sorgente! Bisogna quindi che si formi in noi il desiderio di-; come in noi si forma questo desiderio, l'occhio si apre e incominciamo a guardare Dio con desiderio: desiderio di conoscerLo!   

Ora però, la fame, la sete, il desiderio, l'amore di-, si forma in quanto uno si convince che ha bisogno di qualche cosa. Bisogna che Dio ci convinca che abbiamo bisogno di Lui. Fintanto che noi siamo convinti che la nostra vita, la nostra salvezza sta nel denaro, il nostro occhio è per il denaro e il resto non lo vediamo, anche se noi tutti i giorni l'abbiamo accanto, ma non lo vediamo!

Quando noi aspettiamo un certo regalo da una persona, quella persona lì ci può anche inondare di tanti altri regali, ma noi gli altri regali non li vediamo, perché vogliamo quel regalo lì! Per cui quella persona  ci dirà: "Ma io ti avevo inondato di regali!". E noi: "Sì, ma non mi hai dato quello che io aspettavo, per cui non ho visto tutto il resto!". Ecco! Così può succedere con Dio.

Noi da Dio magari aspettiamo il denaro, la ricchezza, le persone, le creature, certi beni ecc., e non vediamo che Lui ci inonda di tanti altri beni: noi non li vediamo perché vogliamo quell’altro e Lui quell’altro proprio non ce lo dà, perché sa che sarebbe per noi un guasto, una rovina. Quindi non ce lo dà e ci dà tutti gli altri beni. Ma noi gli altri non li vediamo perché vogliamo quello!

Ora, si deve formare in noi questa convinzione. Fintanto che in noi non si forma questa fame di Lui, questa convinzione che solo in Lui è la salvezza, solo in Lui è il “mio” bene, noi non possiamo vedere i suoi doni, le sue “grazie su grazie”. Non possiamo coglierle!

Cina: Questo argomento per me è come un Natale, perché è una creatura nuova che deve saltare fuori da questo...Cambia proprio il senso della vita!

Luigi: E' la novità!

Cina: Bisogna però essere capaci ad essere fedeli a questa luce.

Luigi: Ma guarda che quando uno ha fame, è fedele al cibo; quando uno ha tanto appetito....

Cina: E anche quando si ha sete, si è fedeli all’acqua.

Luigi: Sì, anche all'acqua. Infatti, come vedi,  tutte le volte che arrivi: "Un bicchiere d'acqua!". Vedi come senti la sete? E anche se qualcuno l’acqua non te la vuol dare e magari ti offre altro, tu la pretendi, la vuoi, la chiedi e rifiuti l’altro!

Ora, è quello che ci vuole! Capisci?

Se in noi si forma veramente questa fame qui, stai tranquilla che.....

Cina: Si cambierebbe gusto delle cose…

Giovanni M.: Sì, perché si incomincia a scoprire la vanità delle cose…l’orgoglio degli uomini…,ecc., e allora ci viene proprio da schivare tutto questo.

Luigi:  Certo. Più uno capisce Dio, più uno scopre la vanità del tutto e allora ad un certo momento uno non si lascia più attrarre da certe cose.

Giovanni M.: E arriva un momento in cui uno deve proprio scegliere tra ciò che dicono gli uomini e ciò che dice Dio.

Luigi: È Dio che ci conduce lì. Tutto viene da Dio. Bisogna soltanto coltivare l’interesse per Lui, il bisogno di Lui, cioè convincerci che Lui è l’unico vero nostro Bene, perché noi non siamo convinti che Dio sia il vero nostro Bene: o per lo meno, siamo convinti che Dio è bene, ma che anche il denaro è bene, anche il cibo materiale è bene, anche la salute è bene, anche la casa è bene, anche la figura è bene. Allora tutti questi beni qui…

Giovanni M.: …li mettiamo assieme a Dio…

Luigi: … e ci attenuano tanto il vero Bene.

Bisogna invece convincerci che niente è bene senza quel Bene là: Dio solo è la Sorgente del vero bene, Dio solo è l'unico Bene: “Uno solo è buono”, dice Gesù. Quindi nessun altro è buono! Uno solo.

Perché? Forse che tutte le altre creature non sono buone? C’è una contraddizione! Perché quando Dio creò il mondo, tutti i giorni vide che le cose che aveva fatto erano buone; e quando ha finito di creare il mondo, ha visto che tutto quello che aveva fatto era molto buono.

E come mai Gesù dice che Uno solo è buono: Dio? C’è una contraddizione!

E invece no, non c’è contraddizione! Perché tutte le cose sono buone in dipendenza da Dio.

Ma se noi non mettiamo Dio come nostro primo interesse, se noi non abbiamo Dio come bisogno nostro principale, come centro della nostra vita, tutte le cose create diventano male.

Tutto ciò che non è Dio, senza Dio, è male, diventa male per noi, perché ci rende schiavi, ci rende succubi.

Per cui Dio fa tutto bene: ogni giorno è buono e tutto è buono, molto buono, ma con Dio! Se invece noi non abbiamo Dio come centro, come massimo Bene, tutto il resto perde di bontà.

Allora, ecco che Gesù è venuto a richiamare il principale nostro dovere, l'unica cosa essenziale: "Guardate a Lui!”.

In Lui si ricostruisce tutto! In Lui tutto diventa buono, tutto diventa bene!. In Lui! Ma senza di Lui non c’è niente di buono!”.

Cristo ci dà la possibilità di guardare sempre a Dio, perché essendo “Colui che parla a noi il Principio“ ci ricollega sempre tutto con il Principio. Ed è così che ci libera dal male (è Lui quindi che “toglie il peccato dal mondo”), appunto perché in Dio tutto diventa bene.

Ma dobbiamo convincerci di questo! Che senza Dio non c’è niente di buono!

Pinuccia B.: Senza di Lui tutto è male.

Luigi: Tutto diventa male. Eppure, notiamo, è opera di Dio! Ma l'opera di Dio è buona con Dio. Nulla allora va separato da Dio: "Quello che Dio ha unito, l'uomo non lo separi!".

Questo non è mica solo riferito al valore del matrimonio come noi magari il più delle volte lo intendiamo,  ma ha un valore ben più profondo, molto più esteso! Perché Dio ha unito a Sé tutte le cose e allora  l'uomo non deve separare niente da Lui.

Quindi non dobbiamo mai considerare niente, nessun pensiero, nessuna creatura, non dobbiamo mai considerarla staccata da Dio, ma va sempre riportata a Dio, sempre riferita a Dio, perché  Lui è il centro (infatti quando mettiamo una cosa al centro, tutte le cose noi le riferiamo lì, tutte le cose le portiamo lì).

Allora tutte le cose diventano buone, ma in quanto sono riferite lì, al centro, a Dio: lì è l'anima.

Allora l’uomo non separi nulla da Dio, poiché separando fa una cosa ingiusta, e allora l'uomo che magari non ruba niente, diventa ladro; l'uomo che non uccide nessuno, uccide. Perché? Perché fa il delitto dentro di sé! Perché ruba a Dio quello che è di Dio!

Emma D.: E' chiaro quello che hai detto, ma concretamente è difficile realizzarlo....

Luigi: Trovi difficile questo interrogare Dio?

Emma D.: No, ma forse a causa di tante piccole abitudini, di tante piccole cose di tutti i giorni, succede che…

Luigi: Va tutto riveduto, tutto, anche le abitudini più elementari vanno rivedute e in ogni cosa chiederci: "Ma Dio cosa ne dice? Ho fatto bene a fare così?". Bisogna sempre cercare il pensiero di Dio, sempre riportare a Dio, mai accontentarci o rassegnarci dicendo: "Ma questo ormai è il mio carattere…, io sono abituato a fare così”. No! Le cose vanno sempre riferite a Dio.

Emma D.: Purtroppo però succede che nel corso della giornata uno può anche dimenticarsi di riferire tutto a Dio...

Luigi: Appunto, il peccato è omissione, è “non-fare”, non riferire a Dio: lì sta il peccato. Ci dimentichiamo di fare quello!

Noi ci riempiamo di abitudini, e la mente nelle abitudini non lavora più. Perché quando noi dobbiamo fare un lavoro nuovo ci mettiamo la mente, ci applichiamo; ma quando  abbiamo imparato, ormai lo facciamo automaticamente, non si pensa più. E allora,  ecco che la nostra mente si atrofizza.

Invece con Dio, il lavoro principale è sempre un lavoro di mente, perché è sempre un riportare a Dio, è sempre un riferire a Dio. Quindi Dio prepara molto la vita dello spirito, la vita della mente, la esalta molto, perché ci impegna sempre a pensare; direi, impegna le nostre facoltà principali. Invece noi, vivendo nel mondo, le nostre facoltà principali le spegniamo perché diventiamo ad un certo momento tutta routine, tutta abitudine.

Emma D.: E' una lotta superarsi continuamente; magari passano parecchie ore e mi accorgo di non aver neanche avuto un pensiero per Dio.

Luigi: Ma se noi invece in tutte le cose, anche come pensieri, come giudizi, riflettiamo: "Un momento! Prima di agire, di parlare, di decidere, cerchiamo il Pensiero di Dio, prima vediamo cosa ne pensa Dio!". Allora la cosa è molto diversa.

Pinuccia B.: È stupenda questa presentazione della liberazione dal male che avviene praticamente in due sensi:

-                             In senso positivo, perché tutto è buono se noi mettiamo Dio al centro,

-                             e anche in senso negativo, perché ciò che apparentemente è male, se lo riportiamo a Do, diventa buono, per cui non c’è più niente di male intorno a noi. 

Luigi: Sì, perché il centro, l'anima del peccato sta nell'omissione, nel non riportare le cose a Dio. Dobbiamo capire molto bene questo e bisogna che ce ne ricordiamo sempre: cioè che il male non sta nel fare una cosa che ci viene detto di non fare in riferimento alla legge o al comandamento, per cui diciamo: “io ho fatto quello!” No! Questo è soltanto un'esteriorizzazione del vero male che portiamo dentro e che non avvertiamo; è un’esteriorizzazione di esso, per evidenziarcelo, ma il vero male,  l'anima proprio del peccato, l’anima del male, sta nell'omissione, nel non fare, nel non stabilire questo rapporto con Dio,  nel non avere questa relazione verso Dio. Qui sta il male.

Bisogna che ci convinciamo bene di questo, perché quando siamo ben convinti di questo, allora noi incominciamo a pensare riferendo le cose a Dio, perché  Gesù dice: "Chi con Me non raccoglie... (ecco, è questo raccogliere in Dio, riferire a Dio, l’unica cosa da fare!)…chi con Me non raccoglie disperde...", cioè entra nel male, e il male è dispersione, è morte.

"Chi con Me non raccoglie": ora, Lui è venuto per raccoglierci nel Padre. Bisogna allora che raccogliamo “con Lui”! Raccogliendo con Lui ogni cosa nel Padre, rimaniamo raccolti nel Padre.

Quindi tutto quello che arriva a noi va sempre continuamente riferito a Dio, raccolto in Dio, visto in Dio, ricevuto da Dio: e allora le cose cambiano!

Pinuccia B.: Tutto questo è la giustizia essenziale.

Luigi: Sì, è la giustizia essenziale, ed è lì che, direi, dobbiamo puntare tutta la nostra attenzione!

Pinuccia B.: Ed è tutta l'opera dell'Antico Testamento, vero?

Luigi: Sì.

Pinuccia B.: Però abbiamo visto che non basta questa giustizia essenziale per avere questa liberazione, perché infatti non è bastato l’Antico Testamento per essere liberati dal male...

Luigi: Sì, ma chi poi ci aiuta a realizzare questa giustizia, chi viene in aiuto efficace per realizzarla è il Cristo.

Pinuccia B.: Per questo è Lui “che toglie il peccato dal mondo”.

Luigi: È Lui che lo toglie, perché è Lui che ci dà la possibilità di realizzare questa giustizia. Perché noi possiamo aver fame, desiderio di Dio, aver capito cioè che Dio è tutto il nostro bene, ma non basta! Noi possiamo aver fame, ma non trovare il Pane!

E fintanto che noi non troviamo il Pane, noi possiamo anche morire di fame. Ora è il Pane, l’incontro con il Pane che soddisfa la nostra fame. È lì che si ha la possibilità di realizzare il sogno che nasce dalla giustizia essenziale! Ma bisogna che ci sia una fame che si incontri  con il Pane!

Quindi la fame è necessaria, però è necessario anche il Pane. Ed è la fame che ce lo fa cercare, sospirare, attendere. Dove troveremo chi ci dà la possibilità di trovare, di fare quello di cui capisco che ho bisogno, di realizzare cioè la vita con Dio? E' il Cristo. È il Cristo che ci dà questa possibilità: "Chi con Me non raccoglie, disperde", Egli dice. Lui è venuto per raccogliere ciò che si disperdeva.

Gli uomini sentono questa fame, questo bisogno di Dio (se fanno la giustizia essenziale) e sono attratti…, ma non basta. Questa attrazione è indispensabile, perché Gesù dice: "Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre",  quindi “non può venire a Me se non sente questo bisogno di conoscere il Padre”.

Se sentiamo questo bisogno, allora è per noi una gioia incontrare il Cristo. Ma chi non sente questo bisogno, anche se Lo trova, non trova niente in Cristo, non gli dice niente Cristo.

Bisogna allora essere attratti dal Padre, sentire questo bisogno, avere questa fame. Avendo questa fame, allora, incontrando il Cristo, dico: "Ah, era quello che io mi aspettavo: Uno che mi aiutasse ad andare al Padre!".  Ecco, ho trovato il Pane per la mia fame.

Allora, chi mi dà la possibilità di andare al Padre è il Cristo, ma se io ho desiderio di andare al Padre, perché posso anche non avere il desiderio di andare al Padre.

Pinuccia B.: Quindi la funzione dell'Antico Testamento è quella di formare questo desiderio; innanzitutto di formare in noi la convinzione che dobbiamo fare la giustizia essenziale e quindi allora, come conseguenza, di formare in noi…

Luigi: …questa fame essenziale.

Pinuccia B.: Cioè il bisogno di conoscere Dio e il bisogno di un Aiuto, perché esperimentiamo l’incapacità di realizzare questo sogno. L’incontro col Cristo ci dà la possibilità di realizzarlo.

Luigi: Sì, di realizzarlo, di realizzare la vita con Dio, di farlo vita, cioè fare di Lui la mia vita.

Pinuccia B.: Quindi è solo Cristo che toglie il peccato.

Luigi: Certamente. Quando si dice: "Il cielo era chiuso”, in conseguenza del peccato, per cui gli uomini non potevano più entrare..., sono tutte figurazioni per dirci che gli uomini desiderano una cosa, però non possono raggiungerla. Invece incontrando il Cristo, possono realizzarla (Egli ce lo assicura: “In verità, in verità Io ve lo dico: vedrete il Cielo aperto…” - Gv 1, 51). Bisogna però che ci sia questo desiderio.

Addirittura invece in noi non c’è nemmeno il desiderio: nel peccato ad un certo momento scompare la fame di Dio, l'interesse per Dio. Non  c’è più il bisogno di Lui, non si sente più la fame, il desiderio di Dio!

Quando uno è talmente carico di fame di cose del mondo, di desiderio delle cose del mondo, questi desideri qui si accumulano talmente che l'altro desiderio, quello di Dio, scompare e allora non si sente più l'attrazione per Dio, per cui Cristo non ti dice niente. E già, perché "Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre". Cristo viene per chi è attratto dal Padre.

Ecco perché bisogna che prima ci sia tutta la preparazione, quindi tutto il lavoro dell'Antico Testamento per formare in noi questa fame, questa convinzione che Dio è l'unico “mio” bene. Quando si è formata in noi questa convinzione, allora si è pronti per individuare “l'Agnello di Dio, Colui che toglie il peccato dal mondo", cioè Colui che toglie il peccato perché ci dà la possibilità di realizzare la giustizia e di conoscere Dio.

Pinuccia B.: Il concetto di peccato qui è collegato anche con il concetto di “Agnello”, perché Giovanni Battista dice: "Ecco l'Agnello di Dio, Colui che toglie il peccato dal mondo!".

Perché Gesù è chiamato “Agnello”?

Luigi: Bisogna chiarire il concetto di agnello, di pecora: è il simbolo della docilità a-, quindi dell’appartenenza a- . Per cui Gesù viene chiamato “Agnello” nel senso di “creatura totalmente docile a-“, quindi nel senso di “creatura tutta di Dio”, ecco: Agnello “di” Dio.

Pinuccia B.: Non è anche collegato con il concetto di sacrificio, cioè con l’“Agnello sacrificato”?

Luigi: Abbiamo nella Bibbia diverse versioni, perché già prima qualche profeta aveva parlato del “Servo di Jahvé” come “Servo sofferente”, come “agnello sacrificato” (però questo concetto direi che è già implicito nel concetto di “creatura tutta docile a Dio”,  perché, data la situazione di peccato in cui l’umanità si trova, ne è una conseguenza); ma generalmente si ritiene che Giovanni Battista non avesse presente questo concetto. Quindi per lui dire “Agnello di Dio” è come dire la “creatura di Dio”.

Invece il profeta Isaia aveva sì parlato di “agnello”, ma in termini di “Servo sofferente” che è stato “condotto come un agnello al macello…”, collegandolo al concetto di  “prendere su di sé i nostri peccati…”, di “addossarsi le nostre iniquità…”:

 Disprezzato e reietto dagli uomini,

  uomo dei dolori che ben conosce il patire…

  Egli si è caricato delle nostre sofferenze,

  si è addossato i nostri peccati…              

  Egli è stato trafitto per i nostri delitti,

  schiacciato per le nostre iniquità…                          

  Per le sue piaghe noi siamo stati guariti.

  Il Signore fece ricadere su di lui

  l’iniquità di noi tutti…

  Maltrattato, si lasciò umiliare

         e non aprì la sua bocca;

         era come agnello condotto al macello,

         come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,

         e non aprì la sua bocca…                        

  Per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte…                      

  Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce

         e si sazierà della sua conoscenza;

         il giusto mio Servo giustificherà molti.

         Egli si addosserà la loro iniquità…  

  Ha consegnato se stesso alla morte

         ed è stato annoverato fra gli empi,

         mentre egli portava il peccato di molti

         e intercedeva per i peccatori”…( Is 52-53)

Per cui ci sono anche diverse letture delle parole del Battista. Egli qui dice: “Agnello che toglie il peccato dal mondo”; ma c’è invece chi legge: “Agnello che porta, che prende su di Sé il peccato del mondo”. Ma se andiamo poi a fondo, le lezioni sono uguali: sostanzialmente, in profondità, dicono la stessa cosa, perché Colui che toglie è Colui che prende su di sé. Anzi, soltanto prendendo su di sé, toglie…

Comunque, il concetto essenziale di “agnello di-“ è la docilità a-. Infatti l’agnello è simbolo di docilità, è la creatura tutta docile a-, la creatura che è di-, (ed è proprio questa docilità di Cristo al Padre che gli fa accettare la Volontà del Padre fino alla morte in Croce).

Questo concetto è evidente nelle parole che il Padre dice nel Battesimo di Gesù e poi anche sul Tabor: “Questi è il mio Figlio prediletto nel quale ho riposto le mie compiacenze…”. Dice “mio…”, per dire “Colui che mi appartiene”: ecco l’Agnello! È l’essere docile a Dio, unito a Dio. Cioè è tutto dipendente da Dio. Quindi è l’agnello, l’Agnello di Dio: “l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo”, perché soltanto Colui che è tutta docilità a Dio porta la salvezza al mondo.

Infatti quando Gesù manda i suoi discepoli, i suoi Apostoli, a due a due, nel mondo, li manda come pecore in mezzo ai lupi; non li manda lupi in mezzo ai lupi, ma li manda come pecore. Perché?

Ma perché l’unica arma per trasformare i lupi  è quella di essere pecora!

Se avesse mandato dei lupi in mezzo ai lupi, cioè se avesse detto loro: “Andate e difendetevi!”, sarebbero diventati essi stessi tutti lupi, cioè anche le pecore sarebbero diventati lupi! Anzi, se avessero trovato delle pecore le avrebbero trasformate in lupi. invece no! L’unico modo per trasformare il mondo è quello di non avere gli interessi del mondo, di non avere le passioni del mondo: ecco la docilità a Dio!

Soltanto la creatura che è tutta soltanto presa da Dio può trasformare il mondo, ma non colui che va a litigare con il mondo per la giustizia, per gli interessi, per le passioni del mondo: quello fa diventare lupi! Nel mondo si è già lupi per quello! Quindi se si va a litigare per quei problemi, non si reca nessuna salvezza. Anzi!

Infatti Gesù dice: “Se uno litiga con te per l’abito, dagli anche il soprabito. Se uno ti dà uno schiaffo su una guancia, offrigli anche l’altra. Se uno ti costringe ad andare per cento metri, va’ per duecento….”: ecco l’agnello!

Ma è proprio questo il modo per far diventare agnelli i lupi, cioè di trasformare i lupi in agnelli. Il mondo è tutto avidità, egoismo, violenza…; per cui l’unico modo per cambiarlo è: “Lo vuoi? Prendilo!”, e l’altro è trasformato! Infatti l’altro si aspetta che uno litighi, perché se quello è il bene, si aspetta che uno faccia la guerra per tenerselo o per riaverlo.  Ma se quell’uno gli dice: “Per me quello è niente, prendilo pure!”, l’altro è smontato, smontato dall’esaltazione!

Infatti ognuno è esaltato per un bene, per quello che  crede sia un bene; allora, quando vede che l’altro cede quel bene, di conseguenza è smontato, non ha più motivo per litigare! Mentre invece se trova una resistenza, quel bene rimane esaltato, ed ecco allora che si crea l’urto, non solo, ma la passione per quel bene aumenta, cresce. 

Quindi l’unico modo per smontare la passione è proprio quello di non opporre resistenza. Per cui “se uno ti dà uno schiaffo su una guancia…”, non restituire lo schiaffo, non litigare, non urlare, ma “offrigli anche l’altra”: l’altro è così smontato, è vinto, è trasformato in agnello.

Ecco quindi l’Agnello di Dio che toglie il peccato! proprio perché è la creatura docile a Dio, che ha solo interesse per Dio, per cui non entra in lotta col mondo, non entra in gara con il mondo. Ecco, l’importante è non entrare in gara col mondo, anzi, uscire da essa, per trasformare il mondo! 

Ines: Quello che hai detto sul concetto del peccato e sulla liberazione dal peccato è molto importante, ma va ancora approfondito…

Luigi: Ne sei convinta?

Ines: No, non dico più che sono convinta…

Pinuccia B.: Trovo utile quello che hai detto l’altra volta, cioè che è Dio che forma la convinzione.

Luigi: Certo, ma non la forma automaticamente! Non posso dire: “Io mi diverto, tanto sarà Dio a formarmi la convinzione”. Dicendo che è Lui che forma la convinzione, noi siamo invitati a guardare tanto a Lui, perché Lui ci convinca. La convinzione  viene da Lui, certo!

Ma quando io so che una cosa dipende da quell’altro, allora io andrò molto a trovare quell’altro, in modo da ottenere da quell’altro quello che lui ha. Ma fintanto che io invece me ne vado in giro e la cosa dipende da quell’altro, certamente non avviene lo   scambio.

Cioè il fatto che il Signore dica: “Tutto dipende da me!”, è un invito ad andare a Lui, a guardare a Lui, a sostare molto con Lui.

Ines: Guardare a Lui, in altre parole, vuol dire stare attenti ai suoi segni e aspettare tutto da Lui.

Luigi: Sì,  far conto su di Lui, interrogare Lui, lasciarci guidare da Lui: ecco sempre questo riferire le cose a Lui.

Emma D.: Non cercare la nostra sicurezza nel mondo, ma presso Dio.

Luigi: Sì, certo.  Non far assegnamento su altro, ma solo su Dio. Allora più noi cerchiamo Lui, più dialoghiamo le cose con Lui, più allora ecco che poco per volta la grazia si aggiunge e forma in noi la certezza, e la certezza è paradiso! Quando la creatura è certa, è sicura della Verità, quella diventa più forte di tutto il mondo! Potrebbe anche avere tutto il mondo contro, ma lei è sicura, ha la certezza. Non c’è più niente che la smuova!

Ines: Può anche succedere che ad un certo momento uno che è convinto agisca in modo diverso dalla sua convinzione e quindi cada nel peccato?

Luigi: Può anche succedere, ma è per debolezza. Cioè vuol dire che uno si lascia momentaneamente deviare per debolezza. Ad esempio, io sono convinto che le bignole  mi fanno male, ma ad un certo momento o perché c’è una creatura che mi dice di mangiarle o per golosità…, cedo. Ma poi mi riprendo subito e dico: “Basta! Devo dire di no!”. Ecco, è stata una debolezza.

Quindi uno può essere convinto, però…, occasionato, cede. Ma in fondo in fondo quello lo smuove poco dalla sua  convinzione. Invece quello che sempre determina la creatura è il peccato di convinzione, cioè il peccato fatto in quanto uno è convinto di una cosa (es. sono convinto che quella creatura sia un bene per me), allora qui abbiamo proprio un peccato di convinzione: questo è un peccato fondamentale.

Invece c’è il peccato per debolezza quando uno è convinto diversamente, però, posto nell’occasione o per abitudine, non ce la fa.

Però questa debolezza qui è come quando uno, ad esempio, è convinto che la strada giusta da percorrere sia quella, ma poi ad un certo momento viene attratto dalla vista di un castello e devia; è una debolezza, però sa che la strada giusta è un’altra e allora rientra subito.

Quindi abbiamo due aspetti di peccato:

-         il peccato in cui si preferisce la creatura al Creatore: qui abbiamo proprio la scelta voluta, perché si è convinti che la creatura sia più importante del Creatore;

-         e il peccato per debolezza;

Possiamo anche definirli nelle due classi di peccato mortale e peccato veniale:

-                         mortale è quello che mi orienta ad un fine diverso da Dio, per cui mi fa  preferire altro a Dio come scopo, come oggetto di vita: è mortale perché mi conduce alla morte.

-         veniale è il peccato di debolezza: uno è convinto che Dio è il suo Bene, cammina verso di Lui, però di tanto in tanto, occasionato, non vede bene la strada, non è molto sicuro, non sa come rispondere ad una proposta che una creatura gli fa, ecc. , e in questa incertezza agisce, ma poi magari scopre che ha sbagliato: lì abbiamo una situazione di debolezza.

Cioè là dove c’è l’orientamento a Dio ci può essere la debolezza, la deviazione per debolezza; però c’è l’orientamento a Dio, e allora, diciamo così: il male fa poco male, perché la mente è orientata bene.

Invece il male diventa mortale quando noi sostituiamo a Dio un altro fine. Se io vivo, ad esempio, per il denaro, il peccato è mortale: anche se tutti mi dicono che cercare il denaro non è male, se io vivo per il denaro, ho il peccato mortale che lavora dentro di me. E’ mortale perché il mio fine non è Dio .   

Quando abbiamo un altro fine diverso da Dio, lì abbiamo il peccato mortale, quello che ci conduce alla morte.

Giovanni M.: Vorrei chiarire una cosa: qui Giovanni vede venire a lui Gesù, “l'Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo”, e ci fa capire che ad un certo momento anche noi vediamo Gesù che viene a noi. Ma quand’è che noi andiamo a Lui?

Luigi: Noi stiamo andando incontro a Gesù che viene a noi se facciamo tutta la preparazione indicataci da Giovanni. Cioè quando incominciamo a riconoscere che:

-                              non siamo noi la Luce, ma siamo soltanto testimoni della Luce (“Giovanni  non era la Luce, ma venne per rendere testimonianza alla Luce”), e lo diciamo: “Io non sono la Luce”. Nessuno di noi è luce. Nessuno di noi allora deve essere autonomo da Dio, nessuno di noi deve ritenere di essere luce per gli altri o luce  per se stesso. No, noi siamo solo testimonianze della Luce, ma non siamo noi la Luce. La Luce è Dio;

-                              non siamo il Messia (“Io non sono il Messia”, dice il Battista), cioè noi non siamo la salvezza e non rappresentiamo la salvezza per nessuna creatura, perché ogni creatura è fatta per Dio (cioè, in fondo. è poi sempre questo: non ritenerci quello che non siamo: né Luce, né Messia).

Quindi non sostituirti mai al Messia, non dire a nessuno: “Sono io la tua salvezza, sono io il tuo bene, sono io che ti faccio felice!”. Perché noi il più delle volte, senza renderci conto, ci mettiamo al centro dei nostri pensieri o al centro dei pensieri degli altri: vogliamo essere il centro degli altri! E anche qui Giovanni Battista ci insegna.

Ora noi andiamo verso il Messia facendo questo!

Poco per volta, a forza di ripetere: “non sono il profeta…, non sono Elia…”, ad un  certo punto a chi ci chiede: “ma allora, chi sei?”, possiamo dire con convinzione,  come il Battista:   “Io sono una voce”. A questo punto anche noi vediamo Gesù che viene a  noi, vediamo “l'Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo”.

Giovanni M.: Ma Gesù viene a noi ancora prima che noi giungiamo a questo punto, oppure  viene solo dopo?

Luigi: Tutto è già opera di Dio. Perché noi non diremmo: “Io non sono la Luce, sono soltanto un testimone della Luce, una testimonianza della Luce”, se Dio già non fosse venuto a noi…E così per tutto!

Ma noi non potremmo pensare a Dio minimamente, se Lui non fosse già venuto a noi!

Il fatto che, ad esempio, pensiamo a Dio, non siamo noi che pensiamo a Dio, ma è Dio che si fa pensare da noi.

Quindi quando noi pensiamo Dio o abbiamo il concetto di Dio, è già Dio che ci ha visitati: l’iniziatore è sempre Lui. Noi rispondiamo.

Possiamo rispondere più o meno, ma noi siamo sempre soltanto una risposta alle sue iniziative.

Se Lui non ci muove, se Lui non agisce, noi facciamo assolutamente niente, noi non esistiamo nemmeno! Noi siamo continuamente pensati da Lui! Se Lui non ci pensasse, ma noi scompariremmo come scompare una nube! Non si troverebbe più traccia di noi.

Noi siamo, esistiamo e, ad esempio, siamo qui, perché Dio ci pensa. Se Dio non ci pensasse, noi spariremmo immediatamente, capisci ? Quindi l’iniziativa è sempre di Dio, Tutto è iniziativa sua! “Tutto è fatto per mezzo di Lui”.

Quindi Lui ha sempre operato tra noi.

Il difetto è soltanto da parte nostra, perché noi non rispondiamo a quel tanto di iniziativa che ha Dio verso di noi, per cui siamo in difetto.

Ecco perché diciamo che il peccato è un’omissione.

Cina : Oggi c’è una lettura che dice proprio questo e ci fa capire che il difetto è  nostro per la nostra durezza di cuore.

Luigi: Sì, è la prima lettura della Messa in cui il Signore dice: “Sono duri di cervice e duri di cuore“. Però anche lì, anche se sono duri, Dio manda loro ugualmente un profeta: “Anche se sono duri, tu va’ lo stesso!”. L’iniziativa è sempre sua.

Cina:  Lo manda lo stesso!

Luigi: Sì, perché Dio arriva dappertutto, anche nelle tombe.

All’ultimo ci manda suo Figlio, il Cristo, il Verbo incarnato, “l'Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo”.

Pinuccia B.: Ritornando all’argomento di prima, quando si parlava dei peccati di convinzione e dei peccati di debolezza, mi chiedevo qual è il rimedio al peccato, al vero peccato, che è…

 Luigi: Il vero peccato è sempre omissione.

Pinuccia B.: È omissione, però hai detto che è mortale quando l’orientamento è sbagliato, per cui il rimedio a questo è la giustizia essenziale, la decisione di vivere per Dio. Ma riguardo al peccato di debolezza, qual è il rimedio? E’ la preghiera ?

Luigi: E’ la maggior conoscenza di Dio, perché più noi conosciamo il Signore, più noi cerchiamo il Signore, più siamo illuminati e forti. Perché la debolezza viene in quanto non siamo sicuri, siamo incerti, c’è una zona d’ombra, cioè non è tutto luce.

Là dove c’è tutto luce, non c’è più incertezza: tutto è chiarissimo! E quando uno vede chiaro non ha più dubbi.

Allora è la maggiore conoscenza che ci rende forti e sicuri! Cioè se noi vogliamo rimediare alle nostre debolezze e incertezze, sia come amore, sia come interesse, dobbiamo impegnarci di più a conoscere il Signore, approfondendo le sue parole. È quindi Cristo il vero rimedio al peccato, perché Lui è venuto per farci conoscere il Padre.

Quindi se non senti  più quell’amore verso Dio, quell’interesse verso Dio, se vuoi rimediare alle debolezze d’amore, alle incertezze, se vuoi accrescere l’amore, conosci di più il tuo Signore, cioè aumenta la conoscenza di Dio! Aggrappati alle parole del Cristo! È Lui “l’Agnello che toglie il peccato dal mondo”, appunto perché viene a renderci possibile questa ricerca di Dio, questo lavoro interiore di riferire tutto a Dio, di raccogliere tutto in Dio con Lui, togliendo così in noi la sorgente del male e rendendoci disponibili e capaci di ricevere la conoscenza di Dio.

Quindi il rimedio alle nostre debolezze è l’impegno a conoscere di più il Signore.

Pinuccia B.: Questa è la vera preghiera, quella che ci rende forti…

Luigi: La vera preghiera è cercare Dio, è sempre cercare Dio: più si conosce Dio e più Lo si ama, più si conosce Dio e più si dipende da Lui, più si conosce Dio e più c’è la luce.

La debolezza viene quando ci sono le zone d’ombra, e quando ci sono le zone d’ombra siamo attratti da tante cose che ci sembra che valgano. Ma sono attrazioni che si subiscono perché c’è la zona d’ombra.

Ora il cammino nella conoscenza è progressivo, per cui la luce:

-                            può arrivare a noi come un raggio (ed è il punto di partenza),

-                            può arrivare a noi come un’inondazione.

Quindi la luce parte come un punto, un punto luminoso nella notte: è come una lampadina lontana, un punto. E c’è una differenza tra quella lampadina nel buio e il sole quando splende di giorno, e che differenza!

Però quella lampadina lontana già ci orienta: è una luce nella notte e già crea un orientamento.

E così è lo stesso nel campo dello spirito:

-                            possiamo essere tutto notte,

-                            possiamo avere una lampadina che ci illumina da lontano,

-                            possiamo essere di giorno con un sole che splende.

Ora la lampadina indubbiamente illumina sì, però c’è tanta ombra intorno. Se c’è l’orientamento, si vede la lampadina che da lontano ci segnala che c’è una casa, un’abitazione, per cui incominciamo ad andare in quella direzione; ma camminando uno non vede i fossi che ci sono, e quante volte uno crede di essere sulla strada e invece sta camminando nella campagna…

Pinuccia B.: Ecco, quando c’è poca luce, sbagliamo.

Luigi:  E allora ci sono le debolezze! Quindi la luce orienta, però quanti inciampi!

Invece quando splende il sole, uno può anche essere in piena campagna, ma vede i fossi,  vede i tronchi, vede gli alberi, ecc., e quindi  evita gli ostacoli.

Emma D.: Ci sono però anche le prove da superare…

Luigi: Ma nella luce la cosa è diversa: anche le prove si superano più facilmente, perché c’è Lui, la sua parola, la sua presenza.

Quindi l’importante è aumentare tanto la luce, cioè la conoscenza; più ti impegni a cercare il Signore (d’altronde se ti impegni a cercare il Signore, questa è già grazia di Dio che ti chiama e ti visita), e più la luce aumenta. Più la luce aumenta e più allora naturalmente ad un certo momento, ecco, vedi il giorno! Non sei più solo! C’è Lui!



“L'indomani Giovanni vide Gesù che veniva a lui e disse: “Ecco l'Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato dal mondo! Questi è Colui di cui ho detto: Dietro di me viene Uno che è più grande di me, perché esisteva prima di me; ed io non Lo conoscevo, ma per questo io sono venuto a battezzare con acqua, affinché fosse manifesto in Israele.”.Gv 1 Vs 29-31 Quarto tema.


Titolo: La liberazione dal male


Argomenti: La giustizia essenziale – Il peccato è autonomia da Dio – Preferire la creatura al Creatore – Le conseguenze del peccato – La schiavitù al peccato – Il peccato è omissione – La schiavitù è nel pensiero – Cristo raccoglie nel Padre – La liberazione di Cristo – L’incontro personale con Cristo – Superare il pensiero dell’io – Dio unica salvezza – “Come” Gesù toglie il peccato dal mondo – Essere motivati solo da Dio – L’esteriorizzazione del peccato – Penitenza e conversione – La morte in Croce -


 

11/Luglio/1976


 

Appunti dell’esposizione di Luigi Bracco e dei pensieri tratti dalla conversazione:

 

In questo versetto 29 Giovanni Battista indica Gesù come l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo. È una scena che ci fa capire che è la giustizia essenziale, rappresentata dal Battista, che ci fa riconoscere il Messia, il Salvatore, perché è la giustizia che forma in noi l’attesa di Lui e le condizioni necessarie per poterLo individuare, in modo che (come si era visto le volte scorse) anche per noi si realizzi quell’”indomani” in cui si vede Gesù venire a noi. 

Per cui la giustizia essenziale (mettere Dio al centro, riferire le cose a Dio):

-                             ci fa sognare la vita con Dio,

-                             però non ci dà la salvezza, non ci libera ancora dal male, dal peccato,

-                             ma ci prepara all’incontro con Colui che ci libera da esso: il Cristo.

Infatti Cristo è l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo e che ci porta alla conoscenza della Verità nella quale si realizza la definitiva liberazione dal male. “La Verità vi farà liberi”, dice infatti Gesù.

Ma  in che modo Cristo toglie il peccato dal mondo? Cosa vuol dire “togliere il peccato dal mondo”?

Bisogna prima precisare che cos’è il peccato.

Il peccato è l’autonomia da Dio. Peccato è dividere da Dio ciò che è di Dio (diavolo= diabolus, significa “colui che divide”), e siccome questo è sempre un fatto personale che avviene nell’anima di ogni singolo uomo quando non riferisce le cose a Dio, questo “togliere il peccato” va considerato non sul piano storico o sociale, ma nello spirito, a livello personale, interiore.

Quindi i fatti esterni, anche se apparentemente negativi e anche dolorosi, quelli che noi chiamiamo peccati, mali, essendo creazione di Dio, non sono “il male”, non sono “il peccato”, ma conseguenze del vero male, del vero peccato che è nel cuore dell’uomo.

Il vero male lo facciamo dentro di noi quando, non tenendo conto di Dio, mettiamo al centro della nostra vita il pensiero del nostro io anziché Dio.

In questa autonomia da Dio:

-                             disuniamo le cose da Dio,

-                             non le raccogliamo in Lui,

-                             per cui preferiamo la creatura al Creatore, il nostro io a Dio.

Allora il vero male (come si è visto la volta scorsa) non è un fare, ma è un non fare il bene: è una omissione, è omettere di fare il bene,  cioè omettere di fare la giustizia essenziale,  è non raccogliere le cose in Dio.

L’anima del peccato sta qui, in questa omissione, in questa separazione del nostro pensiero da Dio. 

Con quali conseguenze?

Separato da Dio, il nostro pensiero separa ogni cosa da Lui; ma ogni cosa staccata da Dio diventa male per noi perché:

-                             automaticamente la fermiamo al pensiero del nostro io,

-                             la guardiamo dal punto di vista dell’io,

-                             e questo ci  rende succubi di un errore di giudizio e quindi di scelta,

-                             per cui ci fa schiavi:

-                                                          delle creature,

-                                                          di noi stessi

-                                                          e di tutto ciò che noi chiamiamo “mali del mondo”.

È dunque questa omissione la causa di tutte le nostre schiavitù, perché non raccogliendo le cose  in Dio e fermandole al nostro io:

-                             dipendiamo da quelle che ci piacciono

-                             e fuggiamo da quelle che non ci piacciono, chiamandole “male”,

-                             crediamo che esse dipendano dagli uomini anziché da Dio,

-                             e per difenderci da esse ci creiamo molte dipendenze, rimanendo sempre più nelle tenebre, nella dispersione e nelle paure.

Tutte le nostre opere (azioni, parole, pensiero) non sottomesse a Dio, non motivate da Dio, ci condizionano, perché diventiamo figli di quello che facciamo.

Non avendole sottomesse a Dio, ora diventiamo noi sottomessi alle nostre opere e ne subiamo il danno.

Quindi la causa delle nostre schiavitù non dobbiamo cercarla fuori, ma dentro di noiNon è dunque quello che noi chiamiamo male esterno     , ,, quando agiamo autonomamente, cioè quando il nostro pensiero è staccato da Dio. Lo dice Gesù: “Chi fa il peccato resta schiavo del peccato”, schiavo del male che lui stesso compie dentro di sé, schiavo di questa omissione. Diveniamo cioè figli delle nostre opere.

Ecco perché anche la schiavitù al male è un fatto personale, perché in realtà, come dice Gesù: “Non c’è nulla dall’esterno che possa far del male all’uomo; è ciò che parte dall’uomo disunito da Dio che fa male all’uomo”. Con queste parole Gesù vuole farci capire che se la nostra mente è unita a Dio, nulla dall’esterno, anche se in apparenza negativo o doloroso, può farci del male, né schiavizzarci, poiché tutto ciò che arriva a noi senza di noi lo si vede come opera di Dio.

Infatti tutto è bene per noi, ma se siamo con Dio. Senza di Lui invece niente è bene, tutto diventa male, perché schiavizza il nostro pensiero e ci fa dare dei giudizi sbagliati e fare quindi delle scelte sbagliate.

Importante quindi è convincerci che Dio è il nostro vero Bene, la nostra unica Salvezza, perché solo se ci convinciamo di questo:

-                             saremo vigilanti nel tenere la nostra mente unita a Lui,

-                             Egli diventerà il nostro bisogno principale,

-                             Egli diventerà il nostro unico punto di riferimento.

È questa la condizione per essere liberati da ogni male e schiavitù.

Allora per non fare dentro di noi il male e fare quindi le scelte giuste, bisogna che:

-                                                          tutto ciò che arriva a noi  sia accolto da Dio e riportato a Dio per essere visto in Dio;

-                                                          tutto ciò che parte da noi parta unito a Dio, cioè motivato da Lui, sottomesso a Lui. 

Da qui la necessità di imparare a raccogliere tutto in Dio, perché:

-                                                          solo raccogliendo in Dio, possiamo essere motivati, mossi da Lui in tutto (nel nostro pensare, parlare e agire), guidati dalla sua Luce, dalla sua Volontà, e non dal nostro io, dai nostri sentimenti, da ciò che ci piace o non ci piace, da ciò che ci conviene, o non ci conviene, ecc. ;

-                                                          non raccogliendo in Dio, non siamo motivati dalla Volontà di Dio, e allora entriamo nel peccato, anzi siamo nel peccato, anche se non facciamo niente di male esternamente, perché siamo motivati dal pensiero del nostro io.

Ma chi ci insegnerà a fare questo lavoro di raccolta in Dio? È il sospiro che si forma nell’uomo attraverso tutte le tappe dell’Antico Testamento: il desiderio di un Salvatore che venga a darci la possibilità di realizzare la giustizia essenziale, di raccogliere e di vedere tutto in Dio, di vivere secondo Dio, di conoscere Dio.

Solo Cristo, il Verbo di Dio che viene tra noi con una presenza fisica, viene a darci questa possibilità e quindi a liberarci dal male.

Il Battista Lo riconosce come l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo quando Lo vede sottomettersi al battesimo e Lo segnala come tale ai suoi discepoli.

Cristo, quale Agnello totalmente dipendente dal Padre, totalmente docile alla Volontà del Padre, porta la salvezza all’uomo, perché in questa sua piena sottomissione al Padre, insegna all’uomo a riferire ogni cosa al  Padre, a collegarla cioè con il Principio e quindi a superare il pensiero del proprio io; Egli insegna all’uomo a vincere l’egoismo, la violenza, l’avidità e tutte le passioni del mondo non lottando contro di esse, ma vivendo per cercare e conoscere Dio.

Egli è l’Agnello che toglie il peccato dal nostro animo, perché collegando tutto con il Principio, ci dà la grazia, cioè la possibilità, di superare il pensiero del nostro io e di raccogliere tutto in Dio.

Ed è così che viene tolta la radice del male nel cuore dell’uomo: l’autonomia da Dio, che è l’anima del peccato e di ogni schiavitù.

Cristo, invitandoci a raccogliere tutto nel Padre e parlandoci del Padre, ci raccoglie nel Padre e ce Lo fa conoscere, portandoci nella vera e definitiva liberazione.

Domanda: Perché quando non raccogliamo in Dio, pur non facendo niente di male, siamo già nel peccato?

Risposta: Perché quando non raccogliamo in Dio, necessariamente i nostri pensieri, parole ed opere, anche apparentemente buoni, sono motivati dall’io, da una nostra intenzione, anziché dall’intenzione di Dio. Siamo nel peccato, ma non  ce ne rendiamo conto.

Allora, cosa deve fare Dio per farcene accorgere e salvarci?

Interviene dall’esterno, perché l’uomo che non raccoglie in Dio e che quindi è fermo al pensiero del suo io:

-                                           ormai non ha più la luce per percepire ciò che avviene interiormente,

-                                           non può accorgersi di essere nel pensiero dell’io e quindi staccato da Dio.

Allora, come conseguenza di questa omissione, di questo vero male, l’uomo fa tante cose, molte delle quali noi chiamiamo “male”, “peccato esteriore“. È Dio stesso (poiché Lui è il Creatore e senza di Lui non possiamo muovere un dito) che gliele fa fare, ma per fargli capire che si è staccato da Lui. 

Siccome l’uomo quando è nel pensiero dell’io è sordo ai richiami interiori,

-                                           Dio lo ammonisce dall’esterno,

-                                           lo corregge,

-                                           lo richiama a Sé,

-                                           facendogli vedere cosa arriva  a fare quando si dimentica di Lui.

Ecco,  per liberarci da questo male interiore che portiamo in noi, ma che ignoriamo, Dio, per misericordia Sua,  lo prende su di Sé, cioè ad un certo momento ce lo fa esteriorizzare, lo fa creazione sua (e quindi “rovina” per così dire la sua creazione), per evidenziarcelo, facendoci toccare con mano le conseguenze del nostro io autonomo.

Se noi capiamo la lezione, allora incominciamo a sottomettere noi stessi e le cose a Lui, cioè incominciamo quel lavoro interiore di raccolta che Lui attende da noi.

Ed è così che Cristo toglie il peccato dal mondo: perché viene tolta la radice di esso, cioè l’autonomia da Dio, che è l’anima del peccato e di ogni schiavitù…

Domanda: Quindi è solo se raccogliamo le cose in Dio che Lui ci libera dal male?

Risposta: Certo. Se incominciamo a raccogliere in Dio, allora il male viene trasformato in bene:

-                                                          non solo perché sparisce la nostra autonomia da Dio,

-                                                          ma anche perché, raccogliendo le cose in Dio, Lui ce le fa vedere come Sua opera di misericordia, di correzione e di amore:

-                per salvarci,

-                per liberarci dal pensiero del nostro io autonomo che è la radice di tutte le schiavitù e di tutti i mali,

-                e richiamarci al lavoro essenziale interiore. 

È in questo modo che avviene la liberazione dal male che ci portiamo dentro e, di conseguenza, la liberazione anche da tutti i mali e le schiavitù esteriori.

Questo naturalmente non avviene a parole o per sentito dire, ma è luce che viene da Dio, attraverso la preghiera e attraverso un profondo travaglio interiore di conversione: un cambio di rotta che ci porta a morire a noi stessi per incominciare a vivere veramente per conoscere Dio (quel “Fate penitenza!” vuol dire: “Convertitevi!”, perché la vera penitenza è conversione). È questa la luce che ci libera.

Domanda: Ma come si arriva a questa luce ?

Risposta:  È necessario l’incontro personale con Cristo, trovare la sua presenza e seguirlo nella sua sottomissione e docilità al Padre fino al sacrificio di sé. 

È Lui che con le sue parole e con la sua morte in Croce, se la capiamo, ci rivela e realizza il mistero di salvezza che è racchiuso in tutti i dolori, sofferenze e mali del mondo; è Lui che ce li illumina e ci dà la grazia di morire a noi stessi. Ecco perché la sua Croce sta al vertice di tutto l’universo.

Cristo è l’Agnello di Dio totalmente docile e sottomesso alla Volontà del Padre, “obbediente fino alla morte e alla morte di Croce”. Per ubbidire al Padre, si sottomette all’uomo fino a lasciarsi uccidere, in modo che l’uomo possa toccare con mano cosa vuol dire essere senza Dio, cosa vuol dire aver ucciso l’Autore della vita.

Morendo in Croce prende su di Sé il nostro peccato, ce lo esteriorizza, ce lo rivela: cioè ci fa prendere coscienza del delitto, del deicidio, che portiamo dentro di noi quando abbiamo il nostro io al centro. Ed è in questo senso che toglie il peccato dal nostro animo: perché ci offre la possibilità di rinsavire, di sottometterci a Dio e di riferire tutto a Lui, di togliere cioè il nostro io dal centro e di mettere Dio al centro dei nostri pensieri e della nostra vita.

Ci dà questa possibilità perché attraverso questo delitto esterno, che è specchio di quello interno, ci convince che il nostro io autonomo uccide Dio in noi e quindi distrugge la vita in noi e fuori di noi.

È questa esperienza di morte, di assenza di Dio, che, se dialogata con Dio, ci può convincere della necessità di superare il nostro io, il nostro egoismo, il nostro orgoglio e tutte le passioni del nostro io che sono la causa della Sua morte in noi, e che sono quindi la causa che ci impedisce di occuparci di Dio, di vivere per questo fine per il quale siamo stati creati, l’unico che dà un senso eterno alla nostra esistenza.

Domanda: Quindi questo togliere il peccato dal mondo va inteso solo a livello personale, mai di massa…

Risposta: Sì, perché è solo la persona singola che può interiormente e personalmente decidersi di superare il suo io, cioè di dimenticarsi, per vivere per cercare Dio, poiché questo è un problema di amore, non di costrizione (nemmeno Dio ci può costringere, perché ci ridurrebbe a dei robots). 

Ma l’uomo ha la grazia di decidersi a questo soltanto quando:

-                                  avendo fatto la  giustizia essenziale,

-                                  essendo convinto che la vita gli è stata data per cercare e conoscere Dio,

-                                   si convince che il suo io messo al centro è deicida: ed è la morte di Cristo, capita, che ci convince di questo. 

Cristo, Verbo di Dio incarnato, presenza del Pensiero di Dio tra noi, toglie dunque il peccato dal mondo perché ci dà la possibilità, la grazia di superare il nostro io, condizione questa  per impegnarci a raccogliere tutto in Dio e giungere alla conoscenza della Verità che ci farà definitivamente liberi da ogni male.

Domanda: In sostanza la liberazione avviene in noi solo se impariamo a raccogliere.

Risposta: Sì, nella misura in cui raccogliamo con Cristo. Egli è venuto per raccoglierci in Dio, per cui con Lui, Pensiero di Dio, abbiamo la possibilità, di vedere tutto in Dio e di vivere secondo Dio e quindi di ricostruire tutto (per cui possiamo dire che “raccogliere” è veramente il verbo della vita).

Ecco perché riconosciamo Cristo come nostro Salvatore e nostro Liberatore.

Infatti chi ci libera dal male, chi toglie il male dal nostro cuore e conseguentemente anche dal mondo, è solo Colui che, facendoci collegare tutto, anche la Sua Morte, con il Principio di tutto, cioè col Padre, toglie la fonte del male che è la separazione da Dio, dalla quale si scatenano tutti i  mali.   

Togliendo la fonte del male che è nel nostro cuore,

-                                             non solo ci evita i peccati personali esterni che procedono da essa,

-                                             ma ci libera anche dall’ossessione dei peccati già fatti 

-                                             e dalla paura di tutti gli altri mali esteriori che sono attorno a noi,

poiché alla luce della sua Croce, Cristo ci fa capire che tutti i mali fuori di noi, nostri e degli altri, sono lezioni di Dio da capire: lezioni a volte dure, ma che ci rivelano la misericordia e l’amore di Dio che ci corregge, ci scuote, forza la mano:

-                                                          per richiamarci a Sé,

-                                                          per convincerci a morire a noi stessi, 

-                                                          per liberarci quindi dal vero male,

-                                                          affinché abbiamo ad impegnarci a conoscere Lui.

È in questa luce che la nostra anima ottiene il perdono ed è liberata dalla colpa.

La luce stessa è perdono.  Nella luce del Calvario  noi vediamo tutte le nostre colpe assorbite dall’Amore di Dio. Ed è qui che capiamo “come” il peccato, il male, viene tolto dal mondo.

 

Domanda: Questa luce che ci libera dal peccato dovrebbe anche liberarci dalle paure, soggezioni e giudizi…

Risposta:  Certamente. Questa luce ci libera da ogni paura o soggezione ai mali del mondo, e quindi anche da ogni giudizio, perché chi è raccolto nel Pensiero di Dio e raccoglie tutto nel Pensiero di Dio, che è quel “punto verginale” che ognuno porta in sé, in cui né il pensiero dell’io, né il pensiero del mondo, né il demonio possono entrare, non subisce nessuna soggezione o influenza negativa, non teme nulla, perché sa che tutto dipende unicamente da Dio e lui stesso vuol far dipendere tutto da Dio. Per questo non giudica nessuno, perché prende su di sé le lezioni che Dio gli ha presentato o che gli presenta.

Chi invece trascura Dio, chi si separa dal Pensiero di Dio e separa quindi tutte le cose da Dio, giudica tutto e tutti, rimane in balìa delle tenebre e del male, e quindi subisce l’influenza negativa dei mali esterni e di tutto ciò che lo rende schiavo e succube di tante cose o creature. 

Domanda: Come affrettare il tempo perché questa liberazione dal male diventi presto per noi realtà?

Risposta: Bisogna che tutta la nostra attenzione sia incentrata in questa continua opera di raccolta con Cristo di ogni cosa:

-                                                          non separando mai nulla da Dio,

-                                                          interrogando sempre Dio,

-                                                          riferendo tutto a Lui (quando si ama una persona si cerca sempre il suo pensiero).

Ed è lì che scatta in noi una luce nuova che ci fa capire ciò che Dio vuole da noi.

Ma bisogna superare sempre i nostri punti di vista, le nostre abitudini, i nostri sentimenti, le nostre impressioni, le nostre paure, ecc., per portarci a vedere le cose da Lui, dal Suo punto di vista, imparando così ogni giorno a convivere con Lui.

In tal modo non solo si è progressivamente liberati dal male, ma si scopre una vita nuova, crescente in luce all’infinito, per cui la nostra anima rimane sempre più fortificata e incentrata in Dio.

Per questo Gesù ci dice di non preoccuparci di lavare il bicchiere dall’esterno, perché è l’interno che va curato. E dice anche di preoccuparci di far crescere il grano anziché di estirpare la zizzania, per non correre il rischio di estirpare anche il grano, cioè questo interesse per capire le lezioni di Dio e crescere nella sua conoscenza.

Bisogna impegnarci ogni giorno a crescere in questa conoscenza di Dio, perché siamo chiamati a diventare, come Gesù, “tutto pensiero del Padre”, perché il Padre rivelerà a noi la sua Verità, la Verità che ci farà totalmente liberi, solo quando vedrà in noi il suo Pensiero, suo Figlio.

Domanda:  Il sapere “come” Dio toglie il peccato dal mondo ci dà una visione molto liberante delle cose che avvengono o sono avvenute nella nostra vita e nel mondo…

Risposta: Sì, ma ci carica anche di tanta responsabilità, perché è Dio che, in tutto ciò che fa o mi fa fare o fa fare ad altri, sta parlando con me! E quando uno sta parlando con me, una risposta in un modo o nell’altro la do (responsabilità deriva da “respondeo”).

Dio vuole che io capisca: “Capisci ciò che ti ho fatto? Sono morto per te, e tu? Quel tale è morto per te, e tu? Quelle persone soffrono per te, e tu?, ecc.”. Ecco, devo contemplare in tutto l’Agnello di Dio che prende su di Sé il mio peccato per convertirmi a Sé e liberarmi dal male che porto dentro.

Questo ci deve rendere pensosi, poiché Dio non si diverte a mandare tante sofferenze o tragedie nel mondo o a farci fare cose che  non vanno. Se lo fa, è perché il male che portiamo in noi e dal quale Lui vuole liberarci è ben più grave di quello che ci fa vedere esteriormente, e dobbiamo capirlo; per cui siamo tutti responsabili di quanto Dio opera all’esterno, poiché Egli è in dialogo con ognuno di noi. Per questo ci invita a prendere su di noi non solo gli errori che Lui ci fa fare, ma anche  quelli che fa fare agli altri, tutti i mali e le sofferenze del mondo, perché in tutto ci dice: “È una parola per te!”.

Tutto ciò che esiste e tutto ciò che accade, esiste e accade per ognuno di noi.

Come puoi dire con certezza che quella stella che vedi, brilla per te, così puoi dire che quel fratello che soffre, soffre per te, che quel delitto esterno è specchio del tuo delitto interiore quando affermi il tuo io anziché cercare Dio come va cercato. Infatti fintanto che tu non ti decidi a vivere per cercare e conoscere Dio, ci sarà sempre un fratello che soffre e muore per te.

Per cui noi siamo spettatori  non solo di ciò che Dio fa fare a noi per richiamarci a Sé, ma anche di ciò che fa fare agli altri, e il compito dello spettatore è quello di capire, non di giudicare, poiché tutto è lezione, specchio, per la nostra anima. Per questo Gesù dice: “Non giudicare, ma cerca di capire ciò che ti ho fatto per farti rendere conto di ciò che di guasto o di debole c’è nel tuo rapporto con Me”.

Infatti il problema è quello di avere un rapporto autentico con Lui, di ristabilire l’amicizia, l’unione con Lui. E questo richiede a volte tutto un travaglio e un capovolgimento di vita che non è facile, ma che con Dio è possibile, poiché “tutto è possibile presso Dio”.

Domanda: Però il pensare che è Dio che ci fa fare tutto, anche uno sbaglio, un errore, già ci dà pace.

Risposta: Ma se ti fermi lì, ti inganni, perché ti tranquillizzi e non cerchi di capire, per cui non cambi; anzi corri il rischio addirittura di giustificarti, dicendo che intanto quella cosa è Dio che te la fa fare, senza renderti nemmeno conto che ciò che ti muove, ciò che ti motiva è la tua volontà, il tuo io, il tuo sentimento, ecc., e non Dio. Corri questo rischio tutte le volte che non raccogli la cosa in Dio, per cercare la Sua intenzione, il Suo pensiero.

Domanda: Ma mi riferivo soprattutto al passato: il pensare che è Dio che ci fa fare tutto è motivo di pace soprattutto riguardo ad uno sbaglio che ormai ho già fatto….

Risposta:  Per quel che riguarda un fatto passato, in quanto una cosa è avvenuta, certo, è Dio che te l’ha fatta fare. Ma perché? Ciò che conta, e che quindi ci cambia, è capire, o per lo meno, desiderare di capire! Per giungere a capire devi raccogliere la cosa in Dio e allora lì scopri che Lui te l’ha fatta fare perché non avevi Lui al centro dei tuoi pensieri, non hai tenuto presente la Sua intenzione, per cui la cosa non è stata motivata dalla sua Volontà. La cosa cioè va dialogata con Dio, perché se non cerchi di capire perché Dio te l’ha fatta fare, in te nulla cambia, non scatta in te la conversione, non fai tua la Volontà di Dio, non sposi l’intenzione di Dio.

Invece se capisci questo “perché” e vi aderisci, fai tua la Sua volontà, ed ecco che allora il peccato sparisce! E allora lì tu capisci che Dio ti ha fatto esteriorizzare il tuo male interiore per liberartene, cioè per farti capire che ciò che ti motivava non era Lui, ma altro, e quindi per invitarti a rimettere Lui al centro della tua vita.

È questa la Luce che ti perdona e ti cambia, ti dà la vera pace e ti libera dalle ossessioni degli sbagli, perché attribuisce a Dio ogni cosa.

Domanda:   Quindi si rimane liberi attribuendo tutto a Dio.

Luigi: Ma non sono parole! Non devi accontentarti del sentito dire, ma attendere la luce che ti viene dall’Alto. Devi perciò raccoglierti nel Pensiero di Dio Creatore, perché non sei tu che puoi attribuire una cosa a Dio, ma è Dio che la attribuisce a Sé, che la prende su di Sé, e quindi è solo Lui che ti può far capire (fede!) questo, che ti può convincere di questo e liberarti. Quindi solo se c’è questa preghiera evitiamo il rischio di illuderci di essere a posto, oppure di ripiegarci su noi stessi, sulle nostre colpe.

Domanda: Se si pensa che Dio è Creatore di tutto, si può dire o si deve dire che ciò che si sta facendo nel momento presente è Dio che ce lo fa fare?

Risposta:  Lo si può dire se si è motivati da Dio. Ma si richiede molta vigilanza e molta preghiera per poterlo dire, perché se stai facendo una cosa, certamente è Dio che te la fa fare; ma un momento: è proprio Dio che te la fa fare? Qual è il motivo che ti  muove? Dio o l’io? La sua intenzione o la tua? È questo che dobbiamo chiederci, perché se non è l’intenzione di Dio che ci motiva, non possiamo dire che è Lui che ce la fa fare, anche se crediamo che è Dio che fa tutto. Certo, oggettivamente, è Lui che ce la fa fare (e ne capiremo il perché solo quando avremo raccolto la cosa con Lui), ma noi non possiamo dirlo, perché non è Lui, non è la sua Volontà che ce la fa fare.

È il motivo che ti muove che determina tutto! Tu puoi dire che è Dio che ti motiva solo quando hai Lui come Fine. Non basta averlo come Principio.

Domanda: Ma non è Lui che ci fa arrivare certe proposte?

Risposta: Certo, una proposta in quanto ti arriva è Lui che te la fa arrivare, dall’interno o dall’esterno, ma non perché tu abbia a seguirla ciecamente, ma perché tu la raccolga in Lui, per capire da Lui la sua intenzione, per capire quale risposta Lui si attende da te: questo vuol dire averLo come Fine. Questa sottomissione è una verifica se effettivamente abbiamo messo Dio prima di tutto. Tutto quello che pensiamo, parliamo o facciamo, va sottomesso a Lui e non ci dobbiamo permettere né di pensare, né di parlare, né di fare un qualcosa che non lo vediamo voluto da Lui, che non piaccia a Lui.

Ecco l’importanza di raccogliere sempre tutto in Dio (e questa è la vera preghiera) per evitare le illusioni e per non vanificare “l’opera dell’Agnello di Dio che ha preso su di Sé il nostro peccato”! È questa preghiera che ci fa maturare nella conoscenza e nell’amore verso Dio: essa ci cambia, perché ci ridona l’amicizia con Lui, ci fa ritrovare cioè quella Presenza amica che ovunque ci guida.

Domanda:  Però è difficile essere sempre motivati da Dio. È tanto facile illuderci!

Risposta: Certo, ma se siamo in buona fede, cioè se vogliamo veramente essere motivati da Lui, desiderosi di fare unicamente ciò che Lui vuole, allora interroghiamo in continuazione Dio perché ci faccia capire la sua intenzione, e rimaniamo con l’animo aperto ad accogliere eventuali correzioni. Non dobbiamo mai essere troppo sicuri di noi stessi, però dobbiamo avere fiducia in Lui, perché Egli ha i “doppi comandi”.

È necessario quindi vigilare e far conto su di Lui, proprio perché non è facile essere sempre motivati da Dio. È per questo che Gesù dice che bisogna pregare sempre. Perché per poter dire: “Qui sono motivato da DIO…, questo è Dio che me lo fa fare…”, si richiede una grande purezza di intenzione, cioè una grande purezza di pensiero e una totale sottomissione a Dio, perché deve proprio essere lo Spirito di Dio che ci motiva, che ci muove, che ci fa fare una cosa, e non un altro spirito. Non ci deve essere l’ombra dell’io, altrimenti poco o tanto la motivazione è contaminata. 

Solo chi è guidato dallo Spirito di Dio, che è Luce, può dire: “Faccio questo perché Dio è così…, perché Dio vuole così…, perché Dio dice così…”. Ma quanta conoscenza di Dio si richiede per poterlo dire! Perché noi possiamo ingannarci facilmente senza nemmeno accorgerci che siamo già passati all’altra sponda, illudendoci ancora di fare la volontà di Dio.

Possiamo infatti credere che è Dio che ci fa fare una cosa, mentre invece, in realtà, siamo motivati da ciò che vogliamo noi, da ciò che ci piace, da ciò che sentiamo, da ciò che risponde alla nostra ambizione, ecc. No! Bisogna sempre interrogare Dio prima di parlare, di agire e di decidere, perché la luce ci viene da Lui.

Quando si è veramente motivati da Lui, si è consapevoli di esserlo: non c’è ombra dell’io, non ci sono dubbi, perché con Dio si cammina nella luce. Quando invece si è nel dubbio, non bisogna muoverci, ma pregare ed attendere perché chi cammina nel buio, inciampa e cade. Gesù dice: “Il Figlio non fa nulla se non lo vede fare dal Padre”.

Domanda:  Allora dovremmo quasi sempre stare fermi! Però quando non capiamo bene quello che Dio vuole e una risposta la dobbiamo pur dare, cosa fare? Per poterci muovere motivati da Dio, sottomessi a Lui, penso che ci può essere di aiuto l’ubbidienza ai suoi Comandamenti…

Risposta: Certamente! Infatti i Comandamenti di Dio sono espressioni della sua Volontà per aiutarci nel cammino verso di Lui, perché noi quando siamo nel buio, quando non conosciamo ancora Dio, non sappiamo ciò che ci può far male, ciò che ci può caricare di catene o dipendenze.  I Comandamenti allora sono i “paracarri” che ci aiutano, soprattutto quando è buio, a tenerci sulla strada verso Dio, e ci evitano di sbandare e di farci del male. Cristo non è venuto ad abolirli, ma a portali a compimento. Però essi ci aiutano solo se teniamo presente l’anima di essi: (“Ama Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze…”), perché ci fanno scoprire la nostra povertà e il bisogno del Cristo. 

Se invece manca l’anima, ci fermiamo all’osservanza farisaica e questa ci inganna, perché ci fa ritenere giusti senza farci crescere nella conoscenza e nell’amore verso Dio.

Comunque le incertezze, le insicurezze, i dubbi, il non capire bene in certe situazioni ciò che Dio vuole, è sempre un invito a impegnarci maggiormente a conoscere Dio, perché più si conosce Dio e più c’è luce, per cui diminuiscono le zone d’ombra.

E poi, soprattutto, ci vuole molta fiducia in Dio, chiedendogli di correggerci e di farci capaci di accogliere le sue correzioni.

 

Domanda: Può sembrare un sogno questa liberazione dal male, però a volte, anche se solo per brevi tratti, già la si può intravedere, esperimentare.

Risposta: La Realtà è più grande del sogno. Tale liberazione ci è annunciata e promessa, ma teniamo presente che non si realizza se non si incontra il Cristo e se non Lo si segue in tutte le tappe della sua vita, fino alla sua morte in Croce e oltre ancora, perché è Lui che morendo in Croce ci dà la possibilità di superare “il posto di blocco” che è il pensiero del nostro io, di giungere a conoscere il Padre e quindi di giungere alla nostra Pentecoste, giorno in cui, ricevendo lo Spirito Santo, Spirito della presenza del Padre e del Figlio, realizzeremo la libertà definitiva e totale da ogni male.

Ma già nel cammino con Lui ci è dato di esperimentare una progressiva liberazione dal nostro io, già fin dall’inizio nell’accogliere la condizione che Egli pone (“Chi vuole seguire Me, rinneghi se stesso…”), fino alla tappa della sua Morte, se moriamo con Lui in Croce per vivere solo più per Dio.

Ma bisogna tener presente che camminiamo con Lui solo se ci impegniamo a raccogliere tutto in Dio. Abbiamo detto che raccogliere in Dio è il verbo della vita e deve diventare la nostra preoccupazione principale, per cui bisogna superare o trascurare ogni altra preoccupazione. C’è un proverbio cinese che dice pressappoco così: “Solo chi non si preoccupa di ciò di cui tutti si preoccupano, può preoccuparsi di ciò di cui gli altri non si preoccupano”.

È verissimo! Per occuparsi di Dio bisogna trascurare le altre preoccupazioni, altrimenti si avrà sempre meno tempo per Lui. Gesù ci dice che addirittura bisogna lasciare che i morti seppelliscano gli altri morti (cf Lc 9, 60), cioè bisogna lasciare che siano gli altri ad occuparsi delle cose morte. Infatti per queste cose non c’è da preoccuparsi, perché si trovano sempre delle persone disposte a farle anche al posto nostro: c’è sempre qualcuno che le fa e che se ne preoccupa; mentre invece per le cose dello spirito non si trova nessuno: cioè se non mi preoccupo io personalmente a cercare Dio, nessuno lo può fare al posto mio.

Domanda: Ma per poter trascurare ciò di cui tutti si preoccupano per poterci occupare di Dio si richiede un grande interesse per Dio.

Risposta: Certo, si richiede una grande passione per Dio e per le cose di Dio. Dio, essendo infinito, può esercitare su chi Lo ama una passionalità infinita.

Ma passionalità per Dio vuol dire distacco da tutto. Ecco perché Gesù (come già si diceva la volta scorsa) ci manda nel mondo come agnelli in mezzo ai lupi, senza nulla, senza pretese e senza contese. Non per essere degli sciocchi, ma per salvare il nostro interesse per Dio, la nostra passione per Dio, la libertà e la disponibilità interiore ad occuparci d’Altro (con la A maiuscola)!

Quindi a chi ambisce qualcosa, daglielo! Non contendere, perché confermeresti le passioni dei lupi e trasformeresti te stesso in lupo.

Gesù ci manda come agnelli, perché solo chi è agnello, chi è docile e dipendente da Dio e che ha solo interesse e passione per Dio, può cambiare e salvare il  mondo, cioè può smontare i lupi cambiandoli in agnelli. 

Se invece contendi, testimoni che per te ha valore ciò per cui contendi, mentre invece la vera cosa giusta e il vero Bene da desiderare è Dio.

Nel mondo chi lotta, lotta sempre per “le cose ingiuste”, cioè per le cose della terra, che sono tutti i doni ricevuti da Dio (Gesù le chiama “ricchezze ingiuste” nel senso che non sono dovute a noi, non sono nostre, ma di DIO), mentre invece la vera ricchezza giusta da cercare (“giusta” nel senso che è “nostra”, perché siamo destinati ad essa, fatti per essa) è Dio solo. Infatti Dio solo è Buono, Dio solo è il vero Bene.

Gesù dice: “Se dunque voi non siete fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi confiderà il Bene vero? E se non siete fedeli nell’altrui, chi vi darà il vostro?” (Lc 16, 11-12 ). Con queste parole Gesù ci richiama a considerare come mezzi e non come fine le ricchezze ingiuste, perché è solo in questa fedeltà a raccoglierle in Dio che la nostra anima diventa capace di ricevere la ricchezza giusta.

Bisogna quindi convincerci che una sola cosa è giusta e che Uno solo è il vero nostro Bene: conoscere Dio.

Solo se ne siamo convinti possiamo dedicarci a Dio, poiché la ricerca di Dio ci obbliga a superarci in continuazione per raccogliere tutto in Lui, per interrogare in tutto Lui; ma se non abbiamo questa convinzione, ci stanchiamo presto e lasciamo perdere.

Dio impegna molto il nostro intelletto e lo sviluppa all’infinito. Dio è il primo Maestro del pensiero. Pensare a Lui ci fa entrare in una vita nuova, ci fortifica nello spirito, perché mette in noi stessi la ragione delle cose e delle nostre scelte. Invece l’abitudine, il seguire il sentimento, ecc., atrofizzano la nostra mente e indeboliscono lo spirito.

Parte registrata:  continuazione dei pensieri tratti dalla conversazione:

Emma D.: Pensare a Dio è un qualcosa che ci cambia davvero la vita e ci rende più forti.  Allora anche una cosa che ci preoccupa o che ci fa soffrire, rimane come trasformata, e si esperimenta davvero una certa liberazione.

Luigi:  Sì, ma, come dicevo, bisogna appoggiarci continuamente sulle parole del Cristo e sulla sua Presenza: Egli è il Dio tra  noi, che parla a noi e ci raccoglie continuamente nel Pensiero del Padre. Bisogna quindi impegnarci continuamente ad interrogare Lui, a guardare Lui, a riferire a Lui. Soltanto se noi riferiamo la cosa a Lui, la cosa acquista una luce nuova che prima non aveva.

 Ma è lì che noi scopriamo una vita nuova e bella: è quella vita che viene dal pensiero, che viene da delle convinzioni, per cui non si fanno più le cose per abitudine o perché tutti fanno così, senza però che sappiamo il perché. L’abitudine, il “tutti fanno così” non è una ragione sufficiente o per lo meno che soddisfi.

Allora è quello che poi fa la creatura forte, fa il cuore forte, fa l’animo forte, perché è l’animo che ha lo spirito in sé, che ha la ragione in se stesso. Non è più che si fanno le cose così,  senza una ragione: è quello che fortifica!

Allora lo Spirito di Dio diventa uno spirito di fortezza, di liberazione.

Emma D.: Se uno osserva la natura, l’universo…, ma è una cosa stupenda, meravigliosa! E come si può non pensare che ci sia questo Padre Onnipotente che ci ha donato tutte queste meraviglie, tutto questo ciclo della natura, delle stagioni, ecc., che poi l’uomo guasta perché non pensa al Creatore.

Luigi: Sì, ma  poi c’è questo: che di tutte queste meraviglie noi cogliamo molto poco; noi cogliamo soltanto l’aspetto esterno, mentre invece c’è tutto l’aspetto spirituale (la comunicazione, la parola, il significato che Dio pone nelle cose) che sfugge a noi, perché questo incomincia ad essere notato soltanto quando incominciamo a vivere secondo Dio, alla presenza di Dio. E allora incominciamo anche a capire: “Ah, Dio è sempre questo…, Dio parla questo…,  Dio parla a me…”, il che è poi una ripetizione delle lezioni del Vangelo, perché quello che Dio ha detto è quello che Dio dice, quello che Dio ha fatto è quello che Dio fa, per cui continuamente uno si ritrova confermato: sono lezioni vecchie e lezioni nuove.

Ecco allora uno non vede soltanto il fiore, la persona , ecc., così esteriormente, ma coglie l’anima delle cose, che invece a noi nella vita comune sfugge (e l’anima è poi il significato che Dio pone nelle cose, poiché Dio sta parlando).

Ecco, ciò che conta è cogliere l’anima, capire il pensiero di Dio nelle cose, cioè raccogliere le cose in Lui, perché raccogliendo in Dio, continuamente ci si trova confermati, poiché è Dio che sta parlando in tutto.

Pinuccia B.: Sull’argomento di stasera, penso che è molto importante convincerci che il vero male, quindi il vero peccato, è un’omissione, cioè non raccogliere le cose in Dio. Generalmente però l’educazione religiosa che viene ancora oggi impartita orienta sempre l’attenzione sui peccati esterni, mentre invece quelli sono solo esteriorizzazioni del peccato interiore.

Luigi: Sì, quelli sono effetti, evidenziazioni del peccato che c’è nel cuore dell’uomo che non mette Dio prima di tutto e non raccoglie in Lui (ed è questa la funzione della Legge).

 Ma se cogliamo che l’anima del peccato è una omissione, il non mettere Dio al centro (mettere Dio al centro vuol poi dire questo riferire, questo interrogare Dio), se noi capiamo bene questo, tutta la nostra attenzione si rivolge qui: “Un momento, ma io sto operando senza aver interrogato il Signore! sto scivolando!”: quindi me lo devo aspettare il delitto! Perché è il Signore che me lo fa fare, poiché l’anima è lontana da Lui.

E’ questo l’importante!

Perché succede che se noi guardiamo invece al peccato come un “fare”, allora tutte le sere ci  facciamo la tabellina, facciamo l’esame di coscienza: “Ho fatto questo, ho fatto quell’altro, cinque, sei, dieci volte, ecc.…”, così come si faceva una volta quando ci si abituava a fare l’esame di coscienza su vari punti indicati, segnando: “fatto” o “non fatto”; ma così facendo, viene a mancare l’anima, per cui ad un certo momento noi finiamo di girare intorno a noi stessi e facciamo come il cane che tende a prendersi la coda! Ma perché?

Perché staccati da Dio, noi pensiamo a noi stessi, e più noi pensiamo a noi,  meno pensiamo a Dio; per cui anche per cercare di rimediare a tutti i peccati o difetti, noi finiamo di girare intorno a noi stessi: facciamo propositi, promesse, ecc., ma sempre pensiamo a noi, e più noi giriamo intorno a noi stessi, più Dio ce li fa commettere, ed è logico, perché ci vuol far toccare con mano che ci stiamo sbagliando!

Mentre invece l’anima del male sta lì: nel non riferire la cosa a Dio, nel non guardare a Dio, nel non incentrarci in Dio.

Se noi cogliamo questo, se noi stiamo attenti a questo, allora sì che arriva la liberazione!

Pinuccia B.: La vera liberazione è proprio capire questo! Perché allora si può uscire da    qualsiasi situazione!

Luigi: Sì, perché la vera vita sta nell’imparare a riferire tutto a Dio. Ho detto che la vita eterna sta nel convivere con Dio, nel saper convivere con Dio. Dio è la Verità e noi dobbiamo imparare a convivere con Lui.

Noi attualmente viviamo nel pensiero del nostro io. Ne siamo talmente abituati che è scontato: tutto è normale nel pensiero del nostro io…; ma dobbiamo arrivare al polo opposto: vivere tutto nel Pensiero di Dio, perché effettivamente tutto avviene nel Pensiero di Dio, altrimenti noi non impariamo a vivere nella verità.

Vivere nella verità vuol sempre dire essere motivati da Dio, e allora:

-                                                          nel parlare vuol dire chiedersi: “Chi ti fa parlare adesso?”. Se chi mi fa parlare è Dio, ecco che allora  io ho imparato a rispettare Dio nel parlare;

-                                                          e così nell’agire: “Chi ti fa agire?”. Se chi mi fa agire è Dio, se posso dire in coscienza: “Agisco così,  perché Dio è questo…, perché Dio vuole questo…”, ecco che io ho imparato ad agire con Dio.

 

Pinuccia B. : Quindi se quando parlo o agisco non posso dire in coscienza che è Dio che mi fa dire o fare quello, è perché…

Luigi: Perché sono mosso da altro; posso essere mosso dagli altri o mosso dal pensiero del mio io,  mosso dalla figura, ecc.

Pinuccia B.: Allora possiamo dire che quando  non si ha la consapevolezza che è Dio che ci fa parlare o agire, è sempre l’io che inconsciamente muove…

Luigi: E’ sempre l’io! Quando non c’è Dio come motivo (e Dio, come già abbiamo detto, è coscienza, è luce, per cui quando c’è lo sappiamo), quando non c’è Dio come motivo, c’è sempre il pensiero del nostro io che muove, sempre!

Pinuccia B.: Però  anche in questo caso, come si era già detto prima, è Dio che ci fa fare così o parlare così…

Luigi: Certo! Ma noi non possiamo dirlo!

Pinuccia B.: Non possiamo dirlo perché non siamo mossi da Lui , però è Dio che ci fa fare o ci fa dire...

Luigi: Che ci fa dire, ad esempio…delle corbellerie.

Pinuccia B.: Ma se noi dopo lo riconosciamo, cioè se capiamo che è Lui che ci ha fatto parlare così perché eravamo presi dal pensiero del nostro io, allora…

Luigi: Se lo riconosciamo dopo, allora il male viene trasformato in bene. Infatti tutte le cose che Dio opera o ci fa operare, le fa per richiamarci da un errore e quindi, se scopriamo che è Dio che ci ha fatto fare o dire quello per-, allora abbiamo la possibilità di rinsavire e di glorificare Dio, perché Dio trae il bene dal male.

Quindi, noi staccati da Lui abbiamo detto certe parole, abbiamo operato in un certo modo: questo operare in un certo modo è a danno nostro! Infatti s. Paolo dice: “Fanno le cose che non convengono a loro! Perché? Ma perché avendo conosciuto Dio non L’hanno glorificato. E non avendoLo glorificato, Dio li ha abbandonati ai desideri del loro cuore, per cui ad un certo momento fanno le cose che non convengono più a loro!”.

Quindi non è che esista il male: il male lo scopriamo in quanto è danno nostro; infatti: “Se avessi saputo!”, diciamo. E perché? Perché ho toccato con mano che ho fatto qualcosa di sbagliato.

Come mai? Ecco allora, questo è un richiamo di Dio per dirmi “Vedi? Non mi hai glorificato, non hai tenuto presente Me! Se tu avessi tenuto presente Me, non avresti fatto quello!”.

Quindi quel fatto lì è un richiamo: E allora dal momento che io capisco questo, devo incominciare a glorificare Dio, non devo fare più di testa mia, non devo fare più secondo il pensiero degli altri.

Pinuccia B.: E quando capisco questo, da quel male Dio ricava un bene…

Luigi: Il bene è quello!

Pinuccia B.: Cioè mi ha orientato a Lui.

Luigi: E già! Il fatto che io abbia capito che quello Dio me lo ha fatto fare perché mi ero staccato da Lui, è già il bene: l’avermi fermato!

Se io cammino su una strada sbagliata e uno se ne accorge e mi butta un sasso che mi fa male e mi ferma, quello è già il bene.

Pinuccia B: Magari c’è il dolore della sassata…

Luigi: Sì, ma quello non importa, quello è come…la macchina di Emma D. che è andata fuori strada: c’è sì il dolore della macchina fuori strada, c’è la ferita, però c’è poi il bene che è un bene migliore. Cioè c‘è il richiamo.

Cina: Ad esempio, anche la sofferenza che c’è per le conseguenze di certi sbagli…   

Luigi:  Certo, ma tutto è richiamo a Dio.

Pinuccia B.: Per cui tutto diventa bene se uno dimentica se stesso, perché allora dimentica il dolore, supera l’umiliazione e si lascia orientare da Dio; diversamente si corre invece il rischio di chiudersi in se stessi , di offendersi e di fermarsi alla sassata…

Luigi: Certo. Quindi in tutto ci vuole sempre il Pensiero di Dio. Se non c’è il Pensiero di Dio, allora la sassata è solo sassata, la disgrazia è solo disgrazia, e noi la chiamiamo disgrazia e non vediamo il lato positivo, non vediamo il bene: non lo vediamo più!

In tutte le cose ci vuole sempre il Pensiero di Dio. Dio ce Lo richiama; noi però possiamo sempre trascurarLo.

Dio ce Lo richiama in tutto… perché Dio opera per fermarci.

Anche quando dice: “Guai a voi!”, anche quando dice: “Razza di vipere!”, anche quando dice: “Sepolcri imbiancati!”: è un richiamo suo per noi!

Tutto è opera sua per richiamarci al pensiero di Sé, anche quando ci promette o ci minaccia la dannazione o le tenebre, ma lo fa sempre per richiamarci a Sé: Dio opera tutto per salvare!

Quindi tutto quello che parte da Dio è sempre per salvare l’uomo, non è mai per punire, mai per giudicare.

Lui vuole salvare: “Dio vuole che tutti si salvino e giungano a conoscere la Verità!”; quindi tutte le sue opere sono improntate da questo significato qui, da questa intenzionalità: partono da questa.

Quindi noi se vogliamo restare nella verità dobbiamo vederle così; se noi le vediamo sotto un  altro aspetto, non le vediamo più nella verità e allora noi usciamo dalla verità.

Uscendo dalla verità, noi ci aggrovigliamo e ci chiudiamo nel bozzolo, perché resta tutto sbagliato!

Emma D.: Questo succede anche quando cadiamo nell’abitudine, soprattutto nelle cose sacre…Quel ragazzo che mi ha soccorso, mi diceva che non ha più voglia di andare in Chiesa, perché gli sembra tutto solo un rito; e proprio ieri sera mi è capitato di leggere un bell’articolo su “La messa–rito e la messa–vita”.  Il rito è l’abitudine…

Luigi: Per non cadere nell’abitudine, bisogna capire l’anima, il significato delle cose. Perché le cose sono cariche di significato. Se  una persona mi manda un regalo e io guardo solo il regalo e non colgo il pensiero che c’è dietro, ma io la offendo, perché non capisco il pensiero che c’è nella cosa!

Ora, il pensiero che c’è nelle cose, in ogni cosa, è molto più importante della cosa in sé.

Tant’ è vero che una cosa apparentemente senza nessun significato, magari poverissima, ma carica di pensiero, ha un valore enorme. Una cosa invece magari ricchissima, per la quale la persona che me la regala abbia speso tanto tanto, ma nella quale non abbia messo nessun pensiero, non dice niente. Ecco, vedi che quello che importa è quello che dice la cosa?

Ora, le cose che ci manda Dio, anche le cose che noi riteniamo di comune amministrazione, le cose di tutti i giorni, ma sono cariche di significato! Di un significato profondissimo! Hanno tanto da dire a noi: è un infinito che arriva a noi! Perché più la persona che pensa a noi è profonda, è nobile, ecc., e più carica di significato le cose che ci fa giungere.

Quindi allora in tutte le cose noi offendiamo il Signore a non coglierne il significato, perché se noi guardiamo le cose soltanto per l’utilità che hanno (“quello non mi serve, quello non mi piace!”), noi offendiamo il Signore!

Lo offendiamo, perché  noi guardiamo le cose soltanto per l’aspetto di utilità, di pratica, e non cogliamo invece(ed è questa omissione l’anima del peccato) quello che è l’anima, il significato che le cose hanno in sé: è questo che è importante! È molto importante, perché è quello che ci unisce allo Spirito di Dio!

Cina: Ma cosa fare per  essere capaci di cogliere questo significato?

Luigi: No, è Dio che ci fa capaci, non siamo noi che possiamo essere capaci, È Dio che ci fa capaci, per cui più noi pensiamo a Dio e più noi diventiamo capaci. E’ “l’abitudine”, capisci? Dico qui una parola sbagliata, ma è “l’abitudine” di essere con Dio che ci rende capaci: cioè più io frequento una persona e più divento capace di intendere il pensiero di quella persona; per cui ad un certo momento basta anche solo uno sguardo, un segno, e colgo subito lo spirito di quella persona, colgo quello che quella  persona mi vuol dire.

Invece se io non sono abituato o non conosco una persona, ho bisogno magari che quella persona parli tanto per capire anche solo un pensiero; se invece la conosco molto, mi basta un minimo sguardo ed io ho già capito tutto.

Questo cosa dice? Dice l’amicizia che noi abbiamo con quella persona, la profondità, l’unione che abbiamo con quella persona. Così è con Dio.

Allora più noi stiamo con Dio e più basta un minimo cenno che lo Spirito immediatamente parla. E anche lì vediamo che questa è una conseguenza  del dono di pensiero che uno ha donato a Dio; per cui Gesù dice: “Ad ognuno sarà dato quello che avrà voluto avere”.

Cioè più uno ha voluto fermarsi con Dio e più acquista questa profondità, questa amicizia con Dio che gli comunica il significato delle cose, il pensiero, lo spirito, l’intenzione che Dio mette nelle cose.

Mentre invece più uno si dimentica di Dio, trascura Dio, ha voglia a capire il significato!

Il più delle volte lo mettiamo noi il significato: “Ah, magari voleva dire questo!”.

Ma siamo molto lontani dal vero significato, perché chi coglie il significato lo coglie non perché glielo  mette, ma è lo Spirito che glielo comunica.

Cina: Quindi lo riceve.

Luigi:  Ecco, lo riceve.  Come quando io conosco una persona, non sto mica lì ad arzigogolare sulle cose che fa; anzi, colgo immediatamente qual è il suo spirito, la sua intenzione in quello che fa, al minimo accenno.

E questo è evidente, lo possiamo constatare: quando tra di noi ci conosciamo, basta uno sguardo che abbiamo capito tutto! Quando c’è amicizia, basta un cenno per capire il pensiero dell’altro.

E’ incredibile come, ad esempio, in uno sguardo, in un piccolo cenno, in un sorrisetto, ci sia tutto un mondo. Noi non ci rendiamo conto come ciò possa avvenire: gli altri magari non capiscono niente, ma le persone interessate sì.

Cina: C’è un’intesa.

Luigi: Ma da che cosa dipende questa intesa? Da questa comunione, da questa conoscenza.  E , poiché tutto è segno carico di significato, così avviene con Dio: più uno ha raccolto in Lui, più comprende il suo pensiero anche nelle piccole cose.

Pinuccia B: Quindi se è vero che ad ognuno sarà dato ciò che avrà voluto avere, bisogna proprio farci furbi impegnandoci a raccogliere in Dio.

Luigi: Ma deve essere questo un impegno reale.  Non basta che tu dica a parole: “Devo diventare furba”.

Emma D.: Si è furbi se si raccoglie e allora, raccogliendo, si scoprono delle cose davvero meravigliose.

Pinuccia B.: Bisogna proprio metterci in ascolto e basta.

Luigi: Piantando lì tutto il resto!

Cina: Le meraviglie e la liberazione che ci sono promesse ci fanno intravedere quanto sia necessario questo lavoro di raccolta.

Luigi: E dire che noi ci facciamo pregare tanto a farlo! Quando invece è di una bellezza, è di una meraviglia tale che si dovrebbe solo più fare quello.

Pinuccia B.: Va quindi tenuto sempre presente quel proverbio cinese che ci hai richiamato:  “Solo chi non si preoccupa di ciò di cui tutti si preoccupano,  può preoccuparsi di ciò di cui gli altri non si preoccupano”.

Ecco l’Agnello di Dio! (Gv 1,29)

Sulla riva dei fiume Giordano Giovanni Battista, vedendo Gesù che veniva verso di lui, disse: “Ecco l'Agnello di Dio, Colui che toglie il peccato dal mondo”. Era la segnalazione per tutte le genti; era la presentazione al mondo di Gesù da parte dell'ultimo dei profeti, colui che raccoglieva in sé la voce di tutta la preparazione all'incontro con il Messia.

Colui che re e profeti desiderarono vedere; Colui che da lontani tempi era stato annunciato e invocato; l'atteso da tutte le genti e da ogni uomo anche se non ne è consapevole, ecco, adesso era presente, davanti agli occhi di tutti.

Giovanni Battista presentò Cristo come l'Agnello di Dio venuto a togliere il peccato dal mondo.

***

Duemila anni sono passati da allora, ma il mondo è tutt'altro che svuotato del peccato. Missione di Cristo fallita?  Errore di presentazione da parte di Giovanni Battista? Oppure qualcosa di diverso da come apparentemente intendiamo?

Il peccato nel mondo c'è, e rimane; ed è ben lontano il tempo in cui non ci sarà più. Evidentemente basta guardare. C'è chi ne fa il cavallo di battaglia contro Dio.

 Com'è dunque che Cristo toglie il peccato dal mondo? C'è una sua frase che dice: «Chi fa il male resta schiavo di esso” (Gv 8,34). Ci fa riflettere che principio di ogni schiavitù al male, e quindi presenza del male nel mondo, è “chi fa il male”: le catene del male non nascono cioè dal di fuori, dal mondo, ma sono costruite dal didentro dell'uomo, dal cuore dell'uomo.

Il male non viene dall'esterno, ma dall'interno dell'uomo, quindi dal singolo uomo (“chi fa il male”).

Il male nasce dall'uomo, da ciò che parte da lui, non da ciò che arriva a lui.

Ecco, è necessario distinguere tra ciò che arriva all'uomo e ciò che parte dall'uomo. Ciò che arriva all'uomo è già una risposta a ciò che è partito dall'uomo, ma ciò che è partito dall'uomo è in relazione al suo rapporto con Dio.

***

Cristo non è venuto a salvare il mondo esterno, a purificare le strutture, a rendere perfette le istituzioni, la società, l'ambiente dell'uomo: avrebbe costruito sulla sabbia, come costruirono e costruiscono sulla sabbia tutti coloro che ritennero o ritengono che basti cambiare l'esterno per cambiare l'uomo.

La fonte avvelenata che inquina l'esterno, e quindi il mondo, è dentro l'uomo.

Non vale modificare l'ambiente se non si purifica la sorgente che inquina l'ambiente.

Cristo invece è venuto a togliere il peccato dal mondo, perché è venuto a togliere il peccato dall'uomo: da ogni singolo uomo. 

L'annuncio cioè è universale, ma la liberazione, la purificazione è personale, e può essere soltanto personale, poiché il male nasce nel cuore dell'uomo. 

La liberazione presuppone che l'uomo accolga nel suo cuore e nella sua vita Colui che toglie il peccato.

L'annuncio è universale: c'è un dottore che guarisce la malattia; ma è necessario che il malato accolga l'informazione e vada dal dottore. 

Cristo è venuto a salvare l'uomo, ogni singolo uomo; la liberazione dal male è personale, non è di una massa, di una classe, o di un popolo.

***

La segnalazione di Giovanni Battista significa ciò che un giorno tutte le creature diranno ad ogni uomo personalmente indicandogli il Cristo: ecco la tua Salvezza!

In Giovanni Battista infatti è la sintesi di tutto l'Antico Testamento e quindi nella sua voce si raccolgono e diventano parola intelligibile le voci di tutte le creature, l'anima di tutti i tempi e di tutti gli avvenimenti.

Quanto più i tempi si avvicinano al Cristo tanto più cadono i sipari e si rivela il vero messaggio di tutte le cose.

Tutte le cose ci parlano di Dio, ci segnalano che in Lui è la nostra salvezza e che solo da Lui, dal suo giorno, dalla sua rivelazione, dobbiamo aspettarci l'aiuto, la luce, la liberazione, la pace.

***

«Abramo desiderò vedere il mio giorno; lo vide ed esultò di gioia», dice Gesù. E s. Paolo in una sua lettera ci precisa: «Tutta la creazione geme e soffre in attesa della rivelazione dei figli di Dio».

I tempi di Dio sono lezioni personali per ogni uomo e quindi sono carichi di significato personale per ogni uomo.

Nulla di ciò che accade è senza significato per l'uomo singolo, perché tutto è opera di Dio e Dio opera e parla per ogni uomo personalmente. “E' per te che Io ho fatto questo”, Egli dice ad ognuno di noi in ogni notizia che ci fa pervenire.

Se Dio parla ad ogni uomo, ogni uomo è tenuto ad intendere e non è senza responsabilità se non ne tiene conto o se non si preoccupa di intendere ciò che Dio vuole dirgli.

Giovanni Battista significa una tappa della nostra anima nel suo cammino ascensionale verso la salvezza di Dio, verso il Cristo, e quello ch'egli disse quel giorno alla gente che gli stava attorno indicando il Cristo, è quello che la nostra stessa anima un giorno indicando il Cristo dirà a tutti i nostri pensieri, a tutti i nostri problemi, alle nostre preoccupazioni, a tutte le voci del nostro mondo: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo, ecco Colui nel quale è la vostra salvezza, la luce che vi illumina e dà pace”.

***

L'uomo non è luce; quindi non vede le cose in modo manifesto. Questo ogni uomo lo sa, poiché ogni uomo ha le sue ferite che sanguinano per le cadute che incontra brancolando nella sua notte.

Il mondo non può vedere la Verità e fintanto che l'uomo ha gli occhi che guardano il mondo, non può vedere la Verità. Il mondo non è luce per gli occhi dell'uomo.

Vera luce è Dio. Solo quando questa Luce splende negli occhi dell'uomo, solo allora egli vede le cose manifeste e intende. Una cosa è manifesta solo quando è illuminata dalla luce dello Spirito.

Tutte le cose giungono a noi per farci capire questo, per convincerci che la nostra salvezza è in Dio. Tutte le cose giungono a noi con una proposta: guarda a Dio!

***

Vedere il Messia è trovare la nostra salvezza personale.

Nel mondo vediamo la nostra salvezza nel denaro, nel posto di lavoro, nella casa, nella salute, nel benessere, negli uomini, nella società, nelle strutture, nella politica, e diamo il nome di «Messia», «mia salvezza», a qualcuna di queste cose, per la quale sacrifichiamo, dedichiamo tutta la nostra vita.

Nel mondo diamo il nome di Dio a ciò che non è Dio. E' la nostra notte ed il nostro peccato; ed è la causa di quel labirinto di ansie, di insoddisfazione, di tristezze in cui ogni uomo si aggira senza vedere una possibile via di uscita.

***

A chi Dio manifesta la sua salvezza? Qual è la condizione perché il Cristo sia manifesto a noi e la nostra anima possa dire: Ecco la salvezza di Dio? 

Dio manifesta la sua salvezza a chi cammina per la retta via, cioè a chi accoglie ogni cosa direttamente dalle mani di Dio.

«Fate diritte le vie dei Signore... allora ogni carne vedrà la salvezza di Dio», dicono i profeti e ripete Giovanni Battista.

I profeti purificano i nostri occhi per poter vedere il Cristo; per cui è detto: “Chi accoglie un profeta come profeta, riceve la ricompensa del profeta”(Mt 10,41). La ricompensa del profeta è l’incontro con Cristo.

Tutto ciò che Dio manda a noi è profeta di Dio che purifica i nostri occhi affinché vedano il Cristo.

Ma solo chi accoglie ciò che viene da Dio come mandato da Dio riceve la ricompensa di avere gli occhi purificati.

Le cose venendo a noi si sottopongono alla nostra accettazione. Facendo la giustizia che dipende da noi, Dio ci illumina in ciò che non dipende da noi.

***

Vi è una giustizia essenziale da fare dentro di noi e che ogni uomo è chiamato a fare e che tutte le cose e tutti i tempi lo sollecitano a fare. Solo quando la compiamo, questa ci dà la possibilità di vedere la salvezza di Dio.

In caso contrario restiamo fuori, sempre più vaganti alla ricerca di una impossibile salvezza da quelle cose o da quelle creature o strutture che non possono darci ciò che noi chiediamo, perché noi chiediamo loro di essere come Dio, ed esse non lo possono essere.

Il difetto però non sta in esse, ma in noi, che attribuiamo loro il nome che dobbiamo dare solo a Dio: «Non avrai altro Dio  fuori di Me», dice il Signore ad ogni l’uomo (Es 20,3).

***

L'uomo da solo non vede la sua salvezza e non sa nemmeno dove stia la sua vita; però se è attento a ciò che Dio gli manda e mantiene il cuore umile, viene condotto a vederla, perché tutte le cose e tutti i fatti sono opere di Dio che servono e additano all'uomo la via giusta.

DIO opera in tutto e significa a noi ciò che dobbiamo fare per giungere a vedere la sua Verità, in cui è la nostra vita.

Tutto è opera di Dio, dono di Dio per portarci su quella soglia in cui la nostra anima ascolta questo: “Ecco!”. E' la presentazione della nostra salvezza, la salvezza di Dio: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo!”.

E' la presentazione di Dio a noi. Dio è il rivelatore di Se stesso. Tutte le creature, tutti i fatti della vita vengono a noi affinché anche a noi sia manifesto Colui che ci libera dal male.

 

              (Articolo pubblicato su “L’Araldo del S. Cuore” - Gennaio 77-scritto da Luigi Bracco)

 


 


“L'indomani Giovanni vide Gesù che veniva a lui e disse: “Ecco l'Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato dal mondo! Questi è Colui di cui ho detto: Dietro di me viene Uno che è più grande di me, perché esisteva prima di me; ed io non Lo conoscevo, ma per questo io sono venuto a battezzare con acqua, affinché fosse manifesto in Israele.”.Gv 1 Vs 29-31 Quinto tema.


Titolo: “Affinché fosse manifesto”


Argomenti: In cosa consiste la Giustizia – Accogliere tutto da Dio e riferire tutto a Dio – Betania – Mettere Dio al centro – Giovanni è l’uomo giusto – La Luce di Dio e la cecità dell’uomo – La manifestazione di Cristo – La salvezza di Dio – La testimonianza di Giovanni – La schiavitù dell’uomo – La purificazione – L’Agnello di Dio – L’antico testamento – La liberazione dal male – La voce di Giovanni e la voce di tutte le creature – L’uomo è cieco -


 

18/Luglio/1976


Introduzione:

Giovanni M.: Prima, nel versetto 28, si dice:  “Questo avveniva a Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni battezzava”. Cosa rappresenta Betania?

Luigi: Betania, ne abbiamo parlato nell’incontro di ieri sera proprio a proposito di questo versetto, significa la nostra coscienza, perché è nella nostra coscienza che la voce del Battista, la voce della giustizia, si fa sentire. 

Giovanni Battista  è la voce della giustizia che ammonisce l’uomo a far diritte le vie del Signore, ad evitare le vie storte verso Dio, a farle diritte.

Farle diritte vuol dire:

-                                 vedere in tutto la mano di Dio, la presenza di Dio,

-                                 quindi accogliere tutto dalle mani di Dio, 

-                                 desiderare di capire il suo pensiero in tutto.

Se facciamo questo, allora abbiamo un rapporto diritto, cioè “diretto” con Dio, capisci?

È a Betania che Giovanni battezzava, ed è nella nostra coscienza che Giovanni, la voce della giustizia, parla. Per questo possiamo ritenere che questa Betania possa significare la nostra coscienza.

Le parole di Giovanni sono un invito alla nostra coscienza, perché è nella nostra coscienza che noi avvertiamo che è giusto mettere Dio al centro e non metterci noi al centro. Esse sono un appello alla voce della nostra coscienza, poiché Dio è presente in noi. Dio è sempre presente in noi, ma noi non avvertiamo questa Presenza e quindi non avvertiamo ciò che è giusto, in quanto guardiamo sempre fuori e non guardiamo dentro di noi.

Allora il primo richiamo è questo: “Distogliti dal guardare fuori e comincia a guardare dentro di te”.

Dentro di te allora avverti quello che è giusto. 

Avvertendo quello che è giusto, allora lo devi fare.

Facendolo, ti avvii su quella strada che ti porterà a scoprire la Salvezza di Dio.

Quindi il battesimo del Battista, essendo un invito a fare dentro di noi questa giustizia, è un appello alla nostra coscienza, a ciò che portiamo già dentro di noi, perché noi non capiremmo il battesimo del Battista, cioè questo invito alla giustizia, se non portassimo già questa giustizia dentro.

Però, come dico, la maggior parte delle volte, noi non prestiamo attenzione a questa giustizia, perché guardiamo tutto fuori! Guardiamo le altre giustizie, la giustizia degli affari, la giustizia degli interessi, la giustizia del mondo, ecc., e allora questo ci distoglie dall’avvertire la vera giustizia che dobbiamo fare dentro di noi.

E quindi, non facendola, non possiamo entrare, non possiamo scoprire la nostra salvezza; perché la condizione (e questo è proprio l’argomento di stasera: “…affinché fosse manifesto in Israele”), la vera condizione affinché Cristo sia manifesto, cioè affinché noi possiamo scoprire, conoscere dove sta la nostra Salvezza, la salvezza di Dio, è quella di fare questa giustizia essenziale dentro di noi.

 

Dall'esposizione di Luigi Bracco:

 

Questa sera allora dobbiamo soffermarci ancora su un passo del brano che da tempo stiamo meditando(vv 29-31), e precisamente sul versetto 31:  “ed io non Lo conoscevo, ma per questo io sono venuto a battezzare con acqua, affinché fosse manifesto in Israele”.

Chiediamoci: cosa ci dice questo passo? È un messaggio che giunge a noi qui, ora. Per questo ognuno di noi deve chiedersi: cosa dice personalmente a me, adesso? 

Questo messaggio (“ed io non Lo conoscevo, ma per questo io sono venuto a battezzare con acqua, affinché fosse manifesto in Israele”), in quanto giunge a noi, è Dio che ce lo fa giungere e in quanto ce lo fa giungere, vuole insegnarci qualche cosa.

Quindi dobbiamo chiederci che cosa Dio ci vuole insegnare in questo passo nelle sue tre parti:

-                                  “Io non Lo conoscevo,

-                                  ma per questo sono venuto a battezzare con acqua:

-                                  affinché il Messia sia manifesto in Israele”.              

 

I.                   Allora fermiamoci in questa prima frase: “Io non Lo conoscevo…”.

Giovanni dice: “Io non Lo conoscevo…”. Cos’è che non conosceva? Non conosceva l’Agnello di Dio, Colui che toglie il peccato dal mondo. Solo dopo averLo battezzato, L’ha conosciuto così. Prima no, anche se di Lui aveva già detto: “Dopo di me viene Uno che è più grande di me, perché era prima di me”.

Ora, dopo l’illuminazione sul disegno di salvezza di Dio, vedendo Gesù che veniva a lui, Lo può segnalare come l’Agnello di Dio (“Ecco l'Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato dal mondo!), ma prima di battezzarLo non Lo conosceva così. Infatti dice: “Io non Lo conoscevo…”.

Questa confessione di Giovanni che cosa dice a noi?  O per lo meno, che cosa Dio vuole  insegnare a noi facendoci dire da Giovanni: “Io non Lo conoscevo…”?

A te, dice qualcosa per la tua anima, per la tua vita questa frase: “Io non Lo conoscevo…”?). …E a te? ….E a te? …E a te?…

Giovanni, avevamo detto, rappresenta l’uomo giusto e quindi quello che avviene in lui è rivelazione di quello che deve avvenire nell’uomo giusto.

Inoltre, siccome è la conclusione di tutto l’Antico Testamento, in lui si ricapitolano le voci di tutte le creature dell’Antico Testamento e quindi anche la voce di tutte le creature di oggi che si trovano smarrite nel mondo, poiché tutte le creature, fintanto che non hanno trovato la salvezza di Dio, il Cristo, il Messia, appartengono all’Antico Testamento.

Quindi pure noi, anche se viviamo duemila anni dopo la venuta di Cristo, fintanto che personalmente non abbiamo scoperto Cristo come “mia” Salvezza, “mio” Redentore, come Agnello di Dio, Colui che mi libera dal male, fintanto che non L’abbiamo scoperto personalmente, apparteniamo ancora all’Antico Testamento.  Non basta che magari andiamo in Chiesa, non basta che sappiamo magari tutto su Gesù, perché se non Lo abbiamo scoperto personalmente come “mia” salvezza, noi apparteniamo all’Antico Testamento.

Ora, la voce vera di tutte le creature dell’Antico Testamento è quella che si ricapitola in Giovanni, il quale dice: “Io non Lo conoscevo…”. In effetti nessuno di noi conosce. Tutti gli uomini,  in verità sono dei mendicanti, dei poveri ciechi sulla grande strada della vita, mendicanti ciechi che non conoscono.

Ecco allora, abbiamo Giovanni  che confessa:

-                                  “Io non Lo conoscevo”: non sapevo;

-                                  poi sono venuto a battezzare nell’acqua (…”per questo sono venuto a battezzare nell’acqua”);

-                                  battezzando nell’acqua, ecco, “ …ho visto!”. E si realizza qui l’“affinché fosse manifesto”.

Ma, abbiamo detto, fermiamoci prima di tutto su questa prima frase che Giovanni dice: “Io non Lo conoscevo…”. In lui c’è la vera voce di tutte le creature. Infatti tutte le creature, se parlano secondo coscienza, devono confessare di essere cieche, di non conoscere dove sta la loro Salvezza, chi sia la loro Salvezza. Non lo sanno, perché le creature sono cieche.

Infatti la Luce è un’altra, ma questa confessione di cecità è la premessa per ricevere la luce, per conoscere la loro Salvezza.

Invece, quando la creatura si esalta, quando è superba, allora dice: “Io vedo…”. Dicendo questo, la creatura cade nel peccato. Infatti Gesù dirà: “Lì sta il vostro peccato, perché essendo ciechi, dite di vedere!” . Quello lì è il peccato!

Perché essere ciechi non è mica peccato. Ogni creatura è cieca, ha bisogno della luce, e la luce è Dio. Ora, quando uno è cieco, non sa, non sa dove va, non vede, ha bisogno di  qualcun altro che gli dia una mano.

Quindi il dire: “Io sono cieco…”, non è essere peccatore, anzi, è essere uomo giusto. Giovanni infatti era uomo giusto e nella sua voce egli interpreta la voce vera di tutti gli uomini e anche quella di tutte le  creature.

Tutti gli uomini e tutte le creature, se sono oneste, dicono, confessano: “Noi siamo ciechi, quindi non possiamo dare la luce agli altri e non possiamo nemmeno essere luce a noi stessi”.

Il cieco non può illuminare un altro e non può nemmeno vedere per camminare lui! Per cui deve confessare: “Io non  conosco…, io non conosco chi è la mia Salvezza”.

Quando un uomo non conosce, è un povero cieco. Quando, ad esempio, noi andiamo in una città che non conosciamo, siamo come dei ciechi perché dobbiamo chiedere a destra e a sinistra, non sappiamo dove andare. Ecco, così è l’uomo cieco!

La cecità è la non conoscenza.

Allora il primo passo da fare è questa giustizia qui: riconoscere che noi non vediamo, che abbiamo bisogno di un Altro che ci dia un aiuto, una luce.     

Il punto d’attacco che ci introduce nel cammino che ci porta a scoprire la nostra Salvezza è la coscienza di questa nostra cecità. Non dobbiamo credere di vedere!   

E’ vero che noi vediamo tante cose naturalmente! Tutto il mondo, tutti gli uomini, tutte le persone le vediamo, ma quello non è la luce! Quello che noi vediamo non è la vera luce! Per cui la conoscenza che abbiamo noi delle cose, non è vera conoscenza! E quindi non dobbiamo fare l’errore di dire: “Io ci vedo!”. No! Guarda che quello che tu credi sia giorno, è pura notte davanti a Dio!  Non è giorno! Quindi non chiamare giorno quello che è notte. Non dire allora di vedere quando sei cieco!      

Ecco Giovanni, che è uomo giusto, dice prima di tutto la verità, per cui afferma: “Io non Lo conoscevo…” , e quindi non si vanta. La posizione dell’uomo giusto è quella dell’uomo umile, che riconosce onestamente quello che è.  

Per cui, se quest’uomo domani vedrà, non è lui che vedrà, ma è la grazia di Dio che lo ha illuminato, per cui attribuirà tutto a Dio, perché dovrà confessare: “Io prima non Lo conoscevo!”. L’unica testimonianza che può dare è quella!

 Infatti quando quel cieco dalla nascita viene guarito da Gesù (e quel cieco dalla nascita rappresenta poi ogni uomo, significa ogni uomo), sorge tutta una discussione con i farisei; ma quel cieco, avendo acquistato la vista, dice: “Voi fate tante questioni, ma…. io so una cosa sola: che prima ero cieco e adesso ci vedo!”.

Ecco la confessione–testimonianza dell’uomo che incontra il Cristo!

Egli dice: “Io non so, non posso sapere questo e quell’altro…, non capisco tutte le discussioni che voi fate, se quest’uomo sia  peccatore o  non sia peccatore, se sia di Dio o non sia di DIO…: io so una cosa sola:  che prima ero cieco e adesso ci vedo!”

Ecco la vera grande testimonianza dell’uomo che incontra Dio!

Perché, in effetti, l’uomo senza Dio è cieco, quindi in balìa di tutte le forze. Quando uno è cieco, è in balìa degli altri, e gli altri lo possono portare alla perdizione, ma lui non se ne accorge! Per cui, quando  siamo ciechi, noi siamo schiavi di tutte le cose del mondo, siamo schiavi degli altri, perché non possiamo capire, non abbiamo in noi la luce, cioè non possiamo dire: “Ah, costui mi porta al male!”, non possiamo rendercene conto! E allora, ecco, siamo condotti dagli altri.

Questa è la condizione, la situazione dell’uomo cieco!

Invece, l’uomo che incontra la luce, che incontra Dio, questo è l’uomo che è illuminato, che attribuisce tutto a Dio, e allora questi sa dove va, dove vuole andare; ecco, non è più in balìa, non è più schiavo delle cose del mondo, ma è libero dal mondo.

Ecco la liberazione che reca Dio agli uomini! Perché, come dico, l’uomo fintanto che è cieco, è in balìa delle cose del mondo, perché non vedendo la luce, deve lasciarsi portare, guidare da tutte le passioni, da tutti gli interessi del mondo, ecc. Quando invece incontra Dio, allora non resta più in balìa di nulla, quindi resta libero dalle cose, ha in se stesso la luce.

Infatti già nell’Antico Testamento si diceva: “La tua parola, o Signore, è lampada per i miei passi”. Ecco, non sono io lampada ai miei passi, non sono gli uomini lampada ai miei passi, non è il mondo, non sono gli argomenti, i problemi del mondo, le passioni, le lotte, gli interessi del mondo la luce per i miei passi, ma “luce per i miei passi è la tua parola, o Signore”.

Ecco, è la parola di Dio la luce per i nostri passi; questa è quella che illumina l’uomo, sempre che l’uomo ascolti la parola di Dio.

Quindi il Battista dice: “Io non Lo conoscevo…”. E qui abbiamo la confessione-testimonianza dell’uomo giusto e di quello che è ogni uomo.

II.                                                     Ma aggiunge: “ma per questo sono venuto a battezzare con acqua: affinché fosse manifesto, affinché fosse rivelato…”.

“…Per questo io sono venuto a battezzare”: ecco, qui ci rivela il fine del suo battesimo, il fine di questa sua opera. Giovanni è venuto a battezzare “…affinché  fosse manifesto…”. Manifesto chi?  Manifesto il Messia, cioè  la salvezza di Dio che l’uomo non vedeva, perché l’uomo sapeva di essere cieco, ma non sapeva dove stesse la sua Salvezza.

Dice allora Giovanni:“…io sono venuto per questo…”.

Ora, siccome in Giovanni, ho detto, si riassume, si ricapitola il senso di tutte le creature, queste sue parole ci fanno capire che tutte le creature vengono a noi, e tutti gli avvenimenti vengono a noi, per battezzarci al fine di renderci manifesto il Messia, il Messia che è la salvezza di Dio. Tutte queste cose vengono a noi per renderceLo manifesto.

Per cui il senso di tutte le cose che accadono nella nostra vita e di tutte le creature che incontriamo, è questo, perché Giovanni dice: “Io sono venuto a battezzare per questo: affinché fosse manifesto in Israele”. Cioè tutte le creature vengono a noi per battezzarci nell’acqua.

Questo battesimo di acqua, l’abbiamo già visto diverse volte, è questa purificazione; è ciò che Giovanni dice:  “…Fate diritte le strade del Signore…”; è questo mettere Dio al centro.

Il battesimo di acqua è questo lavaggio spirituale che viene dal mettere Dio al centro dei nostri pensieri; per cui sostanzialmente Giovanni dice: “Tu che ora vivi pensando a te, togli il pensiero di te stesso dal centro, e metti Dio al centro della tua vita!”

Questo è il battesimo di acqua, questo è il battesimo di giustizia, questa è la giustizia prima.

Se noi non facciamo questa giustizia, noi certamente non possiamo riconoscere il Messia, perché non matura in noi la convinzione che la nostra salvezza sta solo in Dio. Per cui, anche se abbiamo già sentito parlare tanto del Cristo ma non abbiamo fatto questo battesimo dentro di noi, non abbiamo accettato questa giustizia, fatto questo lavaggio, questa penitenza che è questa conversione delle cose (anziché le cose riferirle a me le debbo riferire a DIO), non abbiamo incontrato il Messia.

Ora, siccome noi ci siamo  abituati a riferire le cose, gli interessi, le scelte di vita, sempre al pensiero del nostro io, adesso, se mettiamo al centro il Pensiero di Dio, questo ci obbliga a rivedere tutto (quindi è un lavaggio), a rivedere tutti i nostri giudizi, tutte le nostre scelte, tutte le nostre decisioni, tutti i nostri interessi, perché bisogna spostarli dal pensiero del nostro io e attribuirli a Dio.

Ma in Dio le cose cambiano molto, e se cambiano, ci impegnano quindi a rivedere, a modificare. Allora anche tutte le nostre abitudini, ad esempio, devono essere cambiate, perché le nostre abitudini noi le abbiamo acquisite vivendo per noi stessi.

Invece, se uno mette Dio al centro, deve acquisire altre abitudini, deve impostare un’altra vita.

È questo il lavaggio che bisogna fare! E questa è la premessa, è la condizione perché Cristo sia manifesto.

III.             E arriviamo qui alla terza parte: ”…affinché il Messia sia manifesto in Israele…”, cioè affinché noi scopriamo la salvezza di Dio.

Ecco, è necessario questo lavaggio nella nostra anima, accettare cioè il battesimo di giustizia, per poter giungere a scoprire la nostra Salvezza. Altrimenti per noi la salvezza sta nel denaro, la salvezza sta nelle creature, la salvezza sta nella carriera, la salvezza sta nell’avere un posto di lavoro, un posto fisso, la salvezza sta nella gloria, ecc., per cui succede che noi chiamiamo “mia salvezza” non Dio,  ma chiamiamo “mia salvezza” le creature e siamo nel peccato.

Ora però la condizione per poter capire, per poter scoprire che “mia salvezza” è Dio,  e quindi scoprire poi dopo il Messia che è Gesù (“Gesù” infatti vuol dire “salvezza di Dio”, la salvezza di DIO) è accettare il battesimo di giustizia, e, prima ancora, è riconoscere la nostra cecità (perché se non mi riconosco cieco, non mi lascio battezzare) e quindi far conto su Dio. 

Ora, fintanto che noi facciamo invece conto su altro, sul denaro, sulla carriera, sul posto di lavoro, ecc.,  la “nostra salvezza”, la “mia” salvezza non è Dio, è altro! Tutt’al più io prego Dio perché mi aiuti ad arrivare a quello che desidero, però quello su cui io faccio conto è quell’altro. Quindi, anche se prego Dio,  la “mia salvezza” non è Dio.

Ecco perché Giovanni Battista dice: “…Per questo io sono venuto a battezzare, affinché sia manifesto in Israele”, precisando che questa manifestazione della salvezza di Dio avverrà  in Israele. Perché? Perché Israele è il popolo di Dio, popolo la cui anima è “DIO prima di tutto”  e che rappresenta ogni uomo che, accogliendo il battesimo del Battista, ha messo Dio al centro della sua vita e riferisce tutto a Lui.

È questa la condizione perché la Salvezza di Dio sia manifesta, cioè la condizione:

-                             innanzitutto per arrivare a scoprire che la salvezza “mia” è Dio,

-                             e quindi per poter poi dopo scoprire che tale Salvezza è Gesù.

Quindi perché noi possiamo arrivare a scoprire chi è la nostra Salvezza e quindi a dire a Cristo: “Tu sei la mia Salvezza”, bisogna che noi capiamo innanzitutto che la “nostra salvezza” è in Dio e solo in Dio; e perché capiamo questo, bisogna che accettiamo questo battesimo, questo lavaggio interiore, che è una conseguenza dell’aver messo Dio al centro: se non facciamo questo ce lo possiamo sognare di incontrare il Cristo!  E non siamo assolutamente religiosi, anche se preghiamo.

E allora, non incontrando il Cristo, non possiamo essere liberati dalle nostre schiavitù, perché è solo Lui che, conducendoci a conoscere il Padre e quindi alla manifestazione della sua Presenza, ci porta alla vera e totale liberazione, così come Lui stesso promette: “La Verità vi farà liberi”.

La meta dunque è la manifestazione della Presenza di Dio; però essa è preceduta da altre  due manifestazioni.

Cioè possiamo dire che nella vita dell’uomo ci sono tre manifestazioni di Dio. Quella di cui parla qui Giovanni dicendo: “Sono venuto a battezzare affinché sia manifesto in Israele”,  è  la seconda manifestazione.   Allora:

1.                                             La prima manifestazione è l’esistenza di Dio: Dio esiste!

Questa scoperta ci deve condurre a mettere Dio al centro, a riferire tutte le cose a Dio, perché tutto è di Dio, ma non è detto che uno Lo metta.

Questa prima manifestazione è opera di Dio e solo opera di Dio. E’ la creazione, la creazione con tutte le conseguenze: tutti i fatti che avvengono sono opera di Dio. Ma questo è Dio che lo fa. È Dio che conduce l’uomo a credere che Lui esiste! Non sono io che arrivo a credere. È Dio che mi conduce a credere nella sua esistenza.

Per cui anche se l’uomo pesta i piedi e dice che Dio non esiste, arriva un certo momento in cui Dio lo porta di fronte alla sua Verità: “Guarda che Io ci sono!”.

Questa è la prima manifestazione.

2.                                           Poi abbiamo la seconda manifestazione che è la salvezza di Dio: del Dio che salva! Per cui:

-                                                          Dio è Colui che è Verità, Dio è Colui che esiste,

-                                                          e Dio è Colui che salva l’uomo: per cui la nostra salvezza è Dio.

Ma per arrivare a scoprire che la nostra salvezza è Dio, ci vuole un passaggio.

Perché noi possiamo credere che Dio esiste, che tutto sia opera di Dio, ma non arrivare a capire che  la  nostra salvezza è Dio.

Per cui noi sappiamo che tutto è opera di Dio, però diciamo: “O Signore, ti prego,   mandami la medicina affinché io guarisca! Signore, fammi trovare un posto di lavoro! Signore…, ecc.,  ecc.”.

Ecco, io credo in Dio, però ritengo che la mia salvezza sia il posto di lavoro, siano le medicine, il denaro, la casa, i campi, i buoi... Allora prego il Signore, perché credo in Dio (grazie alla prima rivelazione, alla prima manifestazione), ma Lo prego affinché mi faccia incontrare la mia salvezza: “i buoi, i campi, la moglie”, il posto di lavoro, il denaro, ecc.. Ma per arrivare a capire, a scoprire che la mia salvezza è Dio…., ecco, c’è un passaggio da fare. Che cosa si richiede?

Ecco, siamo proprio al punto sul quale stiamo riflettendo: Giovanni è venuto a battezzare (“Hai scoperto che Dio esiste? Ebbene, mettilo al centro!”), “…affinché sia manifesto” : manifesto che cosa? “Affinché sia manifesto che la salvezza è Dio”.

Perché gli uomini non sanno che la loro salvezza è Dio, pur credendo in Dio!

Gli uomini ritengono invece che la loro salvezza sia il mangiare, lo star bene, la salute! E allora naturalmente localizzano in queste cose la loro salvezza.

Quand’è che invece la creatura incomincia a localizzare la sua salvezza in Dio? A ricevere cioè la seconda manifestazione e quindi a riconoscere in Gesù la salvezza di Dio?

Anche la seconda manifestazione è tutta opera di Dio, ma richiede già una partecipazione della persona: l’accettazione del battesimo di giustizia.

Senza questa partecipazione personale la persona non arriva a questa seconda manifestazione. Infatti coloro che non hanno accettato il battesimo di giustizia, il battesimo di Giovanni Battista, non poterono riconoscere, né seguire il Cristo, non poterono intendere il messaggio del Cristo, il parlare del Cristo.

 

3.                                           Poi arriviamo alla terza manifestazione che è la scoperta della Presenza di Dio, lo Spirito di Verità:  è la Pentecoste.

Ecco, questa terza rivelazione è la manifestazione della Presenza di Dio (non l’annuncio soltanto, perché già la creazione, essendo manifestazione dell’esistenza di Dio, è un annuncio della Sua presenza). È la Presenza manifesta!

Anche questa terza manifestazione, che è la Pentecoste,  la constatazione della Presenza di Dio, non avviene senza l’uomo.

E’ opera di Dio, ma non avviene senza l’uomo. Per cui noi possiamo anche non arrivare alla nostra Pentecoste, perché per arrivare alla Pentecoste, si richiede la cooperazione dell’uomo: “Colui che ti ha creato senza di te,  non ti salva senza di te!”.

Quindi non si arriva alla Pentecoste senza di noi, perché ci vuole il superamento dell’io, la morte a noi stessi, che avviene attraverso il Cristo.

Per cui noi possiamo, ad esempio, credere in Dio e non essere morti a noi stessi. E   fintanto che non moriamo a noi stessi, non arriviamo a Pentecoste. Per cui dico, non arriviamo a Pentecoste senza di noi: è dono di Dio, è opera di Dio, ma non si arriva senza di noi.

Quindi abbiamo tre manifestazioni:

-                                                          una prima manifestazione che si verifica anche senza di noi;

-                                                          una seconda manifestazione che richiede qualcosa di noi,

-                                                          e una terza manifestazione che non si verifica senza di noi.

Possiamo dire che rappresentano “i tre giorni”, le tre tappe, attraverso cui Dio forma e ricostruisce l’uomo per la vita eterna.

Abbiamo allora la creazione, il Battista e il Cristo.

Per cui:

-                                                    Dio crea tutto affinché sia manifesta la sua Verità;

-                                                    Dio manda Giovanni Battista affinché sia manifesta la sua Salvezza;

-                                                    Dio manda il Cristo, viene Lui stesso in Cristo, affinché sia manifesta la sua Presenza.

 E’ chiaro? Ed è soltanto con la sua Presenza manifesta  (terza manifestazione) che allora incomincia l’uomo nuovo, la vera vita; non prima! 

Quindi  con la scoperta del Cristo, con la scoperta cioè della nostra Salvezza (seconda manifestazione), non siamo ancora nella Presenza  manifesta, sia chiaro! Infatti Gesù dice: “Finora non mi avete ancora conosciuto”.

Fintanto che i suoi Apostoli non moriranno con Lui al mondo, al pensiero di se stessi come Lui è morto e non risorgeranno con Lui e non ascenderanno al Padre con Lui, non arriveranno a quella Presenza manifesta, perché la Presenza manifesta di Dio, deriva dal Padre e dal Figlio: cioè è lo Spirito Santo, lo Spirito di Verità, Spirito della Presenza del Padre e del Figlio.

 

Pensieri tratti dalla conversazione:

 

Giovanni M.: Il battesimo, la parola “battesimo” che significato ha?        

Luigi: Il battesimo è un’immersione; battezzare è un buttare dentro, mettere dentro a qualche cosa,  è un immergere in - : è cioè un’illuminazione.

Qui, il battesimo di acqua immerge la creatura in Dio; è un’immersione in -, in Dio,  anziché  essere immersi nel mondo.

Giovanni M.: Come in un recipiente…

Luigi: Ecco, è un essere immerso dentro…

Giovanni M.: …è un essere immerso dentro un recipiente nel quale possiamo mettere le cose di Dio o possiamo mettere le cose del mondo.

Luigi: No, in cui dobbiamo metterci noi. Il battesimo è un’immersione nostra in Dio. Cioè il battesimo è: “Ti immergo in Dio, ti getto in Dio, affinché tu abbia a vivere lì, perché quella è la tua vita”:

Giovanni M.: Quindi il battesimo è un segno…

Luigi: Certo, è un segno, si capisce. È un segno esterno di un fatto che deve avvenire in noi. 

Giovanni M.: È un segno che indica dove siamo battezzati; perché noi possiamo essere battezzati nel mondo o possiamo essere battezzati in Dio…

Luigi: Certo. Quando, ad esempio, uno ti conduce nel tuo posto di lavoro, nella tua fabbrica, e ti dice: “D’ora in poi tu vivrai lì”, ecco…, in un certo senso ti battezza.

Giovanni M.: Anche nel parlare umano si usa la parola “battezzare” quando si tratta di festeggiare l’inizio di una cosa nuova. Ad esempio, diciamo: “Battezziamo questa cosa”, e la si festeggia.

Luigi: Sì, è attribuire un significato…., è un mettere  dentro ad una cosa un pensiero…

Cina: Ad esempio quando si inaugura una casa, si dice che si battezza la casa.

Pinuccia B.: Però allora, in questo caso, battezzare più che significare un’immersione in-, significa un inizio…

Luigi: E’ dare un significato, è attribuire un nome, un pensiero…

Giovanni M.: Si usa anche dire: “battezziamo una laurea….”

Cina: Cioè indica un inizio di vita…

Luigi: E’ un inizio di nuova vita, ma in quanto, ad esempio, io ti  prendo e ti porto in una casa e ti dico: “D’ora in poi vivrai lì!”. Ecco ti immergo in -, per cui d’ora innanzi “la tua vita è lì”. Quindi il battesimo è questo: è un’introduzione a una nuova vita. Rende bene questo esempio: uno ti porta in una nuova abitazione e ti dice: “D’ora in poi la  tua vita starà lì”.

Ora, è questo il battesimo: ti viene presentato Dio e ti vien detto: “D’ora in poi la tua vita è lì…,ti immergo in Lui”. Questo è battezzare.

Giovanni M: Mi ha colpito il significato delle parole che dice il Battista: “Io non Lo conoscevo…”. Tante volte ho letto questo passo del Vangelo, ma non ne avevo mai capito il significato! Ora capisco che  sono parole bellissime, che hanno un significato enorme…,

Luigi: E che valgono per ognuno di noi.

Giovanni M.: Ma non ci avevo mai pensato. “Io non Lo conoscevo…”: è una parola semplice, che magari un bambino l’avrebbe subito colta in pieno. E, guarda, solo adesso, che a momenti sono alla fine della vita, mi accorgo che non ho mai dato un significato a queste parole, anche se avrò già letto mille volte questo capitolo del Vangelo.

Luigi: Ma, vedi, su tutte le parole del Vangelo noi dovremmo soffermarci  una per una, perché tutte le parole sono cariche di significato; soltanto che noi ci passiamo sopra perché siamo superficiali. Superficiale è colui che passa sopra, che si mantiene in superficie.

Quindi quando noi leggiamo e scorriamo senza approfondire, ci manteniamo in superficie, passiamo sopra e non penetriamo.

Ma se invece dico: “Ma un momento, qui è Dio che mi sta parlando, e se Dio mi sta parlando e mi dice questa parola, io non devo essere superficiale, ma devo custodirla, devo approfondirla molto, perché questa parola  è carica di significato: Dio mi vuole insegnare qualcosa!”.

Qui, con queste parole del Battista (“Io non Lo conoscevo…”) prima di tutto mi vuole insegnare questa giustizia qui, per cui io debbo dire: “Io sono cieco, non vedo, non conosco!”.

Questa è la premessa per arrivare poi a vedere Colui che mi darà la luce, la salvezza, e prima ancora è la premessa per lasciarmi battezzare da tutte le cose.

Perché tutte le cose vengono a noi per dirci: “Metti Dio al centro, non sei tu Dio!”: e questo è il battesimo. Tutte le creature ci dicono questo.

Quindi non è che le creature ci portino via a Dio, perché nessuno ci porterebbe via a Dio se il nostro cuore fosse con Dio. Le creature ci portano via a Dio in quanto il nostro cuore è lontano da Dio, in quanto il nostro cuore è vuoto; allora le creature ci portano via, perché noi abbiamo passioni diverse dalla passione per Dio!

Altrimenti  tutto ci porterebbe a Dio, perché tutte le creature sono buone. Quindi se il nostro cuore è giusto, è retto, è semplice, tutte le creature sono buone perché sono opere di Dio e quindi ci aiutano, ci battezzano, perché ci orientano. Infatti continuamente tutte le creature, tutti gli avvenimenti ci dicono: “Guarda che tu non sei Dio, guarda che Dio è un Altro! Quindi nella tua vita non vivere solo per te, ma metti Dio al centro dei tuoi pensieri, prima di tutto dei tuoi pensieri, in modo che il tuo giudizio sia retto agli occhi di Dio”.

Perché se i tuoi pensieri sono giusti,  anche la tua vita poi incomincerà ad essere giusta, anche il tuo parlare incomincerà ad essere giusto, secondo Dio e quindi anche il tuo vivere, anche le tue azioni, le tue scelte.

Quindi tutte le creature ci ammoniscono. Per questo dico che tutte le creature ci battezzano con il battesimo del Battista, perché ci invitano a fare diritte le strade di Dio, a guardare Dio.

Quindi ancora oggi, direi, tutte le creature, tutti gli avvenimenti non fanno altro che battezzarci con questo battesimo di acqua, in continuazione, se noi lo accettiamo. Ma per accettarlo prima di tutto bisogna riconoscere che noi non conosciamo: “Io non conosco! Non so quale sia la mia salvezza! Sono un povero mendicante! Sono un povero malato! Ho bisogno di  un Salvatore, ma non so dov’è!”

E allora quando uno non sa, crede che la sua salvezza sia l’uomo, siano i medici di questo mondo, sia il denaro; ecco che allora uno si afferra a tutte quelle salvezze che apparentemente lo possono aiutare, ma poi all’ultimo resta deluso da tutto. 

Questo è significato da quella donna che perdeva sangue (e che simboleggia la nostra vita che è una perdita continua di sangue, cioè una perdita di vita) e che, dice l’evangelista Marco, aveva già speso tutto il suo con i medici, ma non aveva trovato nessun giovamento: anzi era peggiorata. Ecco, rappresenta un po’ la vita di ognuno di noi che spendiamo tutto il nostro denaro, quindi tutte le nostre risorse, dietro a coloro che noi riteniamo possano guarirci o possano salvarci…; ma all’ultimo scopriamo che abbiamo speso tutte le nostre energie e non solo non siamo guariti, ma anzi siamo peggiorati. Perché? Ma perché non abbiamo visto il vero Medico, il vero Dottore che cura tutti i nostri mali.

Quindi noi siamo malati, ma non vediamo; non è manifesto agli occhi nostri il Salvatore, il Messia.

Ora la condizione perché sia manifesto, è quella di accettare questo battesimo, questo mettere Dio al centro della nostra vita, questo lavaggio, questa trasformazione di tutto il nostro modo di vivere, di tutto il  nostro modo di pensare, riferendo tutto a Dio.

Giovanni M.: Come ha fatto Giovanni, lui che diceva: “io non Lo conoscevo…”, ad arrivare alla conoscenza del Messia?

Luigi: Perché nel deserto, dove lui era vissuto molto, lo Spirito di Dio gli disse di andare a battezzare e Colui sul quale avrebbe visto lo Spirito scendere e fermarsi, quello sarebbe stato il Messia.  E lui dirà: “Io ho visto e rendo testimonianza che questi è il Messia”.

Giovanni M.: Il deserto è un luogo di raccoglimento e di silenzio, quindi di per sé favorisce già la conoscenza di DIO…

Luigi: Sì, Giovanni ha vissuto tutta la sua vita nel deserto, nel silenzio; ha condotto una vita di sacrifici, non aveva le ambizioni del mondo.

Giovanni M.: Ma come ha fatto ad arrivare alla luce piena, tanto da arrivare a dire: “Ecco l’Agnello di Dio”?

Luigi: Lui, ubbidendo alla voce che gli aveva parlato nel deserto, è giunto a scoprire, ad individuare il Messia: la sua Salvezza. Per cui se noi ci raccogliamo nel silenzio, ubbidendo alla luce che nel silenzio riceviamo, questo ci conduce a scoprire il nostro Salvatore, perché, per vederLo fuori, è necessario prima di tutto aver dentro di noi la luce dello Spirito. Infatti se in noi non c’è l’ascolto di Dio, noi ce lo possiamo sognare…! Non Lo vedremo mai il “Dio tra noi, attorno a noi”!  Perché noi vediamo fuori sempre soltanto quello che abbiamo dentro. Per cui,  se io dentro di me ho il male, ma anche se vedessi la creatura più santa di questo mondo, la vedo male, la vedo nel male!  Ognuno di noi guarda con l’occhio di ciò che porta nel cuore. 

Ecco perché è necessario che tu accolga il battesimo del Battista, perché questo battesimo modifica questo mondo dentro di te. Infatti fintanto che tu hai un pensiero diverso da Dio dentro di te, il tuo occhio non vede il “Dio tra noi”.

Quindi incomincia a fare questa giustizia dentro di te. Questo purifica il tuo occhio dentro e allora sarai capace di vedere bene fuori.

Per questo Gesù stesso dice: “Ipocrita, perché guardi la paglia che c’è nell’occhio del tuo fratello e non vedi la trave che c’è nel tuo occhio? Cerca prima di togliere la trave che hai nel tuo occhio e poi vedrai se è il caso di togliere la paglia che è nell’occhio del tuo fratello”.

Allora prima di tutto dobbiamo curare il nostro occhio, perché se abbiamo l’occhio guasto, noi vediamo il guasto dappertutto! Ma, vedendo il guasto dappertutto, vediamo male! Se l’occhio è tenebroso, non puoi vedere bene.

Gesù dice: “Luce del tuo corpo è il tuo occhio”, cioè luce del tuo mondo è il tuo occhio; quindi se il tuo occhio è semplice, tu vedi tutto nella semplicità, ma se il tuo occhio è maligno, tu vedi la malignità dappertutto.

Quindi allora, cura il tuo occhio! Cioè prima di tutto cura il tuo cuore, cura il tuo pensiero, cura la tua anima, cura il tuo spirito; non avere dentro di te dei desideri orgogliosi che hanno per centro il pensiero di te stesso, perché questo ti fa vedere male, e allora tu non potrai assolutamente arrivare a vedere il Messia. 

Noi quindi abbiamo bisogno prima di tutto di mettere questo pensiero buono dentro di noi: Dio al centro del nostro pensiero, al centro del nostro cuore.

Quello però non basta! Quello ci dà soltanto la possibilità di individuare il Messia, la salvezza di Dio, però non ci salva, perché chi ci salva è Gesù, Salvezza di Dio.

Infatti non è che ci liberi dal male il pensare a Dio, il vedere le cose secondo Dio, come dovrebbero essere secondo Dio, il giudicare secondo Dio. Non è che questo ci liberi dal male, no! Chi ci libera dal male è l’incontro col Messia.

Però il pensare a Dio, ti dà la possibilità di vedere il Messia, di incontrarLo! Infatti, avendo messo Dio al centro, avendo accolto il battesimo del Battista, Lo puoi riconoscere, ti può essere manifestato.

Ecco perché Giovanni dice: “…affinché sia manifesto in Israele…”; non dice “…affinché sia manifesto al mondo…”. E anche questa precisazione ha la sua importanza.

Giovanni dice: “Io sono venuto a battezzare con acqua affinché sia manifesto in Israele”. Chi è Israele? Che cosa rappresenta  questo Israele?

Israele, essendo il popolo di Dio, rappresenta   l’uomo di Dio, l’uomo che ha messo Dio al centro dei suoi interessi. Ma l’uomo che ha messo Dio al centro dei suoi interessi, con questo non è salvo!

Israele portava Dio in sé al centro dei propri interessi e Dio parlava al suo popolo. Israele era dunque il popolo di Dio; ma con questo non era mica salvo! Era schiavo del mondo! Però la condizione per poter arrivare a vedere, a scoprire il Messia è questa: portare Dio dentro di noi, al centro dei nostri interessi, perché, portando Dio al centro dei nostri pensieri, al centro dei nostri interessi, noi scopriamo idealmente come sarebbe bello vivere tutti secondo Dio, che tutti fossero secondo Dio! Ma poi invece noi ci troviamo magari con dei delinquenti, ci troviamo con una società che è malvagia e che ci costringe a vivere tutto in un modo diverso, e allora lì capiamo che avremmo bisogno di uscirne, ma non possiamo, non ne siamo capaci.

Quindi in noi c’è lo Spirito di Dio, ma non sappiamo come fare per liberarci da tutto il male che ci sta attorno, che pesa su di noi, che ci impedisce di realizzare il nostro sogno.

E allora sospiriamo… Sospiriamo un Salvatore, perché scopriamo la nostra povertà, scopriamo la nostra miseria, la nostra incapacità di vivere secondo Dio. Sentiamo il bisogno di vivere secondo Dio, ma sentiamo la nostra impotenza. Ed è lì che noi sospiriamo l'incontro col Messia: condizione, questa, per poterLo riconoscere.

Giovanni M: Però c’è la parola di Dio che ci dà conforto per affrontare queste situazioni difficili di schiavitù, di persone malvagie, ecc., in cui ci possiamo trovare.

Luigi: Sì, però la parola di Dio non basta! Abbiamo bisogno di incontrare una Presenza, di incontrare una Persona viva fra noi, cioè abbiamo bisogno di incontrare il Cristo. Abbiamo bisogno di incontrare Lui! Perché non basta che noi abbiamo dentro di noi questo sospiro: il sospiro non ci libera; non basta che noi desideriamo: il desiderio non ci libera!

Giovanni M.: Se, ad esempio, mi trovo in una situazione penosa e leggo una pagina del Vangelo che mi insegna come Dio opera o cosa devo fare, io esperimento che la parola di Dio mi conforta, mi dà forza, perché anche se non vedo la Persona viva, so che Essa è dentro di me per cui, posso affrontare questi inconvenienti.

Luigi: Sì, li puoi affrontare, ma fintanto che non incontri questa Persona viva che divenga tua vita,  che tu la faccia tua vita, tu li affronti, ma non ti liberi. Non basta leggere il Vangelo…

Giovanni M.: Ma il Vangelo non è Persona viva?

Luigi: Certo, ma non il Vangelo inteso come dottrina, lettera, ma Persona, cioè il Gesù che il Vangelo ti presenta.…

Giovanni M.: Ah, certo, come Persona viva e conosciuta, perché infatti se leggo un passo del Vangelo e non lo capisco, questo non mi può dare conforto nelle situazioni difficili…Ma le parole di Gesù che capisco sono vive perché sono dette da una Persona viva e sono queste parole che mi danno la forza di affrontare certe situazioni.

Luigi: Ma è la presenza della Persona che mi dà quella forza, cioè è l’amicizia con la Persona. E questo presuppone la scoperta di questa Presenza, la convinzione che Lui è presente con me, che io non sono solo, che Lui parla con me.

Perché non è tanto: “ io che leggo!”, quanto: “E’ Lui che parla a me!”. Infatti è Lui che deve parlare a noi!

Allora, se io magari sono tribolato, ma c’è uno che mi parla, è questo che mi dà molta forza, che non mi fa più sentire né la solitudine, né la tristezza, né la debolezza!

Allora il problema non è tanto: io parlare o io leggere, quanto ascoltare Lui; ma per ascoltare Lui, bisogna che io abbia scoperto la sua Presenza.

E’  la sua amicizia, è la tanta sua amicizia che libera, quindi è la presenza di questa Persona qui, perché La si è scoperta come “mia” salvezza.

Però per arrivare a scoprire la presenza di questa Persona come “mia” salvezza, come si è visto, è necessario il battesimo di giustizia. Ecco perché Giovanni dice: “Sono venuto a battezzare con acqua, affinché sia manifesto in Israele”, cioè affinché Israele, ogni uomo di Dio, arrivi a scoprire la presenza di questa Persona come salvezza, come “sua” salvezza.

Per cui io dico a Lui: “Tu sei la mia salvezza!”, così come nel mondo lo si dice al denaro o lo si dice ad una creatura. Quando, ad esempio, uno trova l’amore di una creatura, le dice: “Tu sei il mio bene!”. Ebbene, questo bisogna invece poterlo dire al Cristo con quella stessa forza e più ancora.

Giovanni M.: Oggigiorno invece si sta esagerando nel dire “mio bene” o “mio amore” ad una creatura, come quando, ad esempio, si dice ad un bambino: “Tu sei il mio amore!” e lo si chiama continuamente “amore”. È assurdo, perché amore ce n’è uno solo: Dio! In sostanza si dice alle creature ciò che si deve dire solo a Dio.

Luigi: Cioè si mette la creatura al posto del Creatore.

Emma D.: È vero, l’affetto per i bambini molto spesso diventa idolatria, perché non si tiene presente Dio.

Luigi: Certo.

Pinuccia B.: Non so se ho capito bene una cosa che hai detto: il mettere Dio al centro certamente non ci libera, e neppure…

Luigi: Certo, è solo l’incontro con Cristo che ci libera. Però è necessario mettere Dio al centro perché questa è la condizione per poter  incontrare il Cristo.

Pinuccia B.: Però hai anche detto che neppure il vedere le cose secondo Dio ci libera. Ho capito bene?

Luigi: Sì, sì.

Pinuccia B.: Ma se uno vede le cose secondo Dio, non è già liberato?

Luigi: Mettendo Dio al centro, vediamo le cose secondo Dio, cioè vediamo le cose come dovrebbero essere…

Pinuccia B.: Cerchiamo, cioè  tentiamo di vederle secondo Dio, ma… 

Luigi: Comunque, mettendo Dio al centro, in quanto mettiamo Dio al centro, noi riferiamo tutte le cose a Dio. Infatti cosa vuol dire mettere Dio al centro? Vuol dire riferire tutto a Dio, quindi i pensieri, i problemi, le scelte, i fatti che arrivano, bisogna riferirli sempre a Lui. Riferendole a Dio,  le cose si illuminano secondo Dio.

Pinuccia B.: E questo non ci libera ancora?

Luigi: Questo non ci libera ancora! Ci fa vedere come sono le cose secondo Dio o come dovrebbero essere secondo Dio, ma… tra il vedere una cosa come dovrebbe essere e il farla, c’è molto intervallo: “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”.

Ma è qui che nasce il sogno e quindi il bisogno del Messia, proprio perché si scopre che c’è una frattura tra il sogno e la vita pratica.

Emma D.: Quindi il riferire le cose a Dio per vederle secondo Dio è solo la condizione per trovare Colui che ci può liberare ed è il battesimo di acqua.

Luigi: Infatti Giovanni qui dice: “Sono venuto a battezzare affinché sia manifesto in Israele…”. Ecco, in Israele! Fa proprio questa precisazione: “sia manifesto in Israele…”.

Israele è il popolo di Dio. Ci siamo chiesti: Cosa vuol dire “popolo di Dio”? Popolo di Dio significa l’uomo che ha accettato il battesimo di giustizia, l’uomo che riferisce tutto a Dio, che ha Dio come centro. Allora ogni uomo che fa questo è popolo di Dio, perché Israele è questo; è il popolo che ha Dio come suo Signore, come suo centro, come suo regnante: Dio è Colui che lo governa.

Ora, cosa vuol dire quando uno dice: “Chi mi governa è il tale!”? Cosa vuol dire affermare: “Chi mi governa è Dio”? Vuol dire che tutte le cose le prende da Lui, tutte le cose le riferisce a Lui, tutte le cose se le aspetta da Lui. Ma questo non salva. È chiaro? Questo non salva! Questo è la premessa per arrivare al Messia, a riconoscere il Messia!

Pinuccia B.:  Che il riferire tutto a Dio sia la condizione per riconoscere il Messia, è chiaro. Mi è meno chiaro però cosa vuol dire vedere le cose secondo Dio. Pensavo che il vedere le cose secondo Dio volesse già dire cogliere il significato di esse, il messaggio personale e quindi  già cogliere in esse la presenza di Dio che è poi quella che ci libera...

Luigi: Beh, cogliere la Presenza che libera…ancora no: questo avverrà più avanti. Dobbiamo tener presenti le tre manifestazioni di Dio di cui abbiamo parlato...

Pinuccia B.:  Quindi quel “vedere le cose secondo Dio” lo si deve intendere ancora al livello di sogno…, cioè  “vedere come dovrebbero essere secondo Dio”.

Luigi: Certo, ed è proprio questo che ci fa scoprire la frattura tra il nostro sogno e la realtà pratica; però è proprio questa la condizione necessaria per scoprire che la nostra Salvezza sta solo in Dio e quindi per scoprire tale Salvezza in Gesù.

Pinuccia B.: In riferimento alle tre manifestazioni di Dio di cui si è parlato, volevo ancora chiedere una cosa:  se nella seconda manifestazione non si percepisce ancora la presenza di Dio, poiché questo avverrà solo a Pentecoste, come si fa allora a percepire, a scoprire che Dio è la mia Salvezza  se non Lo sento presente?

Luigi: Ma vedi, bisogna precisare innanzitutto che una cosa è sentire la presenza di Dio e una cosa è la Presenza manifesta, e poi che una cosa è “affinché sia manifesta la Salvezza di Dio” e una cosa è “affinché sia manifesta la sua Presenza”.

Qui Giovanni dice di essere venuto a battezzare “affinché sia manifesta la Salvezza di Dio”. Ma a sua volta la Salvezza di Dio si manifesta “affinché  sia manifesta la Presenza di Dio”.  Ed è solo con la presenza di Dio che si realizza la liberazione totale e nasce l’uomo nuovo.

Quindi con Cristo non abbiamo ancora la Presenza manifesta; però con Lui abbiamo una presenza a livello di concessione, quindi provvisoria, che si fa sentire, che ci parla, ci sostiene, ci libera e ci conduce, attraverso successivi passaggi (percorrendo personalmente tutte le tappe della sua vita, morendo, risuscitando e ascendendo al Cielo con Lui) a conoscere il Padre, dal quale riceveremo la Presenza  manifesta (constatazione di Presenza che deriva dalla conoscenza di ciò che Dio é in Sé) e che realizzerà la nostra liberazione definitiva. 

Ma già ancora prima di scoprire la presenza del Cristo, per fede tu devi credere all’annuncio, che tutta la creazione ti fa, dell’esistenza e quindi della presenza di Dio in te e metterLa al centro dei tuoi pensieri (questo è il battesimo di giustizia), perché questa è la condizione per scoprire che la tua Salvezza è solo in Dio e quindi per incontrare il Cristo.

Cina: A me pareva di capire che la Parola  di Dio fosse già tanto, che in essa ci fosse già tutto, ma ora è stato detto che non è tutto… Però io non arrivo a capire questa distinzione.

Luigi: Se andiamo alla sostanza della parola di Dio, devo dire che in essa c’è tutto; però se prendiamo in considerazione come cogliamo noi la parola di Dio, devo dire che… non c’è tutto!

Tieni presente, non so se sono stato chiaro, quanto ho detto prima sulle tre manifestazioni che Dio opera e che sono poi  i tre giorni di Dio...

La prima manifestazione è quella della sua Verità.

Cina: E questa c’è comunque, anche senza di noi.

Luigi: Questa manifestazione si impone.  Noi possiamo dire: “Dio non esiste”, ma non possiamo convincerci che Dio non esiste. Tu capisci, io posso dire che questo tappeto è bianco. Lo posso dire, ma non mi posso convincere che sia  bianco, perché lui continua ad essere com’è. E così è lo stesso. Questo cosa vuol dire?  E’ Dio che s’impone. È la sua Verità.

Quindi è questa la prima manifestazione: Dio ci dà l’esistenza e darci l’esistenza  vuol dire che ci rende partecipi della sua Verità anche senza di noi. Lui non ci chiede il permesso prima se vogliamo esistere, se vogliamo vivere, o… se vogliamo che Lui esista. Lui esiste senza di noi, e Lui l’esistenza ce la dà, anche senza di noi.

Ora, darci l’esistenza vuol dire questo: rivelarci che Lui esiste, ed è la prima manifestazione.

La seconda manifestazione sta nello scoprire che la nostra salvezza è Lui.  E noi non scopriamo che la nostra salvezza è Dio, cioè  noi dentro di noi non possiamo dire: “Gesù” (“Gesù” vuol dire “la salvezza è Dio”), non possiamo dire “Gesù” senza lo Spirito predicato da Giovanni Battista, lo spirito di giustizia: questo mettere Dio al centro della nostra vita.

È questo che ci conduce ad individuare, a scoprire che “la mia salvezza” è Dio. Per cui, se c‘è questo, dentro di me dico già “Gesù” prima di trovarLo fuori.

Se dentro di me un giorno capisco che la mia salvezza è solo Dio (ma capisci cosa vuol dire poter dire “la mia salvezza è solo Dio”? Debbo poterlo sentire, debbo capire, essere convinto dentro di me, che la mia salvezza è solo Dio! ), quando un giorno posso dire: “Sì, la mia salvezza è solo Lui e non c’è niente altro che mi possa salvare”,  io dentro di me dico “Gesù!”, perché Gesù vuol dire: “la mia salvezza è Dio”.

Allora dicendo questo, Lo trovo fuori questo Gesù, “la mia salvezza è Dio”,  e allora Lo posso riconoscere: “Ah, era questo che io mi aspettavo!”. Ma lo posso dire in quanto porto già dentro di me la sua fotografia, porto già dentro di me il suo Volto!

Ora tu capisci che quando dentro di noi portiamo già il volto di una persona, quando questa persona si presenta, noi diciamo: “Ah, ma è quella lì! Io la conosco!”. Lo possiamo dire perché già la portiamo dentro. Ora, la condizione per poter riconoscere il Messia (“perché sia manifesto il Messia”) è che Lo portiamo dentro.

Ecco, Giovanni Battista è venuto a battezzare affinché noi abbiamo dentro di noi questo volto del Cristo, in modo da poterlo poi vedere fuori.

E allora con Cristo, attraverso Cristo, se seguiamo Cristo, Lui ci conduce poi alla terza manifestazione di Dio, che è la manifestazione della sua Presenza, che è lo Spirito di Verità, che è la Pentecoste, che è la scoperta del Dio in noi: Presenza! Presenza manifesta.

Cina: Perché non mi sfugga questo, capisco che non devo ascoltare più nessun’altra voce, 

Luigi: Ma se tu ascolti altre voci, vuol dire che non hai ancora incontrato Giovanni Battista! Non solo non hai incontrato il Cristo, ma non hai ancora incontrato Giovanni Battista! Cioè non hai ancora incontrato il vero senso delle cose, della creazione. Perché tutte le cose arrivano a noi per battezzarci così, per lavarci, per purificarci, per operare questo lavaggio interiore, per farci mettere Dio al centro dei nostri pensieri, al centro del nostro cuore. Questo è il senso di tutte le cose!

Ma fintanto che noi ascoltiamo altre voci  e ci lasciamo disperdere dalle creature, non cogliamo il vero significato del messaggio che esse ci danno, perché tutte le cose giungono a noi per dirci questo: “Metti Dio al centro del tuo cuore, metti Dio al centro dei tuoi pensieri!”. Tutte le cose giungono a noi per questo! E questa è la voce di Giovanni Battista, l’anima di tutte le cose, di tutte le creature.

Però allora noi ci possiamo chiedere: “Ma se tutte le cose già ci dicono questo, che bisogno c’era che venisse Giovanni Battista?”. Ma, vedi, tutte le figure particolari che Dio ci presenta, tutti i profeti, quindi anche il Battista, vengono per farci capire il senso delle cose, perché noi nella nostra dispersione non lo cogliamo, così come il Cristo è venuto per farci capire che Lui è presente in tutto. È chiaro?

Emma D.:  È tutto un cammino…Ogni tappa ne prepara un’altra…

Luigi:  E bisogna percorrerle tutte, senza fermarci a nessuna di esse, perché c’è questo rischio di fermarci...

Cina: Sembra già tanto mettere Dio al centro….

Luigi: Eh, no! Stai ben attenta! Questo lavaggio, questo battesimo, è soltanto per farti arrivare a vedere, a incontrare il Messia, la salvezza di Dio. 

Quindi noi dobbiamo sempre tenere ben presente il fine delle cose, non fermarci soltanto al messaggio che riceviamo, perché altrimenti dico:  “Beh, ho incontrato Giovanni Battista e ho capito questo! E questo è già tanto!”

No! No! Certo, è già tanto, ma guarda che questo è per portarti ad altro: a Gesù!

E così anche con Gesù: guarda che l’incontro con Gesù è per portarti al Padre!

Ecco, uno mi porta all’altro! Nel cammino verso Dio ci sono questi continui e successivi passaggi; per cui se mi fermo ad un certo punto, tutto crolla, come se non avessi ricevuto niente!  

Quindi non solo non devi  fermarti al Battista, ma nemmeno devi fermarti al Cristo o ad una delle tappe della sua vita. Infatti io posso dire: “Beh, io mi fermo a Gesù Bambino che è nato a Betlemme!”. No! Guarda che Gesù cresce e se tu ti fermi lì, ad un certo momento tu non Lo trovi più; quindi devi seguirLo, perché Lui cammina, Lui è Uno che va avanti!

“Ah, ma io mi fermo alla sua vita a Nazareth!”. No, non fermarti lì! Lui passa oltre!

“Ah, io mi fermo alla sua vita pubblica!”. Guarda che Lui passa oltre! 

“Mi fermo al suo discorso delle Beatitudini”.  Va’ avanti!

“Mi fermo al Calvario”.  Sì, ma va’ avanti,  perché Lui non è fermo lì: Lui risorge!

“Mi fermo a Lui risorto”.  Va’ ancora avanti, perché Lui va avanti ancora!

E dove va? Va al Padre.

Allora va’ con Lui fino al Padre , perché è poi dal Padre che riceverai lo Spirito Santo…

Quindi, vedi, è tutto un cammino di uno che ci rimanda all’altro, di un messaggio che ci rimanda ad un altro, di una tappa che ci rimanda ad un’altra; quindi se noi cogliamo l’anima dei messaggi, facciamo i passaggi che essi ci indicano, passiamo da uno all’altro: dal Battista a Cristo, da Cristo al Padre…; se invece noi non la cogliamo, ci fermiamo magari ad  uno e allora tutto si spegne.

Emma D.:   Possiamo però fermarci un momentino per cercare di capire, ma poi riprendere…..

Luigi; Sì, ma dobbiamo sempre sapere che questo serve per quello… Ad esempio, il messaggio che qui oggi riceviamo: per quale motivo io devo fare questo lavaggio, ricevere questo battesimo di giustizia? Per arrivare a scoprire personalmente, non per sentito dire, il Cristo! 

Perché oggi come oggi, noi viviamo credendo in Cristo, ma per sentito dire; invece dobbiamo arrivare a scoprirLo personalmente come “la salvezza mia di Dio”, perché l’incontro con il Cristo è un rapporto personale.

Giovanni M.: Certo che la strada che dobbiamo percorrere è lunga, …anche solo per arrivare a poter dire che Cristo è la nostra salvezza…

Luigi: Cioè per poterlo dire non per sentito dire, ma come convinzione…

Giovanni M.: Ah, certo, bisogna esserne convinti, non per sentito dire; ma, per poterlo dire così, bisogna dimenticare noi stessi…

Luigi: Si deve essere formata in me proprio questa convinzione: “La mia salvezza è proprio lì! Per cui se ad un certo momento qualcuno mi dicesse: “Il denaro è tutto, la famiglia, il lavoro, la salute, ecc., è tutto”, non  mi lascio smuovere e affermo: “No, la mia salvezza è Dio!”

Giovanni M.: Non c’è niente che mi giustifichi se la cerco altrove…

Luigi: Allora a questo punto uno è convinto, e magari lascia perdere tutto perché la sua salvezza sta lì! A uno non importa niente del resto quando è convinto di questo! Ma deve esserne convinto!

Pinuccia B.: Questa convinzione è già una liberazione….

Luigi: L’incontro con Cristo è inizio di liberazione, perché prima di incontrarLo c’è il conflitto tra le proprie convinzioni e le realtà che subiamo, ma con Lui ho già la possibilità di superarlo. Però la vera liberazione si realizza, se seguiamo il Cristo, con la conoscenza del Padre. È Gesù stesso che lo ha detto: “Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi”.

Certo, con Cristo ho già tanta liberazione, nel senso che, siccome il Cristo ci incentra in Sé, incentrandoci in Sé, ci libera dalla schiavitù alle altre presenze, a ciò che dice il mondo, ecc.

Pinuccia B.: Devo però riconoscere in Lui la “mia” salvezza.

Luigi: Se sono convinto che la mia salvezza è in Dio e solo in Dio (e questa convinzione si forma grazie al battesimo di giustizia), quando incontro il Cristo riconosco in Lui la “mia” salvezza, perché “Nessun uomo ha mai parlato come Lui!”,  per cui dico: “Ah, la mia salvezza sta lì!”, e quindi incomincio a seguirLo. SeguendoLo, mi libera già da tanti altri impegni, schemi mentali, abitudini, pregiudizi, ecc., perché per me la cosa più importante è lì, la Persona più importante è Lui!

Pinuccia B.: Ma non è ancora la liberazione totale…

Luigi: No, perché la liberazione totale si realizza quando Lui mi conduce alla scoperta dello Spirito di Verità.  Cioè quando la Verità sarà posseduta da noi, o meglio quando noi saremo posseduti da questa  Verità, allora ci sarà la liberazione da tutto, perché vedremo la Sua presenza in tutto.

Perché il Cristo prima sì, è sempre con noi,  ma è ancora localizzato, per cui per incontrarLo debbo fermarmi e mettermi a pensare a Dio, debbo meditare le sue parole, ecc., ecc. ; ma non è ancora in tutto, non è ancora tutto. 

È soltanto con la conoscenza della Verità che scopriremo la sua Presenza universale, per  cui Lo vedremo in tutto, e allora saremo liberi da tutto, come Gesù promette: “Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi”. 

Gesù però dice anche: “Sarete veramente liberi solo se il Figlio vi avrà liberati”, perché la vera libertà la si ottiene solo attraverso il Figlio, conoscendo il Figlio. Però non ritenere, perché hai scoperto il Cristo, di avere visto il Figlio, perché: “…solo il Padre conosce il Figlio…”.

Quindi, vedi, noi possiamo dire: “Ho incontrato il Cristo!”. Ma stai attento, perché il Cristo è un essere in movimento che va verso il Padre e soltanto nel Padre e dal Padre conosceremo veramente chi Egli è: fintanto che non arriviamo al Padre, noi non Lo conosciamo.

Sì, per quello che Lui parla, per quello che Lui dice, possiamo dire che Lui è la “mia” salvezza, perché mi parla dell’argomento che mi sta a cuore, però io non conosco ancora chi è Lui, perché solo il Padre Lo conosce e solo dal Padre Lo potrò conoscere come Dio da Dio e quindi come Presenza universale.

Per cui fintanto che non Lo conosco come Presenza universale, anche se cammino con Cristo, sono ancora nell’ambiguità, perché sono ancora schiavo di tante cose e soprattutto di me stesso.

Gli Apostoli erano con Cristo, ma non erano mica ancora liberi! Quante volte il pensiero del loro io saltava fuori e impediva loro di seguire il loro Maestro!

Ora, quand’è che si è veramente liberi?

Quando ormai l’io è morto e si vive solo più in Dio: allora si è veramente liberi, perché si constata la Presenza di Dio in tutto! Ma qui c’è lo Spirito di Verità.

Giovanni M.: Ma per giungere qui bisogna seguire con fedeltà Cristo, considerando Lui come unica “mia” salvezza e non altro. Per cui, ad esempio, in caso di malattia, non è assurdo chiedere la guarigione?  Chiedere questo non è credere che la nostra salvezza stia nella salute?

Luigi: L’importante è che nella nostra preghiera la nostra volontà sia sottomessa a quella di Dio, così come pregava Gesù: “Padre, se è possibile, passi da me questo calice; però non la mia, ma la tua Volontà sia fatta”. Altrimenti pregheremmo Dio non perché ci dia la Sua Salvezza, ma perché ci dia la nostra salvezza, quella che noi crediamo sia nostra salvezza!

 

Appendice: (dopo un momento di silenzio e di sosta per ascoltare il suono delle campane e lo scroscio della pioggia):

 

Pinuccia B.:  Che significato ha questo suono di campane che sta arrivando fino a  noi?

Emma D.: Stanno suonando l’Angelus della sera…

Luigi: È voce di Dio che ci richiama a Sé.

Pinuccia B.: E qual ‘è il significato di questa pioggia che scende a dirotto…?

Luigi: La pioggia è la parola di Dio che scende dal Cielo, feconda la terra e non ritorna al Cielo senza averla fecondata.

Cina: Lo dice Isaia.

Luigi: Tieni però presente che prima del peccato originale non c’era la pioggia, non pioveva dal cielo; c’era soltanto una sorgente dall’interno della terra che mandava acqua a fecondare tutta la terra.

Giovanni M.: Se la pioggia significa la parola di Dio, prima del peccato essa non scendeva dal cielo?

Luigi: No, prima del peccato originale leggiamo nella Bibbia che non pioveva dal cielo! Non c'era bisogno della pioggia dal cielo! La pioggia, cioè l’acqua che fecondava, veniva dall’interno! Invece dopo il peccato originale c’è stato bisogno di far scendere la pioggia dal di fuori, dal cielo, dall’alto; non bastava più l’acqua che sgorgava dalla terra!

Il significato, anche in relazione all’argomento di oggi è chiaro… Dopo il peccato c‘è stato bisogno di tutta un’opera esterna di ricupero da parte di Dio per raccogliere l’uomo disperso e proiettato solo più all’esterno, per cui c’è stato  bisogno del richiamo dei Profeti, sintetizzati dal Battista, e dell’incarnazione del Verbo!