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Ora, quegli inviati erano Farisei. E lo interrogarono ancora e gli dissero: “Perché dunque battezzi se tu non sei né il Cristo, né Elia, né il Profeta?”».Gv 1 Vs 24-25


Titolo: La Luce come criterio di autorità


Argomenti: L’autorità esterna e l’Autorità interna. La Parola di Dio porta il sigillo della Verità. La verità è principio di giudizio. Il Maestro interiore ci fa riconoscere la Verità. Cristo porta a compimento la legge.


6/Giugno/1976


 

Dall'esposizione di Luigi Bracco:

Ricordiamo l'argomento della volta scorsa: Giovanni viene interrogato da coloro che erano stati inviati dai Giudei di Gerusalemme. Questi inviati, Sacerdoti e Leviti, gli chiedono chi egli sia. Subito lui afferma ciò che non é: "Non sono io il Messia".

Allora gli chiedono: "Chi sei dunque? Sei Elia?", "No!", e ancora: "Sei il profeta?", "No!". "Allora, chi sei?". E lui risponde: "Io sono una voce che grida nel deserto: raddrizzate le vie del Signore!".

Ora qui nei versetti 24 e 25 l’Evangelista continua la narrazione di questa scena e precisa che quei Sacerdoti e Leviti, che stavano interrogando il Battista, erano Farisei ("Ora, quegli inviati erano Farisei…"), per giustificare la domanda successiva: "Perché allora battezzi?".

I Farisei erano la classe dominante, cioè la classe autoritaria, il che vuol dire: la classe che riconosceva soltanto quelle autorità che essa stessa concedeva. Era la classe dei maestri, la classe di coloro che erano responsabili dell'applicazione della Legge.

Noi vedremo poi quel conflitto grande che scaturirà tra i Farisei e il Cristo: perché i Farisei non volevano ammettere che Cristo fosse “Maestro”, perché i maestri erano loro. O per lo meno, chi avesse voluto essere maestro in Gerusalemme, doveva essere autorizzato da loro. Avevano quindi il monopolio dell'autorità, per cui erano essi che potevano legittimare o no le altre autorità.

Ed é per questo che essi ora domandano al Battista (ed é poi la domanda che evidenzia dove loro volevano arrivare): "Perché allora battezzi?".

Cioè, in sostanza, chiedevano i “documenti” a Giovanni per incriminare la sua azione, per invalidarla e togliergli quindi l'autorizzazione a fare ciò che faceva.

Ora, la domanda "perché battezzi?" non deve tanto essere intesa in riferimento al battesimo di acqua che il Battista faceva, ma piuttosto al fatto che lui diceva: "Io sono una voce…, io sono una parola che dice: raddrizzate i sentieri del Signore!". Infatti il battesimo antico era soprattutto “illuminazione”, cioè predicazione.

E allora è come se essi gli chiedessero: "Perché parli? Perché fai da maestro? Per quale motivo? Chi ti ha autorizzato?

Ecco, sotto sotto, gli chiedono: “Chi ti ha autorizzato a parlare? Chi ti ha dato il documento perché tu possa esercitare il tuo insegnamento?". E già, non glielo avevano dato loro! Per cui, in fondo in fondo, gli rimproverano di battezzare senza la loro autorizzazione.

È da qui che sorge l’argomento del “criterio di autorità”, di cui vorremmo parlare un po’ questa sera.

Alla domanda "Perché battezzi?", il Battista risponde (e lo vedremo nei versetti che approfondiremo in seguito): "Io battezzo nell'acqua, perché in mezzo a voi sta Uno che voi non conoscete... (Gv 1, 26); …per questo io sono venuto a battezzare con acqua, affinché sia manifestato in Israele"  (Gv 1, 31).

Ecco, qui, in questa sua risposta, Giovanni fa appello al motivo, alla ragione per cui lui battezza, come a dire che chi lo ha autorizzato a fare ciò che fa è “Uno che voi non conoscete!”. Cioè: ”Voi conoscete una certa autorità, ma io vi annuncio un'altra Autorità che deve guidare l'uomo nelle sue azioni, un’Autorità che voi non conoscete”.

Ora, l'autorità che i Farisei affermano e che conoscono é l'autorità del mondo, quella di cui parla Gesù, anche quando ammonisce i suoi discepoli: "Guardatevi dal lievito dei Farisei!" (Mt 16, 6).

L'autorità del mondo, come Gesù stesso dice, si esplica dall'esterno, quindi attraverso le leggi, attraverso i comandi, attraverso le regole, per cui é sempre un'azione che, diciamo, violenta l'uomo, offende, sotto un certo aspetto, l'uomo. È un'autorità che si esercita dall'esterno sull'uomo, obbligandolo a certi comportamenti.

Ora, dico, perché offende l'uomo? Perché l'uomo é sorpreso dall'autorità esterna nel campo della sua vita pratica o nel campo della sua volontà, senza però essere interpellato nel campo del pensiero o delle sue convinzioni.

Cioè, l'autorità del mondo, che viene dall’esterno, non si preoccupa di interpellare, di modificare, di formare le convinzioni nell'uomo; allora l'uomo si sente offeso dal comando esterno, perché lui magari é convinto di una certa cosa, vuole una certa cosa, però l'autorità gli impedisce dall’esterno di compiere quella cosa lì, senza magari giustificarne la proibizione; oppure gli impone una certa cosa, senza che l’uomo ne capisca il perché, per cui l'uomo si sente intimamente offeso: questa é l'autorità dall'esterno.

Possiamo dire che l'autorità dall'esterno finisce sempre di strumentalizzare l'uomo. Infatti Gesù dice: "I prìncipi di questo mondo comandano, ordinano, dominano, facendo servire gli uomini, esercitando su di essi il potere”.

E aggiunge:Non così dovrà essere tra voi; ma colui  che é più in alto, si faccia servo degli altri" (Mt 20, 25-26). Ecco, la vera autorità é quella che ha il compito di servire l’uomo, non di far servire l’uomo!

E qual è questa vera autorità che serve l'uomo anziché far servire l'uomo?

È l'autorità con cui viene Gesù nel mondo: cioè è la luce, la luce che illumina. È la Parola di Dio che parla, perché la Parola di Dio, che viene a servire l'uomo, illumina, quindi convince.

Questa é la vera Autorità, quella che serve alla vita dell'uomo: aiuta l’uomo ad andare verso lo scopo della sua vita.

Ora chiediamoci: perché la Luce, la Parola di Dio, è la vera Autorità?

Perché quando la Luce, la Parola di Dio, arriva all'uomo, si presenta come Verità: l'uomo non é che la possegga, però la vede, in quanto l'altro gliela annuncia; quindi la constata.

La Verità constatata diventa vincolante (perché “con-vince”, cioè vincola con-), quindi diventa un dovere morale. È vero che l'uomo può non applicarla, però in questo caso lui sa di sbagliare, poiché ha ricevuto la luce.

Il Battista predicando di mettere Dio al centro (“voce che grida nel deserto: raddrizzate le vie del Signore!"), annuncia una Parola che porta in sé il sigillo di Verità, perché tutti capiamo che Dio, essendo il Creatore, è il massimo valore: è questa la luce che ci vincola. Questa sua predicazione, che è illuminazione, quindi battesimo, non ha dunque bisogno di nessun’altra autorizzazione, perché si avvale dell’autorità della Verità stessa.

Quindi noi abbiamo la Luce che è la vera Autorità perché vincola l'uomo dall'interno: illuminandolo, lo convince!

Ad esempio, nel campo dei segni, quando si insegna all'uomo che 2 + 2 = 4, e lo si convince, qui scatta un obbligo morale per l'uomo: quello di fare 2 + 2 = 4. È vero che può anche fare 2 + 2 = 5, però sa di sbagliare. Ecco l'obbligo (obbligo, quindi autorità) della Verità!

Quindi il vero e unico criterio di autorità è la Verità, appunto perché è solo Essa che vincola l’uomo dall’interno illuminandolo. Diciamo allora che la Verità è la vera Autorità, perché è Luce. Quindi è la Verità che fa l’autorità, non viceversa!

La Verità non ha bisogno di appellarsi a dei documenti, di presentare dei documenti, perché é Essa stessa che convince l'uomo: si annuncia come Verità, si fa vedere come Verità! L’uomo la constata. È questa l’Autorità che il Battista vanta, cioè l’Autorità della Parola di Dio, l’Autorità della Luce.

Ecco perché quando chiedono a Gesù dei segni per dimostrare quello che Egli é, Lui si rifiuta di dare dei segni. E dice che “l'unico segno che sarà dato a questa generazione perversa é il segno di Giona” (Mt 12, 39).

E qual é il segno di Giona? Giona andò a Ninive, mandato dal Signore a predicare la Parola di Dio. I Niniviti, sentendo la Parola del profeta, ubbidirono, ascoltarono la Parola.

Quindi qual è il segno al quale i Niniviti credettero, per cui fecero penitenza? La Parola del profeta, la Parola di Dio! “Nessun altro segno viene dato!”. Perché? Perché la Parola di Dio di per sé porta il sigillo della stessa Verità.

Ecco, la Parola di Dio, annunciandoci Dio come Creatore di tutto, ci fa pensare Dio come unico Principio ed unico Fine, quindi come massimo valore. C’è forse un’altra Autorità più vincolante e più alta di questa? È questa la Luce che ci vincola, e se uno non la ascolta, non vi aderisce, non può essere convinto da nessun segno esterno.

Quando Gesù viene e dice: "Non preoccupatevi del mangiare e del vestire… Cercate prima di tutto il Regno di Dio!" (Mt 6, 33), questa sua Parola porta già con sé il sigillo della Verità, non ha bisogno di un'altra prova, perché noi sappiamo che Dio é il primo che dev'essere cercato, che dev’essere servito e che non dobbiamo perciò mettere il nostro io al centro. Quindi ecco l’autorità della Verità! Per cui il Pensiero di Dio Creatore, il Verbo interiore, “la Luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo” (Gv 1, 10), è il vero criterio di autorità.

Il criterio di autorità é quello che convince le anime, che le illumina, che fa vedere quello che é vero, quello che é giusto, per cui diventa vincolante.

Diventando vincolante, diventa anche, nello stesso tempo, un principio di giudizio; perché quando ho capito che 2 + 2 = 4, se io non applico questa regola, sbaglio, faccio un errore e naturalmente subisco le conseguenze di questo errore.

Così quando la Parola di Dio ci ha illuminati su qualche cosa, su ciò che dobbiamo mettere prima di tutto, sul nostro comportamento, sui nostri pensieri, ecc. (e questa luce scatta dalla sintonia con il Verbo interiore), noi possiamo disubbidire, però siamo giudicati. Ecco perché Gesù dice: “Il giudizio sta in questo: la Luce é venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla Luce...” (Gv 3, 19).

La Luce è venuta nel mondo dell'uomo, cioè nel singolo uomo, per salvarlo: quindi come la Luce arriva all'uomo, diventa per l'uomo motivo di salvezza; ma se l'uomo non si adegua ad Essa, se non L’accoglie, può anche essere giudizio sull'uomo.

Allora, mentre l'autorità nel mondo si esercita dall'esterno e quindi sotto un certo punto di vista costringe l'uomo a qualche cosa senza però convincerlo dall'interno, la Verità opera al rovescio: convince l'uomo dall'interno e poi lo lascia libero: faccia lui! Ormai l'uomo ha visto qual è la giustizia, qual è la Verità! Ecco perché poi lo lascia libero di scegliere.

E quindi lo libera!

Se dunque l'uomo applica, attua, quella Verità che gli si è annunciata e quindi la fa sua vita, ecco che allora la sua vita diventa secondo la Verità.

Ma se l'uomo non attua ciò che ha visto vero, lui stesso si giudica, perché é convinto: la Luce é venuta (quindi il principio dell’autorità si è affermato su di lui, l’ha convinto), ma lui sbaglia, e ne porta le conseguenze: ecco, resta giudicato dalla Luce.

Quindi la Luce, la Parola di Dio che giunge all'uomo, é per l'uomo sempre una proposta e ogni proposta ci responsabilizza, perché di fronte ad una proposta, non si può non rispondere (responsabilità deriva dal latino “respondeo”), quindi non si può non scegliere.

La Luce che ci giunge è proposta perché, illuminandoci, ci convince di ciò che è giusto, ma non ci costringe, non ce lo impone. Ci propone la “Realtà”, Dio Creatore, ci propone ciò che è vero e giusto, e, conseguentemente, ci mette di fronte ad una scelta, una scelta responsabile. Per cui ci verrà detto: “Tu sapevi! Tu sapevi che Dio è il Principio di tutto, e perché allora non hai accolto la Luce di Dio, il punto di vista di Dio?”. 

Ecco, la Parola di Dio, annunciandoci Dio come Creatore di tutto, ci propone sempre, innanzitutto, la giustizia essenziale…

(Interruzione per nuovi arrivati: segue la ripetizione sunteggiata dell’argomento trattato e poi la conclusione):

Abbiamo commentato il passo del 1° capitolo del Vangelo di San Giovanni, relativo ai versetti 24-25, dove i Farisei, avendo sentito dal Battista che egli non è né il Cristo, né Elia, né il Profeta, ma che é la “voce” che predica nel deserto: "Raddrizzate le vie del Signore", gli chiedono: "Ma allora, perché battezzi?". E stavamo riflettendo su questo fatto: i Farisei chiedono il criterio di autorità che guida Giovanni in ciò che fa.

Cioè essi sono l’autorità, si considerano il principio di autorità, per cui chiedono al Battista: “Chi ti autorizza? Perché battezzi? Chi ti ha autorizzato a battezzare? Tu non sei il Messia, non sei Elia, non sei il Profeta, e allora, perché battezzi?".

Abbiamo precisato, siccome Giovanni aveva detto di essere una “voce”, che battezzare vuol dire illuminare, predicare, parlare (il vero concetto di battesimo é “illuminazione”). Quindi è come se i Farisei gli chiedessero: "Perché parli? Perché insegni? Chi ti ha autorizzato a farlo?".

Essi erano i maestri e quindi erano loro che dovevano autorizzare un altro a parlare (e di lì scaturirà poi anche il conflitto con Cristo che non era autorizzato da loro a parlare).

Ma abbiamo osservato che Giovanni vanta un'altra autorizzazione, come la vanterà Gesù stesso quando risponderà a chi gli chiederà dei segni: "Nessun segno vi é dato: basta la mia Parola", perché é la Parola di Dio che illumina e quindi che vincola! È la Parola di Dio!

Il Battista, dicendo di essere solo una voce che annuncia la presenza di Uno in mezzo a noi e che noi non conosciamo e che ci invita a raddrizzare le vie del Signore, cioè a riferire tutto a Lui, ci sta annunciando Dio Creatore come centro di tutto. E questa è una Parola (un battesimo) che ha in se stessa il sigillo della Verità, quindi l’autorità della Verità.

La Parola di Dio é la parola che illumina, e allora non viene dato all’uomo nessun altro segno.

Non c'è quindi bisogno del documento di identità o di autorizzazione!

Cristo non si presenta dicendo: "Io sono il Figlio di Dio! Guardate qui l'anagrafe che mi dà Figlio di Dio!". Anzi! Addirittura ci dà dei dati apparentemente contrari (ed è questo il fatto significativo: perché Dio non vuole che la nostra adesione a Lui si basi su dati esterni, poiché i dati esterni non convincono), per cui, ad esempio, Lui nasce a Betlemme, ma si presenta come Uno che viene da Nazareth, da quella Nazareth da cui “non può venire niente di buono”, come dirà Natanaele (Gv 1, 46).

Così pure sono contraddittorie le affermazioni di Gesù e di Giovanni circa l’identità di quest’ultimo: Gesù dice che il Battista é quell’Elia che doveva venire, perché è venuto secondo lo spirito di Elia, e che quindi é lui il Profeta, il massimo dei Profeti; eppure il Battista ai Farisei, che gli chiedevano se era Elia o il Profeta, risponde: "No!". Quindi:

·abbiamo Gesù che non solo si rifiuta di dare dei segni, ma addirittura Gesù che si presenta apparentemente con dei segni contrari, per cui non si presenta nemmeno come nato a Betlemme, secondo le profezie;

·ed abbiamo un Giovanni che si rifiuta di dire: "Io sono il Profeta!", mentre Gesù dice che Giovanni lo è. 

Perché? Perché quello che vincola non è il dato esterno, ma é la luce che illumina (ecco allora il criterio vero di autorità!), cioè la Parola di Dio.

La Parola di Dio, abbiamo detto, illumina, è Luce: essa convince perché porta in se stessa il sigillo di Verità. Chi l’ascolta capisce che è vero ciò che essa annuncia e che quindi è giusto mettere Dio prima di tutto.

Per cui la Parola di Dio è proposta: illuminandoci, ci propone la Realtà di Dio, e quindi ci propone di guardare le cose dal punto di vista della Realtà Divina.

Essa ci responsabilizza, ci mette di fronte ad una scelta, appunto perché giungendo a noi si annuncia come Verità. La Verità constatata ci vincola dall'interno (ci “con - vince”), per cui diventa per noi un dovere morale, tanto che, se noi non la applichiamo, sappiamo di sbagliare. Ecco perché è la Luce, la Parola di Dio, il principio di autorità!

La Parola di Dio ti illumina: ti fa pensare Dio come Principio di tutto, quindi come massimo valore e come unico fine: è questa la Luce che ti vincola!

Per cui se l’uomo non ascolta la Parola di Dio, nessun segno esterno, nessuna documentazione esterna lo può convincere. E se anche i morti risuscitassero a documentare la verità di una cosa, non servirebbe a niente, perché chi non ascolta la Parola di Dio, non può accettare né ascoltare nessun altro segno, nessun documento, perché nessun dato esterno e nemmeno nessun miracolo per lui è valido.

Quindi diciamo che la vera autorità, il vero criterio di autorità, é la Luce che giunge all'uomo: questo é il criterio vincolante.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Pinuccia B.: Cos’è che ci fa capire che una certa parola é Parola di Dio?

Luigi: È l'illuminazione interiore, é la Luce stessa, perché la Parola di Dio è quella che ti fa pensare Dio.

Pinuccia B.: Quindi è il Maestro interiore.

Luigi: È il Maestro interiore, il Verbo interiore, si capisce. È Lui che convince che una certa parola é Parola di Dio; è Lui che ti convince che la Parola di Dio é Verità.

Che cosa ti dice che è giusto dire 2 + 2 = 4? È la corrispondenza con ciò che porti dentro. Così è lo stesso: che cos’è che ci convince che cercare Dio prima di tutto, come ci propone la Parola di Dio, é vero, é giusto? e che é giusto rinnegare noi stessi? e che é giusto non essere egoisti, né orgogliosi? È il Verbo interiore, il Pensiero di Dio che portiamo in noi, se Lo mettiamo in alto.

Ora, la Luce che giunge a noi come Parola di Dio non é ancora conoscenza di Dio, sia chiaro, ma è una proposta. Perché se fosse conoscenza di Dio (ma questa presupporrebbe già il superamento del pensiero del nostro io), ci vincolerebbe al punto tale che non si potrebbe non aderire!

La Luce che arriva a noi come Parola di Dio ci convince della giustizia, ci convince che ciò che ci annuncia é vero. E quindi é una proposta.

Proprio perché la Verità giunge a noi solo come proposta e non come conoscenza, l'uomo non vede la Verità nelle cose apparenti (niente dall’esterno lo può illuminare, convincere, e quindi vincolare), anzi, apparentemente, viene addirittura ingannato!

Infatti Dio parla in parabole (e tutto é una parabola: “affinché non capiscano…”), e a volte con segni apparentemente contrari, per cui, ad esempio, come già abbiamo detto, Cristo si presenta come venuto da Nazareth, anziché da Betlemme; e Giovanni Battista dice di non essere né Elia, né il Profeta, mentre in realtà lo è.

Ecco! Questo per dire che non ci sono dei segni dall'esterno che di per sé possano convincerci o illuminarci e quindi vincolarci!

Ci troviamo quindi in un campo di scelta che ci sollecita a far riferimento al vero criterio di autorità, alla Luce interiore che illumina l’uomo. Quello che illumina l'uomo, questa é la vera Autorità che vincola l’uomo.

Quando l’uomo ha visto che quello é giusto, che quello é vero, egli é obbligato moralmente ad adeguarsi ad esso. Può non farlo, però sa di deviare, perché la Parola di Dio gli é giunta dall’esterno, e in quanto gli é giunta, l'ha illuminato: prima non sapeva, adesso sa. Infatti Gesù dice: "Se non fossi venuto e non avessi parlato, non sarebbero in colpa, ma dal momento che sono venuto ed ho parlato, ecco qui sta la colpa!" (Gv 15, 22).

Eligio: Hai detto che come criterio di valutazione dell’autenticità della Parola di Dio abbiamo la Luce interiore, il Maestro interiore.

Luigi: Certo.

Eligio: Ma allora, tenendo presente l’affermazione di Cristo che ora hai citato ("Se non fossi venuto, e non avessi parlato, non sarebbero in colpa..”), mi viene da chiedere: quelli vissuti prima che il Cristo fosse venuto forse che non avevano anch’essi il Maestro interiore come criterio della validità della Parola di Dio?

Luigi: Certo.

Eligio: Quindi, anche se il Cristo non era ancora venuto, erano in colpa anch’essi se non ascoltavano il Maestro interiore. Ma allora perché Cristo ha detto: "Se non fossi venuto, e non avessi parlato, non sarebbero in colpa..”?

Luigi: Perché il Cristo é la Parola esteriore che sintetizza tutti i richiami esterni di Dio.

Quello che vincola l’uomo è il richiamo esterno a fare attenzione a ciò che egli porta già dentro e quindi la sintonia che scopre tra l’esterno e l’interno: in questa sintonia scatta quella luce che è poi la vera Autorità che lo vincola interiormente.

Eligio: Allora finché noi non riceviamo la Parola dall'esterno, non siamo sicuri sulla validità della Luce, del Maestro Interiore?

Luigi: E già! Perché noi abbiamo la Luce interiore, però abbiamo bisogno che qualcuno dall'esterno ce la metta a fuoco, perché noi siamo distratti.

Eligio: Allora quale criterio di validità noi abbiamo personalmente prima di incontrare il Cristo? Come possiamo distinguere la luce vera da quella non vera?

Luigi: Il criterio di validità, il criterio di valutazione dell’autenticità della Parola di Dio che ci arriva dall’esterno (e quindi il criterio di autorità) è sempre quello interiore (tanto prima di Cristo come con Cristo), cioè è sempre il Maestro interiore, il Pensiero di Dio che è in noi. Però tu capisci che il linguaggio che parla il Cristo, é un linguaggio molto diverso da quello che parlano le creature (pur parlando il Verbo in tutte le creature), perché Lui con le sue parole e la sua presenza ti dà la possibilità di attuare quello che già hai potuto riconoscere come giusto, ma che senza di Lui non riesci ad attuare.

Per cui chi incontra il Cristo ha maggior responsabilità, e se rifiuta la sua Parola è in colpa. Ecco perché Cristo ha detto: "Se non fossi venuto, e non avessi parlato, non sarebbero in colpa..”.

Vedi, c’è tutta una gradualità nei richiami esterni: passiamo dalla creazione alla Legge, dal Battista a Cristo, e quindi c’è tutta una gradualità di responsabilità e di colpa.

Ad esempio, nell'Antico Testamento abbiamo tante lezioni di Dio (e tutto è lezione di Dio: creazione, avvenimenti, Legge, Profeti, ecc.), ma qual è l'animo, lo scopo di queste lezioni di Dio? È quello di convincere l'uomo che è cosa giusta mettere Dio prima di tutto e quindi di convincerlo ad essere umile, a non essere superbo, ad essere povero; infatti non riuscendo a fare quello che riconosce giusto, l’uomo incomincia ad esperimentare la sua povertà.

E sono queste le lezioni che portano l’uomo alla preparazione dell'incontro col Messia. Esse si riassumono nel messaggio di Giovanni Battista, richiamo esterno, che dice: "Io sono la voce di colui che grida nel deserto: preparate la strada, raddrizzate i sentieri di Dio".

Quindi questo "raddrizzate i sentieri di Dio", é ancora voce dell'Antico Testamento, che sintetizza la voce di tutte le opere di Dio (creazione, Legge, Profeti). È preparazione al Cristo, ma non è ancora Parola del Cristo.

È tutto un cammino progressivo: inizialmente noi possiamo vivere per i nostri interessi, per la società, per la nostra vita materiale, senza renderci conto che questo sia male. Poi ad un certo momento arriva a noi il richiamo dall’esterno (ed è la Legge) a far diritte dentro di noi le strade di Dio, cioè a fare la giustizia verso Dio.

Come arriva il richiamo (e il richiamo viene dall'esterno), questo richiamo, se lo confrontiamo con la Verità interiore che parla dentro di noi, ci fa dire: “È vero!”

Ecco, il richiamo arriva dall'esterno, però ci impegna ad un confronto interiore con la Verità che parlava già dentro di noi, ma che noi non ascoltavamo, perché distratti da tante cose.

Ed é da questo confronto interiore che noi diciamo: "È vero, é giusto! Io non ci avevo mai pensato!".

Ma come mai non ci avevi mai pensato?

Se diciamo: “Non ci avevo mai pensato”, vuol dire che la Verità la portavamo già dentro di noi, però non vi facevamo attenzione, perché noi, in conseguenza magari di educazione sbagliata, del peccato originale e di altri fattori, eravamo tutti proiettati fuori!

Ed essendo tutti proiettati fuori, non ascoltavamo il Verbo Interiore, eravamo distratti!

Se però qualcosa dall'esterno ci richiama all'attenzione, all’ascolto del Verbo interiore, non possiamo non vedere, e quindi non possiamo dire: "Questo é sbagliato!", perché dentro di noi, dal raffronto, scaturisce quella luce che convince, per cui diciamo: "Questo é giusto!".

Ad esempio, tutta la Legge che si sintetizza in: "Ama il Signore Dio tuo, con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, con tutte le tue forze...", trova riscontro con il Verbo che portiamo dentro di noi (e questo già prima dell’incontro con Cristo, si capisce!), per cui noi assentiamo, dicendo: "È giusto! Devo amare Dio prima di tutto!".

Ora, è da qui che scaturisce l'obbligo morale, perché la luce che convince è la vera autorità.

Prima non sapevo, non ci facevo caso; richiamato dalla Legge, dico: "È giusto!".

Ecco, avendo detto: "è giusto!", mi sento impegnato.

Allora, impegnandomi in questa giustizia, questo mi prepara poi all'incontro col Messia, perché essendomi impegnato, ora posso scoprire la mia insufficienza, la mia povertà, la mia miseria; e questo mi porta poi alla fame, al bisogno di incontrare Uno, il Cristo, come richiamo esterno, che mi dia la possibilità di amare Dio con tutta la mia mente, con tutto il mio cuore, con tutte le mie forze, con tutto me stesso.

Quindi, come vedi, abbiamo dei passaggi graduali in questi richiami esterni. Ma prima di tutto abbiamo l'orientamento (la Legge, la giustizia), come condizione all’incontro con Cristo, cioè abbiamo la Parola di Dio che convince, che tende a riportare l'uomo sulla strada dalla quale lui ha deviato, che tende cioè a convincere l'uomo a non essere superbo, a non essere orgoglioso, a non farsi centro, a spostare quindi il pensiero di sé dal centro della sua vita alla periferia e a mettere Dio al centro.

Questo però é ancora sempre Antico Testamento.

Eligio: Questo mettere Dio al centro mi sembra invece già un passo avanti rispetto all’Antico Testamento, il quale é inteso generalmente più come una normativa che non un fatto, direi, mistico o filosofico...

Luigi: Ma l’Antico Testamento é normativa! Una normativa che ha per centro: "Ama il Signore Dio tuo...", perché Gesù dice: “Tutta la Legge, tutti i Comandamenti dipendono da questo primo comandamento: Ama il Signore tuo Dio, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze, con tutto te stesso!" (Mt 22, 40). Questa è l’anima di tutta la Legge, e questo è quel richiamo esterno che, rapportato al Verbo interiore, ci illumina e ci fa dire: ”È vero e giusto!”. Questa luce è poi quel criterio d’autorità che guida il Battista e sul quale si basa il suo battesimo di giustizia.

Se noi nella nostra vita non mettiamo questo amore di Dio prima di tutto, se noi non ce lo proponiamo, fossimo anche scrupolosissimi in tutti gli altri Comandamenti, falliremmo tutto, perché mancherebbe l'anima: sarebbe come voler far vivere un albero che è secco!

Eligio: Mi pare però che nell’Antico Testamento ci sia ancora una grande difficoltà, che è quella di capire l’anima, lo spirito della Legge. Solo con Cristo probabilmente lo si capisce...

Luigi: No, lo spirito della Legge dobbiamo già capirlo prima di Cristo, in quanto in tutto l’Antico Testamento ci é annunciato Dio come il massimo valore e ci viene chiesto di amarlo avanti tutto, con tutto noi stessi...

Eligio:  "Ama il Signore tuo Dio, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze, con tutto te stesso!" non vuol forse dire: “Metti Dio al centro e porta te stesso in periferia”?

Luigi: Certo.

Eligio: Ma questo è l’insegnamento del Cristo!

Luigi: No, no! Questo è già insegnamento dell’Antico Testamento. Certo, anche il Cristo lo richiama, ma…

Eligio: Come può l'uomo, solo con la Legge, mettere Dio al centro?

Luigi: Appunto! Per attuare la Legge, ha bisogno del Cristo.

Quindi noi dobbiamo distinguere tra:

·ciò che riconosciamo che é giusto,

·e l'attuazione di ciò che riconosciamo giusto.

Il riconoscimento di ciò che é giusto é Antico Testamento e si sintetizza nel battesimo del Battista, il battesimo di giustizia. Giovanni Battista infatti appartiene ancora all'Antico Testamento e viene a richiamarci a ciò che é giusto: a mettere Dio prima di tutto.

Ora, se nell'Antico Testamento non fosse possibile all'uomo capire che è giusto mettere Dio prima di tutto, non avrebbe senso predicargli: "Metti Dio prima di tutto!".

Nel Vangelo abbiamo un episodio in cui ad uno Scriba che si presenta al Signore chiedendogli: “Quale é il primo comandamento”, Gesù risponde: "Ama il Signore tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente…” (Mt 22, 36); abbiamo però un altro episodio in cui è Gesù che interroga uno Scriba, chiedendogli: "Che cosa leggi tu nella legge, che cosa intendi?", ed è l’altro che risponde: "Ama il Signore Dio tuo prima di tutto, con tutto il tuo cuore…: questo é il massimo comandamento...". Gesù approva questo Scriba e gli dice: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai…Non sei lontano dal Regno di Dio” (cf Lc 10, 26-28).

Quindi vuol dire che già nell'Antico Testamento era possibile intendere l’anima della Legge.

Ma intendere non é attuare.

Eligio:  Ma è appunto questa frattura che resta incomprensibile.

Luigi: Perché, vedi, c'è la fase dell'intelligenza e c’è la fase dell'attuazione. Una cosa è capire una regola e un'altra cosa é applicare la regola. È vero che é tutto nel nostro interesse applicare ciò di cui ci siamo convinti, ma tutti quanti noi constatiamo quanto sia difficile realizzare in vita quello che abbiamo visto come ideale.

L'ideale però l'abbiamo visto e diciamo: "Sarebbe bello se riuscissimo a vivere così!". E cos'è che manca a noi? Manca a noi quel supplemento di anima, quel supplemento di vita che ci dia la possibilità di vivere così, perché, ecco, abbiamo tutta questa pressione del mondo esterno che ci impegna a vivere in modo diverso; ma è da qui, da questa nostra incapacità a vivere secondo quello che abbiamo riconosciuto giusto e che ci vincola interiormente, che nasce poi il bisogno del Cristo.

Il Cristo é Colui che viene a perfezionare, a portare a compimento la Legge, cioè a darci la possibilità di realizzare l’anima della Legge, ma questa possibilità che Lui ci offre presuppone che si sia capito l’anima della Legge, che si sia cioè ascoltato il Padre e che quindi si sia attratti dal Padre, cioè che per giustizia uno abbia riconosciuto che Dio va messo prima di tutto e si sia impegnato a metterlo. Infatti Gesù dice: " Nessuno viene a Me, se non é attratto dal Padre… Chi ha ascoltato il Padre, viene a Me…". Per cui l'attrazione del Padre è ancora Antico Testamento. È Antico Testamento!

Quindi coloro che non sono attratti dal Padre, cioè coloro che non cercano Dio prima di tutto, che non hanno messo Dio prima di tutto, al centro della loro vita e non hanno interesse per Lui, non possono andare al Cristo, non possono riconoscerlo, né seguirlo: perché, come dice Gesù, "Nessuno può venire a Me, se non é attratto dal Padre!" (Gv 6, 44).

Eligio: Quindi solo se c’è questa attrazione del Padre, si arriva al Cristo, e Lui ci darà la possibilità di applicare la regola, di realizzare la Legge e quindi di giungere al Padre. Ma solo Lui!

Luigi: Certo, solo Lui!

Eligio: Ma allora vorrei capire questo: il giovane ricco, avvicinandosi al Cristo per chiedergli che cosa doveva fare per avere la vita eterna, ha affermato di aver osservato i comandamenti; invece, secondo quello che hai detto, senza il Cristo non può aver attuato la Legge. Come mai allora non é stato ripreso dal Cristo?

Luigi: È stato “ripreso” dal Cristo! Anzi Cristo lo ha amato! E gli ha indicato che cosa gli mancava.

Eligio: Sì, quando gli ha poi detto: “Se vuoi essere perfetto…”. Però questo giovane ricco ha affermato: “Io ho osservato i Comandamenti, ho fatto tutto quello che la Legge mi comandava…”; per cui mi chiedo: come poteva farlo prima di aver incontrato il Cristo, se è solo il Cristo che ci dà la possibilità di attuare la Legge?

Luigi: Ecco! Vedi, quante volte noi sentiamo delle persone dire: "Io sono giusto, io non ho mai ammazzato nessuno, non ho mai rubato..."; quindi ritengono di applicare la Legge. Abbiamo come caso estremo i Farisei: non ritenevano forse di essere quelli che attuavano in pieno la Legge? E quel Fariseo che dice: "Signore, io Ti ringrazio perché non sono come gli altri, perché io pago le decime..., ecc.". Ecco, vedi? Perché l'uomo presume, si illude di attuare! Si illude! Infatti all’ultimo questo giovane ricco ha constatato di non essere arrivato là dove voleva arrivare.

Pinuccia B.: Lui poteva essersi illuso di aver osservato i Comandamenti, però non era presuntuoso come i Farisei…

Luigi: Infatti arrivò a chiedere a Gesù: "Che cosa mi manca per entrare nella vita eterna?", e Gesù rispose alla sua interrogazione; non solo, ma “lo guardò e lo amò”, perché lui, impegnandosi ad osservare la Legge, cercava di entrare nella vita eterna: aveva capito che era questo che bisognava cercare…! Aveva messo Dio prima di tutto, aveva capito quindi che lo scopo della vita era quello di entrare nella vita eterna (vita eterna che é conoscere Dio) e che nella vita eterna si entra oggi. Avendolo capito, si era affaticato per entrarvi, ma non vi era arrivato.

Però era arrivato ad una grande cosa: lui si era sforzato di attuare la Legge, e sforzandosi di attuare la Legge, i comandamenti, era arrivato là dove i comandamenti conducono: era arrivato cioè ad interrogare il Cristo, a chiedergli: “Che cosa mi manca?”.

Quindi se noi ci sforziamo di osservare i comandamenti, anche se non li attuiamo come anima, cioè se ci sforziamo di ubbidire alla Legge, cercando di mettere Dio prima di tutto, arriviamo all’incontro con Cristo. E mettere Dio prima di tutto cosa vuol dire? Preoccuparci di entrare nella vita eterna. "Sforzatevi di entrare!" (Lc 13, 24), dice Gesù.

Quando ci preoccupiamo e ci sforziamo di entrare nella conoscenza di Dio, di conoscere Dio prima di tutto, noi praticamente stiamo applicando la Legge, l'anima della Legge, anche se non possiamo ancora attuarla, realizzarla pienamente.

Però, ponendo questa preoccupazione al primo posto, questa preoccupazione, ci fa scoprire la nostra impotenza, per cui ci conduce al Cristo. La Legge infatti é pedagogo al Cristo. La Legge é una scala che ci conduce all'alloggio: nell'alloggio c'è Cristo.

Infatti quel giovane, ubbidendo ai comandamenti, era arrivato ad interrogare il Cristo su come arrivare alla vita eterna: era quella l'anima della Legge!

L'anima di tutto l'Antico Testamento é quella di condurre la creatura, che aderisce a quello che riconosce giusto, al Cristo, ad interrogare il Cristo: "Che cosa debbo fare?", cioè “che cosa debbo fare per realizzare ciò che ho capito che è giusto?”.

Infatti la creatura, osservando la Legge, può illudersi di aver fatto tutto, ma arriva presto a constatare la propria impotenza a raggiungere la vita eterna e quindi a desiderare un aiuto. E allora ecco che il Cristo (che è venuto a raccogliere), “riprende” la creatura che la Legge porta a Lui, che il Padre manda a Lui e le dice quello che deve fare.

Ecco, le dà la possibilità di entrare nella vita eterna, appunto perché le dice quello che deve fare: "Ti manca questo! Ecco perché non sei entrato! Va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri e segui Me!".

Ecco: “Segui Me!". Quindi la possibilità di entrare non sta nel fatto di vendere tutto e di darlo via, ma sta nel fatto di dare via per poter seguire il Cristo, per poter lasciare posto al Cristo. Sarà il Cristo che condurrà quel giovane ricco là dove lui voleva arrivare. Lui voleva arrivare là, ma che cosa gli mancava? Perché non era arrivato? Il Cristo ora glielo dice, e in quanto glielo dice vuol dire che lo comprende.

Quindi il Cristo accetta coloro che la Legge gli manda, cioè coloro che sostanzialmente hanno accettato il battesimo di giustizia mettendo Dio prima di tutto. La Legge ha portato quel giovane fino a Lui, quindi la Legge ha compiuto la sua funzione. È chiaro?

Eligio: Ora sì, ma vorrei ritornare su di una frase di Gesù che mi pare molto interessante ed anche illuminante e che hai richiamato prima: "Nessuno può venire a Me se non é attratto dal Padre". Ho sempre pensato che questa attrazione del Padre andasse intesa su un piano mistico, come sforzo di trascendenza del pensiero per arrivare all’intuizione di Dio; invece tu hai detto che il Cristo la intende come una risultante del Vecchio Testamento, cioè dell’osservanza della Legge e della conseguente esperienza di povertà.

Luigi: Certo, essere attratti dal Padre vuol dire aver messo Dio al centro della nostra vita…

Eligio: Quindi vuol dire aver accettato la Legge, il Vecchio Testamento.

Luigi: Certo, vuol dire aver accettato la Legge, perché è ascoltando la Legge (la cui anima é: "Ama il Signore Dio tuo con tutto te stesso…”) che si rimane attratti dal Padre. Infatti se uno onestamente ascolta la Legge nel Pensiero di Dio, allora capisce l'anima della Legge, capisce che deve mettere Dio prima di tutto.

Invece è quando uno non si preoccupa di ascoltare, cioè quando uno non si mette veramente a disposizione di Dio, di fare la volontà di Dio, che allora interpreta la Legge soltanto come norma esteriore, come regola esteriore e non arriva all'anima.

Ma quando uno, sinceramente, vuole fare la volontà di Dio, vuole mettersi a disposizione di Dio, allora arriva all'anima della Legge.

Perché l'anima della Legge é nascosta; noi in superficie ne cogliamo soltanto la regola esteriore: "Non rubare, non fornicare, non desiderare...", e crediamo, come il fariseo, di applicare, di osservare, la Legge non facendo queste cose. No!

Invece colui che si mette veramente a disposizione della Volontà di Dio e che si preoccupa di fare la Volontà di Dio, va a cercare la Volontà di Dio. La va a cercare in senso positivo, in rapporto a Dio e allora giunge a cogliere l'anima di tutto, il centro di tutto, che é: "Ama il Signore Dio tuo, con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, con tutte le tue forze, con tutto te stesso...".

Questo é il centro di tutto e il principio da cui dipendono tutte le altre cose, perché è l'anima che dà vita a tutto il resto.

Allora mettendo Dio prima di tutto, al centro della nostra vita, noi siamo attratti da Lui, dal desiderio di conoscerlo, ed é questa attrazione di Dio che ci porterà poi al Cristo, attrazione che nasce da questo bisogno di attuare questa vita con Dio.

Per cui l'anima piange perché sospira Dio, perché si sente in esilio; vive nel mondo, ma si sente in esilio. È continuamente, sempre, lacerata. Ecco la voce dei Salmi!

Direi che tutti i Salmi sono animati dall'attrazione del Padre, perché si piange per l'esilio: si sente il bisogno di Dio, di vedere il suo Volto, ma non Lo si vede.

E, continuamente, tutte le creature ci interrogano: "Dov'é il tuo Dio?".

E l'anima piange perché non incontra Dio e quindi sospira il Messia. Sospira Qualcuno che le faccia vedere il Volto di Colui che essa cerca, per cui quando incontrerà il Messia potrà dire: "Ah! È quello che io cercavo!".

E poi abbiamo anche il Cantico dei Cantici che parla dell’anima come di una sposa che sospira di ritrovare lo Sposo che si è nascosto…. Ecco, troviamo sempre in tutto l’Antico Testamento questo desiderio, questa invocazione, questo sospiro verso-.

Ma questo sospiro verso- é proprio di quell'anima che ha messo Dio prima di tutto. Allora qui l’anima incontra il Cristo, ma Lo incontra fuori, cioè Lo riconosce, perché Lo portava già dentro di sé.

Infatti Gesù stesso dice: "Quando Mi avrete innalzato, dentro di voi, Io attirerò tutto a Me"  (Gv 12, 32). Il che vuol dire: quando noi Lo metteremo in alto, dentro di noi, Lui attirerà tutto di noi a Sé: ecco il criterio di autorità!

Il che vuol dire che quando noi mettiamo Dio prima di tutto, in alto, dentro di noi, Lui diventa la nostra Autorità. Se noi invece mettiamo in alto il denaro, allora per noi l'autorità é il denaro; ma questa autorità del denaro praticamente ci conduce ad essere schiavi di tutti coloro che possiedono il denaro.

E se io metto in alto invece la forza fisica, la violenza, l'autorità civile o la carriera, divento schiavo di queste cose, attratto da esse, a seconda di quello che metto in alto.

Se metto in alto Dio, resto attratto da Dio. È chiaro?

Allora, come già abbiamo detto, questa attrazione per Dio ad un certo momento mi fa sentire il bisogno di vivere in tutto secondo Dio, di vedere Dio in tutto, di conoscerlo, ecc., e mi conduce poi all'incontro con il Messia e a riconoscerlo perché “era il Maestro che io aspettavo!”, in quanto aspettavo Qualcuno che mi aiutasse ad arrivare là dove però io già volevo arrivare!

Ora, “ognuno di noi - dice S. Paolo - va alla ricerca di quei maestri che corrispondono ai propri interessi” (2 Tm 4, 3). Il che vuol dire che soltanto se noi abbiamo interesse per Dio e Lo mettiamo in alto dentro di noi, soltanto cioè se Dio diventa la nostra Autorità, allora individuiamo il Maestro Divino che ci parla.

Ma se io ho interesse per altro, non Lo individuo; individuo altri maestri, cioè mi sottometto ad altri maestri, ad altre autorità.

Ognuno quindi si sceglie quei maestri che corrispondono ai propri interessi, cioè li sceglie in base al proprio interesse.

Ma allora, attenzione all'interesse che coltivi, perché l’interesse sei tu che lo semini nel tuo cuore!

Se noi dunque vogliamo fare la Volontà di Dio, se noi riconosciamo la giustizia, ecco allora che seminiamo nel nostro cuore l'interesse per Dio e quindi l'attrazione di Dio: ed é questa che ci condurrà al Cristo.

Eligio: Questa attrazione quindi é il primo momento del cammino dell’anima verso Dio. Però anche il Cristo non é ancora il punto terminale.

Luigi: No, non è ancora il punto terminale.

Eligio: Perché non solo dice: "Nessuno viene a Me se non é attratto dal Padre" , ma dice anche: "Nessuno va al Padre se non per mezzo mio" (Gv 14, 6), indicando il Padre come fine. Direi allora che i due termini "Padre" non vanno intesi nello stesso senso, in quanto il primo è relativo ad un’attrazione che mi pare derivi da un qualcosa di esterno, dall’osservanza di una regola; il secondo penso che sia quel “Padre” inteso sul piano mistico di cui parlavo prima e che mi richiama alla Vita Trinitaria.

Luigi: È sempre la stessa cosa, perché Dio é il Principio e Dio é il Fine. Cioè quel Dio che giunge a noi attraverso la Legge e che dice a noi: "Metti Dio al centro della tua vita" (per cui questa luce diventa una proposta per noi), é lo stesso Dio al quale noi vogliamo arrivare, ma per arrivare al quale non sappiamo come fare.

Eligio: E nel quale dobbiamo inserirci.

Luigi: Nel quale dobbiamo inserirci, certamente, ma non sappiamo come. E chi ci condurrà ad inserirci? È il Cristo!

Eligio: All’inizio non possiamo inserirci in nessun modo.

Luigi: E già! All'inizio noi siamo soltanto dispersione, perché abbiamo per centro il pensiero del nostro io. Ora, l'uomo naturale, l'uomo vecchio, é l'uomo che pensa a se stesso prima di tutto, che ha per centro il suo io, che fa quindi i suoi interessi, che vive nel mondo e per le cose del mondo. Lui non si rende nemmeno conto di sbagliare, perché non ha ancora ricevuto nessun ammonimento. E allora qui abbiamo l'uomo vecchio: quest'uomo qui, non può vedere la Verità. La porta dentro di sé, perché ogni uomo porta Dio dentro di sé, però non La può vedere.

Non La può vedere, perché tutto quello che lui vede, lo vede in quanto è rapportato al suo io. Ora, nel pensiero del suo io, l'uomo certamente non può vedere la Verità, quindi vede soltanto apparenza.

Dio parla in tutte le cose, però l'uomo che é nel pensiero del suo io rapporta tutto al pensiero del suo io, e nel pensiero del suo io non può intendere, non può capire che Dio gli sta parlando in tutto!

Allora soltanto quando gli arriva l'ammonimento ("Tu non sei lo scopo della tua vita…, non sei tu che ti sei fatto…, tu non sei Colui che ha fatto te…, tu non sei Dio!": ammonimento che lui riconosce vero), l'uomo è impegnato ad una risposta, cioè diventa responsabile. Abbiamo detto che se l’uomo riconosce ciò che è vero, questa è una luce che lo vincola moralmente, lo obbliga (ecco l'obbligo della Verità, l’autorità della Verità di cui abbiamo parlato!), lo obbliga ad una risposta di adesione.

Ecco, il fatto che l’uomo riconosca vero e giusto l’ammonimento che gli arriva, vuol dire che già portava dentro di sé la Verità, ma non ci faceva caso! Ora invece, ammonito, può dire: "È giusto che io metta Dio prima di tutto e non pensi a me prima di tutto!".

Questo é il battesimo di giustizia, ed é la voce di tutto l'Antico Testamento.

Allora, ponendo questo come primo impegno, la creatura si orienta a Dio, resta orientata a Dio. Questa è la prima tappa del cammino che la condurrà al Cristo. Qui la creatura avendo fatto il primo passo, resta attratta dal Padre.

Ma in questa attrazione qui, incomincia il problema del conflitto tra l'ideale, quello che vorrebbe, e la vita nel mondo, e quindi incomincia la sofferenza.

Cioè la creatura, a questo punto, non appartiene più al mondo: appartiene a Dio, però non riesce a vivere la vita con Colui al quale essa appartiene. Tutta la sua sofferenza é creata da questo fatto qui: cioè c'è un amore che non si realizza.

Allora questo amore non realizzato provoca la sofferenza nella creatura: non c'è niente nel mondo che la soddisfi, perché essa non vuole più vivere secondo il mondo (poiché il mondo ha per centro il “principe di questo mondo” e il principe di questo mondo è l’io umano): a questo punto ormai la creatura ha aderito ad Altro dal mondo e quindi sospira Altro, però non riesce a realizzare quest’Altro amore.

In questo sospiro, in questo desiderio, in questa sofferenza, aspetta il Messia: iI Messia che é la salvezza. Perché si dice salvezza?

Appunto perché viene a liberare quest’anima da uno stato di sofferenza e le dà la possibilità di arrivare là dove vuole arrivare. È per questo che Gesù dice: "Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me". 

Dice "se non per mezzo di Me", perché Lui é la Parola del Padre, la Parola di Dio. È logico! Per cui può dire: "Chi vede Me, vede il Padre!" (Gv 14 ,10).

Infatti chi vede la Parola (“la Parola Assoluta, quella che non si può pronunciare, ma solo ascoltare”) vede ciò di cui parla la Parola, e Cristo é la Parola del Padre. Ecco perché dice: "Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me!". È Lui che ci parla del Padre!

E noi abbiamo bisogno di Uno che ci parli del Padre, perché noi desideriamo il Padre, ma da soli non siamo capaci ad andare al Padre, perché abbiamo continuamente gente intorno che ci parla di altro. Fintanto che noi non incontriamo Uno che parli a noi del Padre, quindi raccolga tutta la nostra dispersione e ci parli del Padre, noi non siamo capaci di vedere il Padre!

Cristo ha questa funzione qui.

Eligio: Però, in questo secondo momento, il Padre viene visto molto diversamente che dall'inizio...

Luigi: Certo, ma è sempre lo stesso Essere. Però quello a cui Cristo ci conduce é una scoperta. Eravamo attratti, però non potevamo realizzare questa vita di unione, questo inserimento in Dio. Invece qui, nella meta a cui ci conduce Cristo, scopriamo una vita nuova: abbiamo l'uomo nuovo, l'uomo che nasce a Pentecoste, che porta in sé il Padre e il Figlio, che scopre in sé il Padre e il Figlio!

Infatti in questo giorno si realizza per ognuno di noi la promessa di Gesù: "... e noi verremo a lui e faremo la nostra abitazione in lui..." (Gv 14, 23). Ma il Padre e il Figlio non si spostano mica: ci sono già! È la creatura che é spostata…: per cui constata ciò che già c’era! Da che cosa è spostata? Ma proprio dalla parola del Cristo!

Per cui, ascoltando il Cristo, il Cristo trasforma la creatura, la sposta nel Padre, dove trova anche il Figlio. Ma è il suo parlare che opera in noi questa trasformazione, se Lo ascoltiamo.

Ora, che cos'è che ci rende attenti al parlare del Cristo? È l'interesse per-, é la fame di-, il desiderio di conoscere Dio.

E che cos'è che ci porta ad avere questa fame?

È l'aver messo Dio al centro.

E che cos'è che ci fa mettere Dio al centro?

L'aver ubbidito alla Legge, a quel richiamo esterno che ci invitava a mettere Dio prima di tutto.

Per cui la Legge é stata il nostro pedagogo al Cristo, e il Cristo è Colui che ci conduce a conoscere il Padre, e quindi alla nostra Pentecoste.

Eligio: Allora, tornando al criterio di autorità di cui hai parlato stasera, possiamo dire che come primo criterio di autorità noi abbiamo la Legge.

Luigi: Sì, la Legge. Notiamo però che la Legge ha autorità in quanto convince; essa, se la cogliamo nella sua anima, convince del vero, convince del giusto: è giusto mettere Dio prima di tutto.

E sta qui la diversità con quella che è l'autorità del mondo, perché l'autorità del mondo comanda senza convincere.

Per cui l'autorità del mondo viene dall'esterno; invece l'autorità di Dio convince dall'interno.

L'uomo, quando è convinto, si preoccuperà lui stesso poi di realizzare quello di cui é convinto, perché é tutto suo interesse realizzarlo. Ecco perché allora la Luce che convince è la vera autorità e diventa vita se l’uomo la applica, mentre invece se non la applica, resta giudicato. Ma si giudica egli stesso!

Perché se faccio 2+2 = 5, sono io stesso che giudico l’errore, perché il 2+2=4 mi ha convinto, per cui tutte le volte che sbaglio, io stesso mi giudico.

Allora, se la Legge mi ha convinto, tutte le volte che io devio, sono io stesso che mi giudico: cioè io faccio il mio danno. Per cui ad un certo momento capisco che è tutto un mio interesse non deviare.

Per cui incomincia qui tutto quel travaglio per cercare di realizzare quello che è tutto mio interesse, perché capisco che il vivere secondo Dio é tutta la mia felicità, é tutta la mia gioia, é tutta la mia liberazione, mentre invece il vivere secondo il mondo diventa tristezza.

L'uomo dunque, a questo punto qui, in questo dialogo interiore, capisce che vivere secondo il mondo é tutta tristezza (cioè é come fare 2+2=5 , e questo errore é tristezza!) e allora si preoccupa lui di realizzare quello che per lui é felicità: é questo che lo porta al Cristo, perché è questo che forma nell’uomo il bisogno di Lui e la capacità di riconoscerlo! Per cui il Cristo, l'incontro con Cristo, diventa per lui motivo di gioia, perché Egli lo condurrà dove lui desidera.

Eligio: Vorrei ancora chiederti questo: che differenza c’è tra il rapporto che si stabilisce tra la creatura e la Legge, accettata e riconosciuta giusta, e il rapporto che si stabilisce tra la creatura e il Cristo, al quale la Legge conduce? Lo chiedo per questo motivo: la Legge, norma esterna, è ancora un qualcosa che mi viene dall’esterno e mi può giungere attraverso chiunque…

Luigi: Sì, è norma esterna, e non mi deve interessare chi me la dice, il mezzo attraverso cui mi arriva.

Eligio Certo, però se tengo presente Dio dal quale la Legge proviene, non mi limito a stabilire un rapporto puramente esteriore con essa, ma cerco anche di stabilire attraverso di essa un rapporto interiore con Dio; però la stessa cosa deve avvenire anche con il Cristo. Certo, con Lui non mi trovo più soltanto di fronte ad una voce o ad uno scritto che mi dice di cercare Dio prima di tutto, ma mi trovo di fronte ad una Persona, presenza fisica, che mi dice anche la stessa cosa. Siccome però mi trovo di fronte ad una “Persona”, capisco che deve certamente essere un rapporto diverso…

Luigi: Ma certo!

Eligio: Però, siccome entrambi mi aiutano a stabilire un rapporto interiore con Dio poiché mi invitano a metterlo prima di tutto, vorrei capire meglio in che cosa consiste questa diversità di rapporto. So che ne hai già parlato, ma non sarà possibile precisarlo ulteriormente?

Luigi: Sì, abbiamo detto prima che la Legge è un richiamo a riconoscere ciò che è vero e giusto. Facendo vedere ciò che è vero e giusto, diventa moralmente vincolante (e questa luce, abbiamo detto, diventa il vero criterio di autorità). Però essa non ci dà la grazia di attuare ciò che ci ha fatto vedere vero e giusto, per cui il rapporto con la Legge conclude in un fallimento, il quale fallimento ha però la sua funzione positiva: quella di condurmi al rapporto con il Cristo, con il quale è possibile realizzare ciò che abbiamo riconosciuto giusto.

Diciamo subito, per capire questa differenza, che il motivo per cui noi non riusciamo ad attuare la Legge é perché siamo schiavi delle persone. Cioè quello che domina sull'uomo é la persona, in quanto la persona é un centro di attrazione.

Fintanto che noi non troviamo Dio come Persona, in una presenza fisica tra noi, noi riconosciamo giusto, vero, metterlo prima di tutto, però ciò che ci domina sono le persone e per noi le persone sono gli uomini. Gli uomini hanno su di noi un peso molto maggiore del Dio che non vediamo, del Dio “in teoria”, del Dio della Legge, “perché - noi diciamo - la pratica é questa!“.

Quindi la Legge non ci dà la grazia di attuare ciò che è giusto, ma ce lo fa riconoscere.

Per cui quando la Legge, la regola, mi giunge, da chiunque mi giunga, fosse anche da un bambino, da un vecchio o da un furfante, ho la possibilità di riconoscere giusto quanto mi propone, indipendentemente cioè dal mezzo attraverso cui mi giunge. Ecco perché Giovanni quando gli chiedono: “Chi sei?”, si rifiuta di dire chi è. Non interessa sapere chi lui è, non interessa conoscere ciò che il mezzo è, ma interessa (deve interessare!) la “voce”, interessa la parola che arriva, da chiunque arrivi. Perché? Perché interessa il messaggio.

Eligio: Cioè interessa la verità del messaggio.

Luigi:         Certo. Ora però la verità del messaggio sta nella parola, non sta in chi mi comunica il messaggio; cioè sta nella sostanza che mi viene proposta.

Quindi la verità del messaggio non sta nel fatto che chi me la dice sia vestito di nero, per cui se una cosa me la dice uno che è vestito di nero, questa é verità. No! Non dipende da chi mi giunge la cosa, fosse anche un delinquente! Dio mi può parlare anche attraverso un delinquente; anzi, senz'altro Dio mi parla anche attraverso un delinquente!

Quindi se siamo in ascolto di Dio e abbiamo l’attenzione rivolta a Dio, allora facciamo attenzione al messaggio; non facciamo attenzione a chi parla, ma all'argomento che ci viene presentato, perché quello che ci interessa é Dio, quello che dice Dio.

Allora, quando arriva a noi la Legge, la regola, la parola esterna, confrontandola con la Verità interiore che portiamo dentro di noi, riconosciamo che è vero e giusto ciò che dice, per cui diciamo: "È giusto!". E possiamo dirlo, perché é la Verità interiore, é il Verbo interiore che parlando a noi dentro di noi dice: "Questo é giusto! Questo è vero!”.

Questo avviene già nel campo dei segni: quando io sento una parola, per intenderla devo sempre confrontarla con la parola che porto dentro. Infatti soltanto in quanto ho la parola dentro, riconosco la parola fuori. Così é lo stesso nel campo dello spirito: la regola che mi giunge dall'esterno, io non l'accetto supinamente; non posso accettarla supinamente, solo “perché l’ha detta il tale…”, perché se l’accetto come vera solo perché l’ha detta il tale, questa accettazione non vale, perché allora vuol dire che sotto sotto ci sono altri motivi, non certamente la convinzione.

Invece se sono semplice, nella semplicità, quello che mi arriva dall'esterno lo confronto con quello che porto dentro di me. Confrontandolo con quello che porto dentro di me, siccome dentro di me c'è il Verbo interiore che parla, dico: "È giusto!".

Però non basta riconoscere che è giusto per poterlo attuare. Ed è qui che subentra la necessità del rapporto con Cristo.

Eligio: Comunque, da quanto hai detto, il primo rapporto, quello con la Legge, lo accetto per un valore intrinseco che la Legge ha, senza nulla conoscere della sua provenienza.

Luigi: La provenienza, il mezzo attraverso cui mi giunge, non interessa: mi può giungere attraverso chiunque; mi deve invece interessare l'argomento: perché mi parla di Dio o mi impegna a mettermi in rapporto con Dio.

Eligio: Oppure l’accetto semplicemente perché mi parla di una cosa che è giusta, senza però sapere ancora che mi proviene da Dio, perché per me Dio potrebbe essere solo una parola…

Luigi: No, in quanto mi parla di un argomento, Dio, io quell'argomento lo confronto con l'argomento che porto dentro. Se io non portassi già dentro di me Dio, sentendo parlare di Dio, questo non mi direbbe niente. Infatti se tu parli di Dio ad un cane, questo non gli dice proprio niente, perché non può raffrontarlo con quello che porta dentro di sé.

Se invece noi, sentendo parlare di Dio, intendiamo (“intendere” vuol dire “intendere in”, cioè “intendere dentro”), vuol dire che portiamo già Dio dentro di noi.

È il Dio interiore che ci fa intendere la parola Sua fuori, esteriore, cioè l'argomento che ci arriva, per cui diciamo: "È giusto!". Quel dire: "È giusto!", é una conseguenza di un rapporto che abbiamo fatto dentro di noi.

Quindi noi abbiamo dentro di noi un punto, e l'altro punto mi viene dall'esterno; li mettiamo a contatto, li mettiamo vicino dentro di noi e diciamo: "È vero, è giusto!". Oppure diciamo: "Non é vero!".

Ma questo é sempre dato dal rapporto che facciamo dentro di noi tra l’esterno che ci arriva e quanto porto dentro di me, ed é un rapporto personale.

Eligio: Penso però che all’inizio del cammino, dato che l’anima non conosce ancora chi è Dio, cioè non conosce ancora la Persona Divina dalla quale proviene la Legge, può accettare la Legge semplicemente perché essa porta in sé, intrinsecamente, i caratteri della Verità e della giustizia e non perché: "è Dio che dà la Legge". Infatti come può l’anima collegarsi o motivarsi con una Persona che non conosce?

Luigi: All’inizio si parte dall’esistenza stessa di Dio (nessuno Lo può ignorare!), o meglio, si parte   dal concetto di Dio, ma non dalla conoscenza della sua Persona: questa verrà dopo.

Per cui inizialmente tu senti il nome “Dio” (come nome che si dà al Creatore di tutto) e poi, ad un certo momento, ti senti dire: "Guarda che tu devi mettere Dio prima di tutto nella tua vita". Cioè ti viene proposto Dio, cioè il concetto di Dio, come massimo valore.

Ora, tu puoi anche essere ateo, però in quanto giunge a te la proposta, certamente tu devi dare una risposta, e in un modo o nell’altro tu la dai, perché ogni proposta, ogni parola che giunge a noi, in quanto é proposta, sollecita da noi una risposta, e la risposta certamente la diamo: anche se facciamo scena muta, noi la risposta la diamo.

Ora, come facciamo a dare la risposta? Confrontando la proposta che ci arriva con quello che portiamo dentro.

È il “dentro” che determina la nostra risposta. Se dentro di me io ascolto Dio, e Dio Lo abbiamo tutti dentro di noi, aderisco alla proposta; altrimenti, se non Lo ascolto, la rifiuto.

Dio Lo abbiamo tutti dentro di noi, ed è questo Dio che parla, per cui è Lui che ci fa felici o infelici a seconda delle risposte che gli diamo.

Egli parla in ognuno di noi, però noi, distratti dall'esterno e interessati soltanto all’esterno, il più delle volte non facciamo attenzione a Lui. Ma, sollecitati dall’esterno, possiamo fare attenzione a Lui.

L’esterno quindi ci ammonisce e ci fa fare attenzione a Colui al quale noi non facciamo mai attenzione. Ma in quanto ce Lo propone, ecco…mi fa fare per forza attenzione a Lui, anche se io sono ateo. Per cui, se io sono ateo, sentendo parlare di Dio, io faccio attenzione a Dio: darò subito un calcio alla proposta, ma intanto faccio attenzione, anche se solo per un secondo, all'argomento Dio.

Avrò un motivo fasullo per dire: "No, non esiste!", e do una risposta alla proposta che mi è arrivata, però non posso far a meno di confrontarla con questo Dio che porto dentro di me (infatti se capisco la parola “Dio” e posso quindi pensare Dio anche solo un istante, non fosse altro che per negarlo, è perché Lo porto già dentro di me).

Se invece di fronte a questa proposta che mi viene dall’esterno io sono onesto, o meglio, voglio essere onesto, voglio essere giusto, ecc., allora il Dio che é dentro di me, provoca in me l'adesione, la risposta affermativa.

Questa risposta affermativa non è che mi unisca alla Persona Divina, ma mi pone il desiderio di trovare, di conoscere questa Persona e tale desiderio è amore. Ma l’amore rimane insoddisfatto, perché non trova la Persona che cerca.

E non la trova perché, per noi, le persone sono gli uomini, cioè le presenze fisiche e sono queste presenze che pesano su di noi.

E fintanto che noi non troveremo un Uomo (ecco l'argomento fondamentale per capire quella differenza di rapporto, come tu chiedevi), quindi una “Persona” in una presenza fisica, ma Persona Divina, che coincida quindi con la nostra fame, con quello che noi desideriamo, noi non saremo liberati dalla schiavitù di tutte le altre persone, perché il centro di attrazione é la persona.

Ecco, proprio perché il centro di attrazione é la persona, noi abbiamo bisogno di trovare una Persona che non sia più solo Uomo, ma che sia Dio, che sia però anche Uomo, perché noi siamo schiavi degli uomini, e che parli a noi dell'argomento che ci sta più a cuore: Dio (se è vero che ci sta a cuore!).

Allora la premessa é che ci stia a cuore Dio. Questo starci a cuore ci porta nell'apertura al Cristo, il quale solo ci libererà, accentrandoci su di Sé, dalla dipendenza da tutte le altre persone.

Ed é poi Lui, Persona Divina, che ci farà scoprire il Padre, Persona Divina, dandoci così la grazia, la possibilità di attuare ciò che abbiamo riconosciuto giusto (cf v. 28: "La Legge è stata data per mezzo di Mosè, la grazia e la Verità sono state diffuse in Gesù Cristo”).

Eligio: Quindi il rapporto tra me e la Legge mi fa desiderare di conoscere Dio e nello stesso tempo mi fa esperimentare l’impossibilità di raggiungerlo. Questo è chiaro, come è chiaro che è proprio l’esperienza di questa povertà che mi conduce al Cristo. Ma che tipo di rapporto debbo poi stabilire con la Persona-Figlio, cioè con il Cristo, presenza fisica, per giungere al Padre?

Luigi: Il rapporto con Cristo é come quello che si stabilisce con qualunque persona.

La persona é un essere che accentra su di sé: accentra su di sé tutto! È un amore!

Ora l'amore assorbe tutto il nostro mondo, tutto il nostro universo, perché é centralizzante! Infatti dalla persona, dal pensiero stesso della persona, parte tutto, perché è nel pensiero stesso della persona che si incentra tutto l’universo. Direi: tutto l'universo si incentra nelle singole persone.

Noi crediamo che ci sia un universo solo, ma, direi, in quanto ci sono tanti uomini, tante persone, ogni persona é al centro di un suo universo. Tant'è vero che quando noi amiamo una persona, con quella persona lì amiamo tutto un universo, non vogliamo sapere di altri universi, non ci interessano più. Ma perché? Perché é la persona che giustifica tutto l’universo.

Allora il Cristo, essendo Persona, e Persona Divina, incentra su di Sé tutto l'universo, compreso l'universo di tutti gli uomini: per cui noi, dopo averlo incontrato, guardiamo solo più Lui! Vediamo solo più Lui!

Dopo il racconto della Trasfigurazione, ad un certo punto c’è una paroletta molto significativa: "Non videro altro che Gesù!" (Mt 17, 7; Mc 9, 8). Ha un valore molto profondo questo fatto qui! Quasi a dire che dopo aver scoperto, intuito, un raggio della Verità su Gesù, non si vede altro che Gesù: in qualunque cosa, non si vede altro che Lui. Cioè come un essere che é preso tutto da un amore, ovunque vada, non vede altro che l'essere amato, l'oggetto amato, l’oggetto del suo pensiero. È chiaro?

Ecco la centralità della persona, e soprattutto della centralità universale della Persona Divina del Cristo!

Ed é questo che libera! Perché, incentrandoci nel pensiero di Sé, in quanto é il valore massimo tra tutti gli altri valori, ci libera da tutti gli altri.

E liberati da tutti gli altri, ci dà poi dopo quella potenzialità d'animo, quella potenzialità interiore, cioè quella grande disponibilità necessaria per intendere il Padre, per arrivare a scoprire il Volto del Padre, poiché il Volto del Padre non si arriva a scoprirlo senza questa disponibilità totale, che è il vuoto di noi stessi. È questa la condizione per arrivare a vederlo.

Ora però questo vuoto é dato dalla tanta presenza di un amore: é il tanto amore che crea il vuoto in noi, il vuoto di noi stessi, in modo da renderci totalmente disponibili, aperti e quindi capaci di recepire il Volto del Padre che é già presente in noi, ma che non vediamo, perché siamo troppo pieni di tante cose.

Allora è necessario l’incontro con questa Persona Divina che susciti in noi questo immenso amore, questo fuoco che bruci tutto il resto, che bruci anche il pensiero del nostro io, in modo da essere preparati a vedere il Volto del Padre.

Eligio: Quindi con Cristo si inizia quel processo di conoscenza che culminerà poi con la  conoscenza piena di Dio, vero?

Luigi: Sì, con la Pentecoste (e proprio oggi è Pentecoste). Ecco perché dico che Pentecoste é il più grande giorno dell'anno: perché rappresenta la meta di tutta l'opera, non soltanto del Cristo, ma di tutta l'opera di creazione, fin dal primo giorno quando Dio disse: "Sia fatta la luce" (Gen 1, 3), la meta di tutto l'Antico Testamento, di tutta la Legge, di tutti i Profeti, di tutta l’opera del Cristo, ecc..

La Pentecoste cioè è la conclusione del tutto! Perché é lì che inizia la creatura nuova! È nuova perché é la creatura che ha ricevuto lo Spirito di Verità che la condurrà a vedere la Verità totale, la Verità completa. Cioè è la creatura che discende da Dio.

Prima invece, cioè prima di Pentecoste, abbiamo la creatura che ascende a Dio, cioè la creatura che parte dalla prima creazione, dal primo giorno della creazione, e a poco a poco percorre tutte le tappe del Vecchio e del Nuovo Testamento, e con fatica, sforzo, sacrifici, ecc., poco per volta, ascende, ascende ascende fino a giungere alla Pentecoste.

Con la Pentecoste abbiamo la creatura che discende da Dio, cioè abbiamo il figlio di Dio: infatti i figli di Dio nascono da Dio.

Abbiamo cioè la creatura nuova la quale vede “da” Dio (ecco, vede da- : abbiamo qui quel famoso “da-”), cioè che vede dal punto di vista di-.

Mentre prima abbiamo la creatura che guarda a-, con la Pentecoste abbiamo la creatura che guarda da-, cioè che guarda da Dio: "sub specie aeternitatis" (sotto il punto di vista dell'eternità), come dicevano i Padri della Chiesa.

Per cui a questo punto tutte le cose si vedono solo più dal punto di vista dell'eternità, cioè esse valgono soltanto in quanto se ne coglie il significato eterno, in quanto cioè diventano eterne ed immutabili. Quindi a questo punto tutto ciò che muta vale soltanto più per il significato eterno che reca, perché in tutto si coglie solo più il significato di Dio.

Comunque questa sera quello che volevamo mettere in evidenza era questo: che il principio vero di autorità, che è poi quello che sostiene il Battista, è la Parola di Dio.

Mentre gli altri, i Farisei che lo interrogano, vorrebbero far valere il principio di autorità secondo il mondo, per cui gli dicono: "Con quali documenti tu ti presenti a predicare, a battezzare?", abbiamo invece il Battista che afferma l’altro principio di Autorità, quello vero: il principio della Parola di Dio. Questa é la vera Autorità che illumina la coscienza dell'uomo, che illumina l'uomo.

Per cui la Luce é il vero criterio di autorità per ogni uomo.

Quindi ognuno di noi, poiché è questa la lezione per noi, ognuno di noi non deve esercitare l'autorità farisaica, il comando esteriore, la violenza, l’imposizione, no! Ma deve convincere con la Parola di Dio. Ed é soltanto usando la Parola di Dio che si illuminano le anime e che si convincono le coscienze, perché la Parola di Dio si appella alla Luce interiore, richiamando la nostra attenzione su di Essa, cioè al Verbo interiore, raccogliendoci dalle nostre dispersioni.

E questa è la vera autorità sull'uomo: la Luce interiore, quella Luce interiore che poi dopo diventa vita, se l'uomo aderisce e cammina in Essa.

Ma in quanto Essa opera convincendo é già autorità; in quanto convince é già autorità, la massima Autorità. 

C'è un episodio in s. Luca che è proprio in tema e che ci fa vedere che il conflitto che è avvenuto con il Battista già preannunciava quello che sarebbe poi avvenuto con Cristo. Ve lo leggo: «Avvenne un giorno che, mentre Gesù insegnava al popolo nel Tempio ed annunziava la buona novella, sopraggiunsero Sacerdoti e Scribi con gli anziani. Rivolgendosi a Lui, gli chiesero: "Di’ a noi, con quale autorità fai ciò? Chi ti ha dato questa autorità?" (Mt 21, 23) ».

Ecco, i termini sono sempre gli stessi: i Farisei si presentano a Giovanni Battista chiedendogli: "Chi sei e perché battezzi? Con quale autorità fai questo?". Dopo qualche anno, gli stessi Farisei si presentano a Gesù facendogli la stessa domanda: "Con quale autorità fai questo?". Ecco, vanno sempre alla ricerca dell'autorità, del documento. Nel mondo si opera così.

E l’Evangelista così prosegue: «Gesù rispose loro: "Anch'io vi domanderò una cosa. Rispondetemi: il battesimo di Giovanni era dal Cielo o dagli uomini?". Essi facevano tra loro questa riflessione: “Se diciamo dal Cielo, Egli dirà: Perché dunque non gli avete creduto? Se diciamo dagli uomini, il popolo intero ci lapiderà perché é convinto che Giovanni era un profeta”. Essi risposero allora che non sapevano di dove fosse. Gesù disse: "Nemmeno Io vi dico con quale autorità faccio queste cose" (Mt 21, 23-27) ».

Ecco, la lezione è stupenda! Non si può dire niente a colui che non riconosce il vero, cioè non si può insegnare a volere a colui che non sa quello che vuole.

Perché se noi non riconosciamo dentro di noi quello che é giusto, quello che é vero, non ci sarà nessuno, nemmeno il Cristo, che ci dirà quello che é giusto e quello che non lo è, perché Lui parla in parabole, acceca addirittura! Come già abbiamo detto, si presenta come uno che viene da Nazareth, mentre Lui è di Betlemme; è Figlio di Dio e si dice "Figlio dell'uomo" (“Figlio dell’uomo” che in termini ebraici vuol poi dire: "io sono uno qualunque"); e così pure abbiamo Giovanni Battista che é l'Elia profetato, che é il Profeta, e che invece dice: "No, non lo sono!".

Questo per dirci che il segno di per sé non è luce e non dà luce.

Ecco perché colui che dentro di sé non ha riconosciuto, non sarà riconosciuto! Appunto perché nessun uomo e nessun segno può convincere colui che non riconosce dentro di sé ciò che è vero e giusto. Ecco perché ad un certo momento non basta tutto l'universo per convincere l'uomo che non ha aderito a Dio nella sua coscienza, dentro di sé.

Emma D.: Quindi non sono i segni esterni o i miracoli che danno la fede.

Luigi: Ciò che determina tutto è l’interno. Se noi nell’interno non mettiamo prima di tutto quello che deve essere messo prima di tutto, e se non lo mettiamo quando ci viene proposto, non ci sarà poi nulla dall'esterno che ci convincerà.

Emma D.: Quindi che funzione avrebbe l’esterno?

Luigi: Tutto dall'esterno ci provoca a mettere in alto dentro di noi quello che é vero, ma se noi non lo mettiamo, come dico, non ci sarà niente dall'esterno che ci convince, anzi tutto diventerà addirittura un motivo per giustificare la nostra distrazione da Dio; per cui colui che non ha messo dentro di sé Dio prima di tutto, cioè colui che non ha obbedito alla Legge che dice: "Metti prima di tutto Dio!", avrà tanti impegni che gli giustificano l'assenza da questo impegno principale.

Gesù dice: "Il Regno vi sarà tolto e sarà dato ad altri!" (Mt 21, 43). E perché? “Perché non avete messo dentro di voi la pietra fondamentale!”. Cosa vuol dire quel "togliere il Regno che sarà dato ad altri"? Vuol dire che ci viene tolta la disponibilità per-, per cui non abbiamo più tempo per-: non tempo esterno, ma tempo interiore!

Ecco perché il tempo é sempre un fatto molto molto relativo, perché l’avere o non avere tempo é già una conseguenza di un amore o di una mancanza di amore, per cui il non avere tempo non ti giustifica mica.

Tutto dipende dall'amore che abbiamo messo dentro di noi! Per cui chi ha messo dentro di sé l'amore di Dio ed ha obbedito quindi al comando: “Metti prima di tutto Dio”, allora avrà tanto tempo, poiché il Regno di Dio gli viene dato: avrà cioè tanto tempo interiore per incontrarsi con Dio, per occuparsi di Dio.

Mentre invece a chi non ha messo Dio prima di tutto, sarà portato via tutto: non avrà più disponibilità, non avrà più tempo. E non ci sarà niente dall'esterno che lo aiuterà, nota questo, ed é tremendo! Perché? Perché dentro di sé non ha riconosciuto il suo Signore!

Ecco perché mettere Dio prima di tutto dentro di noi, nel nostro interno, è la cosa essenziale, la più importante: è la pietra fondamentale sulla quale poggia tutta la costruzione dell'edificio; è la base da cui dipende tutto, poiché tutto é coordinato da Dio in un modo unitario, come in un sistema.

Eligio: Tu sei partito per approfondire il criterio di autorità, ma io invece sono stato toccato dall’affermazione di Gesù: “Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre”, e dalla spiegazione che ne hai dato. Mi è sempre stato chiaro che l’attrazione del Padre è la condizione non solo per riconoscere il Cristo, ma anche per rimanere unito a Lui, ma avevo sempre trovato difficoltà a capire come nascesse e come dovesse essere intesa questa attrazione del Padre, di questo Essere che non vedo e non conosco. Non avevo mai pensato che fosse, come hai spiegato, una conseguenza dell’osservanza della Legge e quindi della giustizia essenziale. E questo mi convince. Capisco proprio che devo approfondire di più la funzione dell'Antico Testamento….

Luigi: Infatti l‘Antico Testamento ha una funzione importantissima!

Eligio: Sono rimasto molto toccato e impressionato da questo...

Luigi: Anche questo ci insegna che non siamo noi a determinare i tempi della luce, né a legarli a certi argomenti. Infatti stasera l’argomento proposto era il criterio di autorità e invece quello che ti ha colpito è stato altro... Vedi? Sono tutte lezioni di Dio.

Eligio: Per me è stata una luce molto grande, il che vuol dire che devo impegnarmi ad approfondire il senso dell’Antico Testamento e la sua funzione, come formazione del desiderio di conoscere Dio, cioè come formazione dell’attrazione del Padre, e quindi come pedagogo all'incontro col Cristo, che a sua volta, diventa pedagogo a Dio, alla conoscenza di Dio, di quel Dio che con Cristo non è più inaccessibile.

Luigi: E già! Però è soltanto in quanto noi desideriamo andare al Padre e siamo attratti dal Padre, che il Cristo ci conduce a conoscerlo; ma deve già essere tutto un sospiro nostro verso questa meta, della quale però dobbiamo già essere più che convinti.

Ma per diventarne convinti, bisogna aver messo dentro di noi Dio prima di tutto, bisogna aver imparato ad ascoltare il Padre (infatti Gesù dice: “Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da Lui, viene a Me”). E quello è tutto un processo di Antico Testamento.

Quante volte abbiamo detto che noi passiamo attraverso tutte le fasi dell’Antico Testamento: della creazione, del peccato originale, della legge, dei profeti fino al Cristo! E sono tutte fasi della nostra vita. Tutto quello che é avvenuto nell'umanità, é quello che avviene nella vita di ognuno di noi.

Noi il più delle volte ci crediamo cristiani e diciamo: “Noi siamo dopo Cristo”. Ma invece noi siamo spiritualmente chissà quante migliaia di secoli ancor prima di Cristo! E noi crediamo di essere già "dopo Cristo"! Capisci?

Il Cristo stesso ci fa capire qual è la condizione per incontrare Lui e per seguirlo, quando nell'ultima preghiera dice al Padre: "Erano tuoi e Tu li hai dati a Me".

Ecco, la condizione per incontrare il Cristo e fare il passaggio a Lui, è questa: "Erano tuoi...", cioè appartenevano solo a Te, Padre.

E dopo ”Tu li hai dati a Me”, cioè Tu li hai mandati a Me, affinché Io li portassi a Te!

Ecco, vedi, tutta l’opera di Dio per portarci a conoscere Lui?

Ma il punto di partenza è quell’"erano tuoi...". Ora, chiediamoci: noi siamo “suoi”, cioè attratti dal Padre?

Teniamo presente che noi siamo “di” una persona quando siamo tutti presi da quella persona.

Quindi quell’"erano tuoi..." va inteso come “appartenevano a Te, attratti da Te”. Infatti le anime di quei discepoli prima che incontrassero il loro Maestro erano “del” Padre, in quanto erano tutte prese dal Padre, dal desiderio di andare al Padre. Erano cioè attratte dal Padre, ed è quell'attrazione che le ha portate al Cristo. È questa attrazione del Padre, questo interesse per conoscere il Padre, che ha fatto loro scoprire il Maestro!

Infatti ognuno di noi, come già abbiamo detto, va a scegliersi quei maestri che corrispondono a quelli che sono i propri interessi, o meglio, che rispondono a quello che é il proprio interesse principale. Se io, ad esempio, desidero imparare l'inglese, vado a cercare uno che mi insegni l'inglese, ma perché ho interesse per-.

Eligio:  E già, perché dove é il tuo amore ivi é il tuo cuore...

Luigi: Ecco, quindi noi andiamo alla ricerca di quei maestri che rispondono ai nostri interessi, per cui i nostri maestri sono quelli che scegliamo noi.

Ora, quand'è che noi scegliamo Cristo come Maestro? Quante persone, se si chiedesse loro: "Ma tu credi in Cristo?", risponderebbero: "Sì, io credo!". Ma poi se si andasse a fondo e si chiedesse loro: “Ma i tuoi maestri quali sono?”, risponderebbero: “I miei maestri sono questi e questi altri…”. Ma allora non hanno Cristo come Maestro!

E quand'è che abbiamo Cristo come Maestro? Quando abbiamo come interesse, e come interesse principale, il Padre, cioè il desiderio di arrivare al Padre. Allora, avendo questa esigenza, troviamo Cristo che ci parla del Padre, quindi troviamo il Maestro che ci aiuta ad andare al Padre.

Ecco, è in questo senso che Cristo viene a servire l'uomo. Infatti Egli dice: “Io sono venuto a servire" (Mt 20, 28); ma servire che cosa o chi? È venuto a servire l’uomo che vuole andare al Padre! Ecco lì il vero servizio! Perché ci dice: “Vieni, Io ti conduco dove tu vuoi andare”.

È questo il compito di servizio, del vero Maestro, della vera autorità: quello di condurre là dove uno ha desiderio di andare: la conoscenza del Padre!

Quindi la vera autorità è quella che serve l’uomo ed è quella con cui Cristo viene a noi: l’autorità della Luce, l’autorità della Parola di Dio. Essa Illumina, quindi convince e aiuta l’uomo a raggiungere lo scopo per cui è stato creato, la meta che lo attrae. Per questo diciamo che la Verità è la vera autorità.

Come vedi, anche l’argomento che ti ha toccato, l’attrazione del Padre, è molto legato al tema di stasera: “la luce come criterio di autorità”, perché l’attrazione del Padre è fondamentale: essa sta alla base del vero criterio di autorità, poiché è la condizione per riconoscere la Verità della Parola del Cristo, il vero Maestro.

Anzi, come abbiamo detto all’inizio, è la stessa attrazione per-, l’interesse che portiamo in noi, che determina la nostra autorità quando in noi c’è l’interesse per Dio, allora noi Lo mettiamo in alto dentro di noi, per cui Lui diventa la nostra Autorità, perché attira tutto a Sé; ma se noi invece mettiamo in alto altro, allora per noi l'autorità é altro.

Ines: Mi ha colpito il fatto che le presenze umane ci condizionano, per cui fintanto che non incontriamo Gesù, Persona Divina in una presenza fisica, tutto ci porta via.

Luigi: Certo, però quand’è che possiamo dire di aver incontrato il Cristo? C’è da notare che il più delle volte, pur ritenendoci cristiani, noi non abbiamo ancora messo Dio come centro della nostra vita, cioè come interesse principale, come desiderio di conoscerlo, che è poi la condizione per incontrare il Cristo. Ma nota che anche quando avessimo messo Dio come interesse principale, con questo non vuol dire che noi siamo liberi dall'attrazione di tutte le altre persone, perché soltanto l'incontro con Cristo ce ne libererà.

Ma, dico, il nostro primo difetto sta nel fatto che il più delle volte crediamo di credere in Dio, di seguire gli insegnamenti del Cristo, della Chiesa, ecc., però in realtà noi non abbiamo ancora messo Dio come centro, come interesse principale.

Ma quand'anche Lo avessimo già messo, ho detto, questo non ci libera ancora dall'attrazione di tutte le persone. No! Perché abbiamo bisogno del Cristo.

Pinuccia B.: E l'incontro col Cristo dipende da noi?

Luigi: No! Niente dipende da noi! Ma nemmeno il mettere Dio prima di tutto, che è la condizione per incontrarlo, dipende da noi! Tutto é dono di Dio, opera di Dio, perché é Dio che fa giungere a noi la luce, fa giungere a noi la regola, il comando, la Legge e mi dice: "Metti Dio prima di tutto!". Ma in quanto io sento questa parola, è già dono di Dio!

Io prima non mi accorgevo, non mi rendevo conto che la mia vita dovesse servire per conoscere Dio. E chi mi ha fatto arrivare questa parola? È Dio per mezzo di Giovanni Battista che mi dice: "La giustizia sta lì!".

Allora, ammonito dalla parola che mi é giunta, ecco mi impegno a mettere Dio prima di tutto; ma se io non avessi avuto questa parola qui, non avrei potuto mettere Dio al centro della mia vita. Quindi, ecco, tutto dipende da Dio!

Pinuccia B.: Certo, tutto dipende da Dio, però volevo sapere se questo incontro col Cristo avviene necessariamente per tutti quelli che hanno messo Dio prima di tutto.

Luigi: Necessariamente no! Perché non c'è niente di necessario che condizioni Dio. Tutto è dono libero di Dio. Anche la Pentecoste non avviene necessariamente (anche se per noi, per la nostra salvezza, è necessaria). È tutto dono di Dio, e i doni di Dio sono liberi. Per cui quando la creatura vi giunge e scopre la Presenza di Dio, ringrazia il Signore. Dio non é obbligato!

Pinuccia B.: Certo. Però si può arrivare alla scoperta di questa Presenza, cioè alla Pentecoste, anche senza il Cristo?

Luigi: No! Non si può arrivare alla Pentecoste senza il Cristo! "Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me!" (Gv 14, 6).

Pinuccia B.: Quindi il Cristo é un dono necessario!

Luigi: Tutti sono doni necessari, ma per noi. Senza i doni di Dio noi non possiamo fare niente. "Senza di Me non potete fare niente!" (Gv 15, 5). Per noi tutto é necessità, per Dio tutto é libertà!

Pinuccia B.: Ma come avviene questo incontro col Cristo?

Luigi: In quanto uno ha fame, scopre il Pane. È la fame che ci conduce a Lui. Infatti come é la sete che ci conduce alla sorgente, così é la fame che ci conduce al Pane.

Il Pane c'è, ma noi non Lo vediamo, perché non abbiamo fame.

Emma D.: Quando ci sentiremo veramente liberi da tutto, allora Lo incontreremo.

Luigi: E no! La libertà é Lui che te la dà; senza di Lui noi non possiamo che essere schiavi di noi stessi.

Emma D.: Intendevo dire la libertà dal mondo!

Luigi: Ah no! È anche Lui che ci libera dal mondo! Noi Lo incontreremo non quando saremo liberi dal mondo, ma quando noi avremo tanta fame di Lui. È la tanta fame che ce Lo fa incontrare. Quando uno ha tanta fame é perché ha bisogno, è schiavo, e chi é nel bisogno e nella schiavitù soffre, piange.

Emma D.: Prima si parlava delle persone che sono un centro di attrazione e che possono diventare la nostra autorità; ma non sono anch’esse parola di Dio? Se cerchiamo di imparare qualcosa da esse, non è detto che ne siamo schiave. Se sono parola di Dio, c‘è pur qualcosa cosa che dobbiamo apprendere da esse, no?

Luigi: Tutto é opera di Dio, tutto é parola di Dio, ma fintanto che noi siamo nel pensiero del nostro io, tutto quello che é opera di Dio diventa per noi motivo di rovina, motivo di distrazione, motivo di schiavitù, e questo fintanto che noi non mettiamo Dio prima di tutto. Per cui il mondo é grazia di Dio, é opera di Dio; eppure diventa motivo di rovina, perché c'è il nostro io.

Allora noi dobbiamo scoprire che l'anima di tutto il nostro male é il pensiero del nostro io al centro.

Scoperto questo, dobbiamo allora mettere Dio prima di tutto.

Questo è il principio della nostra salvezza.

Però non dobbiamo mai dimenticare che tutto questo é grazia di Dio:

·il capire che il nostro io é un principio di rovina é grazia di Dio;

·Il capire che abbiamo bisogno di mettere Dio prima di tutto é grazia di Dio;

·l'essere attratti dal Padre é grazia di Dio;

·scoprire la nostra povertà, la nostra miseria, é grazia di Dio;

·il sentirci, il riconoscerci schiavi é grazia di Dio,

·e l'incontro col Cristo é grazia di Dio.

Tutto é grazia di Dio.

Emma D.: Siccome è Dio che stabilisce il momento dell’incontro con Cristo e quindi il momento della nostra liberazione, questo avverrà quando ce lo meriteremo...

Luigi: Guarda, Dio sovrabbonda sempre in grazia, però… non siamo certamente noi con i nostri meriti che possiamo giungere a qualcosa. Assolutamente non possiamo dire: "Sono io che me lo merito…, sono io che ho scoperto…, sono io che ho fatto…!". Noi dobbiamo arrivare alla convinzione che tutto è dono di Dio.

Quando siamo arrivati alla convinzione che i doni di Dio sono gratuiti (cioè sono “grazia”), allora i doni ci arrivano. E allora quando noi saremo giunti ad una luce o all’incontro col Cristo o alla meta, potremo dire: “Ah, questo è dono di Dio: se mi arriva é dono di Dio, é grazia di Dio, non é certamente né per merito mio, né per scoperta mia”.

Altrimenti, se non posso dire questo, c'è il mio io che mi inganna, e allora finisco poi di credere di essere qualcuno, e questo mi impedisce poi di arrivare alla conclusione, di arrivare cioè a scoprire il Volto del Padre.

Invece noi dobbiamo sempre essere in condizione di ricevere tutto da-, ma per ricevere tutto da-, dobbiamo riconoscere il nostro niente, la nostra povertà. Ora è questa la condizione per progredire, per giungere alla meta. Quando siamo in questa condizione qui, allora Dio sovrabbonda con le sue grazie e i suoi doni.

Prima Dio si tiene indietro e tiene indietro anche le sue grazie e i suoi doni, appunto per formare in noi la convinzione che ciò che arriva a noi è dono suo. È soltanto per questo che Dio ci fa attendere i suoi doni! Perché se ce li desse subito, creerebbe in noi un grave errore, che rischierebbe di rovinarci per sempre, perché attribuiremmo a noi stessi ciò che ci ha donato: "Sono io che ho scoperto!".

Invece dobbiamo poter arrivare a dire: “È tutto dono di Dio”. È questo che ci inserisce in Lui, che ci unisce a Lui, cioè che ci fa figli.

In caso diverso arriva un certo momento in cui faccio Dio figlio mio, perché dico: “Sono io che L’ho scoperto, io che…”. E no! Il nostro io non deve essere il principio, il nostro io deve essere figlio, deve derivare da-.

Emma D.: Volevo chiedere questo: se uno , avendo interesse per il Vangelo, fugge tante cose e supera le tentazioni, perché tante cose ormai non gli interessano più (e se fa questo lo fa solo per puro dono di Dio, certamente), vuol già dire che cammina bene?

Luigi: Se gli interessa il Vangelo vuol dire che ha già interesse per Dio, che ha fame di Dio, vuol dire che si é già creata in lui una certa convinzione, per cui ritiene di avere bisogno di-.

Ines: Bisogna ricordarci sempre che il bene é solo Dio che lo fa; quindi anche l’interesse che uno può avere per il Vangelo…

Luigi: Certo! Ma vedi, l'anima di tutto, e quindi anche di questo ricordarci che tutto è dono suo, é sempre questo, come dicevo prima: dobbiamo convincerci che si deve avere Dio come interesse principale. Perché fintanto che non abbiamo messo questo, non incomincia tutta questa trafila della salvezza. La trafila della salvezza parte da questo inizio, da questo punto: Dio é il mio massimo interesse, quello che mi interessa più di tutto, l’unica Autorità da cui voglio dipendere.  Ecco, posso rispondere positivamente in coscienza a questa domanda: “Dio é quello che veramente mi interessa più di tutto?”?

Ora, fintanto che non posso rispondere di sì, non sono ancora arrivato al punto d'attacco della strada di Dio. Non sono ancora arrivato al punto di attacco! Per cui mi trovo ancora in quella notte dell'Antico Testamento, in una notte in cui sto brancolando, vagando a destra e a sinistra, succube di altre autorità, perché non so a che cosa serva la vita, non so che senso abbia. Ecco, sono ancora in quella posizione lì: non ho ancora scoperto che Dio é il massimo interesse per la mia  vita.

Come dico, il punto d'attacco, la scoperta del sentiero, di quel “sentiero numerato” in cui sono segnate e indicate tutte le tappe che dobbiamo percorrere per arrivare alla meta, cioè alla conoscenza di Dio, sta nella convinzione che Dio va messo prima di tutto, come il massimo interesse.

Pinuccia B.: E questo mettere Dio prima di tutto è poi il criterio per riconoscere la verità o non verità di un messaggio, da qualunque parte esso ci arrivi, fosse anche, ad esempio, da una Bibbia che non porta l’”imprimatur”, come quella dei Testimoni di Geova, vero?

Luigi: Certo. Il criterio di autorità è la Luce interiore, il Verbo interiore ascoltato, messo in alto, prima di tutto. È la luce il principio di autorità, perché la luce, illuminando l’anima, la convince, la lega, la vincola. E l’anima è illuminata quando scatta la sintonia tra la parola esterna e la Luce che porta dentro.

Quindi pur leggendo una Bibbia con l'”imprimatur,” se dentro di te tu non ascolti il Verbo interiore, lo Spirito di Dio, non credere che la Bibbia per il fatto che porta l’”imprimatur” ti dia luce di per sé. Quanti leggono la Bibbia con l’”imprimatur”, ma non è che con questo capiscano qualcosa di più! Non é sufficiente l'”imprimatur”. Chi illumina è lo Spirito di Dio, il Verbo interiore, se Lo ascolti dentro di te, se Lo metti in alto.

Pinuccia B .: Ma allora perché generalmente si mette così in guardia la gente contro il pericolo di interpretare liberamente la Bibbia?

Luigi: Ma certo! La Bibbia non va interpretata liberamente. È sbagliato interpretarla liberamente! Senz’altro è sbagliato!

Pinuccia B.: Non penso che chi la interpreta liberamente lo faccia così per capriccio, come gli viene, ma perché segue la propria ispirazione.

Luigi: Ma anche la propria ispirazione non bisogna seguirla; è sbagliato seguire la propria ispirazione.

Pinuccia B.: Allora che cosa o chi bisogna seguire?

Luigi: Lo Spirito di Dio. È lo Spirito di Dio che interpreta le parole di Dio!

Pinuccia B.: E chi è lo Spirito di Dio?

Luigi: A Pentecoste si vedrà chi è.

Pinuccia B.: Come fa uno a sapere se interpreta la parola secondo lo Spirito di Dio?

Emma D.: Volevo fare la stessa domanda: come faccio a sapere se é lo Spirito di Dio che mi ispira certe interpretazioni?

Luigi: Se hai lo Spirito di Dio lo sai.

Pinuccia B.: E come faccio a sapere se ho lo Spirito di Dio?

Luigi: Chi Lo possiede non Lo può ignorare, perché L'ha presente!

Pinuccia B.: Non si può dire chi è?

Luigi: Chi L'ha presente sa chi è, perché “Lo vede e Lo conosce” (Gv 14, 17), ma non può dirlo a chi non ce L’ha. Tieni presente che Gesù non risponde a certe domande ("Neanch'io ve lo dico!", dice).

Così chi non sa chi é lo Spirito di Dio non può ricevere una risposta. D’altronde è una cosa personale e solo personale.

Emma D.: Ma si sente però?

Luigi: Si sente, si vede, si conosce, perché é conoscenza e Lo si ha presente.

E quando una cosa viene da Dio, senz'altro riconosciamo che viene da Dio, perché i doni di Dio hanno un sigillo tutto loro e sono inconfondibili. E chi ha presente lo Spirito di Dio, sa che ha presente lo Spirito di Dio: lo Spirito di Dio è inconfondibile!

Ma tu pensa, la stessa persona umana è inconfondibile. Noi stessi siamo irripetibili, e quindi inconfondibili: nessuno si confonde con un altro. Siamo miliardi, eppure ognuno é irripetibile. Tu pensa un po' Dio! Ora, se noi siamo irripetibili (il che vuol dire che siamo inconfondibili), forse che Dio si confonde con altro o altri?

Quindi anche i suoi doni sono inconfondibili, e se sono inconfondibili sono perfettamente individuabili, così come è perfettamente individuabile ognuno di noi. Ad esempio, anche se Eligio andasse a New York, egli rimarrebbe inconfondibile, e lo riconoscerei tra milioni di persone, perché ogni persona é irripetibile. Così é Dio: quando Dio si presenta é inconfondibile!

Eligio: Se lo siamo noi, a maggior ragione lo è Dio!

Luigi: A maggior ragione, certo! Noi non facciamo caso a questo fatto qui: che ognuno di noi é un essere irripetibile, come persona umana! Quindi pensa un po' Dio!

Perciò quando non sappiamo distinguere lo Spirito di Dio dallo spirito del mondo o dallo spirito dell’io è perché non Lo abbiamo ancora presente in noi come il massimo valore, come la massima Autorità, cioè non Lo abbiamo ancora messo prima di tutto.

Emma D.: Per cui ci rimangono delle incertezze, non sappiamo distinguere la parola di Dio dalle parole degli uomini.

Luigi: La certezza la si trova solo presso Dio, mettendo Dio prima di tutto dentro di noi, avendo un grande interesse per Lui. In caso diverso non abbiamo in noi il criterio per riconoscere la Verità della Parola di Dio (come non lo hanno questi Farisei, i quali, anziché riconoscere vero il messaggio del Battista, gli chiedono le credenziali, vogliono sapere da chi è autorizzato a battezzare), e non La riconosciamo anche se Essa ha un sigillo inconfondibile e non ha bisogno, come già abbiamo detto, di appellasi a delle credenziali, perché, illuminando e convincendo l’anima su ciò che è vero e giusto, ha l’autorità della Verità.

Eligio: E allora, quando non sappiamo distinguere la parola di Dio dalle parole degli uomini è segno che non abbiamo ancora trovato il punto d'attacco del sentiero che ci conduce alla Meta.

Luigi: E già, non abbiamo ancora trovato il punto d'attacco, perché non abbiamo ancora messo Dio prima di tutto!