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Ed essi gli domandarono: Chi dunque sei? Sei Elia? Ed egli disse: Non lo sono. Sei il profeta? E rispose: No. Essi allora gli dissero: Chi sei tu? Perché noi diamo una risposta a quelli che ci hanno mandato, che dici di te stesso? Allora rispose: Io sono una voce che grida nel deserto: Raddrizzate la via del Signore, come ha detto il profeta Isaia.” Gv 1 Vs 21-23


Titolo: “…io sono una voce…”


Argomenti: I “no” di Giovanni - L’uomo vale per ciò che annuncia, non per ciò che è - Tutto è voce, annuncio - Fare diritte le vie del Signore – L’uomo giusto non parla di sé – Lo spirito di Elia – Etichettare gli uomini – Le parole rivelano la persona – L’essere di cose e persone – Il messaggio e il messaggero -  Il messaggio delle creature – Anche la bestemmia testimonia Dio -


30/Maggio/1976


 

Dall'esposizione di Luigi Bracco:

La prima cosa che richiama l’attenzione leggendo questo passo, dal v. 21 al v. 23, sono i “no” del Battista.

I Sacerdoti e i Leviti gli chiedono: “Chi sei tu?”. E abbiamo visto la volta scorsa, che egli risponde: “No, non sono il Messia”. Ed essi allora gli domandano: ”Sei Elia?”. Ed egli: “No!”. “Sei il profeta?”. “No!”. Essi dunque gli dicono: “E allora, chi sei tu?”

Ora, in questi “no” lui rivela già tutta la sua personalità: la personalità di chi è disincantato dal mondo e di chi non cerca di piacere al mondo, ma di piacere a Dio. Infatti una delle prime lezioni che si ricevono ascoltando la Parola di Dio è questa indipendenza dagli altri, cioè questo imparare a dire: “no”, per rimanere fedeli alla Verità di Dio.

Abbiamo visto la volta scorsa che il primo “no” di Giovanni sta nell’affermare di non essere lui l’Atteso dalle genti, di non essere lui il Messia.

Tutti gli uomini sono in attesa di incontrare Dio, perché tutti gli uomini sono stati creati per conoscere Dio. E, come dice s. Agostino, il loro cuore geme, soffre ed è inquieto, fintanto che non conosce il suo Signore. Lo dice anche s. Paolo: “Tutte le creature sono in sofferenza, gemono in attesa della rivelazione del Figlio di Dio, della conoscenza di Dio”.

Per cui tutte le creature che si incontrano, anche se non ne sono consapevoli, sempre si incontrano con quest’animo che interroga: “Sei tu Colui che il mio cuore, Colui che la mia anima attende?”.

La volta scorsa abbiamo visto che dobbiamo imparare a non presentarci come la risposta all’attesa dell’uomo, perché Dio solo è Colui che risponde a questa attesa. Noi tutti siamo soltanto dei mezzi che possono ammonire, che possono accompagnare le creature, che possono rivolgerle verso il Messia, verso Colui che deve venire, ma che non si debbono sostituire al Messia.

Adesso, dopo la prima risposta negativa: “Non sono io il Messia”, coloro che erano stati mandati dai Giudei di Gerusalemme chiedono a Giovanni: “Sei forse Elia?”. Lui dice: “No”. ”Sei un  profeta?”. “No!”.

Intanto è sintomatico il fatto che vadano alla ricerca di ciò che egli è, mentre invece dovrebbero interessarsi di ciò che egli annuncia. Cioè non si interessano del messaggio, ma si interessano di sapere ciò che egli è.

La prima lezione che riceviamo dalle risposte di Giovanni Battista (teniamo sempre presente che Giovanni Battista rappresenta tutta l’umanità, quindi significa per ognuno di noi quello che è l’uomo giusto, quindi il comportamento dell’uomo giusto) è questa: non dobbiamo parlare di noi.

Infatti qui Giovanni, nel dire questa fila di “no”, dichiara evidentemente di non voler parlare di sé. È la prima constatazione che facciamo sentendo questi “no”.

La sua attenzione è rivolta ad un Altro che egli è venuto a segnalare.

Ed è lui stesso che dopo ce lo confermerà in parecchie altre sue affermazioni, come ad esempio: “È Lui che deve crescere, io devo diminuire” (Gv 3, 30) o dicendo che lui è venuto come annuncio, come messaggero di un Altro, che lui è colui che deve parlare di un Altro, che deve indicare un Altro.

Però un altro fatto anche sintomatico è questo: lui dice di non essere Elia, di non essere un Profeta, cioè di non essere dello spirito di Elia, di non essere dello spirito del Profeta (noi oggigiorno gli avremmo chiesto: “Ma allora di che partito sei?”), ma Gesù invece confermerà e dirà che Giovanni Battista era l’Elia che si aspettava, cioè era colui che era venuto con lo spirito di Elia, che Giovanni Battista era il Profeta, anzi, che era il più grande di tutti i Profeti: “Il più grande di tutti i nati da donna” (Mt 11, 11).

Gesù dunque dice che effettivamente Giovanni Battista era l’Elia, il Profeta atteso. Giovanni invece dice di non esserlo. Ma non c’è un conflitto, perché lui non deve parlare di sé, proprio perché è il Profeta. Non deve parlare di sé, perché il Profeta è colui che segnala l’Altro, quindi è colui che parla dell’Altro e ammonisce gli altri ad andare a quest’Altro.

Infatti alla domanda successiva: “Ma allora chi sei? Se non sei Elia, non sei il Profeta, allora chi sei?”, il Battista risponde: “Io sono una voce”, sono solo una voce che annuncia un Altro.

Ecco, dicendo “Io sono una voce”, il Battista riconduce coloro che lo interrogavano all’essenziale, a quello su cui essi avrebbero dovuto interrogarlo, cioè al messaggio che lui stava loro recando.

Dicendo di essere “la voce”, lui dice di essere uno che annuncia qualche cosa, per cui ci fa capire che egli conta solo per quello che dice, nel senso cioè che a noi di lui deve interessare solo ciò che dice e non dobbiamo preoccuparci di conoscere chi lui sia.

Ci insegna così che noi dobbiamo preoccuparci solo di capire il messaggio che attraverso le creature Dio ci vuole dare e non cercare di conoscere ciò che gli uomini sono, come invece generalmente facciamo. Infatti noi cerchiamo di catalogare gli uomini, stabilendo delle categorie, cercando di dare delle etichette con le nostre domande : “Di che partito sei? Che cosa fai? Qual è la tua professione?”. E con ciò crediamo di conoscere l’uomo, perché diciamo: “Questo è di sinistra…, quell’altro è di destra…; questo è professore…, quell’altro è deputato…; questo è un operaio…, quell’altro è un impiegato…”.

Ecco, noi tendiamo a classificare gli uomini; e questa classificazione è una diminuzione di essere, innanzitutto perché ogni uomo è un essere a sé, è un essere infinito, che non è riducibile ad una categoria. Noi invece nelle nostre conoscenze tendiamo sempre a classificare, quindi a ridurre gli uomini a categorie.

Ora, Giovanni Battista non accetta di essere classificato, perché lui è essenzialmente colui che parla di un Altro, che tende a segnalare l’Altro, quindi è una voce. Per questo, dico, ci insegna che l’uomo deve valere per noi non per ciò che è (perché il suo essere ci sfugge: nessuno di noi può sapere né quel che siamo, né quello che è un altro), ma per ciò che annuncia, per il messaggio che reca, per ciò che dice.

Direi, ogni uomo si conosce per le parole che dice. Strano, ma è così: si conosce non per la professione che svolge, non per la famiglia che egli ha, non per ciò che possiede, ecc., ma per ciò che dice, per le parole che annuncia. È lì che si conosce veramente l’uomo! Per questo il Battista dice: “Io sono una voce…”.

Ora, se teniamo presente che in Giovanni Battista non soltanto è racchiusa tutta l’umanità, ma che in lui c’è anche la sintesi di tutto l’Antico Testamento, abbiamo in lui anche la lezione su ciò che sono tutte le creature, tutte le opere di Dio. Quindi dicendo “Io sono una voce…”, il Battista ci fa capire che anche tutte le opere di Dio sono soltanto “voci”. Noi non le possiamo conoscere per ciò che esse sono. Infatti l’essere delle cose sfugge a noi, solo Dio lo conosce.

Già quando abbiamo parlato della “gloria”, avevamo visto che l’essere delle cose, e massimamente l’Essere del Figlio di Dio, si conosce solo in Dio. Dio solo lo conosce, perché Dio è l’Essere, ed è Lui che comunica l’essere; e solo conoscendo Dio, in Dio noi possiamo conoscere l’essere delle cose, l’essere delle creature, l’essere degli uomini.

Ma quello che invece noi possiamo percepire è il messaggio delle cose, è il significato delle cose, ed è qui che noi dobbiamo fermarci. E non possiamo d’altronde andare oltre, perché le cose valgono per il significato, per ciò che esse ci annunciano.

E allora, se noi teniamo presente Dio, in tutte le cose noi cerchiamo il messaggio che esse ci recano.

Se questi Sacerdoti e Leviti, che erano stati inviati da Gerusalemme, avessero avuto presente Dio, e quindi avessero tenuto presente che l’essenza dell’uomo è l’ascolto, essi sarebbero immediatamente andati a cercare presso Giovanni Battista l’essenza del suo messaggio, ciò che egli diceva; avrebbero discusso su quello, perché quello era importante, non ciò che egli era!

Così anche nei riguardi di tutte le cose e quindi anche di tutti gli avvenimenti, creature e uomini: ciò che veramente è importante è ciò che essi ci annunciano, perché se teniamo presente che Dio è Colui che opera in tutto, che parla in tutto, noi allora in tutte le cose cerchiamo ciò che Egli dice, ciò che Egli significa a noi, quindi il significato delle cose.

Quello invece che esse sono, lo intenderemo poi, quando conosceremo il Signore, quando vedremo Dio. Allora magari capiremo che tutti questi annunci erano Angeli di Dio, erano opere di Dio, ma questo lo vedremo solo in Dio.

Dio non ci chiede ora di conoscere ciò che essi sono. Dio ora ci chiede di intendere le sue parole, le sue lezioni : “Perché non riconoscete da voi stessi quello che è giusto?” (Lc 12, 57), dice Gesù, cioè perché non riconoscete che Dio è il Creatore di tutto?

Siccome Lui è il Creatore, e quindi è Lui che parla in tutto, Lui chiede a noi di intendere ciò che Egli dice a noi.

Quindi non dobbiamo né noi stessi affermare ciò che crediamo di essere, per la posizione che abbiamo, per il lavoro che facciamo o per altro, né valutare gli altri, classificare gli altri per quello che fanno o per la posizione che hanno, ma cercare invece di capire il messaggio che Dio ci vuole recare tramite loro e cercare di capire quello che noi stessi dobbiamo annunciare, essendo anche noi “voce”.

Infatti, dicendo: “Io sono una voce”, Giovanni Battista insegna a noi non solo che tutte le creature sono “una voce”, ma insegna anche quello che noi siamo e quindi anche quello che dobbiamo essere: “una voce”, un annuncio.

Allora, il sapere che tutto è “voce” e che anche noi siamo un annuncio, un messaggio, ecco, questo infonde in noi, direi, la preoccupazione di avere sempre presente questo pensiero: “Tutte le cose sono un messaggio per me, ma anch’io sono un messaggio, quindi devo essere un messaggio”.

E che cosa annunciano le cose e che cosa devo annunciare?

Giovanni Battista dice: “Io sono una voce che grida nel deserto: Raddrizzate, fate diritte le vie del Signore!” (cf Lc 3, 4).

E allora, siccome in Giovanni Battista si sintetizza il messaggio di tutte le creature, ecco che anche tutte le creature sono “una voce”, un messaggio a noi che dice: “Raddrizzate, fatte diritte le vie del Signore!”.

E noi pure siamo voci e dobbiamo quindi essere voci. E allora, essendo voci, dobbiamo a nostra volta recare questo messaggio alle creature: “Fate diritte le vie del Signore!”.

Questa deve essere la nostra preoccupazione: quello che noi possiamo e dobbiamo annunciare agli altri è questo: “Fate diritte le vie del Signore!”.

Ma questo lo annunciamo anche se non lo vogliamo, perché lo diciamo con la nostra vita: infatti con il nostro vivere e con il nostro morire, con le nostre tribolazioni, con le nostre difficoltà, con i nostri mali, con i nostri dubbi, con le nostre incertezze, noi ammoniamo sempre gli altri, cioè “predichiamo” che bisogna cercare prima di tutto Dio. Questo è quello che avviene in noi indipendentemente da noi.

Ma poi ci deve essere anche una partecipazione personale nostra, per cui noi dobbiamo essere quel che siamo. Essendo voce che reca un messaggio, dobbiamo anche voler annunciare il vero messaggio.

Quindi ci è richiesta una partecipazione personale. Ecco, oltre il messaggio oggettivo che rechiamo indipendentemente da noi, dobbiamo anche parlare, annunciare coscientemente questo messaggio, cioè aiutare gli altri, annunciare agli altri che lo scopo della nostra vita è quello di raddrizzare in noi le vie del Signore. “Fate diritte le Sue vie…!”.

Ora, cosa vuol dire raddrizzare le vie del Signore, fare diritte le vie del Signore?

È un’opera personale, interiore, che nessuno può fare al posto nostro e vuol dire:

·prima di tutto vedere Dio in tutto, cioè non vedervi, non mettervi in mezzo altre cose, altre cause, poiché essendo tutto opera di Dio, tutto viene a noi direttamente da Dio; quindi: “fai diritta la via di Dio!” (noi invece nel pensiero del nostro io la facciamo storta, perché vi vediamo altre cause);

·conseguentemente, accettare tutto direttamente dalle mani di Dio,

·riportandolo a Lui, per cercare di capirne da Lui il significato;

·e quindi stabilire un rapporto diretto con Dio.

Infatti “fare diritto” vuol dire entrare in un rapporto diretto, a tu per tu con Dio, sapendo che Lui è presente. Quindi dobbiamo mettere il tempo del silenzio, il tempo dell’ascolto, e questo va fatto personalmente.

E dobbiamo quindi aiutare anche gli altri (ed è questo il vero amore per il prossimo) a fare lo stesso: insegnare cioè agli altri a raddrizzare, a fare diritte le vie del Signore, ad entrare in diretto rapporto con Lui, e quindi ad accogliere tutto dalle mani di Dio senza frapporre altre cause in mezzo, per intendere da Dio che cosa Lui ci dice in tutte le cose.

Ma soprattutto dobbiamo metterci noi stessi in rapporto diretto con Dio.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Eligio: Quindi l’essenza del messaggio del Battista, e quindi di tutte le creature, è questo invito a fare diritte le vie del Signore.

Luigi: È il Battista stesso che ce lo dice e non solo in questo Vangelo di Giovanni: lo leggiamo anche nel Vangelo di Matteo (Mt 3, 3) e di Luca (Lc 3, 4). E poi nel Vangelo di Marco l’abbiamo proprio come principio: “Principio del Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo…, voce di colui che grida nel deserto: fate diritte le vie del Signore!” (Mc 1, 1-3). Come principio del Vangelo!

In s. Giovanni leggiamo: “In principio era il  Verbo…”. Principio del Vangelo è il Verbo che parla in tutte le cose. E che cosa mi dice il Verbo che parla in tutte le cose? “Raddrizza le vie del Signore!”, cioè falle diritte! Perché? Perché tutto è opera di Dio! “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui…”.

Ci viene detto di raddrizzarle perché, direi, per natura noi le facciamo storte. E come facciamo a farle storte? In quanto attribuiamo gli avvenimenti, le cose, i fatti, alle creature anziché a Dio. Allora, ecco contorciamo l’opera di Dio.

Quando noi diciamo:  “Ah, questo è l’uomo che lo fa…, questo è quel delinquente…, questo è la creatura…”, facciamo storte le vie del Signore.

Qui ci colleghiamo con quella famosa conversazione sul piede pestato: se noi ci limitiamo a vedere la creatura, attribuiamo il fatto alla creatura. Se invece noi pensiamo a Dio, l’attribuiamo a Dio.

Ora, fare diritte le vie del Signore vuol dire attribuire questo fatto a Dio, ricevere la cosa direttamente da Dio.

Allora, noi pensando a noi stessi, rendiamo storte le vie del Signore, perché pensando a noi stessi, il nostro io si riflette sugli altri, quindi attribuiamo non solo a noi, ma anche agli altri la causa degli avvenimenti, dei fatti, o alla natura. Quindi non riceviamo più la lezione da Dio.

Fare diritte le vie del Signore vuol dire metterci in diretto rapporto con Dio, per ricevere sempre tutto da Dio: quindi scavalcare, diciamo così, tutte quelle che sono apparentemente le cause seconde e ricevere tutto da Dio, sia i beni che i mali.

Perché dobbiamo ricevere tutto da Dio? Perché soltanto ricevendo tutto da Dio, accogliamo su di noi le lezioni che Dio ci vuole dare e che, se le accogliamo, ci cambiano.

Eligio: È convincente questo modo di intendere le parole del Battista, soprattutto, perché accogliendo tutto da Dio, non affermiamo più i motivi del nostro io, ed è ciò che conta. Invece tante volte è stata data da certe scuole un’altra interpretazione al “raddrizzate le vie del Signore”, intendendolo come un invito ad un lavoro personale per migliorare il nostro comportamento, cioè ad un lavoro morale.

Luigi: No, non è questo.

Eligio: Cioè, non deve essere un’attenzione al mio io per cercare di diventare migliore, ma un’attenzione a Dio, per non affermare il mio io.

Luigi: Sì, perché chi modifica il nostro io è solo Dio, non siamo noi.

Eligio: Questo l’abbiamo capito, o almeno io l’ho capito, molto più tardi. C’è stato un momento invece in cui sembrava fosse nelle mani nostre il migliorare, il modificarci; la vecchia scuola morale era quella.

Luigi: No, si tratta invece, poiché è Dio che ci cambia, di metterci in rapporto diretto con Lui, ed è così appunto che va inteso l’invito del Battista quando dice: “Io sono una voce che grida nel deserto: Raddrizzate le vie del Signore!” (grida nel deserto, perché ogni uomo è un deserto…Noi tutti giriamo in un deserto: perché? perché non vediamo Dio!).

Ora, “raddrizzare” vuol proprio dire metterci in diretto rapporto con Dio. Perché? Perché soltanto mettendoci in diretto rapporto con Dio noi riceviamo le lezioni di Dio, le quali lezioni poi cambiano noi. Ci cambiano come hanno cambiato, ad esempio, il Battista, per cui lui si rifiuta di parlare di sé e risponde “no” quando quegli inviati da Gerusalemme gli domandano se lui è Elia o il Profeta.

Lui risponde di non esserlo, anche se Gesù dirà (ecco la lezione!): “Era lui l’Elia,..era il lui profeta ”. Ma lo dirà Gesù. Chi siamo noi, ce lo dirà Lui, è Dio che lo deve dire.

Gesù stesso dice: “Io non glorifico Me stesso” (cf Gv 8, 5 4) (ed era il Figlio di Dio! ed era Dio!), “Io non mi glorifico, non cerco la mia gloria, c’è un Altro che farà valere la mia gloria”, cioè il Padre.

Quindi se il Figlio stesso non cerca la sua gloria venendo tra noi, ma parla del Padre e dice che è il Padre Colui che glorifica il Figlio, a molto maggior ragione noi, ognuno di noi, non deve né difendersi, né cercare la propria gloria, come Giovanni Battista che non parla di sé: lui si ignora. Lui non sa se sia l’Elia; lui non sa se sia il profeta; lui sa soltanto di non essere il Messia, e dice: “Io non sono il Messia”, cioè: “Io non sono quello che risolve i tuoi problemi. Io sono una voce che ti dice: mettiti in rapporto diretto con Dio, perché lo scopo della vita è questo. Chi io sia non interessa né a te, né a me; c’è un Altro che dirà quello che io sono”.

Così pure ognuno di noi deve dire: “Quello che io sono non interessa né a voi, né a me;  c’è un Altro che dirà quello che io sono”. Solo Colui che è, l’Essere, può dire a noi quello che noi siamo e quello che gli altri sono.

Ma quello che deve interessare invece ad ognuno di noi è quello che noi diciamo, è il messaggio che rechiamo, che dobbiamo recare e che tutte le creature recano, perché qui c’è la Parola di Dio.

Ora, questo messaggio è un messaggio oggettivo, indipendente da noi, che noi recitiamo comunque, che Dio recita comunque in noi, perché in quanto ci fa spettacolo ad altri, lo recita in noi indipendentemente da noi. Per cui mentre noi diciamo: “io sono un eroe…”, il giorno dopo siamo lì che tremiamo di paura.

Ecco, è Dio che ci fa recitare davanti agli altri la lezione di creature e non di dèi, non di “Dio”, non di un essere assoluto!

Quindi abbiamo:

·un messaggio oggettivo che diamo agli altri indipendentemente da noi, come tutti gli altri lo danno a noi indipendentemente da se stessi;

·e poi abbiamo un messaggio soggettivo che dobbiamo cercare di dare in fedeltà a Dio, per cui le parole che diciamo, le scelte che facciamo, i pensieri stessi che abbiamo, le azioni che facciamo, debbono essere secondo Dio. Allora qui abbiamo un messaggio soggettivo in cui noi partecipiamo personalmente.

Quindi, se noi partecipiamo personalmente tenendo presente Dio, allora anche questo messaggio soggettivo coincide con il messaggio oggettivo, per cui noi diventiamo creature fedeli secondo lo Spirito di Dio, e allora partecipiamo anche alla vita di Dio, perché è Dio che opera in noi con la nostra consapevolezza. Allora si agisce con la coscienza in noi di quello che siamo con Dio, del Dio che opera in noi.

In caso diverso, si trasmette comunque un messaggio oggettivo, cioè una testimonianza oggettiva, l’annuncio: noi magari bestemmiamo, però rendiamo testimonianza a Dio ugualmente, anche con la nostra bestemmia, perché magari dietro la nostra bestemmia vengono poi fuori le nostre scelte sbagliate, i nostri delitti, ecc., per cui diamo spettacolo al mondo su cosa vuol dire non pensare a Dio, non lasciarci guidare dallo Spirito di Dio. Però questo messaggio che diamo non ci rende partecipi della vita di Dio.

Per cui, se vogliamo esserne partecipi, siamo tenuti a dare quel messaggio soggettivo che coincida con quello oggettivo. E il messaggio soggettivo da recare è quello che è sintetizzato in Giovanni Battista a tutte le creature: “Raddrizzate le vie del Signore…”.

Tutte le creature dicono questo a noi, e anche noi a nostra volta dobbiamo dirlo a tutte le creature, sia che siano legate da una parentela o non parentela, figli o non figli, dipendenti o non dipendenti. Questo è il messaggio che noi dobbiamo recare: “Raddrizzate le vie del Signore, fate diritte le sue vie!”, cioè un invito a metterci sempre in rapporto diretto con Dio.

Dobbiamo sollecitare noi stessi e gli altri a questo, perché la creatura tende sempre a scivolare da Dio, perché per natura la creatura tende a pensare a se stessa.

Ecco, per questo dico che la creatura deve sempre cercare di superarsi (ed è poi quel “rinnega te stesso” di cui parla Gesù in Lc 17, 33) per pensare a Dio, perché naturalmente la creatura non pensa a Dio; però la creatura è tenuta a pensare Dio.

Ora, siccome ogni creatura tende a scivolare, ecco che noi dobbiamo aiutarci vicendevolmente, sempre, a riportarci in questo rapporto diretto con Dio, e a non lasciare mai subentrare il nostro io.

È quello che Gesù intende quando ci invita a lavarci i piedi l’un l’altro, perché camminando nel mondo ci impolveriamo (cf Gv 13, 1-12), ci carichiamo di polvere, di questa polvere di mondo, che è poi il pensiero delle creature, che si carica su di noi, per cui noi attribuiamo senza accorgercene i fatti, gli avvenimenti, ecc., che accadono attorno a noi, sempre ad altre cause e quindi non riceviamo più la lezione di Dio.

Infatti dicendo: “Questo avvenimento è per colpa del tale”, io indubbiamente scarto la lezione di Dio, non recepisco più la lezione di Dio. Non ricevendo la lezione di Dio, non accolgo più quello che Dio sta facendo per modificare me stesso.

Ora, siccome è Dio che opera la trasformazione di noi, e Lui opera per portarci nella vita eterna, per portarci nella conoscenza della sua Verità, noi scartando le lezioni, cioè attribuendo le cose e i fatti alle creature, scartiamo proprio quell’opera che Dio sta facendo per allargare il nostro cuore, per allargare la nostra mente e renderla atta, capace ad accogliere la conoscenza della Verità, e in tal modo è logico che non arriviamo alla vita eterna.

Eligio: Quindi quello che fa tortuose le vie del Signore è un’interpretazione soggettiva e umana (secondo il nostro modo di vedere o secondo le creature) dei fatti che Dio opera attorno a noi.

Luigi: Sì, perché poi, in conseguenza di questo, avviene tutto il resto. Ad esempio, ritorniamo di nuovo sull’argomento del piede pestato: se una persona mi pesta un piede, se vedo soltanto la creatura, io reagisco malamente, odio, faccio la guerra, ecc.: ecco, do luogo a tutte queste conseguenze negative. Per cui tu pensa poi a tutta la protezione che debbo mettere attorno a me, accumulando denaro, cercando una buona posizione, ecc., per diventare potente e non lasciarmi più pestare il piede. Ecco le vie tortuose!

Ora, tutto questo è tutto sbagliato. Ma qual è la fonte che ha avvelenato tutto? È il fatto che ho attribuito la cosa alla creatura, anziché attribuirla a Dio.

Perché se io avessi invece visto Dio e non la creatura, ricevevo su di me la lezione di Dio: ricevendola su di me, modificavo me e quindi liberavo la creatura, anzi, mi aprivo ad amare la creatura, perché la creatura è stata un mezzo che Dio ha “strumentalizzato” (addirittura!) per correggere me.

Quindi dovrei essere riconoscente verso la creatura, perché Dio magari l’ha fatta diventare villana per correggere me, perché io avevo bisogno di incontrare un’opera villana. Invece, avendo attribuito la cosa alla creatura, ho fatto il primo sbaglio che ha dato luogo a tutte le altre conseguenze, a tutte quelle vie tortuose.

Per questo dico che la base di tutto è questo: entra in rapporto diretto con Dio, raddrizza le opere di Dio, non farle storte! Quindi non vedere l’opera della creatura, ma vedi l’opera di Dio!

Eligio: Direi che questo “raddrizzare le vie del Signore” è già il secondo passo, perché riferendoci alla conversazione di domenica scorsa, prima dobbiamo affermare quello che non siamo rispondendo all’interrogazione che gli altri fanno a noi su quello che noi siamo; cioè per prima cosa non dobbiamo metterci al centro degli altri, atteggiandoci a “messia”, a salvatori o a maestri.

Luigi: Sì, certo! Infatti innanzitutto il Battista dice: “Non sono io il Messia, il Cristo”.

Eligio: Allora si entra dopo in questa esigenza di un rapporto diretto con Dio per rendere diritte le vie, per rimuovere quelle affermazioni del nostro io che rendono tortuose le strade del Signore. Le due affermazioni del Battista quindi si collegano bene.

Luigi: Cioè noi non dobbiamo presentarci o proporci come l’Essere, come il Messia, come Colui che risolve i problemi dell’uomo o che aiuta per una una cosa o per un’altra, no! Perché i tuoi problemi è solo il Signore che te li risolve.

Eligio: Cioè dobbiamo metterci da parte e dire: “No, non sono io quello che tu aspetti”.

Luigi: Ecco, perché è solo il Signore che può illuminare e risolvere i problemi. Quindi non dobbiamo accettare le etichette delle creature, perché le creature tendono ad etichettare, a classificare gli uomini (tu sei questo…, l’altro è quest’altro, ecc.) e a farli rientrare in questi schemi.

Abbiamo visto che Giovanni si rifiuta, non si lascia catalogare in questi schemi, non accetta, anche se è quello che gli dicono di essere, lui dice di non esserlo. Infatti sarà solo Dio che dirà quello che è la creatura. Non siamo noi che lo possiamo dire.

Eligio: E non è neppure un problema saperlo.

Luigi: Certo, non è un problema sapere quello che la creatura è o quello che noi siamo. Il vero problema che come creature ci dobbiamo porre è quello di intendere, capire il messaggio, l’annuncio che Dio ci dà attraverso le creature e che noi stessi, anche se il più delle volte inconsapevolmente, rechiamo.

Eligio: Quindi la creatura non deve affermare quello che è, ma rendersi conto di essere solo un messaggio, portatore di una verità.

Luigi: Sì. Quindi dobbiamo riconoscere il messaggio che gli altri recano a noi e noi stessi diventare messaggio per gli altri, messaggio di Dio, quel messaggio che dice: “Raddrizzate, fate diritte le vie del Signore”.

Giovanni Battista, rifiutando di essere etichettato, rifiutando di parlare di sé e affermando di non essere lui il Cristo, ci aiuta ad evitare l’errore fondamentale. Cioè ci fa capire che l’errore fondamentale è quello di mettere sempre il nostro io al centro, per cui noi riteniamo di essere colui che l’anima degli altri attende o, per lo meno: non lo saremo per tutta l’umanità, ma lo saremo, per esempio, per una persona, per una famiglia… Comunque sia ci proponiamo come “sono io che risolvo tutto”. Ecco no! Tu mettiti sempre al tuo posto; chi risolve tutto è Dio. Quindi:

·il primo passo è questo: mettiti da parte, in modo che la creatura abbia a vedere Dio e non a vedere te;

·poi, come seconda cosa, tendi sempre ad essere annuncio, voce che grida: “Raddrizza, fa’ diritte le vie del Signore”, cioè vedi tutte le cose da Dio, sta attento all’operare di Dio, perché Dio sta operando in tutto.

Eligio: Questo ci fa riflettere con quanta facilità, affermando un certo modo di vedere le cose, diventiamo ostacolo alla visione che gli altri potrebbero avere di Dio. È una responsabilità tremenda.

Luigi: Ah, senz’altro! È logico!

Eligio: E questo avviene senza rendercene conto.

Luigi: Sì, senza rendercene conto.

Eligio: È proprio la natura che ci porta a discorrere di tutto meno che di Dio, a collegare tutto alle cause seconde, tranne che alla Causa prima.

Luigi: Sì, perché noi per natura pensiamo a noi stessi. Quindi per collegare tutto con Dio è necessaria una “sopra natura”, quindi uno sforzo, poiché Dio è sopra natura, Dio è trascendente. Ed essendo trascendente, non è naturale. Ed è logico che sia trascendente!

Ora, siccome Dio è trascendente, noi possiamo attingere a Lui soltanto in quanto ci superiamo. Quindi è sempre necessaria questa fatica: questo non fermarci cioè all’apparenza.

Come non dobbiamo fermarci all’apparenza delle cose (e abbiamo una lezione continua che attraverso le creature e i fatti ci ammonisce: “non fermarti all’apparenza, perché l’apparenza ti inganna”), così non dobbiamo neanche fermarci all’apparenza del nostro io, perché apparentemente “sono io che faccio, sono io che decido”. No, non voler essere autonomo, cerca sempre presso Dio i motivi delle tue scelte, i motivi delle tue azioni, i motivi del tuo pensare, i motivi del tuo parlare. Ecco, cerca presso Dio! Allora sarai “messaggio”, allora il tuo messaggio è fedele.

Ma per cercare presso Dio, ci vuole questo sforzo.

Ora, questo sforzo dobbiamo farlo noi personalmente, e aiutare anche gli altri a farlo, perché gli altri si trovano nella nostra stessa situazione; per cui tendono anche loro a scivolare. Tendendo a scivolare, tendono ad attribuire a noi quello che noi non siamo. Per cui loro tendono a dire: tu per me sei tutto. E noi non dobbiamo lasciarcelo dire, perché nel gioco delle apparenze loro restano ingannate.

Quindi non dobbiamo restare noi nell’errore, e nemmeno lasciare che gli altri vi restino. Dobbiamo sempre invitare la creatura che guarda a noi, a fare diritte le vie: “No, guarda Dio, non guardare a me: io sono una povera creatura, io sono solo una voce…”.

La grandezza di Giovanni sta proprio qui: si ignora, ai suoi occhi non è nemmeno un essere; infatti dice: “Io sono una voce”, quindi un soffio, un annuncio, un messaggio, perché quello che a lui importa è l’Altro. La grandezza di Giovanni è tutta lì, e deve essere poi la grandezza di ogni creatura, perché ogni creatura dovrebbe parlare di Dio. Noi invece parliamo sempre di creature. Se dovessimo parlare di Dio, non sappiamo che cosa dire. Come mai? Perché non conosciamo Dio.

Se noi conoscessimo molto Dio, parleremmo sempre di Dio. Invece noi parliamo sempre di quello che ha fatto uno e di quello che ha fatto l’altro: ecco, queste sono le vie storte!

E così sono pure storte tutte le comunicazioni che facciamo o riceviamo: noi apriamo un giornale, ma è sempre il racconto di quello che hanno fatto gli uomini, è sempre un dire quello che ha fatto il tale, quello che ha fatto il tal altro: sono tutte vie storte!

Invece noi dovremmo sempre vedere Dio, dovremmo sempre dire quello che fa Dio, osservare quello che fa Dio (e quella, sì, è la vera lezione!), perché è Dio che opera in tutto, e operando in tutto ci dà le vere lezioni. Allora sì che riceviamo le vere lezioni! Non è invece osservando quello che fanno le creature che riceviamo le vere lezioni.

Giovanni M.: Il Vangelo di domenica scorsa diceva: “Non siete voi che avete eletto Me, ma sono Io che ho eletto voi” (Gv 15, 16). Allora, il distacco dalle cose e da noi stessi per poter attribuire tutte le cose a Dio e non più a noi, non è anche un dono che Dio fa a noi?

Luigi: Certo, tutto è dono di Dio.

Giovanni M.: Ma allora l’uomo nella sua miseria, se non è aiutato da Dio, non può raggiungere quella conoscenza di Lui che deve raggiungere.

Luigi: Certo, senza Dio non possiamo fare niente.

Giovanni M.: Dio allora dovrebbe anche aiutarci un po’, no?

Luigi: Tu pensi che Dio non aiuti? Il difetto è sempre nostro. Da parte nostra c’è solo il difetto. Dio invece sovrabbonda sempre.

Giovanni M.: Ma come fa una creatura che vive così nel mondo a pensare sempre a Dio? Sì, c’è il Vangelo che può aiutare, ma tanti non conoscono neanche il Vangelo e tanti vivono a livello quasi animale…. Se una creatura non è aiutata da Dio, come può avere la luce per attribuire a Dio tutte le cose che succedono nel mondo e la forza per accettarle?

Luigi: Ma guarda che Dio aiuta tutte le creature e opera affinché intendano che debbono sempre guardare a Lui, che devono ricevere tutto da Lui.

Dio dice che fa giungere anche ai morti la sua Parola. Cosa vuol dire? Che tutti quanti sappiamo, ad esempio, che non siamo noi i creatori del mondo. Basta quello!

Dio si annuncia a tutti così, facendoci capire che è un Altro che ha fatto il mondo.

Annunciandosi, insegna a noi a fare conto su di Lui, perché le cose vengono da Lui. Se io non faccio conto su di Lui, quindi se non ricevo le cose da Lui (anche le scelte e le grazie), il difetto sta in me che non faccio conto su di Lui: “Tu sapevi che Io c’ero, e perché allora non hai fatto conto su di Me? Perché hai preferito altro a Me?”. È lì la nostra responsabilità! Se noi sappiamo che Egli c’è, perché poi non facciamo conto su di Lui? Noi sappiamo che Lui c’è, perché tutte le cose, tutte le creature ci dicono: “Non ci siamo fatte noi da sole, un Altro ci ha fatte”.

Tutte le cose sono dei cartelli che ci indicano Colui che è il Creatore di tutte le cose. Noi possiamo soltanto guastare, noi possiamo soltanto rovinare, ma non possiamo fare, creare niente, anzi, possiamo ridurre tutto a niente (“Senza di Lui è ridotto a nulla tutto ciò che è fatto” - Gv 1, 3) “Tu puoi, come diceva il De Vasto, schiacciare un insetto, ma non lo puoi ricostruire”. Così tu puoi strappare una foglia da un albero, ma non la puoi più riattaccare. Vedi? Ecco quindi quello che la creatura fa! La creatura diminuisce, può soltanto diminuire quello che è fatto, per cui il difetto sta sempre nella creatura.

Quindi, siccome tutte le creature dicono a noi: “Noi da sole non ci siamo fatte, tu non ci hai fatte, ma è un Altro che ci ha fatte”, noi dobbiamo allora guardare a quest’Altro!

Noi siamo infatti capaci di osservare ed intendere le cause che servono per i nostri interessi. Se dunque siamo capaci di intendere ciò da cui dipende una cosa (ad esempio, se voglio… piantare un cavolo, devo sapere le cause che mi fanno fiorire il cavolo, per cui divento capace di intenderle), perché non siamo allora capaci di cercare la Causa prima da cui tutto dipende?

Il Signore dice: “Voi siete stati capaci ad intendere i segni dei tempi, per cui dite: è rosso di sera, domani fa bel tempo; oppure se vedete una nuvola venire da ponente, dite: domani fa brutto (cioè siete stati capaci a collegare gli effetti con la loro causa!), e perché allora non siete altrettanto intelligenti nel capire il senso delle cose, nel capire chi è il Creatore di tutto? Cioè perché non siete altrettanto intelligenti nel capire che cosa vi significano, che cosa vi dicono tutte le cose?” (cf Lc 14, 54-56). Esse ci richiamano alla loro Causa, al loro Creatore. Perché non lo capiamo?

Tu capisci che se tutte le cose sono opere di Dio, allora tutte le cose sono parole che ci indicano Colui che parla, che ci orientano a Lui, ci rivolgono a Lui.

E come mai allora se tutte le cose parlavano a noi di Dio, noi non abbiamo guardato a Dio?

Ecco, in noi c’è qualcosa di guasto; si è guastato qualche cosa! Abbiamo lasciato entrare una molteplicità di altri interessi!

Perché se noi fossimo semplici, se fossimo come dei bambini e sentissimo un rumore, sentendo un rumore andremmo alla ricerca fintanto che non scopriamo la fonte del rumore. Ecco la semplicità! Ora, tutte le creature sono un rumore, ma noi non ne vediamo ancora la fonte. Se siamo semplici, andiamo verso la loro fonte, e non siamo tranquilli fintanto che non scopriamo la fonte di questi rumori.

Invece tra le creature e Dio ad un certo momento c’è una frattura. Come mai? Non abbiamo più tempo per seguire la segnalazione che ci danno le creature. Abbiamo i nostri interessi. È l’io che si frappone tra le creature e Dio.

Giovanni M.:  Questa segnalazione delle creature, l’uomo la sente?

Luigi: E come la sente! Te la denuncia continuamente, perché vivendo solo per guadagnare, vivendo solo per il lavoro, per il denaro e per cose che passano, l’uomo soffre, è triste dentro di sé.

Perché porta questa tristezza? Ma perché non ha continuato il suo cammino!

Infatti l’uomo quando nasce, direi, è tutto un “perché”, è tutto una ricerca, è tutto un’invocazione, è tutto un bisogno di trovare Dio. Come mai ad un certo momento si ferma? Perché subentra un altro interesse, per cui non ha più tempo. Ma quello lo rende triste, per il fatto che gli rimane insoddisfatto il “perché”. Ed è poi questo che forma in lui quella insoddisfazione fondamentale!

Se lui invece fosse stato tanto semplice da poter seguire l’onda dello Spirito che lo chiamava, arrivando a Dio, lui avrebbe trovato l’appagamento dei suoi “perché”. E allora si sarebbe formata  in lui quella unità di spirito con Dio, la quale è fonte di pace. Invece…

Angelo B.: Invece resta triste, ma non sempre riesce a capire la causa di questa sua tristezza.

Luigi:  Ah, no, l’uomo non può fare la diagnosi, no! Il malato non può fare la diagnosi. Chi fa la diagnosi è colui che vede: per fare la diagnosi bisogna avere la luce.

L’uomo subisce la malattia, subisce la tristezza, ma non sa a che cosa attribuirla. È lì il dramma, perché poi lui la attribuisce alla creature o alle ingiustizie umane, e, indubbiamente, non può fare diversamente. È come un malato che ad un certo momento, non sapendo fare la diagnosi della sua malattia, la attribuisce a chissà quali altre cause ostrogote, oppure a qualche maledizione…

Vedi come noi andiamo errando nelle cose, quando non abbiamo la luce? Però il male lo subiamo, e la tristezza la portiamo con noi.

Ma qual è questa tristezza? La tristezza profonda è questa: il cammino che si è interrotto!

Angelo B.: E chi è che ci può far capire il perché di questa tristezza?

Luigi: Ah, ma è solo Cristo, il Messia! È Lui che ce lo fa capire, se assimiliamo le sue parole e i fatti della sua vita. Perché è valido il Vangelo? Perché risponde ad una situazione di malattia nostra. Lui è Colui che viene a giustificare le nostre situazioni e ad indicarcene la via di uscita. Quando Lui dice: “Non affaticarti per il mangiare e per il vestire” (Mt 6, 31), ma Lui ci libera da una tristezza! Perché noi siamo tristi? Noi siamo tristi perché viviamo per il mangiare e per il vestire.

Ora, siccome quello non risponde alle esigenze profonde della nostra anima, della nostra vita, noi ci sentiamo frustrati, offesi. È come se, ad esempio, una persona ci amasse soltanto per la… cravatta che portiamo o per il vestito che abbiamo, o per i danari che abbiamo: noi ci sentiremmo offesi. Come mai?

Noi ci sentiamo offesi da una persona che ci ama solo per i denari che abbiamo, perché non considera la parte essenziale della nostra personalità, del nostro essere. Ci sentiamo offesi, perché non ci ama per quello che siamo. E così è lo stesso: se viviamo per cose relative, ci sentiamo offesi, avviliti, tristi, perché esse non rispondono alle esigenze del nostro spirito, poiché noi non siamo stati creati per esse, ma per Dio, per conoscere la Verità.

Quindi il non vivere per conoscere Dio, cioè, il vivere per delle cose relative, crea sempre una profonda tristezza dentro di noi, anche se queste cose relative ad un certo momento ci fanno battere le mani da tutto il mondo. Ma anche se abbiamo tutto il mondo che ci batte le mani e ci dice: “tu sei grande, ecc.”, non è sufficiente per cacciare questa tristezza. È la nostra coscienza che dentro di sé non è soddisfatta e che quindi prova questa profonda tristezza. Però non può farne la diagnosi.

Il Cristo, venendo, ci libera da quello che noi crediamo siano i nostri bisogni essenziali, i nostri doveri, che ci hanno troncato la via essenziale, e ci riporta su quella strada sulla quale già eravamo. Sulla quale già eravamo, sia ben chiaro, perché quando si era bambini già eravamo sulla strada giusta.

Dio ci crea già su questa strada; infatti abbiamo bisogno di conoscere e noi quando andiamo a cercare il “perché” delle cose, siamo già avviati. Infatti il bambino è tutto un “perché?”, è tutto un’interrogazione.

Però ad un certo momento, magari per educazioni sbagliate, per tante cose, subentra un disorientamento, una deviazione, una distrazione, per cui ci rivolgiamo ad altri beni, ad altre cose che riteniamo valide per la nostra vita (e quando scopriremo l’inganno, magari sarà troppo tardi), per cui non abbiamo più tempo interiore per l’ascolto di Dio. Resta ancora l’interrogazione: “Chissà perché? Chissà perché?”, cioè diventiamo magari tutto un’interrogazione, ma non abbiamo più tempo ad occuparci di Dio.

Mentre invece il primo diritto dell’uomo, che dovrebbe essere rispettato essenzialmente ovunque, è il diritto alla ricerca di Dio, il diritto ad occuparsi di Dio, a pensare a Dio. E, direi, sotto questo diritto dovrebbero essere posti tutti gli altri doveri. Questo è il primo diritto, perché questo è l’elemento essenziale che forma l’uomo.

L’uomo deve avere del tempo, soprattutto del tempo interiore, per cercare Dio, per pensare Dio. Addirittura Gesù subordina il problema del mangiare e del vestire (che sono gli elementi essenziali per il nostro vivere) al cercare Dio prima di tutto, a questo bisogno di trovare Dio, perché lì, in quel bisogno, abbiamo l’anima: l’anima è lì!

Infatti se tu dovessi definire l’essenza, la sostanza della nostra anima, come la definiresti? Quello che ci distingue da tutte le altre creature, quello che ci distingue dagli animali e tutto quanto, che cos’è? È l’anima! L’anima è desiderio di Verità, desiderio di Dio, desiderio che l’uomo porta in sé.

Angelo B.: E che l’animale invece non ha.

Luigi: Che l’animale invece non ha. Ora noi trascurando di cercare Dio, offendiamo questa fame, cioè offendiamo la nostra anima, poiché la nostra anima non vive da sola, come non vive da solo il nostro corpo quando ha fame.

Quindi la fame, il desiderio di Dio, è il bisogno di vita che portiamo dentro di noi. Infatti il Signore dice: “A che vale che tu possieda anche tutto il mondo se la tua anima muore?” (Mt 16, 26). Quindi la prima cosa essenziale da curare è questo desiderio di Dio che portiamo in noi, questo desiderio di Verità, questa fame di Dio che portiamo in noi.

Bisogna cioè subordinare tutto a questo, perché come dico, deve essere il primo diritto che l’uomo ha, che deve far valere, al quale non deve assolutamente rinunciare e che deve essere rispettato da tutta la società, da tutti quanti.

Giovanni M.: Quindi è per questo che Giovanni Battista dice tanti “no” e dice: “Non sono io il Cristo”.

Luigi: Sì, per mantenersi libero per Dio e difendere il suo diritto ad occuparsi di Dio. Lui si rifiuta di essere considerato come il Messia, l’Atteso, e dice: “Io non sono il Cristo ”, e nello stesso tempo, parlando così, si mantiene libero, capisci? Perché quando uno dice: “Sono io il messia, sono io il tuo tutto, quello che risolve per te tutto”, uno si incatena!

Invece Giovanni Battista segue la via della libertà per occuparsi di Dio, per parlare di Dio, per dipendere solo da Dio.

D’altronde, presentandoci come “salvatori”, noi non faremmo altro che ingannare. Quindi, siccome Colui che risolve il problema di ogni creatura è solo Dio, noi non dobbiamo mai sostituirci a Dio, perché ad un certo momento salta poi fuori la delusione, l’inganno, il tradimento, ecc.

Pinuccia B.: Quindi il Battista aveva veramente lo spirito di Elia (Elia, come era stato preannunciato, doveva tornare nell’imminenza della venuta del Messia), come precursore del Cristo e come profeta.

Luigi: Si capisce. Però lui è quello! Perché Gesù dirà proprio che “Elia è venuto, ma voi non lo avete conosciuto”.

Pinuccia B.: Quindi lui è proprio il precursore, colui che doveva venire ed è anche profeta...

Luigi: Però lui proprio perché è il precursore, non parla di sé, non gli interessa parlare di sé. Sarà Gesù che dirà ciò che lui è, lui no. Lui segnala un Altro. È questa la funzione dell’indicazione stradale, della segnalazione. Ora, il cartello stradale non dice: “Io sono un cartello stradale”. Il cartello stradale dice: “Questa è la freccia: va’ a Torino!”.

Così anche Giovanni Battista: lui si rifiuta di dire chi lui è. Per cui quando gli chiedono: “Sei Elia?”, cioè “sei un cartello stradale?”, risponde: “No, non lo sono”, appunto perché non parla di sé. Non deve parlare di sé. Ecco, non deve parlare di sé! Per cui dice: “Io sono una voce”, ecco: “io sono una freccia”.

Giovanni M. : E sarà Gesù che lo rivaluterà in seguito quando dirà: “Ma chi siete andati a vedere nel deserto? Forse una canna sbattuta dal vento? …un profeta? Sì, vi dico, anche più di profeta…, ecc.” (Mt 11, 7-14).

Luigi: Certo, ma vedi, siamo sempre lì: chi dirà ad ognuno di noi chi siamo sarà Dio, non siamo noi che dobbiamo dirlo. Così pure è un errore pensare di doverci difendere. Quante volte si sente dire: “Io devo difendere il mio onore, perché quello là mi ha offeso, ecc.”. E guarda poi da questo quante complicazioni vengono fuori! Se invece noi non pensiamo a noi stessi, sarà Dio Colui che ci difenderà; sarà Dio che dirà quello che noi siamo. A noi non deve interessare questo.

La nostra preoccupazione deve essere solo quella di rendere gloria a Dio, per cui: “Noi siamo venuti qui per parlare di Dio”: ecco la freccia! quella che indica la via. Ed è poi quello che indicano tutte le creature, per cui dinanzi ad una freccia, nessuno può dire: “Io non ho visto la freccia” (ecco, tu mi dicevi: “Come fanno coloro che non hanno la Parola di Dio scritta…?”) e nessuno si può scusare per aver sbagliato strada. Come mai ti sei trovato in una strada sbagliata? La freccia c’era. Come mai non l’hai vista? Dovevi vederla: la freccia si fa vedere.

Eligio: Non l’hai vista perché avevi altri amori!

Luigi: Ecco, c’erano altri amori che ti hanno impedito di vederla! È quello il fatto! Per cui se noi siamo semplici, la freccia la vediamo. Per questo il Signore ci invita a ritornare semplici come bambini: “Se non ritornerete semplici come bambini, non potrete entrare nel Regno di Dio” (Mt 18, 3).

Cos’è questa semplicità che fa entrare? È la semplicità di colui che dice: “Ah, la freccia è questa, quindi seguo la strada che essa mi indica”. Ecco la creatura semplice!

La creatura semplice dice: “C’è scritto cento? pago cento; c’è scritto dieci? pago dieci”. Ecco, è il rispetto dei valori e quindi della giustizia: giustizia che vuol dire dare ad ognuno il suo. Dio è l’Essere più importante, quindi mi devo dedicare molto più a Dio che non alle creature. Ecco la semplicità, la creatura semplice!

Quindi nessuno può dire: “Io non sapevo!”. Perché avanti a Dio non ci può essere nessuna creatura! È Lui che va messo prima di tutto!

Giovanni M.: Infatti non c’è un passo del Vangelo che dice: “Se non avessi parlato, non sareste in colpa…”?

Luigi: Ah, sì: Se Io non fossi venuto e non avessi loro parlato, non avrebbero colpa; ma dal momento che sono venuto e ho parlato, non hanno scuse per il loro peccato ” (cf Gv 15, 22).

Giovanni M.: La nostra colpa sta nel non aver accettato le sue Parole.

Luigi: Certo, perché chi parla si fa sentire. È poi la valutazione che noi diamo che determina tutto! Per cui se a noi non interessa Dio, quando arriva a noi la sua Parola, noi non vi facciamo caso e la trascuriamo. Ecco, il difetto sta lì: nel modo con cui noi valutiamo l’annuncio che ci giunge. Per cui, una persona ci parla di Dio? “Ma a me Dio non interessa”. Ecco, chiuso!

Giovanni M.: Questo disinteresse è già un rifiuto.

Luigi: Ma quando io rifiuto, rifiuto ciò che già mi è arrivato. Io non posso non vedere! Se mentre cammino un cane mi attraversa la strada, io posso dargli un calcio, ma non posso non vederlo. Anche se gli do un calcio, ormai l’ho visto! Qualunque cosa che accade, la vediamo, per cui: “tu hai visto!”, ci verrà detto.

Quindi il difetto non sta nel non vedere; il difetto sta nel come valutiamo ciò che arriva a noi.

E noi valutiamo tutte le cose in funzione dei nostri interessi, per cui se ci parlano di una cosa che non ci interessa, non le diamo valore e non vi prestiamo attenzione. Ad esempio, mi parlano di football? Se non ascolto, implicitamente dico: “Non mi interessa”. E così anche: mi parlano di Dio? Se sono semplice, ne riconosco il valore e dico: “Mi interessa”. Se non lo sono, mi occupo di altro, dicendo implicitamente: “Non mi interessa”. Che cos’è che mi fa dire: “Mi interessa o non mi interessa?” Vedi, è questa dimensione personale qui, questa semplicità o assenza di semplicità.

Ora, se noi siamo semplici, ci interessiamo molto di Dio, perché, come dico, ci interessiamo a ciò che vale di più e ci interessiamo meno di quello che vale meno.

Se invece noi pensiamo a noi stessi, implicitamente, nel pensiero del nostro io avviene già un capovolgimento dei valori: noi diamo molta più importanza a quello che esalta il nostro io, a quello che fa piacere al nostro io e trascuriamo invece quello che magari impegna il nostro io a superarsi, a dimenticarsi.

Per cui, è vero che Gesù dice: “Se Io non fossi venuto e non avessi parlato non sareste in colpa,…”, ma Dio parla in tutto. Dio parla in tutto! Quindi ogni creatura, come Giovanni Battista, è “voce” di Dio, per cui, se noi non ci mettiamo in ascolto, siamo in colpa.

Giovanni M. : Ogni creatura, ogni cosa, essendo “voce”, ci testimonia la grandezza di Dio e ci fa riconoscere la nostra miseria.

Luigi: Purtroppo però noi non facciamo più caso alle cose. Tu prova ad immaginare di essere sulla luna dove tutto è arido, brullo, ecc., e di scoprire ad un certo momento un filo d’erba, solo un filo d’erba: tu pensa che stupore e che meraviglia! Come ti inginocchieresti di fronte a Colui che ha creato questo filo d’erba, che è poi solo un filo d’erba?! Capisci quello che voglio dire?

Ora, come mai noi siamo di fronte a delle meraviglie continue, a dei miracoli continui, a questa creazione che è continua, e non ce ne accorgiamo? Per noi tutto è scontato! Vedi che c’è qualcosa di sbagliato in noi?

Giovanni M.: Allora queste parole: “Se non avessi parlato…”, non si riferiscono soltanto al Verbo incarnato che è venuto a parlarci, vero?

Luigi: Gesù quando dice: “Se non avessi parlato…”, ci rivela quello che Dio dice tutti i giorni, perché Dio è Colui che parla continuamente. Non è che possiamo dire: “Gesù ha parlato allora”. Quello che ha detto allora ci rivela quello che tutti i giorni dice a noi. Per cui Dio parla a noi ora, sempre.

Ma come, Dio parla a te, e tu non L’hai ascoltato? Dio parla a te e tu non hai guardato a Lui? Ecco la colpa! Come mai non L’hai guardato? Perché hai preferito la creatura (ecco l’essenza del peccato!) al Creatore? Cosa c’è di guasto in te, per cui tu hai preferito la creatura al Creatore? Ecco, c’è qualcosa di guasto! Ecco la creatura che non è più semplice! Come mai?

Perché la creatura ti batte le mani, invece il Creatore magari ti dà una bastonata.

Giovanni M. : E poi, non solo la creazione, ma anche tutti gli avvenimenti che succedono in questo mondo sono una testimonianza di Dio.

Luigi: Ah, tutto è lezione di Dio. Certo, tutto è lezione di Dio!

Giovanni M. : Se uno vede le cose nel Pensiero di Dio, in tutti i fatti che succedono vede tutti gli errori che fa l’umanità…

Luigi: E sono lezione di Dio, perché se tu poi cerchi la fonte di tutti questi errori, tu trovi poi soltanto questo: che è solo il prevalere di cose che passano; e lì apportano già una lezione. Perché faccio la guerra con il mio vicino? Ma per possedere qualche bene, per ottenere qualche cosa che domani certamente dovrò lasciare, perché dovrò morire. Ora, l’errore è evidente! Ma come, tu ti offendi, ad esempio, con il tuo fratello per una cosa che domani certamente lascerai?

Ma l’amore al fratello è molto più importante della cosa per cui lotti! Quindi perisca la cosa, ma salva l’amore al fratello!

Vedi i valori in Dio come sono diversi?

Ora evidentemente tutti i mali che si scatenano nel mondo, si scatenano soltanto perché noi ci avvinghiamo a delle cose che passano. Non siamo quindi liberi, ma siamo posseduti dalle cose che passano.

Angelo B.: Che tutto sia “voce” di Dio, che tutto ci rechi un messaggio di Dio, è relativamente facile crederlo, se crediamo in Dio Creatore; ma la difficoltà sta nel capire il perché mi sia capitata una cosa ; cioè è difficile leggere, è difficile capire il significato…

Luigi: Certo, è difficile, ma il capirlo dipende dalla tanta profondità che portiamo dentro di noi, cioè dalla tanta amicizia con Dio. Più noi ci siamo raccolti nel silenzio e più ci è facile capire, leggere il significato.

Perché, vedi, in un primo tempo ci vuole molto silenzio e raccoglimento sulle parole di Gesù, perché, indubbiamente, tutte le creature ci insegnano a guardare a Dio, ma quando abbiamo capito questo, dobbiamo fare ciò che esse ci hanno insegnato: dobbiamo cioè imparare a chiudere gli occhi, a staccarci da esse e prendere contatto con Dio.

Allora proprio in questo contatto con Dio noi impariamo a leggere.

Per cui dopo, in un secondo tempo, li apriremo di nuovo gli occhi, ma li apriremo con uno spirito diverso, con una  certa capacità di leggere. E più noi ci raccogliamo in Dio e più diventiamo capaci di raccogliere e quindi di leggere.

Ecco perché dobbiamo aiutarci molto con il Vangelo! Perché il Vangelo ci aiuta molto a questo silenzio, a questo raccoglimento in Dio, perché le lezioni che si trovano nel Vangelo sono molto vicine a darci il significato delle cose.

Poi quando abbiamo creato questa profondità in noi, allora guardando il mondo esterno, ognuno intende il significato delle cose e dei fatti a seconda di quello che porta dentro di sé. E tu capisci che ognuno guarda con superficialità o con profondità, a seconda di quello che porta dentro.

Quindi, se non sei capace a leggere le cose che avvengono fuori, impara prima a raccoglierti dentro di te e metti dentro di te qualche cosa. Quando avrai messo dentro di te qualche cosa, allora guardando fuori, saprai leggere. Si richiede però sempre questa dimensione interiore.

Angelo B.: Se noi riferiamo tutto a Dio, ci penserà Lui ad insegnarci a leggere, no?

Luigi: Certo, se guardiamo a Lui. La lezione principale, comprendendo che Lui opera in tutto, è quella di accettare tutto da Lui; questa è la lezione fondamentale: accettare tutto da Lui. Ma quando uno accetta, poi incomincia ad interrogare.

Tu capisci, accettando, tu ritorni bambino, cioè incominci a chiederti il “perché”. Perché accettando dalle mani di Dio, ti interroghi: “Perché Dio fa questo?”. Ecco, allora tu incominci ad interrogarti su tutto.

E se continui a rimanere in questa semplicità, ti viene per forza da continuare ad interrogare, perché vivendo alla presenza di un Essere che opera, ti viene da chiedere perché opera così.

Ecco, il figlio che vive alla presenza del Padre, continuamente cerca di capire perché il Padre opera così, perché il Padre fa così, ecc.. Ecco, cerca di capire il significato, di capire il Pensiero, l’animo del Padre.

Ora, se a noi effettivamente sta a cuore Dio, accettiamo tutto da Dio: non possiamo pretendere di intendere il significato, ma incominciamo ad interrogare. Sarà Dio che ci illumina, indubbiamente; perché tutto ci viene da Dio, anche l’intelligenza delle parole che Lui dice.

E quindi questo pensare a Dio, ci fa raccogliere in Dio, però ci resta il desiderio di intendere ciò che Lui fa, per cui Lo interroghiamo. È proprio il Pensiero di Dio che ci porta ad interrogare e a desiderare di capire.

Se invece noi trascuriamo Dio, non ci interessa più che Lui faccia una cosa o ne faccia un’altra e non ci interessa capire il significato di ciò che Lui fa. A noi interessa altro: interessa guadagnare denaro, ad esempio, quindi non ci interessa più capire il significato delle cose.

Ecco, è il tanto pensiero dato a Dio, il tanto pensare a Dio che ci porta ad interrogare!

Emma D.: Il Battista con le sue parole ci ha fatto capire che ogni cosa, ogni creatura, ogni fatto è una “voce” che ci reca un messaggio di Dio. Se ci reca un messaggio, bisogna desiderare di capirlo.

Luigi: Il messaggio di base è sempre un invito a raddrizzare le vie del Signore, riferendo tutto a Lui e non alle cause seconde e questa è la condizione per giungere a capire il messaggio specifico, il significato di ogni cosa o fatto, raccogliendolo in Dio.

Bisogna cioè raccogliere tutto in Dio; e per raccogliere non basta accettare da Dio, ma bisogna riportare in Dio ciò che si è accettato, per cercare di capirlo da Lui. È Lui che illumina la cosa. “Chi con Me raccoglie, riceve mercede di vita eterna”. Ecco, ci vuole quel “con Me”.

Cina: Penso che sfuggiamo molto a questo lavoro interiore che bisogna fare per cercare di intendere il significato delle cose e degli avvenimenti…E allora ci troviamo lì, in balìa di tante cose…

Luigi: Ma secondo te, che cosa si deve fare per cercare di raccogliere? Che cosa si può fare per non sfuggire a questo lavoro interiore?

Cina: Appunto, è proprio questo continuo coltivare il raccoglimento, la meditazione della parola di Dio. È questo che mi fa capire l’importanza di questo lavoro e mi aiuta a restare in questa lezione del Battista, in questo raddrizzare le vie del Signore, in questo raccogliere tutto in Lui. Altrimenti, se non si fa questo lavoro, si resta come pecore senza pastore. Ed è terribile, perché si finisce di esperimentare proprio la dispersione, la non-vita.

Luigi: Certo, se non raccogliamo in Lui, i nostri pensieri sono dispersi come pecore senza pastore.

Cina: Per cui si continua ad interessarci di questo e di quello, e alla fine si è proprio portati via da questo pensiero… Ma poi a ritornare ce ne vuole!

Luigi: Certo. È il pensiero dell’essenziale che bisogna sempre avere presente e che va messo prima di tutto: “Una cosa sola è necessaria” (Lc 10, 42) e quest’unica cosa necessaria è la parte scelta da Maria: l’ascolto di Dio, il raccogliere tutto in Dio.

Se Gesù ha messo quest’unica cosa necessaria addirittura in rapporto con il mangiare e con il vestire e, rimproverando Marta, ha addirittura declassato il mangiare, per evidenziarci l’importanza dell’ascolto, del raccogliere tutto in Lui (e raccogliere vuol dire poi cercare prima di tutto il Regno di Dio), ciò significa che quello è veramente l’essenziale che bisogna sempre avere presente.

Non è una scelta fatta una volta tanto o una volta per tutte, per cui “vado in clausura e ho risolto il problema”, no!

Cina: Nel campo materiale siamo costretti dal mangiare e dal vestire, per cui se abbiamo fame, non possiamo fare a meno di cercare il pane. Invece per le cose dello spirito ci vuole un superamento, uno sforzo di volontà, perché non ne siamo costretti.

Luigi: Ma guarda che noi la sentiamo la fame perché l’anima la portiamo, il desiderio lo portiamo, però è un desiderio che è lì per morire, perché è esaurito…, soffocato….

Cina: Avremmo bisogno di essere portati per amore o per forza. E invece possiamo allontanarci: è terribile quello, perché invece di scegliere il meglio, si sceglie il peggio.

Luigi: E quando la fame dello spirito non si fa più sentire, la situazione è grave. Infatti, nel campo dei segni, la persona esaurita, quando non sente più il bisogno di mangiare, si trova in una situazione molto grave. E noi arriviamo a quel punto lì.

Angelo B.: Siamo esauriti spiritualmente.

Luigi: E già! La nostra anima arriva al punto in cui noi non sentiamo più il bisogno di nutrirla, non sentiamo più il bisogno di mangiare spiritualmente; e questo vuol dire che la situazione è molto grave: non abbiamo più tempo per Dio! Cioè Dio non ci attrae più.

Cina: Che questo non abbia mai a succedere! Che Dio ci attragga Lui e ci prenda, se necessario per i capelli!

Luigi: C’è da tener presente questo: più noi siamo vicini a Dio e più sentiamo tanta attrazione per Dio, per cui il mondo potrebbe sovrabbondare con tutti i suoi doni, ma niente ci distoglierebbe.

Invece quando siamo lontani da Dio, noi siamo poco attratti da Dio. Addirittura si arriva al punto in cui Dio non attrae più, non sentiamo più il desiderio di Lui. Perché? Perché siamo soddisfatti; per cui diciamo: “Ma io non ho bisogno di cercare Dio…, io non ho bisogno di conoscere Dio…”. Perché? “Perché ho tutto quello che desidero…, sono soddisfatto…, non ho bisogno di altro…, sto bene…”.

Ecco, quando la creatura ha altri interessi ed è soddisfatta, ragiona così. Tutt’al più dirà magari: “Ho bisogno di denaro”, ma Dio non gli interessa più. E allora non si è più attratti da Dio: lì diventa grave la cosa!

Cina: È una vera malattia!

Luigi:  Sì, ma…Insomma, parrebbe che più uno è lontano da Dio e più dovrebbe sentire il bisogno di Dio; invece no, avviene il rovescio: più uno è vicino a Dio è più è attratto da Dio. È la tanta vicinanza che crea tanta attrazione.

Ma la vicinanza è data dall’interesse per Lui e l’interesse per Lui nasce dal nostro bisogno di Lui, dall’aver capito cioè che Dio è tutto per noi. Se veramente siamo convinti che abbiamo bisogno di Lui per la nostra vita, per la nostra pace, per la nostra gioia, allora grande diventa il nostro interesse per Lui!

Invece se non capiamo di aver bisogno di Dio, non abbiamo interesse per Lui, per cui ci allontaniamo da Lui. E più noi siamo lontani da Dio e meno ne sentiamo l’attrazione e quindi meno ne sentiamo il bisogno. Succede proprio questo: quando più magari dovremmo averne bisogno, meno invece ne sentiamo il bisogno.

Emma D.: Allora il Signore ci manda le sue buone lezioni, che sono magari… bastonate.

Angelo B.: Cioè magari ci manda qualcuno a pestarci il piede…

Luigi: E già, ma non è detto che capiamo!

Cina: O magari ci richiama più dolcemente come il suono di questa campana che arriva ora alle nostre orecchie e che ci invita a recitare l’“Angelus” della sera.

Luigi: Anche questo è una “voce”, voce di Dio che ci invita a raddrizzare le vie del Signore.