HOME

 


Nessuno ha mai veduto Dio; è lo stesso Unigenito che sta nel seno del Padre che lo ha svelato. Gv 1 Vs 18


Titolo: Vedere Dio.


Argomenti: L’uomo di per sé non può vedere la Verità - Toccare con mano la cecità dello spirito -  Il segno relativo ci annuncia l’assoluto -  La conoscenza di Dio ci viene solo da Cristo -  La tentazione – L’uomo è fatto per la Verità – Tobia – Il cieco di Gerico – Il bisogno dell’uomo – Il giusto e il peccatore – Le due classi di ciechi – Il metro per misurare il relativo è l’assoluto – Essere dipendenti da Cristo – La scoperta della nostra cecità -


16/Maggio/1976


 

Dall'esposizione di Luigi Bracco:

 

L'argomento di questa sera ci viene offerto da questo versetto: “Nessuno ha mai veduto Dio; è lo stesso Unigenito che sta nel seno del Padre che Lo ha svelato”.

Come prima cosa cerchiamo di approfondire il significato di queste parole. Le parole del Vangelo sono sempre un messaggio, un'informazione. Un'informazione, in quanto giunge a noi, ci giunge per opera di Dio ed è quindi apportatrice in noi di un aumento di vita se noi ne capiamo il significato.

Abbiamo sempre detto che il problema centrale di tutte le cose è sempre quello di passare dal segno al significato, ma l'anima di questo passaggio è sempre il Pensiero di Dio.

Se non teniamo presente il Pensiero di Dio, noi, anche magari credendo di intendere bene o di fare bene, ci fermiamo sempre e soltanto al pensiero del nostro io, per cui riferiamo quello che arriva a noi al pensiero del nostro io, e ci fermiamo lì; quindi non passiamo al significato, o perlomeno, se passiamo al significato, intendiamo sempre un significato rapportato al pensiero del nostro io e non quindi il vero significato, perché il vero significato è in Dio.

Mentre invece se noi teniamo presente Dio, in quanto giunge a noi una parola, un fatto, un avvenimento, proprio perché teniamo presente Dio e quindi riferiamo la cosa a Dio, andiamo alla ricerca del motivo, della ragione, del perché Dio ci abbia fatto giungere questo.

Così anche leggendo il Vangelo, la Bibbia, che è poi la sintesi di tutti gli avvenimenti che avvengono nella storia, nella vita dell’umanità, nella vita di ognuno di noi, nella natura, ecc., noi dobbiamo sempre cercarne la ragione, il significato in Dio, perché è Lui che parla a noi o che fa giungere a noi un certo fatto o un’informazione.

Così qui, leggendo “nessuno ha mai veduto Dio”, noi dobbiamo chiederci qual è il significato di questo messaggio, di questa informazione, cosa vuol dire a noi “nessuno ha mai veduto Dio”.

Allora:

dicendo “nessuno” s'intende: "nessun uomo” (quindi “nessun uomo ha mai veduto Dio”);

dicendo: “non ha mai veduto Dio”, questo vuol dire ad ognuno di noi: “Tu non devi cercare dagli uomini la conoscenza di Dio, la Verità; non la devi cercare presso nessun uomo, perché “nessun uomo ha mai veduto Dio”;

non soltanto non devi aspettartela dagli uomini o non devi cercarla negli uomini, ma non devi nemmeno pretenderla da te stesso o credere di poterla trovare da te stesso, perché l'uomo di per sé non può vedere la Verità.

Ecco, l'anima di questo messaggio che Dio ci fa arrivare, è questo: l’uomo di per sé non può vedere la Verità. È questo, direi, il primo insegnamento, la prima lezione di questo versetto: l'uomo non può vedere la Verità.     

Però qui nasce subito in noi un altro pensiero, ed è questo: eppure l'uomo è fatto per la Verità! L'uomo desidera la Verità! Direi, se c’è un’infelicità nell’uomo, è proprio quella che è determinata dal non poter vedere la Verità.

Dunque, l'uomo non può vedere la Verità (e la Verità è Dio), eppure è fatto per conoscere Dio, è fatto per la Verità, ed è infelice fintanto che non giunge a conoscerla, fintanto che non giunge a vederla.

C'è nella Bibbia, nel Libro di Tobia, un'espressione che denota bene questo fatto: quando l'Arcangelo Raffaele si presenta per accompagnare il figlio di Tobia nel viaggio, augura a Tobia, che è cieco, la felicità, e lui risponde: “Quale felicità posso mai avere io che non vedo la luce del cielo?” (Tb 5,10). Ecco, rivela proprio la situazione dell'uomo: l'uomo che non vede la luce del Cielo non può essere felice.

E nello stesso tempo noi abbiamo anche nei Vangeli una figura che rivela bene lo stato dell'umanità: il cieco di Gerico. Egli invoca Gesù gridando e Gesù gli chiede: “Che cosa vuoi che Io ti faccia?” (Mc 10, 51).

Questo cieco è una figura esemplare, perché è carica di lezione per ognuno di noi, in quanto è un cieco che non si rassegna alla sua cecità, non si rassegna alla voce degli uomini, anche di quelli che stanno attorno a Gesù e che gli dicono di tacere, di far silenzio, ecc.; anzi, continua ad invocare il Signore. E quando finalmente Gesù si ferma e lo manda a chiamare chiedendogli: “Che cosa vuoi che Io ti faccia?”, lui gli risponde: “Signore, che io veda!” .

Ecco, il fatto di poter già individuare il bisogno principale della nostra vita, il bisogno di vedere (bisogno che ci viene rivelato dall’invocazione di questo cieco, perché in questo cieco è rappresentata tutta l'umanità), è già avere una grande luce con noi. Infatti il fatto di capire di essere ciechi è già portare con noi la luce, l’evidenza del nostro bisogno principale: vedere! Perché la maggior parte degli uomini, come dice Gesù, “sono ciechi, ma credono di vedere” (Gv 9, 41), ed è l’errore fondamentale, perché chi crede di vedere, non cerca più la luce.

È l'errore della ricchezza, per cui Gesù dice: “Beati i poveri...” (Mt 5, 3), perché quando l'uomo è ricco, non ha bisogno di altri beni, è soddisfatto o per lo meno, ha qualcosa su cui far conto e allora non sente più il bisogno. Il povero invece è la creatura che ha bisogno di qualche cosa.

E così anche: è l’errore di chi si crede giusto, perché il giusto non ha bisogno di nulla. Invece il peccatore ha bisogno del perdono, ha bisogno di essere compreso, ha bisogno di essere perdonato.

Quindi nell'uomo peccatore, nell'uomo povero, nell'uomo cieco, abbiamo l'uomo vero, abbiamo l'uomo autentico, abbiamo il vero uomo. Mentre invece nell'uomo ricco, nell’uomo giusto (nell’uomo che si crede giusto), nell'uomo sano, nell'uomo che crede di vedere, abbiamo una dimensione errata.

Allora noi abbiamo due qualità di uomini, uomini ciechi:

uomini ciechi che non sanno di essere ciechi e credono di vedere;

uomini ciechi che sanno di essere ciechi.

Chi invoca la luce sa di essere cieco. Ma per sapere di essere cieco, l’uomo ha bisogno di uno specchio in cui specchiarsi. Ora, il Signore nel campo dei segni fa uomini ciechi e fa uomini con occhi che vedono: gli uomini ciechi nel corpo sono lo specchio dell'anima di coloro che, avendo occhi che vedono, credono di vedere, ma in realtà sono ciechi nello spirito. Dio presenta loro questo specchio per ammonirli.

Ecco perché il Signore crea nel seno dell'umanità il povero ed il ricco, fa il malato e fa il sano, fa quello che muore e quello che nasce, fa lo scemo e fa l'intelligente. Ma tutti coloro che sono, diciamo, “declassati” rispetto all'uomo sano, sono lo specchio di quello che è spiritualmente l’uomo sano, affinché l'uomo che si crede sano, che si crede giusto, che crede di vedere, specchiandosi, comprenda qual è la situazione vera della sua anima e incominci ad invocare. Perché l'uomo può avere occhi, come dice Gesù, ed essere cieco, non vedere: “Hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono” (Gv 12, 40).

Anzi, come si dice in questo versetto, l'uomo fintanto che è “uomo”, non vede mai la Verità, cioè l'uomo naturale non può vedere la Verità.

Ma allora dobbiamo chiederci: come mai l'uomo che è fatto per la Verità, ed è infelice fintanto che non vede la Verità, non la può vedere? È fatto per la Verità, eppure non può vedere la Verità!

L'uomo non può vedere la Verità, diciamo, sul piano naturale, perché tutto ciò che egli vede è ciò che si riferisce al suo io. Infatti tutto ciò che vede, lo vede in quanto lo rapporta al pensiero di se stesso: “Sono io che vedo…, sono io che tocco…, ecc.”.

Tant’è vero che la situazione opposta al cammino della spiritualità, al cammino della fede, è quella dell'uomo che pretende di credere solo a ciò che vede e tocca: qui abbiamo l'uomo che addirittura si mette in opposizione al cammino della salvezza, perché, per poterci aprire al cammino della salvezza, non bisogna pretendere di sottomettere a noi quello che ancora non conosciamo, cioè la Verità stessa, la conoscenza della Verità, la ricerca della Verità, perché, sottomettendola a noi, noi stessi ci facciamo metro, ci facciamo misura delle cose. Ma noi non siamo il metro, non siamo la misura delle cose: Dio è la misura delle cose!

Ora, fintanto che le cose le rapportiamo a noi, per cui diciamo: " Io vedo così…, questa cosa è così perché io la vedo io…, perché la tocco io…, perché la faccio io!", questo che vediamo non può assolutamente essere la Verità. Che cos'è allora ? È un segno! È soltanto un segno di Dio, ma non è Dio.

Quindi allora, tutte le cose che noi attualmente abbiamo presenti, le abbiamo presenti in quanto le riferiamo al pensiero del nostro io, ed in quanto le riferiamo al nostro io, non possono essere la Verità. Sono segni della Verità. Ma sono segni, cioè le vediamo come segni, soltanto se abbiamo presente Dio, cioè se riferiamo le cose a Dio, se riceviamo le cose da Dio.

Ora, che noi dobbiamo ricevere tutto da Dio è già evidente nel campo dei segni, perché in questo stesso campo dei segni Dio ci fa sempre toccare con mano che non siamo noi che facciamo le cose, ma che esse arrivano a noi da un Altro, sono mandate da un Altro: ci sorprendono! Al mattino, appena apriamo gli occhi c'è già Qualcuno che ci presenta le cose; infatti non siamo noi che decidiamo: “Adesso apro gli occhi!”. Dunque, tutte le cose arrivano a noi per mezzo di un Altro! Quindi portano il sigillo, il timbro che è un Altro che le fa: non siamo noi che facciamo le cose! Anche gli stessi avvenimenti ci sorprendono.

Noi stessi abbiamo bisogno di novità! E il fatto stesso che noi abbiamo bisogno di novità, testimonia che abbiamo bisogno di un Altro diverso da noi che faccia giungere a noi le cose. Andiamo alla ricerca di vita, perché noi da soli non stiamo su.

Quindi tutte le cose, giungendo a noi, se abbiamo presente Dio:

le vediamo come segni; sono segni perché sono relative al nostro io; noi non vediamo l’Assoluto in esse, per cui diciamo che sono “cose relative”: appunto, relative al nostro io.

però nello stesso tempo ci annunciano Dio, ci annunciano che un Altro le ha fatte;

quindi ci invitano a cercare un Altro.

Qui tocchiamo con mano che non vediamo la Verità, perché tutte le cose arrivano a noi, mutano, cambiano, non le possiamo fermare; né possiamo fermare il tempo, non possiamo oltrepassare i limiti dello spazio, e continuamente (ne parlavamo la volta scorsa) siamo condizionati dai muri.

Ora tutto questo è segno, ed è un invito, per dire a noi che le cose:

non sono Verità (proprio perché esse mutano),

non dipendono da noi,

ci fanno toccare con mano che noi non capiamo,

per cui non comprendendo, non conoscendo, sentiamo l'infelicità che deriva dal non-vedere;

quindi formano in noi il bisogno di vedere;

non soddisfano tale bisogno, però ci mettono nell'ansia della ricerca di quell'Assoluto che portiamo in noi senza saperlo, ma che dobbiamo trovare consapevolmente;

però questo Assoluto non Lo troveremo consapevolmente fintanto che, identificandolo, non andremo noi stessi alla ricerca di Lui.

Per cui fintanto che noi cerchiamo l'Assoluto nelle cose, noi troveremo sempre degli schiaffoni, noi troveremo sempre delle creature che ci deludono, perché ci dicono: “Non siamo noi quello che tu cerchi! Cerca altrove!”. E allora così, di cosa in cosa, di cosa in cosa, ad un certo momento capiamo dove dobbiamo rivolgere la nostra attenzione, dove dobbiamo rivolgere la nostra ricerca. Cioè dobbiamo arrivare ad essere come quel povero cieco di Gerico che invoca il Cristo: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!”.

Ecco qui abbiamo la creatura che si apre, perché tocca con mano di essere cieca e di non avere la possibilità di guarire, per cui constata che ha bisogno di un Altro. Qui allora, ecco che riconosce, individua Colui che le può dare la luce: “Nessuno mai ha veduto Dio; l'Unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, ce Lo ha rivelato”.

L’Evangelista dice: “…ce Lo ha rivelato”. Ma anche in questa seconda parte del versetto dobbiamo passare al significato, cioè capire che cosa Dio vuol dire a noi attraverso questo messaggio, dicendoci cioè che “l'Unigenito Figlio ce Lo ha rivelato”. Dunque c’è Qualcuno che ci ha rivelato Dio! E ci dice che è l’Unigenito Figlio che Lo rivela a noi

Dicendoci che Lo rivela a noi (perché se Lo ha rivelato è perché Lo rivela), indirizza il nostro sguardo, la nostra attenzione, il nostro bisogno, a quell'Essere, a quella Sorgente da cui poi dopo ci verrà la rivelazione di Dio.

Allora:

noi abbiamo bisogno di Dio, di conoscere Dio, cioè abbiamo bisogno della Verità, di conoscere la Verità,

noi da soli non possiamo trovarla,

non possiamo ottenerla dagli uomini, perché “Nessuno mai ha veduto Dio...”; e d'altronde è logico: l'uomo, come già abbiamo detto, non può vedere Dio, perché tutte le cose che vede sono sempre relative al suo io;

per cui, fintanto che noi non superiamo, non rinneghiamo noi stessi e non diventiamo quindi dei dipendenti da Dio e da Colui che Egli ha mandato, il Cristo (perché è lì, in questa dipendenza da-, il vero rapporto), non possiamo vederlo. Con Cristo ci è possibile: “l'Unigenito Figlio ce Lo ha rivelato”.

L'uomo quindi deve diventare un cieco che dipende dall'incontro con il Messia. Per cui fintanto che noi facciamo dipendere le cose o dalla nostra volontà o dalla nostra intelligenza o dalle creature o dagli uomini, noi siamo su un falso piano, non possiamo arrivare. Quando invece abbiamo finalmente capito di essere ciechi e che la nostra salvezza dipende da un Altro e che quest'Altro è Dio, allora incominciamo ad essere sul piano giusto.

Ecco, dobbiamo essere dipendenti da Cristo; non dobbiamo certamente pretendere la luce, ma la possiamo aspettare, e aspettare da Lui. È da Lui che ci viene la luce, è da Lui che ci viene la conoscenza. Dio vuole che noi giungiamo a conoscere Lui, perché ci ha fatti per questo. Però per arrivare lì, a questa dipendenza da-, noi dobbiamo prima toccare con mano di non vedere, e ci vuole molto tempo prima di arrivare a toccare con mano che noi siamo ciechi!

Infatti per imparare a dipendere da Colui che ci darà la luce, per giungere cioè a incentrarci in Cristo, dobbiamo fare diversi passaggi:

In un primo tempo noi crediamo di vedere, perché crediamo che la realtà sensibile, quella che giunge ogni giorno a noi attraverso i sensi, attraverso gli occhi, ecc., cioè quello che sperimentiamo, sia la vera realtà. E prima di arrivare a capire che invece questa non è la realtà, ma che la Realtà è spirituale, che la Realtà è Dio, ci vuole tanto tempo della nostra vita, ci vogliono tante nasate, tante prove, tante delusioni. E questo è soltanto il primo passaggio!

Il secondo passaggio, dopo aver scoperto che la Verità è un'altra, è perciò quello di scoprire che noi non vediamo, che siamo ciechi: questo è già un passaggio di umiltà, è una scoperta di povertà, è già un'illuminazione. Perché il fatto di scoprire di essere ciechi è già aver ricevuto la prima luce. Ora però per ricevere questa prima luce, bisogna già aver sofferto e quindi aver imparato l’umiltà, perché la luce giunge a noi nella misura in cui abbiamo trovato l'umiltà. Fintanto che noi siamo superbi, fintanto che noi abbiamo il pensiero del nostro io come termine fisso di riferimento, e questo è superbia, noi siamo all'opposto del cammino della conoscenza. Ecco allora che il Signore, attraverso le lezioni della vita, ci fa esperimentare prima di tutto la nostra povertà e ci porta all'umiltà, perché questa è la condizione per ricevere la prima luce: la luce della cecità, dell’uomo cieco.

Quando l'uomo è cieco, sa che non c'è nessuno che lo possa guarire, che neppure da se stesso si può guarire, e quindi incomincia a convincersi che la sua guarigione (ecco il processo di salvezza!), viene solo da Dio: da qui l’attesa della “Salvezza di Dio”, del Cristo.

Ma quando uno sa che la guarigione gli viene da un certo medico, incomincia, ed è un altro passaggio, ad orientarsi a quel medico e a seguire quel medico. Così noi, quando siamo convinti (perché prima bisogna convincerci) che la nostra salvezza, la nostra vita, la nostra luce, ecc., ci vengono da Dio, ecco che allora, incominciamo ad orientarci a Cristo, ad individuare e seguire Colui che ci reca questa salvezza.

Allora poco alla volta incominciamo con Lui a convincerci veramente che: “Dio è l’unico mio bene! Conoscere Lui è il vero mio bene”. La convinzione che tutto dipende dalla conoscenza di Dio è quindi un passaggio conseguente.

Ma prima di arrivare qui, quante cose dobbiamo esperimentare! Quante lezioni, pur già camminando con il Cristo, sono necessarie per poter individuare qual è il nostro vero ed unico Bene! Soprattutto perché noi non siamo convinti che la nostra vita, la nostra felicità, la nostra salvezza, dipendano dalla conoscenza di Dio! Il più delle volte nella nostra vita facciamo consistere e dipendere la nostra felicità dall'avere tanti beni a disposizione, dall’avere tante creature a disposizione, dall'onore del mondo, da tante altre cose. E lì inauguriamo quindi un cammino fatto di tante delusioni, che però dobbiamo provare ed esperimentare prima di arrivare ad individuare che la nostra vita, la nostra felicità, stanno nella conoscenza di Dio, che il nostro destino sta lì, che Dio ci ha creati per quello.

Quando noi attraverso tutte le lezioni della vita abbiamo capito questo, ed è grazia di Dio (perché "dalla sua pienezza noi riceviamo tutto e grazia su grazia…", per cui tutto quello che è positivo lo riceviamo da Cristo), quando noi abbiamo esperimentato che la nostra salvezza sta nel conoscere Dio, allora incominciamo ad orientarci solo più lì: “La mia vita sta lì: nel conoscere Dio!”, per cui come Filippo chiediamo a Gesù: “Signore, mostraci il Padre e ci basta!” Gv 14, 8). Ci dedichiamo allora ad assimilare le parole del Cristo, perché: “la mia giornata sta lì: nel cercare Dio, nel trovare la luce di Dio!”.

6.      Però allora a questo punto dobbiamo esperimentare che questa luce, questa conoscenza, non viene da noi! Non viene da me! La luce non viene dai miei sforzi, dalle mie virtù, dalle mie ricerche, ma mi deve venire da Lui. Anche questo è un altro passaggio. Dobbiamo capire che siamo dipendenti da Cristo e che quindi la luce ci viene da Lui, in modo da cercare solo più Lui. Soltanto trovando Lui troveremo la luce della Verità, perché è solo Lui che ce la può dare e ce la vuole dare (“…la grazia e la Verità sono state diffuse in Gesù Cristo” - Gv 1, 17;”Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me” - Gv 14,6).

Con Cristo ci troviamo a volte su posizioni che sembrano delle contraddizioni, perché le sue parole tendono a farci capire bene questa dipendenza che dobbiamo avere da Lui. Infatti Egli ci invita a cercarlo e poi ci dice: “Mi cercherete, ma non mi troverete”. E anche: “Dove Io sono, voi non potete venire” (Gv 7, 34; 13, 33). Eppure in un altro luogo Lui dice: “Io vado a prepararvi un posto, affinché dove Io sono siate anche voi” (Gv 14, 2). Dice: “Voi siete di questo mondo, Io non sono di questo mondo ” (Gv 8, 23) e in un altro punto dice: “Voi non siete più di questo mondo, perché Io non sono di questo mondo” (Gv 17, 16).

Ma attraverso questo linguaggio, che apparentemente sembra carico di contraddizioni (perché Lui parla a seconda dei nostri stati d’animo, delle nostre situazioni o tappe interiori), Lui ci vuol convincere:

prima di tutto che noi soltanto con le nostre forze non possiamo vedere la Verità (“Voi siete di questo mondo, Io non sono di questo mondo…Dove Io sono voi non potete venire"),

che però siamo chiamati al Suo mondo,

e che l'incontro con il Suo mondo, l'appartenenza al Suo mondo e il vedere il Suo mondo ci vengono da Lui.

Per cui, facendoci capire questo, dicendoci apertamente che la conoscenza di Dio non viene da noi, ma da Lui, ci incentra su di Sé: sarà Lui che ci porterà a conoscere il Padre, a vedere Dio. Ecco: “l'Unigenito Figlio ce Lo ha rivelato”.

Direi, in sintesi, che l'anima di tutto è convincerci che tutto è opera di Dio (l’abbiamo già visto altre volte e sembra che di questo siamo tutti convinti), e convincerci che tutta l'opera di Dio è volta:

a farci toccare con mano la nostra cecità (“Nessuno ha mai veduto Dio…”),

a farci toccare con mano il nostro bisogno di Lui;

ad orientarci a Lui, a cercare la vita, la nostra vera vita, la nostra felicità, ecc., nella conoscenza di Dio;

a capire che questa conoscenza di Dio ci viene solo da Cristo.

Per cui tutta questa Sua opera tende ad incentrarci in Lui, e quindi non tanto in opere, in lavori, in fatiche, in tribolazioni, in penitenze, ecc., quanto piuttosto nello sforzo di avere l’attenzione rivolta a Lui, poiché Lui solo ci può condurre a vedere Dio: “è lo stesso Unigenito che sta nel seno del Padre che Lo ha svelato”.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Pinuccia B.: Ci puoi parlare dell'Unigenito Figlio di Dio che è nel seno del Padre?

Luigi: È Unigenito perché è Figlio unico. È nel seno del Padre, quindi è sempre nel Padre! Per cui parla sempre e solo del Padre. È solo Lui che ci può rivelare il Padre.

Emma D.: Io pensavo all'atteggiamento che dobbiamo assumere, perché tante volte crediamo di essere saliti almeno di un gradino…, cioè di aver capito qualcosa, ma poi quando si sente un’altra spiegazione, si sprofonda giù…

Luigi: E no! Ci vuole pazienza…È tutto un cammino…Comunque il problema è questo: tu sei convinta che la nostra infelicità sta nel non vedere Dio, nel non vedere la Verità? E che la felicità viene da lì, dalla conoscenza di Dio? Sei convinta o no?

Emma D.: Certo! Abbiamo bisogno di conoscere la Verità e bisogna cercarla.

Luigi: Bisogna cercarla. Ma sei convinta che la nostra gioia, la nostra felicità venga di lì, dalla conoscenza di Dio, e che l’essenziale stia lì?

Emma D.: Penso proprio di sì.

Luigi: Tu, Giovanni, sei convinto?

Giovanni M.: Sì, perché se guardo l'esperienza che si fa nel mondo! La felicità non sta davvero negli uomini, nelle cose, ma solo in Dio.

Emma D.: Sì, però il problema è arrivarci...

Luigi: Che cos'è che tu dicevi che ti fa sprofondare?

Emma D.: È che a volte mi sembra di aver capito qualcosa, di essere sulla strada giusta, ma poi magari vengono dei dubbi e allora lì si sta malissimo; poi ci si riprende, però nella vita pratica è difficile essere coerenti con quello che si crede...; certe volte si dimentica ciò che si è capito…; magari si pensa a Dio, ma poi si agisce più o meno come si agiva prima quando si agiva in buona fede, cercando di essere retti, ecc.…

Luigi: Forse perché non si è ancora sufficientemente convinti del vero bisogno della nostra anima. Perché quando si ha veramente bisogno di una cosa, si parte per comperare quella cosa. Quando tu sai che manchi di pane, che oggi non hai il pane, tu parti da casa e vai dal panettiere, ben decisa a comprare il pane, perché sai che hai bisogno del pane.

Ora, se noi fossimo veramente convinti che la nostra felicità, che la nostra vita, che il nostro stesso destino, stanno nel conoscere Dio, perché siamo stati creati per questo, penso che tutta la nostra attenzione dovrebbe essere rivolta verso questa meta. Quindi ogni giorno dovremmo dire: “Oggi mi impegno a cercare il “mio“ Bene, perché se io trascuro questo, trascuro il mio pane e quindi trascuro la mia vita”.

Angelo B.: Ma la sete di Dio dipende da Dio, e anche il nostro desiderio di ricerca, quindi non dobbiamo preoccuparci…

Luigi: Un momento! Certo, la sete è opera di Dio in noi, perché evidentemente tutto viene da Dio e Dio sovrabbonda sempre verso di noi; però tutta l'opera di Dio è condizionata dal nostro io, cioè dalla nostra adesione, perché tutte le grazie di Dio, quando giungono a noi, debbono essere accolte da noi nel Pensiero di Dio, per cui passiamo a cercarne il significato. Se invece le grazie che arrivano a noi, noi le vediamo nel pensiero del nostro io o nel pensiero del mondo, la fame di Dio se ne va, il desiderio se ne va, cioè noi non passiamo più al significato!

Ad esempio, mi danno un biglietto da centomila lire? Se io lo vedo da Dio, mi domando: "Perché Dio mi ha dato questo biglietto da centomila lire?”. Cerco la Sua volontà, cerco di capire lo scopo, e allora passo al significato. Se invece penso soltanto a me, ne godo e basta: “Oh, guarda! Mi hanno dato questi soldi!”, e penso soltanto a possederli, per cui traviso tutta la cosa: qui non passo alla fame di capire.

Angelo B.: Bisogna invece riferire la cosa a Dio.

Luigi: Si capisce! Perché è vero, come hai detto, che la fame viene da Dio, ma proprio perché so che la fame viene da Dio, io devo sempre riferire a Dio tutto quello che mi arriva. Per cui Dio è il Principio e Dio è il Fine; quindi non basta che io veda Dio come Fine, che io veda Dio come meta, ma devo metterlo anche come Principio, per cui tutte le cose debbo riceverle da Dio.

Se io scarto Dio, immediatamente riferisco la cosa al mondo, al mio io, agli uomini, e allora traviso tutto. È “il piede pestato” che riferisco all'uomo: vedo soltanto l’uomo e non vedo più Dio.

Se invece riferisco la cosa a Dio, come la riferisco a Dio, immediatamente questo provoca in me la fame di Lui, perché il fatto stesso di toccare con mano che non capisco il significato, è già fame.

Quindi per capire che non capisco e per avere il desiderio di capire, debbo pensare a Dio. Ecco l'importanza di pensare sempre a Dio, del riferire le cose a Dio, dell'accogliere da Dio!

Quindi il primo passo è questo: credere che tutto è opera di Dio, perché se io so che tutto è opera di Dio, capisco che debbo accogliere tutto da Dio, e se io accolgo tutto da Dio, capisco di non capire e questo già mi provoca la fame, perché mi mette subito nell’interrogazione: "Perché Dio mi manda questo? Perché Dio mi fa giungere questo?" E questo è già desiderio, e questo è già fame! Vedi che ti provoca la fame, il bisogno, l’interrogazione?

Per cui l'opera di Dio, se l’accogliamo da Lui, provoca già in noi un passo successivo, che è un passo verso la sapienza, perché facendoci toccare con mano la povertà, la cecità, forma in noi il desiderio di capire.

Mentre invece se noi riceviamo le cose e non le riferiamo a Dio, ma le riferiamo al nostro io o ad altri, non passiamo alla ricerca, quindi non scopriamo la nostra cecità, anzi, ci crediamo a posto e migliori degli altri: "Guarda, io ho ricevuto questo bene, l'altro non l'ha ricevuto...", e il cammino della vita si ferma.

Emma D.: Quindi quando riceviamo qualcosa, dobbiamo fermarci a pensare da Chi ci viene e perché ci viene.

Luigi: Sempre! Perché se noi teniamo presente che la cosa ci viene da Dio, diciamo: “Dio non mi manda le cose a caso, Dio è un essere infinitamente intelligente. Se mi manda questo, me lo manda per un qualche motivo”. Ecco, la ricerca del motivo per cercare di intendere la volontà di Dio, per cercare di fare la volontà di Dio, mi fa toccare con mano la cecità, ed è un bene, perché mi smonta da tutte le altre cose. Nello stesso tempo mi fa cercare presso Dio il significato, mi fa sperare, invocare da Dio l'intelligenza, mi fa avanzare nella sapienza.

Emma D.: Però a volte mi viene la paura di sbagliare, di non capire bene, di non interpretare nel modo giusto le cose che mi arrivano… . Ecco sono questi i dubbi che mi fanno star male.

Luigi: Il fatto di non capire, abbiamo detto, è cecità, quindi è già un passo successivo al primo passo, che è quello di riferire tutto a Dio. Anche il fatto di avere dei dubbi ci fa sempre più poveri e in ricerca, perché noi dobbiamo sempre restare nell’attesa della luce, non possiamo mai essere sicuri, perché la sicurezza, la certezza, è in Dio. Quindi il dubbio ci deve sempre sollecitare a cercare maggiormente la luce in Dio, a non sostare. Per cui il Signore mi può dire: “Ieri Io ti ho fatto capire questo, ma adesso ti faccio capire che c'è qualcos'altro ancora da vedere o qualcosa da rimediare; quindi cerca di capirlo e cerca sempre in Me!". Ecco, bisogna cercare in Lui, perché il punto di riferimento dev'essere sempre Lui. Guai se noi facciamo leva sulle scienze umane! Certo, anche queste sono cariche di significato, ma vanno sempre riferite a Dio, sempre viste in Dio.

Tutte le cose vanno sempre riferite a Dio e viste in Dio! E più noi riferiamo le cose a Dio, più restiamo raccolti in Dio e più siamo facilitati nel raccogliere successivamente, nell'intendere successivamente. Per cui ad un certo momento la sapienza apre, per così dire, il suo velo e il cammino si svolge senza sforzo, mentre in un primo tempo magari richiedeva tanta fatica per poter intendere e ci lasciava tanti dubbi!

Ma più si va avanti, più allora uno riceve testimonianze del modo di operare del Signore, del modo di operare di Dio. E allora, ad un certo momento, uno Lo vede presente! “Ah, guarda Dio come opera…! Guarda Dio come opera…!”, appunto perché ha ricevuto già tante prove, tante testimonianze...

Ora, siccome Dio è fedele (il che vuol dire che Dio opera sempre allo stesso modo), quando uno ha capito una certa lezione, comincia a vedere questa lezione ripetuta in tanti casi, perché Dio opera sempre nello stesso Spirito, nella stessa Verità. Lui non fa i salti che noi, nella nostra incoerenza, facciamo.

L'importante è sempre aspettare da Lui ogni cosa, accogliere tutto da Lui, riferire tutto a Lui e cercare in Lui il significato delle cose: allora questo ci fa camminare. Lui ci fa camminare!

Ma dicendo che le cose ci vengono da Lui e che è Lui che ci fa camminare, questo ci sollecita a guardare sempre a Lui. Non bisogna dire: "Beh, il cammino dipende da Dio, quindi io faccio i miei comodi, tanto dipende tutto da Lui!”. Così come dicevi tu, Angelo: “Tanto la fame viene da Lui…”, quasi a dire: “Noi non dobbiamo preoccuparci!”. No! Sapendo che la fame viene da Lui, se io non ho fame, mi debbo preoccupare e dire: “Se io non ho fame, io sto morendo, perché mi sto esaurendo! Quindi mi debbo preoccupare: non sento più il bisogno di nutrirmi, non sento più il bisogno di vivere!”. Allora questa situazione, proprio perché la fame viene da Dio, mi deve sollecitare a cercare maggiormente il Signore, a cercare continuamente Dio.

Ma dico, per poco che noi riferiamo a Dio, immediatamente già riceviamo un dono maggiore di grazia: cioè le grazie sono successive (“grazia su grazia”). Mentre invece ogni volta che riferiamo le cose al nostro io, ecco che la fame se ne va, il desiderio di Dio svanisce, perché non vediamo più la nostra povertà e cecità.

Giovanni M.: Volevo sapere se può rientrare in questo argomento la scena delle tentazioni di Gesù, dato che esse rappresentano le nostre tentazioni.

Luigi: Sì, nel senso che anche le tentazioni, le prove, facendoci toccare con mano che senza Dio non possiamo far nulla, tendono a formare in noi la convinzione che la vita sta in Dio e quindi a formare in noi la capacità di vedere Dio.

Teniamo presente che tutto è tentazione, tutto è prova, dal momento che tutto quello che ci arriva possiamo riferirlo a Dio o a noi.

Giovanni M.: Quindi ogni prova, ogni tentazione evidenzia se veramente siamo di Dio, se amiamo Dio, se crediamo in Dio, se desideriamo vedere Dio, oppure se apparteniamo al mondo, se amiamo il mondo e noi stessi, se crediamo nel mondo e in noi stessi.

Luigi: Sì, perché tutte le cose, in quanto ci arrivano, se noi non le prendiamo da Dio, immediatamente ci portano via Dio, perché o vi proiettiamo il nostro io o ce ne impossessiamo o le giudichiamo, ecc. Infatti tutte le cose, in quanto ci vengono da Dio, portano con sé il significato di Dio, portano con sé l'impronta di Dio, per cui sono belle a vedersi, sono buone, ci danno un certo piacere. Allora indubbiamente ogni cosa ci provoca, anche sotto l'aspetto dell'io, per cui diciamo: "Oh, guarda questa cosa come mi sta bene…!, oh guarda questo incontro come mi piace…!, oh guarda invece quell'altra creatura come è antipatica…!".

Ecco, ogni cosa, in quanto porta l'impronta di Dio, diventa per noi anche un rischio, perché ha qualche cosa di Dio e quindi piace, e quindi magari è buona, e quindi magari ci dà un certo piacere, e questo ci porta nel rischio di fermarci al nostro io, vivendo per ciò che ci piace e fuggendo da ciò che non ci piace. Per cui mangio una cosa buona e dico: "Oh, com'è buona!", e allora incomincio ad accaparrarmela, a legarla a me, e, pensando a me, penso che domani la vorrò di nuovo e allora incomincio a farmene un magazzino e non penso nemmeno a passare al significato. Ecco la tentazione! La tentazione è la cosa che piace, che è buona, ecc..

Invece l'uomo pensando a Dio, deve sempre superarsi! Non deve dire: "Questo mi piace e adesso me l'assicuro!", no! Questo ti piace? Ringrazia il Signore che te l'ha mandato, ma mantieniti libero presso il Signore di accogliere sia quello che ti piace, sia quello che non ti piace; ma non devi fermarti a ciò che ti piace o impossessartene. E poi soprattutto devi sempre cercare la volontà di Dio, cercare il significato di ciò che ti arriva.

Giovanni M.: Quando Dio ci manda la tentazione, ce la manda proporzionata alle nostre forze in modo che noi possiamo affrontarla? Oppure...

Luigi: Guarda, se noi abbiamo presente il Pensiero di Dio, noi abbiamo la grazia di vedere la tentazione e quindi di superarla. Se non abbiamo presente il Pensiero di Dio, non vediamo nemmeno la tentazione, né tanto meno abbiamo la forza sufficiente per superarla. Anche se fossimo dei giganti di virtù, se non teniamo presente Dio, la tentazione ci vince: è sempre più forte!

È il Pensiero di Dio che ci dà la possibilità di vedere la tentazione (perché la tentazione bisogna vederla: molte volte noi non la vediamo e vi cadiamo senza vederla!) e ci dà la possibilità di superarla; ma è il Pensiero di Dio che ci dà questa possibilità!

Invece nel pensiero del nostro io:

prima di tutto non vediamo nemmeno la tentazione, per cui cadiamo senza nemmeno accorgercene: non vediamo la prova!

in secondo luogo, anche se vediamo la prova, la tentazione, non abbiamo la forza per superarla; vediamo magari che ci cadiamo, ma non abbiamo la forza per vincerla.

Perché, come dicevo la volta scorsa, non basta avere la regola. Infatti se io non ho presente Dio, cado nella regola. La regola mi dice: "Non fare questo!", ed io nella tentazione dico: "Non debbo farlo!". Però la presenza della cosa ha su di me un peso maggiore della mia regola. Io cado per la presenza! Sono sollecitato dalla presenza!

Per cui io ho una mia regola e al mattino faccio un proposito: "Non farò quello!"; ma poi, come mi trovo con la presenza del fatto, la sollecitazione del fatto, io so che non dovrei farlo, ma quello pesa su di me più di quanto non pesi il proposito che mi sono fatto! Perché è la presenza che ci determina: è il fascino del presente!

Per cui fintanto che noi non abbiamo presente Dio, su di noi giocano le altre presenze che ci determinano, ci legano, ci condizionano.

E come noi cadiamo, come noi facciamo una cosa che non andava fatta, quella cosa ormai è fatta, ma ci resta la delusione, ci resta il rammarico: "Guarda che disastro! Perché la regola era quell'altra!". Per questo s. Paolo dice che la legge non ci salva, non ci può salvare! Perché chi ci salva, egli dice, è la fede.

Però, cosa intendiamo per fede? Fede vuol dire credere in Uno, cioè aver presente Uno. Ciò che ci salva è la presenza dell'Altro, è la presenza del Cristo.

Ecco perché dico che è la Presenza, è l’aver presente Dio che ci libera dalle altre presenze! Perché è la presenza dell’altro che ci condiziona, che ci fa essere! Ora, fintanto che noi non abbiamo presente un Altro (con la A maiuscola), siamo schiavi delle altre presenze che si avvicendano nel nostro mondo e che ci condizionano.

Giovanni M.: L’esperienza della vita mi ha convinto che l’unica cosa che conta è giungere a vedere la presenza di Dio; però a volte quando Dio mi manda la tentazione, io non sono capace per la mia debolezza di superarla…

Luigi: Te l’ho già detto: senza Dio noi siamo deboli, non abbiamo la forza. Senza Dio non solo non superiamo la tentazione, ma nemmeno la vediamo.

Giovanni M.: Eppure voglio mettere Dio come prima cosa.

Luigi: Ma guarda che mettere Dio prima di tutto vuol dire questo: vuol dire farlo oggetto principale del nostro pensiero, della nostra vita, quindi della nostra ricerca, perché “è il pane di cui ho bisogno!”. Cioè non basta che io dica: "Signore, io Ti metto prima di tutto!", perché se dico questo a parole, ma poi non penso Dio, è come se dicessi: "Io ho bisogno di pane!", però non mi muovessi ad andare a prendere il pane! Se io Lo metto prima di tutto, Lo devo mettere prima di tutto!

Giovanni M.: Quindi se non vedo la tentazione e cado in essa vuol dire che è vano ciò che dico.

Luigi: Se non vedo la tentazione, vuol dire che per me Dio non è ancora il mio prima di tutto; vuol dire che l'ho detto a parole, l'ho detto per un certo tempo, ma Dio per me non è il mio prima di tutto, ma ci sono invece altre presenze che dominano.

Invece mettendo veramente Dio prima di tutto, vedo la prova, magari vi cado ancora, però entro in quel sentiero di cui parlavo prima, attraverso cui prima di tutto tocco con mano la mia povertà, la mia debolezza e la dialogo con Dio. Per cui, se ho Dio prima di tutto, se Lo penso, anche le cadute, accolte da Dio, accolte nello Spirito di Dio, diventano per me positive, perché mi fanno toccare con mano la mia povertà, mi fanno toccare con mano che non debbo far conto su di me, sulle mie forze, ma che debbo far conto su di Lui.

Però per far conto su di Lui, ho bisogno di incontrarlo come un Essere presente, cioè presente come vedo te, lei, lui, ecc..

Allora, per arrivare a questa Presenza di Dio, ho bisogno di incontrarmi con Cristo, ho bisogno di seguire Cristo e attraverso Cristo arrivare fino a quella scoperta del Padre che è sempre presente in noi (infatti “…l’Unigenito Figlio che è nel seno del Padre ce L’ha svelato”), a quello Spirito di Presenza che resterà sempre con noi. Bisogna arrivare a toccare, a vedere questa Presenza!

Sì, qui ci vien detto: Nessuno mai ha visto Dio...”; però questa affermazione non va intesa nel senso che nessun uomo abbia mai visto Dio, perché proprio nella Lettera di s. Giovanni leggiamo: “Noi abbiamo visto! E quello che abbiamo visto ve lo annunciamo, affinché la comunione che noi abbiamo con Lui, anche voi possiate averla con noi, e quindi anche voi possiate avere la comunione con Lui, possiate cioè avere questa Presenza!” (cf 1 Gv 1,1-5).

Per cui è vero che la Parola di Dio ci dice: “Nessun uomo ha mai visto Dio”, affinché noi non abbiamo ad andare a cercare la Verità dagli uomini, ma nello stesso tempo ci dice anche: "Ci sono degli uomini che hanno visto Dio!". Ma non L'hanno visto loro, per loro merito! No! È stato puro dono di Dio! È stato dono del Figlio (“…l’Unigenito Figlio che è nel seno del Padre ce L’ha svelato!”). È il Figlio che li ha condotti!

Allora, dicendoci questo, ci dice: "Se tu vuoi vedere Dio, se hai bisogno di Dio, passa attraverso quella strada attraverso la quale sono passati coloro che L’hanno trovato, coloro che L’hanno visto! Essi sono degli uomini nuovi!".

Infatti questo versetto parlando di uomo che non ha mai visto Dio, intende l’"uomo naturale", quindi “nessun uomo naturale ha visto Dio”; allora tu non far conto sull'uomo naturale. Ma sappi che ci sono invece gli uomini “nuovi”, uomini spirituali, che hanno visto Dio e che lo dicono: “Abbiamo visto, abbiamo toccato con le nostre mani il Verbo di vita!”.

Ora, apparentemente questi due annunci: “Nessuno ha mai visto Dio” e: “Noi L’abbiamo visto” sembrano una contraddizione, ma è proprio questa contraddizione che ci sollecita a cercare, che ci sollecita ad approfondire, ad andare avanti.

Infatti, sapendo che qualcuno L'ha visto, che qualcuno L'ha toccato e che questa Presenza non è soltanto annunciata, ma possiamo toccarla e possiamo vederla, sapendo questo, se a noi sta a cuore Dio, incominciamo a cercare questa Presenza e non ci fermiamo e non siamo soddisfatti fintanto che non arriviamo a questa Presenza. Ma dobbiamo anche sapere che fintanto che non arriviamo a questa Presenza, siamo soggetti alla prova, alla tentazione e vi possiamo cadere.

Ma, dico, è normale che io cada! Perché? Ma perché non sono ancora arrivato! E fintanto che non arrivo a quella Presenza sono giocato da altre presenze!

Diciamo così: le cadute, se sono viste in Dio, diventano positive, perché mi dichiarano, mi testimoniano che non sono ancora arrivato. Quindi non mi lasciano nell'illusione, perché io posso anche essere un illuso, e dire: “Io ho trovato Dio!”, ma le cadute mi rivelano che non è vero.

È la funzione delle prove. Una delle prove è: “Se tu hai trovato Dio, devi amare anche il prossimo”: non perché “devi”, ma perché “senti il bisogno, l’esigenza” di amarlo, se è che hai trovato Dio. Questo è uno dei banchi di prova, ma ci sono tanti altri banchi di prova che ti dicono se tu hai o no trovato Dio!

Ecco la misericordia del Signore! Perché siccome noi nel nostro spirito ci possiamo illudere di conoscere, di vedere, di aver trovato, ecco allora che il Signore ci mette il banco di prova: “Guarda tu, che credevi di aver trovato, guarda come sei caduto!”. E questo il Signore lo fa per dirti: "Guarda che non mi hai ancora trovato! Cercami ancora!".

Quindi, vedi che Lui ti sollecita a camminare? Per cui la caduta diventa positiva, perché ti fa toccare con mano la tua illusione: “io che credevo di averlo conosciuto, non L'ho ancora conosciuto”, e ti fa capire allora che c'è ancora tanto da conoscere. Ti fa cioè constatare che non sei ancora arrivato alla meta! Quindi ti sollecita, ti chiama!

“Mi chiama!“. Vedi allora che anche la caduta diventa grazia? Se la ricevo però da Dio!

Perché se invece non la ricevo da Dio, io che magari credevo di aver già conosciuto Dio e me ne vantavo, mi rattristo e mi avvilisco; la caduta quindi diventa umiliante nel mio orgoglio, addirittura mi prostra, mi delude, mi fa cadere nell'opposto dell’orgoglio, ma sempre però nell’orgoglio, quindi non è che mi diventi liberatrice.

È solo con il Pensiero di Dio che la caduta diventa liberatrice, perché mi fa capire che non sono ancora arrivato.

Senza il Pensiero di Dio invece mi amareggia.

Giovanni M.: Allora quando l'uomo mette Dio al centro, pur cadendo nella tentazione, ha sempre una speranza...

Luigi: Se mette Dio al centro, se pensa Dio? Altroché! La speranza Dio la mantiene sempre! Perché se tu tieni presente il Pensiero di Dio, il Pensiero di Dio proprio perché ti fa capire che non sei ancora arrivato là dove Lui ti chiama, ti dà la speranza, e ti fa dire: "Guarda che il Signore pensa ancora a me!".

Anche quando le cose non vanno come vorremmo, è segno che Dio ci sta pensando,

Sai, una delle condanne peggiori è quella di vederci trascurati da Dio; ma Dio quando “trascura” (per cui noi “siamo sotto la sua ira” e questo avviene ancora per salvarci), cosa fa? Ci abbandona ai desideri del nostro cuore, cioè ci lascia andare dove vogliamo, lascia che tutte le cose vadano secondo quelli che sono i nostri desideri, per cui tutte le cose vanno bene (noi crediamo che vadano bene), e siamo in disgrazia!

Quando invece le cose non vanno secondo quelli che possono essere i nostri desideri, i nostri piaceri, le nostre ambizioni, vuol dire che Dio interviene su di noi, opera su di noi. È proprio questo suo operare su di noi, che magari a noi costa fatica o diventa dolore, diventa sofferenza, che ci fa capire: “Guarda che il Signore si ricorda di me, pensa a me!”.

Per cui, mentre prima ci lamentavamo, ci deprimevamo, ecc...., adesso invece Lo ringraziamo magari di certe delusioni, di certe sofferenze, perché attraverso queste Lui ci rimette in cammino e ci sprona.

Giovanni M.: La tentazione di Gesù è però stata forte...

Luigi: Sì, ma la tentazione di Gesù è avvenuta per noi. Tutto quello che Gesù ha sopportato, ha detto, ha fatto, l'ha sopportato, l'ha detto, l'ha fatto per noi, per ognuno di noi, per insegnarcene la via di uscita.

Quindi quelle sue tentazioni, sono le nostre tentazioni! Lui non aveva bisogno di essere tentato, non aveva bisogno di essere provato, ma ha subìto questo perché è per noi che la tentazione è forte: la tentazione del bisogno del mangiare e del vestire è la prima; l'altra è quella della figura davanti al mondo, e poi ce ne sono molte altre. E sono sempre le tentazioni in cui noi ci troviamo ogni giorno!

Però Lui ci fa vedere come si esce dalla tentazione, come si trionfa su di essa: sempre e solo con il Pensiero di Dio, con la Parola di Dio, affermando lo Spirito di Dio.

Perché la tentazione, come ho detto, arriva a noi per sollecitarci a camminare nello Spirito, quindi da parte di Dio è buona, è positiva, però è un rischio per noi. Perché se noi non affermiamo lo Spirito, è finita! Perché allora noi aderiamo alla tentazione, ci adeguiamo, anziché superarla. Invece no! Il tuo spirito deve mantenersi al di sopra dell'avvenimento e affermare lo Spirito di Dio sull'avvenimento stesso, sulla prova.

Per cui il mondo ti dice: "Senza il denaro non puoi fare niente!". Tu invece di fronte a questa tentazione, per affermare lo Spirito, dici: “No! È senza Dio che io non posso fare niente!”, e non dici: “Senza denaro non posso fare niente!”.

E così, se tieni presente il Pensiero di Dio, ecco, puoi affermare lo Spirito in tutte le prove, in tutte le tentazioni, ed è questo che purifica il tuo pensiero e lo prepara a vedere Dio.

Cina: Sono convinta che il nostro destino è “vedere Dio” e che “la nostra vita è nascosta in Cristo”, ci credo, ma poi se non sono fedele in questo lavoro di raccogliere tutto in Lui..., allora non ci siamo!

Luigi: Certo, se non sei fedele, non ci siamo…Vuol dire che non siamo sufficientemente convinti che la nostra vita sia lì, in Cristo, nascosta in Cristo, poiché è solo Lui che ci può condurre a vedere Dio, come qui ci viene detto: “l'Unigenito Figlio ce Lo ha rivelato”. Ecco, non siamo sufficientemente convinti che la nostra vita stia lì, perché se uno è veramente convinto che la sua vita sta in Cristo, la cerca sempre e solo lì.

Emma D.: Pur cadendo, si ritorna a cercarla lì…

Luigi: …se però uno è veramente convinto! È che noi, vedi, quando magari ne sentiamo parlare, ne siamo convinti, però solo lì così, perché ne sentiamo parlare, per cui siamo convinti solo per gli argomenti che un altro ci ha detto. Ma tra il sentito dire, cioè tra l'essere convinti quando un altro ci dice una cosa, e l’essere convinti per convinzione propria, c'è tanto di quel cammino da fare!

Quando però noi siamo convinti per convinzione nostra, sta’ tranquilla che non ci scostiamo mica più da quello! Se abbiamo capito che il nostro bene è una determinata cosa, non ci scostiamo più da quella; per cui quando abbiamo capito che il nostro vero bene, la nostra vita è nascosta in Cristo, poiché è Lui che ci porta a vedere Dio, non ci scostiamo più da Lui.

Cina: In quanto è Parola di Dio, si sente che è Verità, che all'infuori di lì non c'è felicità, non c'è stabilità. Eppure…

Luigi: Tu dici: "Si sente...."; guarda che il “sentire”… non è capire. Non basta sentire! Perché io sento la Parola di Dio e sì, posso dire: "Sento che è Verità..", ma poi, ad un certo momento, sento anche tante altre cose. E quando sento tante altre cose, altre voci, dico: ”Ma hanno ragione anche loro”. L’impegno per cercare e conoscere Dio, per giungere a vederlo, non sta nel “sentire”. Sentire è sentimento.

Emma D.: Ma è anche Dio che ha creato le altre cose e parla anche in esse, no?

Luigi: Sì, però se effettivamente la nostra vita è in Cristo, tutto e tutti, anche colui che bestemmia, ci deve confermare che la nostra vita è in Cristo. Quindi non c'è più niente che ci possa deviare.

San Paolo dice: "Ma chi mi potrà portare via dall'amore del Cristo?" (Rm 8, 35). Non c'è più niente, perché, anzi, tutto mi fa toccare con mano che la mia vita sta lì. Ma me lo fa toccare con mano, quando già io sono convinto, quando io mi sono convinto che la mia vita è in Cristo! Allora tutto mi conferma, mi porta a constatare che la mia vita veramente è lì, in Cristo.

Quando Cristo ha superato la tentazione, allora, dice il Vangelo, tutti gli Angeli sono venuti per servirlo (Mc 1, 13). Perché non Lo servono prima? Direi, era prima che c'era bisogno che Lo servissero! E invece Lo servono dopo.

Questa è una lezione per dirci che prima della prova, prima che noi affermiamo lo Spirito, tutto tace: non c'è nessuno che serva, tutto in noi aspetta la risposta del nostro spirito, tutto è lì in attesa che noi decidiamo.

Quando noi abbiamo deciso, allora tutto comincia a confermarci, se abbiamo deciso bene; se invece abbiamo deciso male, tutto comincia a pestarci.

Infatti tutte le creature servono la creatura che serve Dio, perché tutto coopera a portarci al nostro fine: conoscere, vedere Dio, poiché tutto è opera di Dio. Dio non si diverte mica a pestarci, anzi, Dio opera proprio per liberarci, per aiutarci. Ma bisogna che noi siamo orientati, cioè che diciamo: "La mia vita sta lì, nel conoscere Dio!".

Allora, quando ci siamo veramente convinti che la nostra vita sta lì, noi riceviamo prove da tutte le cose (ed è opera di Dio) che la nostra vita sta lì, e tutto ci conferma che la vita sta lì.

Ce lo confermano anche coloro che non cercano la vita lì, che la cercano altrove, e ce lo dicono con i loro travagli, con le loro delusioni, con il loro sanguinare del naso a forza di sbattere contro i muri: anche costoro dicono a noi che la vita sta lì. Ma lo dicono (vedi, sono “gli angeli che servono” dopo la prova), solo se uno si è già convinto.

Ma fintanto che uno non si è convinto, tutte le cose sono prove, sono tentazioni; e nella tentazione tutto il mondo tace, in attesa della nostra risposta: del nostro “sì” o del nostro “no”, perché la Verità viene dal di dentro di noi, non viene dal di fuori.

Quindi se dal di dentro di noi c'è questa adesione allo Spirito, allora poi dopo tutte le cose confermano che abbiamo scelto bene; ma se noi dentro di noi non aderiamo a Dio, non siamo confermati da nulla, perché non è che la Verità ci venga dalle cose (è detto qui: “Nessuno ha mai veduto Dio”, quindi la Verità non ci viene né dalle cose, né dagli uomini), poiché quando non aderiamo a Dio, tutte le cose sono rapportate ad un nostro pensiero disordinato, quindi non ci possono confermare la Verità.

Ines: Tu dicevi, parlando della tentazione, che bisogna stare attenti ai desideri nostri, quasi come se dovessimo escluderli tutti; ma non può essere che sia anche il Signore a suscitare un desiderio? Tu dici che bisogna controllarli e superarli tutti, per cui mi pare di aver capito che non ce n'è mai uno che vada bene…

Luigi: Cioè, dico che l'anima di tutto è il Pensiero di Dio. Per cui noi dobbiamo sempre:

accogliere tutto da Dio,

riferire tutto a Dio,

aspettarci la luce e tutto da Dio.

Ma bisogna sempre aver presente il Pensiero di Dio. Quindi noi non dobbiamo mai ascoltare il pensiero del nostro io. Indubbiamente Dio opera in noi per il bene e suscita in noi desideri buoni, perché facendoci constatare la nostra povertà, la nostra incapacità, la nostra cecità, ecc., ci fa capire, ad esempio, il bisogno che abbiamo di Lui, fa nascere in noi il desiderio di conoscerlo, ecc., ma se noi abbiamo presente Lui!

Se noi invece non abbiamo presente Lui, possiamo anche aver tanti desideri buoni, ma anche i desideri buoni ci allontanano da Lui, ci traviano, ci portano via o possono, ad esempio, esaltarci, perché ci fanno credere virtuosi, ci fanno fare dei gesti grandi; ma queste virtù, se non abbiamo presente Dio, provocano in noi dell'orgoglio, dell'ambizione, per cui “Io sono diverso dall'altro…” e preghiamo come il fariseo nel Tempio: "Signore, io Ti ringrazio perché sono diverso dall'altro!" (Mt 18, 11). Quindi anche le cose buone, anche le regole, ecc., diventano per noi motivo di rovina, proprio magari, anzi soprattutto forse, quando crediamo di essere buoni.

Ines: Più sono raffinati, più sono pericolosi.

Luigi: Perché tutte le cose vanno sempre viste in Dio, rapportate a Dio, riferite a Dio; è Dio il punto fisso di riferimento. È questa la pazienza dei Santi! La pazienza dei Santi sta lì: nel riferire sempre tutto a Dio, nel rapportare tutto a Dio, nell’aspettare sempre tutto da Dio.

Ines: Tutto, tutto…?

Luigi: Sì, tutto e sempre, per cui anche le cose negative, se noi le prendiamo da Dio, Dio ce le trasforma in positive, perché ci fanno toccare con mano il bisogno che abbiamo di Lui, perché senza di Lui cadiamo.

Lo vediamo in Pietro, tanto sicuro di sé: dopo aver assicurato che mai avrebbe tradito Gesù, la stessa notte Lo ha tradito tre volte; però anche questa sua colpa, questa sua mancanza, accolta da Dio, è divenuta positiva, perché gli ha fatto toccare con mano la sua povertà. Infatti lui prima era sicuro di sé, ma dopo non è più stato sicuro di sé: c'è stato quindi un passo avanti.

Apparentemente noi diremmo che ha fatto un passo indietro, ma nello spirito ha effettivamente fatto un passo avanti. Prima era sicuro di sé, dopo non è più stato sicuro di sé.

E quando uno non è sicuro di sé, cosa fa?

Fa conto su un Altro, si appoggia su di un Altro, quindi fa un passo avanti, per cui colui che non è sicuro di sé, è un gradino più in alto di colui che è sicuro di sé.

Quindi vedi che Pietro ha fatto un passo avanti?

Per cui il Signore ha cambiato in bene quello che era colpa. E così è anche per noi, perché Dio opera in tutto in questo modo per farci sempre toccare con mano il bisogno che abbiamo di Lui, per farci constatare che senza di Lui non possiamo fare niente.

E allora, quando noi constatiamo questo e ce ne convinciamo, allora incominciamo a capire che la vita è in Lui e che tutto ci viene da Lui.

E più ci convinciamo di questo, e più vuol dire che noi aspettiamo da Lui, facciamo conto su di Lui, e qui riferiamo tutto a Lui.

Questo riferire a Lui è molto importante! Perché noi partiamo da una situazione in cui non riferiamo niente a Dio, in cui per noi Dio è un Essere lontanissimo, che forse ha creato all'inizio e poi ci ha abbandonati e che ci giudicherà poi alla fine, per cui qui in terra dobbiamo darci da fare…., ecco, siamo noi, che dobbiamo agire, intervenire, ecc.

Quindi noi partiamo da una situazione lontanissima in cui non riferiamo nulla a Lui e dobbiamo arrivare in una situazione in cui riferiamo tutto a Lui, per cui non siamo più capaci di un pensiero senza di Lui.

Ed è poi questa la vera vita! Questo è entrare nella Vita vera, nella Vita eterna! Infatti la vita eterna, che è il nostro destino, è conoscere Dio, vedere Dio: “La vita eterna è conoscere Dio come vero Dio!” (cf Gv 17, 3).

Ma allora, se io so che la mia vita sta nel conoscere Dio, mi devo preoccupare tutti i giorni di cercare Dio, tutti i giorni devo cercare di conoscere Dio. Infatti chi è convinto che la sua vita gli viene dalla cotoletta, tutti i giorni si mangia la cotoletta! Quindi colui che è convinto che la vita gli viene da Dio, tutti i giorni si preoccuperà di alimentarsi di Dio, meditando le parole di Cristo, perché è Cristo che ci rivela Dio: “Il Figlio Unigenito di Dio che è nel seno del Padre ce Lo ha rivelato”.

Ma se invece noi non ci preoccupiamo tutti i giorni di alimentarci di Dio, vuol dire che non siamo convinti che la nostra vita ci venga dalla conoscenza di Dio!

E allora naturalmente, trascurando di cercare Dio, di conoscere Dio, è logico che ad un certo momento noi ci veniamo a trovare sprovvisti, lontani da Dio, addirittura senza più fame di Dio, senza il bisogno di Lui! Ma questa è una conseguenza della tanta nostra lontananza, cioè del non aver conosciuto niente di Lui.

Ines.: E cosa dobbiamo fare per formare in noi questa convinzione?

Luigi: La convinzione che la vita sta nel conoscere Dio, nel vedere Dio, si forma in noi superando tutte le tentazioni, prove e delusioni di cui abbiamo parlato: con tutte le prove, attraverso cui Dio ci fa passare, Egli ci fa toccare con mano che senza di Lui non possiamo fare niente!

Quindi:

noi partiamo da un fare tutto senza Dio,

per cui Lui ci fa toccare con mano che facciamo niente;

allora, toccando con mano che facciamo niente, nasce il problema: come mai? Io faccio un proposito e poi faccio al rovescio. Come mai dico questo e ottengo quell’altro? Come mai credevo di camminare in questo senso, e invece mi trovo tutto in un senso opposto?

e così poco per volta incominciamo a capire il perché: ”Ah, già, senza di Lui non posso fare niente!”, per cui ci convinciamo di non poter far nulla se non teniamo conto di Dio!

e allora incominciamo a capire che abbiamo bisogno di Lui; ecco, facciamo una scoperta nuova: scopriamo questo bisogno che abbiamo di Lui e quindi impariamo a riferire tutto a Lui.

È così che si forma in noi la convinzione che la vita sta nel conoscere Dio, nel vedere Dio, ed è questa convinzione che ci porta ad incentrarci in Cristo e nelle sue Parole, perché “è lo stesso Unigenito che sta nel seno del Padre che Lo ha svelato”.

Eligio: L’argomento è chiaro: nessuno può vedere Dio ed è solo il Figlio che ce Lo può rivelare. Ho solo da inginocchiarmi e chiedere di vedere…         

Luigi: Ma allora non è tutto chiaro, se chiedi di vedere!

Eligio: Chiedo di vedere Dio!

Luigi: Ti è chiaro allora che siamo ciechi e che abbiamo bisogno di vedere…

Eligio: Certo.

Giovanni M.: Com’è che dice esattamente il versetto che stiamo meditando?

Luigi: È il versetto 18: “Nessuno ha mai veduto Dio; è lo stesso Unigenito che sta nel seno del Padre che Lo ha svelato”.

Eligio: È strano però il fatto che generalmente, quando si sente interpretare questo versetto, si parli di un vedere Dio come di un vedere qualcosa che è al di fuori di noi e troppo poco si insista sul fatto della interiorità, cioè che è in noi che dobbiamo cercare Dio. Mi sembra cioè che si corra facilmente il rischio di dare solo un’interpretazione letterale a questo versetto, pensando a un “qualcosa” al di fuori…

Luigi: Però, vedi, il problema del “luogo” in cui cercare Dio viene dopo. Quando si parla di Dio, per prima cosa si deve parlare del bisogno che la creatura ha di Lui, perché quando la creatura incomincia a capire che ha bisogno di Dio, poi allora incomincia a cercarlo ed è Dio stesso che la conduce ad individuare il luogo in cui Lui si trova.

Infatti quando uno ha bisogno di una cosa, si preoccupa di cercarla, di trovarla, e allora incomincia ad informarsi dove si trova quella cosa. Ma la ricerca del luogo, direi, avviene in un secondo tempo, dopo aver capito che uno ha bisogno di quella cosa; perché se a me una cosa non interessa, non mi preoccupo nemmeno di sapere l'indirizzo di quella cosa: non mi interessa! Ma quando ho capito che una cosa mi sta a cuore e m'interessa, allora incomincio a stare attento, ad informarmi dove posso trovare quella cosa.

Ma è proprio questa ricerca del luogo dove Dio si trova che poi dopo mi fa scoprire che:

Dio non abita in luoghi fatti da mani d'uomo;

Dio non abita nelle creature esterne;

ecco, mi fa capire allora che Dio abita nello spirito dell'uomo,

e non soltanto nello spirito dell'uomo, ma che trascende lo spirito dell'uomo, per cui abbiamo un processo di interiorizzazione e di superamento della stessa nostra interiorità, perché Dio abita dentro di noi, ma supera i nostri pensieri.

Per cui ad un certo momento dobbiamo diventare una invocazione di Lui, sapendo che Lui è in noi, ma non si confonde con i nostri pensieri, perché li trascende.

Allora, il sapere che Dio è in noi diventa una proposta: “Lui è in te, per cui entra in te stesso! Ma non confonderlo né con la tua anima, né con i tuoi pensieri, perché Lui è superiore a questo”.

Ecco allora che avviene in noi questa apertura verso di Lui: “Dio è in me, mi è annunciato che è in me ed io ci credo”. Per cui cogli la proposta di Gesù: "Entra nel segreto della tua stanza, chiudi l'uscio, escludi tutto e sappi che lì Dio Padre è presente, ti ascolta, e sappi però che il dono di scoprire la sua Presenza lo ricevi da Lui” (cf Mt 6, 6). Cioè la rivelazione della sua Presenza la ricevi da Lui, quindi mettiti dipendente da Lui.

Quindi, sapendo che Lui è in te, non cercarlo altrove!

Tutto il resto deve convogliarti a questa interiorità.

Ma in questa interiorità, mettiti dipendente da Lui, in modo che la rivelazione della sua Presenza in te dipenda da Lui, sapendo che Lui te la vuole dare. Quindi non farla dipendere dai tuoi sforzi, dalla tua immaginazione, ecc.: deve dipendere da Lui!

Però il tempo della rivelazione è suo; per cui il giorno in cui la luce della sua Presenza si manifesterà dentro di noi, noi certamente non la potremo attribuire né a noi, né alle creature, né agli uomini, né ai nostri sforzi, a nient’altro: è dono di Dio! Ma lo sapevamo già prima, proprio perché eravamo in posizione di dipendenza, di creatura...

Effettivamente, essendo creature, noi tutto riceviamo. Però arriva un certo momento in cui, ricevendo tutte le cose, noi prendiamo coscienza di esistere e corriamo il rischio di diventare tutto pretesa.

Invece all'inizio, fin dalla nostra nascita, noi non siamo altro che un essere che accoglie: le cose arrivano. Però man mano che arrivano, incominciano a girare attorno al nostro essere, cioè incominciano a farci prendere coscienza del nostro io, incominciano a darci la sensazione di esistere ed è lì, allora, che incominciano a trasformarci in una pretesa. È lì che avviene il capovolgimento, per cui noi capovolgiamo la situazione iniziale.

Inizialmente noi eravamo tutto-accoglienza, tutto-ricevimento di-; ma poi, ad un certo momento, abbiamo incominciato ad affermarci, a pretendere. Ed è qui allora che dobbiamo recuperare la posizione iniziale: attraverso tutte le lezioni della vita, e certe volte questo tentativo di ricupero dura tutta una vita, dobbiamo rientrare nella posizione iniziale, in modo da ritornare in quel cammino là che noi credevamo fosse finito e che invece era tutt'altro che finito, perché eravamo appena arrivati alla soglia della “coscienza” del nostro io.

Ma questa nostra “coscienza dell’io” è ancora coscienza di un essere che deve imparare ad accogliere tutto, fino ad arrivare ad accogliere Dio, perché Dio ha appena incominciato a rivelarsi, attraverso la creazione, la natura, dandoci l’esistenza, quindi dandoci la coscienza di essere. Ha dunque appena incominciato a rivelarsi, ma Lui ha tutto un Infinito da comunicare a noi! La condizione è che noi continuiamo ad essere sempre in situazione di dipendenza, cioè in situazione di accogliere, ecco, come la Madonna, la creatura che è tutta-ascolto.

E invece a questo punto, quando la creatura riceve la coscienza di esistere, succede il dramma. Il dramma succede lì! Perché come noi incominciamo a prendere coscienza di essere, subito incominciamo ad affermarci, e allora non riceviamo più, anzi, incominciamo a sciupare tutto quello che già abbiamo ricevuto.

E prima di rientrare nella situazione iniziale, di ricuperare l'innocenza di prima, che era il tutto-ascolto, la verginità che accoglie tutto da Dio, che riporta tutto a Dio, prima di rientrare in questo tutto-ascolto, a volte è necessario arrivare all'agonia, al tramonto di tutta una vita!

Quindi, come noi prendiamo coscienza del nostro io, siamo appena all'inizio della rivelazione, per cui noi dobbiamo sempre continuare in questo ascolto, in questo ricevere da Dio.

Se noi, idealmente, potessimo sempre continuare in questo ricevere da Dio, noi progrediremmo, Dio ci farebbe progredire, attraverso doni progressivi, fino alla conoscenza di Lui, che è il termine di tutti i suoi doni.

E allora, se restiamo in questo ascolto, noi arriveremo a capire, ma sarà sempre opera sua, chi è Lui, in che cosa consiste l’unione con Lui, dove è Lui, la sua presenza interiore a noi, ecc., fino a poter dire anche noi: “Abbiamo visto…!”: abbiamo visto il Padre dal quale si nasce come figli, perché è Lui che ci fa figli.

Ma, come dico, per ricevere, noi dobbiamo sempre essere in posizione di dipendenza, cioè nella posizione del cieco: "Signore, che io veda!”, sapendo che la Luce dipende da Lui: “Signore, la luce dipende da Te; io so soltanto di essere cieco, so soltanto di essere bisogno, però so che il dono, il pane, mi viene da Te, e solo da Te!”.

Quindi:

·noi possiamo fare l'errore di non sapere di essere in bisogno, di essere ciechi, anzi, di essere convinti di veder bene, di dover essere noi a decidere, a fare, ecc., come se tutto dipendesse da noi;

·possiamo ritenere di essere in bisogno, ma fare l'errore di far dipendere la soddisfazione del nostro bisogno dalle creature, da certe condizioni ambientali;

·o, finalmente, possiamo invece individuare che il nostro vero bisogno è solo Dio che lo può soddisfare, perché solo Lui ci può dare la luce. Ora, prima di arrivare a questa individuazione, quanto cammino da fare!

·e quando siamo arrivati a questa individuazione, a questa convinzione che solo Lui può soddisfare il nostro bisogno, allora noi incominciamo ad aspettare da Dio, ma aspettiamo da Dio in questa interiorità;

·e aspettiamo che cosa? La rivelazione di Sé a noi. Ma è dono Suo!

Aspettiamo solo più questa rivelazione di Sé, perché a questo punto noi abbiamo capito che la nostra vita sta nella conoscenza; quindi noi aspettiamo questa conoscenza, perché siamo convinti di questo: “Con questa conoscenza, che è conoscenza della Verità, io avrò tutto!  Mentre invece se mi manca quello, se avessi anche tutto, ho niente!”.

Ora, però per arrivare a questa individuazione, che è già tanta sapienza, che è già tanto dono, ci vuole tutto questo travaglio…

Eligio: Quindi questa individuazione è un'opera di decantazione, di catarsi interiore; non avviene fuori, non avviene attraverso altri segni, ma dentro…

Luigi: Certo, però tutti i segni che giungono a noi, vanno sempre accolti da Dio, perché se noi non li accogliamo da Dio, noi siamo ancora nella situazione di opposizione, per cui abbiamo ancora bisogno di subire tutti i traumi, tutte le lezioni della vita che tendono a riportarci nella posizione giusta, quella di chi ascolta e accoglie. Accogliendo tutti i segni da Dio, noi passiamo ai significati e allora Lui poco per volta ci conduce:

·a scoprire che Lui è il massimo Bene,

·a scoprire dove si trova questo massimo Bene,

·in che cosa consiste questo massimo Bene.

Ma tu pensa soltanto, come dicevo prima, cosa ci vuole per arrivare ad individuare che il nostro massimo bene sta nel conoscere, nel vedere Dio! Bisogna farne dei passaggi, sai, per arrivare ad individuare il nostro massimo Bene!

Tu pensa che i nostri Padri, quando hanno individuato quello, hanno lasciato tutto, sono andati in una caverna, magari nel deserto, perché il loro massimo bene era conoscere Dio, e sapevano che non c'era niente al mondo che potesse portarli a realizzare questo loro bene! Quello testimoniava che erano convinti che il massimo bene era conoscere Dio, vedere Dio.

Ora, siamo già arrivati noi a riconoscere che il massimo bene per noi è conoscere Dio, vedere Dio? Forse lo pensiamo quando ne parliamo, ma poi magari altri ambienti, altre conversazioni, altri incontri ci portano subito via, per cui noi non restiamo in questo pensiero. Ma ciò vuol dire che non siamo ancora veramente convinti che il massimo bene è conoscere Dio, giungere a vedere Dio.

Eligio: Il fatto di non essere ancora convinti che il massimo bene è la conoscenza di Dio, è sempre necessariamente una mancanza d'amore o potrebbe essere una mancanza o un difetto di grazia da parte di Dio che per ragioni sue ritiene bene di non ancora…?

Luigi: No, il non essere convinti è sempre difetto nostro; non diciamo che è un difetto di grazia da parte di Dio. Certo, è mancanza di grazia, però non nel senso che sia Dio a lasciartela mancare, a lasciar difettare questa grazia in te, quasi che il difetto dipendesse da Lui. No! Ma se c'è un difetto di grazia, è perché, a monte, c'è qualche cosa in noi che deve essere modificato ancora.

Eligio: Allora quale diversità si può vedere tra i Padri che avendo accolto l'invito di Dio e avendo recepito una maggiore grazia, si sono ritirati per meditare solo su queste cose e noi che non operiamo questo passo, questa scelta?

Luigi: Ma, vedi, in loro si è formata la convinzione! Cioè in loro c'è stato un fatto precedente, in cui si è formata quella vera convinzione che il loro vero bene era conoscere il Signore e quindi la decisione di dedicarsi solo più a quello.

Eligio: Però non basta mai una decisione soggettiva…

Luigi: Ma per “decisione soggettiva”, cioè per “convinzione soggettiva”, io intendo “grazia”. Quella convinzione lì è grazia, è grazia di Dio!

Eligio: Quindi la grazia non è più soggettiva, perché è Dio l’elargitore della grazia.

Luigi: Ah, certo! Ma è logico, tutto è dono di Dio! Ma si richiede una nostra partecipazione personale alla grazia: il dialogo con Dio. E quando la creatura è in dialogo con Dio, tutto accoglie come dono da Dio: tutto.

Ed è proprio questo accogliere tutto da Dio che, poco per volta, la conduce in certe convinzioni, la fa modificare, le fa vedere, ecc., e la incentra in un unico necessario, fino a convincerla: “l'unica cosa necessaria per me è conoscere Dio!”.

Ma la creatura, prima di arrivare ad individuare questo, quanto cammino deve fare,! Qualunque creatura con cui tu parli, tu vedi che non ha bisogno di una cosa sola, ma ha bisogno di tante cose, perché: “Questo mi è necessario, quell'altro mi è necessario, ecc..”. Prima di arrivare a selezionare l’unica cosa necessaria, quante lezioni deve ancora ricevere! Ed è tutto opera di grazia. Ma questa opera della grazia richiede la nostra partecipazione, perché la grazia opera nella misura in cui noi siamo in ascolto di Dio, in cui accogliamo da Dio, in cui riferiamo a Dio.

Allora, più noi riferiamo a Dio le cose, e più questa grazia opera, come dicevo prima con Angelo, opera successivamente (“grazia su grazia”), per portarci sempre di più in questa scoperta, in modo che tutta la nostra attenzione abbia ad incentrarsi in quell'oggetto, in quell’obiettivo, in quell’unica cosa necessaria; per cui questa grazia ci raccoglie da tutta una dispersione.

Quando il Signore dice: "Io sono venuto a raccogliere ciò che si disperdeva" (Lc 19, 10), che cosa intende dire? Cos'è che si disperde? Ma è la nostra vita che si disperde! E come si disperde?  Ma si disperde in quanto diciamo: "Io ho bisogno di quello…, io ho bisogno di quello…, io ho bisogno di quell’altro… e di quell’altro ancora…"; cioè noi facciamo consistere le nostre necessità in tante cose, ed è così che allora avviene la dispersione. Gesù ci viene a raccogliere da questa dispersione. E come ci raccoglie? Portandoci nell'individuazione dell'unica cosa necessaria, da cui dipende tutto.

Eligio: Ma non credo sia sufficiente dire: "Non ho bisogno di questo, non ho bisogno di quello" per trovare Dio, vero?

Luigi: Ah, no, perché questo è negativo; l’altro (cioè ciò che mi porta a trovare Dio) è positivo, è rivelazione positiva. L’individuazione dell'unica cosa necessaria è rivelazione di Dio: è Dio che mi conduce a scoprirla, se però io riferisco le cose a Dio e accolgo tutto da Dio.

Eligio: Quindi il capire che le creature non ci danno la felicità, che non risolvono il nostro destino, non è sufficiente per trovare Dio.

Luigi: Ah, no, certo!

Eligio: Questo te l'ho chiesto per capire la differenza tra chi ha fatto la scelta di Dio con nettezza, lasciando tutto, ed è stato inondato di grazia, e chi, pur avendo capito che le cose non danno la felicità, non ha fatto questa scelta.

Luigi: La rivelazione positiva, cioè lo scoprire dove è (non dove non è) il vero Bene, è opera della grazia. Come dicevamo prima dell’incontro: noi possiamo toccare il fondo e restare a fondo: cioè non basta capire che tutto delude, non basta toccare il fondo! Quand'è che noi tocchiamo il fondo? Quando diciamo: “La mia vita non sta in questo…, non sta in quello…, non sta in quell’altro…, ma non trovo dove sta!”. Per cui capisco, ad esempio, che tutte le creature mi deludono, capisco che la vita non mi viene dalle creature, non mi viene dai mezzi materiali, non mi viene dalla salute, non mi viene dalle cose che vedo e tocco, non mi viene da nulla di tutto questo, però non so da dove mi venga. Allora io sono a fondo, perché sono a contatto con tutte le cose che mi hanno deluso, ma non so dove invece stia la vita, non so dove rivolgermi. Ecco, qui io sono a fondo, ma resto a fondo.

Eligio: A questo punto la creatura quale passaggio deve operare?

Luigi: Anche qui, guarda: in qualunque situazione la creatura si trovi, questa deve fare appello a Dio. Sia in principio, sia in fondo, sia da qualsiasi altra parte, deve sempre far appello a Dio, perché la grazia le viene da Dio. Quindi non è la creatura che debba fare un passo; l'unico passo che deve fare la creatura è sempre quello di rivolgersi a Dio, cioè cercare Dio, guardare Dio, perché: “L'aiuto mi viene di lì, la salvezza mi viene di lì, l'ispirazione di cosa devo fare mi deve venire di lì, perché è Lui che mi conduce”. Infatti è Lui che mi deve condurre a scoprire dove è la mia vita, dove è la Verità, dove è la mia felicità, dove è la mia gioia, dove è il mio tutto. Mi deve far scoprire dove è! Non basta che io sappia dove la vita non è, perché quando io tocco con mano dove non è, io sono disperato, perché non trovo più nessun aiuto in niente, ho tutto distrutto e non vedo il positivo!

Eligio: C'è ancora un altro fatto: pur constatando l'impossibilità di risolvere questi problemi di fondo da soli o appoggiandoci ad altre creature, e pur credendo che solo Dio li può risolvere, la nostra giornata, o almeno la mia giornata, è ancora piena di incoerenze.… Quindi il problema non è ancora risolto anche quando si è convinti che Dio solo ci può raccogliere dalle nostre dispersioni e portarci a vedere la sua Verità.

Luigi: Ma, vedi, quando le creature ci hanno ormai fatto toccare con mano che non risolvono la nostra vita, di per sé possono solo metterci in situazione di delusione, di disperazione, di crisi, dandoci quel senso di stanchezza, di povertà, di miseria, ecc., ma non ci danno Dio. Però se invoco Dio ed ho la grazia di scoprire che la vita mi viene da Dio, allora già il fatto di sapere che la vita mi viene da Dio, mi impegna: Dio chiede a me una certa scelta, una concentrazione di sforzo in quel fine lì. Certo, se non l’ho capito, Dio non me lo chiede; ma se ho capito dove sta il mio Bene, Dio mi ha già dato la grazia sufficiente per conquistare quel Bene lì. È questo che ci rende responsabili!

S. Paolo si lamenta e dice: "Chi mi libererà da questo pungolo che mi infastidisce la vita?". Il Signore gli risponde: "Ti basta la mia grazia" (cf 2 Cor 12, 8-9). Questo è per farci capire che quando noi capiamo una cosa, e se la capiamo è Dio che ci ha illuminati, ci è già data la forza per conquistare quella cosa, per possederla. Dipende da noi, perché il capire ci dà già la forza. Per cui il Signore ci potrà dire: "Ma io te l'avevo fatto vedere!".

Cioè portiamoci nel giudizio: "Signore, io Ti ho cercato, io sapevo che la mia vita era lì, però io ero disperso da tante cose...", e Lui cosa mi potrà dire? “Ma Io ti avevo fatto vedere dov'era il tuo Bene…”; al che dovrò rispondere: “Sì, questo, sì me l’avevi fatto vedere!”. “E allora avevi tutta la possibilità per arrivarci!”, ci dirà il Signore.

Perché quando io vedo dove è il mio Bene, dipende soltanto più da me: Dio me lo mette nelle mani, per cui ci dirà: "Te l'ho fatto vedere dov’era! E perché allora non l'hai voluto?”

Eligio: Però tra lo scoprire che le creature ci deludono e il vedere con chiarezza e certezza che conoscere Dio, vedere Dio, è il nostro massimo bene, c'è ancora un passaggio da fare!

Luigi: Certo! Ma tu partivi dalla situazione in cui la creatura aveva già capito ed era convinta che il massimo bene è in Dio! Allora, se ho visto, ho già la grazia sufficiente per volerlo.

Eligio: Ma vedi, il rapporto con Dio all'inizio è un rapporto di fede, più che di conoscenza; ecco perché, pur sapendo, per fede, che in Dio è la soluzione della nostra vita, non sempre, al momento pratico, la cosa ci è chiara, evidente.

Luigi: Allora bisogna fare ancora una distinzione: una cosa è sapere per fede, e una cosa è essere convinti. Quando io so per fede, so per sentito dire, ma non c'è ancora la convinzione personale.

Eligio: Vedi, noi parlando di queste cose, molte volte citiamo s. Paolo, s. Giovanni. Ma non bisognerebbe invece citare quelli che si trovano nella nostra situazione di incoerenza, di incapacità, ecc. ?

Luigi: Ma noi facciamo leva su coloro che sono maggiori di noi, prima di tutto perché bisogna sempre essere umili e quindi nell'umiltà dobbiamo porre attenzione e accogliere quella rivelazione, quelle parole che ci possono aiutare e sulle quali poterci appoggiare.

Eligio: Allora tutto si deve risolvere in un rapporto di fede nelle esperienze mistiche, per esempio, di un s. Paolo, di un s. Agostino, che, essendo migliori di me...

Luigi: Certo, però vedi, il credere è la condizione per poter diventare attento, ma non è ancora convinzione.

Eligio: Non è ancora conoscere.

Luigi: Ah , no! Infatti Gesù a Pilato dice: "Tu questo lo dici per sentito dire, perché gli altri te lo hanno detto, o lo dici da te stesso?" (Gv 18, 34). Ora, fintanto che noi ci muoviamo per sentito dire, non abbiamo la grazia sufficiente.

Gesù distingue tra quello che noi diciamo per sentito dire e quello che noi diciamo per convinzione nostra. Convinzione nostra vuol dire che c'è una scelta nostra, un'adesione nostra. L'altro invece è sentito dire. Vediamo anche nell’episodio della Samaritana: i Samaritani credendo alle parole della donna, andarono di persona ad ascoltare Gesù, e dopo averlo ascoltato personalmente che cosa dicono? “Ora non è più per quello che tu ci hai riferito che noi crediamo, perché ora noi stessi abbiamo udito e sappiamo che Gesù è veramente il Salvatore del mondo” (Gv 4, 42).

La fede è necessaria, ma è un'introduzione; per cui uno crede per poter arrivare ad essere convinto, cioè crede per arrivare a vedere. Ma se uno, ad esempio, dice: "Io credo, ma non mi preoccupo di arrivare a vedere!", la sua fede è fasulla! È soltanto nominale, perché la fede è proposta. Con la fede mi si propone un bene, ma me lo si propone soltanto, non è che mi sia dato. Per giungere a vederlo bisogna aderire alla proposta.

Ora, se io aderisco alla proposta, vado a cercare il bene che essa mi propone. Aderire alla proposta vuol dire questo: impegnarsi a capire. Allora la fede diventa fattiva, diventa vera, perché, come dico, la fede è solo proposta. Certamente io devo credere alla proposta per arrivare a vedere, perché il bene non ce l'ho; ma se credo, lo cerco.

Quindi la fede, che è proposta, viene da Dio: Dio mi fa la proposta e mi annuncia qual è il mio vero bene. Io non lo capisco ancora, ma Lui me lo annuncia e mi dice: "Io sono il tuo Bene!". Ecco, me lo annuncia. Se io credo, allora incomincio a desiderare il bene proposto, a camminare per andare a vederlo e quindi ad impegnarmi per conoscerlo. Arriverò alla convinzione nella misura in cui camminerò, cioè nella misura in cui mi impegnerò a capire, a conoscere.

Eligio: Come può avvenire il passaggio dall'atteggiamento di fede a quello del dialogo, il quale presuppone già l’incontro personale con Dio e quindi la conoscenza?

Luigi: Guarda, con la fede Dio mi annuncia che è presente dentro di me, m'invita a questo raccoglimento interiore, a questo distacco dalle creature, a mettermi in rapporto diretto con Lui. E questo lo faccio per fede, anche se non Lo vedo; però Lui mi dice che è presente nella mia interiorità, nel mio spirito; allora io credendo, vado, cioè mi raccolgo ed ascolto, anche se non sento niente, sia ben chiaro; ma me ne sto lì sulla soglia di casa Sua, anche se Lui tace.

Ma Lui mi ha detto: "Io sono lì", ed io preferisco morire sulla soglia di casa Sua, piuttosto che andare in casa di altri, perché Lui mi ha detto: “ Io sono lì”. Allora se io credo, sto lì.

Ecco, la fede mi porta lì, cioè mi porta nella condizione di poter accogliere, nella posizione dell'essere dipendente; mi mette in diretto rapporto con Lui, perché mi dice: “Io ci sono, ma tu ancora non mi vedi! Sarò Io che rivelerò il mio Volto a te, quando tu sarai in questa condizione di dipendenza, in modo da potermi accogliere”.

La posizione per poter accogliere è quella della Vergine che è tutta-ascolto. Allora, quando noi siamo tutto-ascolto, quello che giunge a noi, certamente è di Dio e non abbiamo dubbi. Ma se invece noi non siamo tutto ascolto, in noi resta l'interferenza, il prodotto del nostro io. E allora quando c’è il prodotto del nostro io, resta il dubbio, per cui non è un ascolto che ci libera.

Quindi anche per fede uno può entrare in diretto contatto con Dio, in dialogo con Lui, pur non vedendolo. E restando lì, Dio lo illumina e gli rivela il suo Volto.

Tutto il cammino che Gesù ha fatto fare ai suoi discepoli, come l'ha fatto loro fare? Ha detto loro tante cose che ancora non capivano; però essi le accoglievano, anche se non le capivano, e proprio accogliendo le Sue parole sono stati condotti a Pentecoste! Ecco, accogliendo quello che non capivano! Sono arrivati a Pentecoste senza capire! Nella Pentecoste hanno visto, hanno ricevuto!

Ma sono arrivati grazie a tutte quelle cose che Lui aveva detto loro. Per cui Lui, parlando, poco per volta, partendo dal battesimo di penitenza, dalle beatitudini, dalle parabole del Regno, poco per volta li ha portati ad argomenti sempre più elevati: ha incominciato a parlare loro del Padre, della Trinità, dello Spirito che doveva arrivare, del Promesso Consolatore, ecc.. Vedi che c'è tutto un parlare progressivo? Ma tutte queste cose arrivavano a loro, e loro non capivano. Certo, quando parlava delle beatitudini capivano, ma non potevano afferrarne l’anima….Però accogliendo, ecco, credendo in Lui, proprio questi argomenti li hanno raccolti nel Pensiero di Dio e quindi condotti al giorno di Pentecoste.

Infatti il giorno di Pentecoste si trovavano tutti raccolti in un'unica preghiera. Ora, è questo essere raccolti in un unico Pensiero, che li ha resi capaci di ricevere la Presenza di Dio, di vedere Dio.

Qui si è realizzato quanto è detto in questo versetto: ”l’Unigenito Figlio che è nel seno del Padre ce Lo ha rivelato”.

Eligio: Quindi la disponibilità totale l'hanno realizzata solo a Pentecoste.

Luigi: E già! Per cui se noi crediamo, quindi se accogliamo le parole del Signore, le parole stesse del Signore ci preparano alla Pentecoste, perché ci raccolgono in quell'unico Pensiero, Pensiero di Dio, che diventerà poi dopo manifestazione di Presenza.

Eligio: E allora sarà poi da quel punto lì in avanti che inizia il vero dialogo.

Luigi: Sì, perché trovando la Presenza di Dio, allora tu hai quella Presenza efficace che ti libera da tutte le altre presenze.

Eligio: Una Presenza di cui sarò cosciente, vero?.

Luigi: Sì, certamente, perché hai individuato la presenza di Dio in te, per cui puoi parlare con Lui, puoi pensarlo. Puoi pensarlo! Ora, questa possibilità di pensare Lui, questa amicizia, questo rapporto diretto, ti libera da tutte le tentazioni delle altre presenze. Le altre presenze diventano…niente, cioè non più dominanti: prima erano pesanti, adesso non più, perché hai trovato una Presenza molto più efficace, molto più vera delle altre!

Tutte le altre presenze erano soltanto presenze relative, esterne a noi; questa, invece, ci coglie proprio nell'intimo e quindi diventa una presenza molto più intima, molto più pesante (scusate il termine), molto più attraente di tutte le altre presenze. Ad un certo momento le altre presenze mi dicono poco o niente; questa mi dice tanto! Allora non sto più a guardare le altre, ma guardo questa!

Eligio: Quindi la condizione per arrivare a questa unione personale è, dopo l'atto di fede, il mettersi in ascolto.

Luigi: Sì, ma come ho detto, l'atto di fede è una proposta, e proprio in quanto è proposta, mi chiama a fare una certa cosa; cioè mi chiama ad entrare in quel rapporto da cui poi dopo mi verrà la rivelazione della sua Presenza.

Eligio: E prima della Pentecoste non c'è conoscenza?

Luigi: Prima della Pentecoste c'è una conoscenza, ma è conoscenza di fede, cioè è la conoscenza che ci viene comunicata da Colui che parla a noi, ma è relativa soltanto a Colui che parla a noi, quindi non posseduta da noi.

Eligio: Però Colui che parla a noi è l'Unigenito, che è stabilito nel Padre e che ha riscontro in questa Verità interiore che porto in me.

Luigi: Sì, certo; però tutto quello che noi accogliamo ascoltando Lui, cioè le parole che ascoltiamo da Lui, in parte capiamo che sono vere; ci manca però l'anima che ci dia il possesso di quell'argomento, di quella cosa lì. È quanto succedeva ai discepoli quando, ad esempio, Gesù diceva loro: ”Ma non capite ancora? Siete senza intelletto?”. Oppure quando Egli parlava di una cosa ed essi ne intendevano un’altra. Oppure alla fine quando disse loro: “Da tanto tempo sono con voi e ancora non Mi conoscete?”

Eligio: Cioè ci manca quell’anima che ci dia quella convinzione di cui parlavi .

Luigi: Certo.

Eligio: Però vorrei capire questo: siccome Colui che parla a noi è l’Unigenito che è nel seno del Padre, tutto ciò che dice trova riscontro nel Verbo interiore che portiamo in noi, quindi ci illumina; però come mai non rimaniamo in quello che Lui ci dice?

Luigi: Proprio perché non lo possediamo ancora. Gesù essendo sempre nel seno del Padre, ha in Sé la Realtà e quindi parla a noi la Verità. La Verità che Lui parla a noi ci illumina, e quindi ci convince; ma ci convince fintanto che Lui parla con noi (quindi è ancora sempre un fatto “ab externo”, cioè dall’esterno: parla a noi!); però come Lui cessa di parlare, noi troviamo difficoltà a restare, perché non siamo ancora arrivati a Pentecoste.

Quindi, in quanto parla a noi, quello che Lui parla ci illumina, ma non ci dà il possesso della Verità. Il possesso della Verità ci sarà dato quando saremo arrivati a Pentecoste. Infatti Gesù dice: “Lo Spirito vi ricorderà tutto quello che vi ho detto”. Cioè lo Spirito ci darà l'anima di tutto ciò che Gesù ci diceva: ce lo farà capire, ce ne darà il possesso.

Ma se noi ci allontaniamo da Lui, non vi arriveremo, perché “Nessuno ha mai veduto Dio… Con Cristo invece, e solo con Lui, potremo realizzare il nostro desiderio di vedere la Verità, di vedere Dio, perché: ”…è lo stesso Unigenito che sta nel seno del Padre che ce Lo ha svelato”.