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E noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre. Gv 1 Vs 14 Sesto tema


Titolo: Dove dobbiamo trovarci per vedere la Gloria.


Argomenti: Cristo e la nostra fame. Cristo ci conduce a guardare dal Padre. Conoscenza dal basso e dall’alto. LA GLORIA DI DIO I. LA GLORIA DI DIO II.


19/Dicembre/1975


Dall’esposizione di Luigi Bracco (dalla registrazione e dagli appunti):

 

Stiamo ancora approfondendo la terza parte del v. 14 del cap. 1 di S. Giovanni: “…e noi abbiamo contemplato la sua Gloria, gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre, pieno di grazia e di Verità!”

Negli incontri precedenti sono stati commentati i primi due punti del secondo tema: “Vedere la Gloria”, e precisamente:

·1°) l’importanza di vedere la Gloria (e la via per giungervi)

·2°) le condizioni per vedere la Gloria.

 

Ora ci rimane il 3° punto: Dove dobbiamo trovarci per vedere la Gloria. Infatti Gesù fa dipendere la visione della sua  Gloria dal trovarci in un certo “luogo”. Vedere la sua Gloria è conoscerlo per quello che Egli è, è vederlo nel Padre. Ora, “Solo il Padre conosce il Figlio”, dice Gesù (Mt 11,27); quindi fintanto che non conosciamo il Padre, non possiamo conoscere il Figlio.

La conoscenza di Gesù che noi abbiamo attraverso la sua vita, le sue parole, i miracoli che ha fatto, ecc., non è vera conoscenza, perché  una conoscenza  sul piano naturale,


 

 


cioè per relazione tra il nostro io, la nostra mentalità e quello che si presenta: non è ancora la conoscenza della sua Gloria, non è ancora la conoscenza di ciò che Egli è. Per conoscerlo per ciò che è, dobbiamo trovarci “dove” Lui è: nel Padre. Ed è Gesù stesso che ci porta al “luogo” da dove potremo vedere la sua Gloria, ciò che Egli è nel Padre. 

Quindi fintanto che siamo in cammino con Lui noi non vediamo ciò che Egli è, ma Lo vediamo soltanto come Uno fra tanti, un Uomo tra tanti. Soltanto che c’è questa caratteristica: a differenza di quello che dicono gli altri, Lui parla solo di Dio, parla solo del Padre suo. Cioè il parlare del Cristo ha una caratteristica che Lo distingue dal parlare di tutti gli altri. Ha un solo argomento: il Padre.

Basta prendere i giornali e subito vediamo quello di cui si parla nel mondo; gli argomenti del giornale sono molto diversi dagli argomenti che ci propone Cristo. Cristo ci parla solo di Dio, del Padre e delle condizioni che noi dobbiamo realizzare per poter arrivare a conoscere il Padre, a conoscere la Verità. Lui ci parla solo di quello! Se invece sentiamo cosa dicono gli uomini, ci accorgiamo che il parlare degli uomini è molto diverso: si parla di politica, si parla di economia, si parla di affari, di ciò che fa l’uno e di ciò che fa l’altro, ecc., ma non si parla di Dio. Soltanto Cristo parla di Dio e solo di Dio e ce ne parla come “Uno che ha autorità” (Mt 7,29). Infatti dice: “Io Lo conosco ed Egli mi ha mandato” (Gv 7,29). Quindi solo Lui ci può far conoscere il Padre, il quale ci rivelerà la sua Gloria. 

Allora succede che soltanto se noi abbiamo interesse per conoscere Dio e sappiamo l’importanza di conoscerlo, stiamo ad ascoltare quello che dice Cristo. In caso diverso no!

Infatti ognuno di noi è sospinto da ciò che lo interessa: se a me interessa la politica, naturalmente andrò a leggermi quelle cose che mi parlano di politica; se mi interessa il football, andrò a leggere quei giornali che mi parlano di football; se mi interesso di Dio, incomincio a scartare lo sport, incomincio a scartare la politica, ecc, scarto questo e quello perché non mi dà ciò che cerco; scarto… scarto… scarto…, fintanto che non trovo il Cristo, e quando trovo  il Cristo posso dire: “Costui è Colui che aspettavo, perché desideravo incontrare qualcuno che mi parlasse di Dio”! E allora lì ci si trova in sintonia.

Per cui, per essere in sintonia con il Cristo e quindi per individuare il Cristo, per poter ascoltare Cristo, bisogna che in noi si sia formato l’interesse per Dio, che si sia formata la fame di Dio.

Ma fintanto che non si è formata questa fame di Dio, noi non possiamo seguire il Cristo, anche se Lo incontriamo tutti i giorni, anche se andiamo in Chiesa tutti i giorni, anche se facciamo la Comunione tutti i giorni: lo facciamo per una pia pratica, ma non è quello che ci salva!

Per poterlo seguire, bisogna trovare in Cristo Colui che risponde ad una nostra fame, ad un nostro interesse.

Allora, ascoltando il Cristo, Lo si ascolta con questa unica preoccupazione: io voglio conoscere Dio, ho bisogno di conoscere Dio!

Quindi chi ascolta Cristo non si ferma all’imitazione di quello che ha fatto Cristo o ad un certo avvenimento, no! Ma in tutte le cose che ha fatto Cristo, in tutta la sua vita, in tutti gli argomenti che Lui ha trattato, uno deve cercare sempre di trovare la risposta a quell’interesse principale: conoscere Dio. Per cui non si ferma soltanto ad una sua frase, ad un avvenimento, ma va avanti, va sempre più avanti, anche se scopre che Lui diventa sempre più difficile perché approfondisce e perché tratta degli argomenti sempre più profondi.

Quindi  chi Lo segue va avanti con Lui fino alla fine ed  è disposto a tutto pur di arrivare a conoscere Dio.

Allora se lo seguiamo, Lui ad un certo momento ci porta a questi argomenti della Gloria e delle relazioni tra le Divine Persone, per darci la possibilità di essere inseriti anche noi nella vita della Trinità Divina.

Cristo infatti da un primo “luogo” in cui noi ci troviamo e in cui guardiamo “a” Lui (perché fintanto che noi siamo nel pensiero del nostro io, guardiamo a-: guardiamo verso le creature, guardiamo a qualche cosa), ci porta, se noi Lo seguiamo, a quel “luogo” in cui guardiamo “da”, ci porta cioè a quel punto di vista del Padre, “da” cui guardiamo le cose.

Ecco il grande capovolgimento a cui ci porta il Cristo! Ecco la grande diversità nel modo di vedere le cose! Questo, tra tutti gli argomenti della Gloria che stiamo trattando, è il punto centrale ed è, oltre tutto,  molto bello: è il passaggio  dal guardare “a-” al guardare “da-”.

Cristo ci conduce a guardare dal Padre, cioè ci fa salire su una certa “montagna” per poi guardare “dalla” vetta. Però prima di salire noi guardiamo “alla” montagna. Se abbiamo interesse per Dio, guardiamo a-.

Seguendo Cristo, la guida, Lui ci conduce sulla cima della montagna e dalla cima della montagna Lui ci fa guardare da-, dall’Alto.

Quindi, quando Gesù (dopo aver parlato della necessità di andarsene come Verbo Incarnato quale condizione per ricevere lo Spirito di Verità) dice: “Vado a prepararvi il posto, perché  dove Io sono siate anche voi” (Gv 14,2), ci conduce a guardare dal punto di vista del Padre. Infatti è proprio andandosene che forma in noi questo “posto”: il posto, il “luogo”, è questa capacità di guardare dal punto di vista del Padre (un “luogo” è sempre un punto di vista, un punto da cui uno guarda).

Dal punto di vista del Padre noi scopriamo ciò che Egli è, che è poi la sua Gloria, cioè scopriamo che Lui non è uno come tutti, ma che Lui è il Figlio del Padre.

Quindi per poter vedere questa Gloria del Figlio, dobbiamo conoscere il Padre, dobbiamo trovarci nel Padre: ecco perché quando Cristo chiede per noi al Padre questa visione della sua Gloria, parla di un “luogo” in cui noi ci dobbiamo trovare per poterla vedere: “Padre, Io voglio che dove sono Io siano anche quelli che Tu mi hai affidato, affinché vedano la gloria che Tu mi hai dato” (Gv 17, 24).

È evidente che con queste parole Gesù fa dipendere la contemplazione della sua Gloria dal fatto di essere noi in un certo “luogo” e precisamente “dove” Lui stesso è: nel Padre.

Ed è per portarci in questo “luogo” che Cristo, al termine della sua missione tra noi, se Lo abbiamo seguito, ci consegna al Padre; ci affida a Lui: “Padre, ora custodiscili Tu…” (Gv 17,6), e poi se ne va, promettendoci che Lo rivedremo nel Padre.

A questo punto se ne può andare, perché avendoci Egli sempre parlato del Padre e solo del Padre, avendoci convinto che il Padre ci ama ed è presente in noi, ci ha ormai sganciato dal mondo: infatti ad un certo momento le creature non ci possono più dare ciò di cui la nostra anima ha bisogno, perché ormai si è stretto un legame sempre più personale tra la nostra anima e Dio: è come una ferita d’amore che ha formato in noi un solo bisogno e quindi la capacità di sostare nel Pensiero del Padre.

Qui l’anima è matura per fare il grande balzo nel “luogo” in cui il Verbo è e da cui si può contemplare “la Gloria che Egli ebbe prima che il mondo fosse”.

È questo il “posto” che Egli va a prepararci quando se ne va: Lo prepara dentro di noi, formando in noi questa capacità di guardare dal punto di vista del Padre. Ed ecco allora che, guardando dal punto di vista del Padre, cioè dell’Essere, contempliamo la manifestazione dell’Essere, riceviamo cioè la rivelazione di ciò che il Verbo è nel Padre.

La contemplazione del Figlio nel Padre è lo Spirito Santo. È la conoscenza della Verità: è Vita Eterna. È qui che noi siamo chiamati, ed è la nostra Pentecoste.

Qui si realizza la promessa di Gesù: “In quel giorno conoscerete chi sono Io”. Siccome solo il Padre conosce il Figlio, è guardando dal punto di vista del Padre che conosciamo il Figlio e vediamo la sua Gloria.

Lì si forma una sola cosa con Lui in una relazione personale d’amore: lì si è generati anche noi dal Padre, figli di Dio. È una nuova nascita.

La visione della Gloria è quindi  una scoperta

personalissima, perché richiede tutta questa trafila, questo cammino, che è personale. È personale perché:

·richiede l’andare dietro al Cristo;

·esige il superamento del nostro io;

·e non soltanto l’andare dietro al Cristo, non soltanto lo staccarci dal nostro io, ma richiede anche lo staccarci da tutto il mondo, fino ad arrivare a dire: “Io non voglio andare più da nessun altro” (cf Gv 6,68).

In quel momento, quando possiamo in coscienza dire: “Non voglio andare più da nessun altro, perché Tu solo hai parole di vita eterna”, la nostra anima si trova nella situazione della Vergine, che dice: “Non conosco uomo” (Lc 1,34), cioè: “Non voglio conoscere uomo, non voglio conoscere altri argomenti, non mi voglio appoggiare su altro, non voglio più sentire argomenti di mondo”.

Ecco, l’anima in questa situazione non vuole più cercare Dio per altri motivi, ma solo più per un profondo interesse per Lui. Direi che in questa situazione l’anima è solo più attaccata al Pensiero di Dio, per cui anche quando la presenza fisica di Cristo se ne va, rimane unita a Lui, in Lui (come ha detto Gesù: “Io me ne vado, …ma restate uniti a Me”), nel puro Pensiero del Padre, in attesa della manifestazione della Gloria.

  è una conoscenza nuova che si forma in noi; non è più una conoscenza per sentito dire, non è più una conoscenza per relazione tra il nostro mondo e il Suo mondo, no! È una conoscenza nuova, ed è una conoscenza che viene dal punto di vista del Padre: si guarda dal Padre.

Non è più una conoscenza dalla valle alla Vetta, ma è una conoscenza dalla Vetta verso la valle.

La conoscenza dall’Alto verso il basso è una conoscenza completamente nuova, vera, molto diversa dalla conoscenza dal basso verso l’Alto; questo perché dall’Alto (Alto vuol poi dire dal Pensiero del Padre, cioè dal Pensiero dell’Essere) noi vediamo l’essere delle cose.

Invece fintanto che noi siamo in basso, conosciamo gli esseri, le creature, gli uomini per quello che hanno, ma non per quello che sono, e questa non è vera conoscenza.

Dal basso noi non possiamo conoscere gli uomini per quello che sono; li conosciamo invece per l’abito che hanno, per il naso che hanno, per la bocca che hanno, per l’espressione fisica, cioè per tutto ciò che hanno, ma non per ciò che essi sono. Quello che essi sono ci sfugge.

Noi conosciamo gli uomini per l’apparenza, per quello per cui si manifestano. Quello però non è ciò che essi sono, ma è ciò che essi hanno. E ce lo dimostra il fatto che più li frequentiamo e più passiamo di sorpresa in sorpresa, perché quello che hanno non rivela mai ciò che essi sono. Infatti se vedo una persona molto ben vestita o una persona fisicamente bella,  ritengo che sia importante, che sia intelligente, che sia buona: ecco, confondo l’avere con l’essere e mi inganno, perché non è detto che se una persona è bella esteriormente sia anche bella interiormente. Infatti può succedere che, preso da questo errore, da questa confusione tra l’avere e l’essere, magari incomincio a frequentarla, ma più la frequento, più  mi accorgo di questo divario che c’è tra l’avere e l’essere; cioè magari scopro che apparentemente “ha” una bellezza, mentre invece  interiormente “è” molto deforme. Ecco la frattura che c’è tra l’avere e l’essere!

Quindi fintanto che noi siamo nel pensiero del nostro io, tutte le conoscenze che abbiamo delle cose, delle creature, degli uomini, di tutti gli esseri, sono tutte soltanto in rapporto all’avere, perché il vero essere noi lo conosciamo soltanto da Dio, perché Dio è l’Essere.

Soltanto vedendo le cose secondo Dio, noi vediamo l’essere delle cose; soltanto vedendo le cose secondo Dio non giudichiamo più le persone per quello che esse hanno, ma per quello che esse sono. Solo che per poter conoscere gli esseri e le cose per quello che essi sono, dobbiamo rapportarci a Colui che è, dobbiamo cioè conoscere l’Essere, perché Dio è Colui che è: “Io sono Colui che sono” (Es 3,14).

Soltanto guardando dal punto di vista dell’Essere, noi conosciamo il vero essere delle creature e di tutte le cose (gli effetti infatti si conoscono dalla Causa di essi, per cui se non si conosce la Causa, non si possono conoscere gli effetti di essa).

Allora lì scopriamo la Verità: “Conoscerete la Verità, e la Verità vi farà liberi” (Gv 8,32).

Invece fintanto che noi conosciamo gli esseri  per quello che essi hanno, e non per quello che essi sono, noi non siamo liberi, tanto è vero che siamo ingannati. E quando scopriamo di essere stati ingannati, capiamo di non essere stati liberi, perché ci siamo lasciati guidare da pensieri sbagliati, perché è la conoscenza della verità, la conoscenza del loro essere che ci fa liberi.

Infatti sovente, dopo un errore, diciamo: “Se avessi saputo!”. Evidentemente chi non conosce non è libero e si lascia ingannare.

Invece, dal punto di vista dell’Essere, dal punto di vista di Dio, noi non ci fermiamo più all’apparenza, ma conosciamo le cose, gli esseri  per quello che sono secondo Dio, per quello che valgono in Dio. Allora, guardando dal Suo punto di vista, Dio ci dà la possibilità (infatti è sempre tutto opera di Dio) di conoscere l’essere delle cose, di cogliere l’anima, il significato di esse. Cogliendo il significato degli esseri, noi cogliamo veramente l’essere di essi.

Quindi è lì, è  dal punto di vista di Dio che abbiamo la possibilità di cogliere la Gloria del Figlio, cioè l’Essere del Figlio; per cui, fintanto che noi non siamo lì, anche il Cristo lo conosciamo solo per ciò che ha, in rapporto a noi, per ciò che dice e fa; cioè Lo conosciamo sempre sul piano dell’avere e non per quello che è. È successo con gli Apostoli. Infatti dopo tre anni Gesù dice loro: Finora voi non mi avete conosciuto; mi conoscerete quando verrà lo Spirito di Verità (cf Gv 14,9.20; Gv 16,13-14). Ecco, “…allora conoscerete veramente Chi sono Io”: ecco la Gloria!

Ed è una Gloria che presuppone il superamento di tutto ciò che è mondo, di tutto ciò che è relativo al nostro mondo. È per questo che  per preparare il posto da cui si può vedere questa Gloria, Gesù dice che è necessario che Lui se ne vada e chiede al Padre: “Padre, ritornami quella gloria che Io ebbi presso di Te prima che il mondo fosse” (Gv 17,5), cioè “prima che il mondo entrasse in noi”.

Egli  non la chiede per Sé, perché Lui è già in questa Gloria, Lui è sempre stato in questa Gloria, poiché Lui è Figlio di Dio, quindi appartiene a questa Gloria, ma la chiede per tutti i suoi discepoli e per tutti quelli che saranno suoi discepoli in tutti i secoli e in tutti i tempi. La chiede, cioè, per tutte le creature: “Padre, ritornami quella Gloria che Io ebbi…”, cioè che il Figlio ebbe prima che il mondo fosse. E cosa vuol dire questo? Prima che il mondo entrasse nelle anime.

Quindi chiede al Padre, per tutte le anime, la conoscenza di Sé, chiede cioè di farlo conoscere a tutte le anime.

“Fammi conoscere…glorifica tuo Figlio!…rivela ad essi Chi sono”. Ecco, Egli chiede al Padre di rivelarci la sua gloria, però  non perché il Padre ha bisogno di sentirselo chiedere, ma perché noi comprendiamo che la conoscenza della Gloria viene solo dal Padre. Infatti non siamo noi che la possiamo conoscere e non è nemmeno il Cristo che può farsi conoscere, è solo il Padre il rivelatore di Sé e di suo Figlio. “Non cerco la mia gloria, …è un Altro che mi glorifica” (Gv 8,50.54), dice infatti Gesù.

Quindi soltanto se noi giungiamo al Padre (…questo “luogo” interiore che Cristo prepara), “nel” Padre conosciamo il Figlio, conosciamo la sua Gloria.        

Dall’esposizione di Luigi Bracco (dagli appunti e dalla parte registrata).      

Stiamo andando verso la conclusione degli argomenti de “LA GLORIA”, sempre in riferimento al v. 14 del Prologo di s. Giovanni: “…e noi abbiamo contemplato la sua Gloria, Gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre, pieno di grazia e di Verità”.

Rimandiamo a quando Dio vorrà l’approfondimento del 3° tema annunciato: “L’Unigenicità del Figlio di Dio”, la rivelazione della quale è il passaggio obbligato per giungere a vedere la sua Gloria, e ci limitiamo a sottolineare quanto sia necessario, per il raggiungimento di tale Meta, l’entrare “in” Cristo, l’essere “in” Cristo, il Figlio Unigenito di Dio.

Tale necessità deriva dal fatto che “solo il Figlio conosce il Padre” (Mt 11,27), per cui è il Figlio e solo il Figlio che ci può portare alla conoscenza del Padre. La conoscenza del Padre è la meta alla quale tutti siamo chiamati, poiché il Padre è il rivelatore di Sé, del Figlio e dello Spirito Santo. Infatti “solo il Padre conosce il Figlio”, dice ancora Gesù (Mt 11,27), per cui soltanto se noi giungiamo alla conoscenza del Padre abbiamo la possibilità di conoscere il Figlio: è “nel” Padre e dal Padre che noi possiamo vedere la sua Gloria.

Il Padre è il luogo “in” cui dobbiamo trovarci per poterla vedere, poiché è Gesù stesso che fa dipendere questa visione dall’essere noi in un certo “dove”: “Padre, Io voglio che dove Io sono siano anch’essi, affinché vedano la mia Gloria…”. Ecco: “…dove Io sono siano anch’essi…”; dove? “Il Padre è in Me e Io sono nel Padre ” dice Gesù (Gv 10,38).

Tutta la problematica della salvezza consiste perciò nel giungere anche noi a trovarci “nel” Padre. Ma vi si giunge solo se si rimane “nel” Figlio, “in” Cristo, poiché come Lui stesso disse: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me”: per Cristo, con Cristo e in Cristo.


 


Tutto il “segreto” del Cristianesimo sta quindi in quel “nel”, in quell’“in”: come meta (“nel” Padre), ma anche come cammino (“nel” Figlio), poiché Cristo ci ha salvati “in” Se stesso. Ecco perché sbaglia chi dice: “Dopo duemila anni di Cristianesimo, guarda in che stato siamo: dov’è il progresso? Dov’è l’apporto del Cristianesimo? Dov’è la salvezza? Dov’è la liberazione?” Chi dice questo rivela di non aver capito che Cristo ci ha salvati “in” Se stesso: la salvezza è “in” Lui, Pensiero del Padre.

Cristo la salvezza, la liberazione non l’ha portata “fuori” di Sé; Lui ci ha salvati “in” Sé.

Quindi  la liberazione è “in” Cristo.

Ora, fintanto che noi non siamo in Lui, fossimo anche dopo cinquemila anni di Cristianesimo, noi non siamo salvi, perché la salvezza apportata dal Cristo è “in” Lui e l’essere “in” Lui presuppone il superamento dell’io, il che è un fatto essenzialmente personale. E fintanto che noi non entriamo in Lui, la salvezza, la liberazione, la luce, la pace, ecc., non la esperimentiamo, perché se non rimaniamo e non camminiamo “in” Lui, la Gloria del Figlio   non la conosciamo e non possiamo conoscerla.

Quindi il fatto è tutto personale, non è un fatto di massa.

Cristo non salva in massa, perché la salvezza è personale, poiché è un problema d’amore. Tanto è vero che la conoscenza non è trasmettibile da uno all’altro, ma è un nome segreto (“Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve.” Ap 2,17). La conoscenza della Verità, e quindi la conoscenza della Gloria del Figlio, è un nome intimo in quanto presuppone in ogni persona il superamento del suo io.

Ora, il superamento del nostro io non si fa in gruppo, ma è un problema personale: “nel segreto della tua stanza (Mt 6,6), perché tu solo lo sai…. Ecco, tu puoi  fare tutte le promesse in gruppo che vuoi, ma tutte queste promesse servono a nulla se, nel segreto della tua stanza, non superi te stesso, non rinneghi te stesso, non metti al centro Dio, la preoccupazione, l’interesse per Dio. E questo è un fatto nettamente personale; noi lo chiamiamo amore, ma è un fatto personale.

Per cui si parte dall’appartenenza ad una massa, ad una società, ad un gruppo, poi  ascoltando Dio, poco per volta, si diventa delle persone, ci si “drizza”.

Si diventa delle persone proprio in quanto si entra in un rapporto intimo, personale con Dio.

Dio parla a tu per tu e tratta personalmente; quindi, più ci avviciniamo a Dio, più noi siamo trattati personalmente da Lui e non più come gruppo.

Il rapporto con Dio è un rapporto intimo. Lui conosce noi e noi conosciamo Lui; ma quello che Lui conosce di noi e ciò che noi conosciamo di Lui, solo noi lo conosciamo, nessun altro lo conosce e nessun altro può conoscerlo. E questo perché la quantità d’amore con cui uno ama il Signore solo lui e Dio la conoscono, nessun altro la può conoscere.

La possibilità di penetrare nella conoscenza della Verità dipende dalla generosità del superamento del nostro io, poiché si tratta di entrare “in”. È quindi un atto essenzialmente personale. Ecco perché il segreto di tutto il Cristianesimo, di tutta l’opera cristiana sta nell’“in”, nell’entrare “dentro”, nell’essere “in”.

Quindi non è che il Cristo abbia operato in senso orizzontale, per cui il Regno di Dio si debba estendere con le bandierine, allargando i suoi confini, non è che si debba estendere quantitativamente, esteriormente. No! La conversione, la salvezza, Dio la opera personalmente, sulle singole persone: è come il sole sul mare che fa evaporare l’acqua goccia per goccia.

Il gruppo, la società è la massa d’acqua, la grazia di Dio è il calore che opera l’evaporazione dell’acqua; e man mano che l’acqua evapora, goccia dopo goccia,  va verso il sole. E qui,  in Dio, si diventa persone, in intima amicizia, in intimo colloquio con Dio: si è “in”. Infatti Cristo dice: “Rimanete in Me, ed Io in voi… Colui che dimora in Me e nel quale Io dimoro, questi porta abbondanti frutti… Se voi rimanete in Me, e le mie parole rimangono in voi, domandate quanto volete e vi sarà fatto… Rimanete nel mio amore… “ (Gv 15, 4-7).

Allora la salvezza è “in” Cristo, la liberazione è “in” Cristo; quindi Lui ha portato la liberazione agli uomini, ma l’ha portata “in” Se stesso, non l’ha distribuita anonimamente… così, alla massa. Solo chi entra “in” Lui, che rimane “in” Lui può essere condotto da Lui in quel luogo “in” cui Egli è: “nel” Padre, da cui possiamo vedere la sua Gloria. 

Ora, fintanto che noi non entriamo “in” Lui, non restiamo “in” Lui e non seguiamo Lui fino a dove Lui ci conduce (perché dobbiamo restare in Lui fino alla conoscenza del Padre), noi  non possiamo partecipare della sua salvezza che è conoscenza del Padre e visione della sua Gloria, non possiamo quindi partecipare di questa liberazione che ha recato, che è conoscenza della Verità.

La conoscenza è in Lui: Dio Lo si conosce solo nel Pensiero di Dio, suo Figlio. Il Padre si rivela solo a suo Figlio e quindi si rivela a noi solo se trova in noi suo Figlio, cioè se noi siamo diventati puro pensiero del Padre, totalmente trasformati in Lui.

Quindi la conoscenza del Padre, della Verità è “in” Lui e la riceviamo nella misura in cui noi siamo “in” Lui.

Non è una “benedizione” che arriva dall’esterno che ci salva (come se ci venisse detto: “Ecco, vi do la benedizione a tutti quanti e siete salvi”, per cui ognuno la riceve ed è a posto). No! ma è il restare “in” Cristo che ci salva! Quindi attraverso Lui (e questo “attraverso Lui” vuol poi sempre dire “restare in Lui”) siamo condotti alla Meta.

L’importante è capire cosa vuol dire “restare in” Lui. Non è che uno riceva un suo dono, una parola sua, una luce e poi se ne vada per conto suo. No! Ma si tratta, dopo che si è ricevuto il dono, di restare “in” Lui. E allora, attraverso di Lui, restando “in” Lui,  Lui ci conduce a conoscere il Padre, ci conduce “nel” Padre, “luogo” in cui e da cui possiamo vedere la Gloria del Figlio.

Cristo  glorifica il Padre perché ci parla di Lui, ci esalta il Padre e  ce Lo fa conoscere (glorificare vuol dire far conoscere), affinché il Padre glorifichi il Figlio. Nel Padre e dal Padre infatti noi riceviamo la glorificazione del Figlio.

Allora, se noi siamo in Cristo, nel suo Pensiero, Lui ci fa conoscere il Padre; nella conoscenza del Padre noi guardiamo dal punto di vista dell’Essere e qui conosciamo che il Figlio è una cosa sola col Padre; “Io e il Padre siamo uno (Gv 10,30).

Ed è il posto che Egli ci ha preparato, è una conoscenza nuova, è un modo nuovo di conoscere; e qui si realizza ciò che Cristo aveva promesso: “affinché siate sempre con me” (cf Gv 14,16).

Queste parole possono rimanere soltanto parole, ma se sono credute, meditate ed assimilate sono un  sentiero sicuro che ci conducono alla Realtà di esse. Questa conoscenza nuova richiede una lunga maturazione. L’importante però è tenere presente questo “in”: “in Lui”. S Paolo dice: In Lui abbiamo ogni grazia di conoscenza, ogni tesoro di Gloria”. Perché? Perché è in Lui che si arriva alla conoscenza di Dio, alla visione della Gloria. Per cui S. Paolo desidera che “…tutti giungano a penetrare nella perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2, 2-3).

La meta a cui Dio ci chiama e la via che ci ha segnalato per giungere ad essa, ci rivelano l’infinito Amore di Dio per gli uomini, per ognuno di noi. Infatti leggiamo in Gv 2, 16: “Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio Unigenito (il suo Pensiero), affinché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna”, cioè la conoscenza di Dio.  

Ci è stato dato il Pensiero di Dio! Il dono più grande che Dio ha fatto ad ogni uomo è quello di poterlo pensare e noi Lo pensiamo con il Pensiero stesso di Dio che ci è dato! Noi possiamo sprofondarci in questo Pensiero quanto vogliamo e a seconda della nostra dedizione, noi riceviamo ogni tesoro di luce, per cui è il Pensiero stesso di Dio il Tesoro. Nel Vangelo viene paragonato “ad un tesoro nascosto in un campo: chi lo ha trovato lo tiene celato e nella sua gioia va, vende tutto quello che ha e compra quel campo” (Mt 13,44). Con queste parole Gesù ci fa capire che per possedere il “tesoro” trovato bisogna comprare il campo in cui esso si trova: il campo cioè del silenzio, della dedizione, dell’ascolto interiore, per comperare il quale bisogna vendere tutto ciò che si ha, liberarsi da tutti gli altri interessi che ci sono di ostacolo.

Noi dobbiamo impegnarci in questo Tesoro, in questo Pensiero di Dio, perché Dio Lo si trova solo lì: “in Lui!”. Gesù dice a Nicodemo: “Il Padre ama il Figlio e ha posto tutto nelle sue mani”. L’unica preoccupazione quindi deve essere quella di rimanere “in Lui” perché in Lui avremo “tutto”, poiché in Lui c’è tutto. Infatti, come dice S. Paolo, “è in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità, e voi avete in Lui parte della sua pienezza” (Col 2, 9).

Allora è necessario che la nostra mente, i nostri interessi, il nostro cuore, tutti i nostri pensieri incomincino a restare, a meditare su di Lui, con Lui, su tutto ciò che Egli ha detto, su tutto ciò che Egli ha fatto, ecc., per cercare di capire, di penetrare tutte le sue parole, senza trascurarne nessuna, sapendo che ci è annunciato che “in” Lui c’è questo tesoro.

Per cui attraverso tutte le sue Parole, tutti i suoi argomenti che si fanno man mano sempre più profondi, a poco a poco Cristo ci conduce fino al punto in cui Lui ci dice: “Adesso Io me ne vado, perché vado a prepararvi un posto. Il posto dove Io vado tu lo sai perché hai ricevuto tutti gli argomenti. Quindi sai dove Io vado, sai “dove” trovarmi. Ci rivedremo nel Padre…”.

Ecco, se noi continuiamo a raccogliere, a meditare sempre su questi argomenti, poco per volta, il nostro spirito, la nostra mente, si ferma su certi pensieri, su certi argomenti, ed è lì che viene la Luce dentro di noi.

Quindi, da quella che era la presenza esterna del Cristo, poco per volta, seguendo le sue Parole, Lui ci conduce a scoprire, ad individuare il Volto del Padre che portiamo già in noi; infatti Gesù dice: “Il Padre stesso vi ama, poiché voi mi avete amato e avete creduto che Io sono venuto da Dio” (Gv 16,27).

Seguendo Cristo siamo condotti a scoprire questa presenza di Dio in noi, ad individuarla; ed è qui che si incomincia poi a vedere dal punto di vista dell’Essere.

Pensieri tratti dalla conversazione:

Ines: Quindi è molto importante capire bene cosa vuol dire essere “in” Cristo, perché tutto dipende da questo.

Luigi: Certamente, altrimenti non si arriva al Padre e a vedere le cose nel Padre e dal Padre; ma questo rimanere “in Lui” è un fatto personale.

Pinuccia A.: È personale, però ha anche dei risvolti sociali, perché la società è cambiata con l’inizio del Cristianesimo. 

Luigi: Sì, però sostanzialmente il problema è personale, perché ad ogni uomo che nasce viene proposto il superamento del proprio io per impegnarsi a conoscere Dio, e questo è un problema strettamente personale. Ci possiamo ammonire l’un l’altro, ma nessuno può fare questo al posto nostro. Ecco perché dicevo che è uno sbaglio considerare la salvezza come un fatto di massa o di gruppo. Noi comunemente diciamo: “Cristo ci ha salvato; Lui ci ha portato ogni grazia di conoscenza”,



 ma è un linguaggio insufficiente, che non esprime le cose come stanno, per cui può dar luogo ad equivoci, come se tutto potesse avvenire automaticamente o per estensione spaziale e temporale. No! S. Paolo dice che è “in Lui” che abbiamo ogni grazia, ogni tesoro di conoscenza: “in Lui!”. Se non teniamo presente questo “in”, ci poniamo dei problemi e interrogativi sbagliati. Infatti quanti si chiedono: “Ma come mai dopo duemila anni di Cristianesimo noi ancora non conosciamo? Come mai dopo duemila anni siamo al piano, anzi a volte peggio, dei più grandi peccatori dell’Antico Testamento, oppure siamo nel caos? Come mai? Ma allora non è vero che Cristo ha portato la conoscenza, la luce, la pace, la liberazione!! Dov’è tutto questo?”. Ecco, è in Lui tutto questo! “In” Lui.

Eligio: “In Lui”, intendi il Padre cioè “nel Padre”?

Luigi: No, in Cristo! “Nel Padre” sarà la meta e lì ci sarà la pienezza e la stabilità della liberazione, della pace, della luce, ecc. come conseguenza del vedere la Gloria del Verbo, cioè del vedere ciò che il Verbo è nel Padre, ma vi si arriva per mezzo del Cristo, camminando con Lui e rimanendo “in Lui”, perché in Cristo c’è ogni grazia di conoscenza, c’è ogni pace, c’è ogni virtù: ma in Lui! Se io non sono in Lui, me la sogno la pace: io sono in guerra. Me la sogno la grazia, me la sogno la luce, me la sogno la conoscenza: sono infinitamente lontano, abissalmente lontano dalla Verità! È in Lui che trovo tutto questo! Ed essere in Lui  vuol dire che se non entro in Lui, se non mi unisco a Lui, non trovo tutte queste cose, perché è solo in Lui che le trovo!

È come se uno mi dicesse: “Se vuoi trovare la sorgente che cerchi, devi andare in quel luogo che io ti indicherò. Allora guarda: andando per quella direzione, arrivi ad una città, poi da lì prendi quella deviazione e poi quell’altra, e ad un certo momento troverai la sorgente in quel punto”. Ma non basta che io senta questa indicazione: per trovare quella sorgente devo andare in quel luogo, in quel punto, quindi “in Lui”: è in Lui che troviamo la conoscenza, non fuori di Lui. Ma per rimanere in Lui debbo dedicare la mia mente, il cuore e i pensieri a Lui, per meditare sulla sua vita e sulle sue parole, e lo faccio perché mi è stato detto che in Lui c’è questo tesoro. Sì, in Lui c’è ogni tesoro di grazia e di gloria. Perché? Perché è solo se siamo inseriti “in” Lui che noi possiamo giungere a quel “luogo” da cui si vede la Verità, la Gloria del Verbo.

Il “segreto” del Cristianesimo, come dicevo, sta tutto in quell’“in”.

Eligio: Quindi questo “in Lui” dobbiamo intenderlo come qualcosa di esteriore a noi, come una persona esterna a noi.

Luigi: Sì, Cristo è una persona esterna a noi: infatti noi la vediamo anche fisicamente, ce la possiamo immaginare per come ce l’hanno descritta, ce la immaginiamo per quello che ci hanno detto, per quello che abbiamo letto, ecc. e ce la immaginiamo così. Però di Lui  ci vien detto: “in Lui c’è un tesoro”. E allora qui incominciamo a pensare a Lui.

Naturalmente questo presuppone la fede e non soltanto: presuppone che io abbia interesse per Dio, perché Lui mi parla di Dio e non di politica o di lotte di classe. Ecco, se ho  interesse per Dio e credo a quello che mi è annunciato (poiché tutto è opera di Dio), allora arrivo anch’io a dire: “in Lui c’è un tesoro”.

E da lì incomincio a meditare, per le conoscenze che posso avere, su tutte le cose che riguardano Lui, sulle cose soprattutto di cui Lui ha parlato, cioè sulle sue parole e anche  su ciò che ha fatto, senza nulla trascurare.

Ora, le sue Parole diventano in me una strada, diventano un sentiero che mi conduce, di argomento in argomento…. e non lascio perdere niente, perché so che c’è un tesoro in questo suo parlare; quindi vivo con Lui, medito su di Lui, su ciò che Egli dice, su ciò che Egli fa. E allora raccogliendo tutte le sue parole, Cristo mi conduce facendomi passare dagli argomenti più accessibili (dall’argomento delle beatitudini agli argomenti delle parabole), fino a questi grandi linguaggi sul Padre, sulla conoscenza, sul “posto”, sul luogo della Gloria, che sono argomenti difficili. Eppure uno non lascia perdere niente, perché sa che in Lui c’è questo tesoro.

Allora, attraverso tutto il suo parlare Cristo ci conduce a poco a poco, fino a quella soglia da cui si può fare il gran balzo nel Padre, dal quale poi vedremo la sua Gloria, quella Gloria che Egli ebbe “prima che il mondo fosse”, e dove si realizza la sua promessa: “Ci rivedremo nel Padre”.

Per cui attraverso tutte le sue Parole, tutti i suoi argomenti che si fanno man mano sempre più profondi, a poco a poco Cristo ci conduce fino al punto in cui Lui ci dice: “Adesso Io me ne vado, perché vado a prepararvi un posto. Il posto dove Io vado tu lo sai perché hai ricevuto tutti gli argomenti. Quindi sai dove Io vado, sai “dove” trovarmi. Ci rivedremo nel Padre…”.

Ecco, se noi continuiamo a raccogliere, a meditare sempre su questi argomenti, poco per volta, il nostro spirito, la nostra mente, si ferma su certi pensieri, su certi argomenti, ed è lì che viene la Luce dentro di noi.

Quindi, da quella che era la presenza esterna del Cristo, poco per volta, seguendo le sue Parole, Lui ci conduce a scoprire, ad individuare il Volto del Padre che portiamo già in noi; infatti Gesù dice: “Il Padre stesso vi ama, poiché voi mi avete amato e avete creduto che Io sono venuto da Dio” (Gv 16,27).

Seguendo Cristo siamo condotti a scoprire questa presenza di Dio in noi, ad individuarla; ed è qui che si incomincia poi a vedere dal punto di vista dell’Essere.

Eligio: Hai detto che il Cristo, se Lo seguiamo nel suo processo mentale, ci conduce a vedere la presenza del Padre in noi. Ora, mi riesce difficile capirlo, perché noi seguiamo il Cristo fisico…; è vero che poi se ne va, ma di lì a vedere la presenza del Padre, mi sembra ci sia un salto abissale.

Luigi: Certo, perché il Padre non ha una presenza fisica, per cui la Presenza che constateremo non sarà più una presenza fisica. Il Cristo invece ha assunto una presenza fisica; ma questa presenza fisica ad un certo momento deve andarsene. Perché deve andarsene?

Appunto perché si deve passare dalla presenza fisica, quindi da una presenza “io e l’altro”, ad una presenza interiore. Ed è lì, quando  cioè si arriva attraverso Cristo a questa scoperta della Presenza interiore, che si arriva ad una Presenza eterna, ad una Presenza vera. Infatti quando si scopre la Verità, incomincia la Vita Eterna, perché la Verità non muta più.

L’eternità non è altro che una conseguenza della Verità. Noi non siamo nell’eternità perché non vediamo ancora la Verità; infatti noi vediamo le cose che non sono vere, le cose che mutano, per cui entriamo nel tempo; ma come scopriamo il vero entriamo nell’eternità. Quindi l’eternità è una diretta conseguenza della Verità, perché conoscendo la Verità, si conosce ciò che è eterno. Ciò che è vero è eterno, perché la Verità è Verità: non muta più.

Pinuccia A.: La Verità ce la dà il Vangelo, vero? Cioè la Parola di Dio.

Luigi: La Verità è la conclusione alla quale ci conduce tutto il Vangelo! Essere discepoli di Cristo vuol dire restare nelle sue Parole, che, se le accogliamo, diventano un sentiero,  diventano un cammino che, di argomento in argomento, ci conducono a conoscere la Verità. Egli ci parla di tanti argomenti: inizia con il discorso delle Beatitudini (“beati voi poveri”, “guai a voi ricchi”), poi parla del Regno di Dio attraverso le parabole (“il seminatore”, “il grano buono e la zizzania”, ecc.). Ecco, se tutti questi argomenti ci stanno veramente a cuore, li raccogliamo. Raccogliendoli e meditandoli, ecco che tutti questi argomenti formano in noi un sentiero su cui la nostra anima cammina, avanza, avanza, avanza… Ecco, qui abbiamo il discepolo, perché è così che si è discepoli del Cristo. Infatti Cristo stesso dice: “Sarete veri miei discepoli se resterete nelle mie Parole; se resterete nelle mie Parole conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32).

La Verità è Vita eterna, perché la Verità non muta più. Quindi Lui ci fa passare da una situazione in cui tutto cambia, tutto muta, in cui abbiamo i rapporti esterni: “io ho, tu hai, egli ha”, per cui ci conosciamo per quello che abbiamo, ad una situazione in cui tutto è interiore e stabile, perché ci porta nell’interiorità, ci porta poco per volta alla conoscenza della Verità.

La Verità diventa intima:  la Verità non è più “io e l’altro”, cioè non è più un trovarci di fronte a un qualcosa di esterno a noi, no!  no! La Verità è intima ed è una conoscenza personale: qui si è nel ”a tu per tu” con la Presenza, in rapporto diretto con la Presenza.

Fintanto che in noi le conoscenze avvengono tra “noi e l’altro”, cioè tra noi e qualcosa di esterno a noi, noi le cose le conosciamo per un rapporto di avere: per esempio, “io ho il mio corpo, l’altro ha il suo corpo”. Nella Verità non è così. Nella Verità la conoscenza non è in rapporto all’avere. La Verità è dentro. È per questo che il Cristo, parlando, ci porta a poco a poco sempre più nell’interiorità. La Verità non può essere “fuori”, perché altrimenti noi saremmo qui e la Verità  sarebbe là e quindi non sarebbe più Verità perché noi saremmo “fuori” della Verità: la Verità invece comprende tutto.

Ora, il Signore ci conduce a vedere la Verità, che è poi il Volto del Padre che è in noi. “Il Padre mi glorificherà” (Gv 13,32). È il Padre che glorifica il Figlio, perché  “solo il Padre conosce il Figlio” (Mt 11,27).

Ecco, solo il Padre conosce il Figlio! E questo cosa vuol dire? Dicendo: “Solo il Padre conosce il Figlio”, praticamente dice a noi tutti: “Voi non mi conoscete”. Ma se ci dice: “Io vi conduco a vedere il Padre”, ci dice anche, anzi ci promette che, siccome il Padre conosce il Figlio, ci farà conoscere il Figlio. . Ecco perché Cristo chiede al  Padre che Lo glorifichi con quella gloria che Egli ebbe “prima che il mondo fosse”.

Questo vuol  dire che a quel  punto lì  il mondo non ci dice più niente:  il mondo ormai ha detto tutto quello che aveva da dire, quindi non può più dire niente.

Ines: Cioè?

Luigi: Cioè a questo punto ci troviamo  in questa situazione: il mondo ha detto tutto quello che aveva da dire. Ormai non possiamo più aspettarci assolutamente niente dal mondo. Infatti possiamo interrogare il mondo per centomila anni, ma il mondo non può dirci di più di quello che già ci ha detto. Cioè ci ripeterà sempre questi argomenti: “Metti Dio al primo posto, cerca il Signore prima di tutto, guarda in tutto sempre a Dio”. Questo ce lo dice il mondo, perché il  mondo con il suo passare, con il suo morire, con le sue tribolazioni, ecc., ci testimonia la sua vanità, ma nello stesso tempo ci indica che dobbiamo mettere prima di tutto Dio, che dobbiamo guardare Dio, che dobbiamo cercare Dio.

Quindi noi possiamo interrogare il mondo per altre centomila volte, ma non ci dice di più di questo e non può dirci di più. È come se incontrando una creatura, le chiedessi: “Cosa hai di nuovo da dirmi?”. Questa risponderebbe “Quello che ti ho detto ieri”; e se il giorno dopo la interrogassi di nuovo, lei mi risponderebbe: “Quello che ti ho detto due giorni fa”. E se ritornassi ad interrogarla, non farebbe altro che ripetermi: “Quello che ti ho detto già detto prima dell’altro ieri…” e così via.  Ad un certo momento, se non sono stolto, capisco che è inutile che la interroghi, perché mi ripete soltanto quello e non può dirmi di più.

Allora  quando noi ci siamo ben convinti che ormai il mondo ha detto tutto quello che ci poteva dire segnalandoci Dio, per cui in noi si è formato il bisogno di qualcos’altro che il mondo non ci può più dare, ci afferriamo ben saldamente al Cristo (“Tu solo hai parole di vita eterna!”) e, attraverso il Cristo, ad un certo momento arriviamo a quel “Luogo” in cui possiamo vedere  quella gloria “prima che il mondo fosse”: è una cosa nuova che viene dal Padre.

Il Padre cioè ci dice una Parola nuova, ci dice qualche cosa che il mondo assolutamente non può dire, che nessuna creatura può dire. Direi di più: è una Parola che nemmeno il Figlio può dire (perché il Figlio aspetta tutto dal Padre).

Pinuccia B.: Questa parola nuova che solo il Padre può dire è il Figlio, vero?

Luigi: Certo, questa Parola nuova è il Figlio stesso e il Figlio non può dirla: bisogna cercarla presso il Padre e dal Padre.

Ma per riceverla deve passare tutto: deve passare il mondo! Non è però che debba passare fisicamente; infatti può anche passare tutto fisicamente, perché noi possiamo  morire, ma con questo non è che si arrivi alla Gloria. Perché? Perché per entrare in questa Gloria si presuppone il superamento del nostro io. E non basta che il mondo muoia fisicamente, che sparisca, che noi stessi moriamo, per farci superare il nostro io, perché il superamento dell’io è un atto d’amore, è un atto di giustizia, è un atto con cui noi mettiamo Dio prima di tutto, al centro di tutto, nel segreto della nostra stanza.

Pinuccia A.: Sarebbe la giustizia essenziale?!

Luigi: Certo e questa giustizia essenziale è un atto personale, che nessuno può fare per noi. Ecco perché dico che è una cosa personale: perché nessuno può farlo al posto nostro!

Il mondo ha delle cose preziosissime da dirci e da darci,  delle ottime segnalazioni, se noi siamo capaci di intenderle, però tutte queste segnalazioni ad un certo momento si esauriscono o si ripetono all’infinito. Il mondo non può dirci oltre.

Quindi  praticamente il mondo ci sospinge a Dio, forma in noi la fame di Dio, forma in noi il bisogno di Dio. E come si è formato in noi questo bisogno di Dio, siamo preparati, pronti ad incontrare il Cristo. Il Cristo ci dice qualche cosa di più di quello che ci dice il mondo, rispetto a questo nostro interesse che si è formato; per cui Cristo dicendoci qualche cosa di più ci conduce al Padre. Ma il Padre ci dice una cosa che né il mondo, né il Cristo,  nessuno, nemmeno gli angeli, ci possono dire: è lì la  Gloria!

Eligio: Non è facile capirlo e non possiamo nemmeno immaginarcelo, poiché si tratta della Gloria del Figlio “prima che il mondo fosse”.

Luigi: Però la cosa importante è questa: anche se noi per ora non vediamo questa Gloria, dobbiamo comunque sapere che bisogna arrivare a vederla.

Noi dobbiamo avere sempre presente questo Fine: “Io devo arrivare a vedere questa Gloria; sono stato creato per questo”. Perché è in questa Gloria che inizia la Vita vera, la pace profonda, la gioia che nessuno ci potrà portare via. Lo dice Gesù: “Nessuno più vi potrà portare via questa gioia” (Gv 14,23), perché ciò che si sarà formato in voi avrà una forza tale che nessuno più (in quanto tutto il resto sono argomenti più deboli) ve lo potrà portare via.

Gesù parla di “gioia piena”, di gioia profonda (Gv 15,11).

Quindi, anche se noi non capiamo o ancora non siamo giunti a questa Gloria, dobbiamo comunque sapere che dobbiamo arrivare lì: arrivare alla conoscenza del Padre, cioè a quel “luogo” da cui potremo contemplare la Gloria del Figlio, perché è per questo fine che siamo stati creati.

Altrimenti noi corriamo il rischio di fermarci a delle tappe, scambiandole per fine. Ecco, dobbiamo sapere che dobbiamo arrivare lì, che dobbiamo tendere a questa Meta. Per cui dobbiamo  seguire il Vangelo, conoscere le cose che dice il Signore, meditare sulle cose di Dio con il desiderio di  arrivare là; perché Cristo, tutti gli argomenti che svolge, li svolge per condurci al Padre della Luce.

Pinuccia B.: Il fine della nostra vita è la conoscenza del Padre, vero?

Luigi: Certo.

Pinuccia B.: Però da come hai spiegato, sembra che non dobbiamo fermarci al Padre, perché il fine è vedere la gloria del Figlio, cioè conoscere il Figlio.

Luigi: Essenziale è conoscere il Padre, perché il Padre ci farà conoscere il Figlio.

Pinuccia B.: Ma allora il fine nostro è la conoscenza del Padre o la conoscenza della Gloria del Verbo?

Luigi: Ma nella conoscenza del Padre c’è la conoscenza del Figlio e del suo rapporto con il Padre.

Pinuccia B.: Quindi l’importante è giungere a conoscere il Padre, perché lì si trova il Figlio e lo Spirito Santo, cioè la Gloria.

Luigi: Questa è la meta, e sappiamo quanto è importante per la nostra vita essenziale, eterna, giungere lì. Ma il tutto parte da un atto di giustizia,  da un riconoscimento interiore: “È giusto che io metta Dio al centro dei miei pensieri e delle mie scelte”, giustizia da cui nasce il bisogno di Dio, l’interesse per Dio.

Questo bisogno di Dio, questo interesse per Dio,  è la prima scintilla che si deve formare in noi attraverso le lezioni della vita, attraverso il linguaggio stesso del mondo con le sue delusioni e le sue vanità, attraverso il tempo che passa, ecc.: tutte lezioni che ci sollecitano a fare la giustizia essenziale. Questo è il bisogno più elementare che però, purtroppo, il più delle volte si forma solo nell’agonia, perché la maggior parte degli uomini vive stoltamente, senza cercare il senso della vita, perdendo il tempo nelle cose vane. Quando ad un certo momento sprofonda tutto, allora si forma il bisogno di Dio. Ma questa è la prima scintilla di un immenso fuoco che Cristo, se accolto, porterà in noi: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49).

Questo bisogno di Dio è il primo atto di vita, ed è poi la stessa nostra anima: anima che noi calpestiamo, soffochiamo, magari per tutta la vita, perché distratti dalle cose del mondo. Ma poi quando tutto il mondo precipita, forse nell’agonia, e tutto se ne va, allora la nostra anima ricompare e ci  dice: “Guarda che è dalla tua nascita che  ti chiamo, che ti faccio sentire questa fame, e tu mi scopri solo adesso?!”.

Ecco, il desiderio, il bisogno di Dio, noi ce l’abbiamo dal primo momento in cui nasciamo, per cui se noi fossimo attenti alla nostra anima, questa fame si formerebbe immediatamente in noi.

Questa fame è selezionatrice e ci conduce al Cristo; per cui se incontriamo chi ci parla di altro da Dio (di football, di politica, di economia, di cibo, ecc.) gli diciamo: “No, no, non m’interessa”. Quando uno è molto affamato è come uno che passi in via Roma con una preoccupazione forte:  vede mille vetrine, ma non gli interessano, perché è assorbito dalla sua esigenza o preoccupazione, può incontrare tutte le persone di questo mondo, ma non si ferma, perché ha questa preoccupazione forte. Ora, più la preoccupazione è forte, più la fame è forte, e più uno diventa selezionatore; e questa grande forza di selezione praticamente ci porta ad una scelta immensa tra miliardi di incontri, fino ad individuare il Cristo. E come uno individua il Cristo, si blocca lì e  non Lo molla più, perché è la tanta fame che l’ha condotto lì! È la tanta fame che gli ha fatto scartare tutti e gli ha fatto individuare Lui.

E una volta individuato Lui, gli dice: “Io adesso voglio restare qui, io voglio restare qui con Te, perché Tu solo mi dai quel pane di cui io ho fame”, per cui ci mettiamo ai suoi piedi (Cf Lc 10,39) dicendo: “Parla, Signore; parla, Signore!”. E siccome il Signore è sempre disponibile e non ci caccia mai via, più noi gli diciamo di darci il pane,  più noi abbiamo fame e più Lui travasa, travasa, travasa... E questo perché Egli abita con noi e  ci ha dato l’indirizzo della sua casa; per cui noi possiamo stare con Lui tutto il tempo che vogliamo. Ma Lui ha tante cose da dire! Lui stesso dice: “Io ho tante cose da dirvi” (Gv 16,12). Quindi non è soltanto una parola che vuole dirci, ma sono tante parole; perché tutto il suo parlare è un fluire, una strada, un sentiero, e man mano che noi le sentiamo, camminiamo, camminiamo, camminiamo, e poco per volta avanziamo  verso la Meta, per cui ad un certo momento ci troviamo “dentro”.

E cosa vuol dire questo “farci camminare verso la Meta”?

Vuol  dire che ce la rende sempre più vicina, più accessibile, perché più avanziamo verso la Meta e più quella diventa grande. È come quando cammini verso una città: all’inizio ti sembra lontana e piccola,  un puntino, ma poi cammina, cammina, man mano che cammini, quella città si fa  sempre più vicina, e ad un certo momento ti trovi “dentro”: ecco il Padre!

Ascoltando il Cristo, Lui ci fa camminare verso una cosa che inizialmente sembra lontanissima. Gesù stesso dice che “Il Regno di Dio è un seme piccolissimo” (Lc 13,18). Infatti in mezzo a tanti argomenti del mondo che ci sembrano tanto importanti, in un primo momento il problema di Dio è ritenuto piccolissimo. Ma se noi camminiamo e Lo ascoltiamo, più Lo ascoltiamo, più questo seme diventa grande, grande, fino a coinvolgere ogni nostro pensiero. Gesù dice:  “Quel seme è il più piccolo di tutti i semi; ma cresciuto che sia, diventa più grande di tutti gli erbaggi e si fa albero; tanto che gli uccelli del cielo vengono a nidificare tra i suoi rami” (Mt 13,32).   

Ecco, c’è un momento in cui il Regno di Dio diventa Realtà, diventa tutto, per cui ad un certo punto lo constatiamo: è lì! Ma  è Cristo che ci conduce a vedere.

Pinuccia B.: Chi ha in sé il bisogno di Dio, se non incontra  il Cristo,Verbo incarnato, può arrivare su questa terra a vedere la Gloria di Dio?

Luigi: No, su questa terra no! Comunque l’importante è avere questo interesse per Dio, perché quello che salva è il bisogno di Dio. Però, attualmente questo bisogno può essere condizionato dall’ambiente, da limiti storici, dai tempi e dai luoghi in cui ci troviamo, da eventi storici ecc. Ora però, siccome il Cristo è un punto di questo mondo, ha occupato una pagina di questa nostra storia, posso essere anche mille pagine lontano da questa, e quindi non conoscere questa pagina qui, ma se sento il bisogno di Dio, magari anche solo nel momento della morte, ad un certo momento conosco tutto il libro ed è lì che  individuo ed incontro il Cristo. Invece  attualmente, la conoscenza di una parte del libro è un limite in cui mi trovo, per le condizioni ambientali, storiche, ecc.; però in quanto ho fame, in potenza, leggerò tutto il libro, e quindi incontrerò senz’altro il Cristo.

Pinuccia B.: Ma già prima di morire?

Luigi: Questo non lo so, non posso dirlo; comunque certamente, in quanto il Cristo appartiene al libro, cioè appartiene al mondo, all’universo, e in quanto la nostra anima lasciando questo mondo non subisce più i limiti di ambiente, incontra senz’altro il Cristo. Fintanto che la nostra anima subisce i limiti dell’ambiente, se siamo lontani dal Cristo non Lo incontriamo. Ma come la nostra anima si libera dai condizionamenti, ad un certo momento Lo scopre. E allora il Cristo ci conduce alla Meta. L’importante quindi è aver fatto questa giustizia essenziale, cioè aver messo Dio al centro della nostra vita.

Pinuccia B.: S. Paolo dice: “Come conosceranno il Cristo se nessuno Lo predica?” (cf 1 Cor 15,12); cioè egli mette la conoscenza del Cristo legata all’ambiente.

Luigi: Sì, ma comunque sia, l’ambiente non può mai dannare.

Pinuccia B.: Va bene, però l’ambiente può farmi conoscere il Cristo.

Luigi: Ecco, l’ambiente può contribuire a farti conoscere il Cristo, ma nessuno può essere condannato per una condizione ambientale, perché l’ambiente è formato da Dio. Ora, attualmente nell’ambiente ci sono creature che incontrano il Cristo e creature che non incontrano il Cristo; però non basta incontrarlo fisicamente: infatti anche oggi tra coloro che Lo incontrano avviene come allora avvenne in Gerusalemme: ci furono discepoli che riconobbero il Cristo e Lo seguirono e ci furono quelli che Lo crocifissero. Questo sempre per farci capire che non basta incontrarlo fisicamente, perché ci sono dei limiti personali e si richiedono determinate disposizioni interiori per poterlo riconoscere.

Quindi il problema che tu poni  non è un problema ambientale, perché, come ho detto,  ci sono state creature che camminavano sulle strade del Cristo e una parte L’ha amato e una parte L’ha mandato a morte. E così è lo stesso: possiamo trovare delle persone che ambientalmente ne hanno sentito parlare, ma non Lo seguono, anzi Lo mandano a morte, e possiamo trovare delle persone che ambientalmente sono lontane e non Lo conoscono, ma che spiritualmente appartengono a Lui; e queste Lo incontreranno, perché  quello che fa individuare il Verbo di Dio fatto carne è la fame di Dio.

Pinuccia B.: Ma io Lo individuo se qualcuno me Lo presenta.

Luigi: Non basta che qualcuno te Lo presenti.

Pinuccia B.: Ma come faccio a sapere che il Verbo di Dio si è incarnato e che ha occupato una pagina della nostra storia, se nessuno me lo dice?

Luigi: Anche se nessuno te lo dice, se desideri Dio, appartieni a Lui. Magari non Lo conoscerai storicamente, qui sulla terra, ma Lo conoscerai poi. “Abramo desiderò vedere il mio giorno (quindi appartenne), Lo vide e ne gioì” (Gv 8,56): in quanto uno sente il bisogno di Dio appartiene già a Dio, perché è attratto dal Padre. Il Padre lo consegnerà al Figlio quando e come vorrà; allora lì il Figlio lo porterà a conoscere il Padre e quindi a  vedere la Gloria.

Pinuccia B.: Allora il Padre non consegna tutti al Verbo incarnato? Tu prima hai affermato la necessità di incontrare il Verbo incarnato, di individuarlo; ma io non posso individuarlo se non so che Dio si è fatto uomo. E allora?

Luigi: Quello che è necessario in noi per salvarci è il desiderio di Dio, è il bisogno di Dio, perché questo rivela che abbiamo fatto l’atto di giustizia essenziale, cioè che abbiamo messo Dio al centro della nostra vita, anziché l’io. Questo non basta per vedere la Gloria, però ci salva.

         Cioè dobbiamo tenere presente due cose:

·possiamo non incontrare il Cristo ambientalmente, ma per l’ambiente non possiamo essere dannati, perché l’ambiente è opera del Signore;

·dal momento che il Cristo è venuto ad appartenere al mondo, ha occupato un punto del mondo, e in quanto ha occupato un punto, ha occupato tutto il mondo; in quanto ha occupato una pagina della storia, ha occupato tutta la storia, quindi tutto ha un legame con Lui.

Allora posso essere limitato a qualche pagina della storia, a qualche luogo del mondo, ma in quanto il Cristo ha occupato tutto, presto o tardi (può darsi nell’agonia o subito dopo morte), quando scopro il tutto di questo mondo, trovo il Cristo. Non posso non trovarlo, perché Cristo fa parte di quello. Ora, certamente, in quanto appartengo al mondo (nel senso che faccio parte di questo mondo), sono  già legato al Cristo, anche se non Lo scopro, ma sono legato a Lui, perché Lui facendo parte di questo mondo, ha occupato tutto il mondo.

Pinuccia B.: Quindi il Cristo ci salva anche se non Lo troviamo nella vita terrena.

Luigi: Certo, perché se hai la fame di Dio, Lo troverai dopo; sarà proprio questa fame che porti in te che te Lo farà trovare. Non so dirti se sia subito dopo morte o nell’agonia, nel processo di distacco, ecc., però certamente Lo incontri, perché senza Cristo non puoi arrivare a conoscere il Padre e la vita eterna è conoscere il Padre. “Vita Eterna è conoscere Te Padre, unico vero Dio e Colui che Tu hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3).

Pinuccia B.: Dio è giusto, quindi non penso che Lui  chiami qualcuno alla Vita Eterna, cioè a vedere la Gloria,  già su questa terra e altri invece no. Proprio perché è giusto penso che dia la possibilità a tutti di arrivare alla Vita Eterna già su questa terra.

Luigi: No, non a tutti su questa terra. Dio dà a tutti la possibilità di arrivare alla Vita Eterna, ma non a tutti su questa terra. Su questa terra è un processo diverso: sono lezioni diverse che il Signore ci dà. Dio può anche formare dei Santi quando ancora sono in fasce; allora possiamo chiederci: perché non li fa tutti santi quando sono ancora in fasce?

Direi che è tutta una dinamica diversa per suscitare, per creare nell’animo, nel cuore degli uomini certi interessi, per dar loro certe lezioni, per far maturare certi tempi, comunque per condurre tutti ad una certa conclusione.

Sono tempi e processi diversi, per cui potremmo  chiederci anche: come mai Dio, che ha creato la Madonna Immacolata, non ha creato tutti immacolati? Se ha fatto questo per uno, lo poteva fare per tutti.

Evidentemente sia la Madonna, sia coloro che giungono già su questa terra alla vita eterna, sono lezioni di Dio per ognuno di noi e sono per convincerci dell’indispensabilità del Cristo per poter giungere a conoscere il Padre. Ed è Lui stesso che lo dice: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”, con Me ed in Me.

Ecco perché in Cristo c’è ogni tesoro di gloria.

Pinuccia A.: Quindi tutti, o di qui o di là, incontreranno il Cristo.

Luigi: Certo, perché Lui c’è! Però non è sufficiente incontrarlo per individuarlo e seguirlo, perché è un problema d’anima e non di ambiente.

Ines: Quindi non basta incontrarlo fisicamente.

Luigi: Non basta. Infatti  anche per chi ha conosciuto Cristo, non è bastata la conoscenza fisica, storica per vedere in Lui il Verbo fatto carne: in effetti L’hanno crocifisso. Quindi incontrare Cristo non è un problema ambientale, ma di anima.

Pinuccia A.: Dopo averlo incontrato e riconosciuto, è necessario però ascoltarlo, cercando di capire le sue parole.

Luigi: È logico! E se lo facciamo, è tutta opera di Dio, perché è Dio che per prima cosa, attraverso tutte le lezioni della vita, ha formato in noi l’orecchio capace di ascoltare il Cristo. L’importante è guardare sempre a Lui, perché è Lui che parla a questo orecchio ed è Lui che ci dà l’intelligenza per capire il suo parlare.

Ma bisogna guardare sempre a Lui e non è detto che questo avvenga; per cui di fronte a Lui noi possiamo comportarci in uno di questi quattro modi:  

·possiamo non sentire;

·possiamo sentire e non cercare di capire;

·possiamo sentire e cercare di capire, ma non in Lui;

·possiamo sentire e cercare di capire con Lui e in Lui quello che Lui dice.

Ecco, dobbiamo cercare di capire con Lui e in Lui. Questo vuol dire che non dobbiamo   mai distaccare gli occhi della mente da Lui, così come il tralcio non deve mai  staccarsi dalla vite.

Se non ci stacchiamo da Lui, allora in Lui troveremo tutto. Per cui se noi siamo sordi, dobbiamo guardare Lui, perché Lui ci curerà l’orecchio; se invece abbiamo l’orecchio che sente, ma non intendiamo il suo parlare, riceviamo le sue parole, ma non le capiamo; in tal caso dobbiamo guardare a Lui, perché Lui ce le spieghi.

Ecco, da parte nostra ci vuole sempre quest’opera dello stare con Lui, del guardare a Lui, questo riferire sempre a Lui, questo non staccarsi da Lui: questo significa essere “in” Lui! E bisogna tendere qui, perché in Lui è ogni tesoro.

Ines: A noi è richiesta questa attenzione continua a Lui. Certo, a dirlo è tanto facile…

Luigi: Sembra facile, ma non lo è, perché continuamente noi ci dimentichiamo;  di argomenti magari ne sentiamo tanti, ma poi come mai  nel momento opportuno non ci pensiamo più? Poi magari diciamo: “Se ci avessi pensato…!”. E come mai ti è andato via quel pensiero, quell’argomento? Non eri in Lui! Certo, è la tanta fame, il tanto desiderio, il tanto bisogno che ci aiutano a ricordare, ma non basta: bisogna rimanere in Lui, guardare a Lui, perché in Lui c’è anche il tesoro stesso della nostra memoria.

Se sappiamo questo, ci preoccupiamo di stare in Lui:  è Lui che ci fa ricordare certe cose, se restiamo in Lui e abbiamo la nostra attenzione a Lui. Se però, anche se abbiamo sentito tanti argomenti suoi, tante parole sue, ci mettiamo a guardare altro, succede allora che gli argomenti, le parole se ne vanno, e nel momento in cui ne avremmo bisogno non “funzionano” più: se ne sono andati, li abbiamo dimenticati! E già! Perché è in Lui che c’è questo tesoro: il tesoro della memoria, il tesoro dell’intelligenza, il tesoro della luce, il tesoro della pace, il tesoro della forza. È in Lui!

Se sappiamo che in Lui c’è tutto questo, allora non ci stacchiamo più da Lui.  S. Paolo dice: “Chi mi separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8,35). Ma perché S. Paolo non vuole più staccarsi da Cristo? Perché in Lui ha trovato tanto, ha trovato tutto. Anche noi non ci stacchiamo più da Lui quando siamo  convinti che in Lui  c’è ogni tesoro.

Allora si forma quella stretta amicizia, che è amore. Perché nasce l’amore? Che cos’è  che unisce due esseri? La convinzione che l’altro è molto prezioso per la propria vita. Ecco che  allora uno non si stacca più, perché sa che nell’altro c’è tanto tesoro per la propria vita.

Ora, venendo a sapere che tutta la salvezza, tutta la virtù, tutta la forza, tutta la sapienza è in Cristo, allora ci impegniamo molto in Lui, e  più noi scaviamo in Lui, più noi ci fermiamo con Lui, più noi ascoltiamo Lui, più Lui ci fa attingere a quel tesoro che però ha sempre e solo in Se stesso, per cui uno  resta sempre lì.

Quindi, ricevere il tesoro di luce o di amore o di forza da Cristo non è come quando riceviamo un dono: lo riceviamo e poi ce ne andiamo; ma è un dono che ci unisce, è un dono che ci inserisce, che ci fa essere “dentro”. È un po’  come quei giocattoli cinesi (ad es. quelle bamboline cinesi): aperto uno, ne trovi un altro dentro; apri quest’altro e ne trovi un altro dentro, e così via:   aperto uno, ce n’è  sempre un altro dentro. Ecco, così è con Cristo: più si scava in Lui e più si entra dentro, cioè più si appartiene.

Quindi  i doni che riceviamo da Cristo non sono come i doni che si fanno nel mondo: uno fa il dono, l’altro lo prende e se ne va, per cui c’è il distacco. No! I doni suoi sono “dentro”, sono in Lui.

Pinuccia A.: Quindi con Cristo, ogni dono che riceviamo ci unisce di più a Lui.

Luigi: Sì, ma bisogna impegnarci con questo Tesoro. E cosa vuol dire? Vuol dire fermarsi a pensare a Dio, appoggiandoci sulle parole di Gesù, perché Egli ci parla solo di Dio. Noi non ci impegniamo mai sufficientemente con questo Tesoro, che è poi il Pensiero stesso di Dio che ci è stato dato, affidato. Il compito nostro è quello di non staccarci dal Pensiero di Cristo, proprio perché in Lui è ogni tesoro. È Lui stesso il Tesoro,  ed è in Lui ogni tesoro di grazia, di virtù, di capacità d’intendere, ecc.

Pinuccia A.: Forse è più difficile impegnarci con Lui quando non si sta bene.

Luigi: Ma con Lui, in Lui tutto è positivo, anche la sofferenza, per cui questa diventa motivo di maggior unione con Lui, se è accolta da Lui.

Pinuccia B.: Bisogna però che il nostro interesse per Dio sia molto grande.

Luigi: Non basta l’interesse per Dio, ma bisogna avere presente Lui, pensare a Lui,  stare in Lui,  sapendo che in Lui è il tesoro. Direi: pensare Lui è il Tesoro.

Noi possiamo dirigere il nostro pensiero dove vogliamo (noi possiamo scegliere di pensare      a Lui o al nostro io); possiamo scavare in Lui cinque minuti o cinquanta ore, ma “ad ognuno sarà dato ciò che avrà voluto avere”.

Non si cercano più altrove i doni, perché ormai sappiamo che essi sono in Lui e che solo in Lui troviamo un aumento di luce, di  forza e  di amore; ma dobbiamo sforzarci di stare in Lui. È Lui che ci cura l’orecchio e ce lo rende attento, ed è Lui che ci fa capire.

Eligio: Il problema è imparare a restare in Lui, cioè imparare come si resta in Lui.

Luigi: Per restare in Lui debbo riferire tutto a Lui. Possiamo verificare se siamo in Lui, se riferiamo o no a Lui ogni cosa.

Pinuccia B.: Riferire a Lui vuol poi dire sottomettere tutto a Lui, vero?

Luigi: Sottomettere tutto al suo Pensiero, vedere tutto dal Suo punto di vista. E allora “quando tutto sarà sottomesso al Figlio, il Figlio consegnerà il Regno al Padre”, cioè ci consegnerà al Padre, perché solo dal Padre e nel Padre potremo contemplare la sua Gloria.

 

La Gloria di Dio

La gloria di Dio è la sua Verità che si annuncia in tutto e si significa in tutto, espressione di ciò che Dio è, espressione unica di un Unico inconfondibile, irripetibile, poiché l'espressione dell’Assoluto può essere solo unica e irripetibile.

Fra tutte le parole vi è una sola Parola, fra tutti i segni vi è un solo Segno che non ci permette più di ignorare, né di scantonare con qualche nostra ragione o giustificazione. Dio con il suo operare giorno dopo giorno ci sta convocando qui.

Per cui vi è un giorno nella vita di ogni uomo, e dobbiamo aspettarcelo, in cui, come un lampo nella notte, la presenza di Dio balena al disopra di tutte le parole, di tutti i fatti, di tutti i sentimenti e di tutte le nostre ragioni, e attrae a Sé la nostra attenzione, il nostro pensiero: è in essa per ogni uomo il principio della vera vita.

La vita dell’uomo è partecipazione al mistero di Dio e pertanto sta nella conoscenza. Non si può partecipare a ciò che non si conosce.

L'uomo perde la vita nella discordia tra i sentimenti e l'intenzione di Dio; la perde in quanto non si decide a mettere prima di tutto l'impegno a conoscere Dio.

Non decidendo dà la precedenza ai sentimenti che derivano dal suo ambiente e perde così la vita.

È la morte, crocifissa tra il sentimento e lo spirito, che ogni uomo subisce.

Il prima di tutto è la parte che spetta all'unico Essere eterno che è Dio nella sua trascendenza. Questo è ciò che ci propone la Parola di Dio entrando nella nostra vita.

 L’ingresso della Parola di Dio nella vita e nel mondo dell'uomo non è armonico e naturale, ma è altamente drammatico perché non viene accolto dalle tenebre che dominano il mondo dell'uomo. 

Cristo è mandato a morte in Croce e l'uomo passa così attraverso l'esperienza della morte di Dio, della sua solitudine nell'universo, del vuoto, del niente della vita.

Anche il niente, il vuoto e il non senso del tutto cui l'uomo approda quando non tiene conto di Dio e quindi non vive per conoscere Dio, rende gloria a Dio.

Per mantenere l'uomo in vita non bastano le feste, i riti, non bastano i sentimenti, non basta l'amore, non basta il lavoro, il guadagnare, il possedere, non basta il mangiare, non basta il mondo.

La vita dell'uomo sta nella conoscenza di Dio e quando questa viene meno, niente la può sostituire.

Dio è unico, quindi insostituibile.

L'assenza di Dio nel mondo esterno è spiegazione e testimonianza della presenza di Dio nel nostro mondo interiore, e pertanto non si può accedere alla gloria di Dio, alla conoscenza di Dio, senza superare tutto ciò che si vede e si tocca nel mondo esteriore.

La Verità abita in noi, Dio è in noi. 

Per questo la morte e la risurrezione di Cristo segnano il passaggio obbligato, la Pasqua, per ogni uomo per giungere sull'orizzonte nel quale risplende la luce della Verità di Dio, presente e trascendente, in tutto il suo splendore.

La crescente irrealtà della vita con il mondo e nel mondo apre le nostre anime alla realtà della presenza di Dio e quindi introduce la nostra vita nella vita con Dio e i nostri pensieri nel Pensiero di Dio.

Vedere la Verità, vedere il Regno di Dio, vedere la sua Presenza in tutto, ecco l'abisso di luce, la grande gioia dell'uomo e la sua vera pace!

Quanti re e profeti, quanti pensatori e religiosi, quanti teologi, quanti vescovi e papi desiderarono vedere e non videro! 

Beati coloro che possono contemplare la tua Presenza, o Dio! 

Beati coloro ai quali Dio concede di vedere il suo Regno!

La Luce è dono che viene dall'alto, da Dio. Beati coloro che vegliano per essa!  Sono questi che troveranno la loro vita nella luce della Verità, e quindi troveranno la vita, quella che tutti cercano affannosamente nel mondo e dal mondo.

La vita non viene dalle cose del mondo, né dagli affari; non viene dalle cose che si posseggono. 

La vita sta nella Luce, sta nel conoscere Dio.

Separarsi dal bisogno della Luce è separarsi dalla vita.

Perdere la conoscenza di Dio è perdere la vita.

La gloria di Dio investe tutto l’universo,  tutto l'esistente: abbraccia sia l'Assoluto in Sé di Dio nella sua singolarità infinita, sia l'universo nella sua molteplicità infinita e quindi nella sua relatività finita.

Ciò che è molteplice è necessariamente finito.

L'indeterminazione, questo estremo confine della molteplicità infinita dell'opera di Dio che è il nostro universo, rivela che la Luce sta in Dio.

Ed è questo l’estremo confine della gloria di Dio.

È il mistero, la notte in cui si trova ogni uomo, che annuncia il luogo della Luce.

Solo nel mistero della morte di Cristo trova luce il mistero dell'uomo, associato com'è al mistero di Dio, tanto che solo conoscendo Dio si conosce l'uomo, e non viceversa.

L'umanità oggi ha perso Dio e quindi ha perso l’uomo ed ora si dibatte nell'agonia della sua identità e della sua morte, che è l'agonia delle tenebre, conseguenza dell'aver ridotto Dio a rito e a sentimento per evitare l'impegno a pensare e a capire. 

È solo attraverso la fede che impegna a pensare per capire ciò che non si vede e non si tocca ma che è annunciato dalla Parola di Dio, che si giunge ad intendere e quindi si giunge alla vita.

Vivere personalmente l'avventura di Dio non vuole dire rifiutare di credere se non si vede, né vuol dire ridurre la fede a riti e sentimenti, a regole e comportamenti, ma vuol dire credere a ciò che ancora non si vede per impegnarsi in esso e giungere a vedere, a capire. 

Qui sta l'anima del mistero di Cristo che muore in Croce, l'annuncio di vita per ogni uomo.

(XIII – 10.04.1991- continua)

"Tu sei degno, Signore Dio nostro, di ricevere la gloria, l'onore e la potenza perché Tu hai creato tutte le cose e per la tua Volontà tutto sussiste, tutto accade. Tutto è voluto da Te" (Ap 4,11).

Dio è la Realtà in cui e con cui ogni uomo si trova a vivere, e non c'è altro.

"Tua è la terra e quanto essa contiene, l'universo e i suoi abitanti".

Ogni uomo è un testimone di Dio, lo sappia o no.

L'universo è la gloria di Dio che si fa notte, che si fa mistero per rendere sopportabile alla creatura umana l'infinito della sua luminosità e trasparenza; è la luce della Verità che si smorza e si fa materia per la debolezza degli occhi umani a sopportarla.

È l'Amore che si copre, si vela per non bruciare la creatura con il suo fuoco. 

Ma nel velo l'Eterno preme alle porte della nostra anima e di ogni nostro pensiero, ché  sentire il limite è già comprendere la presenza di ciò che si trova al di là del limite.

Immersi in ciò che passa, siamo tutti impegnati, ed è l'impegno principale della nostra vita (impegno di ogni giorno e per cui ogni giorno vale), a trovare personalmente ciò che non passa e ad ancorarci ad esso.

Siamo impegnati ad ancorarci a ciò che è eterno, a trovare Dio.

La fonte dell’infelicità dell'uomo sta nel dover vivere per ciò che sa che perderà, sta nel dover vivere per ciò che è soggetto a perire. Ne deriva che la felicità sta nel poter vivere per ciò che non si può perdere e che nessuno può portarci via, nemmeno noi stessi.

Pasqua è il passaggio dalle cose soggette a mutamento a quelle che non mutano, dalle cose finite a quelle infinite, dalle cose visibili alle cose invisibili, dalle cose temporanee alle cose eterne, prima che il fuoco di Pentecoste scenda sul nostro mondo, prima che la gloria di Dio investa tutto l’universo e noi stessi.

Pasqua è l'anticipo di Pentecoste, un anticipo che si rende necessario per formare in noi la capacità di sopportare lo Spirito ed evitarci di restare bruciati dalla Pentecoste. 

Per questo Pasqua è il passaggio dall'intenzione delle cose del mondo all'intenzione che viene da Dio, unica intenzione in cui si evita di essere bruciati e si è fatti capaci di portare la Realtà dello Spirito.

È il tempo per pensare e capire, per entrare nella gloria di Dio prima che questa si imponga.

Il finito rende gloria all’Infinito; il  tempo rende gloria all’Eterno; il bisogno di assoluto rende gloria all’Assoluto; la vita rende gloria a Dio; il caso rende gloria a Dio; l'assenza di Dio rende gloria a Dio. 

L'assenza di Dio denuncia e testimonia una grande presenza di Dio in noi e quindi in tutto il nostro mondo. Dio, il Presente, si fa assente per darci la possibilità di sopportare la sua luminosità. Ma la gloria di Dio, questa trasparenza ontologica della Presenza di Dio, ci avvolge e ci penetra, ci parla in tutto di Sé e si fa oggetto del nostro pensiero per darci la possibilità di essere persone e di vivere.

La Parola di Dio, il Pensiero di Dio e la gloria di Dio sono inscindibilmente uniti.

L'uomo è fatto così bene che non può sussistere senza il bisogno di Dio, senza la gloria di Dio e vive in quanto glorifica e può glorificare Dio, non a parole o con inni, ma con la conoscenza.

Fondamentalmente ogni uomo esiste nella gloria di Dio.  L'uomo non trae vita né dalla società, né dagli altri, né dal mondo, ma da Colui che è Uno, da Dio e dalla sua gloria.

Fuori della conoscenza della gloria di Dio si cade negli isterismi dell'autorità e dei sentimenti, del cuore e della pubblicità, della violenza e delle imposizioni di una istituzione o di un gruppo: tutte espressioni di un pensiero debole che ha perso il contatto con il Principio Divino.

L'orizzonte trascendentale della conoscenza di Dio è un orizzonte personale, e la vita personale della ricerca di Dio è il cammino cui approda l'universo attraverso la persona umana.

È solo attraverso la fede che impegna personalmente a pensare a Dio, a ciò che Dio ci annuncia con le sue parole ma che non si vede e non si tocca e non si esperimenta, è solo attraverso questa fede e questo impegno che si giunge alla scoperta della vita vera, quella che è presso Dio, in Dio.

È importante credere a ciò che ancora non si vede se si vuole giungere a vedere.  È attraverso la notte della fede che si giunge alla luce.

Qui sta l'annuncio di vita per ogni uomo, annuncio di risurrezione, anima del mistero pasquale, tappa necessaria per giungere allo Spirito della Presenza di Dio nella Pentecoste.

È necessario superare il mondo delle cose visibili, andare al di là dei sentimenti. La fede che deriva dal sentimento, dal cuore, non ha fondamento valido e non può sostenersi di fronte agli argomenti del mondo.  La fede che vince il mondo è fondata sulla conoscenza di Dio.

Oggi si è ridotto tutto al sentimento, al sociale, al rapporto con il mondo.

Anche la fede è stata ridotta non più alla ricerca della conoscenza di Dio, ma a riti e a sentimenti, a regole e a comportamenti verso gli altri.

Si è dimenticato che la fede è via alla conoscenza personale di Dio, è introduzione alla vita del pensiero. Per questo è necessario superare il proprio mondo ed i propri sentimenti, qualunque cosa se ne dica nel mondo.

Non si entra nella vita dello Spirito per ciò che si dice nel mondo, anche di tanto mondo religioso. Non si entra nello Spirito,  Spirito che rende testimonianza alla Verità, perché lo Spirito è  Verità, se non morendo a se stessi e superando i propri sentimenti. 

Per questo il mistero pasquale, mistero della gloria di Dio, è un ponte gettato tra lo Spirito di Dio vivo e presente nell'intimo dell'uomo e la sua assenza esperimentata nel mondo: teofanìa di Dio vivo nella morte dell'uomo.

(XIV – 17.04.1991)  (Articoli pubblicati su “La Fedeltà”, scritti da Luigi Bracco)

La Gloria di Dio

"Sia fatta la tua Volontà come in Cielo così in terra."

L'intenzione di Dio, Padre Creatore che sta nei Cieli, ha la caratteristica di essere Unica e quindi sempre limpida e trasparente, semplice e comprensibile, inconfondibile e, nello stesso tempo, intimamente e infinitamente ricca di pensiero e zampillante di vita: "dall'intimo di chi crede in Me scaturiranno fiumi di acqua viva" (Gv 7,38).

L'universo esiste per farci approdare al Pensiero di Dio, per cui il senso della realtà è il senso dell'eterno: fiumi di acqua viva dall'intimo, dal pensiero.

La vita dell'uomo sta nel pensiero e viene dal pensiero.

Pensare vuol dire riportare ogni cosa nel Principio, collegare ogni cosa con Dio. 

Pensare è restare con Dio. Tutto viene da Dio e tutto va riportato a Dio: questa è la condizione per restare con Cristo. "Chi con Me non raccoglie, disperde", dice Cristo (Mt 12,30). 

E chi disperde, resta disperso, separato dal Principio, tralcio staccato, separato dalla vite.

Imparare a pensare è imparare a raccogliere ogni cosa nel Principio, a stabilire in tutto un rapporto con Dio: “intimissimo e personalissimo rapporto”, come lo chiama Von Balthasar.

Questo è glorificare Dio nei nostri cuori. 

Non c'è rapporto più intimo, più vincolante, del rapporto tra l'uomo che pensa Dio e Dio che si fa pensare dall'uomo. 

È il rapporto tra la vite e i tralci.

L'uomo non può esistere senza un rapporto con Dio che lo fa essere.

Il sapere che Dio ci conosce, forma in noi il desiderio di conoscerlo come Egli ci conosce; il sapere che Dio è presente forma in noi il desiderio di vedere la sua Presenza; il sapere che Dio ci pensa forma in noi il desiderio di pensarlo come Egli ci pensa; il sapere che Dio ci ama forma in noi il desiderio di amarlo come Egli ci ama,  e il sapere che Egli è con noi fino alla fine del mondo forma in noi il desiderio di essere con Lui fino alla fine del mondo. 

Dio ha sottomesso tutto all’uomo affinché l’uomo sottometta tutto a Lui: nulla l’uomo deve lasciare che non sia sottomesso a Dio. È la condizione per entrare nella Verità. 

Per questo l'uomo non può sopportare niente senza un rapporto personale con Dio, e non può avere un rapporto con Dio se non supera se stesso e tutto il proprio mondo per pensare a Dio.

L'uomo è un essere che porta in sé un mistero più grande di sé.

Dio è in noi più grande di quanto noi siamo perché è in noi più di quanto noi siamo o possiamo essere con Lui. 

Solo da Lui noi possiamo imparare ad essere con Lui come Lui è con noi.

Per questo è necessario superare noi stessi. 

“Chi guarda a se stesso per meglio conoscersi, o forse anche per migliorarsi, non incontra certamente Dio”, dice ancora Von Balthasar.

Ciò che noi siamo, solo Dio ce lo può dire e solo da Dio noi lo possiamo sapere. Siamo veri solo in Dio e da Dio.

Per questo è necessario sottomettere a Dio ogni cosa.

Poiché Dio è il Creatore di ogni cosa, tutti i nostri problemi sono opera della Sua presenza in noi, una Presenza che non può essere ignorata, anche se trascurata e misconosciuta.  "Vi è in voi Uno che non conoscete!"(Gv 1,26).

Il problema si impone e ogni uomo dal momento che prende coscienza della presenza di Dio è impegnato a rifare i conti con la impostazione della vita quale si vive nel mondo, poiché qui si scopre che la vita non è un problema di rapporti con gli altri, con il mondo, né è un problema di lavoro, di guadagno, di benessere, non è nemmeno un problema di morale, di doveri, ma è essenzialmente un problema di conoscenza e di conoscenza di Dio, e: "Dio non si imprigiona nell'area di un tempio, né si consegna alla privilegiata casta dei professionisti del sacro", come scrisse Mons.  Ravasi.

Dio è il problema principale, essenziale, della vita e pertanto la conoscenza di Dio è un problema vitale per ogni uomo, problema che non può essere devoluto a nessuno per nessun motivo, ma deve essere vissuto in prima persona, come l’amore, come il vivere, come il morire. La morte si vive sempre in prima persona!

Beato l'uomo che ha Dio stesso come suo Maestro!

L'uomo che non muore a se stesso e al proprio mondo per potersi impegnare nelle cose invisibili di Dio, resta dominato dal pensiero del suo io e pertanto resta senza alcuna capacità e possibilità di credere a ciò che non vede e non tocca e di capire ciò che vede e tocca.

Dio non si vede e non si tocca se non nella esperienza della sua morte, della sua assenza e del suo silenzio; ma proprio in questa esperienza sta la sua testimonianza: questa è la gloria di Dio nel mondo! 

Ed è per questo che gli uomini, dominati dal loro pensiero debole, dicono: Dio non regna, Dio non esiste, le verità sono tante! 

Non intendono la  gloria di Dio. 

Non capiscono che proprio in questo sta il suo Regno.

La Parola di Dio è il confronto della logica divina con la logica umana, confronto dello Spirito con la materia, dell'intelletto con il sentimento. Ed è subito tutto un conflitto, un calvario, un'agonia, un dramma. 

È l'agonia che si compie in ogni uomo, un'agonia che può durare molto. 

Ma: “dopo il suo intimo tormento, vedrà la luce” (Is 53,11): la risurrezione, l'ascensione, la Pentecoste. 

Nel limite della creazione e delle creature, nel limite dell'uomo c'è già tutta annunciata la gloria di Dio nella Pentecoste del suo Spirito.  Questa è la conclusione.

La gloria di Dio è Dio che si offre, senza più segni, né parole, né parabole, all'estremo svelamento del suo Essere: "Padre, Figlio e Spirito Santo".

È la Verità che si offre senza veli: "Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi" (Gv 8,32): questa è la promessa per ogni uomo.

È vedere le cose nella prospettiva della  Realtà Assoluta, è vedere la significazione in tutto del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: "Lo Spirito di Verità vi condurrà a vedere la Verità in tutto" (Gv 16,13). 

Per vedere le cose come sono in verità, bisogna imparare a  vederle come sono davanti a Dio, per Dio e in Dio. Qui l'uomo acquista la partecipazione allo sguardo creatore con cui Dio contempla le cose: è vedere le cose dal punto di vista di Dio, nel Pensiero di Dio, fino alla partecipazione, per conoscenza, alla generazione del Figlio dal Padre.    (XV – 24.04.1991)

"Lodate il Signore popoli tutti, voi tutte nazioni dategli gloria"!(Sal 116, 1). 

Dare gloria a Dio è riconoscere quello che Egli è.

L'uomo è un essere che porta in sé e con sé un mistero più grande di sé.  Non c'è luogo, non c'è un punto dell'universo, né di ogni  uomo, non c'è pensiero dell’uomo o nell'uomo, che non denunci e testimoni la presenza di Dio. Dio è in noi in misura  più grande di quanto noi siamo con Lui, cioè Egli  è in noi e con noi  più di quanto noi possiamo essere con Lui, per cui solo da Lui, guardando Lui,  noi possiamo imparare ad essere con Lui come Lui è con noi. Infatti solo da Lui noi possiamo capire come Lui è con noi e quindi essere presenti a Lui come Lui è presente in noi: "Come Tu, Padre, sei in Me ed Io in Te, così essi pure siano in noi" (Gv 17,21).

 Non si può essere con Dio, né restare con Dio e in Dio se non si vede come il Padre è nel Figlio e come il Figlio è nel Padre. 

“In quel giorno conoscerete che Io sono nel Padre e il Padre è in Me, che Io e il Padre siamo una cosa sola”(Gv 14,20; Gv 10,30).  Conoscerete, capirete: è il giorno della Pentecoste, luce piena su Dio nella nostra anima, presenza in noi del Padre e del Figlio.

Ciò vuol dire che fintanto che non capiamo queste cose è segno che non siamo giunti alla nostra Pentecoste e che non abbiano ancora ricevuto lo Spirito di Dio.

Solo nel Figlio di Dio diventa trasparente la presenza del Tu eterno e divino del Padre, questa "novità" che fa nuova, e di una novità eterna, tutta la nostra vita. Gesù infatti dice: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me”.

La nostra anima si illumina solo di infinito, di eterno, di assoluto, si illumina solo di Dio, solo da Dio.

Ne deriva che la luce che illumina la nostra anima è una singolarità nell'universo di tutte le cose, e questa singolarità è il sigillo del divino.

La luce di Dio è il segno della gloria di Dio in noi: un segno singolare e pertanto inconfondibile, inconfutabile, insostituibile, incancellabile, eterno, immanente e trascendente: una meraviglia dell'opera di Dio nell'uomo, per l’uomo.

È il sigillo della trascendenza della gloria di Dio nell'universo e nella vita di ogni uomo.  È il sigillo del Padre nostro celeste.

“Dio è luce e presso di Lui non ci sono le tenebre” (1 Gv 1,5). Egli ci parla nella conoscenza, si trasmette attraverso la conoscenza, si comunica nella conoscenza, ci fa partecipi di Sé nella conoscenza ed è solo nella conoscenza che si rimane sempre con Lui.

La luce di Dio è DOC: di origine controllata, unica, non per quello che ne dicono gli uomini, ma per testimonianza di Dio stesso, figlia unigenita di Dio, pertanto sottratta ad ogni potere degli uomini.

Per questo può diventare insopportabile agli uomini.

Ed è per questo, per evitarci di venirci a trovare in questa insopportabilità verso la luce di Dio, che è necessario affrettarci a rinnovarci e ad imparare tutto di nuovo da Dio, a cercare la gloria di Dio in tutto. 

Qui sta la novità della vita che ci è proposta.

Bisogna rinnovare la nostra mente; questa si rinnova imparando di nuovo tutto da Dio, personalmente da Dio.

Dio è Colui che ci crea, ci pensa, ci vuole e ci dice di vivere.

Dio ci ha creati per la vita, non per la morte, per la luce, non per la notte.

La vita sta nel conoscere Dio e nel conoscere tutto da Dio. Per questo ad uomini, abbarbicati ad un mondo fatto di rifiuti ad interessarsi di Dio, e pertanto un mondo di morte, viene sussurrato, annunciato, urlato che la vita sta nel conoscere Dio.  È questo ciò che si dice in tutto l'universo, ed è la vera ed unica cosa che viene detta.

L'universo, e la nostra vita, si svolgono tra l'arcano silenzio che avvolge tutte le cose con il suo mistero e l'urlo di Cristo che muore in Croce per dirci che la nostra vita sta in Dio, sta nel conoscere Dio. Tutto questo per evitarci di morire nei nostri rifiuti a cercare ed a conoscere Dio personalmente come nostra vita, poiché si muore in questi rifiuti e di questi rifiuti.

In un mondo che ha fatto della vita una dimensione materiale, economica, politica, culturale, e stanno diventando le scienze dell'impossibile, è necessario un ritorno alla dimensione spirituale della vita come la dimensione essenziale senza la quale tutto si perde, si spegne in intime contraddizioni, tutto diventa impossibile, assurdo, fino a renderci la vita stessa impossibile, assurda, e la luce di Dio insopportabile. 

La luce può diventarci insopportabile.  Ed è prima che essa lo diventi, e perché non lo diventi per noi, che noi dobbiamo impegnarci a cercare Dio, perché è solo con Dio che si può sopportare la sua Luce, la sua Presenza, la sua Vita.

Creato per Dio l'uomo va restituito alla ricerca di Dio al di sopra e prima di ogni altro impegno o dovere.

L'uomo non può esistere e non può vivere senza un rapporto di conoscenza con Dio. 

Egli infatti esiste e vive in quanto partecipa di ciò che Dio è.

Da solo l'uomo non è.

Dio solo è.

Noi siamo nella misura in cui possiamo partecipare di ciò che Dio è, e pertanto nella misura in cui Lo conosciamo.

Dare gloria a Dio è entrare nella pienezza del mistero di Dio, è conoscerlo per quello che Egli è.

Qui sta la nostra vita e la pienezza della nostra vita per l'eternità.

Si tratta di cogliere in profondità le profondità di Dio attraverso l'intelligenza delle Parole di Cristo, Verbo di Dio offertoci dal Padre per evitarci di morire nel nostro mondo di rifiuti a conoscere Dio, quale sta diventando il nostro mondo.

(XVI – 01.05.1991)

(Articoli pubblicati su “La Fedeltà”, scritti da Luigi Bracco)