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E noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre Gv 1 Vs 14 Nono tema.


Titolo: Necessità dell’incarnazione per la nostra Pentecoste.


Argomenti: La Luce vera. L’individuazione del Verbo fatto carne. Il silenzio della Vergine. Cristo è Dio che occupa una parte del nostro mondo. Dio ci tratta personalmente. Il Padre glorifica il Figlio. La presenza spirituale a Pentecoste. CAMMINARE CON IL VERBO.


28/Dicembre/1975


Dall’esposizione di Luigi Bracco (appunti):

 

Tutta l’opera di Dio che precede e prepara il nostro incontro col Cristo, tende a far maturare in noi la fame di Dio, l’attrazione per Dio. Quando c’è la fame, allora Dio ci manda il Pane, perché solo quando siamo attratti dal Padre, possiamo riconoscere il Verbo fatto carne, il Pane.

Bisogna però che l’uomo accolga la Luce vera (“quella che illumina ogni  uomo che viene in questo mondo”) che è stata segnalata da Giovanni il Battista, perché solo accogliendola riceve la possibilità di individuare il Verbo fatto carne e quindi la possibilità di diventare figlio di Dio.  

Questa possibilità  di diventare figlio di Dio gli è data dall’incontro con il Verbo fatto carne; prima no!

Abbiamo visto che la scoperta in noi di questa “Luce vera” è il nostro Natale, quale premessa per incontrare ed individuare il Verbo fatto carne. Se non accogliamo questa Luce, non Lo possiamo scoprire. Invece se la si accoglie, incontrando il Cristo si potrà dire: “il Verbo si è fatto carne”; ecco, qui per noi il Verbo si è effettivamente fatto carne, cioè, a questo punto Lo riconosciamo come il Pane che risponde alla nostra fame.

Per accogliere la “Luce vera” e quindi scoprire il Verbo fatto carne, ci vuole l’ascolto e il silenzio della Vergine.

Per entrare nel silenzio può essere utile ripetere mille volte una sola parola (es. “Gesù, pietà di me”, “Mio Dio e mio tutto". ecc.), perché ci può distaccare da tutto il rumore che ci distrae (cfr. libri: “Ecco la notte...”, “La preghiera del Pellegrino russo”).

Man mano però che si va avanti, i tempi si accorciano: prima per pensare all’esistenza di Dio c'era da pensare a tante cose (alle stelle, ai fiori,  ecc.), poi basta una parola sola per metterci alla sua Presenza. Comunque sia, non si arriva a Dio in modo meccanico, ma sempre con la dedizione del pensiero.

Ci si deve servire di piccoli segni, sì, ma che siano con una carica grande di pensiero; questi segni sono soprattutto le Parole di Gesù.

Ecco l’importanza, la necessità dell’incarnazione del Verbo! Perché solo Lui può dirci parole tali che ci possono occupare a tempo pieno, incentrandoci sul Padre e raccogliendoci dalle nostre dispersioni.

Abbiamo bisogno che Dio stesso ci parli di Sé attraverso il nostro linguaggio, perché noi siamo dispersi dalle cose materiali, dal corpo, per cui possiamo essere salvati solo dal corpo, da una presenza fisica, cioè da una realtà materiale palpabile e visibile che realizzi però in Sé il nostro sogno: il sogno di trovare un aiuto per poter giungere a conoscere Dio. Ecco perché solo chi porta in sé la fame di Dio, individua il Cristo fra i miliardi di uomini.

Invece, ad esempio, il marxista o anche chi crede in Dio ma non ha interesse per conoscerlo, riveste Cristo dei suoi schemi e concezioni, e  fa tale errore anche nei confronti di tutte le creature ed avvenimenti. Infatti non solo il Cristo, ma anche tutto l'universo ha bisogno di essere reinterpretato secondo lo Spirito di Dio, se no, non vediamo neppure i miracoli.

Il problema diventa personale. Si entra nella Verità per un atto personale. Lì è il bello: Dio  ci tratta personalmente! Invece per il marxista, chi forma l'uomo è la società (manca l'atto personale).

È vero che la società, il mondo, le creature possono condizionarci, però in Cristo abbiamo il supplemento di anima, per cui possiamo essere liberati da tutto ciò che ci distrae e soffoca la nostra disponibilità, cioè possiamo essere liberati dal peso del mondo.

Il Cristo in questa prima tappa vive esteriormente a noi, ma non staccato da noi: poiché è venuto ad occupare una parte del nostro mondo, un punto di noi.

Quando ci ha incentrati in Sé, legati a Sé, Lui se ne va, perché: “Se non Me ne vado non può venire in voi lo Spirito di Verità” (Gv 16,7). Ma ormai a questo punto l’anima  non vuol più andare da altri: “Da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!” (Gv 6,68). Lui solo ci dice parole che danno vita perché ci fanno pensare a Dio.

Cristo infatti è la Luce che ci richiama la Sorgente, è il Principio che collega ogni cosa con Dio. Il suo linguaggio nel mondo sensibile diventa un linguaggio che supera il mondo sensibile.  Egli è venuto per farci conoscere il  Padre e in tutto ci collega con il Padre e ci parla del Padre.

Quando ci vede maturi per questo salto nel Padre, Lui ci dice: È necessario che scompaia la mia Presenza fisica, perché sappiate dove Io sono e possiate trovarmi dove Io sono. Egli è nel Padre , il quale ci ama ed è in noi.

E allora quando Lo ritroviamo nel Padre, Lo possiamo trovare ovunque, perché Lo portiamo dentro.

Cristo fisico se ne va quando il discepolo ha acquisito in sé la possibilità di quella conoscenza che lo libera da tutto. Se ne va dopo che ha riversato nei discepoli tutto ciò di cui avevano bisogno; solo allora si dà in mano ai nemici: il tempo è compiuto: “…è giunta l’ora”.

Li affida al Padre e dice loro: “non guardate più Me, ma Colui al quale vi ho affidati”, e ancora: "Nel Padre mi ritroverete" (Gv 14,19-20). Infatti è il Padre che ci farà conoscere il Figlio.

È il Padre che glorifica il Figlio: la sua ormai è una Presenza spirituale in noi. A questo punto noi vediamo la presenza del Verbo, la Parola di Dio, in ogni cosa: presenza del Cristo universale, ma sempre personale, non nel senso che il Cristo si identifichi con quell'avvenimento o con quella cosa, ma nel senso che scopriamo il suo Spirito, il suo Pensiero in quell'avvenimento e in quella cosa.

La Presenza spirituale, che ci viene donata nel giorno della nostra Pentecoste, è eterna e porta con sé una carica di gioia che nessuno ci può portare via. Chi la possiede, porta dentro di sé una certezza tale che non viene incrinata da nessuna ragione di mondo.

Pensieri tratti dalla conversazione:


 


Eligio:  Senza l’Incarnazione del Verbo, all’uomo sarebbe preclusa la conoscenza di Dio e quindi ogni certezza, perché senza il Verbo incarnato non avrebbe la possibilità di superare se stesso e di ricevere la rivelazione di Dio.

Luigi: Certo, senza l’incontro con il Verbo incarnato l’uomo rimane nel pensiero del suo io e nel pensiero dell’io non può conoscere Dio. Cristo invece non solo ci offre la possibilità di superare il nostro io, ma, attraverso le sue parole forma in noi la capacità di restare nel Pensiero del Padre e di giungere quindi alla nostra Pentecoste.

Però già prima di incontrare il Cristo ci viene richiesto un certo superamento dell’io, con la giustizia essenziale, che ci fa mettere Dio al centro dei  nostri pensieri e il pensiero dell’io in periferia. Questa giustizia fa sorgere in noi l’interesse per Dio, ma ci fa anche scoprire, attraverso tante nostre esperienze, la nostra incapacità a conoscere Dio, la nostra povertà e il nostro peccato.

Infatti all’inizio crediamo di dover essere noi a fare, noi a programmare, noi a organizzare, noi a cambiare il mondo, per cui ci diamo da fare; ma poi poco per volta, attraverso gli avvenimenti, le lezioni della vita e tutti i nostri insuccessi, tocchiamo con mano le nostre incapacità, la nostra insufficienza e la nostra impotenza. Si forma così in noi la fame dell’aiuto Divino. Questa fame ci porta al bisogno del Cristo.

L’incontro col Cristo, siccome Lo portiamo già come fame dentro di noi, ce Lo fa scegliere perché: “era quello che aspettavo!”, e quindi ci fa discepoli suoi.

Andando dietro di Lui, Lui ci libera da tutto il mondo e ci lega a Sé; però  è sempre la fame di Dio che ci tiene legati a Lui, é sempre un problema interiore: non si sta con Cristo per la sua bellezza fisica o per altri argomenti. È l’argomento interiore che ci tiene legati a Lui, perché ci sta parlando di una cosa che ci interessa  molto.

Allora Lui con questo suo parlare ci sgancia da tutti gli altri problemi, da tutti gli altri argomenti e ci porta nel suo unico argomento e ce lo trasforma in vita: ci dà cioè la possibilità di vivere di quello. Infatti mentre prima di incontrare Cristo la vita con Dio era soltanto un sogno (la sognavamo, ma  noi vivevamo in un altro mondo), qui ora con Cristo la si vive, la si realizza.

Eligio: Questo suo unico argomento che é…?

Luigi: …il Padre! Lui come Figlio parla solo del Padre e ci prepara, attraverso tutto il suo ragionare, per quel giorno in cui Lui ci affiderà al Padre. 

Parte dalle Beatitudini (“beati i poveri, beati gli umili, beati i puri di cuore, ecc.”), e poi  poco per volta, attraverso le parabole, miracoli, ecc., arriva ad un certo momento a parlarci solo più del Padre, di questa sua Presenza, di come Lo vedremo, di come Lo troveremo.

Poi, ad un certo momento, quando siamo maturi per tutto questo ed abbiamo quindi accumulato tutti questi argomenti anche senza capirli, ci lascia e se ne torna al Padre.

Eligio: Anche senza capirli?

Luigi: Sì, anche senza capirli, perché gli apostoli, prima di essere lasciati “soli”, ricevevano tutte le sue parole, ma tante non le capivano; non capivano nemmeno quando Lui diceva: “è necessario che Io muoia”. Non capivano, non si rendevano conto! Però Lui continuava a riversare perché avrebbero capito successivamente: capirai poi dopo (Gv 13,7), disse Gesù a Pietro.

Quindi,  anche se ancora non capisci, incomincia ad accumulare, perché quando verrà   lo Spirito ti farà capire tutto: “vi farà ricordare tutto ciò che vi ho detto e ve lo spiegherà” (Gv  14,26), cioè “vi condurrà a vedere la Verità intera” (Gv 16,13).

Eligio: Allora, quella degli Apostoli è una lezione per noi, per dirci che non dobbiamo pretendere di capire subito.

Luigi: Ma certo! Ora, che cosa è che ci fa ricevere anche senza capire? È’ la fame di Dio! Una fame tale da farci dire: “Non capisco, ma l’argomento di cui parla mi interessa molto”.

Nino:  Infatti ascoltiamo e riceviamo le Sue parole, perché noi  vorremmo capire.

Luigi:  Appunto, noi vorremmo capire, perché indubbiamente non è che stiamo a sopportare il suo parlare… Egli parla per farci capire!

Certe cose le capiamo, perché Lui è tutt’altro che enigmatico, altre cose invece le capiremo poi. Intanto però è necessario fare come la Madonna, che “meditava e custodiva nel suo cuore” (Lc 2,52) tutto quello che riguardava suo Figlio. Ecco, questo deve essere il problema di ogni anima discepola del Cristo: raccogliere e custodire tutto quello che il Maestro dice.

E attraverso le sue Parole Gesù ci purifica: “Voi siete puri in virtù delle parole che avete udito” (Gv 15,3). È il suo parlare che ci purifica. E cosa vuol dire questo “purificare”? Che ci porta nell’amore unico di Dio! Cioè ci libera da tutti gli altri amori, da tutte le  distrazioni, da tutte le tentazioni; ma è il suo parlare che opera questo, il suo parlare ricevuto.

Se noi però non abbiamo interesse per Dio, non possiamo sopportare il suo parlare, e allora ad un certo momento si arriva al delitto: Lo uccidiamo.

Se abbiamo invece fame di Dio, consideriamo molto prezioso il suo parlare, per cui esso ci purifica, ci libera, e liberi da tutto, quando ormai siamo solo più agganciati a Lui, Lui ci saluta, dicendoci: “ormai sei maturo, ci rivedremo…”, e quando Lo rivedremo sarà Pentecoste.

Allora in questa Presenza nuova, che è poi una presenza antica, perché scopriamo quello che già era (perché già era in principio: “In principio era il Verbo”), noi ormai siamo delle creature nuove.

Si scopre Colui che già era con noi, come i  discepoli di Emmaus che, ad un certo momento, allo spezzar del pane, L’hanno visto: hanno riconosciuto che il Pellegrino che li aveva accompagnati lungo il viaggio era Gesù risorto; però come i loro occhi si sono aperti, Lui è sparito. Ma ormai, nonostante questo suo sparire, non sentono più né la stanchezza, né il problema della notte, né della lunghezza del viaggio e partono di corsa per tornare a Gerusalemme: sono ormai diventate creature nuove!

Poco prima invece se ne andavano tristi, stanchi, afflitti. E quando ad un certo momento si rendono conto, il loro primo rammarico è questo: “Ma eravamo così stupidi da non capire che era Lui che ci spiegava, che era Lui con noi?” (Lc 24,32). Per la strada avevano raccontato al Pellegrino ciò che era successo a Gerusalemme: come i Capi avessero ucciso Gesù di Nazareth, profeta potente in opere e in parole davanti a Dio e come alcune donne avessero avuto una visione di Angeli e avessero visto il sepolcro vuoto; ma essi si facevano il problema: “…Ma Lui non L’hanno visto!”, mentre  Lui era lì che camminava e parlava con loro! Ma essi avevano gli occhi impediti di vedere a causa della loro tristezza.

Eligio: Però dicono anche: “Non ci ardeva forse il cuore mentre Lui ci parlava?”.

Luigi: Ma guarda che questa frase va ritradotta bene, perché questi discepoli non potevano aver avvertito la presenza del loro Maestro risorto quando ancora erano per strada, perché come essi L’hanno visto, si sono meravigliati, e poi intanto per arrivare a vederlo, hanno dovuto uscire dalla chiusura del pensiero di se stessi invitando il Pellegrino a fermarsi con loro perché era ormai sera: è quella la fessura che li ha aperti a ricevere il dono della presenza del Risorto!

Questo invito rivolto allo  Sconosciuto è stata la fessura del loro cuore, attraverso cui entrò l’amore che aprì i loro occhi.

Infatti prima erano chiusi nel pensiero di se stessi, poi ad un certo momento gli dissero: “Fermati con noi, perché ormai il sole declina”. Ecco, hanno pensato a Lui, hanno avuto un atto d’amore, di carità verso di Lui: è lì la fessura! Perché non è mica lo spezzare del pane! Lo spezzar del pane è stato poi un segno conseguente a quella apertura d’amore, ma prima c’è stato l’amore. Ecco, è l’amore che li ha preparati a vedere! Amando sono usciti dal pensiero di sé, e allora lì c’è stato lo squarcio e L’hanno visto; come L’hanno visto, ormai la missione è compiuta, e Lui è sparito.

Così come è subito sparito per Maria di Magdala, quando le apparve e le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre” (Gv 20,17). E già, perché: “non sono ancora salito al Padre in te; quando invece salirò al Padre in te, la Presenza sarà eterna, non sparirò più”. Però ormai anche Maria, come i due pellegrini di Emmaus, è una creatura nuova e torna dai discepoli piena di gioia.

Ma nel momento in cui si diventa creature nuove, la prima reazione è questo chiedersi: “forse che il nostro cuore non batteva, quando ci spiegava le Scritture?”. Ecco, quella frase va intesa così: il nostro cuore non batteva? Non eravamo vivi? Dove eravamo? Cioè: non ci batteva il cuor in petto?  È quindi proprio al rovescio di come generalmente si intende.

Eligio: E già! Non ci avrei pensato.

Luigi: È proprio un rammarico per non essersi resi conto che Lui era già con loro: “Ma come mai? Lui  ci stava parlando! Cioè ci spezzava Lui il pane, il pane delle Scritture…Ce le spiegava e noi non ci siamo resi conto che era Lui! Ma dov’era il nostro cuore?”.  Questo è il senso di ciò che dicono.

Eligio:  La differenza è sostanziale.

Ines: Siamo sempre stati abituati invece ad intenderlo nell’altro senso…

Nino: La frase com’è esattamente nel Vangelo?

Luigi: “Ma non ci ardeva forse il cuore in petto mentre per la strada Lui ci parlava e ci interpretava le Scritture?”.

Ines: Intesa nell’altro senso, sembra che loro fossero vicini di cuore a Gesù, in sintonia, come se quasi già avessero avvertito la Sua presenza, senza ancora però riconoscerlo fisicamente.

Luigi: E invece no, perché ci fu la sorpresa. E la sorpresa li ha condotti a dire: “Ma siamo stati stupidi?”.

È come quando vedremo il Cristo: anche noi avremo il rammarico di non esserci resi conto che Lui era sempre stato con noi.

Infatti è detto che “davanti a Lui piangeranno tutte le genti” (cf Ap 15,4). Ma perché piangeremo tutti? Perché scopriremo Colui che è sempre stato con noi, Colui che ci ha sempre accompagnati tutti i giorni della vita, che ha sempre parlato con noi, che sempre ci ha esortati, per cui diremo: “Ma come abbiamo fatto a non vederlo?”. Ecco perché piangeremo!

È di fronte alla sorpresa che noi piangeremo e ci rammaricheremo, perché scopriremo Uno che è sempre stato con noi, che ha sempre parlato a noi, e non abbiamo mai capito niente. E allora ci verrà da dire: “Ma eravamo proprio stupidi? Non eravamo vivi? Il cuore non ci batteva? Lo spirito nostro dov’era?”.

Ecco: “Noi stolti!”, diremo dinanzi alla Verità. È questa la prima espressione quando uno scopre una cosa nuova che ha sempre avuto davanti senza rendersene conto. È un vero rammarico: “Ma è mai possibile? Vi ho passato tanto tempo davanti e non l’ho mai vista?!”. Ecco il primo segno che prima non si era in sintonia!

Quindi a questo punto uno non può dire: “Ma io mi sentivo già in sintonia prima”. No! Perché altrimenti non ci sarebbe ora la sorpresa.

Qui è lo stesso: se i discepoli di Emmaus fossero già stati in sintonia prima, non sarebbero stati sorpresi. Invece per essi c’è stata la sorpresa.

Ora in quanto c’è stata la sorpresa vuol dire che prima non erano in sintonia; infatti i loro occhi erano impediti. Il Vangelo dice: “I loro occhi erano impediti dal riconoscerlo” (Lc 24,16). Cos’è che li impediva? Vedi che non erano  in sintonia con il loro Maestro?

Pinuccia B.:  Dicevi prima che quando gli Apostoli rivedranno Gesù, sarà la Pentecoste e che in questo giorno troveranno una Presenza nuova e antica nello stesso tempo, perché scopriranno quello che già era: una Presenza che farà di essi delle creature nuove. Poi sei passato subito a parlare dei discepoli di Emmaus, quasi come esempio. Però questa Presenza che essi hanno trovato e che poi è sparita non è stata per loro la Pentecoste.

Luigi: No, no!!! Perché per i discepoli di Emmaus, come ho detto prima, Cristo è sparito! Quando verrà la Pentecoste non sparirà più.

Ho citato l’esperienza dei discepoli di Emmaus con Cristo Risorto solo come “segno” della sorpresa che ci sarà quando di fronte alla Verità scopriremo ciò che già era. Con la differenza che quando si rivedrà Gesù a Pentecoste Egli non sparirà più: la Sua sarà una Presenza eterna, permanente.

Pinuccia B.: Comunque anche nella nostra vita c’è questa tappa in cui si scopre già una presenza nuova di Cristo, che però non è ancora quella di Pentecoste.

Luigi: Sì, certo. Quando parlavamo della Trasfigurazione sul monte Tabor, lo avevamo già  accennato. Sono raggi di luce che ci sostengono nel cammino. Anche l’esperienza del Risorto fa ancora parte di quegli stralci di Luce, come il Tabor, che accrescono in noi la fame, il desiderio di Dio.

Pinuccia B.: Però c’è ancora una differenza tra l’esperienza del Tabor  e quella del Cristo risorto, perché l’una è avvenuta prima della Sua morte, l’altra dopo.

Luigi: D’accordo, ma sono esperienze graduali, perché fino a Pentecoste non è che il Signore ci lasci totalmente al buio. Egli procede per gradi, perché conosce il grado della nostra fede e la debolezza di essa.

E allora anche la maturazione della nostra anima per ricevere lo Spirito, se noi stiamo attenti a Lui, avviene per gradi.

Anche quando Cristo è risorto Lui non sparisce per sempre dopo essersi fatto vedere la prima volta ma si fa vedere: raramente, ma si  fa vedere di tanto in tanto, qui…là…

Pinuccia B.:…ma in un modo nuovo.

Luigi: Ma certo!

Pinuccia B.: Infatti non Lo riconoscono subito.

Luigi: Ma questo lo fa per prepararli a riconoscere la sua presenza in tutti. E ognuno riconosce Cristo risorto per quello che di Lui porta dentro di sé.

Però vedi che abbiamo tutta una graduazione?

Dio prepara  gradualmente l’anima al suo incontro definitivo.

Quindi, già il Tabor è un raggio di Luce; ma quanti raggi di luce noi riceviamo nella nostra vita che ci segnalano il cammino! Come se Dio dicesse a noi: “Ti ho fatto vedere. Hai visto che c’è qualcosa da raggiungere? Adesso arrangiati, datti da fare!”.

È come un sipario che si apre per un attimo: “Guarda!”. E poi si chiude: “Ora hai visto! Quindi ora impegnati perché è lì che devi arrivare”.

Così come quando  cammini nella notte: tutto è buio e non sai dove andare. Ad un certo momento, ecco un lampo: “Ah, ho visto, la strada è quella là e la meta è quella là!”. Poi torna di nuovo la notte, ma ormai  hai visto la direzione che devi prendere, hai l’orientamento.

È questo ciò che forma la fame, il desiderio in noi! Perché, come dice il Signore a s. Agostino:  “tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato”.

L’iniziativa è sempre di Dio; noi non potremmo desiderarlo se Lui non si facesse desiderare, cioè se Lui non ci ferisse l’anima, se Lui già non ci illuminasse su qualche cosa, se non ci facesse capire che Lui esiste.

Quindi l’iniziativa parte sempre da Lui. È il suo dono che forma in noi il desiderio. Noi non possiamo desiderare una cosa se non l’abbiamo vista prima. Se non abbiamo visto un oggetto in vetrina, come facciamo a desiderarlo?

Per cui se desideriamo una cosa è perché già l’abbiamo vista, però non la possediamo; ci accorgiamo di non possederla, di non tenerla (infatti vederla non vuol dire possederla), e allora nasce il bisogno.

È la pubblicità di Dio! Per farci desiderare il dono che ci offre, ma che non ci può dare senza di noi.

Nino: Anche la comprensione stessa del Vangelo è graduale: Noi lo leggiamo una volta e ne comprendiamo una piccola parte; lo leggiamo un’altra volta e ne comprendiamo qualcosa di più; e così via…

C’è quindi un crescendo di comprensione. Però quando giungerà il giorno dello Spirito Santo potremo forse lasciare il Vangelo.

Luigi: Ma a quel punto lì il Vangelo te lo porti  tutto dentro! Non è che tu lo lasci: te lo porti dentro, lo possiedi dentro!

Nino: C’è un’analogia con ciò che studiamo: la prima volta che leggi un libro capisci qualcosa; quando per fare in fretta incominci a leggerlo dalla metà, capisci niente. Allora lo riprendi dall’inizio e pian pianino scopri sempre qualcosa di più, tanto che ad un certo punto puoi mettere da parte il libro, perché ormai l’hai acquisito.

Luigi: Cioè, più mediti il Vangelo e più Cristo ti trasforma praticamente nel suo Spirito, per cui ad un certo momento possiedi le Verità che ti ha comunicato.

Angelo B.: Ci vuole costanza nel meditare il Vangelo e non mollarlo.

Pinuccia A.: Altrimenti non si arriva alla Luce.

Luigi:  Ah, certo. Solo dedicandovi mente si arriva alla Pentecoste, perché è il Verbo incarnato che ci conduce a questa meta.

La Pentecoste poi ci farà passare dalla presenza fisica del Cristo alla Presenza spirituale, personale, e quindi alla sua Presenza universale, cosmica (che è sempre personale), per cui troviamo il Verbo di Dio come Cristo in tutti i volti e in tutti i luoghi.

Eligio: Anche nelle cose?

Luigi: Certo, in tutti gli uomini, in tutte le cose e in tutti gli avvenimenti, perché tutto è opera del Padre, quindi è parola del Padre.

Però in un primo tempo noi non vediamo il Verbo di Dio nelle cose. Allora c’è bisogno di tutta un’opera di ricupero da parte di Cristo.

Angelo B.: Con Lui ritorniamo al Principio, da cui vediamo il Verbo in tutto.

Luigi: Certo. Ad esempio: noi siamo nella valle e vediamo la vetta lontana e non sappiamo andarvi. Ad un certo momento troviamo Uno che ci dice: “Vuoi salire lassù? Ti faccio da guida, vieni con me!”. Noi Lo seguiamo anche se non capiamo perché sia necessario passare su quella strada, su quei sentieri, attraversare quelle valli, ecc., però è l’Altro che ci guida: Lui conosce la strada e ci affidiamo. Quando arriviamo sulla vetta, allora guardiamo giù. Guardando giù, vediamo il percorso del sentiero,  e lì capiamo il perché di certe deviazioni, ecc., e allora ci rendiamo conto che tutto ci conduceva verso la vetta.

È Gesù che fa quest’opera di recupero, portandoci a vedere le cose dalla Vetta. È dalla Vetta, dal punto di vista del Padre che si capisce il senso di tutto.

Eligio: Questo lo si capirà dal Padre. Per ora noi siamo ancora sotto la pedagogia del Figlio, che ci prepara…

Luigi: … e ci porta a vedere il Verbo di Dio in tutto. Ma  questo poter  vedere il Verbo in tutto, avverrà attraverso il Padre.

Pinuccia A.: Cristo ci porta a conoscere il Padre  e poi….

Luigi: …sarà nel Padre che vedremo il Verbo in tutto.

Cioè: in un primo tempo il Verbo ha un corpo unico, poi ad un certo momento arriviamo a vedere il Volto di Cristo in tutte le cose; ed è qui che le cose non sono più dispersive. Infatti le cose ci disperdono in quanto noi non vediamo il Verbo di Dio in esse.

Ecco, le cose ci portano via perché non tocchiamo niente di Dio. E allora da qui nascono i dubbi “Dio c’è o non c’è? È presente o non è presente?”; e allora nel dubbio si incomincia a non far conto su di Lui, in quanto, non sapendo se Dio è presente o no, se pensa a noi  o no e se intervenga o no, si incomincia ad accumulare denaro, ad assicurarci in tutto, perché non si sa mai in un domani…E allora è lì che ci rendiamo schiavi di tutte le cose, appunto  perché non tocchiamo niente di  Dio.

Invece attraverso il Cristo, un Uomo unico, noi siamo condotti, attraverso la sua presenza fisica, alla Pentecoste e quindi a vedere la sua Presenza, il suo Volto in tutto e in tutti. E allora lì le cose non ci disperdono più, non c’è più niente del mondo che ci possa portare via.

Perché non c’è più niente che ci possa portare via? Perché vediamo la Parola del Padre, vediamo il Verbo di Dio in tutto.

Da qui si instaura il dialogo con Dio e allora uno si vede pensato da Dio, si vive nel “pensato” di Dio, direi: si tocca Dio continuamente, perché Dio prepara la strada, Dio ci accompagna, Dio ci precede, Dio spiega, Dio conclude: è sempre Lui in tutto!

E allora a questo punto il Cristo non è più localizzato in quel solo corpo, quello che ha assunto nascendo come uomo su questa terra. Era necessario che lo assumesse per portarci alla Pentecoste, però ora, a Pentecoste, diventa universale, presente in tutto.

Ed è per questo che quando Lui risorge incomincia ad assumere sembianze diverse; per abituare i suoi discepoli a vedere la sua Presenza non più soltanto in quella determinata presenza fisica, con quel naso, con quella bocca,  ecc., ma a vederla anche in corpi diversi dal Suo.

In un primo tempo essi incominciano a scoprire la sua presenza soltanto perché dice un certo nome,  perché spezza il pane in un certo modo, ecc.; ma poi, ad un certo momento, addirittura scompare anche quello. Perché?  Perché ci vuol condurre a scoprire la sua Presenza in ogni segno, perché tutto è segno suo.

Eligio: Ma la si scopre soprattutto interiormente, come Realtà.

Luigi: Ah, ma se tu non hai questa Presenza interiore tutto ti porta via e non puoi vedere la Sua presenza nei segni. Ma è Cristo, il Verbo incarnato, che, guidandoci alla Pentecoste, ci porta a scoprire la sua Presenza interiore a noi. Ed è questa Presenza interiore che ci salva.

Per questo si richiede tutto un lavoro interiore. E quando giungi a questa meta, non cambia niente esteriormente: il fatto esterno oggi è magari uguale a quello di ieri, però lo vedi in modo molto diverso da come lo vedevi ieri.

Pensieri tratti dagli incontri del Sabato: Sabato 24.01.1976  (appunti)

“Il Verbo si fece carne e abitò tra noi…”

 “Il Verbo si fece carne”. In quanto entrò nel nostro mondo (Natale), noi possiamo fermarci con Lui tutto il tempo che vogliamo. Lui ci conduce al Padre, se abbiamo interesse per il Padre. 

Non conta che sia vissuto storicamente 2000 anni fa. Ciò che ci avvicina a Lui è l'affinità spirituale, cioè l'interesse per il Padre.  Nel campo spirituale i limiti di tempo e di spazio non contano, sono superabili.

Sabato 14.05.1983

“Il Verbo si fece carne e abitò tra noi… ”

Piero: “Il Verbo si fece carne e abitò tra noi”, cioè Dio scende al nostro stato di creature. Noi non potremmo mai arrivare a Lui se non fosse Lui per primo a scendere al nostro livello.

Luigi: Sì, visto che noi ci siamo messi in un rapporto sbagliato nei riguardi di Dio, visto che ci siamo venuti a trovare in una situazione  di notte, di tenebre, di confusione, noi possiamo essere salvati soltanto da Uno che entra in questo rapporto sbagliato.

Dal momento che noi non siamo più nel rapporto giusto, cioè in ascolto di Dio (il rapporto giusto sarebbe: Dio è il Creatore che parla; io, creatura, ascolto il Creatore che parla), cioè dal momento che parliamo noi, quindi che ci sostituiamo al Principio facendoci principio autonomo, possiamo essere salvati soltanto da Uno che entra in questo nostro errore. Ad esempio, chi è in carcere può essere salvato soltanto da uno che entra nel suo carcere. Quindi se noi siamo schiavi dei corpi, delle presenze fisiche, della materia, possiamo essere salvati soltanto dalla materia, soltanto dalla presenza fisica, soltanto da un corpo; però non da un corpo che sia soltanto corpo, o dalla materia che sia soltanto materia, perché altrimenti ci confermerebbe nell’errore, ma da Dio che mi parla attraverso un corpo. Possiamo cioè essere salvati attraverso il corpo, la materia, attraverso ciò di cui siamo schiavi, perché se siamo ad esempio schiavi del denaro, possiamo essere salvati soltanto attraverso il denaro. Quindi possiamo essere salvati soltanto da Uno che, entrando in questo mondo di schiavitù, ci liberi da esso. Però deve entrare in questo mondo di schiavitù;  quindi è necessario che si sottometta al nostro errore, che si faccia, sotto un certo aspetto, figlio nostro. Ecco, il  Verbo di Dio che si fa carne è il Verbo di Dio che si fa figlio dell’uomo, che si sottomette all’uomo. Ovviamente il rapporto è ingiusto nei riguardi di Dio, perché dovrebbe essere sempre l’uomo sottomesso a Dio, e non Dio sottomesso all’uomo.

Quindi con l’incarnazione abbiamo l’inaugurazione, da parte di Dio, di un rapporto ingiusto, quindi di un rapporto che non permane. Infatti il Verbo di Dio che s’incarna non permane, è transitorio, passa, perché è un rapporto ingiusto; però è necessario per farci rinsavire, per curarci. Il medico se vuole guarire un ammalato deve andare dove si trova il malato; quindi deve entrare nella situazione del malato.

Ora, questo incarnarsi del Verbo di Dio vuol dire che Dio si fa figlio nostro, però come Persona è Dio che parla a noi come Dio e non come uomo; perché se parlasse come uomo ci confermerebbe nel nostro errore. Infatti, tutti gli uomini, tutta l’umanità, per quanto facciano verso di noi, non ci salvano. Gli uomini non possono salvarci, perché non fanno altro che confermarci nel nostro errore; per cui gli uomini ci diranno sempre: “Devo occuparti dei buoi? Ma sì, certo, fai bene, quello è il tuo dovere! Devo badare ai campi? Ma sì, certo, quello è un tuo dovere. La famiglia? Certo, è un tuo dovere. La società? Certo, quello è un tuo dovere!”, e così via… tutto è un dovere,. quindi ci confermano nei nostri errori.

Soltanto il Figlio di Dio, Verbo incarnato che proprio perché  è Figlio di Dio, porta la Verità di Dio in Sé, può liberarci dalle nostre schiavitù, perché ha una tale autorità, ha tali argomenti da convincerci e offrirci la possibilità di vivere per Dio. Però Egli deve entrare in queste nostre schiavitù, e la conclusione è che noi Lo uccidiamo. Ma anche attraverso questa morte Lui ci offre la salvezza, perché ci dà la possibilità di capire la morte che portiamo in noi, di morire a noi stessi e quindi di introdurci nel cammino che, attraverso la Risurrezione e l’Ascensione, ci porta alla nostra Pentecoste personale.

 

Tiziana: “Il Verbo si è fatto carne…”: mi viene in mente quello  che dice S. Paolo quando parla di come  “si distinguono le false dottrine dalla dottrina vera”: la dottrina vera è quella dottrina che riconosce che Dio in Gesù si è fatto carne; le false dottrine invece non lo riconoscono. Però vorrei capire meglio  che significato ha questa incarnazione in noi.

Luigi: È Dio che si fa figlio dell’uomo; cioè dal momento che noi abbiamo stabilito un rapporto sbagliato con Dio, Egli s’incarna per riportarci nel rapporto giusto. Il rapporto giusto sta nel rimanere sottomessi a Dio, perché Dio è il Principio, per cui Lui è Colui che parla e noi dobbiamo essere ascolto. Noi però abbiamo la possibilità di invertire i termini, in quanto abbiamo la possibilità di non raccogliere in Dio. E allora succede che in noi invece di esserci il rapporto Dio Creatore che parla e creatura che ascolta, si stabilisce un rapporto sbagliato: noi parliamo e Dio ci deve ascoltare.

Questo invertire i termini avviene perché  non raccogliamo in Dio, e non raccogliamo in Dio perché il raccogliere in Dio, cioè l’unificare in Dio, non avviene senza di noi: è un’azione consapevole, non avviene automaticamente. Tutte le creature vengono a noi e dicono a noi: “Noi non siamo tue, noi siamo di Dio, portaci a Dio”.

Quindi tutta la creazione, tutti i fatti, tutte le parole arrivano a noi, si mettono nelle nostre mani e dicono a noi: “Adesso tu portaci a Dio, perché noi siamo di Dio”.

Il rapporto giusto è questo: in ogni cosa che arriva a noi, noi dobbiamo preoccuparci di   riportarla, di unificarla, di raccoglierla, di offrirla a Dio, in modo che Dio ce la illumini, ci faccia capire il suo Pensiero. Ecco, questa è la vera opera sacerdotale che ogni uomo deve fare; per cui la nostra mente è il vero altare su cui si offrono i veri sacrifici.

Quindi, ogni cosa, per creazione di Dio, arriva fino a noi, e arrivando a noi crea sensazioni, impressioni, piaceri, dolori, e tutto questo in rapporto al nostro io; però, per giustizia, questa creazione chiede a noi di essere portata a Dio. Questo portare a Dio, questo ritornare a Dio non avviene senza di noi; per cui non c’è nessuno che possa fare questo al posto nostro; questa è un’opera essenzialmente personale, segreta, nascosta nell’animo dell’uomo, di ogni uomo.

Se l’uomo raccoglie le cose in Dio, allora riceve luce da Dio, cioè intende il significato, l’anima delle cose, l’anima della Parola che Dio gli dice.

Se invece l’uomo non riporta a Dio, ma si ferma alle impressioni che la creazione arrivando a lui crea, naturalmente allora incomincia a comportarsi secondo le impressioni; per cui alla domanda: “perché fai questo?”, risponde: “perché mi piace!”. Ecco, ti sei fermato all’impressione che una creatura di Dio ha lasciato in te, e allora  incominci ad appassionarti, a cercare quello che ti piace e ad escludere quello che non ti piace. In questo modo tutta la nostra vita rischia di diventare una corsa dietro la ricerca o l’accumulo di quello che piace e una fuga da quello che dispiace. E siccome però noi siamo una passione d’assoluto, tendiamo a rendere assoluto quello che piace a noi e ad escludere in assoluto quello che non ci piace. E naturalmente è una lotta impari, destinata al fallimento, perché è tutta sbagliata. 

Ora, in questo rapporto sbagliato, cioè non avendo riportato le cose a Dio, noi diventiamo schiavi di queste passioni; a questo punto non c’è niente da fare da parte nostra, perché “chi fa il male resta schiavo di esso” (Gv 8,34): non ne esce più! Infatti, noi in questa situazione di schiavitù, siamo impediti di trovare un qualche cosa di oggettivo in noi, e iniziamo a proiettare su tutto il pensiero del nostro io; questo, naturalmente, ci crea il dubbio su tutto e quindi ci impedisce di ritornare nel paradiso terrestre.

Ecco perché dopo il peccato di Adamo, Dio ha messo davanti alle porte del paradiso un Angelo  che con la spada di fuoco impedisce all’uomo di ritornare (Gen 3,24):  entrare nel paradiso terrestre vuol dire entrare di nuovo in rapporto con Dio, ma con Dio Presenza Oggettiva. Perché noi anche nel peccato possiamo pensare Dio, ma sempre con questo dubbio: “Forse sono io che penso Dio; ma Dio in realtà  non mi conosce, non mi pensa, non mi segue, e io sono solo”.

Quindi, in conseguenza del peccato c’è questo senso di solitudine, perché non si è più in compagnia con Dio: ecco, non c’è più il paradiso terrestre. Il paradiso, la festa è essere con qualcuno; essere soli è tristezza, perché non è la nostra  dimensione: noi siamo fatti in coppia, quindi non sopportiamo la solitudine. Allora in questo rapporto sbagliato possiamo essere salvati da Uno che dall’Alto scende, ed ecco il Verbo che si fa carne, in questa situazione di peccato. 

Il rapporto è sbagliato in quanto c’è il nostro io al centro, per cui  in questa situazione noi possiamo essere salvati solo da Uno che entra in questo mondo in cui c’è il nostro io al centro.

Quindi il Verbo è Incarnato in quanto è il Pensiero di Dio, il Verbo di Dio, che entra in questo mondo in cui c’è il nostro io al centro per entrare in dialogo con noi perché solo entrando in dialogo con noi, può ristabilire il contatto con noi e tirarci fuori dalla nostra prigione. Ma cosa vuol dire entrare in dialogo con noi? Se io penso a me, un altro può  entrare in dialogo con me  soltanto in quanto parla di me, perché se non parla di me io non l’ascolto. Ad un certo momento noi diventiamo impotenti ad ascoltare un altro che parla di altre cose diverse dal nostro io.

Pinuccia B.: Ma Lui ci parla di Dio.

Luigi: Sì, ma si incarna e questo incarnarsi vuol dire che scende a parlare a noi nel mondo in cui c’è il pensiero del nostro io.

Pinuccia B.: Cioè, ci parla di Dio con il linguaggio relativo al nostro io.

Luigi: Certo. Se per esempio io giustifico la mia vita con “i buoi, i campi, la moglie”, il Verbo fatto carne entra in questo mio mondo in cui io ho stabilito dei rapporti che hanno come punto fisso di riferimento il mio io. E Lui,  entrando in questo mio mondo, si sottomette a me, ed è necessario che entri e  si sottometta. Naturalmente sottomettendosi a questo mio mondo la sua fine è scontata: Lui morirà, non può farne a meno. Però, attraverso questo entrare nel mio mondo, mi offre la possibilità di ricollegarmi con Dio, ma questo solo se credo in Dio, perché se non credo in Dio è finito tutto.

Quindi se abbiamo un minimo di fede in Dio, Cristo ci offre la possibilità di essere salvati, cioè di giungere a vedere la sua Gloria, la Verità, perché Lui entra in questo nostro mondo,  dialogando con noi di Dio e con Dio; chi non è attratto dal Padre non può ascoltarlo: Nessuno viene a Me se non è attratto dal Padre(Gv 6,43).

Pinuccia B.: Per cui la realtà Dio non è più astratta con Lui presente.

Luigi: Ecco, con il Verbo incarnato, Dio diventa Realtà, perché Egli è Uno come me che però non parla il mio linguaggio, mentre invece tutti gli altri parlano il mio linguaggio. Lui non mi parla il mio linguaggio, cioè Egli ci parla il linguaggio di Dio usando un linguaggio relativo al nostro io, per cui il linguaggio di Dio a noi non suona più astratto: “Nessun uomo ha mai parlato come Te” (Gv 7,46), “Tu solo hai parole di vita eterna” (Gv 6,68).

Ora, siccome noi nel nostro peccato, e quindi nel nostro soggettivismo che deriva dal fatto di avere il nostro io al centro, chiamiamo realtà ciò che vediamo e tocchiamo e chiamiamo astrazione ciò che non si vede e non si tocca, facciamo esperienza di trovarci in una realtà “diversa” da quella che ci presenta Dio. Non è che nel peccato uno abbia escluso Dio, perché la creazione non siamo noi che la facciamo, noi non facciamo niente, per cui rimane sempre il dubbio: “chi è che opera, chi è che fa tutte queste cose?”. Quindi non è che si escluda la fede in Dio, però ci si trova in una realtà diversa che ci fa dire: “Sì, c’è Dio, però la mia realtà attuale è questa: io mi trovo in un mondo che continuamente esige che io mi dia da fare e che mi dice: dobbiamo avere i piedi per terra; per cui se io non mi do  da fare, se non mi agito, … muoio”.

Succede però che tutto il nostro agitarci ci impedisce quel silenzio interiore necessario per occuparci di Dio, tanto da arrivare a confessare: “non ho mai tempo per Dio; perché devo correre qui, devo correre là: sì, sì, Dio è una gran bella cosa… sarebbe bello potermi occupare di Lui, però la mia realtà è diversa”. Infatti nel nostro soggettivismo ci troviamo in una realtà “diversa”. Allora, in questa realtà “diversa”, noi possiamo soltanto essere salvati da Uno che viene dal Cielo ed entra in questa realtà “diversa” per insegnarci come si supera e come se ne esce:  questo è incarnarsi.

Tiziana: Questa incarnazione la percepiamo attraverso che cosa?

Luigi: Attraverso il Cristo che è venuto nella storia, cioè con la sua presenza fisica, storica, ambientale: in quel determinato punto del tempo e dello spazio, Dio ha occupato una pagina della nostra storia. Ora, che l’abbia occupata duemila anni fa o che l’abbia occupata cinque minuti fa, nel campo dell’anima non interessa. Il fatto è che c’è un punto di noi che è occupato da Dio.

Pinuccia B.: E tutti verranno a sapere che Dio si è incarnato.

Luigi: Per forza! È un punto del nostro mondo! Dal momento che è un punto del nostro mondo, non possiamo non sbattere la testa dentro. Se per esempio noi leggiamo un libro di storia, non possiamo non arrivare ad una certa pagina di quel libro. Ora, tutte le cose sono collegate; ad un certo momento si ricollegano e arrivi al Cristo; da qualunque punto tu parta, arrivi al Cristo.

Pinuccia B.: Ma come fa la vecchietta che vive in una baita sperduta in montagna…

Luigi: Non c’è nessuna difficoltà, poiché dal momento che Cristo è entrato nel nostro mondo (nel “nostro” mondo!),   noi non possiamo non arrivare a contatto con Lui, perché tutte le strade ci conducono lì: da qualunque parte, da qualunque punto della circonferenza noi partiamo, non possiamo ignorare il centro. Cristo è un centro: noi non possiamo ignorare quel centro, da qualunque punto noi partiamo della circonferenza; e questo perché, essendosi incarnato, appartiene a questo nostro mondo. È come se un qualcosa appartenesse al nostro corpo: può essere nascosto quanto vuole, ma ad un certo momento noi arriviamo a scoprirlo, e questo perché appartiene al nostro corpo. Ora, Cristo è il Verbo di Dio che appartiene al nostro corpo.

Pinuccia B.: Cioè, noi arriviamo a scoprirlo perché Lui è Dio; infatti ci sono miliardi di altre persone che appartengono a questo mondo, ma noi non arriveremo mai a conoscerle.

Luigi: Certo, infatti abbiamo detto che è un centro; in quanto è un centro ed ha occupato un punto del nostro mondo, ha fatto di tutto questo nostro mondo una circonferenza di cui Lui è il centro.

Cristo è la pienezza dei tempi, Lui è la conclusione: tutte le cose arrivano lì. E se non arrivano è soltanto perché sono interrotte a metà strada; per cui noi possiamo fermarci a metà strada, ma allora naturalmente ci chiudiamo nel nostro piccolo mondo. Ma per poco che noi seguiamo tutta la nostra problematica, tutte le nostre tristezze, tutti i nostri dolori, ad un certo momento arriviamo a Lui. Soltanto l’altro giorno sentivo un amico che diceva: “Ma questa vita è proprio una boiata! cosa serve vivere?”. Ecco, questo senso di vanità è già il Cristo che è entrato e che ti ha annullato tutti i valori, che ha già fatto piazza pulita; per cui la vita ti diventa insopportabile.

Pinuccia B.: Ma lui lo sa?

Luigi: No, ma non importa che lui non lo sappia; importa che il Cristo sia entrato e che abbia annullato tutti i suoi valori; ad un certo momento, quando uno porta con sé tutta questa tristezza, è pronto per l’incontro con Cristo e arriverà il momento di questo incontro, sarà magari soltanto in agonia, in punto di morte, se non si dà da fare, se non cerca prima, però arriverà il momento.

Pinuccia B.: E allora capirà che  Cristo  è entrato.

Luigi: Il capirlo dipende dalla sua apertura a Dio o no. Comunque Cristo entrando elimina tutti questi valori di disturbo per i quali noi vivevamo e che ci impedivano di dedicarci a Dio. Perché? Perché dicevamo: “io avevo i buoi, i campi, la moglie, io avevo il lavoro, per cui non potevo  venire” (cf Lc 14,18-19). Mica dicevamo: “io ero una prostituta, io ero un ladro”, ma: “io avevo il lavoro”, quindi cose onestissime, cose che il mondo ritiene doverose. Eppure, sono proprio queste cose che ci impediscono di avere il tempo interiore per essere disponibili per Dio.

Ora, Cristo entra in noi e annulla tutti questi nostri valori; naturalmente se noi ascoltiamo le sue Parole, attraverso le sue Parole arriviamo in anticipo. Se invece non ascoltiamo le sue Parole, Lui entra ugualmente nella nostra vita, nel nostro mondo, anche se noi non lo sappiamo, e ci annulla tutti i valori. Magari noi diciamo: “è la vecchiaia; è la società ecc.”, intanto però esperimentiamo lo svuotamento di tutti i valori per i quali noi vivevamo; e da qui le domande: “allora la vita a che cosa serve?”. Non si trova più significato in niente. E dove non c’è più il significato di niente è il Cristo che è entrato e che ti ha annullato tutti quei valori che ti disturbavano, ha fatto piazza pulita. Ora, se noi abbiamo ascoltato, creduto alla Parola, allora  siamo preparati, perché la Parola di Dio dice in anticipo quello che avverrà nella nostra vita, perché tutto è opera di Dio. Quindi se noi abbiamo interiorizzato la Parola di Dio, abbiamo la possibilità di capire il significato delle cose che avvengono nella nostra vita. E avendo la possibilità di capire, davanti allo svuotamento dei valori,  possiamo dire: “Ah, è Cristo che sta operando, mi rendo conto! E mi  sta liberando proprio da quelle cose da cui io non ero in grado di liberarmi, per rendermi disponibile per l’Essenziale”. E questo lo possiamo dire perché abbiamo  già la Parola interiorizzata, per cui abbiamo capito qualche cosa. Invece senza questa Parola in noi, subiamo gli eventi senza avere la possibilità di interpretarli, di intenderli.

Tiziana: Però capisco che c’è qualcos’altro che li determina.

Luigi: Certo, è logico, perché li subisci: c’è una Volontà contraria che ti sta annullando tutto. Non siamo noi che vogliamo l’annullamento delle cose, ma lo subiamo; per cui, per quanto noi diciamo: “fatti forza, sorridi”, non serve a niente. Prova ad andare a dire “sorridi” a uno che abbia il cancro addosso, che porti la morte con sé, o che sia esaurito o che abbia l’angoscia: non serve! Appunto perché noi non siamo liberi verso questi valori. Una cosa che si è annullata, che si è svuotata di valore, noi non la possiamo ricostruire. È come un amore che ci abbia deluso: prima eravamo entusiasti, dopo la delusione noi non possiamo ricostruirlo. Le cose cadono su di noi, quindi c’è una Volontà diversa che opera su di noi. L’importante è anticipare i tempi, interiorizzando la Parola di Dio, perché l’importante è poter arrivare a capire il significato di tutto quello che ci accade e accadrà, cioè di tutta questa opera che Dio sta facendo con noi per farci capaci di giungere alla nostra Pentecoste, cioè di portare la sua Verità, la sua Presenza.

Sabato 21.05.1983

Piero: “Il Verbo si è fatto carne”, essendo noi nel peccato, e quindi molto lontani da Dio,  è necessario che Dio si avvicini a noi…

Luigi: Il peccato sta nel non tener conto di Dio, e quindi nel separare le opere di Dio da Dio, nel separare la creazione dal Creatore. Quando consideriamo le creature, consideriamo noi senza tener conto di Dio, senza riferirle a Dio, qui sta il “corpo del peccato”, qui sta il peccato. In conseguenza di questo peccato noi restiamo schiavi della presenza delle cose senza Dio, o delle creature senza Dio; restiamo schiavi, perché  “chi fa il male resta schiavo di esso”.

Ora, non esiste il male fuori di noi (“Tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie, perché esso viene santificato dalla Parola di Dio e dalla preghiera” {1 Tm 4,4}; “Tutto concorre al bene per coloro che cercano Dio” {Rm 8,28}). Il male è dentro di noi, in quanto dentro di noi non colleghiamo le cose con Dio. Le cose non collegate con Dio ci rendono succubi, schiavi, e da questa schiavitù noi da soli non possiamo liberarci. Allora, soltanto se Dio si rende “Figlio dell’uomo”, cioè se entra nella sua prigione, può offrire all’uomo la possibilità di una liberazione da queste schiavitù.  In caso diverso non c’è possibilità di liberazione. Il Verbo Incarnato ci offre questa possibilità, ma bisogna seguirlo, assimilando tutte le sue Parole. È la condizione perché si realizzi la sua promessa: “Se resterete nelle mie Parole,… conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi”. È Lui che ci conduce al Padre, forma in noi la capacità di portare la sua Verità, di contemplare la sua Gloria, di giungere cioè alla nostra Pentecoste. 

Marco: “Il Verbo si è fatto carne”, Egli è venuto tra di noi con un corpo; però, ad esempio,  non ho mai capito bene l’episodio delle tentazioni, cioè se Gesù è stato veramente tentato o no. È stato detto altre volte che siccome Lui aveva un corpo come noi, era tentato come noi, ma che questo era soltanto per dimostrare a noi come si esce dalla tentazione. Io però non capisco  se Lui era tentato o non era tentato, fino a che punto Lui era corpo come noi.

Luigi: Il corpo, in quanto corpo ha una sua volontà (anche gli animali hanno una loro volontà, perché tutto quello che è natura ha una sua volontà), quindi anche il corpo di Cristo, essendo vero uomo, ha una sua volontà. Però in Cristo la Persona è Divina. Se Cristo fosse soltanto uomo, quindi soltanto una presenza fisica con noi, non potrebbe salvare niente, anche se morisse in croce, perché non è l’uomo che può salvare l’uomo; anzi l’uomo non fa altro che confermare l’uomo. Infatti tutti gli uomini parlano un linguaggio che è molto diverso dal linguaggio del Cristo. Chi salva l’uomo è il Figlio di Dio, non è la presenza fisica. È il Figlio di Dio che lo salva, quindi  è la Persona Divina.

In Cristo c’è una Persona unica, ed è Dio: infatti in Lui abbiamo una presenza fisica, ma in questa presenza fisica la Parola è Divina, chi parla è la Persona, e la Persona è Divina.

Ora, però come presenza fisica, cioè come corpo, ha una volontà ed è una volontà umana, poiché Egli si è fatto “Figlio dell’uomo”. Egli si è fatto “Figlio dell’uomo”, in quanto si è fatto presente a ciò che l’uomo ha presente; siccome l’uomo non ha più presente Dio, ma ha presente le creature, può essere salvato soltanto attraverso una presenza fisica, in cui però parli Dio, in cui ci sia Dio .

Marco: Ma questa sua presenza fisica è sempre per noi.

Luigi: È solo per noi! Solo per noi!

Marco: Cioè non è che Lui si è fatto presente a ciò che l’uomo ha presente perché non sapeva com’era?!

Luigi: Ah, no, no! Lui è Dio e “tutto è stato fatto per mezzo di Lui”. Ha preso un corpo per noi, l’ha fatto per noi! Cioè,  se io so soltanto l’italiano, posso essere salvato soltanto attraverso uno che mi parla in italiano, perché se mi parla in un linguaggio straniero, non lo capisco. Ora,  il linguaggio che noi capiamo, in conseguenza di questo distacco da Dio, è soltanto il linguaggio delle presenze fisiche, il linguaggio della terra, il linguaggio dei nostri problemi. Allora il Figlio di Dio è entrato in questo nostro linguaggio per colloquiare con noi, però ciò che Lui dice lo dice come Dio, ed è per questo che ci libera dalla nostra situazione. Infatti se fosse venuto soltanto per confermare la nostra situazione ci avrebbe resi più schiavi. Invece no, Lui è venuto tra noi, quindi assumendo una presenza fisica, però ha parlato come Dio, e quindi ci ha ricollegati, ci ha riconquistati al problema essenziale.

Infatti nel mondo  tu ti giustifichi dicendo: “non posso occuparmi di Dio perché ho i buoi; …ho i campi, …ho la moglie, ecc”, sei confermato da tutti quanti gli uomini; all’unanimità tutti ti dicono: “hai ragione, hai ragione, non puoi venire”. Cristo invece non ti dà ragione!

Quando quel tale dice: “Fammi giustizia perché mio fratello è un egoista e non vuol darmi la mia  parte di eredità”, tutto il mondo lo approva e gli dice:  “Hai ragione, va fatta giustizia, per questo bisogna darsi da fare”. Invece  Cristo dice: “No! la vita non viene da questo”(cf Lc 12,15).

Quindi soltanto Dio può ricuperarci da quello che noi riteniamo nostro dovere, nostro impegno, nostra giustizia, ecc., perché noi cadiamo in queste forme qui e quindi siamo impediti di poterci dedicare a Dio, di poterci occupare di Dio. Ritenendo un  “dovere” sottostare alle esigenze del mondo, non possiamo dedicarci a Dio, non possiamo occuparci di Lui, non abbiamo mai tempo per Lui, soprattutto tempo interiore, perché abbiamo tante cose che ci impegnano, …e tutto il mondo ci dà ragione. Cristo invece non ci dà ragione.

Quindi Cristo entra nel nostro mondo come presenza fisica, però parla come Dio, perché in quanto l’uomo può essere salvato soltanto da Dio, non da altri uomini. Solo Dio ci libera dalla soggezione a quelli che noi chiamiamo “doveri” e ci autorizza a dedicarci all’unico vero dovere: cercare e conoscere Dio, e solo Dio ci può far conoscere Dio e portarci quindi a contemplare la sua Gloria.

Pinuccia B.: “E il Verbo si è fatto carne…”: quand’è che noi vediamo veramente il Verbo che si è fatto carne? Perché noi ora lo crediamo per fede che “il Verbo si è fatto carne” oggettivamente, ma per me personalmente “si è fatto carne” quando Lo incontro?

Luigi: No, no. il Verbo si è fatto carne indipendentemente da noi.

Pinuccia B.: Chiedo questo, perché negli incontri della domenica si era detto che solo dopo aver percorso tutta quella trafila di passaggi indicata dai versetti precedenti, a quel punto, per me “il Verbo si fa carne”, cioè posso incontrare nel Cristo quell’aiuto dal Cielo che attendevo. Però noi vedremo veramente il Verbo fatto carne, cioè Lo conosceremo solo con lo Spirito Santo, vero?

Luigi: Lo conosceremo solo a Pentecoste, certo, però il Verbo si è fatto carne indipendentemente da noi, cioè è venuto nel nostro mondo, ci ha sorpresi. È venuto nel nostro mondo! Noi non ce Lo aspettavamo mica! È venuto, si è presentato con certe caratteristiche ed ha parlato in un certo modo. Ora, Cristo è lì, appartiene alla nostra storia, appartiene al nostro mondo: è lì. Ti interessa il problema di Dio o non ti interessa? Se ti interessa Lo accogli e Lo segui; se invece non ti interessa stai ben lontano e se ne senti parlare, dici: “non mi interessa”. Però, anche se a te non  interessa, Lui è lì: è venuto,  si è incarnato. Non puoi smentire questa pagina di storia, non puoi cancellare ciò che è avvenuto. Puoi dire: “non ci credo”, però anche se dici “io non ci credo”, Lui continua ad esserci. Le pagine di storia non si possono strappare, e se le strappi ci resta il buco. Ma allora ti chiedi: “che cosa c’era in questo buco?”. Rimane il …”vuoto”, ma anche questo tuo vuoto rivela la tua ribellione, però Lui continua ad esserci.

Noi non possiamo cancellare la realtà. Ora, Cristo è il Verbo di Dio che si è fatto realtà tra noi, realtà storica, visibile, constatabile, indipendente da noi: è nato da una Vergine. Cosa vuol dire che è nato da una Vergine?

Che  è nato indipendentemente da noi: non c’entra uomo.

Tutto ha un significato, e bisogna capire questo significato per constatazione personale. Quindi il Verbo di Dio viene tra noi indipendentemente dalla nostra volontà, indipendentemente da noi, perché si presenta a noi. E questo fatto ci rende responsabili: una risposta la dobbiamo dare (responsabili deriva da “respondere”, rispondere). Per cui Gesù dirà:  “Se non fossi venuto e non avessi parlato non sareste in colpa; ma dal momento invece che sono venuto ed ho parlato non avete scusa per il vostro peccato” (Gv 15,22). Ecco, “dal momento che sono venuto e ho parlato…”, qui adesso siete responsabili,  perché la Parola di Dio che arriva a noi, nel nostro mondo, nel nostro linguaggio, ci rende responsabili, perché in un modo o nell’altro una risposta la diamo.

Infatti, in quanto Lui viene, ci propone certe cose, e quando uno ci propone qualche cosa, noi in un modo o nell’altro dobbiamo dare una risposta; anche se non diciamo niente, noi abbiamo dato una risposta, e se abbiamo dato una risposta noi non possiamo più essere come prima, non siamo più innocenti. Perché? Perché tu sei stato interrogato e una risposta comunque l’hai dovuta dare. E perché hai risposto in quel modo? Ora  tutte le volte che noi rispondiamo, rispondiamo sempre con un’intenzione, quindi con un pensiero in noi: “io ho risposto in quel modo, a quel tale che mi interrogava, non sapevo che era Cristo, però era un tale che mi interrogava su Dio, io ho risposto in quel modo perché dentro di me avevo quest’altro interesse”. Basta questo:  hai rivelato il tuo cuore!

Pinuccia B.: Hai detto che il Verbo venendo in questo mondo ci ha sorpresi, però Egli era atteso, perché Dio ha formato attraverso i secoli  questo desiderio del Messia.

Luigi: Era atteso come attualmente è atteso da ognuno di noi, perché Egli è atteso dai nostri problemi. Noi tutti stiamo vagando a tentoni nelle tenebre. Ecco, è atteso così! Perché  noi non sappiamo che significato ha la vita, che significato ha per noi la creazione: “cos’è tutto questo? Perché c’è il bene?  Perché c’è il male? Che senso ha la vita?” È quella l’attesa! Ecco come Egli è l’Atteso!

Cristo è Uno che viene a rispondere a questa situazione esistenziale in cui si trova ogni uomo. Perché noi leggiamo il Vangelo?

Il Vangelo è stato scritto duemila anni fa; cosa ci dice ancora al giorno d’oggi?

Eppure siamo tutti lì a scrutarlo. Ma  perché? Che cos’è che lo rende attuale?

Perché nel Vangelo vi sono parole che rispondono ai nostri problemi, alla situazione esistenziale in cui si trova ognuno di noi;  il valore del Vangelo sta lì! Ecco perché è attuale! Abbiamo tanti libri scritti attualmente, eppure perché li lasciamo in un angolo e non li leggiamo? Perché non rispondono ai nostri problemi essenziali, e allora li buttiamo via e andiamo ad attingere ad un Libro vecchio di duemila anni perché è l’unico che risponde alle esigenze della nostra anima.

Pinuccia B.: Quindi la sorpresa di cui hai parlato può essere intesa così: Cristo è atteso, però quando viene ci sorprende, nel senso che viene in questo mondo indipendentemente da noi, per pura iniziativa di Dio, senza intervento d’uomo, e anche nel senso che il momento dell’incontro con Lui è Lui stesso che lo determina.

Luigi: Certo, non è la nostra fame che crea il pane, come non è il tuo desiderio che fa squillare il telefono.

Pinuccia B.: Ma questa attesa del Messia, è proprio l’attesa che Dio si faccia uomo, oppure è l’attesa di un Salvatore, senza sapere che è Dio che s’incarna?

Luigi: L’uomo può essere salvato solo da Dio, perché tutto quello che non è Dio riceve l’impronta del pensiero del nostro io.

Soltanto un Essere diverso dal pensiero del nostro io può salvarci, altrimenti non farebbe altro che confermarci nel nostro peccato, nella nostra colpa. Quindi la nostra attesa e il nostro desiderio, devono essere specifici; cioè dobbiamo desiderare che Dio stesso venga a liberarci.

Sabato 04.03.1989

“E il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che un tale Figlio Unigenito riceve dal Padre, pieno di grazia e di verità”

Nino: “E il Verbo si fece carne”, cioè assunse la natura umana, “… e abitò tra noi”: come per rivelarci che è in noi. Solo che questo lo comprenderemo se resteremo nella sua Parola.

Luigi: Infatti Gesù dice: “Se resterete nelle mie parole, conoscerete la Verità”. Il Verbo si è incarnato appunto per tracciarci la strada, con la sua vita e le sue parole, verso la conoscenza della Verità, verso la nostra Pentecoste.

Pinuccia B.: Il Verbo si è fatto carne”: è collegato col versetto 13: “i figli di Dio nascono non per volere di carne, non per volere di uomo, non per propria volontà, ma da Dio”, allora il Verbo si è fatto carne. Cioè, chi è nato da Dio vede che il Verbo si è fatto carne, perché nella nascita c’è la comprensione di chi è il Cristo, cioè che il Cristo è il “Verbo fatto carne”. Prima della nascita invece non sappiamo che Egli è il Verbo fatto carne, sappiamo soltanto che è Uno che risponde alla nostra esigenza di conoscere Dio. Quando però uno nasce da Dio, scopre chi era il Cristo: il Verbo che si era fatto carne.

Luigi: Sì, conosceremo Cristo come Verbo Unigenito, come Figlio Unigenito soltanto dopo che Egli, il Verbo stesso, “fatto carne”, ci ha condotto a conoscere suo Padre; conoscendo suo Padre possiamo dire: “Ah, tu sei il Figlio, io non lo sapevo; ti ho scelto come Maestro, perché rispondevi a dei miei bisogni, però non sapevo…”. Cioè il bisogno che ognuno ha in sé gli fa scegliere un determinato  maestro: se tu hai bisogno di capire la matematica, vai a cercare un maestro che sappia la matematica. Non sai chi sia quel maestro, sai soltanto che è un insegnante di matematica, e a te basta questo. Perché? Perché risponde al tuo bisogno. Tu hai bisogno di capire la matematica e vai a cercare uno che ti insegna la matematica: non puoi capire altro! Quindi, quando poi dopo Cristo ti conduce a vedere suo Padre, allora, il rapporto Padre e Figlio salta fuori: “ah, eri Tu!”.

Pinuccia B.: Allora è lì che vedo il Verbo che si è fatto carne.

Luigi: E già! Ma chi è che te lo fa conoscere? Vedi che è il Padre che fa conoscere il Figlio?  Perché soltanto conoscendo il Principio posso dire: “ah, tu sei Figlio di quel Principio!”; prima no! non potevo. Prima L’avevo scelto come  Maestro perché rispondeva ad un mio bisogno. Ma se non si fosse formato in me questo bisogno, sarebbe stato perfettamente inutile aver trovato il Cristo sulla mia strada.

Allora è necessaria l’attrazione del Padre per riconoscere il Cristo come Maestro, come Guida, ed è necessaria la conoscenza del Padre per conoscere il Cristo come Verbo, come Figlio di Dio, per vedere la sua Gloria. Il punto di aggancio è quindi l’interesse per il Padre, per cui fintanto che in noi non si forma questo bisogno di Dio (e Gesù lo dice chiaro: “Nessuno può venire a Me se non è attratto dal Padre”), Lui ci lascia andare dove vogliamo, perché non è possibile seguirlo.

Infatti, se il Padre non porta le anime a Lui, è inutile che suoniamo le grancasse per invitare le anime ad andare dietro Lui, perché  intanto non ci vanno, perché hanno altri interessi; e fintanto che hanno altri interessi, vanno a cercare altri maestri e non a cercare Lui. Ognuno si cerca quei maestri che rispondono ai propri bisogni e ai propri interessi. Ecco come avviene tutta la dispersione nel mondo; la dispersione è tutta conseguenza di quello che portiamo dentro di noi, cioè di quegli interessi che maturano dentro di noi. Per cui noi, necessariamente, diventiamo figli di quei maestri che  ci siamo eletti, che sono la conseguenza di scelte fatte per interessi che portiamo dentro di noi.

Pinuccia B.: Lo sbaglio è a monte.

Luigi: Certo, lo sbaglio è a monte, cioè lo sbaglio è non considerare Dio Creatore; perché se io considero Dio Creatore e dico: “tutto è opera di Dio”, sono “obbligato” a riferire le cose a Lui, per cui se tutto è opera di Dio, io non debbo riferire le cose a me, non debbo fermarmi ai miei sentimenti, alle mie impressioni, ma in tutto debbo sempre cercare il suo Pensiero, riferire tutto al suo Pensiero: è questo bisogno di giustizia, è questa attrazione per il Padre che mi porta al Cristo. Ecco perché l’incontro col Cristo è fatto precedere dalla predicazione di Giovanni Battista, che riassume poi tutta la problematica di tutto l’Antico Testamento: migliaia, decine di migliaia e forse milioni di anni, che è tutta preparazione per sfociare in questo bisogno. Ed è poi quello che avviene nella nostra vita personale.

Pinuccia B.: Se non c’è la giustizia è logico che il bisogno, l’attrazione, l’interesse non nascono, perché è la giustizia che mi fa cercare il Pensiero di Dio.

Luigi: Per cui, se manca questo, tu puoi essere con Cristo tutti i giorni, da mattina a sera, ma non serve assolutamente a niente, perché in realtà non sei con Cristo. Puoi stare in una trappa per tutta la tua vita, ma se non fai la giustizia, non incontri il Cristo; ti illudi , ma non Lo incontri. Ti puoi dire cristiana, cattolica, tutto quello che vuoi, ma se non c’è interesse per Dio sei fuori, non puoi incontrare Cristo, perché non c’è un rapporto personale con Dio. Il rapporto personale è determinato da quello che ti sta a cuore, dall’interesse.

Camminare con il Verbo

Dio è tra noi, con noi: è stato l'annuncio del Natale. Un annuncio per tutte le genti di ogni luogo e di ogni tempo, poiché la presenza di Dio tra noi e in noi è il mistero centrale dell'esistenza umana e quindi il mistero della vita di ogni uomo.  Qui è la fonte di ogni nostro problema, ma qui, e solo qui, è anche la soluzione di esso, poiché Dio è il Principio di tutto.

"In principio era il Verbo..." (Gv 1,1): alla radice di ogni cosa e del nostro essere c'è il Verbo di Dio, il Pensiero di Dio: il Figlio di Dio, generato eternamente dal Padre, e nel quale e attraverso il quale tutto è stato fatto e ancora oggi è fatto. Pertanto il Verbo di Dio è presente in tutto e parla a noi in tutto, poiché "tutto è fatto per mezzo di Lui e senza di Lui è ridotto a niente tutto ciò che è fatto"(Gv 1,3).

Il Verbo di Dio, che è la Parola di Dio, il Pensiero di Dio, è il centro dell'universo, e quindi il Principio e il fine di tutte le cose; è il vertice dei tempi e il senso di tutto ciò che esiste: è l'anima di tutto. Fintanto che noi non abbiamo imparato questo, ci aggiriamo come analfabeti tra le pagine della creazione di Dio: tutto per noi, anche i fatti di ogni giorno, è scritto in una lingua straniera per noi incomprensibile.

Dio ha donato ad ogni uomo il suo Pensiero, per cui ogni uomo essendo il portatore del Pensiero di Dio può pensare Dio e dialogare con questo Tu Divino che porta in sé e che lo costituisce persona. Noi esistiamo, viviamo e ci muoviamo nel Pensiero di Dio. È Lui che in tutto parla a noi, personalmente con ognuno di noi, poiché, essendo tutto fatto per mezzo di Lui, è Lui che opera in tutto. Per questo in tutto c'è qualcosa di eterno che giunge a noi, si annuncia e parla. È il Verbo di Dio tra noi.

Noi abbiamo la possibilità di coglierlo fuori perché Lo portiamo dentro di noi. La condizione però è essere con Lui, averlo presente.  Infatti, che Dio sia con noi, non vuol dire che noi siamo con Lui. Qui il concetto di reversibilità dei nostri schemi matematici o logici non vale, poiché se Dio è sempre con noi, non sempre noi siamo con Lui, non sempre  camminiamo con Lui. 

Ed è per questo che noi non vediamo la Verità che pur è sempre con noi. Ed è per questo che la Luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non la vedono, e tanto meno la comprendono.

Tutti i nostri guai e le nostre difficoltà sul cammino della vita stanno qui, in questa nostra incapacità di restare con Colui che è con noi. Incapacità di accogliere il messaggio del Natale, di restare in esso e di portarlo avanti. Dio è presente, noi siamo assenti. È il nostro dramma.

Come imparare a restare con Lui, a camminare con Lui?

Noi siamo là dove abbiamo il nostro interesse principale, il nostro cuore, il nostro amore, le nostre ambizioni. Qui si rivela il luogo della nostra vita, o della nostra morte; qui si rivela anche la nostra vera fede, che è sempre molto diversa da quella che noi crediamo o recitiamo di avere.

Per essere con Dio, per camminare con Dio, dobbiamo avere la nostra attenzione, il nostro interesse principale a Lui, alla sua Parola. Bisogna cioè lasciare il nostro "gregge", la nostra "carovana" di abitudini e di routine in cui facciamo morire ogni nostra giornata.  Bisogna lasciare il nostro mondo e rivolgere tutta la nostra attenzione a Dio, al Pensiero di Dio. È la condizione per essere presenti a Colui che è presente, per ascoltare Colui che ci parla, per superare le distanze che ci separano da Lui.

Le distanze tra noi e Dio non sono fuori di noi, né appartengono allo spazio e al tempo, ma sono dentro di noi e appartengono al campo dei nostri interessi e dei nostri pensieri. Niente crea maggiori distanze tra gli uomini quanto interessi diversi. Per cui la distanza che ci separa dal "Dio tra noi" non è per noi maggiore di quella che dovettero superare i pastori per lasciare il loro gregge e giungere alla grotta di Betlemme; né è maggiore di quella che dovettero superare i Magi dell'Oriente per seguire la stella che li guidava là dove era nato il Re dei Giudei; né è maggiore di quella che dovettero superare Maria e Giuseppe per lasciare la loro carovana e cercare il Bambino Gesù per tre giorni a Gerusalemme; né è maggiore della distanza che dovettero superare le genti e i discepoli di allora per giungere al Cristo; né è maggiore della distanza che deve superare colui che ama per incontrarsi e vivere con l'essere amato.

Il Verbo di Dio, incarnandosi, ha cancellato tutte le distanze di tempi, di luoghi, di strutture, di mentalità, di ambiente, che separano gli uomini da Dio.  Si è fatto vicino ad ogni uomo che sinceramente abbia fede e interesse per Dio, e ne ha fatto un solo problema d'amore.

(I – 24.01.1996)

Cristo, Verbo di Dio incarnato, è venuto ad abitare tra noi per farci ritrovare la luce di Dio e quindi per togliere le distanze tra noi e Dio. Per questo si è fatto Figlio dell'uomo. Quindi, in Lui, Dio ha annullato tutte le distanze di tempi, di luoghi, di mentalità e di strutture e si è fatto vicinissimo ad ogni uomo, per cui il superamento della distanza diventa da parte dell'uomo solo più un problema di amore. Infatti la distanza tra due persone è determinata da pensieri e interessi diversi, ed è quindi soprattutto interiore, non esteriore.

Incarnandosi, il Verbo di Dio ha dunque offerto ad ogni uomo la possibilità di un aggancio con Lui e quindi la possibilità di vivere e di camminare con Lui verso la conoscenza del Padre: gli ha offerto cioè la possibilità della salvezza e della liberazione dalle proprie schiavitù e cecità. L'uomo è schiavo di ciò che vede e tocca, perché, trascurando Dio, considera la materia, i corpi, le creature come “realtà" e non più invece come "segni" dell'unica Realtà che è Dio. L'uomo dunque ha bisogno di essere salvato, liberato dalle proprie cecità e schiavitù. Ha bisogno di attingere qualcosa di eterno, di “toccare” qualcosa di Dio.

Allora, a noi che siamo schiavi del corporeo perché non abbiamo occhi e orecchi che per il materiale e corporeo, il Verbo di Dio si è rivelato nel corporeo proprio per farsi vicino a noi, per togliere ogni distanza tra noi e Dio, parlarci di Dio e quindi salvarci. Chi è schiavo di una cosa, può essere salvato solo per mezzo di essa; per cui essendo noi schiavi del corporeo possiamo essere salvati solo per mezzo del corporeo, se però in esso vediamo ciò che non appartiene al corporeo: il Verbo di Dio.

Noi possiamo essere salvati non da ciò che è sotto di noi, non dalla materia, non da un corpo, bensì da ciò che ci trascende: appunto, dal Verbo di Dio, ma solo se Lo troviamo in una realtà corporea, sensibile, proprio perché siamo schiavi di ciò che vediamo e tocchiamo.  Possiamo cioè essere salvati solo da Uno che è nel mondo, ma che non sia del mondo, da Uno che è uomo come tutti gli uomini, ma che non parli come tutti gli uomini e che pertanto non ci confermi nelle nostre passioni per le cose del mondo e nei nostri interessi per il mondo, ma che faccia crescere in noi la passione e l'interesse per Dio: un Uomo, cioè, che ci parli la Parola di Dio.

Per questo il Verbo di Dio ha preso una natura corporea e si è fatto vero uomo pur rimanendo vero Dio.

Quindi in Gesù, Parola di Dio incarnata, è Dio che parla! Per cui ascoltandolo tutti debbono ammettere: "Nessun uomo ha mai parlato come Lui!" (Gv 7,46). Cristo, Verbo di Dio incarnato, pur essendo uno come noi, parla come Dio: è la Parola di Dio che ci salva, che ci fa cioè concepire Dio!Non si concepisce Dio partendo da una materia, da un corpo, da una creatura.

È per questo che il Verbo incarnato è nato da una Vergine: questo fatto ha un significato molto profondo e va capito. Ci indica qual è la via attraverso cui si concepisce e si giunge a vedere il "Dio tra noi" e quindi "come" si giunge alla "Salvezza di Dio". Ci fa capire cioè che si concepisce Dio solo per mezzo di Dio e non attraverso la carne, né il sangue, né da volere di uomo: i figli di Dio nascono da Dio.  La salvezza viene da Dio e solo da Dio.

Non tener conto della Verginità di Maria che dice all'Angelo: “non conosco uomo” (Lc 1,34), rifiutare la nostra attenzione a questo fatto, è rifiutare la via per giungere a vedere il Verbo incarnato tra noi; è compiere lo stesso errore di coloro che videro Gesù, ma non videro in Lui il Verbo di Dio, perché non avevano in se stessi dimorante il Verbo di Dio; è portare anche noi il mistero di Dio senza poterlo vedere, né incontrare.

Necessariamente il Verbo di Dio facendosi uomo ha dovuto occupare un posto determinato sulla nostra terra e un tempo della nostra storia e volere come sua gente una gente tra le tante: necessariamente, perché il corporeo è tale in quanto è “parte” e non è “tutto”, è localizzato e non universale. Universale è lo Spirito. Il Verbo di Dio è Spirito e rimane Spirito pur incarnandosi.

Ma se il Verbo di Dio fatto carne ha occupato come uomo un posto e un tempo sulla nostra terra ed ha messo la sua tenda tra una gente tra le tante, non è che si sia fatto più vicino a questa che alle altre, poiché la salvezza che Egli ha recato è per tutte le genti di ogni tempo e di ogni luogo.

La sua salvezza non è quindi limitata ad un tempo per il fatto che ha occupato un tempo particolare della nostra storia, ma si estende a tutti i tempi. Nel frammento c'è il tutto e quindi c'è un legame che unisce il frammento al tutto, il corporeo allo spirituale; così c'è un legame che unisce tutti i luoghi e tutti i tempi a quel luogo e a quel tempo in cui il Verbo di Dio si è manifestato tra noi e si è reso disponibile a noi.

Tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo hanno dunque la possibilità di incontrarlo, di ascoltarlo e di camminare con Lui verso la Luce del Padre, verso la Vita eterna.

   (II – 31.01.1996)

Poiché c'è un legame tra tutti i luoghi e tutti i tempi a "quel luogo" e a "quel tempo" in cui il Verbo di Dio si è fatto carne e si è manifestato a noi, tutte le cose e tutti i fatti sono sentieri che conducono al Cristo tutti gli uomini di buona volontà, di ogni luogo e di ogni tempo, indipendentemente dalle condizioni ambientali in cui vengono a trovarsi.

Come ubbidendo ad una stella i Magi giunsero dall'Oriente a vedere il Bambino Gesù con sua Madre, così Dio conduce ogni uomo che ha interesse per Lui da quei luoghi in cui non si vede la sua presenza a contemplare il mistero della sua Presenza, e quindi alla sua salvezza.  Passaggio dal segno alla Realtà.

La Parola di Dio che si fa sentire ad ogni uomo, è anticipazione di quella Realtà che oggi non si vede tra le cose apparenti, ma che già è operante in tutto e che domani si imporrà su di noi, nonostante noi.

In quanto anticipazione è invito a prepararci a conoscerla prima che si imponga, cioè invito a partire per andare a vedere ciò che ancora non si vede: il mistero del Regno di Dio, che in Cristo si è fatto vicino e quindi accessibile ad ogni uomo.

Se si è fatto accessibile ad ogni uomo, la distanza che dovettero superare le genti di allora per giungere a Cristo non fu più breve, né più lunga, della distanza che dobbiamo superare noi per giungere a Lui.  La fatica è uguale poiché ciò che ci separa da Lui è uguale a ciò che separava da Lui allora quelle genti: il passaggio dal pensiero dell'io al Pensiero di Dio.  Dio non fa preferenze di persone, ma tutte chiama alla conoscenza della sua Verità e quindi impegna tutti personalmente sullo stesso cammino e li pone tutti di fronte alle stesse difficoltà.

Il problema vero di ogni uomo è uno solo: Dio, senza il quale nessun altro problema può veramente risolversi.  Qui sta l'unica cosa necessaria.  Il capirlo ci fa veramente interessati per Dio, e questa attrazione è la condizione per giungere a vedere il mistero della Presenza di Dio tra noi.

Incarnandosi, il Verbo di Dio ha quindi annullato tutte le distanze che separano gli uomini da Dio, per cui se esse ci sono, non sono più distanze di tempi, di luoghi, di ambiente, ma soltanto distanze d'amore: non da parte di Dio, che eliminando in Cristo ogni distanza si è fatto vicinissimo ad ogni uomo che Lo cerchi, ma da parte degli uomini che non hanno amore e quindi non hanno interesse per Dio.

Con l'incarnazione del Verbo di Dio, non ci sono dunque vicini o lontani da Lui: e chi ne facesse problema di distanza di luogo o di tempo, implicitamente denuncerebbe il suo interesse per altri amori o altra vita.

Tutti possono allora incontrare Cristo e camminare con Lui, ascoltando e assimilando le sue Parole, perché le distanze in realtà sono state veramente cancellate, i muri abbattuti.  Resta solo la nostra distanza tra il nostro amore e il Suo, tra il nostro pensiero e il suo Pensiero, tra le nostre parole e le sue Parole.  Ma questa distanza è un fatto personale di ognuno con Dio, non di Dio con ognuno.  Se la distanza tra noi e Lui è solo quella personale, la salvezza che Egli ha recato è universale, offerta a tutti allo stesso prezzo.  Il Verbo di Dio fatto carne dà a tutti gli uomini, a quanti Lo accolgono, la possibilità di conoscere il Padre e di diventare quindi figli di Dio, senza eccezione alcuna: poveri o ricchi, peccatori o giusti, bianchi o negri.

Il Verbo di Dio tra noi inaugura la comunione degli uomini con Dio.  Inaugura la vita con quanti Lo ascoltano e hanno interesse per Dio.  A noi l'impegno di camminare con Lui.

(III – 07.02.1996)

Il Verbo di Dio, incarnandosi in Cristo, inaugura la rivelazione della comunione di Dio con gli uomini, per cui Dio non è soltanto il Trascendente, ma è anche l'Onni-Presente, il Sempre-Presente e Tutto-Presente: una comunione con gli uomini che inizia con l'annuncio di Betlemme e si conclude sul Calvario.

Una comunione che non è più intima e vicina a Betlemme che sul Calvario: essa infatti non viene meno neanche con Cristo morto (che rappresenta e rivela il Dio morto in noi), poiché la sua morte, il suo silenzio e il suo vuoto tra noi sono ancora una Sua terribile Presenza, e quindi una Sua terribile comunione.

La Verità non è il prodotto del consenso degli uomini, né può essere sancita o modificata dalle maggioranze; il Volto di Dio nell'uomo è un'immagine immortale, e la sua Presenza nell'uomo è incancellabile. Per cui il rapporto tra Dio e l'uomo è un rapporto perenne, ineludibile, indelebile da parte dell'uomo, poiché non è stabilito dall'uomo, ma da Chi ha fatto l'uomo.

Tale rapporto impone all'uomo un cammino, una ricerca, un passaggio da tutto ciò che non è Dio a tutto ciò che è Dio. Richiede tempi di silenzio e di meditazione, poiché capovolge la nostra visione della vita; per cui l'incontro con "il Verbo che è tra noi" e il cammino con Lui cambiano totalmente la nostra vita.

Infatti il Verbo di Dio si è fatto "Figlio dell'uomo" non per approvare o condividere le passioni degli uomini; non è venuto per camminare con loro, ma per invitarli a camminare con Lui verso una meta ben precisa: la conoscenza del Padre; non è venuto quindi per sostenerli nelle loro rivendicazioni, nei loro interessi, nei loro diritti, ma è venuto per farli uscire dalle loro passioni, dai loro interessi, dai loro amori e portarli nell'amore per Dio, nella passione per Lui, in un interesse crescente per conoscerlo.

Se non c'è questa attrazione per Dio, se non cresce questa passione per conoscere Dio e per capire ciò che Lui opera e dice, tutto il problema della vita spirituale perde la sua sostanza e tutto ciò che è religioso diventa tradizione, abitudine, recitazione e convenienza, rapporto liturgico con cui l'uomo si crede dispensato da ogni ricerca e conoscenza di Dio, dispensato cioè da un contatto personale, vivo e vero, con Dio.

Un lungo cammino attende ogni uomo per giungere alla meta indicatagli dal Cristo, una vera migrazione spirituale dietro le sue Parole, dietro un messaggio che gli parla di Dio e del suo Regno. 

Le Parole del Verbo che è tra noi sono infatti sentieri che, se percorsi, ci portano alla conoscenza del Padre.  Ma per percorrerli è necessario sì avere interesse per Dio, ma è sempre anche necessario partire dal nostro mondo sociale, mosso da ideologie e convenienze, per impegnarci personalmente sul cammino segnato dalle sue Parole.

È un cammino duro, lungo, paziente; ma bisogna farlo con coraggio e decisione, perché solo così si cammina verso il fine del nostro destino.

È proprio in questo cammino con il Verbo incarnato, in questo rapporto ineludibile con Dio che l'uomo diventa un bisogno di interiorità, di raccoglimento, di silenzio; bisogno di fermarsi ai margini delle strade del mondo per capire il significato delle cose che gli accadono.  Infatti anche le cose che accadono sono parole di Dio, e le parole di Dio sono annuncio di una Realtà che ancora non vediamo, perché i nostri occhi non sono ancora in grado di vederla, ma che è già tra noi: Dio onnipresente, Dio che fa tutto, Dio che regna. È Dio che interviene dall'esterno per trasfigurarci nell'interno e renderci capaci di vedere ciò che non è apparenza, ma Realtà.

Quindi le parole di Dio sono anticipazione di quella Realtà che domani si imporrà su di noi nonostante noi, ed in quanto anticipazione, sono invito a prepararci a conoscerla prima che si imponga e ci travolga, cioè invito a partire per andare a vedere ciò che ancora non si vede: il mistero del Regno di Dio che in Cristo è vicino, quindi accessibile, ad ogni uomo.

È proprio per opera di questo Regno di Dio tra noi che le parole degli uomini passano, cadono nell'abisso del nulla, mentre le Parole di Dio diventano sempre più vere, sempre più rispondenti ai veri bisogni della mente e del cuore dell'uomo, fino a quando il mistero di Dio sarà compiuto in noi. L'annuncio di esso è per tutti: le stelle brillano nel cielo di tutti per dire a tutti che sono stati creati per conoscere Dio e che debbono preoccuparsi di conoscere Dio e non passare la vita invano dietro cose che passano.

Ma è necessario che l'uomo esperimenti la sua povertà, il suo niente, e quindi cessi di correre sulle strade del mondo e si fermi, ché ben altre sono le strade sulle quali Dio vuole che egli cammini, e sono le strade dello Spirito. Dio poi non lascia mai mancare il suo aiuto a chi, credendo in Lui e ascoltando le sue Parole, cammina con Lui e Lo cerca con tutti il suo cuore.

(IV – 14.02.1996)

La strada sulla quale il Verbo di Dio, che è venuto tra noi, ci invita a camminare, è la strada dello Spirito, strada con una meta ben precisa: la conoscenza del Padre; strada che solo con Cristo possiamo percorrere: credendo in Lui, ascoltando e assimilando le sue Parole e cercando Dio con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra mente, con tutte le nostre forze.

È una strada stretta, angusta, difficile e la si percorre personalmente, non come folla. Come folla si cammina sulla strada del mondo, la strada del "tutti fanno così", del "tutti parlano così", del "tutti pensano così": strada larga e facile.

La strada dello Spirito all'inizio richiede molto sforzo e molta fatica, perché richiede rottura con le abitudini e la mentalità del mondo e quindi il superamento di se stessi; ma man mano che si avanza, diventa sempre più attraente e facile, perché si va di conferma in conferma, di luce in luce, fino alla grande meta della constatazione della Presenza di Dio. Invece la strada del mondo è facile all'inizio, ma quante tribolazioni, angosce, delusioni e amare sorprese riserva alla fine!

Per questo Cristo, il Verbo incarnato tra noi, ci ammonisce: "Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione e molti sono quelli che entrano per essa.  Invece, oh! quanto stretta è la porta e angusta è la via che conduce alla vita! e pochi sono quelli che la trovano" (Mt 7,13-14).

Ma è sempre necessario che l'uomo esperimenti le delusioni, gli inganni, le tenebre e le amarezze della strada del mondo e che esperimenti quindi il proprio niente e la propria povertà, per capire e convincersi che deve fermarsi e cessare di correre su di essa per aprirsi invece alla via dello Spirito? Ciò che non si capisce per intelligenza, si arriva a capirlo per esperienza, sempre che si dialoghi la propria esperienza con Dio.

È il pensiero dell'io messo al centro che ci acceca e ci inganna; per cui si giunge sempre da una grande lontananza, dagli aridi deserti di una vita vuota e senza senso per l'esperimentazione del nulla dei valori e degli argomenti del mondo e da tutta una nostra povertà sofferta e smarrita, quando ci si apre all'attenzione, all'interesse, all'ascolto della Parola di Dio e quindi all'incontro con Cristo.

"Ammalati quali siamo, abbiamo bisogno del Salvatore; smarriti, abbiamo bisogno di Qualcuno che ci guidi; ciechi, abbiamo bisogno di Uno che ci porti la luce; assetati, abbiamo bisogno della Sorgente viva, bevendo alla quale uno non ha più sete; morti, abbiamo bisogno della Vita: Cristo".  Così scriveva Clemente di Alessandria.

Senza questa povertà non c'è vera preghiera nell'uomo, ma recitazione; non c'è amore, ma regola e abitudine; non c'è ricerca di Dio, non c'è invocazione, non c'è pianto, poiché per giungere a vedere ciò che ci è annunciato, è necessario camminare molto e pazientemente; e per camminare è necessario partire, e per partire bisogna lasciare tutto il nostro mondo e quindi accettare di essere poveri. Solo il povero cammina nelle cose essenziali.

Povero è colui che non litiga, non contesta e non contende per le cose del mondo, perché sa che solo presso Dio è la sua vita, la sua sicurezza, la sua liberazione. Povero è colui che ha fame e sete di Dio, per cui non ha altro interesse che l'interesse per Dio, e non ha altro argomento con il mondo che le cose dello Spirito. È questa povertà la porta amica che apre l'immensa panoramica della vita con Colui che è Trascendente e Presente, poiché è la condizione per camminare con Cristo verso questa Presenza Divina trascendente e immanente.

Non per nulla Gesù dichiara: "Chi non rinuncia a tutto ciò che ha, chi non rinnega se stesso, non può essere mio discepolo, non può entrare nel Regno di Dio" (cf Lc 9,23-24). Gesù ha voluto precisare, per coloro che vogliono seguirlo, le condizioni, le esigenze e le difficoltà che il cammino verso Dio presenta, per evitare facili entusiasmi e le conseguenti amare delusioni. Per questo ha detto anche che è necessario fare bene prima i conti a tavolino ed essere consapevoli di ciò cui si va incontro.

Dio va cercato prima di tutto, al di sopra di tutto, nonostante tutto. Dio è un Amore che esige per Sé tutte le forze dell'anima, soprattutto il pensare e il conoscere, senza le quali non si cammina, con il Verbo che è tra noi, verso il Padre, per cui senza di esse diventa assurdo e impossibile il trovarlo, il giungere alla sua Presenza.

(V – 21.02.1996 - continua)

(Articoli scritti da Luigi Bracco e pubblicati su “La Fedeltà” )