E noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che un tale
Figlio Unigenito riceve dal Padre Gv 1 Vs 14 Nono tema.
Titolo: Necessità dell’incarnazione per la nostra Pentecoste.
Argomenti: La Luce vera. L’individuazione del
Verbo fatto carne. Il silenzio della Vergine. Cristo è Dio che occupa
una parte del nostro mondo. Dio ci tratta personalmente. Il Padre glorifica
il Figlio. La presenza spirituale a Pentecoste. CAMMINARE CON IL
VERBO.
28/Dicembre/1975
Dall’esposizione di Luigi Bracco (appunti):
Tutta l’opera di Dio che precede e prepara il
nostro incontro col Cristo, tende a far maturare in noi la fame di Dio,
l’attrazione per Dio. Quando c’è la fame, allora Dio ci manda il Pane, perché
solo quando siamo attratti dal Padre, possiamo riconoscere il Verbo fatto
carne, il Pane.
Bisogna però che l’uomo accolga la Luce vera (“quella che illumina ogni uomo che viene in questo mondo”) che è
stata segnalata da Giovanni il Battista, perché solo accogliendola riceve la
possibilità di individuare il Verbo fatto carne e quindi la possibilità di
diventare figlio di Dio.
Questa possibilità di diventare figlio di Dio gli è data
dall’incontro con il Verbo fatto carne; prima no!
Abbiamo visto che la scoperta in noi di
questa “Luce vera” è il nostro Natale, quale premessa per incontrare ed
individuare il Verbo fatto carne. Se non accogliamo questa Luce, non Lo
possiamo scoprire. Invece se la si accoglie, incontrando il Cristo si potrà
dire: “il Verbo si è fatto carne”; ecco, qui per noi il Verbo si è
effettivamente fatto carne, cioè, a questo punto Lo riconosciamo come il Pane
che risponde alla nostra fame.
Per accogliere la “Luce vera” e quindi
scoprire il Verbo fatto carne, ci vuole l’ascolto e il silenzio della
Vergine.
Per entrare nel silenzio può essere utile
ripetere mille volte una sola parola (es. “Gesù, pietà di me”, “Mio Dio e mio
tutto". ecc.), perché ci può distaccare da tutto il rumore che ci distrae
(cfr. libri: “Ecco la notte...”, “La preghiera del Pellegrino russo”).
Man mano però che si va avanti, i tempi si
accorciano: prima per pensare all’esistenza di Dio c'era da pensare a tante
cose (alle stelle, ai fiori, ecc.), poi
basta una parola sola per metterci alla sua Presenza. Comunque sia, non si
arriva a Dio in modo meccanico, ma sempre con la dedizione del pensiero.
Ci si deve servire di piccoli segni, sì,
ma che siano con una carica grande di pensiero; questi segni sono
soprattutto le Parole di Gesù.
Ecco l’importanza, la necessità
dell’incarnazione del Verbo! Perché solo Lui può dirci parole tali che ci
possono occupare a tempo pieno, incentrandoci sul Padre e raccogliendoci dalle
nostre dispersioni.
Abbiamo bisogno che Dio stesso ci parli di Sé
attraverso il nostro linguaggio, perché noi siamo dispersi dalle cose
materiali, dal corpo, per cui possiamo essere salvati solo dal corpo, da
una presenza fisica, cioè da una realtà materiale palpabile e visibile che
realizzi però in Sé il nostro sogno: il sogno di trovare un aiuto per poter
giungere a conoscere Dio. Ecco perché solo chi porta in sé la fame di Dio,
individua il Cristo fra i miliardi di uomini.
Invece, ad esempio, il marxista o anche chi
crede in Dio ma non ha interesse per conoscerlo, riveste Cristo dei suoi schemi
e concezioni, e fa tale errore anche nei
confronti di tutte le creature ed avvenimenti. Infatti non solo il Cristo,
ma anche tutto l'universo ha bisogno di essere reinterpretato secondo lo
Spirito di Dio, se no, non vediamo neppure i miracoli.
Il problema diventa personale. Si entra nella
Verità per un atto personale. Lì è il bello: Dio ci tratta personalmente! Invece per il
marxista, chi forma l'uomo è la società (manca l'atto personale).
È vero che la società, il mondo, le creature
possono condizionarci, però in Cristo abbiamo il supplemento di anima, per
cui possiamo essere liberati da tutto ciò che ci distrae e soffoca la
nostra disponibilità, cioè possiamo essere liberati dal peso del mondo.
Il Cristo in questa prima tappa vive
esteriormente a noi, ma non staccato da noi: poiché è venuto ad occupare una parte del nostro mondo,
un punto di noi.
Quando ci ha incentrati in Sé, legati a Sé,
Lui se ne va, perché: “Se non Me ne
vado non può venire in voi lo Spirito di Verità” (Gv 16,7). Ma ormai a
questo punto l’anima non vuol più andare
da altri: “Da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!” (Gv
6,68). Lui solo ci dice parole che danno vita perché ci fanno pensare a Dio.
Cristo infatti è la Luce che ci richiama la
Sorgente, è il Principio che collega ogni cosa con Dio. Il suo linguaggio
nel mondo sensibile diventa un linguaggio che supera il mondo sensibile. Egli è venuto per farci conoscere il Padre e in tutto ci collega con il Padre e ci
parla del Padre.
Quando ci vede maturi per questo salto nel
Padre, Lui ci dice: “È
necessario che scompaia la mia Presenza fisica, perché sappiate dove Io sono e
possiate trovarmi dove Io sono”. Egli è nel Padre , il quale ci ama ed
è in noi.
E allora quando Lo ritroviamo nel Padre, Lo
possiamo trovare ovunque, perché Lo portiamo dentro.
Cristo fisico se ne va quando il discepolo ha
acquisito in sé la possibilità di quella conoscenza che lo libera da tutto. Se
ne va dopo che ha riversato nei discepoli tutto ciò di cui avevano bisogno;
solo allora si dà in mano ai nemici: il tempo è compiuto: “…è giunta l’ora”.
Li affida al Padre e dice loro: “non
guardate più Me, ma Colui al quale vi ho affidati”, e ancora: "Nel
Padre mi ritroverete" (Gv 14,19-20). Infatti è il Padre che ci
farà conoscere il Figlio.
È il Padre che glorifica il Figlio: la sua
ormai è una Presenza spirituale in noi. A questo punto noi vediamo la presenza del Verbo, la
Parola di Dio, in ogni cosa: presenza del Cristo universale, ma sempre
personale, non nel senso che il Cristo si identifichi con quell'avvenimento
o con quella cosa, ma nel senso che scopriamo il suo Spirito, il suo Pensiero
in quell'avvenimento e in quella cosa.
La Presenza spirituale, che ci viene donata
nel giorno della nostra Pentecoste, è eterna e porta con sé una carica di gioia che nessuno ci può portare
via. Chi la possiede, porta dentro di sé una certezza tale che non viene
incrinata da nessuna ragione di mondo.
Pensieri tratti dalla conversazione:
Eligio: Senza l’Incarnazione
del Verbo, all’uomo sarebbe preclusa la conoscenza di Dio e quindi ogni
certezza, perché senza il Verbo incarnato non avrebbe la possibilità di
superare se stesso e di ricevere la rivelazione di Dio.
Luigi: Certo, senza l’incontro con il Verbo incarnato l’uomo
rimane nel pensiero del suo io e nel pensiero dell’io non può conoscere Dio.
Cristo invece non solo ci offre la possibilità di superare il nostro io, ma, attraverso
le sue parole forma in noi la capacità di restare nel Pensiero del Padre e di
giungere quindi alla nostra Pentecoste.
Però già prima di incontrare il Cristo ci
viene richiesto un certo superamento dell’io, con la giustizia essenziale, che
ci fa mettere Dio al centro dei nostri
pensieri e il pensiero dell’io in periferia. Questa giustizia fa sorgere in noi
l’interesse per Dio, ma ci fa anche scoprire, attraverso tante nostre
esperienze, la nostra incapacità a conoscere Dio, la nostra povertà e il nostro
peccato.
Infatti all’inizio crediamo di dover essere
noi a fare, noi a programmare, noi a organizzare, noi a cambiare il mondo, per
cui ci diamo da fare; ma poi poco per volta, attraverso gli avvenimenti, le
lezioni della vita e tutti i nostri insuccessi, tocchiamo con mano le nostre
incapacità, la nostra insufficienza e la nostra impotenza. Si forma così in noi
la fame dell’aiuto Divino. Questa fame ci porta al bisogno del Cristo.
L’incontro col Cristo, siccome Lo portiamo già
come fame dentro di noi, ce Lo fa scegliere perché: “era quello che
aspettavo!”, e quindi ci fa discepoli suoi.
Andando dietro di Lui, Lui ci libera da tutto
il mondo e ci lega a Sé; però è
sempre la fame di Dio che ci tiene legati a Lui, é sempre un problema
interiore: non si sta con Cristo per la sua bellezza fisica o per altri
argomenti. È l’argomento interiore che ci tiene legati a Lui, perché ci sta
parlando di una cosa che ci interessa
molto.
Allora Lui con questo suo parlare ci
sgancia da tutti gli altri problemi, da tutti gli altri argomenti e ci
porta nel suo unico argomento e ce lo trasforma in vita: ci dà cioè la
possibilità di vivere di quello. Infatti mentre prima di incontrare Cristo la
vita con Dio era soltanto un sogno (la sognavamo, ma noi vivevamo in un altro mondo), qui ora con
Cristo la si vive, la si realizza.
Eligio: Questo suo unico argomento che é…?
Luigi: …il Padre! Lui come Figlio parla solo del Padre e ci
prepara, attraverso tutto il suo ragionare, per quel giorno in cui Lui
ci affiderà al Padre.
Parte dalle Beatitudini (“beati i poveri,
beati gli umili, beati i puri di cuore, ecc.”), e poi poco per volta, attraverso le parabole,
miracoli, ecc., arriva ad un certo momento a parlarci solo più del Padre, di
questa sua Presenza, di come Lo vedremo, di come Lo troveremo.
Poi, ad un certo momento, quando siamo maturi
per tutto questo ed abbiamo quindi accumulato tutti questi argomenti anche
senza capirli, ci lascia e se ne torna al Padre.
Eligio: Anche senza capirli?
Luigi: Sì, anche senza capirli, perché gli apostoli, prima di
essere lasciati “soli”, ricevevano tutte le sue parole, ma tante non le
capivano; non capivano nemmeno quando Lui diceva: “è necessario che Io
muoia”. Non capivano, non si rendevano conto! Però Lui continuava a
riversare perché avrebbero capito successivamente: “capirai poi dopo”
(Gv 13,7), disse Gesù a Pietro.
Quindi,
anche se ancora non capisci, incomincia ad accumulare, perché quando
verrà lo Spirito ti farà capire tutto: “vi
farà ricordare tutto ciò che vi ho detto e ve lo spiegherà” (Gv 14,26), cioè “vi condurrà a vedere la
Verità intera” (Gv 16,13).
Eligio: Allora, quella degli Apostoli è una lezione per noi, per
dirci che non dobbiamo pretendere di capire subito.
Luigi: Ma certo! Ora, che cosa è che ci fa ricevere anche senza
capire? È’ la fame di Dio! Una fame tale da farci dire: “Non capisco, ma
l’argomento di cui parla mi interessa molto”.
Nino: Infatti
ascoltiamo e riceviamo le Sue parole, perché noi vorremmo capire.
Luigi: Appunto, noi
vorremmo capire, perché indubbiamente non è che stiamo a sopportare il suo
parlare… Egli parla per farci capire!
Certe cose le capiamo, perché Lui è tutt’altro
che enigmatico, altre cose invece le capiremo poi. Intanto però è necessario
fare come la Madonna, che “meditava e custodiva nel suo cuore” (Lc 2,52)
tutto quello che riguardava suo Figlio. Ecco, questo deve essere il
problema di ogni anima discepola del Cristo: raccogliere e custodire tutto
quello che il Maestro dice.
E attraverso le sue Parole Gesù ci purifica: “Voi siete puri in virtù delle parole che
avete udito” (Gv 15,3). È il suo parlare che ci purifica. E cosa vuol dire
questo “purificare”? Che ci porta nell’amore unico di Dio! Cioè ci
libera da tutti gli altri amori, da tutte le
distrazioni, da tutte le tentazioni; ma è il suo parlare che opera
questo, il suo parlare ricevuto.
Se noi però non abbiamo interesse per Dio, non
possiamo sopportare il suo parlare, e allora ad un certo momento si arriva al
delitto: Lo uccidiamo.
Se abbiamo invece fame di Dio, consideriamo
molto prezioso il suo parlare, per cui esso ci purifica, ci libera, e liberi da
tutto, quando ormai siamo solo più agganciati a Lui, Lui ci saluta,
dicendoci: “ormai sei maturo, ci rivedremo…”, e quando Lo rivedremo sarà
Pentecoste.
Allora in questa Presenza nuova, che è poi una
presenza antica, perché scopriamo quello che già era (perché già era in
principio: “In principio era il Verbo”), noi ormai siamo delle creature
nuove.
Si scopre Colui che già era con noi, come
i discepoli di Emmaus che, ad un
certo momento, allo spezzar del pane, L’hanno visto: hanno riconosciuto
che il Pellegrino che li aveva accompagnati lungo il viaggio era Gesù risorto;
però come i loro occhi si sono aperti, Lui è sparito. Ma ormai, nonostante
questo suo sparire, non sentono più né la stanchezza, né il problema della
notte, né della lunghezza del viaggio e partono di corsa per tornare a
Gerusalemme: sono ormai diventate creature nuove!
Poco prima invece se ne andavano tristi, stanchi, afflitti. E quando ad un certo
momento si rendono conto, il loro primo rammarico è questo: “Ma eravamo così
stupidi da non capire che era Lui che ci spiegava, che era Lui con noi?”
(Lc 24,32). Per la strada avevano raccontato al Pellegrino ciò che era successo
a Gerusalemme: come i Capi avessero ucciso Gesù di Nazareth, profeta potente in
opere e in parole davanti a Dio e come alcune donne avessero avuto una visione
di Angeli e avessero visto il sepolcro vuoto; ma essi si facevano il problema: “…Ma
Lui non L’hanno visto!”, mentre
Lui era lì che camminava e parlava con loro! Ma essi avevano gli
occhi impediti di vedere a causa della loro tristezza.
Eligio: Però dicono anche: “Non ci ardeva forse il cuore
mentre Lui ci parlava?”.
Luigi: Ma guarda che questa frase va ritradotta bene, perché
questi discepoli non potevano aver avvertito la presenza del loro Maestro
risorto quando ancora erano per strada, perché come essi L’hanno visto, si sono
meravigliati, e poi intanto per arrivare a vederlo, hanno dovuto uscire
dalla chiusura del pensiero di se stessi invitando il Pellegrino a fermarsi
con loro perché era ormai sera: è quella la fessura che li ha aperti a
ricevere il dono della presenza del Risorto!
Questo invito rivolto allo Sconosciuto è stata la fessura del loro
cuore, attraverso cui entrò l’amore che aprì i loro occhi.
Infatti prima erano chiusi nel pensiero di se
stessi, poi ad un certo momento gli dissero: “Fermati con noi, perché ormai
il sole declina”. Ecco, hanno pensato a Lui, hanno avuto un atto d’amore,
di carità verso di Lui: è lì la fessura! Perché non è mica lo spezzare del
pane! Lo spezzar del pane è stato poi un segno conseguente a quella
apertura d’amore, ma prima c’è stato l’amore. Ecco, è l’amore che li ha
preparati a vedere! Amando sono usciti dal pensiero di sé, e allora lì c’è
stato lo squarcio e L’hanno visto; come L’hanno visto, ormai la missione è
compiuta, e Lui è sparito.
Così come è subito sparito per Maria di
Magdala, quando le apparve e le disse: “Non mi trattenere, perché non sono
ancora salito al Padre” (Gv 20,17). E già, perché: “non sono ancora salito
al Padre in te; quando invece salirò al Padre in te, la Presenza sarà
eterna, non sparirò più”. Però ormai anche Maria, come i due pellegrini di
Emmaus, è una creatura nuova e torna dai discepoli piena di gioia.
Ma nel momento in cui si diventa creature
nuove, la prima reazione è questo chiedersi: “forse che il nostro cuore non
batteva, quando ci spiegava le Scritture?”. Ecco, quella frase va intesa
così: il nostro cuore non batteva? Non eravamo vivi? Dove eravamo? Cioè:
non ci batteva il cuor in petto? È
quindi proprio al rovescio di come generalmente si intende.
Eligio: E già! Non ci avrei pensato.
Luigi: È proprio un rammarico per non essersi resi conto che
Lui era già con loro: “Ma come mai? Lui
ci stava parlando! Cioè ci spezzava Lui il pane, il pane delle
Scritture…Ce le spiegava e noi non ci siamo resi conto che era Lui! Ma dov’era
il nostro cuore?”. Questo è il senso
di ciò che dicono.
Eligio: La differenza è
sostanziale.
Ines: Siamo sempre stati abituati invece ad intenderlo
nell’altro senso…
Nino: La frase com’è esattamente nel Vangelo?
Luigi: “Ma non ci ardeva forse il cuore in petto mentre per
la strada Lui ci parlava e ci interpretava le Scritture?”.
Ines: Intesa nell’altro senso, sembra che loro fossero
vicini di cuore a Gesù, in sintonia, come se quasi già avessero avvertito la
Sua presenza, senza ancora però riconoscerlo fisicamente.
Luigi: E invece no, perché ci fu la sorpresa. E la
sorpresa li ha condotti a dire: “Ma siamo stati stupidi?”.
È come quando vedremo il Cristo: anche noi
avremo il rammarico di non esserci resi conto che Lui era sempre stato con
noi.
Infatti è detto che “davanti a Lui
piangeranno tutte le genti” (cf Ap 15,4). Ma perché piangeremo tutti?
Perché scopriremo Colui che è sempre stato con noi, Colui che ci ha sempre
accompagnati tutti i giorni della vita, che ha sempre parlato con noi, che
sempre ci ha esortati, per cui diremo: “Ma come abbiamo fatto a non
vederlo?”. Ecco perché piangeremo!
È di fronte alla sorpresa che noi piangeremo e
ci rammaricheremo, perché scopriremo Uno che è sempre stato con noi, che ha
sempre parlato a noi, e non abbiamo mai capito niente. E allora ci verrà da
dire: “Ma eravamo proprio
stupidi? Non eravamo vivi? Il cuore non ci batteva? Lo spirito nostro
dov’era?”.
Ecco: “Noi stolti!”, diremo dinanzi alla
Verità. È questa la prima espressione quando uno scopre una cosa nuova che
ha sempre avuto davanti senza rendersene conto. È un vero rammarico: “Ma è mai
possibile? Vi ho passato tanto tempo davanti e non l’ho mai vista?!”. Ecco il
primo segno che prima non si era in sintonia!
Quindi a questo punto uno non può dire: “Ma io
mi sentivo già in sintonia prima”. No! Perché altrimenti non ci sarebbe ora la
sorpresa.
Qui è lo stesso: se i discepoli di Emmaus fossero già stati in sintonia
prima, non sarebbero stati sorpresi. Invece per essi c’è stata la sorpresa.
Ora in quanto c’è stata la sorpresa vuol dire
che prima non erano in sintonia; infatti i loro occhi erano impediti. Il
Vangelo dice: “I loro occhi erano impediti dal riconoscerlo” (Lc 24,16).
Cos’è che li impediva? Vedi che non erano
in sintonia con il loro Maestro?
Pinuccia B.: Dicevi prima che quando gli Apostoli
rivedranno Gesù, sarà la Pentecoste e che in questo giorno troveranno una
Presenza nuova e antica nello stesso tempo, perché scopriranno quello che già
era: una Presenza che farà di essi delle creature nuove. Poi sei passato subito
a parlare dei discepoli di Emmaus, quasi come esempio. Però questa Presenza che
essi hanno trovato e che poi è sparita non è stata per loro la Pentecoste.
Luigi: No, no!!! Perché per i discepoli di Emmaus, come ho
detto prima, Cristo è sparito! Quando verrà la Pentecoste non sparirà più.
Ho citato l’esperienza dei discepoli di Emmaus
con Cristo Risorto solo come “segno” della sorpresa che ci sarà quando di
fronte alla Verità scopriremo ciò che già era. Con la differenza che quando
si rivedrà Gesù a Pentecoste Egli non sparirà più: la Sua sarà una Presenza
eterna, permanente.
Pinuccia B.: Comunque
anche nella nostra vita c’è questa tappa in cui si scopre già una presenza
nuova di Cristo, che però non è ancora quella di Pentecoste.
Luigi: Sì, certo. Quando parlavamo della Trasfigurazione sul
monte Tabor, lo avevamo già accennato.
Sono raggi di luce che ci sostengono nel cammino. Anche l’esperienza del
Risorto fa ancora parte di quegli stralci di Luce, come il Tabor, che
accrescono in noi la fame, il desiderio di Dio.
Pinuccia B.: Però
c’è ancora una differenza tra l’esperienza del Tabor e quella del Cristo risorto, perché l’una è
avvenuta prima della Sua morte, l’altra dopo.
Luigi: D’accordo, ma sono esperienze graduali, perché
fino a Pentecoste non è che il Signore ci lasci totalmente al buio. Egli
procede per gradi, perché conosce il grado della nostra fede e la debolezza di
essa.
E allora anche la maturazione della nostra
anima per ricevere lo Spirito, se noi stiamo attenti a Lui, avviene per gradi.
Anche quando Cristo è risorto Lui non sparisce per sempre dopo essersi fatto
vedere la prima volta ma si fa vedere: raramente, ma si fa vedere di tanto in tanto, qui…là…
Pinuccia B.:…ma in un modo nuovo.
Luigi: Ma certo!
Pinuccia B.: Infatti
non Lo riconoscono subito.
Luigi: Ma questo lo fa per prepararli a riconoscere la sua
presenza in tutti. E ognuno riconosce Cristo risorto per quello che di Lui
porta dentro di sé.
Però vedi che abbiamo tutta una graduazione?
Dio prepara
gradualmente l’anima al suo incontro definitivo.
Quindi, già il Tabor è un raggio di Luce; ma quanti
raggi di luce noi riceviamo nella nostra vita che ci segnalano il cammino! Come
se Dio dicesse a noi: “Ti ho fatto vedere. Hai visto che c’è qualcosa da
raggiungere? Adesso arrangiati, datti da fare!”.
È come un sipario che si apre per un attimo: “Guarda!”.
E poi si chiude: “Ora hai visto! Quindi ora impegnati perché è lì che devi
arrivare”.
Così come quando cammini nella notte: tutto è buio e non sai
dove andare. Ad un certo momento, ecco un lampo: “Ah, ho visto, la strada è
quella là e la meta è quella là!”. Poi torna di nuovo la notte, ma ormai hai visto la direzione che devi prendere, hai
l’orientamento.
È questo ciò che forma la fame, il desiderio
in noi! Perché, come dice il Signore a s. Agostino: “tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato”.
L’iniziativa è sempre di Dio; noi non
potremmo desiderarlo se Lui non si facesse desiderare, cioè se Lui non ci
ferisse l’anima, se Lui già non ci illuminasse su qualche cosa, se non ci
facesse capire che Lui esiste.
Quindi l’iniziativa parte sempre da Lui. È il
suo dono che forma in noi il desiderio. Noi non possiamo desiderare una cosa se
non l’abbiamo vista prima. Se non abbiamo visto un oggetto in vetrina, come
facciamo a desiderarlo?
Per cui se desideriamo una cosa è perché già
l’abbiamo vista, però non la possediamo; ci accorgiamo di non possederla, di
non tenerla (infatti vederla non vuol dire possederla), e allora nasce il
bisogno.
È la pubblicità di Dio! Per farci desiderare il dono che ci offre, ma
che non ci può dare senza di noi.
Nino: Anche la comprensione stessa del Vangelo è graduale:
Noi lo leggiamo una volta e ne comprendiamo una piccola parte; lo leggiamo
un’altra volta e ne comprendiamo qualcosa di più; e così via…
C’è quindi un crescendo di comprensione. Però
quando giungerà il giorno dello Spirito Santo potremo forse lasciare il
Vangelo.
Luigi: Ma a quel punto lì il Vangelo te lo porti tutto dentro! Non è che tu lo lasci: te lo
porti dentro, lo possiedi dentro!
Nino: C’è un’analogia con ciò che studiamo: la prima volta che
leggi un libro capisci qualcosa; quando per fare in fretta incominci a leggerlo
dalla metà, capisci niente. Allora lo riprendi dall’inizio e pian pianino
scopri sempre qualcosa di più, tanto che ad un certo punto puoi mettere da
parte il libro, perché ormai l’hai acquisito.
Luigi: Cioè, più mediti il Vangelo e più Cristo ti trasforma
praticamente nel suo Spirito, per cui ad un certo momento possiedi le Verità
che ti ha comunicato.
Angelo B.: Ci vuole costanza nel meditare il Vangelo e non
mollarlo.
Pinuccia A.: Altrimenti non si arriva alla Luce.
Luigi: Ah, certo. Solo
dedicandovi mente si arriva alla Pentecoste, perché è il Verbo incarnato
che ci conduce a questa meta.
La Pentecoste poi ci farà passare dalla
presenza fisica del Cristo alla Presenza spirituale, personale, e quindi alla
sua Presenza universale, cosmica
(che è sempre personale), per cui troviamo il Verbo di Dio come Cristo in
tutti i volti e in tutti i luoghi.
Eligio: Anche nelle cose?
Luigi: Certo, in tutti gli uomini, in tutte le cose e in tutti
gli avvenimenti, perché tutto è opera del Padre, quindi è parola del Padre.
Però in un primo tempo noi non vediamo il
Verbo di Dio nelle cose. Allora c’è bisogno di tutta un’opera di ricupero da
parte di Cristo.
Angelo B.: Con Lui ritorniamo al Principio, da cui vediamo il Verbo
in tutto.
Luigi: Certo. Ad esempio: noi siamo nella valle e vediamo la
vetta lontana e non sappiamo andarvi. Ad un certo momento troviamo Uno che ci
dice: “Vuoi salire lassù? Ti faccio da guida, vieni con me!”. Noi Lo seguiamo
anche se non capiamo perché sia necessario passare su quella strada, su quei
sentieri, attraversare quelle valli, ecc., però è l’Altro che ci guida: Lui
conosce la strada e ci affidiamo. Quando arriviamo sulla vetta, allora
guardiamo giù. Guardando giù, vediamo il percorso del sentiero, e lì capiamo il perché di certe deviazioni,
ecc., e allora ci rendiamo conto che tutto ci conduceva verso la vetta.
È Gesù che fa quest’opera di recupero,
portandoci a vedere le cose dalla Vetta. È dalla Vetta, dal punto di vista del Padre che si
capisce il senso di tutto.
Eligio: Questo lo si capirà dal Padre. Per ora noi siamo ancora
sotto la pedagogia del Figlio, che ci prepara…
Luigi: … e ci porta a vedere il Verbo di Dio in tutto. Ma questo poter
vedere il Verbo in tutto, avverrà attraverso il Padre.
Pinuccia A.: Cristo ci porta a conoscere il Padre e poi….
Luigi: …sarà nel Padre che vedremo il Verbo in tutto.
Cioè: in un primo tempo il Verbo ha un corpo
unico, poi ad un certo momento arriviamo a vedere il Volto di Cristo in tutte
le cose; ed è qui che le cose non sono più dispersive. Infatti le cose ci
disperdono in quanto noi non vediamo il Verbo di Dio in esse.
Ecco, le cose ci portano via perché non
tocchiamo niente di Dio. E allora da qui nascono i dubbi “Dio c’è o non
c’è? È presente o non è presente?”; e allora nel dubbio si incomincia a non
far conto su di Lui, in quanto, non sapendo se Dio è presente o no, se
pensa a noi o no e se intervenga o no,
si incomincia ad accumulare denaro, ad assicurarci in tutto, perché non si sa
mai in un domani…E allora è lì che ci rendiamo schiavi di tutte le cose,
appunto perché non tocchiamo niente
di Dio.
Invece attraverso il Cristo, un Uomo unico,
noi siamo condotti, attraverso la sua presenza fisica, alla Pentecoste e quindi
a vedere la sua Presenza, il suo Volto in tutto e in tutti. E allora lì le cose non ci disperdono più,
non c’è più niente del mondo che ci possa portare via.
Perché non c’è più niente che ci possa
portare via? Perché vediamo la Parola del Padre, vediamo il Verbo di Dio in
tutto.
Da qui si instaura il dialogo con Dio e
allora uno si vede pensato da Dio, si vive nel “pensato” di Dio, direi: si
tocca Dio continuamente, perché Dio prepara la strada, Dio ci accompagna,
Dio ci precede, Dio spiega, Dio conclude: è sempre Lui in tutto!
E allora a questo punto il Cristo non è più
localizzato in quel solo corpo,
quello che ha assunto nascendo come uomo su questa terra. Era necessario che lo
assumesse per portarci alla Pentecoste, però ora, a Pentecoste, diventa
universale, presente in tutto.
Ed è per questo che quando Lui risorge
incomincia ad assumere sembianze diverse; per abituare i suoi discepoli a
vedere la sua Presenza non più soltanto in quella determinata presenza fisica,
con quel naso, con quella bocca, ecc.,
ma a vederla anche in corpi diversi dal Suo.
In un primo tempo essi incominciano a scoprire
la sua presenza soltanto perché dice un certo nome, perché spezza il pane in un certo modo, ecc.;
ma poi, ad un certo momento, addirittura scompare anche quello.
Perché? Perché ci vuol condurre a
scoprire la sua Presenza in ogni segno, perché tutto è segno suo.
Eligio: Ma la si scopre soprattutto interiormente, come Realtà.
Luigi: Ah, ma se tu non hai questa Presenza interiore tutto
ti porta via e non puoi vedere la Sua presenza nei segni. Ma è Cristo,
il Verbo incarnato, che, guidandoci alla Pentecoste, ci porta a scoprire la sua
Presenza interiore a noi. Ed è questa Presenza interiore che ci salva.
Per questo si richiede tutto un lavoro
interiore. E quando giungi a questa meta, non cambia niente esteriormente: il
fatto esterno oggi è magari uguale a quello di ieri, però lo vedi in modo molto
diverso da come lo vedevi ieri.
Pensieri tratti dagli incontri del Sabato: Sabato 24.01.1976 (appunti)
“Il Verbo si fece carne e abitò tra noi…”
“Il
Verbo si fece carne”. In quanto entrò nel nostro mondo (Natale),
noi possiamo fermarci con Lui tutto il tempo che vogliamo. Lui ci conduce al
Padre, se abbiamo interesse per il Padre.
Non conta che sia vissuto storicamente 2000
anni fa. Ciò che ci avvicina a Lui è l'affinità spirituale, cioè l'interesse
per il Padre. Nel campo spirituale i
limiti di tempo e di spazio non contano, sono superabili.
Sabato 14.05.1983
“Il Verbo si fece carne e abitò tra noi… ”
Piero: “Il Verbo si fece carne e abitò tra noi”, cioè
Dio scende al nostro stato di creature. Noi non potremmo mai arrivare a Lui se
non fosse Lui per primo a scendere al nostro livello.
Luigi: Sì, visto che noi ci siamo messi in un rapporto
sbagliato nei riguardi di Dio, visto che ci siamo venuti a trovare in una
situazione di notte, di tenebre, di
confusione, noi possiamo essere salvati soltanto da Uno che entra in questo
rapporto sbagliato.
Dal momento che noi non siamo più nel rapporto
giusto, cioè in ascolto di Dio (il rapporto giusto sarebbe: Dio è il Creatore
che parla; io, creatura, ascolto il Creatore che parla), cioè dal momento che
parliamo noi, quindi che ci sostituiamo al Principio facendoci principio autonomo,
possiamo essere salvati soltanto da Uno che entra in questo nostro errore. Ad
esempio, chi è in carcere può essere salvato soltanto da uno che entra nel suo
carcere. Quindi se noi siamo schiavi dei corpi, delle presenze fisiche, della
materia, possiamo essere salvati soltanto dalla materia, soltanto dalla
presenza fisica, soltanto da un corpo; però non da un corpo che sia soltanto
corpo, o dalla materia che sia soltanto materia, perché altrimenti ci
confermerebbe nell’errore, ma da Dio che mi parla attraverso un corpo. Possiamo
cioè essere salvati attraverso il corpo, la materia, attraverso ciò di cui
siamo schiavi, perché se siamo ad esempio schiavi del denaro, possiamo essere
salvati soltanto attraverso il denaro. Quindi possiamo essere salvati soltanto
da Uno che, entrando in questo mondo di schiavitù, ci liberi da esso. Però
deve entrare in questo mondo di schiavitù;
quindi è necessario che si sottometta al nostro errore, che si faccia, sotto
un certo aspetto, figlio nostro. Ecco, il Verbo di Dio che si fa carne è il Verbo di
Dio che si fa figlio dell’uomo, che si sottomette all’uomo. Ovviamente il
rapporto è ingiusto nei riguardi di Dio, perché dovrebbe essere sempre l’uomo
sottomesso a Dio, e non Dio sottomesso all’uomo.
Quindi con l’incarnazione abbiamo
l’inaugurazione, da parte di Dio, di un rapporto ingiusto, quindi di un
rapporto che non permane. Infatti il Verbo di Dio che s’incarna non permane,
è transitorio, passa, perché è un rapporto ingiusto; però è necessario per
farci rinsavire, per curarci. Il medico se vuole guarire un ammalato deve
andare dove si trova il malato; quindi deve entrare nella situazione del
malato.
Ora, questo incarnarsi del Verbo di Dio
vuol dire che Dio si fa figlio nostro, però come Persona è Dio che parla a noi
come Dio e non come uomo; perché se parlasse come uomo ci confermerebbe nel
nostro errore. Infatti, tutti gli uomini, tutta l’umanità, per quanto facciano
verso di noi, non ci salvano. Gli uomini non possono salvarci, perché non fanno
altro che confermarci nel nostro errore; per cui gli uomini ci diranno sempre:
“Devo occuparti dei buoi? Ma sì, certo, fai bene, quello è il tuo dovere! Devo
badare ai campi? Ma sì, certo, quello è un tuo dovere. La famiglia? Certo, è un
tuo dovere. La società? Certo, quello è un tuo dovere!”, e così via… tutto è un
dovere,. quindi ci confermano nei nostri errori.
Soltanto il Figlio di Dio, Verbo incarnato che
proprio perché è Figlio di Dio, porta la
Verità di Dio in Sé, può liberarci dalle nostre schiavitù, perché ha una tale
autorità, ha tali argomenti da convincerci e offrirci la possibilità di vivere
per Dio. Però Egli deve entrare in queste nostre schiavitù, e la conclusione è
che noi Lo uccidiamo. Ma anche attraverso questa morte Lui ci offre la
salvezza, perché ci dà la possibilità di capire la morte che portiamo in noi,
di morire a noi stessi e quindi di introdurci nel cammino che, attraverso la
Risurrezione e l’Ascensione, ci porta alla nostra Pentecoste personale.
Tiziana: “Il Verbo si è fatto carne…”: mi viene in mente
quello che dice S. Paolo quando parla di
come “si distinguono le false
dottrine dalla dottrina vera”: la dottrina vera è quella dottrina che
riconosce che Dio in Gesù si è fatto carne; le false dottrine invece non lo
riconoscono. Però vorrei capire meglio
che significato ha questa incarnazione in noi.
Luigi: È Dio che si fa figlio dell’uomo; cioè dal momento che
noi abbiamo stabilito un rapporto sbagliato con Dio, Egli s’incarna per
riportarci nel rapporto giusto. Il rapporto giusto sta nel rimanere sottomessi
a Dio, perché Dio è il Principio, per cui Lui è Colui che parla e noi dobbiamo
essere ascolto. Noi però abbiamo la possibilità di invertire i termini, in
quanto abbiamo la possibilità di non raccogliere in Dio. E allora succede che
in noi invece di esserci il rapporto Dio Creatore che parla e creatura che
ascolta, si stabilisce un rapporto sbagliato: noi parliamo e Dio ci deve
ascoltare.
Questo invertire i termini avviene perché non raccogliamo in Dio, e non raccogliamo in
Dio perché il raccogliere in Dio, cioè l’unificare in Dio, non avviene senza di
noi: è un’azione consapevole, non avviene automaticamente. Tutte le creature
vengono a noi e dicono a noi: “Noi non siamo tue, noi siamo di Dio, portaci a
Dio”.
Quindi tutta la creazione, tutti i fatti,
tutte le parole arrivano a noi, si mettono nelle nostre mani e dicono a noi:
“Adesso tu portaci a Dio, perché noi siamo di Dio”.
Il rapporto giusto è questo: in ogni cosa che
arriva a noi, noi dobbiamo preoccuparci di
riportarla, di unificarla, di raccoglierla, di offrirla a Dio, in modo
che Dio ce la illumini, ci faccia capire il suo Pensiero. Ecco, questa è la vera opera sacerdotale che
ogni uomo deve fare; per cui la nostra mente è il vero altare su cui si
offrono i veri sacrifici.
Quindi, ogni cosa, per creazione di Dio,
arriva fino a noi, e arrivando a noi crea sensazioni, impressioni, piaceri,
dolori, e tutto questo in rapporto al nostro io; però, per giustizia, questa
creazione chiede a noi di essere portata a Dio. Questo portare a Dio, questo
ritornare a Dio non avviene senza di noi; per cui non c’è nessuno che possa
fare questo al posto nostro; questa è un’opera essenzialmente personale,
segreta, nascosta nell’animo dell’uomo, di ogni uomo.
Se l’uomo raccoglie le cose in Dio, allora riceve
luce da Dio, cioè intende il significato, l’anima delle cose, l’anima della
Parola che Dio gli dice.
Se invece l’uomo non riporta a Dio, ma si
ferma alle impressioni che la creazione arrivando a lui crea, naturalmente
allora incomincia a comportarsi secondo le impressioni; per cui alla domanda:
“perché fai questo?”, risponde: “perché mi piace!”. Ecco, ti sei fermato
all’impressione che una creatura di Dio ha lasciato in te, e allora incominci ad appassionarti, a cercare quello
che ti piace e ad escludere quello che non ti piace. In questo modo tutta la
nostra vita rischia di diventare una corsa dietro la ricerca o l’accumulo di
quello che piace e una fuga da quello che dispiace. E siccome però noi siamo
una passione d’assoluto, tendiamo a rendere assoluto quello che piace a noi e
ad escludere in assoluto quello che non ci piace. E naturalmente è una lotta
impari, destinata al fallimento, perché è tutta sbagliata.
Ora, in questo rapporto sbagliato, cioè non
avendo riportato le cose a Dio, noi diventiamo schiavi di queste passioni;
a questo punto non c’è niente da fare da parte nostra, perché “chi fa il
male resta schiavo di esso” (Gv 8,34): non ne esce più! Infatti, noi in
questa situazione di schiavitù, siamo impediti di trovare un qualche cosa di oggettivo
in noi, e iniziamo a proiettare su tutto il pensiero del nostro io; questo,
naturalmente, ci crea il dubbio su tutto e quindi ci impedisce di ritornare nel
paradiso terrestre.
Ecco perché dopo il peccato di Adamo, Dio ha
messo davanti alle porte del paradiso un Angelo
che con la spada di fuoco impedisce all’uomo di ritornare (Gen
3,24): entrare nel paradiso terrestre
vuol dire entrare di nuovo in rapporto con Dio, ma con Dio Presenza Oggettiva.
Perché noi anche nel peccato possiamo pensare Dio, ma sempre con questo dubbio:
“Forse sono io che penso Dio; ma Dio in realtà
non mi conosce, non mi pensa, non mi segue, e io sono solo”.
Quindi, in conseguenza del peccato c’è questo
senso di solitudine, perché non si è più in compagnia con Dio: ecco, non c’è
più il paradiso terrestre. Il paradiso, la festa è essere con qualcuno; essere
soli è tristezza, perché non è la nostra
dimensione: noi siamo fatti in coppia, quindi non sopportiamo la
solitudine. Allora in questo rapporto sbagliato possiamo essere salvati da Uno
che dall’Alto scende, ed ecco il Verbo che si fa carne, in questa situazione di
peccato.
Il rapporto è sbagliato in quanto c’è il
nostro io al centro, per cui in questa
situazione noi possiamo essere salvati solo da Uno che entra in questo mondo in
cui c’è il nostro io al centro.
Quindi il Verbo è Incarnato in quanto è il
Pensiero di Dio, il Verbo di Dio, che entra in questo mondo in cui c’è il
nostro io al centro per entrare in dialogo con noi perché solo entrando in
dialogo con noi, può ristabilire il contatto con noi e tirarci fuori dalla
nostra prigione. Ma cosa vuol dire entrare in dialogo con noi? Se io penso a
me, un altro può entrare in dialogo con
me soltanto in quanto parla di me,
perché se non parla di me io non l’ascolto. Ad un certo momento noi diventiamo
impotenti ad ascoltare un altro che parla di altre cose diverse dal nostro io.
Pinuccia B.: Ma
Lui ci parla di Dio.
Luigi: Sì, ma si incarna e questo incarnarsi vuol dire che
scende a parlare a noi nel mondo in cui c’è il pensiero del nostro io.
Pinuccia B.: Cioè,
ci parla di Dio con il linguaggio relativo al nostro io.
Luigi: Certo. Se per esempio io giustifico la mia vita con “i
buoi, i campi, la moglie”, il Verbo fatto carne entra in questo mio mondo
in cui io ho stabilito dei rapporti che hanno come punto fisso di riferimento
il mio io. E Lui, entrando in questo mio
mondo, si sottomette a me, ed è necessario che entri e si sottometta. Naturalmente sottomettendosi a
questo mio mondo la sua fine è scontata: Lui morirà, non può farne a meno.
Però, attraverso questo entrare nel mio mondo, mi offre la possibilità di
ricollegarmi con Dio, ma questo solo se credo in Dio, perché se non credo in
Dio è finito tutto.
Quindi se abbiamo un minimo di fede in Dio,
Cristo ci offre la possibilità di essere salvati, cioè di giungere a vedere
la sua Gloria, la Verità, perché Lui entra in questo nostro mondo, dialogando con noi di Dio e con Dio; chi
non è attratto dal Padre non può ascoltarlo: “Nessuno viene a Me se non è
attratto dal Padre” (Gv 6,43).
Pinuccia B.: Per
cui la realtà Dio non è più astratta con Lui presente.
Luigi: Ecco, con il Verbo incarnato, Dio diventa Realtà, perché
Egli è Uno come me che però non parla il mio linguaggio, mentre invece tutti
gli altri parlano il mio linguaggio. Lui non mi parla il mio linguaggio, cioè
Egli ci parla il linguaggio di Dio usando un linguaggio relativo al nostro io,
per cui il linguaggio di Dio a noi non suona più astratto: “Nessun uomo ha
mai parlato come Te” (Gv 7,46), “Tu solo hai parole di vita eterna” (Gv
6,68).
Ora, siccome noi nel nostro peccato, e quindi
nel nostro soggettivismo che deriva dal fatto di avere il nostro io al centro,
chiamiamo realtà ciò che vediamo e tocchiamo e chiamiamo astrazione ciò che non
si vede e non si tocca, facciamo esperienza di trovarci in una realtà “diversa”
da quella che ci presenta Dio. Non è che nel peccato uno abbia escluso Dio,
perché la creazione non siamo noi che la facciamo, noi non facciamo niente, per
cui rimane sempre il dubbio: “chi è che opera, chi è che fa tutte queste
cose?”. Quindi non è che si escluda la fede in Dio, però ci si trova in una
realtà diversa che ci fa dire: “Sì, c’è Dio, però la mia realtà attuale è
questa: io mi trovo in un mondo che continuamente esige che io mi dia da fare e
che mi dice: dobbiamo avere i piedi per terra; per cui se io non mi do da fare, se non mi agito, … muoio”.
Succede però che tutto il nostro agitarci
ci impedisce quel silenzio interiore necessario per occuparci di Dio, tanto
da arrivare a confessare: “non ho mai tempo per Dio; perché devo correre qui,
devo correre là: sì, sì, Dio è una gran bella cosa… sarebbe bello potermi
occupare di Lui, però la mia realtà è diversa”. Infatti nel nostro
soggettivismo ci troviamo in una realtà “diversa”. Allora, in questa realtà
“diversa”, noi possiamo soltanto essere salvati da Uno che viene dal Cielo ed
entra in questa realtà “diversa” per insegnarci come si supera e come se ne
esce: questo è incarnarsi.
Tiziana: Questa incarnazione la percepiamo attraverso che cosa?
Luigi: Attraverso il Cristo che è venuto nella storia, cioè con
la sua presenza fisica, storica, ambientale: in quel determinato punto del
tempo e dello spazio, Dio ha occupato una pagina della nostra storia. Ora, che
l’abbia occupata duemila anni fa o che l’abbia occupata cinque minuti fa, nel
campo dell’anima non interessa. Il fatto è che c’è un punto di noi che è
occupato da Dio.
Pinuccia B.: E
tutti verranno a sapere che Dio si è incarnato.
Luigi: Per forza! È un punto del nostro mondo! Dal momento che
è un punto del nostro mondo, non possiamo non sbattere la testa dentro. Se per
esempio noi leggiamo un libro di storia, non possiamo non arrivare ad una certa
pagina di quel libro. Ora, tutte le cose sono collegate; ad un certo momento si
ricollegano e arrivi al Cristo; da qualunque punto tu parta, arrivi al Cristo.
Pinuccia B.: Ma
come fa la vecchietta che vive in una baita sperduta in montagna…
Luigi: Non c’è nessuna difficoltà, poiché dal momento che
Cristo è entrato nel nostro mondo (nel “nostro” mondo!), noi non possiamo non arrivare a contatto
con Lui, perché tutte le strade ci conducono lì: da qualunque parte, da
qualunque punto della circonferenza noi partiamo, non possiamo ignorare il
centro. Cristo è un centro: noi non possiamo ignorare quel centro, da qualunque
punto noi partiamo della circonferenza; e questo perché, essendosi incarnato,
appartiene a questo nostro mondo. È come se un qualcosa appartenesse al nostro
corpo: può essere nascosto quanto vuole, ma ad un certo momento noi arriviamo a
scoprirlo, e questo perché appartiene al nostro corpo. Ora, Cristo è il Verbo
di Dio che appartiene al nostro corpo.
Pinuccia B.: Cioè,
noi arriviamo a scoprirlo perché Lui è Dio; infatti ci sono miliardi di altre
persone che appartengono a questo mondo, ma noi non arriveremo mai a
conoscerle.
Luigi: Certo, infatti abbiamo detto che è un centro; in
quanto è un centro ed ha occupato un punto del nostro mondo, ha fatto di tutto
questo nostro mondo una circonferenza di cui Lui è il centro.
Cristo è la pienezza dei tempi, Lui è la
conclusione: tutte le cose arrivano lì. E se non arrivano è soltanto perché
sono interrotte a metà strada; per cui noi possiamo fermarci a metà strada, ma
allora naturalmente ci chiudiamo nel nostro piccolo mondo. Ma per poco che
noi seguiamo tutta la nostra problematica, tutte le nostre tristezze, tutti i
nostri dolori, ad un certo momento arriviamo a Lui. Soltanto l’altro giorno
sentivo un amico che diceva: “Ma questa vita è proprio una boiata! cosa serve
vivere?”. Ecco, questo senso di vanità è già il Cristo che è entrato e che ti
ha annullato tutti i valori, che ha già fatto piazza pulita; per cui la vita ti
diventa insopportabile.
Pinuccia B.: Ma
lui lo sa?
Luigi: No, ma non importa che lui non lo sappia; importa che il
Cristo sia entrato e che abbia annullato tutti i suoi valori; ad un certo
momento, quando uno porta con sé tutta questa tristezza, è pronto per
l’incontro con Cristo e arriverà il momento di questo incontro, sarà magari
soltanto in agonia, in punto di morte, se non si dà da fare, se non cerca
prima, però arriverà il momento.
Pinuccia B.: E
allora capirà che Cristo è entrato.
Luigi: Il capirlo dipende dalla sua apertura a Dio o no.
Comunque Cristo entrando elimina tutti questi valori di disturbo per i quali
noi vivevamo e che ci impedivano di dedicarci a Dio. Perché? Perché dicevamo: “io
avevo i buoi, i campi, la moglie, io avevo il lavoro, per cui non potevo venire” (cf Lc 14,18-19). Mica dicevamo:
“io ero una prostituta, io ero un ladro”, ma: “io avevo il lavoro”, quindi cose
onestissime, cose che il mondo ritiene doverose. Eppure, sono proprio queste
cose che ci impediscono di avere il tempo interiore per essere disponibili per
Dio.
Ora, Cristo entra in noi e annulla tutti
questi nostri valori; naturalmente se noi ascoltiamo le sue Parole,
attraverso le sue Parole arriviamo in anticipo. Se invece non ascoltiamo le
sue Parole, Lui entra ugualmente nella nostra vita, nel nostro mondo, anche se
noi non lo sappiamo, e ci annulla tutti i valori. Magari noi diciamo: “è la
vecchiaia; è la società ecc.”, intanto però esperimentiamo lo svuotamento di
tutti i valori per i quali noi vivevamo; e da qui le domande: “allora la vita a
che cosa serve?”. Non si trova più significato in niente. E dove non c’è più
il significato di niente è il Cristo che è entrato e che ti ha annullato tutti
quei valori che ti disturbavano, ha fatto piazza pulita. Ora, se noi
abbiamo ascoltato, creduto alla Parola, allora
siamo preparati, perché la Parola di Dio dice in anticipo quello che
avverrà nella nostra vita, perché tutto è opera di Dio. Quindi se noi
abbiamo interiorizzato la Parola di Dio, abbiamo la possibilità di capire il
significato delle cose che avvengono nella nostra vita. E avendo la
possibilità di capire, davanti allo svuotamento dei valori, possiamo dire: “Ah, è Cristo che sta
operando, mi rendo conto! E mi sta
liberando proprio da quelle cose da cui io non ero in grado di liberarmi, per
rendermi disponibile per l’Essenziale”. E questo lo possiamo dire perché
abbiamo già la Parola interiorizzata,
per cui abbiamo capito qualche cosa. Invece senza questa Parola in noi, subiamo
gli eventi senza avere la possibilità di interpretarli, di intenderli.
Tiziana: Però capisco che c’è qualcos’altro che li determina.
Luigi: Certo, è logico, perché li subisci: c’è una Volontà
contraria che ti sta annullando tutto. Non siamo noi che vogliamo
l’annullamento delle cose, ma lo subiamo; per cui, per quanto noi diciamo:
“fatti forza, sorridi”, non serve a niente. Prova ad andare a dire “sorridi” a
uno che abbia il cancro addosso, che porti la morte con sé, o che sia esaurito
o che abbia l’angoscia: non serve! Appunto perché noi non siamo liberi verso
questi valori. Una cosa che si è annullata, che si è svuotata di valore, noi
non la possiamo ricostruire. È come un amore che ci abbia deluso: prima eravamo
entusiasti, dopo la delusione noi non possiamo ricostruirlo. Le cose cadono su
di noi, quindi c’è una Volontà diversa che opera su di noi. L’importante è
anticipare i tempi, interiorizzando la Parola di Dio, perché l’importante è
poter arrivare a capire il significato di tutto quello che ci accade e accadrà,
cioè di tutta questa opera che Dio sta facendo con noi per farci capaci di
giungere alla nostra Pentecoste, cioè di portare la sua Verità, la sua
Presenza.
Sabato 21.05.1983
Piero: “Il Verbo si è fatto carne”, essendo noi nel
peccato, e quindi molto lontani da Dio,
è necessario che Dio si avvicini a noi…
Luigi: Il peccato sta nel non tener conto di Dio, e quindi nel
separare le opere di Dio da Dio, nel separare la creazione dal Creatore. Quando
consideriamo le creature, consideriamo noi senza tener conto di Dio, senza
riferirle a Dio, qui sta il “corpo del peccato”, qui sta il peccato. In
conseguenza di questo peccato noi restiamo schiavi della presenza delle cose
senza Dio, o delle creature senza Dio; restiamo schiavi, perché “chi fa il male resta schiavo di esso”.
Ora, non esiste il male fuori di noi (“Tutto
ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si
prende con rendimento di grazie, perché esso viene santificato dalla Parola di
Dio e dalla preghiera” {1 Tm 4,4}; “Tutto concorre al bene per coloro
che cercano Dio” {Rm 8,28}). Il male è dentro di noi, in quanto dentro di
noi non colleghiamo le cose con Dio. Le cose non collegate con Dio ci rendono
succubi, schiavi, e da questa schiavitù noi da soli non possiamo liberarci.
Allora, soltanto se Dio si rende “Figlio dell’uomo”, cioè se entra nella sua
prigione, può offrire all’uomo la possibilità di una liberazione da queste
schiavitù. In caso diverso non c’è
possibilità di liberazione. Il Verbo Incarnato ci offre questa possibilità, ma
bisogna seguirlo, assimilando tutte le sue Parole. È la condizione perché si
realizzi la sua promessa: “Se resterete nelle mie Parole,… conoscerete la
Verità e la Verità vi farà liberi”. È Lui che ci conduce al Padre, forma in
noi la capacità di portare la sua Verità, di contemplare la sua Gloria, di
giungere cioè alla nostra Pentecoste.
Marco: “Il Verbo si è fatto carne”, Egli è venuto tra di
noi con un corpo; però, ad esempio, non
ho mai capito bene l’episodio delle tentazioni, cioè se Gesù è stato veramente
tentato o no. È stato detto altre volte che siccome Lui aveva un corpo come
noi, era tentato come noi, ma che questo era soltanto per dimostrare a noi come
si esce dalla tentazione. Io però non capisco
se Lui era tentato o non era tentato, fino a che punto Lui era corpo
come noi.
Luigi: Il corpo, in quanto corpo ha una sua volontà
(anche gli animali hanno una loro volontà, perché tutto quello che è natura ha
una sua volontà), quindi anche il corpo di Cristo, essendo vero uomo, ha una
sua volontà. Però in Cristo la Persona è Divina. Se Cristo fosse soltanto
uomo, quindi soltanto una presenza fisica con noi, non potrebbe salvare niente,
anche se morisse in croce, perché non è l’uomo che può salvare l’uomo; anzi
l’uomo non fa altro che confermare l’uomo. Infatti tutti gli uomini parlano un
linguaggio che è molto diverso dal linguaggio del Cristo. Chi salva l’uomo è il
Figlio di Dio, non è la presenza fisica. È il Figlio di Dio che lo salva,
quindi è la Persona Divina.
In Cristo c’è una Persona unica, ed è Dio:
infatti in Lui abbiamo una presenza fisica, ma in questa presenza fisica la
Parola è Divina, chi parla è la Persona, e la Persona è Divina.
Ora, però come presenza fisica, cioè come
corpo, ha una volontà ed è una volontà umana, poiché Egli si è fatto “Figlio
dell’uomo”. Egli si è fatto “Figlio dell’uomo”, in quanto si è fatto
presente a ciò che l’uomo ha presente; siccome l’uomo non ha più
presente Dio, ma ha presente le creature, può essere salvato soltanto
attraverso una presenza fisica, in cui però parli Dio, in cui ci sia Dio .
Marco: Ma questa sua presenza fisica è sempre per noi.
Luigi: È solo per noi! Solo per noi!
Marco: Cioè non è che Lui si è fatto presente a ciò che l’uomo
ha presente perché non sapeva com’era?!
Luigi: Ah, no, no! Lui è Dio e “tutto è stato fatto per
mezzo di Lui”. Ha preso un corpo per noi, l’ha fatto per noi! Cioè, se io so soltanto l’italiano, posso essere
salvato soltanto attraverso uno che mi parla in italiano, perché se mi parla in
un linguaggio straniero, non lo capisco. Ora,
il linguaggio che noi capiamo, in conseguenza di questo distacco da Dio,
è soltanto il linguaggio delle presenze fisiche, il linguaggio della terra, il
linguaggio dei nostri problemi. Allora il Figlio di Dio è entrato in questo
nostro linguaggio per colloquiare con noi, però ciò che Lui dice lo dice come
Dio, ed è per questo che ci libera dalla nostra situazione. Infatti se fosse
venuto soltanto per confermare la nostra situazione ci avrebbe resi più
schiavi. Invece no, Lui è venuto tra noi, quindi assumendo una presenza
fisica, però ha parlato come Dio, e quindi ci ha ricollegati, ci ha
riconquistati al problema essenziale.
Infatti nel mondo tu ti giustifichi dicendo: “non posso
occuparmi di Dio perché ho i buoi; …ho i campi, …ho la moglie, ecc”, sei
confermato da tutti quanti gli uomini; all’unanimità tutti ti dicono: “hai
ragione, hai ragione, non puoi venire”. Cristo invece non ti dà ragione!
Quando quel tale dice: “Fammi giustizia
perché mio fratello è un egoista e non vuol darmi la mia parte di eredità”, tutto il mondo lo
approva e gli dice: “Hai ragione, va
fatta giustizia, per questo bisogna darsi da fare”. Invece Cristo dice: “No! la vita non viene da
questo”(cf Lc 12,15).
Quindi soltanto Dio può ricuperarci da
quello che noi riteniamo nostro dovere, nostro impegno, nostra giustizia,
ecc., perché noi cadiamo in queste forme qui e quindi siamo impediti di poterci
dedicare a Dio, di poterci occupare di Dio. Ritenendo un “dovere” sottostare alle esigenze del mondo,
non possiamo dedicarci a Dio, non possiamo occuparci di Lui, non abbiamo mai
tempo per Lui, soprattutto tempo interiore, perché abbiamo tante cose che ci
impegnano, …e tutto il mondo ci dà ragione. Cristo invece non ci dà ragione.
Quindi Cristo entra nel nostro mondo come
presenza fisica, però parla come Dio, perché in quanto l’uomo può essere
salvato soltanto da Dio, non da altri uomini. Solo Dio ci libera dalla
soggezione a quelli che noi chiamiamo “doveri” e ci autorizza a dedicarci
all’unico vero dovere: cercare e conoscere Dio, e solo Dio ci può far conoscere
Dio e portarci quindi a contemplare la sua Gloria.
Pinuccia B.: “E il Verbo si è fatto carne…”: quand’è che noi vediamo veramente il Verbo che si è fatto carne? Perché
noi ora lo crediamo per fede che “il Verbo si è fatto carne” oggettivamente,
ma per me personalmente “si è fatto carne” quando Lo incontro?
Luigi: No, no. il Verbo si è fatto carne indipendentemente da
noi.
Pinuccia B.: Chiedo
questo, perché negli incontri della domenica si era detto che solo dopo aver
percorso tutta quella trafila di passaggi indicata dai versetti precedenti, a
quel punto, per me “il Verbo si fa carne”, cioè posso incontrare nel
Cristo quell’aiuto dal Cielo che attendevo. Però noi vedremo veramente il Verbo
fatto carne, cioè Lo conosceremo solo con lo Spirito Santo, vero?
Luigi: Lo conosceremo solo a Pentecoste, certo, però il Verbo
si è fatto carne indipendentemente da noi, cioè è venuto nel nostro mondo,
ci ha sorpresi. È venuto nel nostro mondo! Noi non ce Lo aspettavamo mica!
È venuto, si è presentato con certe caratteristiche ed ha parlato in un certo
modo. Ora, Cristo è lì, appartiene alla nostra storia, appartiene al nostro
mondo: è lì. Ti interessa il problema di Dio o non ti interessa? Se ti
interessa Lo accogli e Lo segui; se invece non ti interessa stai ben lontano e
se ne senti parlare, dici: “non mi interessa”. Però, anche se a te non interessa, Lui è lì: è venuto, si è incarnato. Non puoi smentire questa pagina
di storia, non puoi cancellare ciò che è avvenuto. Puoi dire: “non ci credo”,
però anche se dici “io non ci credo”, Lui continua ad esserci. Le pagine di
storia non si possono strappare, e se le strappi ci resta il buco. Ma allora ti
chiedi: “che cosa c’era in questo buco?”. Rimane il …”vuoto”, ma anche questo
tuo vuoto rivela la tua ribellione, però Lui continua ad esserci.
Noi non possiamo cancellare la realtà. Ora,
Cristo è il Verbo di Dio che si è fatto realtà tra noi, realtà storica,
visibile, constatabile, indipendente da noi: è nato da una Vergine. Cosa vuol
dire che è nato da una Vergine?
Che è
nato indipendentemente da noi: non c’entra uomo.
Tutto ha un significato, e bisogna capire
questo significato per constatazione personale. Quindi il Verbo di Dio viene
tra noi indipendentemente dalla nostra volontà, indipendentemente da noi,
perché si presenta a noi. E questo fatto ci rende responsabili: una risposta la
dobbiamo dare (responsabili deriva da “respondere”, rispondere). Per cui Gesù
dirà: “Se non fossi venuto e non
avessi parlato non sareste in colpa; ma dal momento invece che sono venuto ed
ho parlato non avete scusa per il vostro peccato” (Gv 15,22). Ecco, “dal
momento che sono venuto e ho parlato…”, qui adesso siete responsabili, perché la Parola di Dio che arriva a noi,
nel nostro mondo, nel nostro linguaggio, ci rende responsabili, perché in un
modo o nell’altro una risposta la diamo.
Infatti, in quanto Lui viene, ci propone certe
cose, e quando uno ci propone qualche cosa, noi in un modo o nell’altro
dobbiamo dare una risposta; anche se non diciamo niente, noi abbiamo dato una
risposta, e se abbiamo dato una risposta noi non possiamo più essere come
prima, non siamo più innocenti. Perché? Perché tu sei stato interrogato e
una risposta comunque l’hai dovuta dare. E perché hai risposto in quel modo?
Ora tutte le volte che noi rispondiamo,
rispondiamo sempre con un’intenzione, quindi con un pensiero in noi: “io ho
risposto in quel modo, a quel tale che mi interrogava, non sapevo che era
Cristo, però era un tale che mi interrogava su Dio, io ho risposto in quel modo
perché dentro di me avevo quest’altro interesse”. Basta questo: hai rivelato il tuo cuore!
Pinuccia B.: Hai
detto che il Verbo venendo in questo mondo ci ha sorpresi, però Egli era
atteso, perché Dio ha formato attraverso i secoli questo desiderio del Messia.
Luigi: Era atteso come attualmente è atteso da ognuno di noi,
perché Egli è atteso dai nostri problemi. Noi tutti stiamo vagando a tentoni
nelle tenebre. Ecco, è atteso così! Perché
noi non sappiamo che significato ha la vita, che significato ha per noi
la creazione: “cos’è tutto questo? Perché c’è il bene? Perché c’è il male? Che senso ha la vita?” È
quella l’attesa! Ecco come Egli è l’Atteso!
Cristo è Uno che viene a rispondere a questa
situazione esistenziale in cui si trova ogni uomo. Perché noi leggiamo il Vangelo?
Il Vangelo è stato scritto duemila anni fa;
cosa ci dice ancora al giorno d’oggi?
Eppure siamo tutti lì a scrutarlo. Ma perché? Che cos’è che lo rende attuale?
Perché nel Vangelo vi sono parole che
rispondono ai nostri problemi, alla situazione esistenziale in cui si trova
ognuno di noi; il valore del Vangelo
sta lì! Ecco perché è attuale! Abbiamo tanti libri scritti attualmente,
eppure perché li lasciamo in un angolo e non li leggiamo? Perché non rispondono
ai nostri problemi essenziali, e allora li buttiamo via e andiamo ad
attingere ad un Libro vecchio di duemila anni perché è l’unico che risponde
alle esigenze della nostra anima.
Pinuccia B.: Quindi
la sorpresa di cui hai parlato può essere intesa così: Cristo è atteso, però
quando viene ci sorprende, nel senso che viene in questo mondo
indipendentemente da noi, per pura iniziativa di Dio, senza intervento d’uomo,
e anche nel senso che il momento dell’incontro con Lui è Lui stesso che lo determina.
Luigi: Certo, non è la nostra fame che crea il pane, come non è
il tuo desiderio che fa squillare il telefono.
Pinuccia B.: Ma
questa attesa del Messia, è proprio l’attesa che Dio si faccia uomo, oppure è
l’attesa di un Salvatore, senza sapere che è Dio che s’incarna?
Luigi: L’uomo può essere salvato solo da Dio, perché tutto
quello che non è Dio riceve l’impronta del pensiero del nostro io.
Soltanto un Essere diverso dal pensiero del
nostro io può salvarci, altrimenti non farebbe altro che confermarci nel nostro
peccato, nella nostra colpa. Quindi la nostra attesa e il nostro desiderio,
devono essere specifici; cioè dobbiamo desiderare che Dio stesso venga a
liberarci.
Sabato 04.03.1989
“E il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che un tale Figlio Unigenito
riceve dal Padre, pieno di grazia e di verità”
Nino: “E il Verbo si fece carne”, cioè assunse la natura
umana, “… e abitò tra noi”: come per rivelarci che è in noi. Solo che questo lo
comprenderemo se resteremo nella sua Parola.
Luigi: Infatti Gesù dice: “Se resterete nelle mie parole,
conoscerete la Verità”. Il Verbo si è incarnato appunto per tracciarci la
strada, con la sua vita e le sue parole, verso la conoscenza della Verità,
verso la nostra Pentecoste.
Pinuccia B.: “Il
Verbo si è fatto carne”: è collegato col versetto 13: “i figli di Dio
nascono non per volere di carne, non per volere di uomo, non per propria
volontà, ma da Dio”, allora il Verbo si è fatto carne. Cioè, chi è nato
da Dio vede che il Verbo si è fatto carne, perché nella nascita c’è la
comprensione di chi è il Cristo, cioè che il Cristo è il “Verbo fatto
carne”. Prima della nascita invece non sappiamo che Egli è il Verbo fatto
carne, sappiamo soltanto che è Uno che risponde alla nostra esigenza di
conoscere Dio. Quando però uno nasce da Dio, scopre chi era il Cristo: il Verbo
che si era fatto carne.
Luigi: Sì, conosceremo Cristo come Verbo Unigenito, come
Figlio Unigenito soltanto dopo che Egli, il Verbo stesso, “fatto carne”,
ci ha condotto a conoscere suo Padre; conoscendo suo Padre possiamo dire:
“Ah, tu sei il Figlio, io non lo sapevo; ti ho scelto come Maestro, perché
rispondevi a dei miei bisogni, però non sapevo…”. Cioè il bisogno che ognuno ha
in sé gli fa scegliere un determinato
maestro: se tu hai bisogno di capire la matematica, vai a cercare un
maestro che sappia la matematica. Non sai chi sia quel maestro, sai soltanto
che è un insegnante di matematica, e a te basta questo. Perché? Perché risponde
al tuo bisogno. Tu hai bisogno di capire la matematica e vai a cercare uno che
ti insegna la matematica: non puoi capire altro! Quindi, quando poi dopo Cristo
ti conduce a vedere suo Padre, allora, il rapporto Padre e Figlio salta fuori:
“ah, eri Tu!”.
Pinuccia B.: Allora
è lì che vedo il Verbo che si è fatto carne.
Luigi: E già! Ma chi è che te lo fa conoscere? Vedi che è il
Padre che fa conoscere il Figlio? Perché
soltanto conoscendo il Principio posso dire: “ah, tu sei Figlio di quel
Principio!”; prima no! non potevo. Prima L’avevo scelto come Maestro perché rispondeva ad un mio bisogno.
Ma se non si fosse formato in me questo bisogno, sarebbe stato perfettamente
inutile aver trovato il Cristo sulla mia strada.
Allora è necessaria l’attrazione del Padre per
riconoscere il Cristo come Maestro, come Guida, ed è necessaria la conoscenza
del Padre per conoscere il Cristo come Verbo, come Figlio di Dio, per vedere la
sua Gloria. Il punto di aggancio è quindi l’interesse per il Padre, per cui
fintanto che in noi non si forma questo bisogno di Dio (e Gesù lo dice chiaro: “Nessuno
può venire a Me se non è attratto dal Padre”), Lui ci lascia andare dove
vogliamo, perché non è possibile seguirlo.
Infatti, se il Padre non porta le anime a Lui,
è inutile che suoniamo le grancasse per invitare le anime ad andare dietro Lui,
perché intanto non ci vanno, perché
hanno altri interessi; e fintanto che hanno altri interessi, vanno a cercare
altri maestri e non a cercare Lui. Ognuno si cerca quei maestri che rispondono
ai propri bisogni e ai propri interessi. Ecco come avviene tutta la
dispersione nel mondo; la dispersione è tutta conseguenza di quello che
portiamo dentro di noi, cioè di quegli interessi che maturano dentro di noi.
Per cui noi, necessariamente, diventiamo figli di quei maestri che ci siamo eletti, che sono la conseguenza di
scelte fatte per interessi che portiamo dentro di noi.
Pinuccia B.: Lo
sbaglio è a monte.
Luigi: Certo, lo sbaglio è a monte, cioè lo sbaglio è non
considerare Dio Creatore; perché se io considero Dio Creatore e dico:
“tutto è opera di Dio”, sono “obbligato” a riferire le cose a Lui, per cui se tutto
è opera di Dio, io non debbo riferire le cose a me, non debbo fermarmi ai miei
sentimenti, alle mie impressioni, ma in tutto debbo sempre cercare il suo
Pensiero, riferire tutto al suo Pensiero: è questo bisogno di giustizia, è
questa attrazione per il Padre che mi porta al Cristo. Ecco perché l’incontro
col Cristo è fatto precedere dalla predicazione di Giovanni Battista, che
riassume poi tutta la problematica di tutto l’Antico Testamento: migliaia,
decine di migliaia e forse milioni di anni, che è tutta preparazione per
sfociare in questo bisogno. Ed è poi quello che avviene nella nostra vita
personale.
Pinuccia B.: Se
non c’è la giustizia è logico che il bisogno, l’attrazione, l’interesse non
nascono, perché è la giustizia che mi fa cercare il Pensiero di Dio.
Luigi: Per cui, se manca questo, tu puoi essere con Cristo
tutti i giorni, da mattina a sera, ma non serve assolutamente a niente, perché
in realtà non sei con Cristo. Puoi stare in una trappa per tutta la tua vita,
ma se non fai la giustizia, non incontri il Cristo; ti illudi , ma non Lo
incontri. Ti puoi dire cristiana, cattolica, tutto quello che vuoi, ma se non
c’è interesse per Dio sei fuori, non puoi incontrare Cristo, perché non c’è un
rapporto personale con Dio. Il rapporto personale è determinato da quello
che ti sta a cuore, dall’interesse.
Dio è tra noi, con noi: è stato l'annuncio del Natale. Un annuncio per
tutte le genti di ogni luogo e di ogni tempo, poiché la presenza di Dio tra noi
e in noi è il mistero centrale dell'esistenza umana e quindi il
mistero della vita di ogni uomo. Qui
è la fonte di ogni nostro problema, ma qui, e solo qui, è anche la soluzione di
esso, poiché Dio è il Principio di tutto.
"In principio era il Verbo..." (Gv 1,1): alla radice di ogni cosa e del
nostro essere c'è il Verbo di Dio, il Pensiero di Dio: il Figlio di Dio,
generato eternamente dal Padre, e nel quale e attraverso il quale tutto è stato
fatto e ancora oggi è fatto. Pertanto il Verbo di Dio è presente in
tutto e parla a noi in tutto, poiché "tutto è fatto per mezzo di
Lui e senza di Lui è ridotto a niente tutto ciò che è fatto"(Gv 1,3).
Il Verbo di Dio, che è la Parola di Dio, il
Pensiero di Dio, è il centro dell'universo, e quindi il Principio e il
fine di tutte le cose; è il vertice dei tempi e il senso di tutto ciò che
esiste: è l'anima di tutto. Fintanto che noi non abbiamo imparato
questo, ci aggiriamo come analfabeti tra le pagine della creazione di Dio:
tutto per noi, anche i fatti di ogni giorno, è scritto in una lingua straniera
per noi incomprensibile.
Dio ha donato ad ogni uomo il suo Pensiero,
per cui ogni uomo essendo il portatore del Pensiero di Dio può pensare Dio e
dialogare con questo Tu Divino che porta in sé e che lo costituisce
persona. Noi esistiamo, viviamo e ci muoviamo nel Pensiero di Dio. È
Lui che in tutto parla a noi, personalmente con ognuno di noi, poiché,
essendo tutto fatto per mezzo di Lui, è Lui che opera in tutto. Per questo in
tutto c'è qualcosa di eterno che giunge a noi, si annuncia e
parla. È il Verbo di Dio tra noi.
Noi abbiamo la possibilità di coglierlo fuori
perché Lo portiamo dentro di noi. La condizione però è essere con Lui, averlo
presente. Infatti, che Dio sia con
noi, non vuol dire che noi siamo con Lui. Qui il concetto di reversibilità
dei nostri schemi matematici o logici non vale, poiché se Dio è sempre con noi,
non sempre noi siamo con Lui, non sempre
camminiamo con Lui.
Ed è per questo che noi non vediamo la Verità
che pur è sempre con noi. Ed è per questo che la Luce splende nelle tenebre, ma
le tenebre non la vedono, e tanto meno la comprendono.
Tutti i nostri guai e le nostre difficoltà sul
cammino della vita stanno qui, in questa nostra incapacità di restare con Colui
che è con noi. Incapacità di accogliere il messaggio del Natale, di restare in
esso e di portarlo avanti. Dio è presente, noi siamo assenti. È il nostro
dramma.
Come imparare a restare con Lui, a camminare
con Lui?
Noi siamo là dove abbiamo il nostro interesse
principale, il nostro cuore, il nostro amore, le nostre ambizioni. Qui si
rivela il luogo della nostra vita, o della nostra morte; qui si rivela anche la
nostra vera fede, che è sempre molto diversa da quella che noi crediamo o
recitiamo di avere.
Per essere con Dio, per camminare con Dio, dobbiamo
avere la nostra attenzione, il nostro interesse principale a Lui, alla sua
Parola. Bisogna cioè lasciare il nostro "gregge", la nostra
"carovana" di abitudini e di routine in cui facciamo morire ogni
nostra giornata. Bisogna lasciare il
nostro mondo e rivolgere tutta la nostra attenzione a Dio, al Pensiero di Dio. È
la condizione per essere presenti a Colui che è presente, per
ascoltare Colui che ci parla, per superare le distanze che ci separano
da Lui.
Le distanze tra noi e Dio non sono fuori di noi, né appartengono allo spazio e al
tempo, ma sono dentro di noi e appartengono al campo dei nostri
interessi e dei nostri pensieri. Niente crea maggiori distanze tra gli
uomini quanto interessi diversi. Per cui la distanza che ci separa dal "Dio
tra noi" non è per noi maggiore di quella che dovettero superare i
pastori per lasciare il loro gregge e giungere alla grotta di Betlemme; né è
maggiore di quella che dovettero superare i Magi dell'Oriente per seguire la
stella che li guidava là dove era nato il Re dei Giudei; né è maggiore di
quella che dovettero superare Maria e Giuseppe per lasciare la loro carovana e
cercare il Bambino Gesù per tre giorni a Gerusalemme; né è maggiore della
distanza che dovettero superare le genti e i discepoli di allora per giungere
al Cristo; né è maggiore della distanza che deve superare colui che ama per
incontrarsi e vivere con l'essere amato.
Il Verbo di Dio, incarnandosi, ha cancellato tutte le distanze di tempi, di
luoghi, di strutture, di mentalità, di ambiente, che separano gli uomini da
Dio. Si è fatto vicino ad ogni uomo che
sinceramente abbia fede e interesse per Dio, e ne ha fatto un solo
problema d'amore.
(I – 24.01.1996)
Cristo, Verbo di Dio incarnato, è venuto ad
abitare tra noi per farci ritrovare la luce di Dio e quindi per togliere le
distanze tra noi e Dio. Per questo si è fatto Figlio dell'uomo. Quindi, in
Lui, Dio ha annullato tutte le distanze di tempi, di luoghi, di mentalità e
di strutture e si è fatto vicinissimo ad ogni uomo, per cui il
superamento della distanza diventa da parte dell'uomo solo più un problema di
amore. Infatti la distanza tra due persone è determinata da pensieri e
interessi diversi, ed è quindi soprattutto interiore, non esteriore.
Incarnandosi, il Verbo di Dio ha dunque
offerto ad ogni uomo la possibilità di un aggancio con Lui e quindi la
possibilità di vivere e di camminare con Lui verso la conoscenza del
Padre: gli ha offerto cioè la possibilità della salvezza e della liberazione
dalle proprie schiavitù e cecità. L'uomo è schiavo di ciò che vede e tocca,
perché, trascurando Dio, considera la materia, i corpi, le creature come
“realtà" e non più invece come "segni" dell'unica Realtà che è
Dio. L'uomo dunque ha bisogno di essere salvato, liberato dalle proprie cecità
e schiavitù. Ha bisogno di attingere qualcosa di eterno, di “toccare” qualcosa
di Dio.
Allora, a noi che siamo schiavi del corporeo
perché non abbiamo occhi e orecchi che per il materiale e corporeo, il Verbo
di Dio si è rivelato nel corporeo proprio per farsi vicino a noi, per
togliere ogni distanza tra noi e Dio, parlarci di Dio e quindi salvarci. Chi è
schiavo di una cosa, può essere salvato solo per mezzo di essa; per cui essendo
noi schiavi del corporeo possiamo essere salvati solo per mezzo
del corporeo, se però in esso vediamo ciò che non appartiene al
corporeo: il Verbo di Dio.
Noi possiamo essere salvati non da ciò che è
sotto di noi, non dalla materia, non da un corpo, bensì da ciò che ci
trascende: appunto, dal Verbo di Dio, ma solo se Lo troviamo in una
realtà corporea, sensibile, proprio perché siamo schiavi di ciò che
vediamo e tocchiamo. Possiamo cioè
essere salvati solo da Uno che è nel mondo, ma che non sia del mondo, da Uno
che è uomo come tutti gli uomini, ma che non parli come tutti gli uomini e che
pertanto non ci confermi nelle nostre passioni per le cose del mondo e
nei nostri interessi per il mondo, ma che faccia crescere in noi la passione e
l'interesse per Dio: un Uomo, cioè, che ci parli la Parola di Dio.
Per questo il Verbo di Dio ha preso una natura
corporea e si è fatto vero uomo pur rimanendo vero Dio.
Quindi in Gesù, Parola di Dio incarnata, è
Dio che parla! Per cui ascoltandolo tutti debbono ammettere: "Nessun
uomo ha mai parlato come Lui!" (Gv 7,46). Cristo, Verbo di Dio
incarnato, pur essendo uno come noi, parla come Dio: è la Parola di Dio che
ci salva, che ci fa cioè concepire Dio!Non si concepisce Dio
partendo da una materia, da un corpo, da una creatura.
È per questo che il Verbo incarnato è nato da una Vergine: questo fatto ha un
significato molto profondo e va capito. Ci indica qual è la via attraverso cui
si concepisce e si giunge a vedere il "Dio tra noi" e quindi
"come" si giunge alla "Salvezza di Dio". Ci fa capire
cioè che si concepisce Dio solo per mezzo di Dio e non attraverso la
carne, né il sangue, né da volere di uomo: i figli di Dio nascono da Dio. La salvezza viene da Dio e solo da Dio.
Non tener conto della Verginità di Maria che dice all'Angelo:
“non conosco uomo” (Lc 1,34), rifiutare la nostra attenzione a questo
fatto, è rifiutare la via per giungere a vedere il Verbo incarnato
tra noi; è compiere lo stesso errore di coloro che videro Gesù, ma
non videro in Lui il Verbo di Dio, perché non avevano in se stessi dimorante il
Verbo di Dio; è portare anche noi il mistero di Dio senza poterlo vedere, né
incontrare.
Necessariamente il Verbo di Dio facendosi uomo
ha dovuto occupare un posto determinato sulla nostra terra e un tempo della
nostra storia e volere come sua gente una gente tra le tante: necessariamente,
perché il corporeo è tale in quanto è “parte” e non è “tutto”, è localizzato e
non universale. Universale è lo Spirito. Il Verbo di Dio è Spirito e rimane
Spirito pur incarnandosi.
Ma se il Verbo di Dio fatto carne ha occupato
come uomo un posto e un tempo sulla nostra terra ed ha messo la sua tenda tra
una gente tra le tante, non è che si sia fatto più vicino a questa che alle
altre, poiché la salvezza che Egli ha recato è per tutte le genti di
ogni tempo e di ogni luogo.
La sua salvezza non è quindi limitata ad un
tempo per il fatto che ha occupato un tempo particolare della nostra storia, ma
si estende a tutti i tempi. Nel frammento c'è il tutto e quindi c'è un legame
che unisce il frammento al tutto, il corporeo allo spirituale; così c'è un
legame che unisce tutti i luoghi e tutti i tempi a quel luogo e a quel tempo in
cui il Verbo di Dio si è manifestato tra noi e si è reso disponibile a noi.
Tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo hanno dunque la
possibilità di incontrarlo, di ascoltarlo e di camminare con Lui verso
la Luce del Padre, verso la Vita eterna.
(II –
31.01.1996)
Poiché c'è un legame tra tutti i luoghi e
tutti i tempi a "quel luogo" e a "quel tempo" in cui il
Verbo di Dio si è fatto carne e si è manifestato a noi, tutte le cose
e tutti i fatti sono sentieri che conducono al Cristo tutti gli uomini
di buona volontà, di ogni luogo e di ogni tempo, indipendentemente dalle
condizioni ambientali in cui vengono a trovarsi.
Come ubbidendo ad una stella i Magi giunsero
dall'Oriente a vedere il Bambino Gesù con sua Madre, così Dio conduce ogni
uomo che ha interesse per Lui da quei luoghi in cui non si vede la sua
presenza a contemplare il mistero della sua Presenza, e quindi
alla sua salvezza. Passaggio dal segno
alla Realtà.
La Parola di Dio che si fa sentire ad ogni
uomo, è anticipazione di quella Realtà che oggi non si vede tra le cose
apparenti, ma che già è operante in tutto e che domani si imporrà su di noi,
nonostante noi.
In quanto anticipazione è invito a prepararci
a conoscerla prima che si imponga, cioè invito a partire per andare a vedere
ciò che ancora non si vede: il mistero del Regno di Dio, che in
Cristo si è fatto vicino e quindi accessibile ad ogni uomo.
Se si è fatto accessibile ad ogni uomo, la
distanza che dovettero superare le genti di allora per giungere a Cristo non fu
più breve, né più lunga, della distanza che dobbiamo superare noi per giungere
a Lui. La fatica è uguale poiché ciò
che ci separa da Lui è uguale a ciò che separava da Lui allora quelle
genti: il passaggio dal pensiero dell'io al Pensiero di Dio. Dio non fa preferenze di persone, ma tutte
chiama alla conoscenza della sua Verità e quindi impegna tutti personalmente
sullo stesso cammino e li pone tutti di fronte alle stesse difficoltà.
Il problema vero di ogni uomo è uno solo: Dio, senza il quale nessun altro
problema può veramente risolversi.
Qui sta l'unica cosa necessaria. Il
capirlo ci fa veramente interessati per Dio, e questa attrazione è la
condizione per giungere a vedere il mistero della Presenza di Dio tra
noi.
Incarnandosi, il Verbo di Dio ha quindi
annullato tutte le distanze che separano gli uomini da Dio, per cui se esse ci
sono, non sono più distanze di tempi, di luoghi, di ambiente, ma soltanto
distanze d'amore: non da parte di Dio, che eliminando in Cristo ogni distanza
si è fatto vicinissimo ad ogni uomo che Lo cerchi, ma da parte degli uomini che
non hanno amore e quindi non hanno interesse per Dio.
Con l'incarnazione del Verbo di Dio, non ci sono dunque vicini o lontani da Lui: e
chi ne facesse problema di distanza di luogo o di tempo, implicitamente
denuncerebbe il suo interesse per altri amori o altra vita.
Tutti possono allora incontrare Cristo e
camminare con Lui, ascoltando e
assimilando le sue Parole, perché le distanze in realtà sono state veramente
cancellate, i muri abbattuti. Resta
solo la nostra distanza tra il nostro amore e il Suo, tra il nostro
pensiero e il suo Pensiero, tra le nostre parole e le sue Parole. Ma questa distanza è un fatto personale di
ognuno con Dio, non di Dio con ognuno.
Se la distanza tra noi e Lui è solo quella personale, la salvezza che
Egli ha recato è universale, offerta a tutti allo stesso prezzo. Il Verbo di Dio fatto carne dà a tutti gli
uomini, a quanti Lo accolgono, la possibilità di conoscere il Padre e di
diventare quindi figli di Dio, senza eccezione alcuna: poveri o ricchi,
peccatori o giusti, bianchi o negri.
Il Verbo di Dio tra noi inaugura la comunione
degli uomini con Dio. Inaugura la vita
con quanti Lo ascoltano e hanno interesse per Dio. A noi l'impegno di camminare con Lui.
(III – 07.02.1996)
Il Verbo di Dio, incarnandosi in Cristo, inaugura la rivelazione
della comunione di Dio con gli uomini, per cui Dio non è soltanto il
Trascendente, ma è anche l'Onni-Presente, il Sempre-Presente e Tutto-Presente:
una comunione con gli uomini che inizia con l'annuncio di Betlemme e si
conclude sul Calvario.
Una comunione che non è più intima e vicina a
Betlemme che sul Calvario: essa infatti non viene meno neanche con
Cristo morto (che rappresenta e rivela il Dio morto in noi), poiché la sua
morte, il suo silenzio e il suo vuoto tra noi sono ancora una Sua terribile
Presenza, e quindi una Sua terribile comunione.
La Verità non è il prodotto del consenso degli
uomini, né può essere sancita o modificata dalle maggioranze; il Volto di Dio
nell'uomo è un'immagine immortale, e la sua Presenza nell'uomo è
incancellabile. Per cui il rapporto tra Dio e l'uomo è un rapporto
perenne, ineludibile, indelebile da parte dell'uomo, poiché non è
stabilito dall'uomo, ma da Chi ha fatto l'uomo.
Tale rapporto impone all'uomo un cammino, una ricerca, un passaggio da tutto ciò che non
è Dio a tutto ciò che è Dio. Richiede tempi di silenzio e di meditazione,
poiché capovolge la nostra visione della vita; per cui l'incontro
con "il Verbo che è tra noi" e il cammino con Lui cambiano
totalmente la nostra vita.
Infatti il Verbo di Dio si è fatto
"Figlio dell'uomo" non per approvare o condividere le passioni
degli uomini; non è venuto per camminare con loro, ma per invitarli a
camminare con Lui verso una meta ben precisa: la conoscenza del Padre; non è
venuto quindi per sostenerli nelle loro rivendicazioni, nei loro interessi, nei
loro diritti, ma è venuto per farli uscire dalle loro passioni, dai
loro interessi, dai loro amori e portarli nell'amore per Dio, nella
passione per Lui, in un interesse crescente per conoscerlo.
Se non c'è questa attrazione per Dio, se non
cresce questa passione per conoscere Dio e per capire ciò che Lui
opera e dice, tutto il problema della vita spirituale perde la sua sostanza e
tutto ciò che è religioso diventa tradizione, abitudine, recitazione e
convenienza, rapporto liturgico con cui l'uomo si crede dispensato da ogni
ricerca e conoscenza di Dio, dispensato cioè da un contatto personale, vivo e
vero, con Dio.
Un lungo cammino attende ogni uomo per giungere alla meta indicatagli dal
Cristo, una vera migrazione spirituale dietro le sue Parole, dietro
un messaggio che gli parla di Dio e del suo Regno.
Le Parole del Verbo che è tra noi sono infatti
sentieri che, se percorsi, ci portano alla conoscenza del Padre. Ma per percorrerli è necessario sì avere
interesse per Dio, ma è sempre anche necessario partire dal nostro mondo
sociale, mosso da ideologie e convenienze, per impegnarci personalmente sul
cammino segnato dalle sue Parole.
È un cammino duro, lungo, paziente; ma bisogna farlo con coraggio e decisione,
perché solo così si cammina verso il fine del nostro destino.
È proprio in questo cammino con il Verbo
incarnato, in questo rapporto ineludibile con Dio che l'uomo diventa un bisogno
di interiorità, di raccoglimento, di silenzio; bisogno di fermarsi ai margini
delle strade del mondo per capire il significato delle cose che
gli accadono. Infatti anche le cose che
accadono sono parole di Dio, e le parole di Dio sono annuncio di una Realtà
che ancora non vediamo, perché i nostri occhi non sono ancora in grado
di vederla, ma che è già tra noi: Dio onnipresente, Dio che fa tutto, Dio che
regna. È Dio che interviene dall'esterno per trasfigurarci nell'interno e
renderci capaci di vedere ciò che non è apparenza, ma Realtà.
Quindi le parole di Dio sono anticipazione di
quella Realtà che domani si imporrà su di noi nonostante noi, ed in quanto
anticipazione, sono invito a prepararci a conoscerla prima che si
imponga e ci travolga, cioè invito a partire per andare a vedere ciò che ancora
non si vede: il mistero del Regno di Dio che in Cristo è vicino, quindi
accessibile, ad ogni uomo.
È proprio per opera di questo Regno di Dio tra
noi che le parole degli uomini passano, cadono nell'abisso del nulla, mentre le
Parole di Dio diventano sempre più vere, sempre più rispondenti ai veri
bisogni della mente e del cuore dell'uomo, fino a quando il mistero di Dio
sarà compiuto in noi. L'annuncio di esso è per tutti: le stelle brillano nel
cielo di tutti per dire a tutti che sono stati creati per conoscere Dio e che
debbono preoccuparsi di conoscere Dio e non passare la vita invano dietro cose
che passano.
Ma è necessario che l'uomo esperimenti la sua povertà, il suo niente, e
quindi cessi di correre sulle strade del mondo e si fermi, ché ben
altre sono le strade sulle quali Dio vuole che egli cammini, e sono
le strade dello Spirito. Dio poi non lascia mai mancare il suo aiuto a chi,
credendo in Lui e ascoltando le sue Parole, cammina con Lui e Lo cerca con
tutti il suo cuore.
(IV – 14.02.1996)
La strada sulla quale il Verbo di Dio, che è venuto tra noi, ci invita a
camminare, è la strada dello Spirito, strada con una meta ben
precisa: la conoscenza del Padre; strada che solo con Cristo possiamo
percorrere: credendo in Lui, ascoltando e assimilando le sue Parole e
cercando Dio con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra mente, con tutte le
nostre forze.
È una strada stretta, angusta, difficile e la
si percorre personalmente, non come folla. Come folla si cammina sulla strada
del mondo, la strada del "tutti fanno così", del "tutti parlano
così", del "tutti pensano così": strada larga e facile.
La strada dello Spirito all'inizio richiede molto sforzo e molta fatica, perché
richiede rottura con le abitudini e la mentalità del mondo e quindi il
superamento di se stessi; ma man mano che si avanza, diventa
sempre più attraente e facile, perché si va di conferma in conferma, di luce
in luce, fino alla grande meta della constatazione della Presenza di Dio.
Invece la strada del mondo è facile all'inizio, ma quante tribolazioni,
angosce, delusioni e amare sorprese riserva alla fine!
Per questo Cristo, il Verbo incarnato tra noi,
ci ammonisce: "Sforzatevi di entrare per la porta stretta,
perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione e
molti sono quelli che entrano per essa.
Invece, oh! quanto stretta è la porta e angusta è la via che conduce
alla vita! e pochi sono quelli che la trovano" (Mt 7,13-14).
Ma è sempre necessario che l'uomo esperimenti le delusioni, gli inganni, le tenebre e le
amarezze della strada del mondo e che esperimenti quindi il proprio niente e
la propria povertà, per capire e convincersi che deve
fermarsi e cessare di correre su di essa per aprirsi invece alla via dello
Spirito? Ciò che non si capisce per intelligenza, si arriva a capirlo
per esperienza, sempre che si dialoghi la propria esperienza con Dio.
È il pensiero dell'io messo al centro che ci
acceca e ci inganna; per cui si giunge sempre da una grande lontananza, dagli
aridi deserti di una vita vuota e senza senso per l'esperimentazione del nulla
dei valori e degli argomenti del mondo e da tutta una nostra povertà sofferta
e smarrita, quando ci si apre all'attenzione, all'interesse,
all'ascolto della Parola di Dio e quindi all'incontro con Cristo.
"Ammalati quali siamo, abbiamo bisogno del Salvatore; smarriti, abbiamo
bisogno di Qualcuno che ci guidi; ciechi, abbiamo bisogno di Uno che ci
porti la luce; assetati, abbiamo bisogno della Sorgente viva, bevendo
alla quale uno non ha più sete; morti, abbiamo bisogno della Vita:
Cristo". Così scriveva Clemente
di Alessandria.
Senza questa povertà non c'è vera preghiera
nell'uomo, ma recitazione; non c'è amore, ma regola e abitudine; non c'è
ricerca di Dio, non c'è invocazione, non c'è pianto, poiché per giungere a
vedere ciò che ci è annunciato, è necessario camminare molto e
pazientemente; e per camminare è necessario partire, e per partire
bisogna lasciare tutto il nostro mondo e quindi accettare di essere
poveri. Solo il povero cammina nelle cose essenziali.
Povero è colui che non litiga, non contesta e
non contende per le cose del mondo, perché sa che solo presso Dio è la sua
vita, la sua sicurezza, la sua liberazione. Povero è colui che ha
fame e sete di Dio, per cui non ha altro interesse che l'interesse per Dio, e
non ha altro argomento con il mondo che le cose dello Spirito. È questa povertà
la porta amica che apre l'immensa panoramica della vita con Colui che è
Trascendente e Presente, poiché è la condizione per camminare con Cristo verso
questa Presenza Divina trascendente e immanente.
Non per nulla Gesù dichiara: "Chi non
rinuncia a tutto ciò che ha, chi non rinnega se stesso, non può
essere mio discepolo, non può entrare nel Regno di Dio" (cf Lc
9,23-24). Gesù ha voluto precisare, per coloro che vogliono seguirlo, le
condizioni, le esigenze e le difficoltà che il cammino verso Dio
presenta, per evitare facili entusiasmi e le conseguenti amare delusioni.
Per questo ha detto anche che è necessario fare bene prima i conti a tavolino
ed essere consapevoli di ciò cui si va incontro.
Dio va cercato prima di tutto, al di sopra di
tutto, nonostante tutto. Dio è un Amore che esige per Sé tutte le
forze dell'anima, soprattutto il pensare e il conoscere, senza le quali non
si cammina, con il Verbo che è tra noi, verso il Padre, per cui senza di esse
diventa assurdo e impossibile il trovarlo, il giungere alla sua Presenza.
(V – 21.02.1996 - continua)
(Articoli scritti da Luigi Bracco e
pubblicati su “La Fedeltà” )