L'incrociatore corazzato

San Giorgio

a Tobruk

1940 - 1941

 

Verso terra

Negli ultimi disperati giorni di resistenza da parte della piazzaforte, le armi della vecchia nave furono orientate verso terra.   Il 16, il 17, il 18 ed il 21 gennaio 1941 il San Giorgio effettuò tiri di sbarramento contro le truppe nemiche in movimento intorno a Tobruk, , senza conseguire risultati apprezzabili, infatti il nemico si muoveva al di là del costone che circondava la rada, e rendeva necessario per la direzione del tiro disporre delle informazioni fornite via telefono da un osservatorio piazzato sulla sommità del costone stesso.  Infine, il 21 gennaio la linea di difesa a terra venne sfondata dal nemico e non si poté più disporre degli osservatori.


Il San Giorgio a Tobruk

Il destino del San Giorgio

A questo punto era necessario prendere una decisione sul destino della nave, dal momento che indugiare ulteriormente significava la distruzione certa dell'unità, che si sarebbe potuta riutilizzare con successo a difesa di altri porti.

La Regia Marina era intenzionata a far partire l'unità per metterla in salvo, ma la decisione finale era stata affidata all'Alto Comando in Libia, presieduto da Graziani, uomo fermamente ancorato a terra, con vedute non propriamente ampie, che considerava la nave come un forte che non ammaina bandiera.   Stranamente non dimostrava la stessa mentalità quando aveva a che fare con il suo esercito, notoriamente piuttosto incline alla resa.    Graziani considerava che la partenza della nave dalla rada, oltre a sottrarre un contributo determinante alla difesa, poneva anche un problema di carattere morale, con carattere deleterio nei confronti della truppa rimasta a terra.

Una considerazione del genere, quando oramai il contributo delle artiglierie della nave era pressoché nullo ed il morale delle truppe già "a terra", mentre si stavano già sabotando gli apprestamenti portuali per impedirne l'utilizzo da parte del nemico, appare decisamente fuori luogo e ben distante dalla realtà delle cose.   Purtroppo era questo il pensiero di chi aveva il compito di decidere in merito alla sorte dell'unità.

La mattina del 21 si completò lo sfondamento nemico, e gli inglesi dilagarono nella Piazza, ed alle 10.30, dietro richiesta del Comando, vennero sparate quattro salve da 254 mm e venti da 190 mm su una strada diretta verso Derna.   Alle 14.30 il tiro venne diretto su truppe e carri a 1.500 metri dalla nave; tali truppe si ritirano dietro il costone.   Gli aerei nemici erano padroni del cielo e sganciavano le loro armi contro la nave, senza mai colpirla.

Alle 19, infine, giunse l'ordine di distruggere la nave.

La fine del San Giorgio


Il San Giorgio in fiamme dopo essere stato sabotato nel gennaio 1941

La nave non poteva essere solamente allagata in quanto si sarebbe semplicemente poggiata sul fondo, che distava solo un paio di metri dalla chiglia della nave, rendendo semplice un eventuale recupero da parte del nemico.  Bisognava farla saltare.

Si provvide quindi al minamento dei depositi munizioni delle torri di grosso calibro.

Alle 00.30 gli uomini rimasti a bordo per tali operazioni, sei in tutto, accesero le micce e lasciarono la nave, ma dopo quaranta minuti la nave era ancora al suo posto, una sagoma scura e desolata nel suo abbandono.   Alle tre gli uomini tornarono a bordo per ripetere le operazioni di minamento, evidentemente qualcosa era andato storto, sebbene nei depositi da 190 mm si fosse sviluppato un incendio.   Quando le operazioni di minamento erano appena concluse la nave fu squassata da una forte esplosione, avvenuta nel deposito da 190, la nave si inclinò sul lato sinistro e si poggiò sul fondo, restando con tutto il ponte di coperta fuori dalle acque.

Gli uomini tornati a bordo riuscirono a gettarsi in mare al momento dell'esplosione, nella quale perirono comunque due persone, e a tornare a terra, chi a nuoto chi in barca, e vennero fatti prigionieri il giorno successivo.   Altri uomini del San Giorgio, a bordo del motopeschereccio requisito Risveglio II riuscirono ad uscire di nascosto dal porto ed a raggiungere, dopo quattro giorni di navigazione, l'Italia.

Epilogo

Nell'affondamento la nave aveva subito danni decisamente inferiori rispetto all'apparenza, era infatti esploso solamente il deposito munizioni centrale, con danni vistosi ma non irreparabili, mentre i depositi dei 254 non erano esplosi.

Quando nel 1942 gli italiani ripresero possesso di Tobruk, trovarono alcune artiglierie ancora in ordine, tranne tre bocche da 190 mm, e recuperarono tre complessi da 100/47, che furono inviati in Italia e rimessi in grado di operare.


Il relitto del San Giorgio durante le operazioni di recupero nel dopoguerra

Dopo la fine della guerra, nel 1951, il Governo italiano si accordò con quello libico per poter recuperare il relitto, ancora in grado di galleggiare, ma durante il rimorchio verso l'Italia, in mare aperto, i cavi di rimorchio si spezzarono, ed il relitto del San Giorgio colò a picco, in punto a 100 miglia da Tobruk, dove riposa ancora, dopo aver combattuto tre guerre ed aver abbattuto o danneggiato ben 47 velivoli nemici durante i soli sette mesi di permanenza a Tobruk.

 

 

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