Baghdad, saccheggi premeditati
Predoni
con arnesi professionali e la mappa
dei pezzi migliori: tutto pianificato?
JOHN ANDREW MANISCO
da IL MANIFESTO, 25/4/03Il saccheggio del Museo archeologico di
Baghdad non è stato il risultato casuale dell'iniziale
anarchia provocata dalla caduta della capitale ma una
operazione premeditata e pianificata nei più minimi
dettagli. Tant'è che molti oggetti rubati stanno già
raggiungendo collezioni di antichità private in giro per
il mondo. Secondo le testimonianze dei guardiani e dei
funzionari del Museo archeologico più importante del
Medioriente i saccheggi sono avvenuti in due ondate.
Il primo attacco è iniziato all'alba di giovedì 10
aprile ed è durato fino alla sera di venerdi. I
saccheggiatori erano muniti di attrezzature
specialistiche per tagliare vetri e pietre, sapevano dove
trovare le chiavi delle camere blindate nei sotterranei e
più specificamente che cosa prelevare.
La seconda ondata dei giorni seguenti è stata più
«opportunista», il tipo di saccheggio che il ministro
della difesa Rumsfeld ha descritto durante una conferenza
stampa dell'11 aprile come l'esuberanza naturale di un
popolo appena liberato da trent'anni di dittatura.
Tornando alla prima ondata di saccheggi, la testimonianza
di Mohsen Hassan, vice conservatore del Museo, rivela
come molti dei saccheggiatori non provenivano dai
quartieri poveri di Baghdad ma erano di classe media, e
sembravano sapere esattamente cosa cercare. «Conoscevano
il valore di quel che prendevano? Lo sapevano
assolutamente - ha dichiarato Hassan al New York Times -
e sapevano quali erano gli oggetti più pregiati della
nostra collezione».
L'archeologo Donny George, direttore dell'ufficio
antichità del governo iracheno, ha descritto come i suoi
dipendenti siano stati minacciati di morte quando hanno
cercato di impedire il furto delle opere più importanti,
mentre altri saccheggiatori che si dedicavano a mobili e
materiale d'ufficio scappavano, se sfidati. «E' certo
che sapevano quello che volevano» ha detto George
facendo vedere strumenti per tagliare il vetro e per la
lavorazione della pietra, insistendo che un ladro comune
non si porterebbe appresso arnesi come quelli. «Erano
ben organizzati e sembra che avessero già pianificato
come esportarli dal paese».
Altri testimoni presenti durante le prime 48 ore di
saccheggio hanno descritto alcuni uomini presenti sul
luogo, ben vestiti e con ricetrasmittenti, e di artefatti
trasportati dal museo in ben ordinati convogli di
camioncini. Inoltre tutte le repliche di oggetti preziosi
esposti nelle baceche non sono state toccate, mentre gli
originali custoditi sotto chiave nei depositi sono
spariti. Ventotto gallerie, camere blindate, depositi
sotterranei di vari piani non illuminati protetti da
grandi porte di acciaio completamente depredate. Più di
170.000 ogetti rubati, testimonianze delle origini della
nostra civiltà a partire dal decimo millennio avanti
Cristo, una perdita per l'umanità paragonabile al rogo
della biblioteca di Alessandria, secondo Elizabeth C.
Stone, docente di antropologia all'Università dello
Stato di New York.
Karl-Heinz Kind, specialista per il traffico
internazionale di oggetti d'arte e antichità per
l'Interpol, ha dichiarato al Daily Telegraph di Londra
che «abbiamo già notizie di oggetti in vendita in
Svizzera e nel Giappone». Tutti questi fatti hanno
portato gli esperti dell'Unesco, l'organizzazione
dell'Onu che si occupa di educazione, scienza e cultura,
riuniti a Parigi il 17 aprile, a dedurre che il
saccheggio era stato pianificato ben prima della guerra
da mandanti fuori dal paese. Nell'incontro di Parigi,
McGuire Gibson, presidente dell'Associazione Americana di
Ricerca a Baghdad, ha annunciato di aver avuto
informazioni che alcuni oggetti del museo erano stati
già inviati in Iran ed in Europa. «Sono sicuro - ha
detto Gibson - che il saccheggio era stato organizzato da
persone fuori dal paese». E pensare che la stessa
agenzia capeggiata dal proconsole americano ed ex
generale Jay Garner, l'ufficio di ricostruzione e
assistenza umanitaria, la Orha, aveva inviato il 26 marzo
una notifica al comando delle forze armate americane
indicando 16 siti da proteggere che «devono essere messi
al sicuro al più presto». La prima della lista era la
banca nazionale, la seconda il Museo archeologico di
Baghdad. Il ministero del petrolio era ultimo nella
lista. Insieme al ministero degli interni, è stato
invece il primo ad essere messo al sicuro dalle truppe di
occupazione del generale Franks.
Il Pentagono si è difeso dichiarando che il suo compito
era di proteggere i siti durante la battaglia ma non
dopo, quando sono niziati i saccheggi. «Tutto questo
malgrado le organizzazioni archeologiche e culturali da
mesi avessero avvertito le autorità del pericolo di
saccheggi, ma nessuno ci ha dato retta» ha detto Neil
Brodie , esperto di commercio illegale di antichità di
Cambridge. L'Unesco ha chiesto che il Consiglio di
sicurezza dell'Onu approvi al più presto una risoluzione
che imponga l'immediata proibizione del commercio di
antichità o di oggetti appartenenti al patrimonio
storico dell'Iraq. Volendo appropriarsi di un'antica
tavoletta cuneiforme della Mesopotamia, o una collana
sumera, o una punta di freccia bronzea di più di 2000
anni, o «un importante bassorielievo assiro» per
150mila dollari, per ora basta indirizzarsi sul sito di
aste internet E-Bay e comprarli.
http://www.mecenate.info/files/articolo_stampa.asp?id=250
LA DENUNCIA DEGLI ARCHEOLOGI CONTRO
L'INDIFFERENZA AMERICANA AI SACCHEGGI
La Stampa - 19/4/03
http://www.clorofilla.it/articolo.asp?articolo=3005
Iraq liberato... dalla
cultura:
non resta traccia della Mesopotamia
http://www.a-torino.com/cur/iraq.htm
BAGHDAD CHIAMA TORINO
http://www.granbaol.org/archives/00000437.htm
BOTTINO DI GUERRA
http://www.zoooom.it/documenti/0/0/60/67/nerone.htm
IRAQ ANNO ZERO - LA MEMORIA BRUCIATA - NERONE A
BAGHDAD
(traduzioni segnalate su
Informationguerrilla.org)
|
|
WWW. IRAQSVENDESI. COM
Saccheggiato
il patrimonio archeologico delle mille e una notte - I
beni meno preziosi sono finiti in Internet: per
acquistarli bastano 20 dollari
di Umberto Rapetto (Colonnello della Guardia di
Finanza e Comandante del Gruppo Anticrimine Tecnologico)
da AVVENIMENTI n.16 del 25/4/03Nemmeno Hulagu, il nipotino di Gengis
Khan, era riuscito a far di meglio. Ed era bravo, non
c'è che dire. Eppure, quando alla guida dei Mongoli otto
secoli fa saccheggiò Baghdad, non immaginava che una
città sotto ferreo controllo militare fosse capace di
far evaporare il più imponente tesoro archeologico del
pianeta.
Come la figlia del Conte Mascetti, l'indimenticabile Ugo
Tognazzi di "Amici miei", la milizia della
Coalizione non s'è accorta di nulla. Quando Raffaello
Mascetti chiede alla figliola Melisenda come possa esser
rimasta incinta sul posto di lavoro, l'orribile fanciulla
replica con "sparecchiavo" (locuzione storica
seconda soltanto al garibaldino "obbedisco").
Analogamente le truppe di Baghdad. Secondo Rumsfeld,
torme di "giovannoni" (in ossequio al
sottocuoco della pellicola) ne hanno approfittato.
Centosettantamila oggetti preziosi, diecimila anni di
storia. E' questo il bilancio dell'ignobile depredazione
del Museo della capitale irachena, avvenuta sotto gli
occhi delle truppe di liberazione che nulla hanno fatto
per impedire lo scempio. Anzi. Quando i militari hanno
fatto fuoco, come ha testimoniato un fotografo
dell'agenzia AFP, è stato per uccidere un commerciante
che stava difendendo con un Kalashnikov il proprio
negozio assaltato dagli improvvisati predoni in azione
per le vie di Bagdad. Ma la giustificazione non è
tardata ad arrivare: l'uomo crivellato di colpi nella
strada commerciale di Al-Rashid era un fedayin. Peggio.
Mohammad al-Barheini, 25 anni, era un fedelissimo di
Saddam. La fonte di tale notizia? Agli americani l'hanno
detto i ladri. Ed è bastato per archiviare l'episodio e
tornare alla normalità.
Non è bastata la razzia del Museo e lo sfacelo urbano.
"La nostra eredità nazionale è perduta"
piange Haitem Aziz, insegnante di scuola media superiore.
Dopo il furto delle opere d'arte, l'incendio della
Biblioteca Nazionale. Libri e manoscritti ridotti in
cenere. Un'alta colonna di fumo. Le fiamme che cremavano
le spoglie della cultura uccisa senza pietà, lapidata in
nome di "altre priorità" che non potevano
distogliere le forze armate da differenti mansioni
tattiche nella città occupata.
Il brigadier generale Vincent Brooks nel corso del
briefing al Comando Centrale Usa in Qatar ha candidamente
asserito che secondo lui nessuno avrebbe mai pensato che
le ricchezze archeologiche dell'Iraq avrebbero potuto
essere oggetto di feroce saccheggio. L'alto ufficiale,
troppo spartano e poco ateniese nelle manifestazioni
verbali e negli atteggiamenti di sorpresa per l'accaduto,
forse non conosce la storia e ha poca dimestichezza con
Ninive, Babilonia, i Sumeri, gli Assiri. Oppure non legge
i giornali e, ancor meno, si preoccupa della querelle che
- lontano dai campi di battaglia - infiamma il mondo
preoccupato per la sorte del patrimonio culturale
iracheno. Se Brooks - come Pippo nella canzone di Gorni
Kramer - non lo sa, potremmo dargli una mano a capire
quel che sta succedendo. Ma se non l'ha fatto prima,
difficile lo faccia ora e soprattutto impossibile che lo
possa fare sfogliando queste pagine. Diamo così un aiuto
a noi stessi, per riordinare le idee e per scoprire
qualche interessante retroscena.
Qualche giorno fa un settimanale britannico, il Sunday
Herald a voler essere precisi, ha lanciato un allarme. La
penna di Liam McDougall ha firmato un pezzo in cui si
legge che famelici branchi di sciacalli dell'arte
sarebbero in procinto di sbranare il tesoro archeologico
delle terre irachene. La faccenda ha i contorni
sufficientemente nitidi per destare attenzione al
problema: ancor prima che cominciasse la guerra a Saddam,
un manipolo di collezionisti d'arte e di esperti legali
del settore ha incontrato i manager dell'Amministrazione
Bush.
Si tratta del meeting in cui hanno parlato e discusso i
rappresentanti dell'American Council for Cultural Policy
(Accp) e i vertici del Pentagono e del Dipartimento di
Stato. Il sodalizio in questione, che si occupa di
politiche culturali per l'America, si sarebbe messo a
disposizione, pronto ad offrire collaborazione ed
assistenza nel difficile compito di tutelare lo
sterminato patrimonio archeologico di Bagdad e dintorni.
Un'opera meritoria. Peccato che l'Accp abbia nei propri
ranghi un plotone di commercianti d'arte, la cui lobby ha
un peso specifico tutt'altro che trascurabile. Questi
signori hanno da tempo manifestato un certo interesse a
veder indebolita la disciplina normativa vigente in Iraq
in tema di proprietà dei beni culturali e di
esportazione di antichità ed oggetti d'arte. Le attuali
regole sono ferree e sono giustificate dalla ragionevole
esigenza di tutelare il patrimonio culturale di quella
culla della civiltà. Difficile comprare, quindi, ma
soprattutto impossibile portar via da quel territorio le
opere che potrebbero far impazzire sia gli operatori di
questo mercato, sia la clientela più esigente. In questa
associazione a tenere i conti c'è un tale William
Pearlstein. Il tizio, che assolve egregiamente le sue
funzioni di Tesoriere, negli ultimi tempi ha trovato da
ridire sui vincoli e sui controlli vigenti in materia di
export e sarebbe ben orientato a garantire il
"supporto post-bellico" agli Stati Uniti,
sempre che il regime provvisorio tenga fede ad un
agreement stipulato prima dell'entrata in guerra: se gli
Usa allentano le briglie in quella branca di commercio,
questi volenterosi sono pronti a prestare le proprie
competenze e capacità per la salvaguardia delle opere
d'arte che diversamente potrebbero finire disperse o
altrimenti avrebbero chance limitate per essere
effettivamente "valorizzate".
Il fin troppo premuroso atteggiamento dell'Accp sembra
aver incluso anche la "timeline", ossia una
agenda meticolosamente cadenzata sotto il profilo
cronologico, che i "grand commis" di Washington
dovrebbero rispettare per giungere in tempi rapidi alla
liberalizzazione commerciale e doganale dei tesori
storico-artistici iracheni.
Il coro di proteste è il più qualificato. Ad alzar la
voce c'è - tra gli altri - il capo dei ricercatori
archeologi della University of Cambridge, nonché
direttore del McDonald Institute for Archeological
Research, Lord Renfrew of Kaimsthorn. L'illustre
professore, nello spiegare la comprensibile severità
delle norme vigenti in Iraq a tutela del relativo
patrimonio culturale, ha rimarcato che l'ingerenza di
possibili speculatori in quel contesto è motivo di seria
preoccupazione. Le eventuali modifiche all'assetto
legislativo sarebbero -secondo le stesse parole di Lord
Renfrew- "assolutamente mostruose".
Gli fa eco Patty Gerstenblith, agguerritissima
presidentessa dell'Archaeological Institute of America
(AIA), che qualifica "disastroso" anche il
minimo fiaccamento della rigorosa legislazione di Bagdad
che vincola e difende i beni artistici. La Gerstenblith
parla chiaro: il management dell'Accp ha ben chiaro
l'obiettivo di cancellare i divieti di esportazione e
semplificare drasticamente le correlate incombenze
burocratiche, fino a giungere alla
"auspicabile" eliminazione della proprietà
nazionale di qualsivoglia opera o reperto di carattere
storico.
I dirigenti dell'American Council for Cultural Policy si
indignano e respingono al mittente ogni accusa. Il loro
possibile intervento è di mero "supporto
conservativo". Ma qualche lingua grama -e questa non
manca mai, specie quando può aver ragione- identifica
tra i membri di ACCP personaggi non proprio al di sopra
di ogni sospetto e invece piuttosto vicini ai nebulosi
ambienti dei traffici di collezioni d'arte che hanno
preso forma con le razzie del Terzo Reich.
Patty Gerstenblith, intanto, segnala che i pezzi di
maggior pregio sono ormai spariti. Gli sciacalli, che
hanno spazzolato Bagdad, hanno lasciato al loro posto
solo le statue e le altre opere la cui rimozione non era
possibile per peso o dimensione. Il professor McGuire
Gibson della University of Chicago non esita a dire che
molti reperti sarebbero già finiti nell'avida rete
commerciale ed alcuni sarebbero stati esposti a Parigi
per la gioia dei collezionisti senza scrupoli. Gibson
lamenta il ruolo totalmente passivo dei militari
americani e britannici che -pur trovandosi diretti
spettatori dello scempio in atto- non hanno fatto nulla
per fermare un disastro che si può paragonare soltanto
alla distruzione della famosa Biblioteca di Alessandria
d'Egitto di duemila anni fa.
La Gerstenblith tira fuori pure la sua paura di Internet.
Le autostrade dell'informazione sono un veicolo micidiale
per la commercializzazione di oggetti non facilmente
reperibili nelle vetrine delle nostre città. Il sempre
più diffuso meccanismo delle aste on line tra soggetti
privati, con una aggiudicazione senza troppe formalità e
con un agevole pagamento con carta di credito, potrebbe
essere il sistema per piazzare sul mercato la refurtiva
di Bagdad. Sul sito di aste via Internet E-Bay, lo può
constatare chiunque, si trovano vasellame, piccole
suppellettili e tavolette con iscrizioni cuneiformi a
prezzi accessibili a tutti. Le quotazioni variano dai 20
ai 50 dollari, lasciando spazio per impennate nel caso di
reperti di più elevato interesse storico o artistico.
Secondo la Gerstenblith, la mercanzia attualmente
all'asta sarebbe composta da piccoli esemplari
contrabbandati dall'Iraq nel periodo dell'embargo, ma tra
qualche tempo potrebbero sbarcare i primi pezzi della
razzia di questi giorni. Il mouse del computer come il
grilletto di un fucile mitragliatore: il saccheggio
continua in Rete.
Nel frattempo qualcuno si domanda se l'inerzia delle
truppe a questo proposito abbia una ragione o fosse
addirittura preordinata. Qualcun altro, invece, si
domanda i motivi del diverso atteggiamento tenuto in
occasione degli assalti alle ambasciate e alle altre sedi
delle rappresentanze diplomatiche: l'intervento lì c'è
stato e non ha mancato di tempestività. In quel caso i
tesori erano carte e fascicoli capaci, non di
testimoniare la storia dei Sumeri, ma forse di modificare
il corso di quella a venire. E a simili appuntamenti, si
sa, bisogna arrivare puntuali.
|