I FONDAMENTI BIBLICI DELLA GESTUALITÀ RITUALE

L'IMPOSIZIONE DELLE MANI

Un segno che nel «Rinnovamento nello Spirito» si manifesta è quello dell'«imposizione delle mani». Questo è il gesto che crea più difficoltà, appunto per il suo valore polivalente. Un segno insolito, almeno in parte, nelle celebrazioni comuni. Per la maggior parte dei cristiani l'unico gesto compatibile con la preghiera è il segno della croce. Invece i libri dell'Antico Testamento fanno sovente menzione dell'imposizione delle mani nei rituali dei sacrifici, nell'ordinazione dei leviti; nel Nuovo Testamento l'imposizione delle mani viene attribuita sia a Gesù che ai discepoli.

Tale gesto, nell'Antico Testamento veniva fatto nel rito del grande giorno dell'espiazione, ove l'imposizione delle mani stava ad indicare il trasferimento dei peccati e delle colpe: «Aronne poserà le mani sul capo del capro vivo, confesserà sopra di esso tutte le iniquità degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li riverserà sulla testa del capro, poi...» (Lv 16,21); «Gli anziani della comunità poseranno le mani sulla testa del giovenco e lo si immolerà davanti al Signore» (Lv 4,15).

Lo stesso gesto viene descritto anche in relazione al giudizio: «Conduci quel bestemmiatore fuori dall'accampamento; quanti lo hanno udito posino le mani sul suo capo e tutta la comunità lo lapiderà» (Lv 24,14).

Infine, l'imposizione delle mani, era il gesto che voleva significare la trasmissione, a un altra persona, di un compito odi una funzione. «Il Signore disse a Mosé: 'Prenditi Giosuè. . . porrai la mano su di lui.» (Nm 27,l8ss). Il Deuteronomio precisa che: «Giosué, figlio di Nun, era pieno di spirito di saggezza, perché Mosè aveva imposto le mani su di lui...» (34,9); «Farai avvicinare i leviti davanti al Signore e gli Israeliti porranno le mani sui leviti» (Nm 8,10).

Nel Nuovo Testamento l'imposizione delle mani era usato da Gesù come segno di benedizione e guarigione.

«Allora gli furono presentati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse» (Mt 19,13).

Gesù nell'Ascensione ripresenta lo stesso gesto: «Alzando le mani, li benediceva» (Lc 24,50).

Con il medesimo gesto Gesù guariva i malati. Ma già nell'Antico Testamento si era verificato qualcosa di simile. Nel secondo libro dei Re si dice: «Eliseo pose le mani sulle mani del ragazzo...» (4,34). Gesù usa questo gesto per operare prodigi: «Gesù stese la mano, lo toccò e... fu guarito» (Mt 8,3; Mc 1,41; Le 5,13).

Ancora in un passo del Vangelo viene espressamente detto che Gesù imponeva le mani per guarire. In un altro gli viene chiesto di imporre le mani per guarire. L'episodio è quello della guarigione della figlia di Giàiro, infatti: «vieni a imporle le mani» (Mt 9,18; Mc 5,22s; Lc 8,41s).

Gli presentano il sordomuto della Decapoli, «pregandolo di imporgli la mano» (Mt 7,32).

Gesù nella sua visita, potremmo dire pastorale, a Nazareth, nota che proprio nel luogo ove Egli è vissuto non c'è fede, non c'è capacità di stupirsi delle meraviglie di Dio. Ma Egli, dice la Scrittura, operò prodigi: «Gesù impose le mani a pochi ammalati e li guarì» (Mt 3,56; Mc 6,5).

Gesù spesso usa questo gesto nella sua opera «missionaria», e di insegnamento pastorale ai discepoli. In tutti i casi di guarigione, o quasi, Egli opera con l'imposizione delle mani.

Questo è un grande segno dell'amore, «coprire le infermità con le proprie mani».

Gli conducono il cieco di Betsaida: «Pregandolo di toccano. Allora.., gli impose le mani... Poi gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vedeva chiaramente» (Mc 8,22-25). «Tutti quelli che avevano infermi, colpiti da ma/i di ogni genere, li conducevano a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva» (Le 4,40).

Il gesto di «imporre le mani» è in stretta relazione al comando di Gesù; questo è un comando che si trova nella finale del Vangelo di Marco: «Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono... imporrano le mani ai malati e questi guariranno» (Mc 16,18).

Negli Atti degli Apostoli è descritta l'autenticità e l'efficacia di questo gesto: infatti, Anania impone le mani a Paolo: «e improvvisamente gli caddero dagli occhi delle squame e recuperò la vista» (At 9,l7ss). Lo stesso Paolo dopo, durante il suo viaggio a Malta, compirà lo stesso gesto e guarirà il padre di Publio: «dopo aver pregato, gli impose le mani e lo guarì» (At 28,8b). Ma l'imposizione delle mani non è solo un segno di miracolo, è anche un gesto che comunica lo Spirito Santo. È il caso degli apostoli Pietro e Paolo in Samaria: «Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo» (At 8,17). Lo stesso per i discepoli di Efeso: «E non appena Paolo ebbe imposto le mani, scese su di loro lo Spirito Santo e parlavano in lingue e profetavano» (At 19,6). In altri passi biblici, imporre le mani su di una persona significava invocare e trasmettere su di lei il dono dello Spirito Santo, per una determinata missione, servizio... Quando la comunità diventò grande si sentì il bisogno di «cercare degli uomini pieni di Spirito Santo e di saggezza per dare loro l'incarico» (At 6,3). Dopo che fra la comunità ebbero cercato sette uomini, «li presentarono agli Apostoli, i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani» (At 6,6).

Tutta la comunità di Antiochia dà l’avvio alla missione di Barnaba e Paolo con questo gesto: «... imposero le mani e li accompagnavano» (At 13,3). Per questo Paolo potrà ricordare ad un altro ministro della comunità, Timoteo, il gesto sacramentale che sta alla radice della sua missione: «Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito, per indicazione dei profeti, con l’imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri» (1Tm 4,14; cf. 2Tm 1,6).

Nel «Rinnovamento nello Spirito» questo gesto si usa in casi analoghi: quando si prega per le guarigioni, quando si invia qualcuno in missione, quando si dà un ministero ad un fratello e, soprattutto, durante la «Preghiera di effusione».

La Preghiera di effusione è l’aspetto peculiare del «Rinnovamento nello Spirito». Ad essa l’effusionando arriva normalmente, dopo un cammino di catechesi detto «Seminario di vita nuova nello Spirito».

«L’esperienza fondamentale del Rinnovamento nello Spirito consiste nella provata efficacia della preghiera semplice e comunitaria, rivolta al Signore da alcuni membri del gruppo, per chiedere una nuova abbondanza del Suo Spirito per la persona che ha manifestato un tale desiderio (...), imponendo le mani sul capo o sulle spalle...» (Profilo Teologico del Rinnovamento nello Spirito, 9).

Ora esaminiamo il significato più proprio di questa imposizione delle mani, dicendo subito che non è un sacramento.., e che «... questa preghiera non ha l’efficacia ‘ex opere operato’ propria del sacramento» (Profilo Teologico del Rinnovamento nello Spirito, 8).

«Invece di partire dai Sacramenti, per prenderli come termine di paragone dell’imposizione delle mani praticata nelle comunità carismatiche, sarebbe meglio fare il contrario. Bisognerebbe domandarsi se, praticando l’imposizione delle mani per invocare lo Spirito Santo su un fratello, le comunità carismatiche non riscoprano un uso che era normale e che dovrebbe essere più frequente. Ci vorrebbe uno studio storico. Non ci porterebbe a considerare l’imposizione delle mani da parte di un cristiano o di una comunità, un gesto normale della vita religiosa, più o meno caduto in disuso, e che il movimento carismatico ci aiuta a riscoprire?» (La traduzione è dell’autore. G. LAEONT, Pour un discernement, in «La vie spirituelle», gen. 1974, 89).

L’imposizione delle mani può avere due significati: un significato di invocazione e un significato di consacrazione. Vediamo presenti, per esempio, entrambi questi tipi di imposizione delle mani nella Messa: c’è una imposizione delle mani di carattere invocatorio (almeno per noi latini) ed è quella che il sacerdote fa sulle offerte al momento dell’epiclesi, quando prega dicendo: «Lo Spirito Santo santifichi questi doni perché diventino il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo»; e c’è una imposizione delle mani consacratoria ed è quella che fanno i concelebranti sulle offerte al momento della consacrazione.

Nel rito stesso della Cresima, come si svolge attualmente, vi sono due imposizioni delle mani; una previa di carattere invocatorio e un’altra consacratoria che accompagna il gesto dell’unzione crismale sulla fronte, nella quale si realizza il sacramento vero e proprio.

Nella «Preghiera di effusione dello Spirito», che si usa fare nell’ambito del Rinnovamento nello Spirito, l’imposizione delle mani ha un carattere soltanto invocatorio (sulla linea che incontriamo in Gn 48,14; Lv 9,22; Mc 10,13-16; Mt 19,13-15).

Ha anche un valore altamente simbolico: richiama l’immagine dello Spirito Santo che copre con la sua ombra (cf. Lc 1,35); ricorda anche lo Spirito Santo che «aleggiava» sulle acque (nell'originale il termine che traduciamo con aleggiava significa «ricoprire con le proprie ali, o covare, come fa la gallina con i suoi pulcini»: questa spiegazione nell’icona della Trinità di Ruhlev si traduce nel gesto della mano che è ricurva come per proteggere qualcosa sulla mensa eucaristica).

Questo simbolismo del gesto dell’imposizione delle mani è messo in luce da Tertulliano quando ne parla a proposito dei battezzati: «La carne è adombrata dall’imposizione delle mani perché illuminata dallo Spirito» (caro manus impositione adomhratur, ut anima Spiritus in/uminetun - Sulla risurrezione dei morti - 8,3).

C’è un paradosso come in tutte le cose di Dio: l’imposizione delle mani illumina adombrando, come la nube che seguiva il popolo eletto nell’Esodo e come la nube avvolse i discepoli sul Tabor (cf. Mt 17,5) (RANIERO CANTALAMESSA, Rinnovarsi nello Spirito, Roma, Paoline, 1984, 104-105).

L’imposizione delle mani, in questo caso, non è certamente un sacramentale, né un esercizio di magia, ma semplicemente un gesto di preghiera. Rimane evidente che il «Rinnovamento nello Spirito» certamente non vuole fare concorrenza ai sacramentali, né tanto meno ai sacramenti.

Questo concetto è chiaro a tutti i partecipanti a questa «corrente di grazia», a cominciare dai suoi esponenti di primo piano. Al riguardo, così scrive uno tra i più autorevoli responsabili del movimento: «... il gesto non ha significato di ‘rito sacramentale’; è solo un modo confidenziale, con il quale la comunità orante presenta quella persona a Dio; gesto ‘indicativo’, più che ‘deprecativo’, che per il Rinnovamento non ha valore neppure di ‘sacramentale»’ (DINO FOGLIO, volume I Il vero volto del Rinnovamento nello Spirito in Italia, Brescia, Ed. Del Moretto, 1981, 85).

Il gesto dell’imposizione delle mani che accompagna spesso il «battesimo nello Spirito» o «effusione dello Spirito», come si preferisce chiamarla in Italia, non è dunque un nuovo rito sacramentale.

È un gesto fraterno di amore e di preghiera.

È un essere solidale con il fratello.

«È un’espressione concreta, sensibile, di quella solidarietà che nel Rinnovamento di Pentecoste non è una vana parola» (RENÉ LAURENTIN, Il movimento carismatico nella chiesa cattolica, rischi e avvenire, Brescia, Queriniana, 19772, 62).

Ma viene fatta una osservazione da molti sacerdoti sul fatto che nel «Rinnovamento nello Spirito» anche i laici possono imporre le mani. Per loro sembrerebbe una cosa impensabile, perché affermerebbero che solo il Papa, i Vescovi e i Sacerdoti hanno l’«imprimatur» dal Signore.

Ed è di questa idea lo Zoffoli: «In conclusione, soltanto Gesù, gli Apostoli e i capi della Chiesa primitiva ‘impongono le mani’: il gesto arriva ad avere il significato e l’efficacia di un sacramentale… (ENRICO ZOFFOlI, Carismi e carismatici nella chiesa, Roma, Dheoniane, 1990, 113).

E i laici? Ma cosa ne pensa la Sacra Scrittura? I laici possono imporre le mani? Se sì, in che senso?

Ora cercherò di rispondere, partendo dal fondamento biblico, cioè andrò ad analizzare tutte quelle pericopi dove si intravede questo problema.

Nella Sacra Scrittura troviamo molti passi in cui si afferma che anche i laici possono compiere questo gesto.

È un laico Giacobbe che benedice i due figli di Giuseppe.

Ma ancora più significativo è il fatto che, quando Gesù impone le mani, agisce in veste di laico rispetto agli ordinamenti della comunità giudaica.

Nella chiesa nascente è un laico, Anania, che impone le mani su Paolo: «Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani...» (At 9,17) ed è tutta la comunità che impone le mani su Paolo e Barnaba «… imposero loro le mani» (At 13,3). L’imposizione delle mani da parte dei laici continua a essere praticata nei primi secoli della Chiesa.

Solo a partire dal IV secolo, si cominciò a riservare questo gesto ai soli sacerdoti, pur rimanendo permesso ai laici in certe occasioni, ad esempio anche nella liturgia, nel rito del battesimo (LAURENTIN, Il movimento, 62)

«Ancora non molto tempo fa, nelle famiglie cristiane i genitori compivano questo gesto sui loro figli in certi momenti decisivi per la loro vita di fede o al momento di entrare nella vita religiosa...» (La traduzione è dell’autore. LAEONT, Pour un discernement, 89).

Il senso del gesto non vuole essere sacramentale, ma ha solo una funzione di semplice benedizione o preghiera, come già accennato prima e come ci viene attestato dal Vangelo: «E dopo aver imposto loro le mani, se ne partì» (Mt 19,15).

«Credo che l’imposizione delle mani utilizzata nei gruppi carismatici, debba essere considerata come una preghiera in azione, come un simbolo di preghiera analogo alla genuflessione e al segno della croce. È sempre impiegata in rapporto con la preghiera per una persona; l’imposizione delle mani sulla sua testa è un segno. Essa esprime l’intenzione di implorare la benedizione di Dio su colui per il quale si prega. Il prete lo fa come un esercizio del potere della funzione che il Cristo gli ha donato. Un laico lo fa in quanto bambino di Dio e tempio dello Spirito Santo, incaricati di portare l’amore e la grazia di Cristo ai suoi fratelli» (La traduzione è dell’autore. E. O’CONNOR, L‘imposition des mains, trad. franc. di SR. Rov, Cornwall, Ont. Canada, 22).

Dunque: «Io mi domando se il movimento carismatico non insegnerà nuovamente alla Chiesa questa pratica estremamente bella, nella quale la fede, accettando di compromettersi corporalmente, si ravviva e si affina» (La traduzione è dell’autore. LAEONT, Pour un discernement, 89).