L. Bettazzi,
Non spegnete lo Spirito. Continuità e discontinuità del Concilio
Vaticano II, (Guide per la prassi
ecclesiale 24),
Queriniana, Brescia 2006, pp. 62 , € 4.50.
Mons.
Luigi Bettazzi - allora giovanissimo ausiliare del Card. Lercaro, arcivescovo di
Bologna e tra i Moderatori dell’Assemblea – ha partecipato al Concilio Vaticano
II e in questo piccolo volume fa un suo resoconto.
Il
testo è suddiviso in sette capitoletti. Il titolo del primo capitolo
(Continuità e discontinuità del Concilio Vaticano II, pp. 5-11) deriva da
una discussione in corso nella Chiesa cattolica: a quarant’anni della
conclusione del Concilio, esso ha davvero segnato una “discontinuità” nella
tradizione o, invece, rimane nella “continuità”, sia pure con alcune
innovazioni? Scrive l’autore che «c’è chi ha visto in questo Concilio un
‘evento’ che ha innovato la mentalità della Chiesa cattolica tanto da non
poterla più considerare uguale a quella di prima» (p. 5). A tal proposito viene
l’esperienza e la posizione del Centro di documentazione religiosa fondato da
Giuseppe Rossetti, le cui idee, oggi, sono fortemente criticate da chi ritiene
che un “evento” indicherebbe una rottura con il passato, non ammissibile nel
cammino della chiesa, rivendicando così la continuità. E «chi proclama la
“continuità” si fa forte oggi del discorso che Papa Benedetto XVI ha rivolto
alla curia romana il 23 dicembre 2005. In esso, il Papa, dopo aver deplorato chi
propugna la discontinuità, si schiera apertamente per la continuità con il
cammino della chiesa, spiegando che la Provvidenza non può permettere situazioni
che esigano rotture» (p. 6). La “continuità” rivendicata dal papa dev’essere
considerata – afferma Bettazzi- “continuità moderata”, dal momento che vi è
anche una “continuità radicale”, che svalutando il Vaticano II per la sua
qualifica “pastorale” (cf. p. 9).
In Un
Concilio pastorale per la fede e la preghiera (pp. 13-19) l’autore afferma
che, quando Giovanni XXIII indisse il Concilio, disse apertamente che sarebbe
stato un’assise convocata non per stabilire nuovi dogmi, ma per trovare il modo
di presentare le verità di fede alle donne e agli uomini del nostro tempo. Anche
se l’attributo “pastorale” è stato utilizzato solo per la Gaudium et spes,
in «realtà tutto il Concilio ha voluto essere “pastorale”, nel senso che non ha
voluto precisare nuove verità speculative quanto interessarsi a come l’umanità
di oggi possa vedere la fede cristiana come guida della sua vita» (p. 14).
Monsignor Bettazzi, passa a rassegna due aspetti: la fede e la liturgia.
Nel
capitoletto Un Concilio pastorale per la chiesa (pp. 21-26), l’autore
aiuta il lettore a comprendere il diverso modo di concepire la chiesa dopo il
Concilio. Infatti, prima di esso, vi era – scrive - «un’immagine di Chiesa
fortemente “clericale”, in cui ai laici, secondo l’immagine arguta del
romanziere Bruce Marshall, sono riservati tre atteggiamenti: in ginocchio
(mentre il prete celebra), seduti (quando il prete parla) e con le mani in tasca
(quando il prete passa a raccogliere le offerte)!» (p. 22). Con il Concilio,
nella Lumen Gentium, il popolo di Dio è trattato prema della gerarchia.
Nel
capitoletto Un Concilio pastorale per tutta l'umanità (pp. 27-34),
l’autore afferma l’impatto provocato dall’enciclica Pacem in terris di
Giovanni XXIII sull’opinione pubblica e come essa abbia indotto il Concilio a
convergere su quei temi in una costituzione, appunto “pastorale”.
In
Un Concilio pastorale per ogni essere umano (pp. 35-39), sottolinea il
significato autentico di “fede”, facendo la differenza fra la fides quae,
cioè le verità che crediamo e la fides qua, che implica una tensione,
un'adesione personale. Dire di credere senza che questo impegni la vita non è
credere…
Nel
capitolo Un Concilio pastorale per l'economia e per la pace (pp. 41-48),
l’autore afferma
«Nei
due campi dell'economia e della pace credo che nuovamente la continuità
dottrinale sfoci in discontinuità pastorali. Perché l'economia […] veniva dal
Concilio indicata come uno strumento da porre al servizio dell'umanità, di tutta
l'umanità, non solo della parte più fortunata che l'utilizza per garantire ed
accrescere il proprio benessere a spese della parte più debole del mondo (la
maggioranza)» (p. 41-42).
Nell’ultimo capitolo (“Già e non ancora”, pp. 49-57),
da Bettazzi parte la domanda se il Concilio Vaticano Il sia stato effettivamente
attuato. L’autore scrive che viene da rispondere: “Già e non ancora”. E spiega:
«nel senso che, se pensiamo a prima del Concilio, dobbiamo riconoscere che molto
è cambiato, da una maggiore familiarità con la parola di Dio ad una maggiore
comprensione e partecipazione alla Liturgia, da strutture di chiesa più
comunitarie (Sinodo dei vescovi, Conferenze episcopali, Consigli presbiterali e
Consigli pastorali, movimenti e gruppi) a una maggiore sensibilità per i
problemi della società e della pace. Questo indicherebbe il “già” realizzato. Il
“non ancora” sarebbe da individuare nelle possibilità di sviluppo che ancora si
prospettano e che non sono state attuate o incontrano ancora difficoltà, al di
là del tempo di cui tutte le novità hanno bisogno per venire colte come
opportune e per articolarsi nell'attuazione» (p. 49).
Se il
Concilio Vaticano II è stato - come disse Giovanni XXIII nel Discorso
d'apertura - una “Pentecoste per il nostro tempo”, che destò tante speranze
in tutto il mondo, anche e largamente al di fuori della chiesa, la
preoccupazione e l'impegno di tutti, nel presente, si riassume nelle parole che
san Paolo rivolgeva alle sue chiese: «Non spegnete lo Spirito» (cf. 1Ts 5,19).
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