INDICE

 

 

Introduzione
1. La famiglia
2. Educare alla fede
3. La famiglia: piccola chiesa domestica. È possibile oggi pregare in famiglia?
4. La famiglia: palestra di perdono
5. La Tenerezza in Famiglia
6. Educare all’amore. L’educazione sessuale in Famiglia
7. Paternità e maternità responsabile. Il bambino nasce da un atto responsabile d'amore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Introduzione

 

Il tema che quest’anno cercherò di affrontare è la famiglia, anche perché ci troviamo nell’anno post-giubilare dedicato alla famiglia che può essere definita un "poliedro" e cercherò di affrontare i vari spetti. Bisogna dire subito che purtroppo oggi il la parola famiglia è diventata una parola equivoca, poiché il termine non designa più quello che per generazioni a significato. Noi dobbiamo prendere atto di questa evoluzione semantica per poi meglio comprenderne il senso più profondo. Bisogna premettere che noi non riusciamo a definire chiaramente cosa sia la famiglia perché è una realtà multiforme. Potremmo applicare al nostro caso, quello che Sant’Agostino definisce del tempo. A tal proposito, nelle Confessioni, afferma: "se qualcuno mi chiede che cos’è il tempo, io non so rispondere, però se penso al tempo so che cosa è il tempo". Eppure ne facciamo quotidianamente esperienza. Possiamo affermare che la famiglia è quella realtà che tutti vivono e riconoscono, ma nessuno la sa spiegare se non parzialmente. La famiglia è caratterizzata da una pluralità di legami: marito-moglie, genitori-figli e fratelli-sorelle. Cioè è composta da persone che a volta hanno più relazioni. L’ISTAT ha definito una tipologia di ben 16 tipi di famiglie (ed è la più stringata che esiste), es:

Oggi si definisce famiglia persino l'unione di omosessuali che vivono insieme (basti ricordare la discussione su gay-…..). Da ciò notiamo la grande difficoltà nel definire la famiglia.

Credo che la definizione più bella di famiglia sia stata data da Lévistrausy: "Unione più o meno durevole, socialmente approvata, di un uomo, una donna e i loro figli".

Analizziamo questa definizione:

Tutto questo ci porta a riflettere seriamente sul nucleo fondamentale della società, la famiglia. Nei primi articoli esaminerò la famiglia nel magistero della chiesa. La chiesa, bisogna dire, che ha iniziato ha riflettere su questo tema già a partire dal Concilio Vaticano II:

Dopo il Concilio Vaticano II, il documento più significativo, che ha sintetizzato tutto il Magistero precedente, è costituito:

Questi sono i riferimenti essenziali sulla famiglia della chiesa universale. Accanto a questi per la chiesa italiana ve ne sono altri, emanati dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e sono:

Ulteriore riferimento che va fatto è:

Nei prossimi due numeri cercherò di esaminare i punti più importanti dei documento sopra elencati, per poi entrare in quelli che mi sembrano i punti nodali, come ad esempio l’indissolubilità, il rapporto genitori-figli, la sessualità etc.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo Primo

La famiglia

 

Nella costituzione dogmatica sulla chiesa, Lumen Gentium (LG) al numero 11, si legge: "in hac velut Ecclesia domestica"; le traduzione italiane più accreditate leggono "in questa che si potrebbe chiamare Chiesa domestica". I padri conciliari, è chiaro che qui, hanno usato l’espressione in senso metaforico. Nel decreto conciliare Apostolicam Axtuositatem (AA) sull’apostolato dei laici, invece, la famiglia è definita "santuario domestico della Chiesa". Definizione certamente più precisa sia teologicamente sia biblicamente. E’ da prendere atto, inoltre, che la LG, in nota non reca nessuna citazione dei testi neotestamentari. Anche Giovanni Paolo II, nell'esortazione apostolica Familiaris consortio (22 novembre 1981) mette in parentesi l’espressione "ecclesia domestica" (49) citando i documenti conciliari (LG; AA e l’omelia per l’apertura del VI sinodo dei vescovi- 26 settembre 1980), ma non fa nessun riferimento ai testi neotestamentari. Purtroppo non sempre i documenti successivi hanno inteso in senso metaforico l’espressione "ecclesiam domestica", com'era nel progetto originario del Concilio Vaticano II. Basti citare, ad esempio, il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) che dedica ben cinque paragrafi (n°1655-1658 e 1666) a La Chiesa domestica, identificata nella famiglia. La medesima ambiguità si trova anche in altri documenti. Da dove quest’ambiguità? Essa nasce, secondo me, tenendo presente il testo della Vulgata latina delle Lettere di Paolo, in cui l’espressione, "ecclesia domestica", ricorre in tutto quattro volte. Due volte: in Rm 16,5 (salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa) e in 1Cor 16,16; qui Paolo fa riferimento alla casa d'Aquila e Priscilla, in Efeso e a Roma. Negli altri due casi in Colossesi 4,15 (Salutate i fratelli di Laodicèa e Ninfa con la comunità che si raduna nella sua casa), riferendosi alla casa di Ninfa, e nel biglietto a Filemone v.2 (... alla comunità che si raduna nella tua casa) con riferimento alla casa di Filemone. Nel testo greco in tutti e quattro i casi troviamo l’espressione "kat’oikon ekklesia", in cui l’ekklesia non è riferita alla famiglia, ma bensì alla comunità cristiana che si riunisce nelle case citate. Penso che si è compreso che quando affermiamo che la famiglia è la piccola "chiesa domestica" lo diciamo in senso metaforico. Ora ci domandiamo la famiglia d'oggi realizza veramente il suo ruolo di "chiesa domestica"? Vale a dire di piccola porzione del popolo convocata da Dio? Secondo me la famiglia realizza il suo essere "chiesa" se al suo interno si manifestano le presenti caratteristiche: l’educare alla fede, la preghiera comune, l’ascolto della parola di Dio, il perdono reciproco…  

E’ risaputo che i genitori sono i primi educatori nella fede. Da quest’affermazione comprendiamo la responsabilità che hanno i coniugi davanti a Dio e alla chiesa. Educare non significa dire semplicemente ai propri figli "vai al catechismo", oppure "vai a messa la domenica", ma significa innanzi tutto testimoniare con i fatti la propria fede. In altre parole non basta dire fai questo, ma bisogno farlo per primi! Quando vado per la prima volta in una classe (insegno religione nella scuola media inferiore e superiore della diocesi di Pozzuoli - Na) cerco di conoscere i miei alunni (nome…) e poi cerco di capire se sono ragazzi o inseriti nella loro comunità parrocchiale o almeno la frequentano regolarmente. Con mio enorme dispiacere costato che è pochissima la percentuale che ha contatti con la comunità che li ha generati alla fede. Quando domando come mai ciò. I ragazzi rispondono candidamente: la domenica vado dalla nonna con i miei genitori; vado a caccia con mio padre; sono impegnato nella squadra di calcio; devo aiutare mamma nelle faccende domestiche, è l’unico giorno che posso dormire fino alle 12; i miei genitori mi hanno detto vai a messa, ma sono andato a giocare con i miei amici e potrei continuare con altre motivazioni. Mi ha fatto molto pensare la risposta di un bambino di 1 media, mi disse: "prof. i miei mi dicono di andare a messa (che ..…), ma loro non ci vengono mai". Domandai perché? La risposta fu "dicono che il prete addormenta e lì fa scocciare" (detto tra noi spesso è vero!). Personalmente ritengo che se il bambino, il ragazzo vede che l’adulto è il primo a farlo, aderirà più facilmente. Vorrei riportare, a tal proposito, un'esperienza fatta circa 5 anni fa. Ero supplente alla SMS Russo II di Pianura, la scuola abbracciava un ambiente per lo più degradato e i ragazzi erano demotivati verso tutto e tutti. Solo una bassissima percentuale andava a messa la domenica, allora mi venne quest’idea: "Andrò anch’io con i miei ragazzi a messa". Per l’intera settimana, durante la mia ora, avvisai i ragazzi che sarei andato a messa nella Parrocchia san Giorgio (alla messa dei fanciulli), con mia profonda meravigli notai che molti ragazzi vennero a messa. La cosa bella è stata che a scuola, durante la settimana, i ragazzi raccontavano agli altri ed ai miei colleghi della mia presenza a messa. La domenica successiva la chiesa era piena, tanto con don Peppino si congradulò. I ragazzi non volendo si trasformarono i bravi "evangelizzatori" poiché grazie alla loro testimonianza altri coetanei vennero ad incontrare Gesù.

I miei colleghi si meravigliarono e mi dicevano "chi te lo fa fare?". Risposi che prima di dire a loro andate a messa, devo essere il primo ad andarci. Così per i genitori se si vuole ottenere qualcosa dai propri figli bisogna essere credibili. Non basta dire fa questo, ma bisogna farlo per primi!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo Secondo

 Educare alla Fede

 

Prima di addentrarci nel tema specifico desidero, anche se brevemente, richiamare cosa significa il concetto d’educazione in un processo pedagogico per poi applicarlo alla dimensione di fede. E risaputo che in ogni rapporto educativo entrano in gioco due parti: l’educatore e l’educando. Il primo è colui che mette in atto l’azione educativa l’altro n’è, per così dire, il beneficiario. Vi è quindi una relazione fra due, o più, persone. Che cosa intendiamo per educazione? Sono moltissime le definizioni date lungo i secoli, basti confrontare la storia della pedagogia. Già partendo dal significato semantico del termine comprendiamo la sua ricchezza. "Educare" viene dal latino "educere", vale a dire portare fuori. In effetti, è quello che Socrate chiamava "maieutica". In questo caso, usando l’immagine dello stesso Socrate, educare alla fede è tirar fuori tutta la forza dello Spirito, imprigionata nel cuore dell’uomo (cf. Pisano F., Luoghi e forma della preghiera, RnS, ROMA 1996).      

Noi intendiamo per educazione "il processo che interessa persone e istituzioni con lo scopo di promuovere integralmente i singoli coinvolti attraverso la restituzione di protagonismo responsabile, creativo, in dialogo con le libertà e le attese degli altri"(Tonelli R., Una profonda passione per l’educazione, in AA.VV., Scommettiamo nell’educazione, LDC, Leumann 1988,60) in continuo dialogo con i processi storici. La famiglia costituisce la palestra in cui il bambino si esercita per diventare ciò che sarà. Un buon atleta ha bisogno di un ottimo allenatore e un’équip di specialisti che credano in lui e sappiano stimolare al massimo le sue potenzialità. Purtroppo oggi sono tante le famiglie si preoccupano soltanto che il ragazzo faccia sport (piscina, palestra, calcio…) che sia istruito con i mezzi tecnologici più moderni (personal compiuter, internet…), l’educazione alla fede passa all’ennesimo posto, quando c’è. Basti pensare solo alle risposte che i genitori danno all’atto dell’iscrizione ai corsi di catechesi pre-sacrementale: "Due volte a settimana, ma non è troppo?"; "Una volta bastava alcuni giorni… ora invece…"; "Vi raccomando quel giorno no perché deve andare in palestre, l’altro in piscina…" e potrei continuare. Addirittura una sera, venne in parrocchia una donna che doveva battezzare il proprio figlio e il parroco gli disse che per il battesimo bisognava farsi vedere almeno due volte insieme con il padrino, non l’ha vesse mai detto, apriti cielo! "Mò pur’ po’ battesim sadd’à vinì int’à chiessa" rispose la donna e aggiunse "chill’ò creatur che capisc’è…". Mi chiedo qual’educazione religiosa può dare chi la pensa cosi? Nel giorno delle nozze hanno risposto sì alla domanda del celebrante: "Siete disposti ad accogliere responsabilmente e con amore i figli che Dio vorrà donarvi e a educarli…?" (Rituale Romanum, Ordo celebrandi matrimonium, 60). Già dimenticato? O rito mai celebrato? Poiché dobbiamo convenire che anche i cosiddetti corsi pre-matrimoniali sono un vero e proprio flop, i giovani li frequentano senza una profonda motivazione religiosa. E solo la prassi! Allora è naturale che non comprendono l’importanza di un'educazione religiosa per i loro figli. Quando due genitori chiedono alla Chiesa il battesimo per il loro figlio, non s'impegnano solo ad educarlo alle buone maniere ecclesiali e all’obbedienza dei comandamenti e dei precetti, ma "a professare pubblicamente la fede ricevuta da Dio mediante la Chiesa" (cf. LG 11). Il battesimo domandato per i figli sarà una prima forma di testimonianza cristiana perché esprimerà il desiderio (che è pure il desiderio del Padre) di diventare nella fede fratelli di coloro che essi hanno generato. Ma di questo i nostri "bravi genitori cristiani" non sanno nulla. La medesima cosa avviene per l’insegnamento della religione nella scuola. I genitori scelgono di avvalersi dell’IRC per i propri figli, ma non sono sempre motivati. E ciò si costata quando vi sono gli incontri scuola-genitori, pochi sono i genitori che vogliono parlare con l’insegnante di religione. L’importante è che il figlio vada bene in latino, greco, italiano, storia, matematica, lingue… eppure per chi crede, l’IRC, dovrebbe essere importante perché veicola dei valori che gli appartengono. Il documento della Santa Sede sui diritti essenziali della famiglia: la carta dei diritti della famiglia afferma: "I genitori hanno il diritto di educare i loro figli in conformità con le loro convinzioni morali e religiose…" (Art. 5,a). Ma spesso le famiglie non sono pienamente convinte. Ricordo che una mamma venne a parlare con me a scuola e iniziò dicendo di essere credente, cattolica… ma quando sostenni che il figlio non seguiva, non studiava mi rispose "Prufussò mo pur vui vi mittit, o vuaglion addà studià pur’à religione?". Capì subito che tipo di cattolica fosse. Tutto  questo per affermare che la famiglia è la prima che deve dare un'educazione religiosa a figli, se questa viene a mancare, la scuola, la chiesa nulla possono fare, poiché essi servono da supporto. La chiesa da sempre ritiene che i genitori sono i primi e principali educatori. Basti qualche citazione: "I genitori, poiché han trasmesso la vita ai figli, hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole. Vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori di essa. Questa loro funzione educativa e tanto importante che, se manca, può a stento essere supplita. Tocca, infatti, ai genitori creare in seno alla famiglia quell’atmosfera vivificata dall’amore… che favorisce l’educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è la prima scuola delle virtù sociali… sempre attraverso la famiglia, infine, vengono pian piano introdotti nella convivenza civile e nel popolo di Dio. Perciò i genitori si rendano esattamente conto della grande importanza che la famiglia autenticamente cristiana ha per la vita e lo sviluppo dello stesso popolo di Dio" (Gravissimum Educationis – educazione cristiana, 3); "I coniugi sono cooperatori della grazie e testimoni della fede reciprocamente e nei confronti dei figli e degli altri familiari. Essi sono per i loro figli i primi araldi della fede e educatori; li formano alla vita cristiana e apostolica con la parola e con l’esempio, li aiutano con prudenza nella scelta della loro vocazione e favoriscono con ogni diligenza la vocazione sacra eventualmente in essi scoperta" (Apostolicam Actuositatem – apostolato dei laici, 11); "l’educazione dei figli è uno dei fini del matrimonio" (Gaudium et Spes- Chiesa nel mondo contemporaneo, 50); "l’educazione dei figli è un gravissimo obbligo dei genitori" (GE, 3); "I genitori, poiché hanno trasmesso la vita ai figli hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori di essa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può a stento essere supplita" (GE, 3). Il Santo Padre, nella Lettera alle famiglie, ripropone che "I genitori sono i primi e principali educatori dei propri figli e hanno anche in questo campo una fondamentale competenza: sono educatori perché genitori" (16). Parlare d’educazione alla fede, sembra sottintendere che essa sia una materia d’insegnamento o una realtà che fa parte del patrimonio umano e che rientra nell’ambito delle cose da trasmettere per realizzare una "buon’educazione", una buona riuscita. La fede è un dono, si può ancora parlare d’educazione alla fede? Che essa sia un dono la Parola di Dio non manca di ricordarlo a più riprese: Giovanni nel suo evangelo pone sulle labbra di Gesù un’affermazione inequivocabile: "Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre" (Gv 6,44); la Lettera agli Ebrei afferma che Gesù è "autore e perfezionatore della fede" (Eb 12,2); Paolo nella Lettera ai Romani parla di una possibilità di risposta dell’uomo, "secondo la misura della fede che Dio gli ha dato" (Rm 12,3); Luca negli Atti degli Apostoli, a proposito di una conversione, afferma che "il Signore aprì il cuore di Lidia" (At 16,14) e così via. Dio prende l’iniziativa, ma poi si serve degli uomini per portare a termine il suo progetto. Educare alla fede, per i genitori, sarà allora, aiutare il proprio figlio a scoprire questo progetto d’amore che Dio ha per lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo Terzo

La famiglia: piccola chiesa domestica.

  È possibile oggi pregare in famiglia?

 

Cercherò di analizzare la preghiera "fatta in famiglia". Tengo a precisare "fatta in famiglia", perché do per scontato che ogni membro della famiglia cristiana abbia già la sua preghiera personale, spesso però non c’è nemmeno questa. Per preghiera personale non s’intende preghiera individualistica: personale è la preghiera intesa come contatto a tu per tu con Dio per poi incontrare il fratello.  Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica Familiaris consortio, al n. 59, specifica cosa si deve intendere per preghiera fatta in famiglia, ed afferma che "è una preghiera fatta in comune, marito e moglie insieme, genitori e figli insieme". Potremmo affermare che è la preghiera fatta da un "sol corpo", poiché, come afferma la scrittura, "i due sono una cosa sola" (cfr. Gn 2,24; Mt 19,5; Ef 5,31). I due dopo la celebrazione delle nozze sono divenuti "realtà nuova": non più due carni, ma una sola carne.

Una bellissima fiaba dal titolo, l’innamorato di Jalalledine Rumi, esprime meravigliosamente con una viva immagine questa donazione reciproca: "Di ritorno alla casa dell’amata, il giovane bussò alla sua porta e una voce dall’interno domandò: "Chi è?" Quello rispose: "Son io" ma la voce replicò: "Questa casa è troppo piccola, non c’è posto per due" e la porta rimase sbarrata. Allora il giovane chiamò di nuovo: "Mia cara, sono io, aprimi, sono qui". Ma la porta non si aperse. Allora lo spasimante si ritirò nella foresta e pregò a lungo in solitudine. Trascorso un anno, fece ritorno, e tornò a bussare alla porta della sua amata. Dall’interno la voce domandò: "Chi è?" Lo spasimante rispose: "Mia cara, sei tu". Allora la porta si aprì per lasciarlo passare"" (in, La morale della favola, Gibaudi, 123). Questo brano in modo poetico, esprime la realtà che si realizza nel sacramento del matrimonio: è un fondersi nell’amore. Anche la preghiera è un fondersi nell’Amore. La nostra relazione con Dio si nutre della preghiera, che è un'esperienza d'ascolto e d'amore reciproco, un fatto del cuore: "Dio guarda a me amandomi. Io guardo a Lui amandolo" (De Foucauld). Nella preghiera il nostro cuore è pervaso dalla vivacità dell'Amore, la nostra mentalità è plasmata dalla parola dell'Amore: Dio parla al nostro cuore e lo fa ardere.

È possibile oggi pregare in famiglia? Dobbiamo ammettere che non è facile, basti pensare che la famiglia è composta da vari membri d’età diverse, e spesso anche la pratica religiosa è diversa fra di loro. In certe famiglie in cui tutti i membri sono in carriera… (lavoro) spesso neppure il pranzo si consuma insieme, figuriamoci se sì c’incontra per pregare!  Altra causa è certamente la TV: quando ci si trova tutti insieme per il pasto comune (raramente), la TV regna sovrana, togliendo spazio al dialogo fra i membri della famiglia. "Silenzio c’è il telegiornale" afferma il padre. "No, dobbiamo vedere Uomini e Donne" riprende la madre… i figli voglio vedere i cartoni… Insomma anche quell’unico momento in cui tutti s’incontrano diventa "disgregante". Ecco allora che ognuno cerca di finire quanto prima il pasto, per poi andare nella propria camera a guardare il programma preferito… La casa dovrebbe essere il luogo dell’intimità, dell’intimità fra gli sposi, dell’intimità con i figli, dell’intimità con i fratelli e dell’intimità con Dio: "Tua moglie sarà nella tua casa come una fertile vigna e i tuoi figli, attorno alla mensa, come giovani piante d’ulivo. Così sarà benedetto chi è fedele al Signore" cf. Sal 128). Invece, andando così le cose, certamente la famiglia non può definirsi "piccola chiesa domestica", poiché manca uno dei pilastri essenziali per costituirla tale: la preghiera comune. C’è una frase di un Padre della Chiesa che chiarisce meglio il concetto: "Fa della tua piccola casa una chiesa" (San Giovanni Crisostomo). La scritture ci testimonia la storia di moltissime famiglie che realizzano questo "pregare insieme". Basti poi ricordare lo stupendo brano veterotestamentario di preghiera comune di una coppia, Tobia e Sara (Tb 8, 4-9).  "Io non ho tempo di pregare" è la risposta più frequente che oggi esce dalla bocca della gente. Un autore contemporaneo, p. Descouvemon, dice che "non si è mai visto nessuno morire di fame perché gli mancava il tempo per mangiare. Si trova (talvolta si perde) sempre il tempo per fare ciò che è considerato vitale". Chi dice: "Non ho tempo per pregare", è come se dicesse: "Dio per me non è un valore, non è importante". Per chi non trova il tempo di pregare, Dio è un valore smarrito. E personalmente ritengo che sia proprio questo valore smarrito la causa di tanti disastri familiari. Qualche mese fa il caso così eclatante di Liguri Novi fece scalpore ed opinione. Ognuno diceva la sua, esperti e non. Secondo il mio modesto avviso purtroppo oggi non vi sono più valori e il primo è proprio Dio.  La famiglia ha il compito di far ritrovare questo valore smarrito. Come? Iniziando nel piccolo: ad esempio, prima di prendere i pasti "ringraziare Dio", pregare insieme a figli la mattina e la sera. Vittorio Morini, diacono al servizio della Chiesa e padre di famiglia, in un suo testo ormai esaurito, individua altre occasioni per pregare e ringraziare insieme il Signore: "Compleanno, Onomastico e Anniversario di matrimonio" (in La preghiera carismatica in famiglia, Rns 1985, 31-34). Nel medesimo libro vi è un paragrafo molto bello e significativo, "Eucaristia e Famiglia" ove Morini analizza i vari momenti dell’Eucaristia rapportandoli alla famiglia: "Introito, Liturgia della Parola, Offertorio, Prefazio, La consacrazione, Il segno di pace e la comunione" (pag. 41-59). L’autore tratta i vari momenti tenendo presente la realtà familiare e portando la testimonia della sua famiglia.   Desidero concludere con le parole del discorso di Paolo VI dell’11 agosto 1976, attualmente e tuttora valide: "Mamme, le insegnate ai vostri bambini le preghiere del cristiano? … lì preparate, in consonanza con i sacerdoti, i vostri figli ai sacramenti della prima età: Confessione, Comunione, Cresima? … ad invocare l’aiuto della Madonna e dei Santi? Lo dite il Rosario in famiglia? E voi, papà, sapete pregare con i vostri figli, con tutta la comunità domestica, almeno qualche volta? L’esempio vostro, nella rettitudine del pensiero e dell’azione, suffragato da qualche preghiera comune, vale una lezione di vita".

Chiediamoci:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo Quarto

 La famiglia: palestra di perdono

 

In un test che ho proposto ai miei alunni dell’Istituto d’Arte vi era la seguente domanda: "Ricordi se da bambino eri portato a chiedere perdono?". Dalle risposte mi sono reso conto che una bassissima percentuale ha risposto in modo affermativo. Riproposta la domanda ai ragazzi della scuola media, ho riscontrato le medesime risposte. I molteplici episodi di cronaca di quest’ultimo periodo, poi, mi hanno spinto a riflettere sul tema del perdono: i fatti drammatici accaduti a Sesto S. Giovanni, dove un minorenne, Roberto, ha ucciso la sua ragazza, Monica, e a Novi Ligure, dove Erika, insieme al suo fidanzatino Omar-Mauro, ha ucciso la mamma e il fratellino di 12 anni. Questi episodi hanno attirato una notevole e a volte morbosa attenzione da parte dell’opinione pubblica, tutti i quotidiani e le tv si sono dati da fare per riportare tutti i risvolti degli avvenimenti, dando la parola agli esperti: psicologi, psichiatri, educatori in genere…     Non entrò nello specifico, anche perché non è di mia competenza. Mi domando: Dopo questi episodi si può parlare ancora di perdono? A scuola ho chiesto ai ragazzi la loro opinione; mi hanno risposto così: "Dio perdona, io no"; "Troppo comodo perdonare! E la giustizia?"; "Se perdoni sempre, ti mettono i piedi addosso!". Si comprende allora la necessità di riflettere e far riflette sul perdono in famiglia.  Non a caso ho voluto intitolare l’articolo "La famiglia: palestra di perdono". L’immagine della palestra dà l’idea di ciò che desidero sostenere. La palestra è un luogo dove ci si allena per poi essere pronti a competere. Un atleta sarà bravo e capace se avrà un buon allenatore, comprendiamo allora l'importanza dei genitori nel processo educativo. Se prima loro non sono allenati nel perdono reciproco, come potranno aiutare i ragazzi a realizzarlo? Perciò devono allenarsi quotidianamente facendo dei piccoli gesti di perdono. La scrittura ci offre una buona regola: "non tramonti il sole sopra la vostra ira" (Ef 4,26).  Il Vescovo di Pozzuoli, Silvio Padoin, nella sua lettera pastorale per la Quaresima, fa una radiografia della famiglia oggi: "La vita quotidiana in famiglia è spesso costellata da fratture, incomprensioni, errori, lacerazioni, peccati che abbassano il livello spirituale, individuale e collettivo. Le relazioni interpersonali stesse ne risentono, conducendo adulti e giovani ad atteggiamenti di sospetti reciproci, di incomprensioni, talvolta a vere e proprie separazioni e perfino a tragici eventi" (Tempo di penitenza, di preghiera e di digiuno. Per una Quaresima a dimensioni familiari, pag. 6). Siamo concordi con questa descrizione. La soluzione di tali cause, secondo me, è proprio il perdono.  Il vocabolo "perdono", in sé, fa riferimento al dono, al dare senza scambio, senza chiedere alcun genere di prezzo o ricompensa. Si sa che per "donare" bisogna amare. E’ falsa quella frase che si ascolta nel film Love Story: "Amare significa non dover mai dire ‘mi dispiace!’". Nella realtà è il contrario, poiché amare significa riconoscere i propri errori e se è necessario dire "Ti perdono!". L’amore vero è capace di andare oltre i limiti: tutto scusa, tutto sopporta, non si adira, non tiene conto del male ricevuto…(cf. 1Cor 13, 4-7). Per cui chi non ama, no sa nemmeno perdonare. Il perdono non è semplicemente un dono, ma un atto mediante cui, se offesa c'è stata, essa viene rimessa; il perdono cristiano allude ad una tensione pacificatrice, significa riconciliazione, prepara la tessitura di un nuovo accordo.  Perdonare è possibile, anche se costa fatica, pazienza e soprattutto molto tempo. Non si dimenticano facilmente le offese ricevute. Nelle parole di Jung: "Tutto ciò che ha valore è costoso, esige molto tempo e richiede molta pazienza", riecheggia l’evangelista Luca (21,19): "In patientia vestra possidebitis animas vestras". Per perdonare ci vuole molta pazienza e soprattutto tempo. Bisogna cambiare il modo di ragionare "non puntare il dito per coloro che vivono in famiglia, divenire una forte sollecitazione a far riprendere e a far prevalere il dialogo…"(Tempo di penitenza,15). "In famiglia l’esperienza del perdono è al tempo stesso la più faticosa e la più educativa. Quando chiediamo ai fratellini di perdonarsi dopo un litigio, uno sgarbo o una parolaccia, dobbiamo armarci di molta pazienza e fare opera di convincimento…" (Cammelli S. e Valli A. M., Lessico familiare, in Famiglia oggi. N°12 (1999) dedicato ad Il giubileo in famiglia. Come vivere il perdono e favorire le buone azioni, 38). I genitori lavorando su questo versante aiuteranno i propri figli ad ammettere le colpe commesse e ad aprirsi all’altro chiedendo il suo perdono, per tessere così nuovi patti di pace.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo Quinto

La Tenerezza in Famiglia

 

 

Oggigiorno parlare di tenerezza nella famiglia potrebbe sembrare utopia, specie dopo i tanti episodi di violenza che avvengono all’interna di essa. Nonostante tutto dobbiamo tentare di parlarne, soprattutto perché così possiamo risvegliare le coscienze. Cercheremo di affrontare la tematica con molta prudenza. Diciamo subito che la tenerezza si esprime con il corpo. Esso qualifica il nostro essere personale, e ci fa capire di essere un "Io" che può intessere rapporti con gli altri e con il mondo. La corporeità ha un valore che bisogna riscoprire. L’uomo ha una corporeità meravigliosa: può essere una cetra melodiosa di amore, può con il suo corpo suonare il canto dell’amore, può far emergere visibilmente l’invisibile. Tutti i gesti sono preziosi. La gestualità trova la sua sorgente nella interiorità dell’uomo (Pisano F. La gestualità nella preghiera, ed RnS 1992, 19). Molte coppie non trovano più tempo per stare insieme, guardarsi in volto, scambiarsi tenerezze, abbracciarsi, dirsi parole dolci, uscire insieme. Non si ha tempo: si corre, ci si stordisce. Si hanno tante cose da fare, alle quali pensare e delle quali prendersi cura, trascurando la propria relazione coniugale.  Quanti mariti si immergono nel lavoro, trascorrono ore dinnanzi al computer o alla TV, escono con gli amici!

Quante mogli preferiscono i figli, la casa, la moda, lo shopping alla vicinanza con il marito!  Viviamo nella fretta e non facciamo silenzio dentro noi stessi. Non ci ascoltiamo e pretendiamo che l'altro ci capisca al volo. Siamo disattenti all'altro e incapaci di dialogo vero. Eppure sono i genitori che stabiliscono il clima emotivo in una casa. Tale clima, allo stesso modo del clima atmosferico, può riuscire nei confronti dei figli: caldo-freddo, mite-duro, costruttivo-distruttivo. A volte in alcune famiglie il silenzio regna anche per intere settimane: … il mutismo soffoca l’Amore. È indice di chi non si vuole più bene, di chi non ha più nulla da dirsi: … è l’anticamera dell’egoismo. La tenerezza, invece, è l’epifania di quello che sia ha nel cuore; ma per molti è sintomo di debolezza, è cosa da femminuccie!  Chiedendo ad alcuni ragazzi delle superiore se manifestassero, nei rapporti con gli altri, la tenerezza, hanno risposta di si nel rapporto (ragazzo-ragazza), ma nei confronti dei genitori, per molti, vi è imbarazzo. Bisogna dedurre che nelle famiglie non vi sono molti gesti di tenerezza. Alcuni coniugi non riescono a manifestare tenerezza con gesti concreti davanti ai propri figli, forse per vergogna. Ad alcuni genitori dà fastidio farlo in presenza dei figli, ciò indica una profonda immaturità affettiva. Vi è riserva a mostrare tenerezza anche nei confronti dei figli stessi. C’è persino chi sostiene che i figli si baciano mentre dormono, niente di più sbagliato! Chi vuol bene lo dimostra. È anche vero che solo nei film, nelle telenovele e pubblicità traviamo famiglie modello, dove tutto funziona: il bambino che saluta i genitori con un bacio prima di andare a scuola; il papà che aiuta la mamma per la colazione. Non è certo questo tipo di famiglie che noi intendiamo, ma una famiglia che ogni giorno deve scontrarsi con i vari problemi che la vita familiare comporta. Ed è in questa che noi, con un poco di presunzione, affermiamo che è possibile manifestare in modo concreto la tenerezza, senza nascondere le difficoltà, che anzi possono essere di stimolo a far meglio. Come afferma Leo Buscaglia "Un rapporto d'amore è desiderio di comunicare e di conoscere il cuore dell'altro... Un rapporto d'amore è quello in cui entrambi i coniugi si sentono così amati, accettati e sicuri da condividere i loro più intimi sentimenti, sogni, fallimenti e successi, senza riserve. E' una relazione nata dal rispetto e rivestita di dignità, dove lacrime e sorrisi sono di uguale importanza, e che senza sosta nutre e sostiene la crescita... Un rapporto d'amore è un salutare scambio di pensieri, emozioni ed esperienze. E' la casa dell'anima: un luogo dove possiamo essere noi stessi ed esplorare i nostri desideri più intimi e profondi, le nostre speranze e le nostre gioie senza paura di condanne, repulsione o abbandono. E' un ambiente dove rilassarsi e trovare conforto e forza per combattere la lotta quotidiana. Un rapporto d'amore è quello in cui fra due individui esiste una fiducia reciproca tale da poter essere vulnerabili, sicuri che l'altro non ne approfitta né ci darà per scontati. E' comunicazione totale, complicità e tenerezza".  I coniugi sappiano che la reciprocità nello scambio di tenerezze ha un influsso positivo anche sui figli nelle fasi più importanti della loro crescita. Vedere come i genitori crescono nel dialogo e nel rapporto di coppia incide sul loro stile personale di amare e sulla loro capacità di "giocare tutto loro stessi" nella sfera degli affetti e dei sentimenti, con serenità e fiducia. "La sicurezza più salda di un bambino consiste nel sapere che i suoi genitori si amano l'un l'altro. Questo è ancora più importante del loro amore per lui. Egli si sente sicura di far parte di un rapporto forte e gratificante ed è certo che non verrà mai abbandonato" (J. Allan Peterson). Quindi è ancora più importante che i figli vedano i propri genitori che si donano e scambiano gesti concreti di tenerezza (baci, carezze…). Vi è da ricordare che il loro amore è sacramento, cioè segno che richiama qualcosa che va oltre… Cristo sposo ama con infinita tenerezza la suo sposa, la Chiesa: i coniugi devono far loro le parole del libro Cantico dei cantici: "Mi baci con i baci della tua bocca! Sì le tue tenerezze sono più dolci del vino... profumo olezzante è il tuo nome. Attirami dietro a te, corriamo... Trovai l'amato del mio cuore e lo strinsi fortemente e non lo lascerò mai più... Io sono per il mio diletto ed egli è attratto verso di me... Ti darò le mie carezze... le ho serbate per te" (1,2-4; 3,4; 7,11.14).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo Sesto

 Educare all’amore.

L’educazione sessuale in Famiglia

 

 

L’educazione sessuale non può ridursi a semplice informazione anatomiche e fisiologiche da offrire ai ragazzi, ma deve aiutare l’educando ad integrare la propria sessualità nel centro della sua personalità, che è capacità di amore. Si tratta, cioè, di aiutarlo a considerare la sessualità come modo di comunicare, come linguaggio.  Il compito di educare i ragazzi all’amore e alla sessualità, è stato sempre affidato alla famiglia, il luogo dell’affetto e della comprensione. La Sacra Congregazione per l’educazione cattolica, in Orientamenti educativi sull’amore umano, afferma "L'educazione spetta innanzitutto alla famiglia, che "è una scuola d’umanità più ricca". Essa, dunque, è l'ambiente migliore per assolvere l'obbligo di assicurare una graduale educazione della vita sessuale. La famiglia possiede una carica affettiva adatta a fare accettare senza traumi anche le realtà più delicate e ad integrarle armonicamente in una personalità ricca ed equilibrata" (48). La comunicazione tra genitori e figli su questi argomenti può, tuttavia, essere ostacolata da inibizioni o da tensioni di varia natura. Numerose ricerche hanno dimostrato che raramente le prime informazioni in materia sessuale sono fornite dai genitori. Oltre all’imbarazzo vi è una mancanza di preparazione.  La prima condizione per realizzare un'educazione all’amore dei giovani è la formazione dei loro educatori: essi devono far comprendere che ciò che propongono è anzitutto esperienza personale vissuta. "La loro capacità non è tanto il frutto di conoscenze teoriche quanto il risultato della loro maturità affettiva. Il che non dispensa dall’acquisto delle conoscenze scientifiche adatte al loro compito educativo, particolarmente arduo ai nostri giorni" (Orientamenti, n.79). Spesso non ci sono conoscenze scientifiche adatte perciò vi è confusione. Ognuno dice la sua, affronta l’argomento da una diversa angolatura. Ho assistito a trasmissioni televisive dove si trattava quest’argomento e devo ammettere che sono rimasto sconvolto per le sciocchezze udite. Hanno ragione i Vescovi nell’affermare che "è necessario e urgente mettere in atto una positiva e prudente educazione sessuale. Tal esigenza – aggiungono – s’impone oggi in modo sempre più evidente e indilazionabile, di fronte ai tanti modi riduttivi di intendere la sessualità, per riaffermare e vivere il suo nativo orientamento all’amore e al dono interpersonale" (Direttorio di pastorale familiare, 31).   E’ vero che ognuno ha una propria visione della vita, ma credo che su alcune realtà (come questa) bisogna far chiarezza a tal proposito desidero riportare un aneddoto molto significativo:

 "Un giorno, nella foresta, quattro ciechi s'imbatterono in un grosso animale e cominciarono a discutere fra loro cosa fosse. Quello che era aggrappato ad una zampa affermò con sicurezza: "E’ una torre alta e possente che si muove". Quello che era appoggiato ad una zanna lo corresse, dicendo: "No, è una specie di spada appuntita". Quello che stava in prossimità della coda disse: "E’ una semplice scopa che si agita nell’aria". L’ultimo, vicino alla proboscide, replicò: "Io dico che si tratta di un tubo aspiratore". I quattro ciechi continuarono a discutere accalorandosi, sostenendo il proprio frammento di verità. Passò nei paraggi un vecchio saggio che ci vedeva e chiese il perché di tutto quel clamore. Gli fu detto il motivo e gli chiesero chi dei quattro avesse ragione. Il saggio descrisse molto semplicemente la verità: "Voi avete incontrato un animale che si chiama elefante; è un animale con quattro gambe, due zanne, una coda, una proboscide" I quattro ciechi, delusi e infuriati per la spiegazione, si buttarono sul vecchio e lo riempirono di botte".  

 Sulla sessualità ciascuno ha già una sua idea, possiede un frammento di verità e può darsi che rimanga sconcertato nel venire a scoprire altri dati o nuove rivelazioni. Cercherò umilmente di prendere il ruolo del saggio, sapendo che a non tutti farà piacere e sperando di non avere la stessa sorte. Mia intenzione è solo provocare, con la speranza che in ogni famiglia si possa poi iniziare a dialogare su questa tematica così essenziale nella vita dell’uomo.  Inizio con l’affermare che il termine sessualità va precisato, poiché istintivamente, ciò che balza alla mente è tutto ciò che riguarda il sesso, sia per l’assonanza fonetica, sia per il martellante condizionamento cui siamo sottoposti dai mass-media. La cultura che nasce dai mezzi di comunicazione fa confusione tra sessualità e sesso. Quando si parla di sessualità si riferisce di solito al sesso, ma non è così. È errato considerare il sesso come una fra le tante funzioni dell’organismo umano: la sessualità non è localizzabile in un organo determinato, come la vista o l’udito.  Non pochi poi identificano o confondono il sessuale con il genitale: sbagliano! "Sessuale e genitale non sono sinonimi, scrive il card. Suenens. Il sessuale è ciò che caratterizza l’uomo e la donna nella loro specificità, fisicamente e moralmente. In questo senso il sessuale fa corpo con l’essere tutto intero e lo impregna integralmente; l’analisi d’una sola goccia di sangue è sufficiente per scoprirne l’origine maschile o femminile. Genitale (invece) si riferisce ad una parte di questo insieme: esso designa esclusivamente ciò che interviene nella riproduzione sessuale" (L. J. Suenens, Amore e padronanza di sé, Paoline 1961, 60).    

Tra le diverse descrizioni della sessualità, riporto quella descritta nel documento citato: "la sessualità è una componente fondamentale della personalità, un suo modo di essere, di manifestarsi, di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e vivere l’amore umano. Perciò essa è parte integrante dello sviluppo della personalità e del suo processo educativo... La sessualità caratterizza l’uomo e la donna non solo sul piano fisico, ma anche su quella psicologico e spirituale, improntando ogni loro espressione. Tale diversità, connessa alla complementarietà dei due sessi risponde al disegno di Dio secondo la vocazione a cui ciascuno è chiamato" (n4). 

L’aspetto caratterizzante di questa definizione della sessualità umana sta nella presentazione del suo valore antropologico. La sessualità umana si differenzia radicalmente da quella degli animali, nei quali l’impulso sessuale è determinato biologicamente in ordine alla funzione generativa. Nell’essere umano, invece, ogni impulso risente di una fondamentale plasticità; perciò può realizzarsi nelle modalità più diverse, comprese quelle più sublimi o quelle più aberranti, secondo l’influsso culturale e la scelta personale.

La sessualità umana riguarda l’essere umano nella sua realtà più profonda. In altre parole attraverso di essa l’uomo realizza il progetto di vita. Per il credente tale progetto diventa risposta alla vocazione cui ciascuno è chiamato da Dio. 

La Scrittura afferma che Dio, dopo aver creato l‘uomo lo pone al centro del creato. Egli è il dio dell’universo visibile e impone nome a tutto quello che lo circonda, ma si sente incompleto. Quest’incompletezza è espressa nella Bibbia con la parola solitudine: Dio vide che era solo! (Gn 2,18). Il testo sacro drammatizza questa solitudine dell’uomo: Dio crea "bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo" (2,19), e li presenta all’uomo; questi li scruta nel loro essere, gli assegna il nome, lì confronta con sé, ma nessuno di essi può toglierlo dalla solitudine esistenziale, cioè completarlo. Allora Dio crea la donna e la conduce all’uomo; egli afferma "è carne della mia carne e osso delle mie ossa" (2,23) esplode in "un grido di gioia e di meraviglia, e riconosce se stesso nell’alterità della donna. L’uomo esulta nel superamento della solitudine, nella scoperta dell’altro da sé" (Martini M.C., Sul Corpo, Centro Ambrosiano, 51-52; specie Alterità e sessualità, 47-72). Questa é capace di dono... d’amare!

L’uomo e la donna di tutti i tempi percepiscono in se stessi questa solitudine, che possiamo definire apertura, ricerca di un TU che li completi. Nel linguaggio moderno questa ricerca dell’altro sé è denominata sessualità. "La sessualità è l’inclinazione profonda di tutto l’io ad entrare in rapporto intimo con un TU particolare, attraverso il dono di sé e l’accoglienza del dono dell’altro" (Cf. De Martini N., Maturità e sesso, Elle Di Ci, Torino 1979, 39ss; cf pure: Personalità e sesso, Paoline, Roma 1974, 73; Bardelli R., Vivere L’amore, Elle Di Ci, Torino,1987, 26-40; Sesso è amore?, Elle Di Ci, Torino,1987, 35; Caffarra C., Sessualità, San Paolo 1994). La sessualità dice come la persona umana sia intrinsecamente caratterizzata dall’apertura all’altro e solo nel rapporto e nella comunione con l’altro trovi la verità di se stesso (Direttorio di pastorale familiare, 26). Häring, studioso di teologia morale, definisce la sessualità umana come linguaggio (cf. Liberi e fedeli in Cristo. Teologia morale per preti e laici. Vol II: La verità vi farà liberi (Gv 8,32), ed. Paoline 19892, 589).

La sessualità, insomma, è relazione, dialogicità e, essenzialmente, apertura all’altro. L’uomo, per la sua sessualità, si fa presenza per l’altro.  

Nel mondo pagano c’è stato chi ha visto l’esigenza relazionale dell’uomo (ciascuno cerca sempre l’altra sua metà) come qualcosa voluta dal padre degli dei. Narra Platone: "Un giorno Zeus, volendo castigare l’uomo senza distruggerlo, lo tagliò in due. Da allora ciascuno di noi è il simbolo dell’uomo, la metà che cerca l’altra metà, il simbolo corrispondente" (Il Convito XVI).

La sessualità è un valore della vita relazionale e dovrebbe sfociare nell’amore, vero motore della vita umana; unico habitat in cui giungono a maturazione figli, progetti, storie di vita. Senza l’amore, anche l’esercizio della sessualità resterebbe deprivato, quasi un aborto di relazione. I genitori sono chiamati ad aiutare i propri figli a comprendere questo senso della sessualità; invece alcuni non né parlano poiché quello che sanno è inesatto e distorto. Solo la sessualità potrà essere salvaguardata e non deturpata.

Come fare concretamente? Non ho la soluzione! Personalmente non trovo educativo che l’adolescente abbia nella sua cameretta la televisione e videoregistratore. Qualcuno potrebbe additarmi come antico. Giovanni Paolo II ha indicato la situazione nella quale vengono a trovarsi i fanciulli di fronte agli strumenti della comunicazione sociale: "Affascinati e privi di difesa di fronte al mondo e alle persone adulte, i fanciulli sono naturalmente pronti ad accogliere quel che è loro offerto, sia nel bene sia nel male... Essi sono attratti dal "piccolo schermo", seguono ogni gesto che vi è rappresentato e percepiscono, prima e meglio d’ogni altra persona, le emozioni ed i sentimenti che ne risultano""(Messaggio per la XIII Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, 23 maggio 1979, AAS 71 (1979-II) p. 930).

La televisione, i giornali, il cinema bombardano i ragazzi di immagini sessuali. La movimentata vita amorosa di stelle del cinema e della canzone fanno sentire povere lebbrose le ragazze che non hanno almeno un ammiratore ai loro piedi. La maggior parte delle pubblicità hanno uno sfondo chiaramente sessuale. 

Ci siamo mai chiesti cosa trasmette la TV dopo di una cert’ora? E i nostri ragazzi sono lì ad assorbire ... poi ci lamentiamo!

In una prima media, insieme al collega d’italiano, ho notato che bambini e bambine avevano certi atteggiamenti ed erano preparati in merito al sesso, e il collega, attraverso una dinamica di gruppo, è riuscito a sapere che buona parte dei ragazzi, e anche qualche ragazza, di sera vedeva canali TV privati, ove è consuetudine proiettare films vietati.

Un ragazzo che si nutre di pornografia difficilmente poi sarà in grado di apprezzare la propria e altrui sessualità. Nel crescere sarà attratto solo dai genitali. Oggi sono molti che riducono il loro rapporto a questo, non arrivando a conoscere gli aspetti positivi della sessualità, mentre l’esercizio di essa può determinare nella vita dell’essere umano felicità o tristezza. 

Per terminare, voglio riportare una leggenda giapponese molto significativa in proposito: "Un valoroso samurai morì dopo una lunga ed eroica vita. Arrivato nell’aldilà fu subito destinato al paradiso. Ma il samurai era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter fare prima una capatina all’inferno. "Sapete com’è – disse -; così potrò apprezzare di più la felicità che mi attende". Naturalmente fu accontentato e un angelo lo condusse all’inferno. Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola di cui non si vedeva la fine. La tavola era imbandita con piatti colmi di pietanze succulenti e di golosità inimmaginabili, ma i commensali che sedevano tutt’intorno erano smunti, pallidi e scheletriti da far pietà. "Com’è possibile? – chiese il samurai alla sua guida -. Con tutto quel ben di Dio davanti!". "Vedi, quando arrivano qui, ricevono tutti due bastoncini, quelli che noi usiamo come posate per mangiare. Solo che sono lunghi più di un metro e devono essere rigorosamente impugnati a una sola estremità: così possono essere portati alla bocca".  Il samurai rabbrividì. Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettere neppure una briciola sotto i denti: con quei lunghissimi bastoncini era veramente impossibile. Il samurai non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso. Qui lo attendeva una sorpresa: il paradiso era un salone identico a quello dell’inferno. E dentro al salone c’era la stessa immensa tavolata di gente. Sul tavolo, aureolate di profumi deliziosi, facevano bella mostra pietanze e portate appetitose. Non solo: tutti i commensali erano muniti di bastoncini lunghi oltre un metro e che potevano essere impugnati solo ad una estremità per portare il cibo alla bocca, secondo il costume orientale.  C’era una sola differenza. La gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia. "Ma com’è possibile?" chiese il samurai. E l’angelo: "All’inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perché si sono sempre comportati così nella vita. Qui, al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino""

Quando la relazione è vissuta in modo egocentrico si incontra solo insoddisfazione, come i dannati della leggenda che bramavano solo di sfamarsi, accecati del loro desiderio. Chi invece si relaziona agli altri vive nella gioia piena!

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo Settimo

Paternità e maternità responsabile

Il bambino nasce da un atto responsabile d’amore

 

Se l’essere maschio o femmina (identità di genere) non può che essere riconosciuto e accettato in quanto così si nasce e non si può discutere, il divenire uomini e donne dipende in gran parte da ciascuno. Nella misura, infatti, in cui s’integrano abilità quali: intelligenza, discernimento, volontà, determinazione, … la persona acquista in significatività cioè in personalità.

Ma non si diventa padri e madri quasi magicamente nel momento in cui si concepisce un bimbo. Quanti sono i genitori biologici che non si curano della vita dei loro figli, e che spesso giungono perfino a rinnegare la propria genitorialità biologica, uccidendoli? L’Istat ha reso noti i dati relativi alle interruzioni volontarie della gravidanza nel corso del 1998 (esattamente 138.354). Ma non può rendere noto il numero degli aborti clandestini e il numero dei non nati a causa dei mezzi abortivi quali la spirale, gli impianti sottocute, la pillola del giorno dopo ecc.

È necessario educarsi a divenire padri e madri responsabili, imparando giorno dopo giorno, ad accogliere, promuovere, rispettare, difendere la vita, … partendo dalla propria, per poi aprirsi ad amare la vita di tutti, la vita tutta: nata, nascente e che potrebbe nascere.

Non voglio entrare nello specifico degli aspetti biologici; l’amore coniugale è definito da alcune caratteristiche, e sono queste che desidero riportare e giustificare:

      1. È pienamente umano, nel senso che è contemporaneamente sensibile e spirituale, cioè non solo sentimento ma anche atto di volontà libera, destinato a crescere attraverso le gioie e i dolori della vita di ogni giorno, facendo si che i coniugi diventino una sola cosa e raggiungano insieme la perfezione umana;

      2. È totale, cioè un amore senza riserve e calcoli egoistici: chi ama veramente il proprio coniuge, non lo ama solo per quanto riceve da lui, ma per se stesso, felice di poterlo arricchire del dono di sé.

      3. È fedele ed esclusivo fino alla morte. La fedeltà può essere difficile ma è sempre possibile, nobile e meritoria;

      4. È fecondo, non si esaurisce nella comunione tra i coniugi ma è destinato a continuarsi, suscitando nuove vite.

Ne deriva che i coniugi maturino una coscienza di una paternità e maternità responsabile su tre versanti:

1. in rapporto ai processi fisico-biologici, ciò significa conoscenza e rispetto delle loro funzioni (in pratica la conoscenza del proprio corpo);

2. in alle tendenze dell’istinto e delle passioni il dominio che la ragione e la volontà devono esercitare su di esse (il dominio di sé di cui parla Paolo in Galati);

3. in rapporto alle condizioni fisiche, sociali, psicologiche ed economiche, la decisione per seri motivi, e rispettando le leggi morali, di evitare temporaneamente o tempo indeterminato una gravidanza. Leggiamo nella lettera enciclica di Paolo VI, Humanae Vitae “La paternità responsabile si esercita sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato una nuova nascita” (10). È da notare quel “gravi motivi”…

Ogni mezzo contraccettivo, dal coito interrotto alla spirale, è utilizzato per rendere infertile il rapporto coniugale, per impedire, cioè, che il rapporto sessuale consenta il concepimento, generi una nuova vita. Sappiamo che la natura dell’atto coniugale è duplice: unitiva e procreativa, e che questa duplice connessione non può essere scissa arbitrariamente dall’uomo senza comprometterne l’integrità. L’uso della contraccezione si pone contro la vita, contro il rispetto della persona, contro la natura dell’atto coniugale: “Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore e il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità” (Humanae vitae, 12).

L’obiezione che si fa in genere ai metodi naturali è che “in fondo, se usati per non avere figli sono anch’essi contraccettivi, dunque da considerare moralmente illeciti”. Così però si rispetta pienamente l’armonia ecologica della natura, mentre con la contraccezione s’interferisce da padroni nell’armonia della natura: agendo come Dio.

Per questo “la Chiesa è coerente con se stessa quando ritiene lecito il ricorso ai periodi infecondi, mentre condanna come sempre illecito l’uso dei mezzi direttamente contrari alla fecondazione… perché nel primo caso i coniugi usufruiscono legittimamente di una disposizione naturale; nell’altro caso essi impediscono lo svolgimento di processi naturali. È vero che, nell’uno e nell’altro caso, i coniugi concordano nella volontà positiva di evitare la prole… ma è altresì vero che soltanto nel primo caso essi sanno rinunciare all’uso del matrimonio nei periodi fecondi, quando, per giusti motivi, la procreazione non è desiderabile, usandone, poi, nei periodi agenesiaci (non fertili) a manifestazione di affetto e salvaguardia della mutua fedeltà. Così facendo essi danno prova d’amore veramente ed integralmente onesto” (Humanae vitae, 16).