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NOTE ALLA DISCOGRAFIA INGLESE.

 

 

 

 

In questa pagina riportiamo alcune note pratiche per meglio individuare i dischi stampati in Inghilterra. Dato per scontato, naturalmente, che i numeri di catalogo inglesi furono gli stessi per ogni singola edizione (ovvero, il numero iniziale della prima edizione originale era quasi sempre lo stesso anche per le ristampe successive), la differenza per meglio individuare le edizioni successive stava alcune volte nei numeri di matrice marchiati sul run-off, ma spesso sui piccoli particolari posti nelle copertine dei dischi o nelle etichette, apparentemente erano tutte simili. Le varie edizioni erano così simili alla maggior parte dei fans, ma ad un attento occhio non si potevano certo non notare le piccole differenze, sostanzialmente elencate nel sito "The Mr.Pinky Discography".
Ma altri aspetti erano importanti al fine di classificare le stampe inglesi: tra questi, brevemente, possiamo richiamare l'attenzione sui famosi "Flipback" (i famosi risvolti dei bordi del retro della copertina), oppure, il colore delle etichette (che passarono nel corso degli anni dal nero della Columbia al classico giallo-verde della Harvest), oppure, i numeri marchiati sul run-off della etichetta, senza tralasciare alcune note sul famoso codice "KT" (commento già presente nelle pagine del sito "The Mr.Pinky Discography") ed altri aspetti che aiutano a catalogare le edizioni.

 

1. FLIPBACK BORDERS ON COVER.

2. LE ETICHETTE.

3. LA COPERTURA DEGLI ALBUM.

4. I CODICI DELLE TASSE.

5. LE STAMPERIE DELLA EMI RECORDS.

6. LE INFORMAZIONI SUL RIM-OFF.
 

 

 

 

  

I bordi flipback.

 

1) FLIPBACK BORDERDS ON COVER.

Sostanzialmente, alla fine degli anni '60 e per tutti i primi anni '70, le copertine stampate in Inghilterra (del genere "non apribili", "not gatefold") avevano di solito dei bordi rivoltati, ovvero, dei risvolti che venivano piegati su sè stessi ed attaccati sulla copertina per chiudere il lato, che in gergo venivano chiamati "flipback borders". Negli anni '60 questi bordi rivoltati erano tre (in alto, in basso ed a sinistra) (prima foto), mentre agli inizi degli anni '70 divennero due, poi scomparsi verso il 1974. I bordi rivoltati erano comunque presenti anche in altri paesi europei e non, come, per esempio, la Francia o il Sudafrica (seconda foto).

 

 

 

Pink Floyd Records, 2016.

 

2) LE ETICHETTE.

Le etichette delle stampe inglesi per i dischi dei Pink Floyd sono fondamentalmente di due tipi, quelle nere della Columbia, nei primi anni, e quelle giallo-verdi della Harvest, negli anni successivi. Recentemente, cambiando nettamente casa discografica, siamo poi passati ad etichette diverse (come quelle recenti della Pink Floyd Records per la Parlophone - vedi foto). Fanno eccezione le etichette personalizzate, con il c.d. "picture motif", che preferivano, invece, un motivo legato strettamente all'album di riferimento e più facilmente riconoscibile (come, per esempio, "Wish You Were Here", "The Wall", "The Final Cut", "A Momentary Lapse of Reason" e "The Division Bell".

 

 

 

   

Etichette della Columbia.

 

Columbia Records.

Le etichette della Columbia erano nere, tranne alcune ristampe recenti dei primi tre album che uscirono con etichette color beige. Dal 1967 ai primi mesi del 1969, gli album dei Floyd uscirono nelle classiche etichette nere della Columbia con le lettere argentate, oltre alla scritta blu "COLUMBIA RECORDS MAGIC NOTES TRADEMARK" in alto ed al classico logo blu della "Columbia" al centro della metà superiore (come nei primi due album). Solo nel luglio-agosto del 1969, la Columbia cambiò questa etichetta con una interamente nera, con le lettere bianco-argentate, il classico logo rettangolare bianco della EMI in basso e la parola bianca "Columbia" con le classiche linee in alto (come in "More"). Solo nelle ristampe successive fu inserito un secondo logo bianco della EMI in alto, proprio sopra il logo della Columbia. Da notare che il testo delle prime etichette nere-blu della Columbia riportava la famosa frase "SOLD IN U.K. SUBJECT TO RESALE PRICE CONDITIONS. SEE PRICE LISTS", poi abbandonata nelle successive ristampe.

 

 

 

 

Etichette della Harvest.

 

Harvest Records.

Le etichete della Harvest iniziarono con "Ummagumma", erano sempre le stesse, le classiche giallo-verdi. Molte discussioni sono state fatte sul colore esatto di questa etichetta: i colori, come già detto in un'altra sezione di questo sito, possono variare a seconda della stamperia ed anche a seconda dell'interpretazione che ognuno da soggettivamente. In sostanza, l'etichetta della Harvest può essere definita gialla o verde, a seconda che predomini più la tonalità gialla (come nelle stampe tedesche) o quella verde (come nelle stampe italiane); comunque, per essere più precisi, la maggior parte delle etichette inglesi sono su sfondo più verde che giallo, con il logo della Harvest verde e le lettere nere. Convenzionalmente, però, per i collezionisti, l'etichetta della Harvest è solo "giallo-verde" (in gergo, "yellow-green") ed è la classica con il logo della Harvest in alto a destra. Le prime etichette non avevano il logo rettangolare verde della EMI, che fu aggiunto nel 1971, al centro a sinistra poco sopra la parola centrale "HARVEST". Solo nei primi anni '80, l'Harvest cambiò l'etichetta standard in quella nera con le lettere argentate. Il testo sul bordo dell'etichetta non era altro che i crediti di copyright e quelli di legge: nelle prime versioni, dal 1967 al 1975, iniziava sempre per "THE GRAMOPHONE CO. LTD."; mentre agli inizi del 1975 fu cambiato in "EMI RECORDS LTD.". Solo nel 1982, il testo cambiò verso la fine con "MANUFACTURED IN THE U.K. BY EMI RECORDS LIMITED".

 

 

 

La sovracopertina di Wish You Were Here.

 

3) LA COPERTURA DEGLI ALBUMS.

Una cosa non nota a tutti era che in Inghilterra non uscirono quasi mai dalle stamperie album incelofanati, ovvero, chiusi e coperti dal classico involucro protettivo trasparente. Sia la Columbia, che la Harvest facevano uscire il disco senza alcuna copertura trasparente (tranne alcuni casi) e spesso erano solo i negozi stessi a mettere un involucro trasparente che proteggesse l'album; qualche volta, addirittura, erano le società importatrici americane che mettevano la copertura trasparente, come la GEM, ma comunque sempre dopo che i dischi erano già usciti dalla stamperia e andati già in distribuzione. Ecco perchè, quando la EMI fece uscire "Wish You Were Here" confezionato in una busta di plastica completamente nera (vedi foto), su cui solo un adesivo a colori segnalava al pubblico il nome del gruppo ed il titolo del lavoro, ci fu un certo sconcerto tra i negozianti, abituati a vendere i dischi senza coperture ulteriori, ma soprattutto perchè avrebbero voluto mostrare la copertina, ma quando tolsero la busta si accorsero di non poterla rimettere, e fu ancora più frustrante per loro scoprire che la copertina di cartone non aveva titoli!

 

 

 

Il codice "KT".

 

4) I CODICI DELLE TASSE.

Sui primi due album dei Floyd, sono riportate, su di una facciata, in rilievo, le lettere "K T". Queste lettere erano nient'altro che un marchio fiscale; all'epoca il Governo Inglese imponeva una tassa governativa sui dischi del 27,5% del prezzo del disco (questo nel 1967), aumentata leggermente nel marzo del 1968). La tassa fu rimpiazzata nel marzo del 1973 da uno speciale sovraprezzo (detto "value added tax" o VAT). Per cui, i dischi con tali lettere stampate sull'etichetta avevano assolto le tasse governative, anche se queste lettere furono impresse solo per il 1967 e 1968, mentre agli inizi del 1970 nessuna lettera fu impressa sull'etichetta, anche se la tassa era stata pagata.

 

 

 

 

EMI Village.

 

5) LE STAMPERIE DELLA EMI RECORDS.

Tutti i prodotti della EMI Records in vinile negli anni '60 e sino agli anni '80 furono stampati negli stabilimenti di Uxbridge Road fuori Londra, stabilimenti famosi anche con il nome di "EMI Village" fuori Londra (Hayes, Middlesex)(già della Gramophone) (prima foto), tranne alcune eccezioni, come alcune stampe stampate negli stabilimenti della Decca, o le c.d. "contract pressing", usate per il mercato fuori dall'Inghilterra (alcuni famosi esempi, sono in Danimarca, Kenia e nel mercato asiatico, come Hong Kong e Singapore). Questi furono purtroppo chiusi negli anni '90 e nel 2011 l'edificio fu preso dal Gruppo Cathedral Group PLC & Develoment Securities (seconda foto).

 

 

 

  

Matrix Numbers.

 

6) LE INFORMAZIONI SUL RIM-OFF.

Secondo la maggior parte dei collezionisti, i numeri stampati sul run-off avevano senz'altro un significato ben preciso. Erano lettere e numeri impressi nella parte del disco più attaccata all'etichetta, alla fine dei solchi. Essi erano di solito impressi a fuoco (in gergo "stampati", "printed" (vedi sopra), per differenziarli da quelli "scritti a mano", "etched" (vedi sopra), in alcune stamperie di altri paesi) e potevano contenere le informazioni circa il numero di catalogo, il numero della facciata, il numero progressivo della stampa, l'identificazione della Lacca ("Lacquer master number"), l'indicazione della Sala di Cuting ("Cutting room")(per esempio, "A-2U" significava che la lacca era stata creata negli studi della Universal Programmes Corporation e non in quelli della EMI ad Abbey Road), l'identificazione della pressa ("stamper letter" - di solito a destra), il numero della madre ("mother number" - di solito a sinistra), l'identificazione della stamperia e, perfino, in alcuni casi, dell'ingegnere che aveva creato la Lacca ("mastering lacquer")(esempio, HTM: Harry T. Moss). Secondo Vernon Fitch, i codici di stampa/pressa usati dalla Columbia/EMI Records di solito erano:
G=1
R=2
A=3
M=4
O=5
P=6
H=7
L=8
T=9
D=0
Per esempio, un disco con "G" indica che il disco è stato impresso dalla prima pressa, un disco con "AL" indica la 38^. Secondo Vernon Fitch, generalmente, ogni pressa stampava circa 1000 dischi prima di venire cambiata; per cui un disco con indicate le lettere "GMP", doveva essere circa la 146000^ stampa del disco. Si sa solo che tutti i dischi della EMI Records degli anni '80 furono stampati presso l'impianto di Uxbridge Road, poco fuori Londra, spesso conosciuto come "il villaggio EMI", che però chiuse nei primi anni '90.

 

Ma di recente, studi approfonditi dell'amico Stefano Gagliardini, hanno portato una nuova tesi. Sostanzialmente, secondo questa nuova ricerca, la tesi di Vernon Fitch potrebbe non essere esatta: non è possibile numerare una copia, nemmeno in maniera approssimativa, a partire dal numero dello stamper. Il ragionamento di Fitch sarebbe corretto solo se tutte le matrici, madri e stamper venissero usati, cosa assolutamente non corretta: un numero molto alto di matrici, madri e stamper veniva scartato, perchè non soddisfaceva determinati standard qualitativi; specialmente ciò succedeva per un gruppo come i Pink Floyd che facevano della qualità il loro marchio di fabbrica. E' vero che il numero dello stamper è utile per numerare cronologicamente le varie tirature all'interno della medesima edizione, per il fatto che il numero dello stamper cresceva via via sempre in progressione, ma non può assolutamente essere preso come riferimento per "numerare" le copie; altrimenti non si spiegherebbe come mai la famosa copia numero 5 del "White Album" avesse lo stamper RR (fonte: Popsike). L'ipotesi di Vernon, pertanto, deve essere rivista: in tal senso, è fuorviante cercare di numerare le copie a partire dal numero dello stamper. Secondo la nuova tesi, la questione è piuttosto logica, partendo da alcuni dati di fatto:

1) da una stessa matrice (quella del lato A o B è indifferente) si riuscivano a "tirar fuori" massimo una decina di madri, poi la matrice stessa veniva usurata dal procedimento di placcatura fino a diventare inutilizzabile;

2) da una stessa madre si riuscivano a tirar fuori massimo una decina di stamper, per lo stesso motivo di cui sopra;

3) uno stamper riusciva a pressare circa un migliaio di vinili: Fitch sostiene 300/500 dischi e potrebbe andare bene solo se si voleva mantenere più alta possibile la qualità di incisione (ma molte etichette di livello inferiore alla EMI superavano sicuramente le 1.000 copie per stamper).

Ipotizzando il caso che nessuna matrice, madre o stamper venisse scartata (ipotesi quasi impossibile), si stampavano 100.000 dischi a partire dal medesimo acetato (lacquer). La realtà è ben diversa: se si riusciva a superare le 50.000 copie, il tizio che si occupava della placcatura era un fenomeno. Penso che attualmente nemmeno un guru della placcatura come Gary Salstrom del Quality Record Pressing riesca a fare un miracolo del genere. Diverso è il caso della elencazione delle tirature all'interno della medesima stampa: il numero dello stamper aumenta in progressione a mano a mano che lo stamper precedente aveva esaurito le sue possibilità di utilizzo: quindi il numero dello stamper è un ottimo indicatore per effettuare un elenco cronologico delle varie tirature. E' quindi impossibile "numerare" le copie mediante il numero dello stamper (nemmeno in maniera decentemente approssimativa), a meno che non si riesca a sapere almeno quanti stamper all'interno di una medesima edizione siano stati scartati (di solito, parecchi).

 

Tra le informazioni più ricorrenti dagli anni '80 in poi c'era la famosa sigla "HTM": questa stava ad indicare il famoso mastering engineer Harry Thomas Moss (H.T.M.), l'ingegnere che incideva il lacquer negli studi di pressaggio, che ha lavorato per tantissimi anni per la EMI Records, anche presso gli studi di Abbey Road.

 

 

 

 

 

 

 

Copyrights & Credits.

Note principali sulla Discografia Inglese a cura di Vernon Fitch ( ©TPFA)(by courtesy of Vernon Fitch), curate ed aggiornate da Stefano Tarquini (gennaio 2012). Alcune ricerche successive sulle mothers/stampers sono state approfondite da Stefano Gagliardini (novembre 2012). Fotografie a cura di Stefano Tarquini (agosto 2017).

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