Fioretti Fabrizio

Roma, 15-3-1966

Se vale ricordare un calciatore per un suo gesto atletico, fissarne per sempre i tratti memorabili in un'icona, di Fabrizio Fioretti ricorderò, anche a distanza di anni, il suo calcio inesorabile e potente, somma di eleganza incomparabile e precisione vincente, sia nei lanci che nei tiri in porta. Una produttività che si accresce quanto maggiore è la distanza del suo obiettivo: restano impresse nella memoria le folgoranti punizioni da trenta metri a castigare portieri disattenti o soltanto sfortunati (di imbattersi in un simile avversario): quelle segnate a Landucci (Fiorentina), con la maglia del Bari, a Brunner (Foggia), ai tempi di Avellino, e, quest'anno, a Berti (Empoli) e Fontana (Atalanta).

La chirurgica precisione del suo calcio, dote imprescindibile per trasformare i calci piazzati, non è l'unica virtù: Fioretti ha una visione di gioco tale da permettergli di ribaltare con la sua sola presenza le sorti di un incontro. La presenza di Fioretti a centrocampo è talmente dominante da permettergli di vincere quasi da solo partite e campionati: le promozioni ottenute in carriera con Avellino e Pistoiese stanno lì a testimoniarlo. Vero allenatore in campo, è riuscito a trascinare verso traguardi prestigiosi squadre altrimenti incomplete (Avellino '94-'95) o modeste (Pistoiese '98-'99).

Una tale forza tecnica e agonistica avrebbe meritato che la frequentazione del campionato di serie A non si fosse limitata alle misere 8 presenze della stagione '89-'90 con il Bari. Purtroppo la carriera del calciatore è stata interrotta, nel momento della raggiunta maturità agonistica, da un gravissimo infortunio, subito a Piacenza proprio nell'anno della prima promozione in A della squadra emiliana, che lo tenne lontano dai campi di gioco per un interminabile anno. Fioretti fu costretto, in pratica, a ricominciare da capo, dovendo combattere con la sfiducia di chi lo considerava ormai rotto, finito, troppo avanti negli anni per militare in A e la concorrenza invincibile del mercato straniero.

Così un giocatore dalle doti tecniche infinitamente superiori a quelle di un Albertini, di un Dino Baggio, di un Conte, dopo un anno di transizione e rieducazione a Verona (1993-1994), coinvolto nella modesta gestione tecnica di Mutti - in cui trovò il tempo di mettersi in luce con una doppietta su punizione al Cesena - fu costretto a ripartire, a 28 anni, dalla C/1 di Avellino. Una C/1 d'avanguardia: Sibilia aveva costruito un tank tale da ottenere una promozione immediata (c'erano Landucci, Marasco, Carmine Esposito, Fresta, Provitali, Carannante), in cui Fioretti costituiva l'equilibratore del gioco d'attacco di Papadopulo. 

Una stagione entusiasmante: eletto capitano, si dimostrò capace di segnare, far segnare e vincere da solo, come dicevamo, le partite. Accadde nella partita interna contro il Nola: 0-1 al termine del primo tempo, con Fioretti in panchina per un leggero risentimento muscolare; l'entrata in campo del capitano nel secondo tempo ribaltò tutto: fertilità d'inventiva, lanci lunghi ad aprire il gioco, ritmo raddoppiato, assist-gol per Fresta e gol vittoria su rigore. La promozione in B fu la sua grande rivincita, ma il campionato successivo dovette fare i conti con le bizze del commendator Sibilia.

Tenuto fuorì per metà stagione, fu richiamato dal terzo allenatore (Bruno Pace), per far rimontare una squadra precipitata all'ultimo posto. Decisione sacrosanta: l'innesto di Fioretti è l'accensione di un interruttore. La squadra si sblocca, il capitano macina gioco, la punta Luiso trova gli assist e la squadra scala posizioni con una rimonta entusiasmante che la porta a metà classifica. Quando la salvezza sembra raggiunta, un nuovo raptus di Sibilia rovina tutto: Fioretti è lasciato in panchina nella partita-spareggio contro il Chievo: sconfitta catastrofica (0-3) e nuova serie C.

Fioretti è costretto a ricominciare da Gualdo dove ha rapporti pessimi con l'allenatore Sonzogni. La squadra è in crisi irreversibile, il giocatore sta per essere ceduto, quando l'arrivo del nuovo allenatore Nicoletti rinsalda la situazione. L'anno dopo, a Siena, un buon campionato che sembra preludere ad un finale di carriera senza più lampi. 

Errore clamoroso: nell'estate del '98, rimasto senza squadra, è chiamato dall'amico Agostinelli, allenatore della Pistoiese, a fungere da chioccia di una squadra giovanissima, allestita in una settimana, senza una lira, dopo aver rischiato seriamente il fallimento societario. Fioretti compie, a 33 anni, il suo capolavoro: trascina letteralmente, con una visione di gioco che incanta ed una prolificitò realizzativa mai raggiunta, una squadra condannata alla retrocessione ad un campionato stratosferico, che mozza il fiato ad una tifoseria sbalordita: a giugno del '99 la Pistoiese è in serie B e Fabrizio Fioretti, con 8 gol, ne è il capocannoniere.

Un miracolo calcistico che vale a Fioretti un giusto riconoscimento che sa di rivalsa: un nuovo campionato di B, a 34 anni, giocato come sempre da protagonista assoluto, in cui le ovvie - ma rare - pause atletiche, non nascondono la sua dote peculiare: un'intelligenza tattica senza pari.

Lupus (irpinus) in fabula

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