Vi invio un brano a firma di Gibran, uno dei miei autori preferiti, in cui Pietro racconta di una sera a Betsaida.
Rileggendolo, ho notato che ci sono delle sfumature che riguardano le processioni. Sono richiami sottili, ma fortunatamente la "gente di congrega" ha i sensi fini...
Mi sono anche permessa di contestualizzarlo, per renderlo più fruibile agli eventuali lettori.

Weebo

 

Pietro

 

Un giorno, al crepuscolo, Gesù ci condusse al villaggio di Betsaida.

Eravamo tutti molto stanchi, e la polvere della strada ci pesava addosso.

Giungemmo ad una grande casa situata in mezzo ad un giardino, e il proprietario era presso il cancello.

Gesù disse: “Questi uomini sono spossati ed hanno i piedi doloranti. Lascia che dormano nella tua casa. La notte è fresca, ed essi hanno bisogno di tepore e di riposo”.

Il ricco uomo rispose: “In casa mia non dormiranno”.

Gesù disse: “Consenti almeno che dormano nel tuo giardino”.

L’uomo rispose: “No, non dormiranno nemmeno nel mio giardino”.

Allora Gesù si volse verso di noi e disse: ”Ecco come sarà il vostro domani. Per voi questo presente è simile al futuro. Vi saranno chiuse in faccia tutte le porte, e neppure i giardini che si stendono sotto le stelle, potranno offrirvi giaciglio.

In verità, se i vostri piedi sopporteranno la strada e mi seguiranno, troverete un bacile per lavarvi ed un letto per dormire, e forse persino vino e pane. Ma se vi accadrà di non trovare nessuna di queste cose, allora non dimenticate che quello che avete attraversato sarà stato uno dei miei deserti.

Venite, andiamo oltre”.

Il ricco uomo rimase turbato, ed il suo volto mutò espressione; poi mormorò tra sé qualcosa che io non udii e ci lasciò, per tornarsene nel suo giardino.

E noi seguimmo Gesù lungo la strada.

Gibran

 

 

Era sera quando Gesù condusse i suoi discepoli a Betsaida, era sera quando il Padre chiamò gli ultimi operai a lavorare nella sua vigna, era sera quando lo Spirito Santo discese sugli Apostoli aprendo le porte del Cenacolo.

E’sera, quando si aprono le porte delle congreghe ed escono, lentamente, gli operai ancora affannati per il tramestio quaresimale. Lavoratori che si sono dati da fare perché nel tempo a disposizione, che sentono limitato, possano eguagliare i loro predecessori in una santa competizione, e vedere le proprie ceste piene, come quelle degli altri: gli altri dalla vocazione più antica che si legge nell’arco delle dita strette intorno al lampione, nel palmo che diventa vassoio di carne su cui poggiano i martìri, nei tendini serrati nelle maniche della veste, nel polso rigido di chi indica il cielo notturno.

E’sera, quando Gesù prende per mano le mani di tutti, e ci conduce là dove Egli vuole, nel luogo del Suo riposo.

Arriviamo trascinando il passo, con i piedi doloranti per il lungo cammino...il cammino di una notte che diventa scorcio e slargo di una vita intera. Il confratello e il partecipante, l’iscritto e l’indipendente, il legionario e il mercenario, hanno accumulato sulle loro scarpe la polvere annidata lungo la strada: non è la cenere dei fallimenti e dei progetti mancati, ma la segatura scaturita da un lungo “labor limae”, il paziente lavoro di rifinitura spirituale che i cappucci coprono, come il telo sull’opera ancora da completare. Le lacrime che scorrono copiose, celate dalle vesti, hanno impastato questa polvere e l’hanno resa più pesante, saldamente ancorata al cuoio delle nostre scarpe: è diventata fango. Lo sentiamo dentro, in ogni granello dell’essere, fibra su cui è intessuta la nostra vita; è il sigillo ricevuto il mese scorso, ora ricordato nel rossore del turibolo che rimanda, in una scintilla, l’immagine del calderone ardente; ma è anche il fango che ridona la vista ai ciechi, il fango degli “inviati”... ci sentiamo uniti, nella tensione dell’essere credenti, alla siepe di folla che ci attende: forse non troppo silenziosa, e poco credibile nel suo tenace aspettare il fiume che squarcia la notte. Eppure, quando i buchi si fermano, e si posano sugli occhi più vicini, avviene il miracolo: anche se divisi da un’ombra bianca, nera o rossa, ci si riconosce in quella traccia di fango che decide di manifestarsi nella Settimana Santa, e i ruoli scompaiono, all’ombra della radice vera che genera l’Uomo... radice secca e maledetta da cui fu tratto l’Albero redentore, seme della Vita, che ora è portato come in trionfo il vessillo della vittoria...

La croce passa, e dolcemente interroga lo sguardo che si posa su di lei: non chiede di poter passare, o di rispettare le precedenze.

“Mi fai entrare...?”

Chiede di rimanere in quel luogo che il suo Sposo ha scelto come dimora, un bellissimo giardino cinto da un cancello accuratamente lavorato e che chiude lo spazio a Lui solo riservato. Chiede a te, spettatore che compunto fai il segno della croce al suo passaggio, di non dimostrare la tua devozione poche volte l’anno, e di guardare benevolmente l’esercito che ti passa accanto. Ti chiede di non lasciarlo andare tra le pieghe della memoria, ma di portarlo nel giardino del cuore: durante la prossima Quaresima, non sarai attento alle annose ed ovvie diatribe delle confraternite, non guarderai il nostro essere uomini che a volte ti ha parlato dei nostri aspetti meno encomiabili. Ricorderai, invece, di esserti sentito compreso dai forellini anonimi che hanno incrociato i tuoi occhi. Torneranno alla mente il dolce suono dell’asfalto accarezzato da migliaia di suole, la folata dei cerimonieri, il solenne fruscio delle vesti, più forti delle note fluite dai cori e dalle bande.

Non chiuderti, ti prego: lascia che ogni partecipante imprima la sua orma nelle zolle del tuo cuore. Se l’impronta non rimane, forse il tuo giardino è arido, e il primo colpo di vento ha resettato un’armonia equilibrata e sterile: lascia che le nostre lacrime plachino l’arsura della tua sabbia, e producano il fango della Vita... forse non sarà il fango del miracolo di Sìloe, ma quello povero e ignoto che, sulla Via del Calvario, fu raccolto dalle piaghe di Cristo...

“Mi fai entrare...?” è la richiesta rivolta a te, partecipante ancora incerto sul tuo futuro di fede, ancora attento al rituale irrinunciabile della cultura che a poco a poco senti tua. Sarai incredulo nello scoprire i solchi scavati dalle tue lacrime sulla veste e nel cuore: crederai di essere impazzito, quando ti riparerai nella corazza di penitente che indossi, perché ti sentirai fragile... è la lima infaticabile e discreta che ti sta levigando...da quello che ritenevi un informe legno, sta facendo affiorare qualcosa che splende, liberato dal soffocante strato corneo che lo celava ai tuoi stessi occhi e che ora giace sul cuoio delle tue scarpe. Vorresti fermarti, e fermare quello che senti accadere: silenziosamente chiederai consiglio alle persone che ritieni aver già superato il tuo scoglio, e il tuo sguardo smarrito incontrerà la sofferenza serena di un confratello... in quell’istante non vedrai più il corteo degli incappucciati, e comprenderai che sono inutili le discussioni su percorsi e itinerari, perché la processione è giunta al suo naturale punto d’arrivo, al giardino finalmente aperto del tuo cuore. Sorriderai indulgente, ascoltando il brusio che accompagna da secoli il cammino dei penitenti, e non sentirai il sangue salirti al volto, come avevi pensato: la corazza ancora lucente copre anche le tue ferite, i tuoi errori, le tue lontananze e non ti rende migliore di un altro, o insuperbito dalla tua presenza nella processione, ma ti accoglie come tanti anni fa la veste del tuo battesimo, concedendoti uno straordinario di grazia. Capirai per la prima volta che la mantella più spessa e i medaglioni istoriati non rappresentano distinzioni gerarchiche, né sono falere da mostrare inorgogliti: sono coperte da campo che si prendono cura di chi è più sensibile al gelo delle notti, pur essendo abituato da anni a quel freddo incomprensibile; sono scudi che riparano dall’ostilità e dall’indifferenza, sentimenti che come granelli di rena, noiosi e brucianti, compongono una distesa deserta...

Tanti sono i deserti che abbiamo attraversato, cari confratelli, tanti i bei giardini ammirati tra le sbarre dei cancelli, tante le tempeste di sabbia che abbiamo affrontato. I nostri piedi hanno battuto la durezza del selciato, la ghiaia tagliente, l’ardore delle dune, l’instabile familiarità dei basoli, per seguire Gesù... solo se Cristo è presente tra noi, potremo condividere la santa eredità cui partecipiamo e che celebriamo. I nostri piedi devono spingere sull’acceleratore della spiritualità, pur senza perdere di vista la natura laicale della nostra fratellanza: so che rimarrete delusi, o forse già lo siete, perché nonostante gli sforzi compiuti con il maggior impegno possibile, non avete, anzi non abbiamo trovato l’accoglienza sperata. Il bacile, il letto, il pane e il vino che Gesù promette a chi lo seguirà, probabilmente per noi altro non sono che la comprensione profonda del mistero che siamo chiamati a celebrare.

Il catino con cui Gesù lava i piedi agli apostoli, il Cuore del Maestro, che si fa cuscino per l’Apostolo amato, l’Eucaristia che Gesù dona alla Chiesa che sta nascendo; ma anche il bacile che Pilato mostra alla folla, e il letto della croce su cui riposa la Prima Ostia consacrata...

Forse nemmeno questo, a volte, abbiamo trovato, nemmeno l’adesione piena e consapevole agli ideali della nostra arciconfraternita. Il vissuto spesso difficile di ciascuno di noi, può condizionare lo sviluppo della nostra fede, e rallentarlo: l’invito che Gesù rivolge a noi, ai partecipanti, agli spettatori, a tutti i credenti, è di “andare oltre”, oltre i limiti che la nostra esistenza ci impone, che il nostro orizzonte può abbracciare, che i nostri piedi possono raggiungere. L’Amore è infinito: e il cuore solo può attraversarne le strade, senza paura di confini invalicabili e dazi da pagare alla dogana...

Quando i ricchi, i sazi di sé stessi, i paghi dei loro status symbol ci derideranno, prenderanno in giro i nostri discorsi, metteranno in ridicolo i nostri tentativi di arrivare ad un traguardo sconosciuto, e ci chiederanno: “Allora, cosa avete fatto di così importante?”

noi, nella consapevolezza che è bello anche il deserto se è visitato da Gesù, risponderemo:

“Noi seguimmo Gesù lungo la strada”.

Buon cammino a tutti...

                                                                                   Weebo.