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Roberta Fidanzia
Aspetti e problemi dell’evangelizzazione in America Latina.
La Chiesa spagnola giunse in America con i conquistadores nel secondo viaggio di Cristoforo
Colombo e, successivamente, ogni spedizione portò nel Nuovo Mondo altri missionari. Per primi
giunsero i frati: domenicani, francescani, mercedariani, agostiniani, ecc. Da principio prevalsero i
domenicani, poi i francescani ed, infine, i gesuiti.
Il passaggio dalla fede primitiva degli Aztechi e degli Incas alla disciplina del Cattolicesimo
avvenne apparentemente con molta semplicità. La conquista religiosa del Nuovo Mondo fu, in
realtà, un trionfo effimero: i monaci battezzarono decine di migliaia di indiani, ma questi non
esitarono a riesumare i loro idoli e riti originari non appena si rese necessario fermare la distruzione
dei raccolti da parte degli insetti o scongiurare la peste.
Per gli indiani, inoltre, era naturale la poligamia, che i monaci, naturalmente, combatterono
tenacemente, anche se non erano aiutati dall’esempio dei conquistadores, i quali si univano a più
donne indiane a dispetto dei severi ammonimenti dei frati1.
Sembrava, quindi, un incontro - scontro tra i due mondi, ma grazie all’opera coraggiosa e costante
di alcuni frati, che eleva la Chiesa Cattolica di quell’epoca, si riuscirono a trovare dei punti di
contatto fondamentali per il successivo svolgimento della storia religiosa dell’America Latina.
L’America indiana, infatti, era pronta ad accogliere il Vangelo: le religioni degli aborigeni li
rendevano aperti all’insegnamento dei monaci.
Anche se gli indios adoravano diverse e numerose divinità, tendevano al esaltarne una su tutte le
altre2. Gli indiani, inoltre, non solo erano preparati ad un certo monoteismo, ma anche alla promessa
di una vita dopo la morte3. Molti avevano credenze sul ciclo e l’inferno, su premi e punizioni al di là
della tomba4.
Inoltre sia agli Aztechi che agli Incas riuscì familiare l’organizzazione ecclesiastica degli spagnoli,
poiché avevano già avuto un ordine sacerdotale gerarchico. II simbolo della Croce era loro
familiare, alcuni dei loro antichi sacramenti erano simili a quelli cristiani: il battesimo con l’acqua
era molto diffuso e fra gli Aztechi si celebrava il rito della confessione seguito dalla penitenza5.
Restavano comunque le difficoltà di comunicazione: la confessione per un lungo periodo di tempo
venne amministrata con la mediazione degli interpreti, sulle cui capacità di tradurre
appropriatamente il linguaggio dottrinale della fede si possono nutrire molti dubbi6. Una vera
evangelizzazione, e non una mera imposizione, si poteva ottenere rispettando ed accostandosi alle
tradizioni di questi popoli per capirle e sfruttarle a vantaggio del fine ultimo, che era appunto quello
di evangelizzare.
Autori di questo genere di evangelizzazione furono i frati appartenenti all’Ordine fondato dal
“poverello” di Assisi, S. Francesco.
1 Hubert Herring, Storia dell’America Latina, Rizzoli, 1972.
2 Per gli Incas Viracocha, mentre per gli Aztechi Quetzalcoatl.
3 Lo stesso Quetzalcoatl assumeva nel Regno dei Morti la forma larvale del dio Xoloti, il quale dopo aver raggiunto le
profondità della sua non-esistenza, risorge dall’immersione in una coscienza più alta, che non “è più la sua, ma è quella
del Signore dell’Alba”. Laurette Sejoumé, Quetzalcoati, il Serpente Piumato, II Saggiatore, 1959.
4Rifacendosi sempre a Quetzalcoati, di cui abbiamo numerose informazioni grazie anche all’opera del monaco
Bernardino de Sahagùn, egli era "preoccupato soltanto di raggiungere il regno spirituale ove risiedono le divinità" e la
"penitenza è il solo mezzo per progredire sulla strada che conduce alla spiritualizzazione". Idem.
5 Hubert Herring, op. cit.
6 Francesca Cantù, Una visione indigena dell’evangelizzazione nell’iconografia di Felipe Guaman Poma de Ayala, in
L’Europa e l’evangelizzazione del Nuovo Mondo, Centro Ambrosiano, 1995.
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I francescani furono tra i primi frati ad arrivare in America Latina.
Il 25 aprile 1521, con la bolla papale Alias Felicis, due francescani, Juàn Capión e Francisco de los
Angeles, futuro ministro generale dell’Ordine, furono autorizzati a “predicare il Vangelo, svolgere il
ministero parrocchiale ed impartire i sacramenti7”, facoltà riservate al clero secolare.
Considerando che la Regola di S. Francesco era ispirata alla Parola del Vangelo, Francisco de los
Angeles organizzò la missione del 1523 per il Messico scegliendo dodici frati francescani “poiché
tale fu il numero dei discepoli di Cristo per la conversione del mondo8” .
Il “loro” Cristianesimo, verrà accettato da tutte le culture, mentre spesso la Chiesa, con la sua
organizzazione gerarchica, con il suo potere complice della colonizzazione, con l’Inquisizione, con
le guerre religiose e con il marcare differenze tra clerici e laici, uomini e donne, ecc., non sempre
sarà accettata, ma, anzi, sovente, rifiutata. La povertà di questi frati francescani sarà invece il
simbolo dell’accoglienza, essi godranno della benevolenza degli indios, con la loro tenerezza,
delicatezza, fraternità, dedizione ai poveri e a tutti gli esseri del Creato, guadagneranno numerose
anime al Vangelo.
Gli indios soffrivano sotto il giogo de los doctrineros, ovvero i loro parroci, e, specialmente, sotto
quello degli encomenderos, i proprietari terrieri ai quali erano encomendados affinchè ricevessero
una educazione cristiana e che, invece, sfruttavano la loro forza di lavoro rendendoli schiavi.
Mentre chiedono al cielo di essere liberati dai cristiani, intesi come cristiani non i frati, ma gli
spagnoli che gli mostravano un dio crudele e senza pietà, amavano molto i francescani. Agli
indigeni piacevano i frati perché erano poveri e scalzi come loro e con loro si comportavano con
dolcezza. L’ordine dei francescani è un ordine povero per una regione povera, essi vivevano gli
ideali della generosità e della reciprocità, tipici delle culture precolombiane, che permeavano tutti
gli aspetti della vita degli indios, dalla religione all’economia. L’economia incaica, per esempio, si
basava sulla reciprocità e redistribuzione, intendendo per reciprocità “non solo uno scambio di
lavoro, di energia umana, prima che scambio di cose, ma la permanenza delle obbigazioni derivate
da tale scambio, nel tempo e nelle generazioni successive9” .
Ma questa reciprocità non era limitata al campo economico, si estendeva, anzi, anche al campo
religioso.
Infatti, come mette in evidenza Steve Stern10, l’obiettivo da raggiungere era il “Tincuna”, ovvero il
luogo dove i due fiumi si uniscono, creando l’armonia, l’incontro con gli dei - antenati, i quali, in
cambio della venerazione, concedevano la buona salute, raccolti abbondanti, ecc., mentre chi li
dimenticava ne subiva la vendetta.
Anche gli Aztechi avevano una società ben organizzata e riflettente la religione: il “maceualli”, cioè
l’abitante di una delle tre città federate, Messico, Texcoco e Tlacopàn, alla testa dell’impero,
“pagava una imposta, ma le distribuzioni di viveri e di indumenti, che provenivano dal tributo delle
province, dovevano compensarlo in larga parte11” .
Essi venerando il dio della pioggia Tlaloc ottenevano, in cambio, la pioggia per raccolti abbondanti,
o se non venerato a sufficienza lo stesso dio scatenava a piacere l’uragano devastatore o la siccità.
Dicevano: "O mio signore, principe mago, a te appartiene veramente il mais12".
Questo era molto simile all’ideale cristiano francescano, basato sul lavoro comune, sulla
distribuzione equa dei prodotti, sulla preghiera rivolta al Signore guadagnarsi la sua benevolenza e
la salvezza eterna, il luogo dell’armonia, mentre chi viveva ignorando Dio non ne avrebbe
guadagnato la benevolenza, ma rischiava di scatenarne l’ira con la conseguente dannazione eterna.
Per capire lo spirito francescano è necessario fare una breve premessa basata sulla Regola non
bollata di S. Francesco.
Nel capitolo sedicesimo si esprime il modo di evangelizzare voluto dal Santo: “i frati che vanno
7 Francesca Cantù, Evangelizzazione e culture indigene. I francescani e l’evangelizzazione del Messico, in op. cit.
8 Idem.
9 Franklin Pease, Los ultimos incas del Cuzco, Alianza America, 1992.
10 Steve J. Stern, Los puebios indigenas del Perù y el desafio de la conquista espanola, Alianza America, 1986.
11 Jacques Soustelle, Vita quotidiana degli Aztechi, II Saggiatore, 1965.
12 Idem.
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presso gli infedeli e i saraceni possono stabilire un dialogo spirituale in due modi. Uno è che non
facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di
essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di
Dio affinchè infedeli e saraceni credano in Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore
di tutte le cose, nel Figlio redentore e salvatore e siano battezzati e si facciano cristiani, perché se
ognuno non sarà nato di nuovo dall’acqua e dallo Spirito Santo non potrà entrare nel Regno di
Dio13” .
Si rinuncia, cosi, alla violenza, anche simbolica, per divulgare la fede.
È pur necessario tener presente che in Europa, nello stesso periodo, si assisteva ad una Riforma
Cattolica, intesa non come pura reazione alla Riforma Protestante, ma come movimento nnovatore
interno alla Chiesa stessa e che cercava di riportare la Chiesa all’originale spirito cristiano.
E questo ideale si mantenne sempre vivo nell’Ordine francescano che voleva far valere il Vangelo
come norma vitae per tutti i cristiani.
Queste, quindi, erano le idee che circolavano tra i francescani di quell’epoca, tanto che molti di essi
credevano sinceramente che nelle ìndie avrebbero instaurato la vera Chiesa, profetizzata dal Nuovo
Testamento e da Gioacchino da Fiore14, le cui idee, nonostante la condanna del 1215 da parte del
Concilio Lateranense, sopravvissero fino al XIV secolo, influenzando sia alcune correnti cattoliche
e sia alcune correnti della Riforma protestante.
Secondo fray Toribio de Benavente, soprannominato dagli indios “Motolinia”, che significa
“poverello”, “estos indios en si no tienen estorbo que impida para ganar el cielo de los muchos que
los espanoles tenemos y nos tienen sumidos, porqué su vida se contenta con muy poco15” ed anche
un altro frate, Jerónimo de Mendieta, ci ha lasciato testimonianza delle qualità cristiane di questi
indios quando, nella sua Historia Eclesiàstica Indiana, dice che “puédese afirmar por verdad
infalible, que en el mundo non se ha descubierto naciòn o generaciòn de gente mas dispuesta y
aparejada para salvar sus ànimas aue los indios de està Nuova Espana ...” ed elenca le condizioni e
qualità naturali degli indios “muy favorables para hacer vida cristiana y para agradar a Dios 16” .
Queste qualità cristiane sono rappresentate dalla docilità, mansuetudine, frugalità, semplicità,
obbedienza, umiltà, pazienza e disponibilità al perdono, doti caratteristiche del buon francescano,
ma anche del suddito perfetto17, ideale lontano dal conquistatore.
Anche se gli spagnoli, infatti, dimostravano molto rispetto per le leggi, per esempio con la lettura
del Requerimiento18, non avevano dimostrato di possedere nei confronti degli indios le qualità
morali del suddito perfetto. Però proprio per questa loro mitezza e docilità, gli indios, non erano
adatti a governarsi da soli, ma dovevano essere guidati. Per questo i frati francescani, che sognavano
di creare nelle Indie la vera Chiesa Apostolica, - nella quale non si deve vedere, però, un progetto di
indipendenza politica del regno indiano, che non aveva mai sfiorato l’anima dei francescani -, dato
il comportamento scandaloso dei conquistadores, molto poco cristiano, pensavano di costituire una
“Republica de indios” divisa dalla “Republica de espanoles”.
La divisione non era, quindi, per questioni di razza, ma per evitare che l’evangelizzazione che essi
si riproponevano di impartire agli indios non venisse inquinata dall’esempio dannoso degli spagnoli,
13 Chiara Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, Einaudi , 1995, pag. 99.
14 Gioacchino da Fiore (1130 - 1202) trasponeva sul piano storico la concezione trinitaria dividendo lo svolgimento del
cristianesimo in tre epoche: la prima, quella del Padre, rappresentata dalla legge Mosaica e già conclusa, la seconda, quella
del Figlio, rappresentata dalla dottrina magisteriale della Chiesa e prossima alla fine, la terza, quella dello Spirito, di cui
egli era profeta, nella quale si sarebbe realizzata la totale spiritualizzazione della Chiesa ed avrebbero regnato la carità, la
libertà e la pace.
15 Historia de los indios de la Nueva Espana, in Tra memoria apostolica e racconto profetico, Marco Cipolloni, Bulzoni,
1994.
16 Idem.
17 Idem.
18 Documento con il quale gli spagnoli dichiaravano agli indios, che la maggior parte delle volte non li capivano, che
prendevano possesso delle loro terre in nome di Dio e della Corona e se essi avessero accettato senza protestare, la
conquista sarebbe stata pacifica, altrimenti avrebbero avuto le ragioni per dichiarargli guerra. Sul significato della “guerra
giusta” si accese un importante dibattito che coinvolse alcune delle menti fìlosofiche più brillanti del tempo, come
Sepùlveda, Viteria e Las Casas.
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ritenendo, tra l’altro, di poter ottenere più “ascetismo e rigore morale dagli indios che non dagli
spagnoli19” .
II loro ideale era costituire una organizzazione ecclesiastica indiana - sempre non intesa in senso
politico -, ma in questo furono combattuti dalla Santa Sede, che temeva una eccessiva autonomia
dei frati e che continuava e continuerà a lungo a mantenere pregiudizi su indios e mestizos,
escludendoli dagli ordini religiosi fino al XVIII secolo e rifiutando, nel XVII secolo, la
canonizzazione dell’attuale S. Rosa da Lima20, perché indiana. Sembra, dunque, che gli indios
vivessero naturalmente secondo lo schema di vita dello spirito francescano: la loro alimentazione è
poverissima, come i loro vestiti, hanno molta pazienza nel sopportare le malattie, non si
preoccupano di accumulare ricchezze e non si uccidono fra loro per il potere, come testimonia
“Motolinìa”.
E qui è chiaro il riferimento ai conquistadores, che pur di guadagnare ricchezza e potere erano
pronti ad uccidere indiscriminatamente gli indios, considerati comunque animali inferiori, e ad
uccidersi fra di loro, tradendo anche i vecchi amici e soci21.
Nonostante i francescani abbiano accettato lo stampo politico della conquista, prima dei Re
Cattolici e dopo dell’Imperatore Carlo V, non assumeranno il carattere economico della
colonizzazione che era quello di accumulare ricchezze. “L’attività missionaria dei francescani -
infatti – deve essere vista alla luce del “modo apostolico” e del fervore della “osservanza” alla quale
appartenevano i francescani22” missionari. È, dunque, il Vangelo il centro della vita di S. Francesco:
egli non voleva fondare un ordine religioso come gli altri, ma voleva riscattare per tutta la Chiesa,
non la Chiesa intesa come istituzione presieduta dal papa, ma la Chiesa come comunità dei cristiani,
il Vangelo come fonte di vita e di dedizione a tutte le persone, in qualsiasi condizione esse si
trovassero.
Francesco, il “filosofo dell’Amore Cristiano”, come lo definisce Hans Welzel23, non si oppone alla
Chiesa Imperiale di Innocenzo III, come invece farà Lutero contro la corruzione della Chiesa
Romana di Alessandro VI, ma non ne assume il progetto.
Così quello che caratterizza i francescani nelle loro missioni non sono le caratteristiche del
comando, dell’imposizione, ma sono le caratteristiche dell’anima, della delicatezza, della
dedizione, dell’accoglienza fraterna e del rispetto per tutte e per ogni persona ed essere vivente. E il
Vangelo della Parola viva di Gesù, il Servo Soffrente, alla quale i francescani faranno sempre
riferimento nelle loro opere.
Rifacendosi strettamente al Vangelo, S. Francesco prima ed i suoi seguaci dopo, esalteranno alcuni
concetti fondamentali per la conversione dei popoli.
Primo fra tutti il concetto della povertà, così calzante per la situazione nelle Indie, dove, come è già
stato messo in evidenza, gli indios erano poveri, vivevano poveri naturaliter.
L’universo dei francescani era composto di compassione e comunione, concetti comuni agli indios e
come S. Francesco non cercò di organizzare strutture di aiuto per i poveri, ma diventò uno di essi,
cosi i francescani nella loro missione si unirono agli indios, vivevano in comunione con loro e si
sforzavano di capirli.
Molti di essi cominciarono a studiare i loro idiomi: “giocando con pietruzze e pagliuzze per
provocare la spontaneità della comunicazione” per poter apprendere così il maggior numero di
parole indigene, arrivarono anche a compilare i primi dizionari e le prime grammatiche24.
Questo dimostra la forte volontà di avvicinarsi a quei popoli, cercando di spiegare concetti cristiani
con parole indigene o quando questo non era possibile, per esempio per mancanza di un
19 Sahagùn nella Historia general de las cosas de la Nueva Espana, in Marco Cipolloni, op. cit.
20 Vissuta tra il 1586 ed il 1617, fu terziaria domenicana. È la più antica dei santi americani, patrona delle Americhe. La sua
canonizzazione fu rifiutata verso la fine del XVII secolo, perché mai il papa avrebbe fatto santa una donna indiana.
21 Come nella guerra tra Pizarro ed Almagro, e relativi partigiani.
22 Jesùs Lopez-Gay s. j., L’espansione missionaria nell’America del secolo XVI , in L’Europa e l’evangelizzazione del
Nuovo Mondo, op. cit.
23 Hans Welzel, Diritto Naturale e Giustizia Materiale, Giuffrè, 1965.
24 Francesca Cantù, op. cit.
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corrispettivo indigeno di un concetto cristiano, cercando di far assimilare la lingua spagnola.
Si inserivano, così, in quelle culture, constatandone alcuni valori simili ai valori cristiani e
difendendo gli indigeni dalla cupidigia degli spagnoli.
Se non fosse stato per i frati di S. Francesco, la Nuova Spagna sarebbe stata come le isole, “que ni
hay indio a quien ensenar la ley de Dios25” , così scrive Motolinia riguardo all’opera di mediazione
che attuarono i francescani tra gli spagnoli e gli indios, impedendo la distruzione completa di quei
popoli e delle loro culture. L’avidità degli spagnoli si era rivolta in due direzioni: la prima era nata
dalla Conquista ed era stata quella di ogni conquistatore colpito dalla fame di bottino, la seconda era
nata dalla colonizzazione ed era dello Stato, dell’Hacienda Real, che voleva aumentare le entrate
fiscali.
I francescani ritenevano che il primo compito del sovrano fosse quello di garantire il bene comune
delle repubbliche che componevano i suoi domini e si opposero radicalmente alla politica dei
repartimientos, che volevano dividere la popolazione in uomini liberi e uomini “naturalmente”
inferiori e per questo “giustamente” sottomessi, secondo la concezione aristotelica
dell’ineguaglianza degli uomini per natura.
Così il sovrano e gli spagnoli si sarebbero procurati il bene provocando il male degli altri e questo
non era inconcepibile.
A chi si opponeva a tale tesi, sostenendo che questa dottrina era antica, quindi giusta e che la
politica dei repartimientos era già radicata da molto tempo nelle Indie e che per questo anch’essa
era giusta, i francescani rispondevano che “también los pecados son cosa muy antigua en el mundo
y no por eso son buenos26”.
Per questo gli indios dovevano essere “tutelati” Essi non erano capaci di governarsi da soli, non per
inferiorità mentale, anzi essi avevano una piena “idoneità al sapere” alla quale, però, si associa una
piena “inidoneità al potere27” . Avranno sempre bisogno, quindi, del “tutelaje” dei frati. Lo stesso
Mendieta dice che gli indios “no son buenos para mandar ni regir, sino para sor mandados y
regidos28” . I francescani costituirono le basi per un incontro tra le culture e non vollero provocare
uno scontro, che avrebbe potuto rivelarsi irreparabile, come quello compiuto ad opera dei
conquistadores.
Un secondo concetto fondamentale dei francescani, derivante comunque da quello della povertà, era
la fraternità universale.
Povertà era comunione con Cristo e spoliazione che avvicina estremamente all’“altro”. La povertà
fa sparire tutte le differenze e vince il demonio che vive nella smania di potere e ricchezza. La
fraternità non è intesa solamente verso gli uomini da S. Francesco ed i suoi seguaci, ma anche verso
la natura, con tutti gli esseri viventi e questo era un altro concetto comune alla vita degli indios, che
vivevano nella natura e della natura, senza troppi artifici.
Altra caratteristica dei francescani è la partecipazione di tutti alla vita della Chiesa Apostolica.
Non c’è gerarchia, non c’è chi comanda e chi obbedisce, tutti sono ugualmente partecipi, ma nel
caso degli indios questi devono essere guidati, non possono essere abbandonati. Essi sono già
“orfani” della cultura cristiana e devono essere evangelizzati con l’esempio, la migliore “predica”
agli occhi dei francescani29.
Così in America Latina i francescani instaurarono un dialogo, non un rapporto scalare, ma vollero
porsi “come bambini in mezzo ai bambini 30” .
Questi, per lo meno, furono i concetti di partenza dei primi missionari francescani.
Successivamente, infatti, le cose cambiarono. I missionari cercarono di mantenere vivi i loro ideali,
ma furono impediti in questo sia dal potere statale e sia dal potere papale, tanto che le facoltà di
25 Marco Cipolloni, op. cit.
26 Idem.
27 Idem.
28 Idem.
29 S. Francesco non solo proteggerà i lebbrosi con le parole, ma li abbraccerà, si unirà a loro; non aiuterà i poveri da
lontano, sposerà Madonna Povertà; così i missionari non solo diffonderanno la Parola di Cristo, ma dimostreranno la loro
fede con le opere, integrandosi nella società che andavano ad evangelizzare.
30 Fioretti di S. Francesco, Tascabili Economici Newton, 1993.
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evangelizzare e somministrare i sacramenti, concesse ai francescani in occasione della missione del
1523, vennero “restituite”, più o meno mezzo secolo dopo, al clero secolare, considerato più adatto
ad europeizzare gli indios ed al quale vennero affidate anche le diocesi, che così acquistò maggior
potere nei loro riguardi. L’approccio francescano al mondo indigeno della Nuova Spagna, dunque,
presenta due aspetti complementari: da un lato lo studio delle tradizioni indigene e dall’altro il loro
uso per un rinnovamento ecclesiale. Nei frati francescani è presente un notevole sforzo di
comprensione del mondo dell’altro e di adattamento alle sue categorie culturali. Essi si unirono agli
indios e ne condivisero la cultura e, anche senza aprire la partecipazione religiosa attiva ad indios,
negri e mestizos, essi sono stati i testimoni della semplicità evangelica e dell’amore verso tutti,
soprattutto verso i poveri, dando concretezza e credibilità alla proposta cristiana. Già con Filippo II
si assiste alla riduzione del potere concesso ai frati regolari e alla distruzione della loro opera di
studio e compromesso con le culture che erano andati ad evangelizzare.
Bibliografia.
Francesca Cantù, Coscienza d’America , Edizioni Associate, 1992;
Marco Cipolloni, Tra memoria apostolica e racconto profetico, Bulzoni Editore, 1994;
Chiara Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, Einaudi, 1995;
Hubert Herring, Storia dell’America Latina, Rizzoli 1968;
L’Europa e l’evangelizzazione del Nuovo Mondo , CentroAmbrosiano, 1995;
Franklin Pease, Los ùltimos Incas del Cuzco, Alianza America, 1992;
Pietro Luigi Quarta, Aspectos politicos, económicos y sociales de Espana y America (1469 - 1621),
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Laurette Séjourné, Quetzalcoati, il Serpente Piumato, II Saggiatore, 1959;
Jacques Soustelle, Vita quotidiana degli Aztechi, II Saggiatore, 1965;
Steve J. Stern, Los pueblos indigenas del Perù y el desafìo de la conquista espanola, Alianza
America, 1986;
Juàn Fernàndez Valverde, Cristóbal Colón, Libro de las Profecias, Alianza Editorial,1992;
Hans Welzel, Diritto naturale e giustizia materiale, Giuffrè, 1965;
Fioretti di S. Francesco, Tascabili Economici Newton, 1993.