Il cielo azzurro

Il cielo burrascoso, ventoso, l'aria fredda, le ginocchia dolenti, le mani doloranti, la schiena incapace dei movimenti più elementari, mi bloccano l'intero tempo del giorno fatto salvo il togliermi di casa per quel pezzo di pane, minimo indispensabile al comune respiro momentaneo e niente più, perciò  ringrazio quotidianamente la Dea Cibele per l'essere arrivato alla mia età, che mi meraviglia non poco.

Fra non molti giorni sono settanta primavere, malamente vissute, e penso in continuazione se e come sarà il domani, ma non voglio essere un pessimista che si autolesiona come un pazzo il cervello, anzi cerco di ignorare il tutto, fatto salvo il tempo dello scrivere che non mi collabora certamente per una  migliore vita, anzi mi fa vedere sempre ogni giorno di più, il nero tombale.

Cosi è la vita dei comuni mortali, dai piccoli microbi ai grandi plantigradi, e ne siamo tutti coscienti, specie poi la sera al tramonto quando mi affaccio per osservare le stelle e fare il mio  esame di coscienza sul trascorso. A domani. Notte.

Forse è migliore  sedermi fuori e accarezzare quel venticello che ti rinfresca il pasto serale mentre mi diverte contare quanti minuti servono agli aerei  per comparire e perdersi dietro gli alberi con la loro striscia di vapore bianco che lasciano nel passaggio. L'imbrunire mette in risalto le stelle, ogni cosa diventa buia, è necessario che mi  guardi intorno, mentre il fedele amico gatto ne approfitta  per venirmi in grembo, e pretendere una coccola, che ad affetto  contraccambia  con le fusa.

Capisce che  il fedele "padrone" le vuole tanto bene, le procura il cibo, e si sente  quindi un componente della famiglia, pertanto insiste tante volte mettendosi fra i piedi per fare i capricci ed ottenere quanto da lui desiderato, consenziente che o prima o poi vincerà. Intanto il silenzio della sera rilassa il sistema nervoso, e rende il mio  coricarmi meno dolente, pertanto capisco anche che il sistema nervoso a una sua precisa posizione nel nostro interiore, che se non è presa con molta volontà diventa una mazzata.

Cosa posso fare allora? Niente, soltanto fare le coccole al gatto, e fare il verso al cane più lontano nell'immensa solitudine, come "Basilio"in Riccadonna quando osservava le burrasche che si incanalavano lungo il fiume.

Certo viene da sé il dirmi quanto è triste la mia collina, specie la sera al tramonto con lo sguardo rivolto alle stelle.

Una sera dopo l'altra, l'affettuoso gatto ormai abituato mi aspetta, vuol giocare, vuole essermi vicino, a paura di trovarsi senza il padrone che le procura il cibo quotidiano, io non so che ogni cosa che si ciba fa male anche a lui, compreso gli scarti di macelleria e polleria, quando un bel giorno resto senza vederlo per ben due giorni.

Penso che la primavera sia la stagione degli amori, resto indifferente, so perfettamente che madre natura cosi vuole, lo devo quindi perdonare se era andato a gatte.

Il terzo mattino successivo il suo miagolare non mi piace, mi vuol dire qualcosa; mi avvicino lo saluto, le faccio le solite coccole come sempre e mi accorgo del male odorante alito, e di un gonfiore ascellare sinistro.

Mi decido di portarlo dal veterinario che purtroppo le diagnostica dagli esami un male incurabile.

Prego la Dea Cibele che non sia vero, faccio mille tentativi  per poterlo salvare, ma purtroppo il piccolo "grande amico" dopo un periodo di speranza che nemmeno lui pensava, purtroppo va a vita migliore, ed io resto nel mio mondo ancora di più in silenzio ad osservare le stelle, che al tramonto fanno da corollario al firmamento.

Ma lo spiffero dell'aria ancora fresca mi prende alla schiena, vorrei invocare il paradiso almeno per il mio "Amico gatto" che mi è rimasto fedele fino alla morte sperando che  io lo  potessi salvare, ma devo ritirarmi altrimenti corro il rischio della stessa fine, che non troverebbe giustificazione e sarebbe inumano.

Mi ritrovo nel tiepido letto, quasi un rimorso al pensiero di non aver fatto per intero il mio dovere, devo rialzarmi perché nella  mia mente il caro "famigliare" è fuori e vuole venire in casa, per coricarsi ai piedi del letto ed addormentarsi tra le coccole, ma il povero amico non c'è più.

Mi rialzo da letto lo ricerco, apro le persiane, riosservo le stelle, ed un brivido mi attraversa la schiena, forse mi dimentico che il fedele amico è deceduto e che ora riposa nel giardino a fare compagnia ai miei cari lassù dove volano gli angeli e la mia mente in quel cielo azzurro che illude la visione esageratamente stimolante che gli umani pensano come il paradiso gioioso, ma che non perdona al Tic Tac dell'ora dell'addio.

Il ricordo mi lascia sereno nell'intimo perché anche nei riguardi dell'amico gatto avevo fatto il mio dovere, e non me ne sento pentito di averlo accudito il miglior possibile. Il mio grande dilemma ogni sera mi pone sempre la stessa domanda: Sarò cosi curato io? Si, lo so che lo sarò. Per ben altri motivi.

Che la peste mi ammazzi, e che tutto svanisca in una notte in piena estate, per S Lorenzo quando cadono le stelle con quella famosa e molte volte ricordata "Meteora" riparatrice. Per ritornare polvere, e  dalla Divina Dea Cibele aiutato nella vita migliore alla quale non mi sento credente.

Soltanto illusione e polvere. Sempre con i soliti: 

                                Polenta cipollini e fichi secchi - Figoli Luciano