Fausto Catani

 

Lupo Rosso Solitario

 

Che devo dire??? Per me che sono stato per così tanto tempo nel mondo del lupettismo, del branco, dei lupetti ... questa figura è un mito, una leggenda.

Il primo Akela d'Italia, colui che tradusse il "Manuale dei lupetti" con amore e precisione, quell'uomo che parlando di lupettismo era in grado di infiammare gli animi dei tanti giovani Akela che si affacciavano a questo nuovo mondo. Parlava con occhi vividi ed intelligenti dietro i suoi occhiali dorati, con una voce calda e penetrante: nessuno che abbia partecipato ad una delle sue riunioni come Akela d'Italia potrà mai dimenticarlo, e chi abbia partecipato a suoi campi scuola sentirà ancora risuonare nelle orecchie i Grandi Urli a lui tributati.

Non voglio che queste parole sembrino esagerate: Fausto Catani fu veramente un uomo straordinario.

La sua opera (per l'allora ASCI) si svolse in un periodo difficilissimo durante la notte fascista e la seconda guerra mondiale, e anche quando queste finirono lo scoutismo italiano si ritrovava ad avere ancora Riparti Misti ovvero comprendenti Lupetti Esploratori e Rover (anche se in squadriglie diverse).

Lui dovette offrire indicazioni, consigli e il metodo vero e proprio: i ferri del mestiere insomma, che ancora oggi gli Akela usano. Fu a lui (a Monass e a Salvatori) che dobbiamo oggi la triconomia Branco-Riparto-Clan (di cui tutti riconosciamo l'importanza a livello educativo).

E fece tutto questo restando fedele ai principi dettati di BP a Gilwell, tentando infine anche di occuparsi dei problemi internazionali dello scoutismo, dopo il riuscito reinserimento del rinato scoutismo italiano.

Questa la sua opera in generale, ma quello che mi preme sottolineare (in quanto ex-Chil) è il suo apporto al Lupettismo.

La prima cosa che fece fu creare la Pattuglia Nazionale (dalla quale pretendeva due volte l'anno riunioni lunghe una settimana) e gli Incaricati Regionali. Si occupò personalmente dei campi di II tempo e chiunque ricevesse da lui le Wood-badges (che assegnava con parsimonia) poteva considerarsi "laureato".

Si dedicò ai giornali "JAU!!!" e "Attorno alla Rupe" (per i vecchi lupi) ideando anche il sistema di far leggere, discutere e anche cestinare gli articoli per il primo di questi giornali ad alcuni lupetti provenienti dai Consigli d'Akela romani.

Ma la sua azione si svolse soprattutto a stretto contatto con gli altri Akela, creando una vera e propria generazione di capi cui affidò la conduzione dei campi scuola di I tempo.

Fu sempre convinto che lo scoutismo vero si tramandasse non coi libri o le riviste ma direttamente, pelle a pelle, con la formazione capi vissuta nella giusta atmosfera (d'estate nella sua casa i capi che vi si ritrovavano si facevano da mangiare, discutevano, cantavano ...)

Nel Campo di Roviano, dicembre 49, la sua proposta agli altri Akela dell'armonioso treppiede metodologico: Gioco-Giungla-Tecnica, il tutto immerso nella Famiglia Felice.

E chi, di coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo, potrà mai dimenticare di quando parlava dell'atmosfera giungla. Non lo faceva in modo teorico, ma la faceva scaturire da esempi vivi e pratici (come quando dopo aver raccontato la Battaglia dei Cani Rossi, parlò della Patria e della sua difesa) elevando il tutto nella luce di spiritualità francescana.

Il Lupo Rosso Solitario, così si firmava e forse perché era veramente la sua vita fu veramente solitaria: un silenzio dignitoso tra mille difficoltà (interrotto solo dai canti scout e dai Grandi Urli che risuonavano in sempre più punti d'Italia), una strada difficile ma percorsa con uno spirito inestinguibile.

Giustamente Fulvio Janovitz, uno dei suoi amici-allievi, parlando della sua morte potè usare come epitaffio la celebre frase di Kipling:

"Ululate cani! Un lupo è morto stanotte"

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Quello che abbiamo detto finora è abbastanza sintetico per chi voglia semplicemente sfiorare la grande personalità di quest'uomo. E non ch'io possa neppure sperare di dare più di una "infarinatura", ma se qualcuno volesse qualche dettaglio un più sulla vita di Lupo Rosso Solitario, può continuare a leggere.


Entrato nel Movimento a 13 anni nel 1922, ebbe il tempo di sentire il fascino della figura di Mario di Carpegna [il primo capo scout dell'ASCI]. Nel 1925, data la sua buona conoscenza delle lingue, fece da guida agli scouts degli altri Paesi in occasio­ne del Pellegrinaggio Internazionale per l’Anno Santo. E nel 1928-29, gio­vane ventenne, visse intensamente il trauma dello scioglimento e il primo periodo clandestino, sostenendo assie­me a Adriano Ruggi d'Aragona e in dibattito con Mario Mazza — che pure lo stimava — la poca opportunità di cercare di «scautizzare i Balilla» come Mazza caldeggiava (è noto anche che Fausto si recò al Jamboree di Arrowe Park nell’agosto del 1929, latore di una lettera di Mazza, ma anche delle idee dei clandestini romani; e che gli ambienti del Bureau mondiale incoraggiarono piuttosto l’at­teggiamento di Mazza che quello dei clandestini).

Queste prime esperienze lo segnaro­no a tal punto che in embrione vi troviamo già il Fausto Catani della ripresa dell'ASCI. Da Mario di Carpegna apprese la lezione dello studio accurato delle fonti del metodo, cioè gli scritti di B.-P. e ne completò l’opera (Mario aveva tradotto per primo lo "Scauti­smo per Ragazzi") traducendo tre dei quattro testi principali, nonché la biografia del Bastin.

Dal suo servizio per l’Anno Santo derivò la sua passione per la dimensione internazionale dello scautismo, che lo portò allo studio delle esperienze straniere e alla partecipazione impegnata a Conferenze e raduni mondiali nel periodo in cui tra il 1930 ed il 1935 resse anche i rapporti internazionali dell’ASCI (fu certamente il dirigente più conosciuto in campo internazionale dopo Mario di Carpegna). E contribuendo a ricostruire l’Associazione come responsabile della Branca Lupetti, egli perseguiva un’intima rivincita sullo scioglimento del 1928.

Fu in quest’ultima funzione il suo momento migliore, il suo apporto più originale. Salvatori, Monass e Catani furono tra il 1943 ed il 1955 i «tre moschettieri» della ripresa.

É difficile, oggi, renderci conto dello slancio, dell’entusiasmo e delle speranze smisurate con cui i tre responsabili delle Branche, spesso insieme anche al di fuori delle riunioni formali, si misero all’opera. «Nella fluida situazione del dopoguerra in cui pur tra grandi difficoltà si aprivano anche grandi possibilità, essi sacrifica­rono tempo riposo impegni — talora persino la vita privata e professionale — per gettare le basi dell’associazione». Essi sognano un vasto movimento di giovani (e non li smonta la crisi post-ripresa: nel 1952 l’ASCI tocca il suo punto più basso, 18.000 scouts).

E come base di questo vasto movi­mento di giovani, Fausto sogna un vasto movimento di bambini: il Lupettismo. Ma occorreva un metodo, inservibili essendo le limitatissime esperienze pre-scioglimento. Fausto ne crea uno, rivelando in tale opera una perso­nalità di autentico educatore e una profonda conoscenza della psicologia infantile.

L’intelaiatura è quella di B.-P., che Fausto legge con grande cura e fedeltà, alcuni apporti sono desunti da esperienze del lupettismo cattolico franco-belga, ma molti lati sono origi­nali a cominciare dall’interpretazione della giungla di Kipling: che non è per Catani solo una storia tra le altre da raccontare al Branco, e neppure la storia principale, ma è l’atmosfera permanen­te in cui in Branco vive e quasi come un copione che i Vecchi Lupi recitano. Donde l’interpretazione solo maschile (che fu uno dei punti fermi del Lupettismo di Catani) della figura di Akela, che nei libri di Kipling ha indubbiamente una tonalità maschile.

Ma il Lupettismo di Catani non è solo questo: è anche un linguaggio (il «linguaggio giungla», le Parole Maestre), uno stile educativo (il rifiuto del paternalismo e della morale diretta), un’atmosfera gioiosa (la Famiglia Felice: lo spunto è di B.-P., ma l’accentuazione di allegra baraonda è tutta latina), una preoccupazione di tener continuamente interessato il bambino e quindi un ritmo serrato di attività, un equilibrio tra le varie componenti del metodo (gioco - giungla - tecnica), una particolare spiritualità (lo spirito francescano e la figura di Baloo), una cura della continuità educativa (Catani fu il grande sostenitore del Gruppo scout e della pari dignità di tutte le Branche). Di tutti questi elementi, in parte di altri e in parte suoi, è sua la geniale sintesi, che egli compendia con chia­rezza, precisione, razionalità estrema in vari scritti (numero speciale di "Estate Parati" del 1949, articoli su "Attorno alla Rupe" poi raccolti in "Piste 1953") e insegna ai Campi Scuola. E nascono, caratteristica tipica della Branca, una serie di formule, sintetiche se si vuole, ma efficaci, che si tramandano nelle successive generazioni di Capi:

«la giungla si ferma ai piedi dell’altare e del palo dell’alzabandiera»;

«il problema della disciplina nel Branco non esiste:parliamo invece della Famiglia Felice»;

«un buon Branco lo si sente ad alme­no 200 m di distanza»;

«ogni Akela ha il Baloo che si merita»; e così via.

In quegli anni (e soprattutto dopo l’eclisse di Mazza nel 1950) la sua autorità metodologica è — anche per i suoi contatti internazionali e per la sua conoscenza del pensiero di B.-P. — forse maggiore di quella di qualunque altro. A lui i Capi e Commissari, di ogni Branca, si rivolgono spesso per sapere se la tal cosa «è o non è scautismo».

Alcuni degli aspetti del Lupettismo di Catani furono poi messi in discussione (la guida femminile dei Branchi fu introdotta nell'ASCI 1967) o liberati da una certa rigi­dità un po’ dogmatica. Ma chi guardi all’essenziale deve ammettere che il suo metodo è praticamente ancor oggi il più sicuro punto di riferimento dei nostri Branchi. Ed altri aspetti appaiono francamente anticipatori: mentre le direzioni di Riparto erano organi essenzialmente amministrativi (sul piano educativo chi contava era il Capo Riparto), Catani — ad onta dell’accentuazione, a livello lupetti, della figura di Akela — insistette perché il Consiglio di Branco fosse una autentica comunità di educatori, solidalmente responsabili del progetto educativo del Branco e dei progressi di ciascun Lupetto e nucleo di irradiamento dello spirito di "Famiglia Felice".

Emerge così, tra la fine degli anni ‘40 e l’inizio degli anni ‘50, la figura del lupettista, che si caratterizza nei gruppi, nei commissariati, nelle pattuglie. Nasce la stampa specializzata, per lupetti ("Jau!!!") e per capi ("Attorno alla Rupe"). Nasce una rete di collaboratori, gli Incaricati Regionali e la Pattuglia Nazionale. Fu soprattutto in seno a quest’ultima (la Pattuglia Nazionale Lupetti fu la prima dell’ASCI, le altre Branche seguirono per imitazione) che Fausto trovò il terreno migliore per la sua azione, chiamando a farne parte un gruppo di capi capaci ed entusiasti — come Rocco Cacopardo, Gianni Scansetti, Paolo Manfredonia, Carlo Trevisan, Paolo Severi, Fulvio Janovitz, Alino Lucchini, Antonio Albites Coen, Giorgio Alitta, Virginio Inzaghi, Guido Cortuso, Marcello Papi, Marcello Sacerdote, Serafino Turchetti, Piero Forti, — a lui legati da un profondo rapporto umano.

Giacché l’uomo Fausto Catani era effettivamente accattivante. Adatto, certo, in una équipe ad esser più l’animatore che un membro, e quindi più a suo agio nella Pattuglia che nel Commissariato Centrale: ma non il dittatore che taluni dicevano e che certe sue uscite irruente potevano far credere, anzi una persona che sapeva anche ascoltare e convincersi. Intransigente sui principi — e talora portato a veder questioni di principio dove non ce n’erano — poco incline al compro­messo (nel senso buono e nel senso cattivo del termine), era però di una genero­sità, bontà e capacità di affetto estreme, che traspiravano immediatamente. A Mario di Carpegna lo ricollegavano la grande signorilità, nobiltà d’animo, correttezza e cavalleria (una volta i lombar­di gli fecero trovare di sorpresa 4 cheftaines «proibite» — le «Lahinis», come le chiamavano — a un raduno di Capi Branco: si attendeva la sfuriata, ma Fausto appena le vide sorrise e le fece entrare nel cerchio), ma più di lui sapeva esercitare su ragazzi e capi un’immediata attrattiva e riscuoterne una profonda adesione («rimasi pressoché folgorato dalla risposta immediata che egli suscita», scrisse l'erede di B.-P., il colonnello Wilson nel 1947, «è l’uomo giusto al posto giusto»). Questo carisma particolare non era mai tanto evidente come in certi momenti, ad esempio i convegni di spiritualità alla Verna e ad Assisi. Nessuno prima o dopo di lui ha potuto far vibrare gli animi in quel modo fin dalle sole parole iniziali:

«Fratelli Capibranco...»


Per questo — pur lontano dallo scoutismo attivo ormai da un ventennio se si eccettua qualche lavoro editoriale sempre accurato e prezioso — Fausto Catani era rimasto, sul piano personale, al centro di una rete di amicizie affettuose e fedeli di persone delle più svariate parti d’Italia e dai caratteri più diversi, che al di là del trascorrere degli anni continuavano a riconoscergli un grosso debito di gratitudine per quella felicità che, come lupetti o come Capi, egli aveva saputo dare alle loro vite.
 

Molto del materiale scritto da Fausto Catani è stato raccolto nel libro "A caccia con Lupo Rosso Solitario" (a cura del Centro Studi ed Esperienze Scout Baden-Powell); questo libro rappresenta, in un certo senso, un importante manuale di lupettismo (ma non solo di lupettismo..).

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