Settimana di passione sulla Piacenza-Milano (17/6/2008)

Brutto, bruttissimo inizio del mese di giugno per i pendolari che percorrono la tratta PC-MI. Nella sola settimana dal 3 al 6, più corta grazie alla festa della Repubblica, i ritardi accumulati (o meglio “maturati”, come amano dire gli annunci di Trenitalia, quasi si trattasse di interessi bancari) hanno superato abbondantemente i 180 minuti. Alla cronica mancanza di puntualità che contraddistingue, per esempio, il regionale da Parma delle 7.59, si sono aggiunti infatti alcuni “eventi eccezionali”, che hanno reso i viaggi serali verso Piacenza una vera agonia.

Si comincia subito martedì 3. Il regionale delle 18.13 parte puntuale da Lambrate, senza che nessuno si degni di segnalare che, nel frattempo, sulla linea si è creato un intoppo. Il viaggio sembra procedere normalmente fino a quando, in aperta campagna, il treno si ferma. “Semaforo rosso” pensano i più. Faranno passare un Intercity. Ma l’attesa si prolunga, e di controllori ai quali chiedere informazioni nemmeno l’ombra. Non parliamo poi dell’interfono: utilizzato di preferenza per annunci inutili (“Grazie per aver scelto Trenitalia”, come se esistessero migliaia di alternative) se non addirittura dannosi (frasi del tipo “Speriamo di avervi ancora come clienti” suonano ormai come una cupa minaccia), resta tragicamente muto nel momento di autentica necessità.

A funzionare è invece il tam-tam tra pendolari. Da un veloce giro di telefonate si scopre che il Livorno partito da Centrale alle 17.05 si è rotto poco prima di Lodi, formando un “tappo” che impedisce il passaggio a tutti i treni della linea partiti da Milano fino a quel momento (sono ormai le 19.15). I commenti poco benevoli sulla qualità del materiale rotabile e sull’efficienza degli interventi per riparare i guasti si sprecano. Quando il 18.13 approda alla stazione di Piacenza ha “maturato” 45 minuti di ritardo (e c’è da chiedersi a che ora siano arrivati a destinazione i viaggiatori diretti a Livorno che in un primo tempo si sono sentiti dire che avrebbero dovuto passare la notte a La Spezia causa mancanza di treni diretti a Livorno). Ottimo risultato, non c’è che dire, ma ancora niente rispetto a quanto è successo giovedì 6 giugno.

Ancora una volta, l’atmosfera a Lambrate è tranquilla, nessuna avvisaglia di ritardi o problemi. Il treno delle 18.20 per Bologna carica i soliti aficionados e parte per compiere il proprio dovere quotidiano di riconsegnarli alle loro famiglie. Senonché, poco prima di Tavazzano sembra avere qualche ripensamento e si ferma. I minuti passano, diventano 10, 20, 35… Gli altoparlanti non emettono suono, nemmeno il fastidioso crepitio che rivela talvolta un velleitario tentativo di comunicare con i viaggiatori: tacciono perché guasti o per un residuo di onesta vergogna da parte del personale?
Il controllore evita di attraversare gli scompartimenti e sceglie un basso profilo, camminando lungo i binari di fianco al treno. Non sfugge però all’occhio addestrato di alcuni passeggeri che, veloci, lo arpionano dal finestrino subissandolo di domande, che possono essere riassunte in una sola: “Cosa diavolo sta succedendo?”. Dalle risposte frammentarie e un po’ confuse si riesce a capire che un treno (precisamente quello partito da Lambrate alle 17.33 e diretto a Parma) si è rotto in un punto “molto delicato” della linea ed è difficile spostarlo, senza contare poi che l’ufficio preposto ad affrontare questi inconvenienti risulta desolatamente vuoto, visto che nessuno risponde al telefono.

A bordo ormai è bagarre. Il treno è fermo da 60 minuti e l’ipotesi di arrivare a casa in tempi men che biblici è decisamente sfumata. Tra i pendolari inferociti si diffonde l’epidemia del “sarei dovuto andare… avrei dovuto fare”. Cecilia ha affidato le bimbe a sua madre, con la promessa di passare a riprenderle in tempo per la cena. “Volevo stare un po’ con loro, invece adesso avrò appena il tempo di vederle prima di metterle a letto” dice sconsolata. Anna abita fuori Piacenza e dopo le 19.40 non ha più autobus per tornare a casa. Digita sms a tutto spiano, alla ricerca di qualche amico o compaesano disposto a darle un passaggio: “Sono ridotta a vivere del buon cuore dei vicini di casa!” brontola irritata. Federica aveva dato appuntamento al muratore che deve sistemarle la cucina e adesso sta cercando di fargli capire per telefono, mentre la linea va e viene, che preferirebbe che le piastrelle del rivestimento fossero tutte uguali, senza per questo doverle pagare un capitale. Qualcuno disdice appuntamenti, qualcun altro raccomanda alla moglie di cenare senza aspettarlo, “perché qui non si sa come andranno le cose”.

Finalmente il treno si muove. In capo a una ventina di minuti sta attraversando il ponte sul Po e alle 20.30 uno sciame di pendolari si riversa sul marciapiede della stazione di Piacenza. Vien quasi voglia di baciare terra, come marinai scampati a un naufragio, ma non c’è tempo per gesti coreografici: il ritardo “maturato” oggi ammonta a 80 minuti tondi tondi, anche se i display collocati sul binario sembrano ignorarlo, forse per pudore. Ai pendolari che torneranno a viaggiare l’indomani è risparmiata almeno la beffa: nessuno si azzarda a recitare negli altoparlanti la formuletta “Ci scusiamo per il disagio”.

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